15 DOCUMENTI CNEL 1° Rapporto sulla comunicazione d’impresa - 1998 realizzato da ASCAI Servizi ROMA 1998 Questo 1° Rapporto sulla comunicazione d’impresa in Italia, realizzato da ASCAI Servizi, è stato reso possibile dal contributo offerto da un insieme di soggetti e di persone che condividono interessi e competenze sulle tematiche comunicazionali: In particolare si desidera ringraziare: • Banca Nazionale del Lavoro BNL Banca Nazionale del Lavoro • INAIL • Poste Italiane Poste Italiane La redazione del Rapporto è opera di un gruppo di lavoro coordinato da Massimo Maria Scalise e composto da: Franco Amicucci (Cap. I) Serena Arcangeli (Cap. II, par. 1) Enrico Auteri (Cap. V, par. 2) Alberto Beonio Brocchieri (Cap. I) Mario Brutti (Cap. VIII) Maurizio Incletolli (Cap. VII) Patrizia Mattei (Cap. II, par. 2; Cap. V, par. 1) Dalila Nobili (Cap. II, par. 2; Cap. V, par. 1) Umberto Paniccia (Cap. VI) Pierluigi Pauletti (Cap. IV, par. 1) Marco Polidori (Cap. IV, par. 1) Valeria Quaglione (Cap. III) Massimiliano Valerii (Cap. III; Cap. II, par. 3) Marco Vergeat (Cap. IV, par. 2) Hanno inoltre collaborato: Luisella Erlicher Michele Giannasi Manuela Mazzucco Paola Motta Sandra Muzzi Silvia Santucci Il Comitato scientifico, costituito presso il CNEL, per sovrintendere alla realizzazione del Rapporto è stato presieduto da Giuseppe Capo e composto da: Franco Amicucci Alberto Beonio Brocchieri Mario Brutti Paolo Giannaroni Massimo Gibelli Maurizio Incletolli Mario Martino 2 Paolo Mazzanti Paolo Nizza Umberto Paniccia Pierluigi Pauletti Massimo Scalise Stefano Trombetta CAPITOLO I RIFLESSIONE SULLO STATO DELLA COMUNICAZIONE D’IMPRESA 5 PREMESSA Comunicazione. Forse la parola maggiormente emblematica di questo ultimo scorcio di “secolo breve”, così definito da Eric J. Hobslawm per l’accelerazione che gli eventi della storia e le trasformazioni sulla vita degli uomini hanno assunto ad un ritmo sempre più vertiginoso. E c’è da aggiungere implacabilmente vertiginoso. Può infatti accadere di provare persino sgomento di fronte all’incalzare degli eventi e alla rapidissima evoluzione che scienza e tecnologia stanno determinando negli stili di vita, nei comportamenti, nei modi di organizzare l’esistenza singola ed associata delle persone, di intenderne il significato ed i valori. E’ peraltro fuor di dubbio che in questo cambiamento palingenetico abbia giocato e giochi un ruolo fondamentale la comunicazione, vero e proprio fulcro di ogni attività pensante, come già sul finire degli anni ‘50 aveva intuito Gillo Dorfles, aiutandoci a prendere consapevolezza di quanto i processi comunicazionali intervengano e condizionino profondamente quelli operativi: dalla produzione ai servizi, dalla amministrazione della cosa pubblica allo sviluppo delle economie e dei mercati. Scienza e tecnologia, nell’intreccio con la comunicazione, configurano il potere in una delle sue più delicate espressioni. Siamo cioè di fronte al moderno modo di proporsi della figura dell’“Imperatore”, per cui non deve sembrare stravagante ricordare a proposito di questa laica trinità l’antico motto sapienziale: 7 “Il mondo intero regola i suoi passi sul passo dell’imperatore”. Sarà bene riflettere sulla etimologia della parola comunicazione. Essa significa rendere comune; far partecipe altri di qualcosa; conferire, infondere, trasfondere, distribuire fra i più beni, ricchezza, concetti, cultura. Una parola dunque densa di significati e di contenuti profondi che vanno ben al di là della pura circolazione delle informazioni. Si pensi, per esempio, che uno degli aspetti fondamentali della comunicazione è il dono. Comunicazione, infatti, è anche essenza e sinonimo di comunità (cum-munus, con dono) e comporta fecondità di scambi, reciprocità positive come ha ben percepito ed espresso Borges. Se è vero che sul piano umano ognuno di noi è contemporaneamente monaco e frate, la comunicazione si pone come il punto di incontro e di collegamento tra questi due aspetti che albergano non soltanto in ciascuna persona, ma, sia pure con pesi diversi, anche nei soggetti collettivi (nelle aziende, come vedremo), nella società. Riprendendo la metafora del potere dobbiamo avere consapevolezza piena che, a differenza di quanto è accaduto nelle precedenti epoche storiche quando la volontà dell’imperatore era sacra e incontestabile, noi oggi abbiamo la possibilità di utilizzare scienza, tecnologia, comunicazione come leve per indirizzare e gestire lo sviluppo nella sua dimensione di progresso civile, di crescita qualitativa. Qualità che riguarda i beni prodotti, ma anche e forse soprattutto le idee, i comportamenti, gli stili di vita. E riesce ad elevare il livello della convivenza collettiva attribuendo senso pieno alla esistenza di ognuno e di tutti. Questa possibilità è indubbiamente alla portata dell’uomo, ma la realtà - ad una osservazione attenta - si presenta in modo tutt’altro che limpido. Anche nell’ambito del sistema della comunicazione prevalgono le contraddizioni, le tensioni, gli egoismi, finanche gli scontri. La stessa comunità degli operatori è disomogenea, spesso lacerata al suo interno, non riesce a proporsi come un gruppo forte. Ciò ritenia8 mo sia dovuto certo alla esistenza di interessi divergenti, ma soprattutto alla carenza di saldi legami culturali, alla mancanza di esercizio al confronto sistematico, allo scambio di saperi e di esperienze, al gusto di fare ricerca insieme e, per dirla fino in fondo, alla debole comunicazione, intesa nella accezione alta e piena richiamata. Questo Rapporto sulla Comunicazione d’Impresa in Italia, che si ripromette di avere cadenza annuale, è stato ideato e voluto proprio come risposta alla necessità che tutti avvertiamo di una riflessione unitaria, di una sede e di una occasione capace di delineare scenari, fare sintesi e monitorare esperienze, sensibilità, atteggiamenti, comportamenti ed il loro inverarsi nelle specifiche realtà territoriali, settoriali, di dimensione di impresa, mettendole a confronto, esplicitando modelli, linee di tendenza, spunti innovativi. Una sede che sappia dar conto e documentare lo stato dell’arte, i problemi aperti che chiedono di essere affrontati e risolti, le prospettive che vengono profilandosi attraverso, in particolare, la rappresentazione delle diverse esperienze, soprattutto quando siano portatrici di innovazione, di stimoli utili a rimettere in discussione vecchi stereotipi, modelli e comportamenti. Essi infatti contrastano o quanto meno ritardano l’affermarsi di modalità e di stili di lavoro idonei a rafforzare la capacità combinatoria, la integrazione fra le varie funzioni aziendali per sviluppare processi di comunicazione ricchi di professionalità, di qualità, di elevato valore umano; generatori di identità, di progettualità; suscitatori di atteggiamenti positivi, di entusiasmo, di gusto al lavoro e al successo. In questo lavoro, che abbiamo realizzato attraverso una ampia consultazione dei soggetti che operano nel vasto e variegato mondo della comunicazione aziendale, ci siamo proposti ed abbiamo proposto ai nostri interlocutori di operare insieme con “umiltà”. Umiltà intesa nella sua accezione etimologica di “humus” che alimenta, fortifica, fa crescere. 9 DALL’ORALITÀ, ALLA SCRITTURA, ALLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE “Le lettere cagionano smemoramento nelle anime di coloro che le hanno apprese, perocché più non curano della memoria, come quelli che, fidando della scrittura, per virtù di strani segni di fuori si rammentano delle cose, non per virtù di dentro e da se medesimi. Dunque trovato hai la medicina, non per accrescere la memoria, sibbene per rivocare le cose alla memoria. E quanto a sapienza, tu procuri ai discepoli l’apparenza sua, non la verità”. E’ questa una delle obiezioni che nel Fedro, il Socrate di Platone muove alla scrittura. Apre così il libro di Walter J. Ong, Oralità e scrittura, il Mulino. Ma, per farsi paladino dell’oralità, il filosofo greco scrive il suo pensiero che rimane nella storia proprio grazie alla scrittura. Oggi, analogamente, si rivolgono da più parti inviti alla prudenza, si esprimono riserve, si lanciano allarmi per un possibile abbandono della lettura, per un crescente disamore al libro, con nefaste conseguenze per il livello culturale di intere generazioni. Rivivendo il paradosso del grande filosofo greco, per veicolare queste critiche si utilizzano le tecnologie della scrittura informatica e le reti informative per darne rapida e capillare diffusione. Peraltro è vero che, grazie alle nuove tecnologie dell’informazione, in nessun periodo della storia umana si sono pubblicati tanti libri come in questi ultimi anni. Per comprendere la profondità dei cambiamenti che sono attualmente in corso e dell’autentica rivoluzione che stiamo vivendo può 10 essere utile ripercorrere, in forma sintetica, alcuni passaggi della nostra storia, aiutandoci, in questo, con le descrizioni che ci ha lasciato Ong. L’homo sapiens esiste sulla terra da circa 50.000 anni. Il più antico sistema di scrittura risale solo a 3.500-4.000 anni fa, mentre lo sviluppo dell’alfabeto greco avviene attorno al 720-700 a.C.. “I Greci fecero qualcosa di grandissima importanza quando svilupparono il primo alfabeto completo, comprendente anche le vocali ...L’alfabeto greco era democratico, poiché facile per tutti era impararlo, internazionalista, potendo essere usato anche per le lingue straniere” (Ong, op.cit.). La scrittura non si diffonde rapidamente e, soprattutto, agli inizi, rimane strumento utilizzato da un numero ristrettissimo di persone, strumento di potere magico e segreto. Con la scrittura si ha una forte accelerazione dello sviluppo delle varie civiltà perché la trasmissione della conoscenza non avviene più solo attraverso la cultura dell’oralità primaria, ma attraverso il documento scritto che permette l’accumulazione della conoscenza, sviluppa l’astrazione ed il pensiero analitico, comincia a superare i vincoli di tempo e di spazio tipici della trasmissione orale. L’altro grande passaggio che incide profondamente nello sviluppo delle civiltà è l’invenzione della stampa con caratteri alfabetici mobili permettendo al libro di essere stampato con un processo che ha rappresentato la prima vera catena di montaggio, perché ha consentito di ottenere un elevato numero di copie dello stesso libro. La parola entra così nel processo industriale e diventa essa stessa prodotto. Con la stampa si ampliano gli effetti della scrittura e si apre un nuovo e profondo processo che rivoluziona la cultura e lo sviluppo umano; la conoscenza veicolata attraverso la scrittura diventa un prodotto disponibile non solo per un numero ristretto di persone, ma per larghi strati di popolazione. Anche in questo la conseguenza è quella di una forte accelerazione dello sviluppo della civiltà, perché la conoscenza si diffonde, si attivano con più intensità scambi culturali e nuove invenzioni, si creano le condizioni per la successiva fase dell’industrializzazione. 11 Dalla scrittura che permette il deposito della memoria nel testo a disposizione di un ristrettissimo numero di persone, alla stampa che permette la diffusione della conoscenza a livello di massa, passiamo con la Società dell’Informazione, alla creazione, produzione, utilizzazione della conoscenza senza più vincoli di tempo e di spazio, con una massa enorme di informazioni disponibile contestualmente per milioni di persone nello stesso istante. Nuovi problemi, anche di natura etica, si pongono, ma è certamente vero che mai l’uomo è stato di fronte a tante opportunità. Il primo problema che quotidianamente si presenta alle persone, alle organizzazioni, alle imprese, è quello di adeguarsi ad un carattere assolutamente nuovo e specifico della Società dell’Informazione: quello della velocità dei cambiamenti che non ha precedenti nella storia umana e richiede continuamente rapidi adattamenti culturali ed organizzativi. Calvino, nelle sue Lezioni Americane, dedica una lezione proprio alla rapidità, individuandone una delle chiavi di lettura del passaggio di millennio. Ama citare Leopardi quando scriveva nelle note del suo Zibaldone: “La velocità, per esempio, de’ cavalli o veduta, o sperimentata, cioè quando essi vi trasportano (...) è piacevolissima per sé sola, cioè per la velocità, l’energia, la forza, la vita di tal sensazione. Essa desta realmente una quasi idea dell’infinito, sebbene l’anima, la fortifica...” (27 ottobre 1821). La società dell’informazione sta riscoprendo il valore della oralità. Il telefono, la radio, ed ora la videoconferenza riattivano forme di comunicazione orale, che, pur diverse dalla fase pre-scrittura, quella dell’oralità primaria, riattiva la comunicazione diretta, alimenta l’introversione, ripristina simultaneità temporale nel dialogo. Un ritorno dell’oralità è anche una caratteristica dell’impresa-rete, della fabbrica segmentata ormai spazialmente, ma fortemente integrata dai sistemi informativi. Mentre nella fase industriale, nella produzione standardizzata e di massa la quotidianità del lavoro tendeva all’estroversione - l’operaio alla catena o lo stesso operaio di mestiere stretti nel rapporto con il pro12 prio lavoro e prodotto, con forme di comunicazione prevalentemente gerarchiche o, per attivare momenti di comunicazione collettiva, rituali e simboliche, come le grandi assemblee operaie -, nell’impresa-rete il lavoro è prevalentemente assorbito da macchinari ad alto contenuto tecnologico e buona parte del trattamento delle informazioni viene automatizzato con le nuove tecnologie di informazione, riattivando una fitta rete di relazioni interpersonali necessaria per il governo della rete, che richiede continuo adattamento, flessibilità, rapidità nelle decisioni e nei cambiamenti. Forme queste, tipiche della mente umana. E’ allora necessario ridefinire il concetto stesso di comunicazione interna. La comunicazione interna non può essere circoscritta spazialmente all’interno degli uffici e degli stabilimenti: comprende i processi di comunicazione che si sviluppano nella rete, non più delimitata da confini spaziali, ma disegnata dai fili, più o meno intensi, dagli snodi dove si deposita per poi ripartire e diffondersi nella rete. 13 OBIETTIVI, LIMITI, METODOLOGIA DEL RAPPORTO La “Comunicazione di Impresa” coinvolge numerose categorie di operatori e dunque di logiche e di interessi. Anzitutto, ovviamente, le imprese stesse, che ricorrono alla comunicazione come strumento del mix gestionale, non soltanto con una crescente intensità ma, soprattutto, con crescente consapevolezza. E’ infatti utile ricordare come, secondo il ‘principio di completa comunicazione’, esplicitato da Carlo Antonio Ricciardi nella sua premessa a Il sistema comunicazione, la pressione competitiva induca gli operatori a elevare progressivamente il livello di comunicazione che essi dirigono verso il mercato, giacché la ’non comunicazione’ equivale a posizionarsi automaticamente al più basso livello medio di qualità del servizio percepita dal mercato. In secondo luogo i tanti e diversi pubblici con cui l’impresa ‘scambia comunicazione’. In terzo luogo ci sono gli operatori della comunicazione: tutti coloro che, a diverso titolo e secondo diverse modalità, sviluppano attività comunicazionali coerenti e funzionali agli obiettivi delle imprese. E poi il vasto mondo degli studiosi che, in funzione delle proprie specializzazioni disciplinari, affrontano il rapporto “ComunicazioneImpresa” vuoi dal punto di vista della comunicazione, vuoi da quello dell’Impresa, cercando di costruire analisi sistemiche che approfondiscano le interazioni dei due termini. Non può, infine, essere trascurato il mondo della formazione che, proprio in questi anni, sta sviluppando un filone dedicato alla prepara14 zione di professionisti della comunicazione, contemplando in modo specifico la disciplina della Comunicazione di Impresa. La Comunicazione di Impresa si configura, dunque, per la pluralità di attori che coinvolge, come un vasto territorio o, se si preferisce, come un crocevia ove saperi e prassi, obiettivi e metodologie, tecniche e strumenti che provengono da diverse origini e da diverse elaborazioni si mescolano e si compongono in una nuova disciplina. Un territorio in grande fermento, cui dedica attenzione l’intera galassia dell’informazione, dai quotidiani alle collane editoriali e alle riviste specializzate, dal cinema alla saggistica di costume. Ma la definizione “disciplina” può già apparire come una valutazione arrischiata: si potrebbe, anzi, affermare che uno degli interrogativi impliciti che stanno al fondo di questo Rapporto sia proprio se la Comunicazione di Impresa possa essere considerata, ed eventualmente in quale senso, una disciplina compiutamente definita e definibile. Se per disciplina si intende un insieme di fondamenti teorici, di prassi operative, di tecniche e di strumenti che interagiscono in un “sistema” ordinato, secondo linee di forza identificabili - e diffusamente accettate -, allora si deve ammettere che la definizione non si attaglia ancora pienamente alla Comunicazione di Impresa. Si deve convenire che, sebbene molte delle tantissime riflessioni dedicate a questo argomento negli ultimi anni (quaranta-cinquanta, se pensiamo agli Stati Uniti, venti-trenta se pensiamo all’Italia) siano state proprio indirizzate alla ricerca dei “presupposti teorici” della Comunicazione di Impresa, il lavoro di fondazione è ancora lungi dall’aver fornito un corpus dottrinale e pratico stabile e condiviso. La spia più semplice - ma di disarmante evidenza - di questo stato di cose sta nella indisponibilità di una base semantica formalizzata. Espressioni come “Identità di Impresa”, “Immagine di Impresa” o addirittura “Comunicazione Interna” “Comunicazione Istituzionale” o “Marketing Communications” più che richiamare contenuti concettuali ed esperienziali sedimentati e condivisi sembrano alludere a magmatiche sfere di possibili significati: tanto che gli autori metodologicamente più avvertiti sentono il bisogno di esplicitare il proprio vocabolario prima di entrare nelle specifiche trattazioni. E anche la stessa espressione 15 “Comunicazione - di - Impresa” si presta ad un inquietante ventaglio di interpretazioni. Questa difficoltà a definire e a perimetrare l’oggetto di indagine risulta del tutto comprensibile alla luce di due considerazioni. Anzitutto, il concetto stesso di Comunicazione di Impresa, nell’accezione di un insieme di attività continuative, organizzate e pianificate (dunque, sistemiche), è molto recente. Fatta eccezione per la pubblicità che nelle sue manifestazioni elementari compare nelle gazzette settecentesche, le imprese hanno sviluppato una consapevolezza dello strumento comunicazionale in tempi assai vicini: spesso si dimentica che l’informazione economica - oggi uno dei pilastri della nostra Comunicazione di Impresa - si è sviluppata in Italia solo a partire dagli anni ‘70, e che la diffusione della comunicazione come primario strumento di marketing è soprattutto figlia della televisione e, in particolare modo, della proliferazione di televisioni commerciali. E’ lecito, dunque, dire che la Comunicazione di Impresa è oggi in una fase di stato nascente, come la sociologia a metà del secolo scorso. Secondariamente, essa si colloca in uno spazio cartesianamente definito dagli assi “Comunicazione” e “Impresa” che, ciascuno per sé, presentano una straordinaria ricchezza morfologica e che, ciascuno per sé, sono “entità” fortemente interdisciplinari, che compendiano saperi e prassi di lontana e diversa provenienza. La piena consapevolezza di ciò sta alla base di tre scelte metodologiche che sono state poste a fondamento del presente lavoro. Anzitutto, come già accennato, esso non si propone né va considerato come un’opera “chiusa”. Il Rapporto 1998 è il momento di avvio di un processo di monitoraggio, di indagine e di riflessione che si vuole proiettare nel tempo, secondo il concetto dell’opera aperta, che si fa e si compie attraverso il suo stesso procedere ed evolvere. Questa prima edizione si configura quale punto di partenza di un itinerario: in questo senso ha anche il valore di una “proposta” lanciata verso il vasto mondo degli uomini d’azienda, degli operatori della comunicazione, degli studiosi e degli analisti, degli operatori culturali per attivarne il contributo in termini di collaborazione all’orientamento delle edizioni future. 16 Secondariamente, e in coerenza con quanto detto sopra, il Rapporto si prefigge un duplice scopo: da un lato offrire un ventaglio di informazioni, di dati e di aggiornamenti che consentano di capire meglio che cosa sia, oggi, la Comunicazione di Impresa nel nostro Paese; dall’altro essere stimolo per una rinnovata discussione, per riflessioni allargate attorno al ruolo che la Comunicazione di Impresa ha, potrebbe o dovrebbe avere nella promozione della crescita culturale, economica e sociale; attorno agli snodi che ne possono rallentare lo sviluppo o alle questioni che è opportuno affrontare e discutere. In questo senso il Rapporto vuole essere, oltre che un prodotto editoriale, un catalizzatore di energie, un attivatore di riflessioni, un’occasione di confronto fra quanti credono nel ruolo dell’Impresa come forza di sviluppo civile e nella funzione della Comunicazione come propellente della macchina-Impresa. In terzo luogo si è scelto di impostare il lavoro come una “perlustrazione” di quanto avviene nel territorio della Comunicazione di Impresa, per cogliere le posizioni, le mosse e i reciproci ruoli degli attori, protagonisti o comprimari. E quindi, mentre si ritiene essenziale dar conto della produzione di interpretazioni teoriche e dei più diffusi orientamenti operativi relativi al fenomeno, dei parametri economici e organizzativi che lo descrivono, delle tecniche e degli strumenti - soprattutto innovativi - che si riscontrano sul campo, nonché di alcune aree di esperienza specifica, non si è voluto orientare il lavoro nella direzione di un autonomo e nuovo contributo alla elaborazione teoretica attorno al tema. Questo primo Rapporto nasce dunque con l’obiettivo di proporre una lettura ragionata della “Comunicazione di Impresa”, si potrebbe dire “una guida” per orientarsi attraverso la molteplicità dei temi e dei problemi che stanno all’interno di questo contenitore, per cogliere certe linee di tendenza, per pesare il valore delle sue componenti fondamentali. Ma proprio la dimensione del fenomeno, cui abbiamo fatto cenno, il suo polimorfismo e anche, su una scala culturale, la sua novità, rendono nei fatti imperseguibile qualsiasi obiettivo di compiutezza, e assai difficile e fragile ogni tentativo di sistematizzazione. Anche perché non è ovviamente possibile dare contemporaneamente spazio, in un unico volume, ad una ricognizione a 360 gradi del panorama: in questo senso ogni anno il Rapporto si focalizzerà su aspetti e contenuti diversi, se17 condo un piano diacronico finalizzato a costruire nel tempo una mappa ragionata, anche proprio sulla scorta del dibattito che questa iniziale esperienza potrà attivare. Naturalmente, la scelta del punto prospettico di lettura, il taglio contenutistico, le priorità adottate nella selezione degli argomenti e dei casi costituiscono di fatto “una presa di posizione” non neutra nei confronti del materiale su cui si opera. Nessun lavoro di questo genere può ragionevolmente proclamarsi “neutro” rispetto alle diverse valenze interpretative. Ma si è cercato di ancorare tutta l’indagine ad un criterio descrittivo, secondo l’obiettivo di offrire agli operatori strumenti e spunti per addentrarsi criticamente nel campo piuttosto che suggerire specifiche chiavi interpretative. La struttura “aperta” cui si faceva cenno rimanda naturalmente, d’altro canto, ad approfondimenti specifici nelle future edizioni. Poiché l’obiettivo del lavoro non è sviluppare una indagine teoretica sulla comunicazione e neppure, almeno in prima battuta, suggerire modelli ideali di interpretazione, è opportuno assumere come dato di partenza la “fluidità e l’indeterminatezza” del fenomeno che si cerca di descrivere, per cercare di estrarre dai dati e dai reperti dell’indagine proprio una indicazione, se non altro di valore statistico, su come la Comunicazione venga, nei fatti, vissuta ed agita nel o nei contesti imprenditoriali italiani e nella produzione pubblicistica. In altri termini, si assegna a questo lavoro, quale obiettivo rilevante, proprio quello di tracciare una mappa di come il mondo imprenditoriale “usi” la Comunicazione, se e come la inserisca fra le leve del management, quale ruolo le riconosca e le assegni, quali risorse impegni su questo versante. Ma, per una lettura corretta dei materiali presentati, è importante sottolineare e tenere sempre presente la molteplicità di riferimenti teorici e di contenuti esperienziali che si cela dietro l’apparente unità della definizione “Comunicazione di Impresa”. 18 L’EVOLUZIONE DELLA COMUNICAZIONE DI IMPRESA IN ITALIA La distinzione fra Comunicazione Interna e Comunicazione Esterna appare oggi sostanzialmente superata, in quanto tutti i processi comunicazionali delle Aziende sono assoggettati a metodologie e a professionalità che condividono il medesimo orizzonte e perseguono finalità integrate nella prospettiva dello sviluppo imprenditoriale. Ma questa convergenza è il risultato di un processo lungo e spesso tortuoso, che coincide con lo sviluppo della auto-consapevolezza dell’Impresa di essere oltre, e forse prima, che soggetto economico, soggetto sociale, nel senso più ampio del termine. In questo processo la Comunicazione Interna e quella Esterna hanno disegnato itinerari diversi che, pur sfociando in un esito comune, hanno subito in tempi diversi l’influenza di molteplici fattori. Alcuni meritano di essere rapidamente ricordati per mettere a fuoco con maggior compiutezza il senso attuale della Comunicazione di Impresa. a. Dal “giornalino” all’Internal Communications La Comunicazione Interna nasce, ovviamente, con l’Impresa stessa, dove in realtà si è sempre comunicato qualche cosa in qualche modo (se non altro attraverso circolari interne e ordini di servizio). Ma l’Internal Communications, come la intendiamo oggi, quale complesso integrato e sistemico di relazioni che legano i dipendenti all’impresa, è il frutto dell’evoluzione delle organizzazioni e della cultura aziendale. 19 Nel primo ventennio del dopoguerra, il giornale aziendale è lo strumento fondamentale per lo svolgimento dell’attività di comunicazione con i dipendenti. L’impostazione è rigorosamente topdown, i contenuti enfatizzano l’attività e i successi dell’impresa. Emerge un certo protagonismo e un certo paternalismo da parte di imprenditori e manager che peraltro, proprio negli anni del dopoguerra, sono stati gli artefici dell’industrializzazione del Paese: la stampa interna, spesso in una forma agiografica, ha emblematizzato questo apporto, sicuramente determinante al successivo sviluppo della nostra economia. Dall’analisi del menabò dei diversi giornali aziendali si può osservare quale spazio e quale risalto siano dati alle cronache delle attività di tipo ricreativo e assistenziale per i dipendenti. Inserito in un sistema gerarchico tradizionale, l’house organ rappresenta comunque un’iniziativa innovativa, nonostante il taglio e certi aspetti un po’ naif. L’attenzione degli specialisti e la loro riflessione si appunta sull’organizzazione necessaria per realizzare il giornale e il dibattito riguarda tecniche di preparazione, organizzazione della redazione, scelta (non ancora analisi) della tipologia dei lettori di riferimento. La crescita della strumentazione professionale richiesta a chi produce il giornale interno fu dovuta principalmente a due fattori. Anzitutto, il boom economico che fornì alle aziende maggiori mezzi per realizzare e curare le attività di informazione. Secondariamente, i profondi, talvolta turbolenti, cambiamenti socio-politici che caratterizzarono quegli anni, e si riflettevano anche sui giornali aziendali, dove compaiono temi che richiedono trattazioni di più ampio respiro. Il nuovo ruolo dell’Impresa nel contesto sociale allargò gli orizzonti dell’house organ oltre i confini dell’Impresa stessa e dei rapporti sindacali, aprendo il dibattito a temi come l’Europa, la famiglia, la donna e le problematiche ambientali. Trasformandosi così da ‘bollettino’ dell’azienda a strumento di informazione destinato soprattutto ai capi, il “Giornale Interno” diventa strumento di ricerca di un nuovo ruolo e di una nuova legittimazione per la struttura gerarchica, messa a dura prova dal periodo dei conflitti sindacali. 20 In quegli anni Settanta iniziano dibattiti professionali su temi che ancora oggi, dopo più di 20 anni, non trovano ovunque risposte univoche: per esempio, “Una unica pubblicazione rivolta sia all’interno che all’esterno oppure due o più pubblicazioni distinte?”; “Pubblicazioni che segmentino orizzontalmente i pubblici interni (secondo i livelli gerarchici) oppure che si indirizzino a popolazioni verticali omogenee per tipologia di attività?”. Gli anni Ottanta segnano un punto di svolta, che si può leggere come il passaggio alla Comunicazione Interna in senso moderno. Archiviato il periodo dello scontro frontale con il sindacato, l’Impresa si è riappropriata più consapevolmente un rapporto diretto con i suoi dipendenti, che va oltre la valenza della mera informazione che aveva caratterizzato il decennio precedente. Non limitata all’house organ, la Comunicazione Interna diventa qualcosa di più, strumento di un dialogo più aperto e continuo, uno “scambio”, che vede il suo fulcro nel rapporto tra capo e collaboratore. L’evoluzione prende avvio da due fattori tipici degli anni Ottanta: la stagione delle relazioni interne, che ha caratterizzato le politiche di rapporto con il personale nel primo quinquennio, e la rivoluzione della qualità totale, che ha segnato la seconda metà. Tra questi due fenomeni c’è un rapporto di continuità, il cui sbocco naturale sarà poi la riscoperta della centralità dell’individuo negli anni Novanta. C’è anche, in nuce, il ruolo più completo ed evoluto cui è chiamata la struttura gerarchica, tenuta a motivare e incentivare l’impegno delle persone, anche garantendo l’informazione su policy, obiettivi e andamenti gestionali dell’azienda e a fornire una “personalizzazione” di tali dati in relazione alla specifica realtà operativa. Il capo è, infatti, il referente più adatto per fornire quella che possiamo definire l’“interpretazione autentica” del messaggio: ha l’investitura ufficiale dell’azienda e la conoscenza approfondita della realtà cui si rivolge. E’ inoltre l’unico che, in strutture grandi e decentrate, può raccogliere quel feedback professionale che costituisce l’essenza stessa della moderna visione di comunicazione interna a due vie. E’ chiaro che, a questo punto, emergono due aspetti da tenere ben presenti: da un lato, la necessità di una formazione di base, estesa a tutti i capi con re21 sponsabilità gestionali, su come comunicare in modo efficace; dall’altro, il controllo e la successiva valutazione di come effettivamente è stata svolta questa attività. Gli anni Novanta si aprono con quella crisi che costringe le aziende a un profondo ripensamento delle strutture organizzative e operative. Per riuscire ad avere la flessibilità e la velocità di risposta richieste dai continui mutamenti del mercato, i meccanismi di funzionamento devono diventare più veloci e meno burocratici. Ogni singola persona e ogni livello gerarchico devono apportare un reale valore aggiunto al prodotto finale. Messo in crisi il principio tayloristico di una rigida divisione del lavoro, e superato l’ormai ridondante (e costoso) schema impostarecontrollare-eseguire, in azienda c’è più spazio per chi imposta e per chi migliora: il primo dà gli obiettivi e stabilisce il come e il quando realizzarli, il secondo appronta gli interventi necessari e fornisce un continuo feedback dal campo. Nascono nuove forme organizzative (azienda corta, snella, azienda-rete), che si alimentano di un naturale circolo virtuoso che rompe i confini delle funzioni e chiama le persone a una partecipazione più diretta, responsabile e gratificante. Ecco ritornare il concetto, già visto, di “scambio”, che si arricchisce ora del connotato di “organizzativo”: la comunicazione diventa strumento operativo, l’unico utilizzabile da gruppi di persone che operano in diversi settori aziendali, con conoscenze, professionalità e culture diverse, per mettere in comune, in parallelo e non più in sequenza, know-how e conoscenze specifiche (organizzazione per processi, per piattaforme, per team). Si aprono prospettive nuove, in parte già anticipate nel decennio precedente: le relazioni interne mirano a ribadire l’importanza del fattore umano all’indomani della profonda rivoluzione tecnologica, mentre le metodologie della total quality altro non sono, almeno nella maggioranza dei casi, che l’applicazione costante e rigorosa di metodo, attenzione, cura e buon senso. Tutte cose che necessitano dell’intervento interpretativo e responsabile delle persone. Sotto il profilo della Comunicazione, questo si traduce in maggior coinvolgimento e maggiore attenzione ai destinatari, non più considerati soltanto come dipendenti, ma anche come clienti interni. 22 Il parallelismo tra cliente esterno e interno è un filone di pensiero, una filosofia che mutua dal marketing logiche, e in parte strumenti, per meglio esplicitare quello che era già stato messo in evidenza dalla dottrina dell’organizzazione e del comportamento organizzativo: l’equilibrio costante tra la soddisfazione del cliente che acquista e del dipendente che lavora è un elemento chiave per il successo dell’impresa. Se, infatti, le aziende si sono sempre date come obiettivo la fidelizzazione del cliente esterno, oggi diventa altrettanto importante stabilire un nuovo accordo con il cliente interno, che dall’azienda “acquista” il suo posto di lavoro e il ruolo organizzativo, dando in cambio la sua prestazione professionale. Si arricchisce il rapporto tra azienda e dipendente: a quanto previsto dal contratto di lavoro e dalle norme di legge (“il dipendente va organizzato, disciplinato, controllato”), si aggiunge un altro statement, che prevede che il dipendente debba anche essere “capito, motivato, orientato”. Solo così si realizza, infatti, il passaggio da lavoratore subordinato che “ha l’obbligo di lavorare” a dipendente-cliente che “gradisce lavorare” ed è più disponibile a dare il suo apporto professionale, a collaborare alla realizzazione degli obiettivi aziendali, ad essere ‘fidelizzato’ al sistema in cui è inserito. E fidelizzare non significa certo (né sarebbe comunque fattibile) “trattenerlo” in azienda, ma motivarlo a un più maturo e completo contributo professionale, proficuo per l’impresa e gratificante per lui. Significa cioè creare le condizioni per un continuo e consapevole “rinnovo” della scelta fatta al momento dell’assunzione, dando per scontato che la non-riconferma da parte del dipendente stesso può costituire un grave danno per l’azienda, assai più grave della perdita di un cliente. Attuare una gestione del personale “di qualità”, in ottica di marketing interno, significa allora applicare concretamente tutte quelle metodologie di analisi utilizzate per studiare il mercato esterno dei consumatori: conoscere la domanda, segmentare i clienti, misurare i risultati. Nella loro prima metà, gli anni Novanta hanno dunque segnato la riscoperta della centralità della persona, e hanno dato inizio a una sorta di neo-Rinascimento in cui la scelta manageriale vincente è (e soprattutto sarà in prospettiva) un miglior utilizzo della capacità intellettiva di tutte le persone che operano in azienda e, di conseguenza, una maggior attenzione alla motivazione al lavoro. 23 Tutto questo, con l’assillante pungolo di una competitività su cui si sprecano gli aggettivi (internazionale, globale, spietata, sempre crescente), produce un indubbio arricchimento di idee, proposte e contributi, provenienti anche dal basso, da quelle fasce di popolazione, cioè, tradizionalmente meno coinvolte in attività “creative”. Di qui il concetto di learning organization, l’organizzazione che apprende, che sviluppa professionalità ed è naturalmente spinta al miglioramento, tesa a superare gli standard, in un’ottica di contributi attesi e non più di compiti prefissati. Un’organizzazione che si autoalimenta nello scambio, nella pluridirezionalità (top-down, bottom-up, laterale), nell’obiettivo di acquisire sempre nuove competenze; e qui, davvero, la comunicazione è elemento costitutivo della struttura e, nello stesso tempo, motore propulsore del continuo cambiamento e garanzia della “tenuta” del sistema, in termini di trasmissione di valori, principi, responsabilizzazione e autoregolazione. Da questa nuova visione, legata da un rapporto di causa-effetto alla rivoluzione delle strutture aziendali tradizionali, è derivata la necessità di ripensare la Comunicazione Interna: non più soltanto sapere professionale specifico degli “addetti ai lavori” del settore, ma anche expertise diffuso, skill professionale richiesto a ogni livello manageriale, nonché requisito indispensabile per chi è chiamato a lavorare nei team interfunzionali. b. Dalla ‘reclame’ alla immagine integrata Durante gli anni della grande ricostruzione postbellica la Comunicazione Esterna non occupava certamente una posizione di rilievo nel mix delle attività gestionali delle imprese italiane e gli orizzonti comunicazionali erano sostanzialmente limitati a due aree di intervento: la promozione dei prodotti, per lo più attraverso quotidiani e periodici, e la divulgazione della “carta di identità” dell’impresa, affidata solitamente alle pagine patinate delle brochure aziendali. Solo poche grandi aziende contavano su strutture professionali interne e pochissime sviluppavano una vera strategia di rapporto con i propri diversi pubblici e di costruzione di una “visibilità” funzionale agli obiettivi di business. 24 Il primo importante cambiamento di passo fu sostanzialmente frutto della bufera di valori innescata dalla stagione sessantottesca. I duri confronti sociali di quegli anni non fecero soltanto maturare - come abbiamo visto - una nuova cultura della comunicazione verso i dipendenti, nell’ottica delle relazioni industriali: obbligarono le imprese a riconsiderare globalmente la propria funzione. E posero, sia pure in modi assai diversi nei diversi comparti merceologici, il problema della legittimazione dell’impresa come soggetto sociale oltreché come attore economico. Anche sulla spinta della cultura comunicazionale d’oltre Atlantico, veicolata soprattutto dalle grandi multinazionali, cominciarono a farsi strada i concetti di “bilancio sociale”, cioè di una lettura degli impatti delle Imprese sui diversi segmenti della società: i dipendenti e i clienti anzitutto, ma anche le forze sociali, le organizzazioni di categoria, le comunità locali e l’insieme della macchina economica nazionale cui l’impresa doveva contribuire col proprio valore aggiunto di ricerca, di sviluppo, di creazione di occupazione e di contribuzione fiscale. Nasce in quegli anni l’attenzione alla comunicazione istituzionale, spesso ingenuamente dedicata a magnificare le proprie virtù, ma positivamente ispirata dalla presa di coscienza che la responsabilità dell’Impresa non s’arresta ai cancelli della fabbrica. Al di là delle accese dialettiche che caratterizzarono le relazioni sindacali di larga parte degli anni Settanta, si fa strada la consapevolezza che il profitto è condizione necessaria, ma non sufficiente dell’essere Impresa. Il mondo dei media comincia ad essere considerato non solo come veicolo di promozione commerciale, ma anche come strumento di dialogo tra Impresa e Società. Il Comunicare richiama un’attenzione specifica; non ancora strategica, forse, ma certo importante se si vuole “posizionare” correttamente l’Impresa nel proprio contesto, per richiamare una espressione che i pubblicitari cominciano ad utilizzare a proposito dei prodotti. Ci sono due fattori che in quegli anni influenzano significativamente l’evoluzione della Comunicazione Esterna. Il primo, strutturale, è il peso della mano pubblica nell’economia del Paese. Il mondo politico, centrale e locale, nella doppia dimensione 25 delle istituzioni e dei partiti, è un interlocutore primario ed inevitabile per le Imprese, che si devono attrezzare per lanciare in quella direzione nuovi ponti relazionali e per apprendere lessici e logiche assai diversi da quelle aziendali. Questa esigenza sta alla base di quello sviluppo delle attività di lobby che ha condotto, da un lato, alla positiva diffusione delle Agenzie di Relazioni Pubbliche e, dall’altro, al fiorire di figure di intermediazione purtroppo non sempre o non sufficientemente professionali, innescando una parabola i cui esiti negativi si sarebbero palesati vent’anni più tardi. Il secondo è lo sviluppo dell’informazione economica che, uscendo dalle strette dello specialismo, si conquista nuovi spazi sui quotidiani e determina una fioritura di iniziative editoriali mirate. L’azione combinata di questi fattori porta effetti significativi. Anzitutto, le Agenzie di Relazioni Pubbliche e di Comunicazione, spesso animate da professionisti di ottima cultura comunicazionale nutrita dalle esperienze anglosassoni, portano nelle imprese un bagaglio di conoscenze e di metodologie sicuramente apprezzabile, che amplia gli orizzonti degli operatori interni oltre le pure logiche pubblicitarie. Poi, il contatto che l’informazione economica postula con i giornalisti fa penetrare all’interno delle aziende una nuova sensibilità agli interessi dei lettori e alle esigenze dell’informazione. Il bisogno di “professionalizzare” la Comunicazione di Impresa si afferma in questo periodo. Ma vi è un’altra conseguenza, altrettanto importante. Se l’Impresa comincia ad articolare un ventaglio di comunicazioni che, utilizzando diverse tecniche e diversi mezzi, si rivolgono a pubblici differenti, allora diventa essenziale “coordinare” queste molte voci, orchestrando una strategia ampia e coerente nel tempo. Ecco, dunque, prendere corpo il concetto di pianificazione integrata della Comunicazione, concetto che comprende le comunicazioni rivolte verso l’interno e quelle dirette all’esterno. Pur con tutta la prudenza opportuna nelle generalizzazioni e nelle partizioni cronologiche, possiamo far risalire perciò a quegli anni Settanta il primo tentativo di sistematizzazione della Comunicazione di Impresa come area rilevante del management. 26 Nel decennio successivo questo quadro si arricchisce di altri elementi importanti, tra loro fortemente legati. Anzitutto, sulla spinta della internazionalizzazione dei mercati e della evoluzione verso il mondo dei servizi, il Marketing si afferma come momento cruciale della gestione dell’Impresa. Contemporaneamente l’esplosione della televisione commerciale apre le frontiere della pubblicità di massa, quella appunto televisiva, anche a imprese di dimensioni non primarie: la Comunicazione diventa dunque fattore di primo piano nella logica del Marketing. Secondariamente, la nuova attenzione al tema della qualità globale postula un forte ricorso alla Comunicazione: non solo verso i pubblici interni, come abbiamo ricordato, ma anche verso tutti i partner che l’impresa ha lungo la filiera che va dai fornitori ai clienti finali. In terzo luogo, la crescente importanza dei mercati e delle logiche finanziarie, puntualmente riflessa e a volte anche amplificata dal mondo dei media, impone alle Imprese una nuova attenzione nei confronti dell’“apparire” come condizione di acquisizione prima e di mantenimento poi del favore degli investitori. L’immagine vincente dell’Impresa-insè, prima ancora che dei suoi prodotti/servizi, diventa un “must”, a volte anche coltivato con eccessive vanità personalistiche, da sostenere con crescenti investimenti pubblicitari, con cospicue attività di sponsorizzazione, con accorte strategie di relazione verso i media, con la presenza attiva nelle mille occasioni che la evoluzione sociale va offrendo. Il boom economico degli anni Ottanta, ancora inconsapevole della propria fragilità, alimenta la crescita della Comunicazione come momento forte della gestione dell’Impresa. Negli organigrammi il Responsabile della Comunicazione sale sempre più spesso al rango di primo riporto del top. L’idea che un’Impresa abbia bisogno di una chiara e forte strategia di Comunicazione si radica stabilmente, almeno come affermazione teorica, nella disciplina del management. Le vicende della prima metà degli anni Novanta, crisi economica, crisi politica, crisi di valori sociali e di etica imprenditoriale, hanno costretto ad una rilettura critica del boom comunicazionale degli anni Ottanta. L’apparire - è poi sembrato - si era divorato l’essere; il far sapere aveva soppiantato il fare. 27 Non è ovviamente nella economia di queste pagine addentrarci in tale argomento, né arrischiare giudizi. E’ tuttavia utile sottolineare come quel decennio abbia fortemente contribuito, nel nostro Paese, ad accelerare la maturazione della Comunicazione quale momento specificamente individuato e importante nel mix delle attività di gestione dell’impresa. Ne è testimonianza la vivacità di dibattito che ha attraversato gli ambienti della comunicazione e che ha contribuito ad innalzare significativamente la consapevolezza professionale dei comunicatori d’azienda. Ed è importante ricordare come nella seconda metà degli anni Ottanta si affermi la necessità di un impegno formativo nel campo della Comunicazione di Impresa, si avvii una ricca produzione pubblicistica e si attivi quella riflessione che ha poi trovato esito nella istituzione, da parte di numerose Università e Scuole, di facoltà, di corsi di laurea o di master in Scienze dell’Informazione, con specifica attenzione alla componente della Comunicazione di Impresa. Tuttavia in quegli anni la centralità della Comunicazione si afferma e si invera quasi esclusivamente nelle Imprese di grande e media dimensione, proiettate su mercati extranazionali. Limitazioni budgettarie da un lato e resistenze culturali dall’altro sembrano ancora bloccare la piccola-media impresa sulla soglia di un uso professionale e strategico della Comunicazione, sia sul versante esterno che su quello interno. Con gli anni Novanta questa situazione cambia. Le spinte vengono da diversi agenti. La globalizzazione dei mercati proietta anche le piccole e medie imprese su palcoscenici internazionali, che bisogna conoscere e dove bisogna farsi conoscere. La crescente complessità delle tecniche di marketing, figlia della progressiva customizzazione di prodotti/servizi e delle nuove consapevolezze del consumatore, impone strumenti relazionali più raffinati e dialogici con la clientela. L’affermazione dei sistemi d’Impresa a rete postula un fitto e continuo scambio di informazioni lungo tutta la catena della creazione del valore, indipendentemente dalle collocazioni geografiche e relega in soffitta - come abbiamo già notato - le vecchie e scolastiche distinzioni fra interlocutori interni ed esterni. 28 La trasformazione morfologica della concorrenza (coo-petition invece che competition, come sintetizza la formula anglosassone) richiede una disponibilità di informazioni, una rapidità di condivisione e una velocità di reazione che solo evoluti sistemi comunicazionali possono garantire. Le Imprese, questa volta tutte, devono fare i conti con la propria capacità di Comunicare a 360 gradi, efficacemente ed economicamente. c. L’Impresa e l’Information Communication Technology Forza a un tempo catalizzatrice e abilitante di questo cambiamento è quella grande rivoluzione che si usa sintetizzare con il nome di ICT e che trova il suo riferimento simbolico-paradigmatico nel mondo di Internet e dei suoi derivati. A Internet è dedicata attenzione in altra parte del Rapporto. Qui importa sottolineare che Internet è, certamente, un nuovo medium, ma è soprattutto un nuovo “spazio comunicazionale” che propone logiche nuove. Volendo ricorrere a paragoni banalizzanti potremmo dire che Internet sta agli altri media non come l’automobile sta alla carrozza a cavalli o alla bicicletta, bensì come l’aeroplano ai trasporti terrestri. Modifica completamente i parametri economici, sociali e logici della Comunicazione. Si è già molto dibattuto della “democraticità” di Internet. A questa espressione si possono dare molte interpretazioni e molti valori. E’ certo, comunque, che la Grande Rete proietta sul palcoscenico mondiale della comunicazione anche quelle Imprese che per le ridotte dimensioni ne erano - o si ritenevano - fino ad ieri escluse. Ed è altrettanto certo che essa pone un nuovo tassello al concetto di Comunicazione Integrata. Non soltanto perché il “portante” Rete tende ad unificare i diversi pubblici prima raggiunti da media diversi e perché l’intero sistema della comunicazione si unifica in un “qui ed ora” che fonde gli universi spazio-temporali, ma anche perché la progressiva “numerizzazione” delle informazioni e il loro fluire fra tutti i nodi di una rete globale tende a cancellare le differenze fra produttori e consumatori di comunicazione, fra soggetti attivi e passivi. Si realizza, nel mondo Internet, una dimensione comunicazionale che avvolge i diversi Sistemi-Impresa come un Meta-Sistema (si torne29 rà più avanti su questo concetto) in cui tutto entra in risonanza con tutto. Gestire la Comunicazione di Impresa diventa, in questa nuova realtà, attività di altissimo significato strategico e di elevata complessità e postula forti preparazioni professionali. Dunque, opportunità straordinarie e altrettanto straordinaria sfida che il nostro “secolo breve”, sembra consegnare al nuovo millennio. Nell’ottica di questo Rapporto si pone, però, una questione: l’apparato teoretico che attorno alla Comunicazione di Impresa si è venuto sin qui sviluppando; la consapevolezza manageriale e la preparazione professionale che ne guidano l’applicazione concreta; in sintesi, la cultura della Comunicazione come strumento di gestione dell’Impresa nella nostra società, cultura che abbiamo visto crescere e modificarsi nell’arco di quasi cinquant’anni, è pronta ad affrontare il banco di prova della Società globale della Comunicazione? Oggi la cultura di Impresa pare incerta se affidare la piena responsabilità di gestire strategicamente il tessuto ed i comportamenti relazionali dell’Impresa agli operatori della Comunicazione - professionisti interni o consulenti esterni - o se riservare questo spazio al top management, affidando al Comunicatore-professionista la mera gestione degli strumenti. O, ancora, se puntare su una riqualificazione dei top manager in direzione comunicazionale, così come sul finire degli anni Settanta accadde per le competenze di natura finanziaria che divennero parte integrante del bagaglio formativo ed esperienziale degli aspiranti numeri uno. 30 QUALE COMUNICAZIONE, IN QUALE IMPRESA “Ancora nel 1941 - notava Volli nell’introduzione al Libro della comunicazione, del 1994 - il dizionario italiano Zingarelli definiva ‘comunicare’ solamente nei termini di ‘fare partecipe, rendere comune ad altri, dividere insieme’... Solo nel dopoguerra si impose l’idea della comunicazione nel senso ampio e immateriale in cui oggi la intendiamo, e inizialmente essa fu intesa soprattutto come passaggio dell’informazione, secondo un modello ingegneristico...”. La realtà ci appare oggi ben più complessa: lo stesso Volli ricorda sei diversi modi di intendere la comunicazione, sei differenti modi, dunque, di leggerne il senso e le logiche, spaziando dal concetto di informazione a quello di scambio. Dunque, quando si parla di Comunicazione di Impresa, a che cosa ci si riferisce? La questione è rilevante, con riferimento non soltanto alle caratteristiche intrinseche e alle basi teoretiche del ‘comunicare’ in logica di Impresa, ma anche al terreno di applicazione della comunicazione stessa, al ruolo che l’Impresa le ha attribuito negli anni e le attribuisce ora. L’inflazionato avvertimento: “Qui c’è un problema di comunicazione”, cilicio di tutti gli operatori del settore, ha, probabilmente, pieno diritto di cittadinanza in qualsivoglia momento della vita: ma quando si materializza nel quotidiano di un’Impresa, esso può diventare sia una luce che accende nuove prospettive manageriali, sia una cellula divoratrice del tessuto gestionale. Dipende dal senso che le si riconosce, dal 31 valore e dai limiti che si assegnano alla Comunicazione. Uno dei rischi insiti nell’enfasi che l’attuale pubblicistica dedica alla Comunicazione in generale, e alla Comunicazione di Impresa in particolare, è quello di dilatarne il senso e la portata sino a farle perdere ogni definibile significato ed ogni funzione utilmente operabile. Il problema è maiuscolo e non a caso attira l’impegno di studiosi e di operatori di diversa matrice. In estrema sintesi possiamo ricordare che l’elaborazione teoretica sulla Comunicazione si sta sviluppando lungo le diverse traiettorie che scaturiscono dalla sua stessa interdisciplinarità: troviamo allora la Comunicazione “vista dal semiologo”, “vista dal fisico o dal chimico”, “vista dall’informatico o dall’ingegnere di telecomunicazioni”, “vista dal teorico dei sistemi complessi”, “vista dal sociologo”, “vista dallo psicologo” e così via. In linea di massima, ciascuno di questi operatori segmenta il magma “Comunicazione” secondo un proprio angolo di visuale, con una operazione di tomografia, interpretandolo secondo il bagaglio della propria disciplina. E’ ovvio, ad esempio, che la Comunicazione di cui parla l’ingegnere è un insieme di definizioni, di leggi e di eventi altamente formalizzati, matematicamente definibili. Ma, che cosa è la Comunicazione “vista dall’impresa”? Se un ingegnere considera la Comunicazione solo in quanto essa può essere espressa in termini di trasmissione, di flussi, di portanti, di ridondanza e così via; se il semiologo la considera come insieme di segni, di simboli, di significati, di interpretazioni, quali sono le categorie descrittive ed interpretative, le funzioni che le attribuisce l’operatore di Impresa? In altri termini, quali ruoli l’operatore di Impresa attribuisce alla Comunicazione? Quali obiettivi le assegna, nel mix della attività di gestione aziendale? E ancora, quali fini si prefigge di raggiungere, attivandola? Esiste una interpretazione della Comunicazione specificamente pertinente al sistema Impresa? E quali ne sono i fondamenti? La questione non è rilevante solo sotto un profilo teorico: essa rimanda, infatti, alla difficoltà - concreta ed operativa - di individuare un “proprium” della Comunicazione di Impresa, di assegnarle uno spazio preciso di intervento, di definirne obiettivi e limiti, di inquadrarla in co32 stanti semantiche. La Comunicazione di Impresa, in altre parole, fatica a costituirsi in “disciplina”, schiacciata come è fra l’onnicomprensiva pervasività del concetto di comunicazione e le mille diverse concretezze quotidiane, per lo più inesorabilmente tattiche, della vita dell’Impresa. Non a caso la letteratura sulla Comunicazione di Impresa registra una polarizzazione piuttosto netta. Da un lato ci sono le analisi che vogliono essere fondative della disciplina: lavorano necessariamente su categorie ad amplissimo spettro, applicabili a fattispecie molto diverse e che possono individuare “leggi” comuni a molti spazi empirici. Ma spesso il momento della “applicazione” di tali leggi alla esperienza concreta (e dunque della loro verifica) scivola di fatto in secondo piano o viene solo abbozzato. Per contro, gli operatori, quelli che “fanno” quotidianamente Comunicazione di Impresa e concretamente “producono” eventi comunicazionali inseriti in una logica di impresa, muovono da esperienze concrete, dal “qui e ora”, saltando o comprimendo la fase teoretica. Danno per scontato che il margine di scollamento interpretativo sui fondamenti e sulle definizioni non sia mai tale da compromettere la corretta comprensione delle esperienze che essi desiderano trasmettere: in realtà accade frequentemente che proprio la indeterminatezza semantica e la povertà di processo astrattivo impoveriscano i loro apporti, riducendoli al livello di semplici “istruzioni d’uso” che occultano la profondità e l’articolazione sistemica dei problemi che vorrebbero affrontare. Insomma, questi due approcci metodologici faticano a trovare punti di sintesi. Tra prassi e teoria manca un ponte solido e percorribile. Sicché, come Gianfranco Bettettini ricordava opportunamente già nel 1993, la letteratura relativa alla Comunicazione di Impresa è “sempre a mezza strada fra l’induzione di normative generali da un’analisi di casi concreti e il tentativo di elaborare modelli destinati a una verifica empirica”. Questo stato di cose è alla radice di problemi non indifferenti che afferiscono alla professionalità degli operatori e alla loro formazione, al “reale” ruolo della Comunicazione nelle Imprese “reali”, alla cultura manageriale, alle scienze gestionali: problemi, in sintesi, che vanno a 33 toccare alcuni gangli vitali della nostra organizzazione economico sociale. Sull’altro asse cartesiano, quello delle Imprese, le cose non sono più semplici: tra una megastruttura multinazionale, articolata in centinaia di aziende diffuse in tutto il globo e connesse da una fittissima rete relazionale (in IBM si scambiano quattro milioni di messaggi E-Mail al giorno) e una piccola cooperativa locale le differenze sono abissali. Si potrebbe legittimamente dubitare che sia utile e significativo designare realtà tanto diverse ricorrendo ad una unica categoria. Probabilmente la Comunicazione di Impresa, per Fiat, IBM o Unilver è morfologicamente e funzionalmente altra cosa che per la premiata ditta Brambilla e Figli. E ancor più, proprio se ragioniamo in termini di Comunicazione, i consumi di Comunicazione differiscono tra un’impresa basata sull’innovazione e sulla cross fertilization delle competenze e una fondata sulla reiterazione di processi fortemente consolidati. Dunque, se è vero che, in teoria, l’apparato mediatico è lo stesso per l’Impresa grande, media o piccola, nella realtà dei fatti ragioni di costo, di livelli culturali, di strutture professionali e naturalmente di mercato fan sì che la Comunicazione di una piccola-media impresa sia, nella concretezza del vissuto, altra cosa da quella di un’Impresa mediogrande. Le differenze quantitative finiscono per costituire differenze qualitative. In sintesi i problemi e le soluzioni comunicazionali sono profondamente diversi. Sicché, quando si parla di Comunicazione di Impresa è naturale, ma forse anche necessario, chiedersi non solo di quale Comunicazione si stia parlando, ma anche di quale Impresa. In effetti, molti lavori sulla Comunicazione di Impresa ritengono oggi più produttivo dedicare ampi spazi alla disamina di casi concretamente riferiti a questa o quella realtà, piuttosto che inseguire teorizzazioni con pretese validità universali. Resta, tuttavia, la convinzione (o l’illusione? o il pregiudizio?) che il comune denominatore “fare Comunicazione” abbia una sua sostanziale concretezza, riscontrabile in comuni fondamenti teoretici, tecnici e strumentali. 34 DIVERSE INTERPRETAZIONI DELLA COMUNICAZIONE DI IMPRESA Supponiamo di affermare che la Comunicazione, in una determinata Impresa, è buona. Quale può essere il senso di tale giudizio? Si potrebbe intendere che il responsabile del reparto Comunicazioni e il suo staff sono esperti professionisti del settore, hanno formazione teorica ed esperienza specifica e producono lavori di qualità. O che l’Impresa attiva flussi comunicazionali molto ricchi. Oppure che il Capo Azienda è sensibile alla rilevanza che la Comunicazione riveste per l’Impresa, indipendentemente da chi e come “produce” la Comunicazione. O, ancora, che i manager prestano attenzione e impegno ad essere buoni comunicatori, verso i propri collaboratori; o verso i clienti; o verso le terze parti. O che l’Impresa sa ascoltare gli stimoli e i segnali che pervengono dall’interno; o dal mondo esterno. Ma si potrebbe parimenti intendere che nel corpo dell’Impresa le Comunicazioni fluiscono a dovere, facilitando il lavoro quotidiano. O alcune di queste cose assieme; o tutte queste cose assieme. In parte questa ambiguità è riconducibile alla semplice polivalenza semantica del termine Comunicazione, che può indicare sia il prodotto di una specifica struttura organizzativa, sia un insieme di accadimenti comunicazionali che hanno luogo nell’Impresa e attorno ad essa, sia i flussi o addirittura la rete che li veicola, sia l’amalgama di queste cose. E spesso la pubblicistica, e non solo quella frettolosamente divulgativa, tratta della Comunicazione di Impresa senza troppo soffermarsi a definire gli ambiti di riferimento. 35 Ma vi è anche un motivo più profondo e significativo che vale la pena di considerare. Secondo una lettura oggi largamente diffusa, l’Impresa è un sistema complesso che si articola in sottosistemi (la produzione, la finanza, il marketing...) e si interfaccia con sistemi esterni (il mercato, gli operatori economici, il territorio, la Pubblica Amministrazione, il corpus normativo, eccetera). Tanto più il Sistema-Impresa sviluppa una morfologia atta ad “aderire” ai sistemi esterni e ad attivare funzioni di reciproco feed back, tanto più validamente esso può operare. In questa, volutamente semplificata, visione strutturalista che cosa è e dove si colloca la Comunicazione di Impresa? Per un verso, considerata come specifica unità organizzativa preposta a produrre determinati output, essa è uno dei sottosistemi dell’Impresa, a sua volta sempre più spesso articolato in sotto-sottosistemi che interfacciano l’insieme dei sottosistemi interni - si parla allora di Comunicazione Interna - o l’insieme dei sottosistemi esterni - appunto, Comunicazione Esterna -. (Che questo sotto-sistema risieda all’interno all’Impresa, oppure sia parzialmente o completamente esternalizzato fatto per sé di estremo interesse - non è rilevante in questo contesto). Interpretata, invece, come l’insieme dei canali e dei flussi comunicazionali che percorrono l’intero Sistema-Impresa essa appare come un “Servo-Sistema” (una specie di placenta connettiva dell’intero SistemaImpresa) che in qualche modo congloba e raccorda tutti i sotto-sistemi aziendali. Se poi, in coerenza con i caratteri di globalità, di pervasività e di interferenza riconosciuti oggi alla Comunicazione (veicolata dalle reti multimediali in un continuo presente spazio-temporale) la si legge come un sistema relazionale, comprensivo di eventi e processi comunicativi interni ed esterni all’Impresa, attivi e passivi, formalizzati e non, essa si pone di fatto, rispetto ai sistemi fin qui considerati, come un “Meta-Sistema” (addirittura in buona parte sottratto ai singoli tentativi di orientarne flussi e contenuti) che tende a ramificarsi, con intensità decrescente, ben oltre i confini ultimi dell’Impresa stessa. Si profila, allora, un possibile chiarimento della ambiguità semantica fin qui denunciata nell’espressione “Comunicazione di Impresa”. 36 Vi si celerebbero infatti, contemporaneamente, i tre diversi significati sopra ricordati. Una riflessione compiuta su obiettivi, metodologie, strumenti, responsabilità di ciascuna di queste “aree” esula dagli obiettivi di questa introduzione. Vale, però, la pena di accennare sinteticamente a qualche considerazione attorno alle conseguenze connesse a queste tre interpretazioni che, di fatto, si sovrappongono in ogni riflessione sulla Comunicazione di Impresa, tanto a livello teorico quanto negli indirizzi operativi. a. Comunicazione di Impresa come sotto-sistema organizzativo E’ l’interpretazione tradizionale della Comunicazione di Impresa, la più “vecchia” e riduttiva. Adottare questo punto di vista significa di fatto assegnarle compiti di attuazione delle direttive strategiche che vengono elaborate dal vertice aziendale (Capo Azienda o sinedrio manageriale). Il Responsabile della Comunicazione di Impresa risulta essere uno specialista operativo, che sa come porre in essere una serie di atti comunicazionali in funzione di input che gli provengono da altri attori dell’Impresa, aggiungendovi - al più - il valore delle verifiche di congruità e di integrazione; questa interpretazione configura la convinzione che il Comunicatore sia colui che ha responsabilità di “recapitare” correttamente ai destinatari un oggetto, “la Comunicazione”, i cui contenuti sono stati definiti da altri operatori. La Comunicazione è intesa come “cinghia di trasmissione”. E’ ben vero che, sotto la spinta dell’esplosione del momento comunicazionale nelle società economicamente avanzate, ormai da diversi anni, in molte realtà di Impresa il Comunicatore stesso appartiene al vertice manageriale ed è dunque coinvolto nei processi strategici. Ciò ha migliorato la situazione di fatto, creando però strane e pericolose ambiguità. Per un verso, infatti, la Comunicazione resta confinata nella dimensione di sotto-sistema, con tutti i limiti operativi connessi (poteri, responsabilità, deleghe, risorse). Per un altro il Responsabile è chiamato a svolgere un ruolo mazzariniano, di consigliere del principe, invadendo territori aziendali pertinenti ad altri sotto-sistemi, in nome di una non ben definita né formalizzata trasversalità della Comunicazione. In questo equivoco ruolo 37 il Comunicatore si trova a giocare come battitore libero, in certi casi addirittura alter-ego del Capo Azienda. Ma poiché questa funzione postula una forte e ampia esperienza manageriale, una conoscenza delle diverse logiche di Impresa, e anche un riconosciuto carisma personale, accade che il ruolo di Responsabile della Comunicazione sia assegnato non tanto a professionisti della Comunicazione quanto a manager di lungo corso aziendale. Ne nasce una pericolosa dicotomia fra i vasti compiti assegnatigli, spesso informalmente, ad personam, e i limitati spazi strutturalmente pertinenti al sotto-sistema organizzativo “Comunicazione”. In questo primo caso, insomma, la Comunicazione di Impresa pare condannata ad oscillare fra due estremi parimenti sospetti: ridursi alla somma delle sue espressioni tecnico-strumentali, oppure dilatarsi sino a confondersi, nei fatti, con l’esplicazione dell’attività direzionale al suo massimo livello. b. Comunicazione di Impresa come Servo-Sistema del Sistema-Impresa Questa lettura muove dalla considerazione che l’Impresa è, prima di tutto e nella sua totalità, un sistema di relazioni, e che intelligenze manageriali, valori professionali e risorse economiche a nulla valgono se il Sistema-Impresa non attiva al proprio interno forti, continui e coerenti flussi comunicazionali. E’ evidente che questa interpretazione allarga il senso della Comunicazione ben oltre i tradizionali confini legati al ruolo del sotto-sistema. Essa appare in questa logica come il sistema nervoso che permette all’Impresa di funzionare e di vivere. L’aspetto infra-strutturale della Comunicazione, il suo essere rete che trasporta segnali diventa almeno tanto importante quanto quello contenutistico. Negli ultimi anni la riflessione teorica si è arricchita di analisi importanti condotte in direzione della Comunicazione Organizzativa: si è opportunamente ancorata la Comunicazione di Impresa alle logiche dell’impianto organizzativo. In questa visione, la Comunicazione viene di fatto concepita come un sistema circolatorio che vivifica l’impianto organizzativo trasportando ossigeno in tutto il corpo aziendale. L’organizzazione, disegnata e continuamente ri-disegnata per consentire il più efficace e corretto dispiegarsi dei processi, diventa il modello strutturale, l’hardware, di cui la Comunicazione è il software. 38 Alla base di questa impostazione si trovano due assunti: anzitutto che il sistema organizzativo sia nei fatti lo strumento principe di cui l’azienda dispone per orientarsi al raggiungimento dei fini prescelti; secondariamente che, in un contesto organizzativamente corretto, il fluire di una ricca Comunicazione sia, comunque, un fatto positivo per il sistema Impresa. Il grande merito del Dibattito sulla Comunicazione organizzativa, per rifarci al titolo di un lavoro curato nel 1994 da Gabrielli e Invernizzi, è stato quello di sottrarre la riflessione sulla Comunicazione di Impresa all’influenza dominante delle elaborazioni di derivazione mass-mediologica da un lato e degli specialismi pubblicitari dall’altro. In questo senso la scuola della Comunicazione Organizzativa ha voluto “ri-fondare” la Comunicazione di Impresa partendo dalle logiche “interne”, originali dell’Impresa stessa. Essa tende a privilegiare gli aspetti strutturali e processivi della Comunicazione, in un’ottica fortemente influenzata da esperienze di gestione delle risorse umane, nel contesto della trasformazione dell’organizzazione aziendale verso modelli “a rete” e “piatti”. In questa prospettiva l’attenzione si focalizza sulla Comunicazione Interna. Si deve, infatti, in larga misura alle riflessioni attivate in questo ambito il superamento del tradizionale concetto di Comunicazione Interna come semplice - e quasi sempre unidirezionale - diffusione di materiali recanti “la voce del padrone”, solitamente materializzata nelle più o meno patinate pagine della Rivista Aziendale o House Organ. All’apporto teoretico della Comunicazione Organizzativa va anche fatto risalire il forte impulso verso un concetto integrato della Comunicazione, verso la valorizzazione del rapporto diretto Capo-Collaboratore e del doppio vettore “Comunicazione verticale-Comunicazione orizzontale”, valorizzato dall’attenzione all’ascolto. Questa interpretazione della Comunicazione come servo-sistema del Sistema-Impresa non offre modelli interpretativi altrettanto specifici per quanto concerne la Comunicazione Esterna. Ne deriva una tendenza a spaccare la Comunicazione di Impresa in due filoni fortemente autonomi: da un lato la Comunicazione Interna, frequentemente inserita nella Direzione del Personale, accanto ai sotto-sottosistemi Organizza39 zione e Formazione; dall’altro la Comunicazione Esterna. Poiché le logiche, gli obiettivi e i tempi dell’una e dell’altra possono divaricare sensibilmente, il vertice aziendale è di fatto continuamente chiamato a mediare fra le due prospettive: con un forte elemento di positività perché la Comunicazione è costantemente discussa al più alto livello strategico e perché la dialettica che si instaura conduce a continue verifiche; ma con costi di rapidità, con creazione di conflittualità interna e con problemi di coerenza e integrazione. In questo modello interpretativo la Comunicazione Esterna è spesso fortemente subordinata alle logiche del marketing. c. Comunicazione di Impresa come Meta-Sistema Quest’ultima interpretazione, apparentemente molto “forzante” nella sua dimensione estensiva ed onnicomprensiva, muove dalla considerazione che, non solo l’Impresa è incessantemente percorsa da flussi informativi polidirezionali, formali ed informali; non solo i flussi informali sono spesso altrettanto o addirittura più importanti di quelli consapevolmente attuati e finalizzati; ma anche che l’isolare la Comunicazione di Impresa dal contesto comunicazionale (relazionale) in cui essa è immersa è operazione artificiosamente riduttiva, che impedisce di cogliere la realtà dell’Impresa come agente sociale a tutto tondo. Si apre allora la strada ad una prospettiva decisamente interessante. Se tutto nell’Impresa conduce in ultima analisi ad una fattispecie comunicazionale, tale condizionante pervasività deve essere accettata come dato di fatto. Ne consegue, semplicemente, che la capacità di comunicare (intesa qui come abilità professionale) deve essere ugualmente patrimonio di tutti coloro che in Impresa operano, proprio come il saper parlare, leggere, scrivere, condurre una riunione. Ed è molto importante notare che, proprio nei fatti, le Imprese stanno investendo sempre più per promuovere all’interno una diffusa e capillare sensibilità alla Comunicazione, fornendo a quadri, dirigenti e operatori strumenti interpretativi e conoscenze base di Comunicazione. A solo titolo di esempio, meritano di essere citati lo sforzo operato in tal senso recentemente da INPS che ha attuato un impegnativo programma di “alfabetizzazione comunicazionale” a larghissima diffusio40 ne; e, sul versante delle piccole e piccolissime realtà imprenditoriali, l’impulso che la Società per l’Imprenditoria Giovanile sta dando proprio alla sensibilizzazione dei giovani imprenditori alla Comunicazione come strumento di affermazione dell’Impresa. Questi segnali starebbero a rivelare che l’Impresa sta accogliendo l’idea che la Comunicazione è, certamente, una funzione specialistica; ma è anche una consapevolezza diffusa, una forma mentis, un know how che deve permeare il vissuto aziendale in ogni sua espressione. In questa prospettiva il Capo Azienda, momento di sintesi del Sistema-Impresa, diventa il necessario punto di riferimento, non solo nel consueto senso della responsabilità ultima e globale, ma proprio perché, attraverso la leva organizzativa e formativa da un lato e l’“agenda setting” dall’altro, è nella posizione di pilotare, amalgamare e monitorare l’interfacciamento dei molti sotto-sistemi interni (Comunicazione, Personale, Produzione, Marketing, Finanza, ecc.) con i corrispondenti sistemi esterni (mercato, mondo finanziario ecc.). Attraverso la gestione delle sue molte interfacce relazionali l’Impresa agisce nel Meta-Sistema Comunicazionale di cui essa stessa è parte, vi assume cittadinanza, esplica il suo essere nel sociale (qui assunto nel senso più ampio del termine). Tuttavia, la complessità del Meta-Sistema rende velleitario l’obiettivo di controllarlo o determinarlo: il Meta-Sistema può essere “capito”, opportunisticamente “sfruttato”, ma non “controllato” o “condizionato” dalla singola Impresa. Il Responsabile della Comunicazione assume in questo caso una molteplice funzione: anzitutto la gestione integrata e coerente di tutte le comunicazioni formalizzate (cioè non casuali e informali, bensì dirette ad un obiettivo dichiarato e consapevole) che l’Impresa mette in essere al proprio interno e verso l’esterno, (ruoli, questi, attinenti alla conduzione del sotto-sistema Comunicazione) organizzando adeguatamente i propri sotto-sottosistemi. In secondo luogo fornire assistenza professionale (consulenza interna) alla gestione del Servo-Sistema. In terzo luogo monitorare e “interpretare” le evoluzioni del MetaSistema comunicazionale nell’ottica dell’Impresa. 41 Ma gli pertiene una nuova e forse maggiore responsabilità: quella di validare gli “atti”, i “gesti”, le “manifestazioni” dell’Impresa secondo i parametri comunicazionali: in quanto, cioè, quegli atti, quei gesti, quelle manifestazioni siano percepiti da qualcuno come messaggi. Se il Comunicatore dispone, infatti, del bagaglio professionale necessario per immaginare come diversi pubblici potranno decodificare le diverse espressioni dell’Impresa, se ogni atto dell’Impresa può e deve essere letto (oltre che per la sua specificità) come un “momento di Comunicazione”, a lui compete di svelarne o di illuminarne le valenze comunicazionali che travalicano la logica operativa. L’apertura di una fabbrica, un aumento di prezzi, il lancio di un nuovo prodotto appaiono in questa luce portatori di un doppio significato: per un verso sono risposte alle specifiche esigenze della Produzione o del Marketing (competenza dei sotto-sistemi a ciò preposti), per l’altro sono messaggi (certamente non solo verbali o iconici) che l’Impresa lancia nel Meta-Sistema. In questa luce il concetto di “Comunicazione Integrata”, del quale la pubblicistica abusa spesso, giocandolo come una specie di jolly salvatutto per cortocircuitare la complessità del problema, diventa più concreto, ma anche di difficilissima attuazione: l’integrazione non è tanto coerenza nell’attivare un complesso programma di Comunicazione, quanto lettura dell’intero manifestarsi dell’Impresa come somma (più esattamente, moltiplicazione) di “segni”, portatori di valenze comunicazionali. Su questa strada il cammino pare ancora lungo e difficile. Essa conduce, di fatto, ad una inevitabile ipertrofia della Comunicazione: ogni strategia, ogni decisione dovrebbe, infatti, essere in ultima analisi vagliata in funzione dei vantaggi, dei rischi, delle probabilità di successo, “dal punto di vista della Comunicazione”. Questa visione espande il ruolo del Comunicatore verso funzioni che travalicano ampiamente la gestione del sotto-sistema Comunicazione o la manutenzione del servosistema, e gli attribuisce una responsabilità tanto ampia da diventare difficilmente sostenibile. Con tutti i problemi che ciò comporta, ad esempio, in termini di ridistribuzione dei poteri aziendali. E tuttavia, se è vero quanto è ormai ovvio affermare, che la nostra è la società dell’informazione e della Comunicazione, tale empowerment non dovrebbe stupire. 42 Non sono però molte le Imprese veramente avviate in questa direzione. Ma si sta lentamente sviluppando una tendenza che può aprire a una prospettiva di straordinario interesse: se ampliare compiti e responsabilità del Comunicatore fino a farlo essere una sorta di arbitro finale presenta problemi non indifferenti, la soluzione può essere che il Capo Azienda assuma coscientemente su di sé tali responsabilità. Ovviamente questo implica che il Capo Azienda sia un Comunicatore. Non nel senso del “Comunicatore naturale”, del buon parlatore, bensì del conoscitore vero, profondo, delle logiche della Comunicazione, dei suoi meccanismi, delle regole e degli strumenti. Proprio come avviene oggi per le logiche finanziarie che nessun Capo Azienda si sognerebbe di non conoscere e di trascurare, considerandole dominio specifico del sotto-sistema “Finanza e Controllo”. La Comunicazione “dal punto di vista dell’Impresa” (per abbozzare una risposta alla domanda avanzata precedentemente) diverrebbe, in questa terza prospettiva, la valutazione degli impatti dei comportamenti dell’Impresa, in funzione del fatto che viviamo in un ‘universo comunicazionale’. O meglio, leggendola al positivo, la valutazione di come trasformare in opportunità per l’Impresa il fatto di agire in un universo comunicazionale. La Comunicazione d’Impresa diventa così un “continuum” trasversale, che coinvolge e responsabilizza ogni singolo attore della vita aziendale, dove il Comunicatore è il punto di riferimento comune (operatore e consulente interno) e dove al Vertice spetta il compito di assicurare la “sintesi strategica” più alta. Secondo un modello che per certi aspetti è già stato attuato dalle aziende per quanto riguarda la “Qualità”. Una interpretazione siffatta non è certamente consolidata. Alcune aziende, come abbiamo detto, stanno tuttavia attuando programmi che vanno in questa direzione. Le tre letture della Comunicazione d’Impresa che abbiamo sintetizzato sono compresenti nell’esperienza attuale: le prime due in modo più consapevole e stabilizzato, la terza più come aspirazione, come idea-guida che come reale prassi gestionale. Ovviamente, ogni Impresa tende ad attuare l’una o l’altra in funzione della sua situazione concreta, del mondo in cui opera, dei problemi che si trova ad affrontare e del proprio profilo culturale. 43 UN SALTO DI CULTURA Ne L’Impresa simbolica, 1997, Di Raco avanza “il sospetto che, in fondo, la vera ed ultima attività di un’Impresa sia quella di mettere insieme un certo numero di persone perché interagiscano e parlino fra di loro”. Questa ipotesi, probabilmente assai meno divertitamente provocatoria di quanto si possa pensare, rovescia gli usuali termini della questione: la Comunicazione non sarebbe più uno strumento che l’Impresa utilizza per il raggiungimento dei propri fini, bensì il fine ultimo che legittima la sua esistenza. E partendo da qui Di Raco svolge una lettura simbolico-mitica della vita e delle liturgie comunicazionali dell’azienda. La prospettiva di Di Raco è interessante perché, condotta alle estreme conseguenze, riassumerebbe in una logica circolare ed autoreferenziale il rapporto fra Impresa e Comunicazione: l’Impresa sarebbe un sistema inconsciamente finalizzato a perpetuare uno stato di Comunicazione; la Comunicazione sarebbe a sua volta lo strumento che aiuta l’Impresa ad operare con successo, dunque assicurando il perdurare dello stato comunicativo. Il fine della Comunicazione di Impresa sarebbe quello di auto-perpetuarsi. Non è questa la sede per addentrarci in questa pur molto interessante disamina. Importa qui sottolineare come uno studioso di Comunicazione che ha maturato profonda esperienza sul campo senta il bisogno di affrontare esplicitamente il tema dell’obiettivo finale della Impresa e, implicitamente, quello degli obiettivi della Comunicazione. 44 Nelle esperienze concrete, gli obiettivi di Comunicazione vengono ancora quasi sempre espressi in termini di “supporto” o di “coronamento” ad altri momenti della vita dell’Impresa. Nel suo versante pubblicitario/promozionale la Comunicazione è vista come completamento del marketing; nel suo esplicarsi all’interno della Impresa è molto spesso soggetta alle logiche della gestione delle risorse umane; nel suo indirizzarsi alle istituzioni o alla comunità la si accorda alle strategie del vertice, cui essa presta la propria “voce”. In questo senso l’attuale cultura della Comunicazione richiede un forte salto di qualità. Un’Impresa non chiede ai suoi venditori di “vendere il più possibile”: assegna quote, attraverso un processo di contrattazione dell’obiettivo. Non chiede ad una fabbrica (da quando la cultura della qualità ha fatto un vero passo avanti) di “migliorare un po’ la qualità”: fissa percentuali di scarto o di gradimento da parte dei clienti. Non chiede alla gestione delle risorse umane “qualche economia sulla spesa salariale”: pone obiettivi percentuali di contenimento. Alla Comunicazione di Impresa, al contrario, ancora troppo spesso si chiede di “migliorare l’immagine”, “favorire la conoscenza”, “diffondere la cultura”, “accrescere la notorietà del marchio” o “la conoscenza del prodotto”. Dove la debolezza, si badi, non sta tanto nella carenza di parametri quantitativi, ma nella ancillarità degli obiettivi che le vengono assegnati. La pubblicità, proprio perché implica investimenti cospicui, rappresenta la punta avanzata del processo di maturazione metodologica: si pongono obiettivi quantitativamente misurabili, si perimetrano le attese del target, si misurano la decodifica dei messaggi, la dinamica del ricordo, le variazioni di notorietà. E’ tuttavia raro che un responsabile della Comunicazione assuma, nei confronti di un responsabile marketing (o vendite) un atteggiamento di autonomia strategica e di verifica di fattibilità. Nei fatti, si preferisce non definire un “vero obiettivo proprio della Comunicazione” bensì farlo dipendere da (e confonderlo con) quelli di marketing. In questo modo l’Impresa perde l’occasione per sviluppare nei propri processi decisionali una forte e positiva dialettica, nella quale il Comunicatore spinga fino in fondo la forza della propria prospettiva. 45 Questo problema nasce dalla difficoltà di definire un obiettivo in termini tali che esso sia di “specifica pertinenza” della Comunicazione. E cioè è vero tanto per gli obiettivi attinente al “fare-Comunicazione” (con riferimento prevalente al sotto-sistema), quanto al far-fare Comunicazione (con riferimento al servo-sistema) o, ancora di più, alla dimensione integrata del meta-sistema. La letteratura sulla Comunicazione di Impresa ha ampiamente analizzato e chiarito il rapporto fra Comunicazioni formali e Comunicazioni informali: le prime figlie di consapevole e definita programmazione, attuate con strumenti espliciti; le seconde “accadimenti” spontanei innescati spesso, ma non solo, da Comunicazioni formali. (Questa distinzione non va confusa con quella fra Comunicazione segnica - verbale, iconica o multimediale - e Comunicazione simbolico-comportamentale). Sebbene la Comunicazione informale sia di estrema importanza per l’Impresa (basti pensare alla sua influenza sui climi interni, o ai tam-tam che possono costruire o distruggere la reputazione di un Capo Azienda) la definizione di un “obiettivo di Comunicazione” è possibile solo per la Comunicazione formale. (Naturalmente, obiettivo della Comunicazione formale può ben essere quello di modificare il flusso delle Comunicazioni informali). Una analisi esauriente su come la Comunicazione di Impresa possa essere gestita in funzione di obiettivi specifici e propri esula dai limiti di queste note. Tuttavia, proprio per la rilevanza pratica della questione e per le incertezze che si riscontrano a tal proposito sul campo, vale la pena di dedicarvi alcuni cenni. 46 QUALI OBIETTIVI PER LA COMUNICAZIONE DI IMPRESA Una riflessione sugli obiettivi che la Comunicazione di Impresa può darsi in modo “proprio”, deve muovere dalla considerazione che l’Impresa è un attore economico. Ciò non significa che il profitto ne sia unico ed ultimo scopo; significa che ogni sua attività deve essere sottoposta ad un vaglio di congruità economica. Ogni sua attività deve cioè contribuire, in ultimissima analisi, a garantirne la migliore permanenza sul mercato e quindi la perpetuazione come organizzazione. La Comunicazione non deve sfuggire a questa logica: essa dovrebbe, allora, essere vista come: “l’insieme delle attività che concorrono allo sviluppo, alla definizione, alla produzione e alla veicolazione di messaggi (non importa di quale natura, purché consapevoli e formalizzati) che abbiano la massima efficacia possibile, in coerenza dinamica con il ‘Sistema-Impresa’, per indurre un ‘pubblico-target’ (interno o esterno che sia) i cui comportamenti possono influire significativamente sul successo dell’Impresa, a porre in essere, nell’ambito di un ventaglio di possibilità, comportamenti pre-individuati come positivi ed auspicabili per l’Impresa stessa”. Questa formulazione abbozza una seconda risposta - questa volta operativa - alla questione che abbiamo avanzato in precedenza: “Che cosa è la Comunicazione dal punto di vista dell’Impresa” e ci consente di mettere in risalto alcuni concetti importanti. Anzitutto essa pone in primo piano il criterio di “significatività del target e delle sue scelte” rispetto ai fini dell’Impresa. Va rimarcato qui 47 un fatto centrale. Fissare l’obiettivo di Comunicazione di Impresa in funzione dei comportamenti che si desidera indurre nel target introduce una chiave di lettura innovativa. Si sottolinea infatti come la attività di Comunicazione di Impresa non debba essere finalizzata semplicemente a far conoscere, informare, orientare, persuadere, bensì - direttamente e concretamente - a far fare qualcosa a qualcuno. La Comunicazione di Impresa è veramente funzionale solo quando sappia (e, anzitutto, possa) determinare nei target prescelti certi comportamenti individuati come positivi per il futuro dell’Impresa. Poiché per indurre un target a certi comportamenti la Comunicazione deve lavorare con dati oggettivi (assetti societari, profilo economico finanziario, prezzi, concorrenza, caratteristiche dei prodotti, distribuzione, qualità del servizio post vendita, eccetera), la questione preliminare del Comunicatore tende ad essere: “Con i dati oggettivi a mia disposizione, posso ragionevolmente assumere quale mio obiettivo l’induzione di certi comportamenti in quei determinati target?”. Rispondere a questa domanda configura una responsabilità molto alta per il Comunicatore di Impresa che, come sottolineato in altra parte di queste note, deve valutare se l’Impresa ha, globalmente, le carte in regola per “chiedere” ai suoi pubblici certi comportamenti. Se la sua valutazione è positiva, il Comunicatore si impegna, attraverso la propria strategia e l’esplicazione delle attività coordinate di Comunicazione, ad indurre effettivamente quei comportamenti. Questo punto risulta centrale alla comprensione della Comunicazione di Impresa come disciplina di management e pone ad essa uno “specifico” - appunto l’efficacia ad indurre comportamenti - che in altre forme del comunicare non è necessariamente presente (si pensi, ad esempio, a tutta l’area della Comunicazione-spettacolo o della Comunicazione-arte). Un classico guru della pubblicità statunitense diceva, negli anni Sessanta, che le sue campagne pubblicitarie erano sempre perfettamente riuscite: che poi i clienti comperassero o meno i prodotti pubblicizzati dipendeva da molti fattori fuori dal suo controllo (costi, distribuzione, ecc.). Nell’ottica della definizione che abbiamo appena abbozzato questa affermazione (meno paradossale nei fatti di quanto appaia!) non ha più cittadinanza. La massima responsabilità del Comunicatore di Impresa, interno o esterno, sarà infatti proprio quella di giudicare se, alla luce dei fatti-dati che l’Impresa pone a sua disposizione per dispiegare 48 la strategia comunicazionale, ritiene raggiungibile l’obiettivo di indurre quegli specifici target a quello specifico comportamento. Se sì, potrà impegnare risorse dell’Impresa per sviluppare la propria azione; se no, dovrà chiarire che ogni azione di Comunicazione deve essere preceduta da un opportuno cambiamento dei fatti, dei dati, dei parametri oggettivi. In questa visione la corretta definizione di un obiettivo pertinente in modo specifico alla Comunicazione diviene il momento primo e centrale, il perno che sorregge e verifica ogni successiva strategia. Il valore professionale del Comunicatore sta nella creatività con cui immaginerà la strategia migliore per valorizzare i dati in suo possesso. Il suo valore manageriale sta nella lucidità e nella chiarezza con cui sa valutare la raggiungibilità dell’obiettivo “qui e ora”. Inoltre, prescindendo da riferimenti che, pur connessi al momento comunicazionale, ne travalicano l’ambito e sono risultato di molti fattori (... “costruire e difendere l’immagine di Impresa”... “promuovere la motivazione del personale”...supportare il riposizionamento di un prodotto...) essa permette di isolare la Comunicazione dall’insieme delle diverse attività e discipline che incontriamo nei processi di Impresa. Non per farne una realtà artificialmente separata dal continuum dell’Impresa, bensì per caricarla di una compiuta e misurabile funzione. Questa lettura, inoltre, supera la separazione fra Comunicazione Interna e Comunicazione Esterna, fra Comunicazione e Relazioni Pubbliche; tutte queste diverse “forme” della Comunicazione di Impresa si muovono nello stesso ambito metodologico e si nutrono dello stesso bagaglio professionale. Essa colloca i termini fondamentali del comunicare - emittente, medium-messaggio e target - in un contesto sistemico e dinamico (le logiche dell’Impresa che si sviluppano nel tempo) e in una relazione finalizzata ad un obiettivo definibile e misurabile: l’induzione ad un comportamento positivo per l’Impresa, all’interno di opzioni date. Se si considera quale difficoltà la Comunicazione di Impresa incontri sempre nel “misurarsi” e dunque nell’esplicitare i ritorni sull’investimento, un approccio che identifichi obiettivi autonomi, la cui raggiungibilità è “nelle mani” del Comunicatore, può rappresentare un passo avanti decisamente apprezzabile. 49 Ci permette, poi, di definire quali atti, quali strumenti e quali risorse vadano considerate specifiche della Comunicazione di Impresa. Infatti “tutto quanto concorre a sviluppare, definire, veicolare nel modo più efficace il messaggio...” include ovviamente: • la conoscenza approfondita del target (valori, informazione, atteggiamenti, esposizione passiva ad altri messaggi che incidano sullo stesso ambito di scelta, ecc.) e del suo ambiente; • l’analisi delle diverse opzioni tra le quali il target si troverà a scegliere; • l’acquisizione dei fatti che devono “sostenere” i messaggi e le verifiche di congruità tra questi e quelli; • la definizione dei messaggi e del loro interagire; • le ipotesi, prima, e i controlli, poi, relativi ai processi di codifica e decodifica dei messaggi; • la consapevolezza del significato strategico-dinamico delle azioni comunicazionali che si stanno per intraprendere (loro influenza su futuri comportamenti del target o sulle future relazioni target-impresa); • la padronanza delle tecniche e degli strumenti che rendono possibile il trasferimento dei messaggi al target prescelto realizzando il miglior rapporto costo-efficacia; • infine, come già detto, si dà per evidente che il Comunicatore, come ogni stratega, debba valutare le realtà fattuali entro cui la sua azione dovrebbe esplicarsi e i materiali a sua disposizione, insomma il terreno di scontro e le armi di cui dispone, prima di “accettare” come perseguibile l’obiettivo di “indurre un determinato target ad una certa scelta comportamentale”. 50 L’“EVENTO-MESSAGGIO”: L’IMPRESA NELLA SOCIETÀ DELLA COMUNICAZIONE La definizione testé proposta può dimostrarsi valido strumento per meglio inquadrare, gestire e misurare l’apporto della Comunicazione al mix gestionale, soprattutto se la interpretiamo nell’ottica del Sottosistema-Comunicazione. Tuttavia, una riflessione sulla Comunicazione di Impresa che voglia essere coerente con la attuale realtà socio-economico-tecnologica della Società della Comunicazione, non può ignorare la questione, di estrema rilevanza, che attiene all’ampiezza e dunque alle valenze del concetto stesso di messaggio. Se, come abbiamo prima ricordato, l’Impresa è immersa in un meta-sistema comunicazionale, dove ogni evento è letto, interpretato, rilanciato nella rete mediatica globale come in un gioco infinito di specchi deformanti, allora l’apertura di uno stabilimento (per fare un esempio) è un messaggio che l’Impresa lancia nel meta-sistema comunicazionale (comunità locale, sindacati, personale, media, analisti finanziari, politici eccetera), non diversamente dal comunicato stampa con cui l’evento stesso viene annunciato. E sarebbe messaggio, va da sé, anche se nessun comunicato lo annunciasse. Ma di questo “Evento-Messaggio”, il Comunicatore (in quanto specialista delle tecniche) non è “autore ed arbitro”; questo “EventoMessaggio” risponde a logiche d’Impresa più ampie di quelle meramente comunicazionali. 51 Ovviamente, come si è accennato in altra parte di queste riflessioni introduttive, questo complica molto il rapporto, all’interno dell’Impresa, fra la Comunicazione e la gestione globale e soprattutto fra la figura del Comunicatore (per definizione responsabile ultimo dell’immagine aziendale) e le scelte che, pur condizionando pesantemente quella immagine, non sono sotto il suo controllo. Questa contraddizione è probabilmente alla base della profonda difficoltà che il Management di Impresa incontra oggi nel “servirsi correttamente” della leva comunicazionale, e del disagio che i Comunicatori avvertono, dal canto loro, nell’espletare compiutamente la propria missione. Certamente, questa è la nuova sfida che il mondo dell’Impresa è costretto ad affrontare a causa dei profondi mutamenti di scenario: vivere consapevolmente nella Società della Comunicazione significa accettare che ogni nostro atto visibile è, anche, messaggio per qualcuno; per uno o per molti stakholders. E non si può sottostimare il velleitarismo e i rischi insiti nell’illusione che il “messaggio comunicato stampa” possa profondamente alterare o addirittura ribaltare gli effetti - sui medesimi target - del “messaggio apertura dello stabilimento”. E’ chiaro che questa lettura della Comunicazione di Impresa evidenzia la dialettica che, all’interno del Sistema-Impresa, può contrapporre anche drammaticamente la prospettiva comunicazionale ad altre prospettive (produzione, finanza e via dicendo). Nella logica di questo Rapporto si vuole sottolineare che tale dialettica, anziché essere considerata con sospetto ed essere sopita od aggirata, dovrebbe essere esaltata, sviscerata fino alle ultime implicazioni. Solo così il top management avrebbe, infatti, la vera opportunità di operare le proprie scelte strategiche con la consapevolezza, non teorica ma concreta, di pilotare consapevolmente la sua Impresa nel difficile mare di un universo mediatico. 52 CONCLUSIONI Gli approcci sopra delineati non sono ancora adottati dalle Imprese in modo generalizzato: manca una forte “consapevolezza”, e mancano adeguati strumenti di processo sul piano operativo. Di fatto, alcune aziende culturalmente all’avanguardia intendono la Comunicazione di Impresa in termini “grosso modo” analoghi a quelli sopra descritti, ma pochissime ne hanno introiettato la metodologia fino al punto da distinguere con chiarezza le logiche della Comunicazione all’interno delle tante logiche che si fronteggiano nel Sistema Impresa, e di definirne gli obiettivi con quella lucidità che consente poi la misurazione dei risultati e che, soprattutto, consente di valorizzare completamente l’apporto del punto di vista comunicazionale quale cartina tornasole per verificare le scelte aziendali. Sotto questo aspetto il rapidissimo affermarsi di un universo comunicazionale in rete, che abbraccia in unità di tempo e spazio la maggior parte del mondo industrializzato, pone un’urgenza vera. Il primato della Comunicazione, più volte evocato nel corso degli ultimi decenni, si sta concretando a ritmi vertiginosi (è inevitabile ricordare il valore non solo simbolico della pubblicazione su Internet delle vicende Clinton-Lewinsky). Esporsi ai riflettori della scena comunicazionale senza il supporto di forti elaborazioni concettuali, di chiarezze metodologiche, di consapevolezze imprenditoriali e - ovviamente - di prassi processuali e di conoscenze tecniche, è un rischio che le Imprese non potranno più permettersi di correre. 53 In difetto di uno sforzo di analisi puntuale c’è, infatti, il pericolo di trasformare la Comunicazione in una sorta di attore tuttofare, sempre e comunque coinvolto e coinvolgibile (deus ex machina o capro espiatorio, non importa) che, dovendo interpretare in commedia una parte non definita, finisce per aggirarsi sul proscenio senza realmente incidere nell’intreccio. Come abbiamo più volte sottolineato non è compito di questo lavoro addentrarsi in disamine specifiche. Ci pare, tuttavia, importante sottolineare ancora una volta in conclusione, proprio per una migliore comprensione dei materiali che il Rapporto propone, quanto la Comunicazione di Impresa debba essere considerata oggi come disciplina in divenire, alla ricerca di una collocazione più chiara nel mix delle attività di cui si nutre l’Impresa moderna; e quanto tale ricerca sia articolata e difficile. In questo senso crediamo corretto sottolineare come la maturazione di una vera e forte cultura del Comunicare costituisca, al di là delle espressioni convenzionali circa la sua centralità, una delle sfide più significative per le Imprese, quale che ne sia la dimensione e il campo di attività. E questo primo Rapporto si propone di stimolare, assieme a tante altre voci e forze, una precisa riflessione in proposito, anche attraverso un invito alla collaborazione lanciato tanto ai professionisti del comunicare quanto ai vertici delle aziende e a quanti su queste tematiche vanno riflettendo da tempo. 54 CAPITOLO II LA RICERCA E IL DIBATTITO SULLA COMUNICAZIONE D’IMPRESA 55 LE RICERCHE EMPIRICHE “L’ascolto, l’attenzione al quotidiano, costituiscono una priorità assoluta in qualsiasi tentativo di mobilitazione delle risorse umane o di modernizzazione dell’impresa.... Il vero ascolto è quello della vita di relazione di tutti i giorni. Le ricerche qualitative, che descrivono il modo in cui questa vita è vissuta, ce ne rivelano l’importanza e ce ne danno le chiavi di lettura”. (Michel Crozier) 57 PREMESSA La complessità del fenomeno comunicazione, la sua natura immateriale, e quasi sfuggente, possono rendere a volte inadeguato l’apparato teorico e analitico con cui si cerca di “misurarlo”. Non solo. Il numero di variabili che generano rapporti causali è sempre più elevato. Causa ed effetto si intrecciano. Così, la verifica empirica di questi rapporti diventa difficile. E tuttavia non così difficile da non poter cogliere gli “indizi del cambiamento”, interpretandoli costruendo un filo rosso che porta ad una visione plausibile dell’evoluzione e delle trasformazioni in atto. Attraverso l’analisi di alcune ricerche empiriche si cercherà di seguire l’evoluzione che la comunicazione aziendale ha percorso nel corso degli ultimi anni, dal punto di vista degli obiettivi, delle forme organizzative e degli strumenti utilizzati. Con una premessa: la prospettiva di analisi che abbiamo scelto, quella appunto delle ricerche, rende sicuramente incompleto lo scenario delineato, proprio perché legato alle scelte operate “a monte” dai ricercatori, alle aree tematiche che questi ultimi hanno sentito l’esigenza di esplorare. L’aver concentrato l’attenzione sulla comunicazione interna, rispetto ad altre forme di comunicazione aziendale, non è stata una scelta casuale. La comunicazione interna, infatti, che ha trovato una sua formalizzazione in azienda solo in anni molto recenti, è stata tuttavia oggetto di indagini particolarmente approfondite e strutturate, che in questa sede ne giustificano in parte l’approfondimento tematico. 59 Le ricerche in questione, inoltre, hanno avuto come campo di applicazione privilegiato, se non esclusivo, l’universo delle aziende di maggiori dimensioni. Solo in relazione a questa precisa realtà imprenditoriale è possibile oggi ripercorrere le tappe storiche del cammino della comunicazione, fare comparazioni. Insomma, ragionare sul “dove siamo arrivati”. Le piccole e medie aziende molto raramente sono state oggetto di indagine in relazione al tema specifico della comunicazione d’impresa. La letteratura non ha mai dedicato ad esse un’attenzione sufficiente a delinearne il ruolo e i caratteri peculiari e distintivi rispetto alle altre tipologie di aziende. I risultati emersi dagli studi che le riguardano, frutto comunque di un interesse crescente, saranno riportati nel paragrafo finale di questo capitolo. 60 LE RICERCHE ESAMINATE Nelle pagine che seguono riportiamo, in ordine cronologico, gli abstract delle ricerche analizzate, condotte in Italia a partire dalla fine degli anni ‘80. Per ciascuna di esse è stato indicato il titolo del testo da cui sono state tratte, gli obiettivi che le hanno mosse, le ipotesi di partenza (quando erano esplicitate), la metodologia utilizzata e, infine, una breve sintesi dei risultati emersi. • Bandiera, Carlo (a cura di), Le politiche delle Relazioni esterne nella strategia delle aziende, IFAP, Roma, 1988. La ricerca ha indagato sull’esistenza di connessioni e di coerenze tra le politiche di relazioni esterne e le strategie aziendali. I temi analizzati sono stati le strutture organizzative, le funzioni e gli obiettivi delle relazioni esterne, le politiche di comunicazione, l’integrazione fra comunicazione esterna e interna, la pianificazione, fattori e tendenze di evoluzione. L’indagine, svolta tra il 1987 e il 1988, ha previsto l’analisi della letteratura esistente sul tema delle relazioni esterne e lo studio di sette casi aziendali (Ansaldo; Banco di Roma; Barilla; Enichem; Esso Italiana; Ente Ferrovie dello Stato; Sip). Sono state inoltre effettuate interviste semistrutturate al top management, al responsabile della direzione relazioni esterne e ad alcuni addetti della stessa direzione. Sono stati intervistati anche i destinatari delle iniziative di comunicazione e analizzati i documenti aziendali. Le relazioni esterne e le relazioni interne emergono come due aspetti non ancora integrati dalla cultura d’impresa. Infatti il flusso comunicativo verso l’interno è gestito dall’ufficio del Personale, mentre la stampa aziendale è di competenza delle Relazioni Esterne. • Amigoni, Franco, “La comunicazione interna come strumento di management”, in La comunicazione: strumento di management per le imprese complesse, CESAD, Milano, Egea, 1991. 61 Il testo riporta i risultati di una ricerca condotta nel 1990 su un gruppo di 8 aziende di dimensioni medio-grandi, italiane e filiali italiane di imprese estere avanzate dal punto di vista organizzativo e gestionale. L’indagine era volta a comprendere in che misura la comunicazione interna stesse diventando un’attività “istituzionalizzata”, ovvero una pratica gestionale consolidata nelle imprese. Il metodo di ricerca adottato è stato l’analisi di esperienze aziendali condotta attraverso interviste semistrutturate al responsabile della comunicazione interna e in alcuni casi ai responsabili di line. Nell’esperienza di quasi tutte le imprese è stato possibile individuare un sentiero di sviluppo che passa attraverso alcune fasi tipiche (appartenenti ad epoche anche molto diverse). La maggior parte delle imprese studiate stava cominciando allora ad accumulare competenze specialistiche; a mettere a punto, a sperimentare e a consolidare metodologie e tecniche di gestione della comunicazione interna come la segmentazione dei pubblici, i sondaggi sull’immagine interna, le indagini sull’efficacia degli strumenti. Si trattava di pratiche di recentissima adozione, ancora solo episodiche e dunque non consolidate. Dall’indagine è inoltre emersa una mancanza di sintonia tra le tipologie di strumenti impiegati dalle aziende a scopo prevalentemente informativo (stampa aziendale, avvisi in bacheca, ecc.) e le opinioni manifestate dal personale circa le modalità preferite di comunicazione (scambi verbali con il proprio superiore, riunioni). Ciò dimostra, tra l’altro, come la predisposizione di messaggi scritti non assicuri, né promuova necessariamente il dialogo. Così come, d’altra parte, anche la creazione e l’istituzionalizzazione di momenti di incontro non basti di per sé a garantire lo sviluppo delle capacità di ascolto dell’azienda. • Confindustria-Methodos, Comunicazione interna: una sfida per le imprese, Roma, Sipi, 1992. La ricerca promossa da Confindustria, e condotta dalla società Methodos tra il 1991 e il 1992, è centrata anch’essa sul tema della comunicazione interna come leva di management. L’indagine ha avuto come obiettivo principale quello di comprendere come e in che misura la comunicazione interna contribuisca alla gestione strategica dell’impresa. Non solo. Lo sforzo è andato nella direzione di costruire una mappa di metodologie, tecniche e strumenti eccellenti di comunicazione interna; esaminando al contempo i livelli di integrazione con gli altri settori della comunicazione d’impresa. Si è cercato infine di analizzare la comunicazione in rapporto alla gestione delle risorse umane e ai mutamenti nella cultura d’impresa. L’indagine è composta di due parti. La prima ha coinvolto, tramite interviste in profondità, 38 testimoni-esperti, scelti all’interno delle diverse categorie professionali (professionisti in relazioni pubbliche, consulenti in comunicazione interna, pubblicitari, sindacalisti, opinion leaders, direttori di associazioni industriali). La seconda parte illustra la tipologia delle politiche di comunicazione interna applicate in alcuni contesti aziendali. 62 La ricerca ha messo in luce come, agli inizi degli anni ‘90, la comunicazione interna venisse considerata ancora allo “stato nascente”, e fosse quindi sprovvista di un proprio “statuto”, di identità consolidata, ma anche di una propria storia “ufficiale”. Tuttavia è risultato ugualmente evidente come l’attenzione e l’attesa che in quegli anni si stava creando intorno a questa nuova disciplina cominciassero ad avere le loro basi in motivazioni profonde, radicate nella necessità di far fronte a una realtà in forte cambiamento, sempre più incerta, complessa e difficile. • Quaglino, Gian Piero (a cura di), Azienda e comunicazione interna, ASCAI, Torino, 1992. La terza ricerca considerata ha coinvolto, nel 1992, un gruppo di 115 aziende associate ASCAI (Associazione per lo Sviluppo delle Comunicazioni Aziendali in Italia) attraverso la somministrazione di un questionario volto a rilevare la situazione della comunicazione interna con riferimento alla formulazione della relativa politica, all’organizzazione della stessa, agli strumenti adottati e al ruolo assunto dalla comunicazione interpersonale. Oggetto di analisi sono state le aziende di più grandi dimensioni, quelle in cui si presuppone che la necessità di attuare una precisa politica di comunicazione interna sia maggiormente sentita. Nell’85% dei casi complessivamente analizzati le aziende dimostrano di procedere ad una formalizzazione di specifiche politiche di comunicazione, sia interna che esterna (anche se è solo nel 75% dei casi che essa si traduce poi in un preciso piano). Alla comunicazione le aziende indubbiamente mostrano di dedicare una progressiva e crescente attenzione. Diffuso e chiaro risulta il modo di considerarla come una vera e propria leva strategica connessa ai processi di cambiamento e sviluppo. Rimane tuttavia ancora prevalente l’immagine di una comunicazione che opera più nella prospettiva dell’informazione e dell’immagine che non in quella dello scambio e del dialogo (a due vie). Ed è altrettanto prevalente l’orientamento dei processi di comunicazione verso l’esterno. Il management aziendale rappresenta, nella maggior parte dei casi, il destinatario privilegiato di tutto il sistema di comunicazione interna. Mentre, in riferimento alla comunicazione interpersonale, il rapporto capo-collaboratore appare in genere ancora legato alla comunicazione di tipo gerarchico, pur nell’evidente emergenza di nuovi modi di gestire tale rapporto. • Romano, D.F.; Felicioli, R.P., Comunicazione interna e processo organizzativo, Milano, Cortina Editore, 1992. Sostanzialmente in sintonia con i risultati della ricerca promossa dalla ASCAI, anche questa indagine ha messo in evidenza come alla comunicazione interna venga affidato sostanzialmente il compito di difendere e garantire l’identità storica dell’azienda, in un’ottica più di autoconservazione che di sviluppo. 63 Allo scopo di verificare la consapevolezza, da parte delle imprese, di questa circostanza non ottimale per il futuro del sistema aziendale, è stato chiesto ad un gruppo di intervistati (i responsabili della comunicazione interna appartenenti a un campione di 100 grandi aziende con più di 1.000 addetti) di esprimere il proprio grado di soddisfazione circa l’attuale stato della comunicazione interna nella loro azienda. Significativo, a riguardo, è il fatto che nel 36% dei casi siano stati manifestati motivi di insoddisfazione, relativi non tanto alla mancanza di strumenti di comunicazione utilizzabili, quanto alla necessità di formulare, o di riformulare, una strategia complessiva di comunicazione interna. • Fiocca, Renato; Ostillio, Maria Carmela, Il communication manager nelle imprese italiane, in “Economia & Management”, n. 5/1993. In questo testo vengono sintetizzati i risultati di una ricerca empirica condotta dalla Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Bocconi nel periodo settembre 1992-marzo 1993. La ricerca ha analizzato le condizioni del ruolo del communication manager nelle imprese italiane e le prospettive di sviluppo di questa professione. L’indagine è stata svolta intervistando (direttamente o con il supporto di un questionario postale semistrutturato) un campione di 50 “addetti alla comunicazione” di aziende piccole e grandi appartenenti a diversi settori del mercato italiano (prevalentemente del Centro-Nord). Viene evidenziata la necessità di decidere e compiere ogni attività di comunicazione avendo ben presente che l’estrema articolazione degli strumenti utilizzati e l’interconnessione degli effetti della comunicazione sui vari pubblici rendono necessaria una visione unitaria e complessiva della stessa; una visione, per l’appunto, “integrata”. I risultati della ricerca hanno dimostrato come l’attività di comunicazione delle aziende spesso sia svolta all’interno di forze contrastanti: alcune che spingono verso la specializzazione, altre che suggeriscono di adottare una visione d’insieme. • Attemi, Attilio; Santini, Giuseppe, L’azienda presa in parola, Roma, Sipi, 1993. Rapporto finale di una ricerca sullo stato della comunicazione aziendale in Italia indagata attraverso l’analisi di uno dei suoi più diffusi prodotti: il periodico aziendale (“I periodici aziendali - viene sottolineato - soddisfano finalità comuni a tutti gli altri strumenti di comunicazione interna: trasmettono cioè non solo informazioni sui fatti aziendali, ma soprattutto l’interpretazione aziendale dei medesimi e comunicazioni finalizzate a incidere sui comportamenti”). L’indagine, effettuata nel 1992, ha interessato 27 aziende associate ad ASCAI delineando un quadro di tendenze caratteristiche per poter definire le coordinate 64 e i generi dei periodici aziendali, attraverso il confronto tra elementi formali e di contenuto. Vengono evidenziati i punti di forza e di debolezza degli “houseorgan”. • Fiocca, Renato (a cura di), La comunicazione integrata nelle aziende, Milano, Egea, 1994. La ricerca ha analizzato le modalità con cui le imprese italiane, in dieci settori di beni di largo consumo e di consumo durevole, di servizi e non profit, realizzano una gestione integrata della comunicazione pur salvaguardando un opportuno grado di specializzazione delle sue diverse aree. Dall’analisi emerge come il grado di integrazione necessario tra i diversi flussi di comunicazione non sia definibile in modo universale ma vari a seconda delle caratteristiche dell’impresa (dimensioni, tasso di sviluppo, articolazione geografica della struttura produttiva e commerciale, varietà dei profili professionali interni, pluralità di culture) e del settore in cui essa opera (numerosità ed articolazione dei pubblici di riferimento o degli strumenti di comunicazione utilizzati dall’impresa, vantaggio competitivo e reddituale derivante dall’attività di comunicazione dell’impresa). Indipendentemente dagli specifici ambiti di attività, le imprese eccellenti si caratterizzano per una gestione integrata delle diverse attività di comunicazione e per la progettazione di strutture ed organi dedicati a tale compito. • Valdani, E.; Busacca, B.; Costabile M., La soddisfazione del cliente. Un’indagine empirica sulle imprese italiane, Milano, Egea, 1994. Le tendenze evolutive del rapporto domanda/offerta nelle economie avanzate rendono la capacità di soddisfare il consumatore più critico sotto il profilo concorrenziale. Affinché l’impresa sia in grado di perseguire con successo finalità di profitto e di crescita nel lungo periodo è infatti necessario che la sua offerta soddisfi pienamente le attese e le esigenze della domanda. Questo comportamento, nelle imprese di successo, appare sempre più caratterizzato da un approccio innovativo alla gestione della complessità dei mercati: la totale integrazione fra le azioni di marketing e le capacità organizzative, finalizzata alla concentrazione delle risorse intangibili e tangibili sulla soddisfazione dei bisogni dei clienti. L’idea di realizzare una ricerca sulla customer satisfaction nasce proprio con lo scopo di comprendere i contenuti innovativi di questo comportamento di successo osservato. L’indagine è stata realizzata attraverso interviste in profondità su un campione composto da 42 imprese italiane, di primaria rilevanza nei rispettivi settori di appartenenza. Obiettivo della ricerca era rilevare, all’interno delle aziende, i sistemi di misurazione e miglioramento della soddisfazione dei clienti. A tale scopo, sono stati analizzati i programmi di customer satisfaction, i metodi utilizzati nella fase di raccolta delle informazioni, le azioni che ne conseguono e le modalità con le quali vengono valutati i ritorni di tali attività. 65 E’ emerso come, coerentemente con le ipotesi di partenza, l’orientamento alla soddisfazione del cliente sia ancora ad uno “stadio embrionale”, nonostante l’elevata sensibilità dimostrata dal management verso la tematica in oggetto. La ricerca ha inoltre registrato una sostanziale difficoltà, da parte delle imprese, nel cogliere le implicazioni dell’orientamento al cliente in termini di gestione delle risorse umane, e dunque anche in termini di comunicazione interna. • Minghetti, Marco; Del Mare, Giorgio, Le cose e le parole, Milano, Sperling & Kupfer Editori, 1995. Non si tratta di un consueto rapporto di ricerca, quanto piuttosto di uno strumento di benchmarking. Il testo raccoglie infatti le case-histories di eccellenti esperienze di comunicazione d’impresa, cercando di dimostrare come le tre parole chiave, comunicazione, cambiamento, persone, tra le più usate dagli studiosi di management di tutto il mondo, vengano interpretate da alcune imprese che si segnalano per la qualità delle soluzioni tecniche, organizzative e gestionali al fine di vincere le sfide competitive nei rispettivi settori di business. La scelta delle aziende, sette italiane e nove straniere, ha seguito criteri non solo di significatività per il progetto di benchmarking ma anche di novità (il fatto cioè che il caso non fosse già stato pubblicato o preso in esame da precedenti ricerche). • Artemis Management Consulting (a cura di), Risorse Umane 2000. Le previsioni di cambiamento nelle grandi aziende italiane, Rapporto di ricerca, dattiloscritto, 1994. L’indagine ha cercato di tracciare una ricostruzione delle scelte operate negli ultimi anni dalle grandi imprese in materia di gestione del personale, di capire in quale scenario tali scelte siano state elaborate e di analizzare la strumentazione tecnico-metodologica che le direzioni del personale hanno utilizzato per rendere efficaci tali scelte. Particolarmente significativi i risultati della ricerca relativi al problema, sempre più avvertito dalle aziende, di ottenere livelli più elevati di partecipazione, coinvolgimento e responsabilizzazione di tutto il personale, per poter combattere la sfida della qualità. Da un punto di vista metodologico, l’indagine si è basata sulla predisposizione di un questionario semistrutturato a cui hanno risposto 152 grandi aziende italiane (sia pubbliche che private) con un totale complessivo di circa 1.300.000 dipendenti. Si tratta della base di indagine più ampia tra quelle realizzate da ricerche analoghe condotte in Italia negli ultimi anni. I risultati hanno messo in luce i cambiamenti avvenuti all’interno delle aziende nel periodo 1990-1992, presentando stime e previsioni relative ai due anni successivi. 66 • Mascilli Migliorini, Enrico; Mazzoli, Graziella; Valenti, Otello, Le voci di dentro. Analisi delle strutture comunicative nei processi di produzione industriale, Milano, F. Angeli, 1995. Si tratta di una delle prime pubblicazioni curate dai ricercatori del LaRiCa (Laboratorio di Ricerca della Comunicazione Aziendale), istituito presso la Facoltà di Sociologia dell’Università di Urbino. Il volume riporta i risultati di un interessante lavoro sperimentale, svolto in uno stabilimento del Nord-Est Italia, che ha permesso di evidenziare come, attraverso lo studio della comunicazione interna, sia possibile potenziare natura e valori delle imprese e una comunicazione che veda a tutti i livelli partecipazione e coinvolgimento, nonché possibilità di flussi comunicativi in tutte le direzioni. Gli ambiti fondamentali, curati in modo sistematico all’interno di questo lavoro sperimentale, si riferiscono all’allestimento di un laboratorio della comunicazione, inteso come strumento operativo privilegiato per supportare il cambiamento organizzativo e comunicativo all’interno dell’azienda, attraverso iniziative mirate e strumenti adeguati di formazione costruiti ad hoc. • Invernizzi, Emanuele, La comunicazione organizzativa nel governo dell’impresa, Milano, Giuffrè Editore, 1996. Il testo riporta i risultati di una approfondita ricerca empirica che ha avuto come mittenti Assolombarda e Istituto RSO. Obiettivo dell’indagine era quello di individuare come nelle grandi imprese italiane la comunicazione venga concretamente impiegata per aumentare l’efficacia e l’efficienza delle loro potenzialità di successo. L’indagine è stata condotta utilizzando un questionario strutturato inviato da Assolombarda ai responsabili della comunicazione interna delle maggiori imprese italiane, pubbliche e private, ed è stata inoltre completata da alcuni studi di caso. I risultati della ricerca sono stati utilizzati per valutare la consistenza e la forza di due tesi: quella della diffusione generalizzata della comunicazione interna e quella dell’affermarsi del nuovo paradigma della comunicazione organizzativa. Viene messo in evidenza come - da un punto di vista teorico e concettuale - le esigenze della comunicazione si siano evolute gradualmente e in stretta corrispondenza con l’evolvere della complessità dei modelli organizzativi e, inoltre, come sul piano operativo le diverse modalità gestionali e organizzative necessitino di un supporto comunicazionale specifico e corrispondente. Le conclusioni esposte sugli sviluppi dei contenuti della comunicazione organizzativa vengono definite giustamente “provvisorie” (a causa della crescente evoluzione che interessa il mondo della comunicazione) ma sostanzialmente in linea con le ipotesi di partenza. • Collesei, Umberto (a cura di), La comunicazione nelle aziende europee, UPA Ca’ Foscari, 1996. 67 La ricerca è stata realizzata nel periodo fine 1994-inizio 1995 con un’indagine mediante questionario su un campione di 313 imprese di dimensioni medio grandi, appartenenti a diversi settori produttivi e a sei Paesi europei: Belgio, Francia, Germania, Regno Unito, Italia e Spagna. Più della numerosità dei casi, la composizione del campione garantisce una sufficiente copertura e varietà di situazioni relative sia ai singoli Paesi, sia a imprese particolarmente significative all’interno dei propri settori produttivi, con strutture e impianti organizzativi diversi (holding, divisionalizzate, funzionali). L’indagine ha cercato di indagare sui caratteri significativi delle attività di comunicazione svolte dalle imprese: l’uso degli strumenti, la dimensione del budget, il ricorso ai diversi media, la consistenza numerica e la tipologia degli addetti all’attività di comunicazione, il grado di accentramento o di autonomia decisionale, l’utilizzo di servizi esterni. Un’altra finalità della ricerca ha riguardato la verifica dell’esistenza di differenze nell’organizzazione e/o nelle attività di comunicazione in rapporto ai diversi settori produttivi e ai diversi Paesi. I risultati dell’indagine hanno confermato la tendenza all’evoluzione della comunicazione da comunicazione di prodotto a comunicazione d’impresa e il suo carattere diffuso, nel senso che il suo svolgimento non fa capo solo a posizioni ad essa “dedicate”. Inoltre, le diverse attività di comunicazione risultano, nel complesso, collegate fra loro, pur nella molteplicità di assetti organizzativi possibili, confermando l’ipotesi di fondo, accolta nell’indagine, che la gestione della comunicazione richieda comunque un forte coordinamento in azienda. • ASCAI, Leadership e comunicazione d’impresa, Roma, Sipi, 1997. La ricerca condotta da ASCAI è una delle poche che in Italia ha esplorato il tema del delicato rapporto tra leadership e comunicazione d’impresa. L’indagine ha analizzato il ruolo che i leaders di azienda hanno nel promuovere e sostenere i processi di comunicazione - specie interna - presidiandone sia i momenti chiave, sia il generale funzionamento del sistema comunicazionale. Un questionario (volutamente molto breve) è stato compilato da 113 top manager, appartenenti a grandi imprese, sia pubbliche che private, in prevalenza capi azienda, amministratori delegati o direttori generali. La ricerca è nata dal presupposto che la comunicazione diventa strumento veramente efficace di gestione dell’impresa allorché sia fondata su un autentico commitment del leader stesso. Il sospetto, tuttavia, era che alle dichiarazioni solenni che frequentemente si reiterano circa l’importanza dei fenomeni comunicativi, non sempre corrisponda un coerente impegno personale ed aziendale da parte dei leader dell’impresa. I risultati emersi hanno in gran parte confermato questa ipotesi di partenza. 68 • Nelli, Roberto P., La comunicazione nello sviluppo della piccola e media impresa: ruolo strategico e prospettive di sviluppo, in “Problemi di gestione dell’impresa”, 24, Milano, Vita e Pensiero, 1998. E’ una delle prime ricerche che ha analizzato il ruolo della comunicazione nelle piccole e medie imprese. La scelta di concentrare l’attenzione sul “modello veneto” in particolare, è stata dettata dalla opportunità, che questo modello offriva, di indagare il ruolo svolto dalla comunicazione nell’ambito del percorso evolutivo dell’impresa nella sua transizione da una economia tradizionale a un sistema di produzione più articolato e complesso, comune peraltro a molte altre realtà imprenditoriali. Più precisamente, due sono stati gli obiettivi della ricerca: comprendere il ruolo che la comunicazione ha assunto nel tempo, in quanto fonte di risorse strategiche e di vantaggi competitivi nella piccola e media impresa; spiegare tale ruolo in relazione ai caratteri peculiari e all’evoluzione dell’impresa stessa. Dal punto di vista metodologico, l’indagine ha preso in considerazione un campione statisticamente significativo di imprese operanti nelle provincie di Padova, Vicenza e Treviso, appartenenti al settore industriale, analizzate in un arco temporale che va dagli anni ’60 ad oggi. Ad ogni impresa del campione è stato inviato - tra la fine del 1996 e i primi mesi del 1997 - un questionario articolato in domande a risposta chiusa. E’ emerso, in estrema sintesi, come l’immagine aziendale stia velocemente accrescendo la rilevanza del proprio ruolo all’interno delle imprese venete, costituendo attualmente, insieme all’immagine di prodotto, una risorsa strategica di prioritaria importanza. • Demoskopea, La comunicazione nelle piccole e medie imprese venete, 1997, dattiloscritto. La ricerca sulla comunicazione delle piccole e medie imprese in Veneto è stata realizzata da Demoskopea per conto delle Associazioni Industriali e della Federazione dell’Industria del Veneto. L’indagine è stata condotta con interviste personali realizzate con un questionario semistrutturato su un campione di 62 piccole medie imprese venete. In particolare, si voleva conoscere il ruolo attribuito dagli imprenditori alla comunicazione ai fini degli obiettivi aziendali, le forme di comunicazione utilizzate, gli ostacoli, oggettivi o soggettivi, ad un suo maggior utilizzo, lo stato dei rapporti con le agenzie e con i consulenti di comunicazione. Il ruolo della comunicazione, nel creare e mantenere un vantaggio competitivo, è apparso ancora marginale nel campione di aziende esaminato. Tale elemento di differenziazione assume rilevanza solo in poche imprese, prevalentemente appartenenti al settore alimentare, che assegnano al marketing un’importanza strategi- 69 ca nelle politiche aziendali. L’importanza del ruolo assegnato alla comunicazione è comunque funzione di una serie di fattori: oltre alla struttura del settore, la tipologia della clientela, il prodotto, la presenza di un marchio aziendale. Ma anche la personalità, le competenze, la sensibilità dell’imprenditore nei confronti della comunicazione possono influenzarne l’utilizzo. In aziende molto simili, che operano nello stesso settore, sono state infatti riscontrate culture e pratiche di comunicazione estremamente diverse. • Mazzoli, Graziella (a cura di), Carta d’identità delle piccole imprese marchigiane, LaRica, 1996, dattiloscritto. L’indagine ha valutato il grado di sensibilità del sistema produttivo marchigiano verso i problemi della comunicazione, con uno sguardo all’organizzazione interna e alle tecniche adottate dalle imprese per lo scambio di informazioni con la realtà esterna. Un campione di 133 piccole aziende, in rappresentanza dei tre settori maggiormente rappresentativi della regione (legno, meccanico e calzature), ha risposto ad un questionario articolato in sezioni volte ad indagare: la percezione/concezione del proprio ruolo da parte dell’imprenditore, le sue modalità comunicative, le modalità comunicative dell’azienda, i valori aziendali, l’innovazione tecnologica, la concorrenza e, infine, la conoscenza di alcuni strumenti telematici. I dati sono stati elaborati utilizzando un’analisi quali/quantitativa. E’ emersa una sorta di carta d’identità delle piccole imprese marchigiane, che risultano caratterizzate da un’attività media ventennale, da un’alta presenza di imprenditori di prima generazione, ma inevitabilmente proiettate verso il ricambio generazionale e, presumibilmente, verso un cambiamento che riguarderà gli stili direzionali dell’impresa, meno ancorato a modelli familisti e più ispirato a quelli manageriali. 70 UN’ANALISI COMPARATA DELL’ULTIMO DECENNIO La comunicazione interna prende le mosse da qualcosa che è sempre esistito, in ogni luogo o circostanza nelle quali più persone abbiano affrontato il compito di lavorare insieme, di far convergere il loro operato verso realizzazioni comuni, condividendo lo stesso luogo, lo stesso spazio, gli stessi compiti o progetti. In azienda si è sempre, cioè, “comunicato all’interno”1. La nascita della comunicazione interna propriamente detta, invece, si può far risalire solo alla seconda metà degli anni Ottanta. L’elemento di novità nelle esperienze osservate in azienda, a partire da quegli anni, è l’istituzionalizzazione dei processi di comunicazione interna e del loro presidio organizzativo. ________ 1. “E’ possibile ricostruire almeno tre forme del ‘comunicare all’interno’ che vengono tutte prima della comunicazione interna e che di essa costituiscono gli ‘antecedenti’, o i ‘progenitori’: • il comunicare all’interno come ‘strumento per la guida’ dell’azienda, utilizzato personalmente dall’imprenditore in modo spontaneo, strumento non ‘specializzato’, ancora indistinto dall’attività stessa di lavoro del leader a contatto diretto con i suoi uomini; • il comunicare all’interno come ‘vox populi’, intesa come spontaneo, diffuso, informale e continuativo commento di tutti (del ‘popolo aziendale’) su ciò che avviene nell’impresa, anche attraverso pettegolezzi o ‘rumors’; • il comunicare all’interno come scansione (quasi ‘liturgica’) della vita d’azienda attraverso momenti di incontro e comportamenti comuni, poveri forse di significato funzionale, ma spesso carichi di significato simbolico e sociale” (Confindustria/Methodos, ‘92). 71 Intendiamo per istituzionalizzazione il fatto che una certa area del management non è lasciata alla libera iniziativa del singolo, che gestisce i suoi processi di apprendimento e sceglie, in funzione di essi, i comportamenti che ritiene appropriati, ma è invece trasformata da fatto individuale a fatto aziendale. La razionalizzazione che ne consegue non è più patrimonio privato, destinato fatalmente a perdersi, ma diventa cultura di tutti. Questo fenomeno non è certo casuale. Con l’organizzazione posttaylorista del lavoro, che dal manufacturing si estende a tutta la struttura dell’impresa, dando luogo a modelli lean, a rete, con meccanismi interfunzionali e processivi, cambia anche il rapporto fra organizzazione e comunicazione interna. Si aprono così più ampi e complessi orizzonti nel processo generale di comunicazione. I dipendenti non sono più un “apparato burocratico” da amministrare solo con i contratti e le normative, ma divengono un “campo di forza” da conquistare: come “clienti”, da motivare, da rendere partecipi e anzi costruttori del futuro dell’azienda. La comunicazione interna supera in tal modo il concetto funzionalistico, che la considera come elemento fluidificante dei meccanismi organizzativi (“oliare”, fluidificare l’organizzazione), per divenire elemento strutturale, e anzi identificarsi con la struttura organizzativa. Diviene, in definitiva, la variabile connotatrice dell’identità culturale dell’impresa e delle persone che vi fanno parte. Il primo passo in questa direzione è costituito dalla nascita della comunicazione interna intesa come “funzione”, come specifica “area professionale”, fino a diventare, almeno nei casi più esemplari, vera e propria leva strategica di gestione dell’impresa. Oggi sicuramente una delle leve più scrutate, esaminate, dibattute2. ________ 2. Mentre altre forme di comunicazione aziendale rivolte verso l’esterno hanno avuto, sin dall’inizio della seconda guerra mondiale, uno sviluppo notevole sotto il profilo sia teorico che tecnico, la comunicazione interna - in modo specifico in Italia - è sempre rimasta, salvo rare eccezioni, ad un livello di modesta artigianalità, spesso legata al buon senso dell’imprenditore o di qualche manager particolarmente sensibile ai problemi della comunicazione interpersonale (Nelli, ‘94, pag. 49). 72 Parliamo di tendenze, certo, di processi evolutivi che le aziende hanno affrontato, ed affrontano, con ritmi e modalità anche molto differenti. E che tuttavia nel complesso possiamo dire siano avvenuti in tempi relativamente brevi. Con i dati delle ricerche in nostro possesso è stato possibile verificare come la formalizzazione di specifiche politiche di comunicazione interna sia già ampiamente diffusa agli inizi degli anni Novanta nelle maggiori imprese italiane (Quaglino ’92). Essa risulta presente, infatti, nell’85% dei casi esaminati (anche se solo nel 75,6% delle aziende essa si traduce poi in un preciso piano di comunicazione interna). Nel 1994 nell’87% delle maggiori organizzazioni viene svolta un’attività di comunicazione interna. Per quanto l’entità e le forme della comunicazione differiscano notevolmente da un’organizzazione a un’altra, si tratta di una percentuale elevata, proprio perché riferita ad una funzione “giovane”. Nel complesso delle imprese che oggi hanno al loro interno un’unità di comunicazione, nel 52% dei casi essa è stata istituita nei cinque anni compresi tra il 1990 e il 1994. Nel 39% nel decennio precedente, mentre solo nell’8% del totale l’unità di comunicazione interna è stata istituita negli anni ’70 (Invernizzi, ’96)3. Certo, le prime indagini hanno colto la comunicazione interna, intesa appunto come “funzione”, ancora allo stadio embrionale, come realtà emergente nel campo delle discipline che si rivolgono all’impresa. Un autorevole gruppo di intervistati (uomini di azienda e opinion leaders) la considera in quegli anni ancora allo “stato nascente” e quindi sprovvista di un proprio “statuto”, di identità consolidata, ma anche di una propria storia “ufficiale” (Confindustria/Methodos, ’92). Diverse ricerche mettono in evidenza, inoltre, che le dimensioni aziendali sono senza dubbio il fattore strutturale che più pesantemente ha _______ 3. “Spesso l’attività svolta non è ancora radicata e sviluppata se è vero che, fatto cento il numero di aziende nelle quali la comunicazione è presente, solo nel 52.5% dei casi analizzati l’attività è sviluppata in un’unità organizzativa specifica. Ciò non significa che nella metà rimanente delle organizzazioni la comunicazione erogata sia insignificante. Vuol solo dire che essa viene svolta all’interno di altre unità organizzative come Personale e Organizzazione (31% dei casi), come Relazioni Esterne (14%) o come Commerciale e Marketing (1.6%)” (Invernizzi, ‘96, pag. 186). 73 influito, e influisce, sullo sviluppo delle diverse forme di comunicazione e sulla presenza di unità ad essa dedicate (Quaglino,’92; Romano e Felicioli, ’92; Invernizzi, ’96, Ascai ’97) confermando come in Italia le vere differenze nella cultura manageriale debbano essere indagate proprio lungo la variabile piccola/grande azienda4. Già nei primi anni ’90, particolarmente significativa è l’alta percentuale dei casi (60%) in cui il vertice aziendale - in modo specifico l’Amministratore Delegato e il Direttore Generale - dimostra di partecipare alla formulazione della politica di comunicazione (Quaglino, ’92), indice questo di un segnale di utilizzo della comunicazione a supporto della realizzazione della strategia dell’impresa, o almeno come indicazione della tendenza a inserire la definizione della politica di comunicazione nel quadro della strategia aziendale. Occorre tuttavia sottolineare come i flussi della comunicazione si dimostrino soprattutto discendenti, con pochi o inesistenti raccordi tra le diverse funzioni. Le prime ricerche mettono in luce come la comunicazione avvenga prevalentemente per vie gerarchiche verticali, e fanno emergere una mancanza di sintonia tra le tipologie di strumenti impiegati dalle aziende a scopo prevalentemente informativo (stampa aziendale, avvisi in bacheca ecc.) e le opinioni manifestate dal personale circa le modalità preferite di comunicazione (scambi verbali con il proprio superiore, sia individualmente che durante apposite riunioni) (Amigoni, ’92). Emerge, in generale, una disabitudine diffusa a pensare alla comunicazione come un fenomeno “a due vie” e uno scarso peso attribuito dai vertici ai contenuti che vengono dal basso, proprio perché vengono dal basso (in quanto non sufficientemente “qualificati”, “autorevoli”, “credibili”, degni insomma di effettiva attenzione) (Confindustria/Methodos, ’92). Il vertice dell’azienda nella maggior parte dei casi comunica direttamente solo con la struttura gerarchico burocratica. Con il resto della popolazione interna la comunicazione è per lo più “mediata”. _________ 4. Come risulta dalla ricerca di Invernizzi, la presenza di una unità di comunicazione interna passa oggi da una percentuale di 22.9% nelle aziende fino a 1.500 dipendenti, a 53.2% nelle aziende con un numero di dipendenti compreso tra 1.500 e 5.000, per raggiungere la percentuale di 70% nelle imprese con un numero superiore di addetti (Invernizzi, ‘96, pag. 189). 74 Alto risulta comunque il grado di consapevolezza, da parte delle aziende, circa i limiti di questo sistema di comunicazione, soprattutto per la sua inefficacia rispetto alle sfide del cambiamento tecnologico e organizzativo. E’ indicativo, a questo proposito, il fatto che il 61% di un campione di aziende intervistate avesse già posto in programma interventi volti a modificare l’assetto della comunicazione interna (Romano, Felicioli, ’92). Ed è interessante notare come i cambiamenti previsti non riguardassero tanto l’aggiunta di nuovi strumenti, quanto più in generale la ricerca di nuove strategie e di una diversa qualità nei rapporti (Romano, Felicioli, ’92). In anni più recenti, un gruppo di top manager di fronte alla domanda “con chi ritiene sia più importante comunicare”, nel 40% dei casi risponde “con tutto il personale”, dimostrando, tra l’altro, come la comunicazione lentamente si riconduca al significato di rapporto orale fra le persone o di scambio diretto di informazioni e messaggi (Ascai, ’97). In un’ottica organizzativa in cui coinvolgimento e partecipazione sono sinonimi di qualità e successo, la comunicazione mano a mano si svincola dai suoi significati tradizionali, per diventare espressione d’intesa, possibilità di creare circostanze adatte alla nascita e allo sviluppo di impegni precisi, espressione di condivisione di rischi, responsabilità, valori. In relazione a questo significato mutano anche gli obiettivi delle politiche di comunicazione, che si conformano al piano di cambiamento e alle strategie di sviluppo. Dalle prime rilevazioni emerge come l’obiettivo della comunicazione sia soprattutto quello di migliorare la conoscenza e rafforzare l’immagine dell’azienda (Quaglino, ’92). Alla comunicazione viene affidato soprattutto il compito di garantire e difendere l’identità storica dell’impresa, di curare il suo clima interno. In altre parole, un compito che è molto improntato a obiettivi di autoconservazione e a un certo ripiegamento dell’organizzazione su se stessa (Romano, Felicioli, ’92). In alcuni casi è addirittura diffusa la convinzione che “sia sempre possibile ottenere coesione anche senza fare ricorso alla comunicazione interna”, e inoltre che “le informazioni circolino ugualmente anche in sua assenza” (Confindustria/Methodos, ’92). Col tempo assumono sempre maggiore importanza, tra le finalità riconosciute alla comunicazione interna, proprio lo sviluppo del coin75 volgimento delle persone, il senso di appartenenza e i valori strategici condivisi. Anche se sono soprattutto le organizzazioni più innovative e con una strategia di tipo proattivo quelle più sensibili all’impiego dei valori guida e più disponibili a utilizzare la comunicazione per diffonderli e renderli operativi (Invernizzi, ’96). Il ruolo della comunicazione interna diventa sempre più una componente della gestione del personale. Le linee del cambiamento sono evidenti: tra il 1990 e il 1992 la comunicazione viene utilizzata come leva strategica di gestione del personale dal 15% delle maggiori aziende italiane (pubbliche e private). Nelle previsioni espresse dalle medesime aziende per l’immediato futuro la comunicazione raggiunge un importante 33%, la percentuale più alta di cambiamento in relazione a tutte le altre leve di gestione di cui era stato previsto a breve un maggior utilizzo (tra queste leve ricordiamo, in ordine decrescente, la flessibilità organizzativa, la formazione, i sistemi retributivi) (Artemis Management Consulting, ‘94). E’ interessante notare, tra l’altro, come i dati della ricerca condotta da Artemis contribuiscano a rafforzare l’idea che una gestione innovativa del personale produca dei risultati positivi non solo in relazione al clima e al coinvolgimento, ma anche nel rapporto fra impresa e clienti esterni: la presenza di iniziative di comunicazione interna porta infatti il dato medio di miglioramento, relativo a questo rapporto, al 58%. Per quanto riguarda il piano operativo di comunicazione aziendale, è interessante notare come i dati delle ricerche non si discostino molto nel corso degli anni. La ricerca della Ascai (Ascai, ’92) rileva la presenza di un piano di comunicazione interna nel 75% delle aziende intervistate. La stessa percentuale risulta più tardi dai dati dell’indagine svolta da Invernizzi (Invernizzi, ’96), da cui si ricava, anche in questo caso, una forte correlazione positiva tra l’esistenza di pianificazione delle attività di comunicazione e il grado di innovazione organizzativa, a dimostrazione del fatto che le imprese più innovative sono quelle che evidenziano, anche attraverso l’impiego di queste tecniche manageriali, di attribuire più importanza alla comunicazione. Il Personale è sempre stata la collocazione storica dell’ente di comunicazione interna, in larga misura responsabile del suo piano operativo. Tutte le ricerche indicano che, in assenza di un ente specificamente 76 dedicato alla comunicazione, tale funzione viene svolta prevalentemente all’interno di questa struttura organizzativa, seguita dalle Relazioni Esterne e dal Commerciale e Marketing. Uno dei dati di maggior interesse riguarda comunque la diffusa consapevolezza (emersa in tutte le ricerche considerate) dell’importanza di forme di integrazione tra comunicazione interna ed esterna. Anche se, nei casi esaminati, solo molto raramente questa consapevolezza si traduce in meccanismi concreti di integrazione adottati, sia pure con significative differenze relative agli ultimi dati disponibili: dal 29% di casi in cui è stato possibile riscontrare la presenza di un unico ente di comunicazione (Quaglino, ’92), si passa infatti al 52.4% in tempi più recenti (Invernizzi, ’96)5. Il dibattito sui ruoli e sulla modalità di integrazione della comunicazione ha seguito numerosi e differenziati itinerari. Poiché non esiste un modello unico di integrazione e non è possibile stabilire, secondo schemi di validità generale, quali siano i compiti specifici degli organi ad essa preposti, la definizione delle funzioni di integrazione deve essere strettamente collegata alle caratteristiche dell’impresa e alle condizioni settoriali che ne determinano la criticità da un punto di vista concorrenziale e reddituale6. La questione è comunque di grande rilevanza. L’ambiente sempre più competitivo in cui le aziende si trovano ad agire, caratterizzato da interdipendenza tra i numerosi e mutevoli attori, impone infatti una sempre maggiore coerenza tra i messaggi indirizzati ai diversi interlocutori. “Esistono buone ragioni - nota Invernizzi - per integrare le diverse attività di comunicazione. In primo luogo perché sempre più gli strumenti di comunicazione esterna sono rivolti a pubblici interni e viceversa. In secondo luogo, perché oramai pressoché tutte le comunicazioni esterne devono considerare gli effetti che provocano all’interno. _______ 5. Nel recente mini-sondaggio effettuato dalla Ascai su un gruppo di top manager è emerso che 67 intervistati su 113 (il 59%) considerano l’attività di comunicazione nell’azienda come un fatto unitario non solo in termini concettuali, ma anche organizzativi (Ascai, ‘97). 6. Fiocca, Ostillio, ‘93. 77 Infine, perché tutte le più significative attività di comunicazione interna hanno effetti sull’esterno sia per le informazioni che gli interni danno sull’impresa e sui prodotti e servizi, sia per la qualità del rapporto che essi instaurano con gli interlocutori esterni”7. Recenti indagini empiriche sulla Customer Satisfaction hanno convalidato la tesi dell’integrazione funzionale, dimostrando come le imprese di maggior successo siano proprio quelle che, prescindendo da variabili dimensionali, settoriali o geopolitiche, appaiono caratterizzate da un approccio innovativo alla gestione della complessità dei mercati: la massima integrazione di tutte le componenti funzionali tradizionalmente intese. Si delinea, in quest’ottica, la nascita di un nuovo modello di impresa, incentrato sullo sviluppo del patrimonio di risorse immateriali; sviluppo perseguito mediante la mobilitazione di tutte le energie organizzative verso la creazione di valore per il cliente. Il risultato è la generazione di una visione unitaria, stimolata da una grande innovazione nei processi di comunicazione e di gestione delle risorse umane. Benché tali osservazioni siano ampiamente condivise e risultino intuibili, paradossalmente molte imprese ancora oggi definiscono le caratteristiche d’uso e di immagine dell’offerta prescindendo dalla ricerca di una sintonia tra la soddisfazione desiderata dai consumatori e la soddisfazione pianificata dal management. Il risultato è un “gap di coinvolgimento” del personale aziendale, che viene indicato come uno degli ostacoli sicuramente più critici per la diffusione dei valori connessi all’orientamento al cliente (Valdani, ’94). _______ 7. Invernizzi, ‘94, pag. 28. 7. La comunicazione integrata è stata oggetto di analisi mirata in una ricerca svolta da due docenti dell’Università Bocconi. Dall’indagine è emerso come la prevalenza tra orientamento verso l’esterno e verso l’interno risulti condizionato dalle caratteristiche settoriali dell’impresa. In particolare, l’interesse verso le dinamiche esterne è prevalente nei settori in cui si attribuisce una forte rilevanza alla politica di prodotto: industriali, di consumo durevole; verso l’interno nei settori caratterizzati da elevata complessità tecnologica e complessità di mercato (settori in forte evoluzione, altamente internazionalizzati). La forte resistenza al cambiamento e la “cristallizzazione” della cultura risultano essere gli ostacoli maggiori all’applicazione in azienda di forme integrate di comunicazione (Fiocca, Ostillio, ‘93). 78 Ma torniamo ai dati delle ricerche sulla comunicazione, questa volta per capire se, e in quale misura, si sia affermata nel tempo una gestione manageriale di questa funzione. Oltre alla presenza di un piano preciso di comunicazione, la verifica dell’impiego di tecniche manageriali avviene anche attraverso altri indicatori, come le indagini sui bisogni di comunicazione (la predisposizione all’ascolto) e l’impiego di forme di monitoraggio per la misurazione dei risultati. La carenza di questi strumenti di controllo, registrata nel corso degli anni attraverso tutte le ricerche, è sicuramente indicativa di un’attività gestita in modo troppo approssimativo. Sul terreno della gestione manageriale le imprese stanno muovendo solo adesso i primi passi. Ancora oggi, per esempio, pur considerando l’ascolto un’attività importante (il 59% di un campione intervistato) non sempre fanno seguire a questa consapevolezza un’attività corrispondente, come un’indagine sui bisogni di comunicazione interna (svolte dal 46% del medesimo campione) o forme di monitoraggio delle attività svolte (59%) (Invernizzi, ’96). Più interessanti appaiono invece le informazioni che è possibile ricavare sul grado di discontinuità dell’attività di comunicazione in relazione ai periodi di crisi, indice questo di una rilevanza più o meno strategica ad essa attribuita. L’atteggiamento iniziale delle aziende è piuttosto chiaro: le fasi di recessione implicano inevitabilmente tagli alle spese in comunicazione, soprattutto interna (Confindustria/Methodos, ’92). In anni successivi vengono riscontrate discontinuità considerevoli, negli investimenti in comunicazione, solo nel 10% delle grandi imprese e degli enti italiani (nel 58% degli stessi casi, nei periodi di crisi essi risultano stabili o addirittura aumentano) (Invernizzi, ’96). Infine, uno sguardo agli strumenti. I primi sondaggi offrono un panorama degli strumenti di comunicazione certamente ricco e differenziato, ma in larga misura concentrato su iniziative di stampa aziendale a carattere periodico e di taglio “giornalistico”. I flussi della comunicazione interna sono soprattutto discendenti e non consentono la necessaria raccolta di feed-back. Elevato si dimostra ancora il numero di aziende che comunica con il personale attraverso canali e media che fanno parte di quello che viene definito “sistema tradizionale” della comunicazione interna. Sistema, cioè, che risponde soprattutto a obiettivi “po79 litici”, di governo della macchina organizzativa, attraverso l’esercizio di funzioni specificamente orientate in questo senso, come quelle di omologare, uniformare, controllare, stimolare sentimenti di appartenenza (tra gli strumenti più comunemente utilizzati: le bacheche, gli house organ, le grandi riunioni, i family day. Si tratta di mezzi che non consentono una grande densità e ricchezza di informazioni, pur avendo una forte validità espressiva) (Romano, Felicioli, ’92). Nell’arco di pochissimi anni, tuttavia, il cambiamento del contesto socioculturale (che sotto la spinta dell’innovazione tecnologica e dell’accresciuta competitività ha reso necessaria l’elaborazione di nuovi valori e di nuovi criteri di gestione delle risorse umane) ha messo in evidenza i limiti e le carenze di questo modello aziendale e dei corrispettivi strumenti di comunicazione. Dovendo parlare a persone sempre più coinvolte nel rapido sviluppo dei mass media, anche la comunicazione aziendale si adegua alle nuove tendenze: come forma adotta un linguaggio più semplice e meno “codice interno”; sul piano dei contenuti, fornisce informazioni più complete e trasparenti. All’interno del nuovo quadro organizzativo l’omologazione della cultura e dei comportamenti ha ancora un ruolo importante, anche se è cambiato, per così dire, il suo orientamento. L’uniformità e la coerenza delle azioni, delle idee, dei criteri, nascono dalla necessità di operare in modo coordinato per il raggiungimento degli obiettivi. L’azienda tende a rompersi in tanti nuclei relativamente autonomi, tenuti insieme dalla fragile ragnatela del coordinamento e della comunicazione. Una situazione che può far emergere le spinte centrifughe tendenti alla definitiva disgregazione di tutto il sistema. Stimolare il senso di appartenenza è quindi, anche nella nuova azienda, un obiettivo fondamentale. Paradossalmente, proprio in questi ultimi anni, si assiste al recupero di forme e strumenti della comunicazione che hanno caratterizzato la prima fase del processo di industrializzazione, prima che la crescita dimensionale delle imprese rendesse necessario l’ampio ricorso alle forme mediate di comunicazione8. _______ 8. Ascai Servizi, ‘97. 80 Nasce da qui l’enfasi posta oggi sulla comunicazione interpersonale, sull’importanza della relazione capi-collaboratori e degli incontri tra leader aziendali con i capi. In una delle ultime indagini svolte, alla domanda che cercava di indagare sul relativo declino e il relativo sviluppo dei principali strumenti di comunicazione interna, le risposte più positive si sono concentrate proprio sugli strumenti di comunicazione interpersonale, mentre hanno registrato le valutazioni più basse quelli tradizionali di comunicazione scritta e, più in generale, mediata. In particolare, il 71% degli intervistati ha indicato che tende ad aumentare in misura consistente le “riunioni a cascata tra capi e collaboratori”; il 66.7% la “formazione sulla comunicazione interpersonale”, il 54.1% le “convention aziendali” (Invernizzi, ’96). Questo aspetto risulta particolarmente interessante perché non denota un ritorno a politiche aziendali tipiche degli anni ’50, in particolare delle scuole di “human relation”, ma una caratteristica delle organizzazioni moderne e tecnologicamente avanzate, dove, proprio per la pervasività delle tecnologie, dei sistemi automatizzati, della cultura della flessibilità e dell’innovazione continua, le reti di relazioni interne, gli stili di leadership e la qualità delle relazioni interpersonali, rappresentano il primo fattore del sistema di qualità aziendale. 81 UN CASO ESEMPLARE: “IL LABORATORIO DELLA COMUNICAZIONE” La tendenza generale è sicuramente verso un maggior utilizzo della comunicazione interna. A confermarlo sono anche i dati di una recente ricerca che ha analizzato lo “stato dell’arte” della comunicazione d’impresa in Europa: il 70% di un campione di aziende analizzate, appartenenti a sei Paesi europei (Belgio, Francia, Germania, Regno Unito, Spagna, Italia) ha indicato gli strumenti di comunicazione interna tra quelli di cui è previsto a breve un maggior utilizzo (assieme al direct response e alla promozione vendite) (Collesei,’96). Contemporaneamente all’emergere di una maggiore attenzione verso i percorsi comunicativi interni, si assiste alla diffusione di un altro fenomeno: lo svuotamento e la conseguente perdita di contenuto proprio degli uffici aziendali delegati a gestire i percorsi di comunicazione. Il comunicare cessa cioè di configurarsi come circoscritta responsabilità di staff poiché, in quanto expertise richiesta ad ogni dipendente, diviene responsabilità diffusa a diversi livelli aziendali (Ascai Servizi, ’97). La comunicazione sempre meno si identifica nel corpus di tecniche, strumenti e competenze dei tecnici ad essa preposti, per coincidere col sistema organizzativo stesso. “Organizzare” e “comunicare” vengono indicati come momenti complementari del corso di decisioni e azioni nel quale la vita aziendale si concreta. Il ragionamento può essere esteso, in parte a riprova di quanto affermato. Le modifiche a livello organizzativo, infatti, non sono in grado 82 di innescare reali processi di cambiamento all’interno delle aziende se non sono accompagnate da contemporanee modifiche del sistema comunicativo. Partendo dal presupposto di considerare intervento organizzativo solo quello operato sulle strutture, è stato possibile constatare che interventi che riducono i livelli gerarchici, che creano nuove strutture cancellandone altre, modificano la struttura formale di un’organizzazione ma non possono cambiare la distribuzione delle competenze acquisite dalle persone e dalle unità organizzative preesistenti9. In sintesi, la lean organization non è un modello studiato a tavolino che può essere trasferito alle imprese in maniera meccanica, ma presuppone l’istituzione di figure, di ruoli e di professionalità che abbiano la responsabilità di rendere più efficienti i collegamenti, le comunicazioni e le connessioni tra i gruppi. Anche all’interno di alcune imprese particolarmente sottoposte agli imperativi del cambiamento e più dotate di risorse e di capacità particolari, i modelli reticolari di comunicazione non si diffondono in maniera automatica in relazione all’utilizzo di nuovi modelli organizzativi. Una serie di ostacoli di fatto si frappongono allo sviluppo in azienda di una cultura della comunicazione. La verifica empirica di questo fenomeno è stata resa possibile grazie all’analisi del concreto sistema di comunicazione di un grosso gruppo italiano operante nel campo dell’industria metalmeccanica, che nel 1991 ha intrapreso la strada della riorganizzazione secondo le direttrici dettate dai modelli di organizzazione snella e di Qualità Totale10. _______ 09. Mazzoli, ‘96a. 10. Nello specifico, i livelli gerarchici della struttura organizzativa sono stati dimezzati e sono state costituite tre Celle integrate di produzione (Cip), una relativa alle aree tecnologiche, una al pre-assemblaggio, una all’assemblaggio finale. “Le Cip rappresentano la più forte applicazione dei concetti legati alla organizzazione di fabbrica e alla Qualità totale. E’ diretta da un responsabile (Capo-Cip) che dipende direttamente dal Direttore, in modo da realizzare processi comunicativi e informativi bottom-up, che permettono di proporre e attivare con la massima rapidità le azioni necessarie per il miglioramento continuo della qualità, del servizio al cliente, del conto economico, nonché delle relazioni comunicative e informative tra i soggetti appartenenti. In questo senso, la struttura per Cip prevede un recupero della soggettività nello spazio lavorativo e uno sforzo di collegare la qualità tecnica dei prodotti con la qualità del lavoro e della vita all’interno degli stabilimenti” (Mazzoli, ‘95, pag. 135). 83 La ricerca è stata condotta da un gruppo di ricercatori del LaRica (Laboratorio di Ricerca della Comunicazione Aziendale) dell’Università di Urbino, attraverso una metodologia qualitativa, molto elastica e duttile, che ha permesso di far emergere tutti gli elementi legati ai comportamenti, agli atteggiamenti e alle opinioni degli intervistati. Il percorso di verifica si è svolto su diversi livelli, tenuti distinti da un punto di vista espositivo, ma che sono strettamente intrecciati dal punto di vista concettuale e operativo: • l’analisi di sfondo relativa al sistema organizzativo; • lo studio e la definizione dei sistemi di comunicazione che costituiscono tale sistema organizzativo; • la verifica del funzionamento dei sistemi di comunicazione tramite l’analisi di uno specifico “messaggio aziendale”; • la sperimentazione di soluzioni originali attraverso l’attivazione di un Laboratorio della Comunicazione. Dall’analisi dei primi due punti (effettuata attraverso una serie di indagini preliminari con dirigenti e quadri e interviste semistrutturate a diverse figure professionali operanti nel settore produzione11) è stato possibile verificare l’esistenza nella fabbrica di due mondi distinti, di cui uno piuttosto integrato e coerente, che fa riferimento a pezzi da produrre, operazioni tecniche da svolgere. L’altro, meno accentuato, è la fabbrica invisibile, fatta di relazioni comunicative ancora troppo deboli, di rapporti troppo spesso strumentali e freddi. In termini più specifici, per ciò che riguarda i capi, è stata registrata una non completa padronanza dei concreti strumenti messi a disposizione dalla nuova organizzazione per gestire la delega in termini di gestione delle risorse umane. La figura del capo intermedio (capolinea), su cui si è concentrata la ricerca in quanto operatore centrale nei processi di comunicazione dell’azienda, ha un ruolo informativo-comunicativo ancora troppo debole e incerto, che spesso non lo aiuta ad essere protagonista a tutto campo dei nuovi processi aziendali. _______ 11. Gli autori della ricerca fanno notare che la scelta dell’area produttiva si giustifica col fatto che essa riveste un ruolo strategico dal punto di vista delle dinamiche comunicative. Inoltre, è proprio all’interno di quest’area che l’azienda in questione ha deciso di concentrare maggiormente gli sforzi di innovazione organizzativa, come gli interventi e le azioni di qualità. 84 Per quanto riguarda gli operai, è stato messo in luce un problema a monte di conoscenza dei cambiamenti e delle nuove configurazioni organizzative. Si rendeva quindi necessario, da un lato rivedere le informazioni loro rivolte, per centrarle su contenuti del “mondo di vita e di relazione”; dall’altro, attuare un’azione di pedagogia diffusa sulla nuova semantica aziendale con l’obiettivo di migliorare l’informazione sui cambiamenti e ottenere dei feedback sull’efficacia di questa operazione. Per ricavare ulteriori informazioni utili alla conoscenza delle specificità culturali del caso esaminato, l’attenzione dei ricercatori si è poi focalizzata sullo studio di un particolare messaggio aziendale, volto a diffondere a tutti i membri dell’organizzazione i concetti e le nozioni principali della Qualità Totale, a iniziare una discussione interna sui comportamenti organizzativi necessari per rendere efficaci le nuove strutture organizzative12. Attraverso una serie di colloqui di valutazione, condotti con i soggetti che avevano partecipato all’iniziativa, i ricercatori hanno voluto analizzare l’efficacia del messaggio trasmesso, verificare le modalità di traduzione dello stesso da parte dei riceventi e, inoltre, valutare la congruenza tra obiettivi aziendali e aspettative dei partecipanti. Uno degli aspetti più significativi emersi è sicuramente il rapporto intergenerazionale all’interno dello stabilimento. Le discrepanze più significative, in termini di apprendimento e di rapporti relazionali, sono emerse proprio fra “anziani” e “giovani”, e sono state interpretate sulla base di due diverse culture aziendali: una pragmatica, basata prevalentemente sull’esperienza concreta che connota i primi. L’altra scientifica, tipica dei “giovani”, cioè di persone che possiedono un grado di istruzione scolastica abbastanza elevato e che per questo affrontano in modo più razionale le situazioni di lavoro, facendo leva su un bagaglio conoscitivo astratto, acquisito con la formazione. _______ 12. Da un punto di vista metodologico, questa iniziativa è stata strutturata dall’azienda come un modulo di due ore d’aula, in cui alcuni filmati erano alternati a interventi diretti di capi intermedi. 85 In sintesi, l’esistenza di due culture sembra aver portato ad una comprensione di tipo diverso del messaggio trasmesso, portando all’identificazione di due concetti diversi di qualità che accentuano aspetti tra loro differenti. Gli “anziani” hanno cioè privilegiato soprattutto una qualità di prodotto, legata alle necessità produttive alle quali si trovano di fronte durante il loro lavoro. I “giovani”, invece, si sono soffermati sugli aspetti più vicini alle tematiche organizzative e relazionali sostenendo e privilegiando un’accezione di qualità come comunicazione, identificandosi come la classe di età che ha assimilato la parte più innovativa del pensiero aziendale. Per chi opera in azienda, l’insegnamento che è possibile trarre da questo tipo di indagine è che occorre sempre porsi il problema di ridefinire le reti comunicative e informative in modo da coinvolgere nei processi di comunicazione tutti i gruppi presenti nell’organizzazione. L’analisi qualitativa di questo specifico messaggio ha portato ad ipotizzare che l’iniziativa avesse comunque privilegiato modalità comunicative più consone agli “anziani”. L’osservazione di questo fenomeno ha indotto i ricercatori a fare una considerazione di carattere generale: all’evoluzione storica e organizzativa delle aziende non si è ancora legato un adeguato sviluppo di nuove reti di comunicazione. L’ultima parte della ricerca è stata indirizzata verso la sperimentazione concreta di alcuni interventi nell’ottica del miglioramento dei processi comunicativi e relazionali, sulla base dei problemi emersi attraverso le indagini preliminari. Per approfondire le problematiche comunicazionali, i ricercatori hanno sentito l’esigenza di utilizzare una metodologia di ricerca non usuale, che permettesse “un’integrazione tra scopi dell’indagine, attività di sperimentazione sul campo, continuo confronto con i differenti ruoli coinvolti nell’attività, interdipendenza tra ipotesi conoscitive, ipotesi operative e obiettivi del mutamento sistemico13”. A tale scopo, è stato ritenuto utile l’utilizzo di uno strumento come il Laboratorio della Comunicazione, che implica la costituzione di gruppi di progetto composti _______ 13. Mazzoli, ‘96a, pag. 132. 86 da personale dell’azienda e da ricercatori universitari, che insieme definiscono obiettivi e procedure con cui orientare le proprie azioni. Si tratta di uno studio sistematico in uno specifico contesto, orientato verso il cambiamento concreto del modello organizzativo; caratterizzato dall’azione in quanto esso implica in larga parte interventi di formazione e sperimentazione sotto il controllo della comunità scientifica e della direzione dell’azienda. In sintesi, “un processo di conoscenza durante il quale avviene un mutamento”. Nello specifico caso aziendale analizzato, il Laboratorio ha avuto la funzione di sperimentare azioni in grado di coinvolgere maggiormente i dipendenti all’interno delle reti di comunicazione, con un’attenzione particolare per il ruolo di perno di collegamento svolto dai capi intermedi (capilinea). L’appiattimento della struttura organizzativa sta infatti provocando una ridefinizione dei ruoli collegati a queste figure professionali che devono ridisegnare le rispettive aree di responsabilità ma faticano a trovare un momento di integrazione stabile e definito. Depurata da alcuni elementi propriamente locali, l’esperienza fatta può essere vista come un tipo ideale dei percorsi di cambiamento organizzativo che da anni stanno caratterizzando le grandi imprese. Non solo. Iniziative di questo tipo sono utili per creare tra Accademia e Impresa linguaggi comuni e condivisi. La prima si sforza infatti di riconoscere “dignità” all’agire pratico all’interno dell’impresa, alla ricerca applicata, alla formazione “su problemi” e non solo su teorie astratte. L’Impresa, dal canto suo, apre i cancelli, si lascia osservare, offre la sua cultura - intesa come corpo di conoscenze consolidatesi nella pratica gestionale, produttiva, organizzativa - alle istituzioni accademiche e agli organi demandati alla ricerca scientifica. Solo questa collaborazione reciproca, del resto, rende possibile la verifica empirica di un fenomeno - la comunicazione - che chiama in causa valori, atteggiamenti, comportamenti, motivazioni delle persone. Tutto quello che viene comunemente definito come cultura d’impresa. 87 L’APERTURA DELLA RICERCA ALLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE Nonostante sia oramai risaputo che l’economia italiana poggia quasi interamente sulle capacità di sviluppo e di innovazione del sistema delle piccole e medie imprese, tale realtà è stata per lungo tempo oggetto di scarsa attenzione e interesse. Le ricerche prodotte hanno contribuito a tratteggiare un quadro generale e complessivo di questo mondo, ma nella maggior parte dei casi si sono fermate ai confini dell’impresa, e non hanno saputo svelarne i meccanismi di funzionamento, i modi specifici di apprendimento e sviluppo. Nell’ambito specifico della comunicazione d’impresa, il “gap” esistente in letteratura trova probabilmente una ragione in alcune supposizioni di carattere generale: • la prevalenza, all’interno della piccola e media impresa, di una prassi comunicativa informale, facilitata dalle ridotte dimensioni; • la possibilità di una percezione più immediata degli aspetti fondamentali attinenti alla gestione d’azienda; • una conoscenza diretta dell’evoluzione della vita aziendale da parte dei partecipanti. Molte indagini hanno rilevato dati di fatto in tal senso, evidenziandoli come punti di forza dello small business, nei termini soprattutto di una maggiore flessibilità gestionale e di migliori relazioni con i dipendenti. Negli anni ’90, tuttavia, i cambiamenti del mercato internazionale, le nuove scoperte tecnologiche, l’avvento delle tecnologie informati88 che, la crescita del grado di formazione, sono tutti fenomeni che hanno fatto emergere l’esigenza di una politica di comunicazione anche per le piccole e medie imprese, che superi lo stadio dello spontaneismo e delle casualità in favore di una scelta più lucida e consapevole, a partire dal motore dell’azienda, cioè dall’imprenditore. Il mutato scenario socio economico, infatti, caratterizzato dalla progressiva caduta delle barriere territoriali, settoriali e comunicative, se da un lato ha aumentato gli spazi potenziali di crescita della piccola e media impresa, dall’altro lato ha reso sempre più necessario lo sviluppo di risorse che aumentano la sua velocità di reazione (investimenti immateriali in conoscenza, relazioni, sperimentazioni) e che facilitano la costruzione di reti (sistemi logistici, comunicativi e di garanzia). In questo contesto diventa essenziale che l’impresa disponga di una capacità relazionale e comunicativa maggiore rispetto a quella richiesta nel passato, allo scopo di rapportarsi con un numero molto più ampio di interlocutori strategici. Ma è proprio su questo terreno che il ritardo culturale delle Pmi sta diventando critico. Le poche ricerche sull’argomento, che hanno analizzato i processi di comunicazione di piccole imprese in diversi contesti territoriali, hanno messo in evidenza l’esistenza al loro interno di un orientamento alla comunicazione, ma hanno anche rilevato come questo orientamento, nella generalità dei casi analizzati, risulti poco diffuso e costituisca un punto di debolezza, specialmente quando se ne osservano i conseguenti riflessi operativi. Un importante contributo, in tal senso, è stato offerto da una ricerca che ha analizzato la complessa interazione tra cultura, sistema produttivo e territorio, focalizzando l’attenzione sugli aspetti comunicativi e relazionali delle piccole e medie imprese marchigiane, particolarmente rilevanti non solo nella loro gestione interna, ma anche nell’organizzazione sistemica interaziendale propria del distretto (Mazzoli, ’96b). Obiettivo della ricerca era quello di disegnare una sorta di carta d’identità della piccola impresa marchigiana, facendo emergere elementi riguardanti la sua struttura, i suoi imprenditori, le caratteristiche della comunicazione, interna e esterna, la percezione dell’innovazione e della concorrenza. 89 Relativamente alla figura dell’imprenditore è stato possibile rilevare una contraddizione di fondo nella sua politica di gestione aziendale, legata alla mancata corrispondenza tra l’importanza generalmente attribuita a valori come la responsabilità, la professionalità, la creatività, il lavoro di gruppo, e la quasi totale assenza di un’effettiva pianificazione ed esplicitazione della mission aziendale. E questo mancato intervento, come sottolineato dagli autori della ricerca, comincia ad essere percepito come problematico, soprattutto nelle aziende di maggiori dimensioni, dove l’importanza intuitivamente attribuita a questi valori è molto rilevante, ma questa consapevolezza stenta a dar vita a comportamenti organizzativi veri e propri all’interno dell’azienda. L’imprenditore confida sull’intensità delle relazioni quotidiane con i propri dipendenti e sull’esempio, in ciò trasferendo l’ottica familistica nella direzione dell’azienda. I meccanismi di funzionamento dell’impresa e i suoi processi di comunicazione risultano in questo modo fortemente condizionati dalla cultura, dalla personalità, dalle motivazioni del suo imprenditore, dalla sovrapposizione tra i ruoli di proprietario, manager e spesso di lavoratore esecutivo. Nel 60% dei casi analizzati, infatti, l’industriale gestisce personalmente la funzione comunicativa, dando vita ad un’interazione che si caratterizza come individuale (61%) e informale (76%). Ciononostante, la definizione di comunicazione che l’imprenditore fornisce è quella di “atto informativo” (66%), unidirezionale, quindi, che non prevede relazionalità tra le parti coinvolte. A ciò fa seguito la richiesta di una maggiore capacità ricettiva da parte dei propri collaboratori, percepiti come scarsamente coinvolti e interessati. L’imprenditore ritiene comunque di poter impostare la comunicazione in azienda senza particolari problemi, potendo fare ricorso alle sue capacità comunicative innate, che fanno parte del suo stile direzionale. La denuncia di serie difficoltà di interazione riguarda esclusivamente i rapporti intrattenuti con enti e istituzioni in genere, la cui burocrazia viene riconosciuta come uno dei maggiori ostacoli all’attività imprenditoriale. Tuttavia, l’abitudine all’informalità, che solitamente caratterizza i rapporti e quindi il linguaggio dell’imprenditore, costituisce un forte limite nell’intrecciare relazioni che richiedono una maggiore formalità e quindi l’utilizzo di un diverso codice. 90 L’anima tradizionalista di queste imprese emerge, inoltre, in una serie di altri fattori, legati alla prevalenza della cultura del prodotto, che rispecchia il passato professionale artigianale e pragmatico, alla concezione prevalente di innovazione, che fa riferimento quasi esclusivamente all’ambito tecnico-produttivo, senza dare la dovuta importanza agli aspetti soft dell’impresa, alla sua infrastruttura immateriale, l’unica in grado di conferirle continuità nel suo progressivo processo di cambiamento. E infine, particolarmente problematico appare l’aspetto dei collegamenti con altre imprese, ostacolato dalla scarsa penetrazione degli strumenti telematici (il 62% delle aziende non possiede alcun collegamento) e dalla necessità di diffondere una cultura dell’informazione. Il generale atteggiamento positivo e di attesa dimostrato nei confronti delle nuove tecnologie di informazione e di comunicazione, si scontra di fatto con la scarsa conoscenza delle potenzialità di questi strumenti, componenti fondamentali nello sviluppo di nuovi modelli di gestione delle imprese. Anche le piccole e medie imprese venete sono state oggetto di indagine in relazione al tema specifico della comunicazione d’impresa. Una ricerca svolta presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (Nelli, ’98) ha cercato di esaminare in quale misura, nelle cellule produttive del laborioso Nord Est, si sia oggi affermata un’ottica di gestione all’interno della quale venga posta una particolare attenzione alla comunicazione d’azienda, non tanto, o non solo, nelle sue forme prettamente commerciali, ma in quanto fonte di risorse immateriali di rilevanza strategica. E’ solo in quest’ottica, infatti, che la comunicazione assume la prioritaria funzione di trasmettere i caratteri distintivi che costituiscono l’impresa, necessari per ottenere, nei confronti degli interlocutori, un’immagine positiva. La ricerca intendeva individuare i principali caratteri delle piccole e medie imprese venete che meglio hanno compreso la rilevanza strategica della comunicazione e cogliere gli elementi fondamentali che hanno reso possibile tale assunzione di consapevolezza. E’ emerso, in estrema sintesi, come l’immagine aziendale stia velocemente accrescendo la rilevanza del proprio ruolo all’interno delle 91 imprese venete, costituendo, attualmente, insieme all’immagine di prodotto, una risorsa strategica di prioritaria importanza. Coerentemente allo svilupparsi di questa nuova ottica aziendale, stanno accrescendo la loro importanza anche la comunicazione di marketing, l’obiettivo comunicazionale relativo all’affermazione dell’immagine e, tra gli altri strumenti della comunicazione esterna, non solo quelli tradizionalmente utilizzati dalle imprese venete, quali il personale di vendita, le fiere, i cataloghi, ma anche la pubblicità di prodotto e le relazioni pubbliche. Per quanto riguarda i pubblici della comunicazione, si riscontra uno sforzo nell’ampliare la tipologia degli interlocutori a cui riferire le proprie attività di comunicazione. In particolare, ha assunto un’importanza crescente il pubblico dei dipendenti, al quale vengono rivolte soprattutto riunioni, colloqui informali e corsi di formazione. Con riferimento agli aspetti organizzativi, la ricerca ha rilevato la scarsa presenza, presso le imprese esaminate, di un responsabile specifico della comunicazione e soprattutto il suo ridotto coinvolgimento nella definizione della politica di comunicazione, la cui realizzazione operativa viene per lo più affidata, nella maggior parte dei casi (71%) a un gruppo di lavoro interno, molto raramente ad agenzie di comunicazione (8%) o a un collaboratore esterno (10%). Nel discriminare l’atteggiamento delle imprese in relazione alla politica di comunicazione, la variabile “dimensione aziendale” non ha offerto risultati di grande rilievo (fatta eccezione per la maggiore importanza attribuita dalle imprese più grandi alla comunicazione di marketing, quale fattore di successo competitivo). Maggiori elementi di differenziazione sono emersi dall’analisi degli aspetti più propriamente “esterni” all’impresa, come l’autonomia di mercato e la propensione all’esportazione: le imprese che operano con un numero ristretto di clienti ritengono infatti la comunicazione di marketing poco importante, mentre quelle che hanno elevate percentuali di fatturato estero attribuiscono maggiore importanza alla comunicazione, all’immagine e alle relazioni commerciali. In ogni caso, le imprese che oggi appaiono più mature sotto il profilo comunicazionale sono quelle che hanno percorso un preciso sentie92 ro evolutivo, in un arco di tempo relativamente lungo, durante il quale esse hanno subìto variazioni nelle dimensioni, nell’assetto organizzativo, hanno effettuato cambiamenti, realizzato progetti. In altre parole, si sono rivelate aziende vitali, dinamiche, oltre tutto operanti all’interno di “spazi di collaborazione” con altre imprese sempre più ampi. Quest’ultimo aspetto è stato giudicato particolarmente interessante, poiché la cosiddetta impresa-rete, che può assumere la duplice forma di alleanze orizzontali (tra imprese indipendenti sotto il profilo della fornitura e della produzione) e/o di alleanze lineari14 (lungo la catena del valore) consentirà di fatto al modello italiano di piccola e media impresa di affermarsi e di svilupparsi ulteriormente sulla scena economica mondiale. Tale struttura renderà infatti complementari le capacità imprenditoriali e favorirà convivenze sinergiche tra imprese piccole e grandi, tra le imprese e i loro clienti, tra il management e le forze sociali. Risultati in parte analoghi sono emersi da un’indagine realizzata, sempre in Veneto, da Demoskopea, per conto delle Associazioni Industriali della Provincia di Vicenza, volta soprattutto a fornire uno strumento operativo ai professionisti del settore per migliorare il loro approccio alle Pmi. _______ 14. “A questo proposito diventa rilevante, per l’affermazione di una cultura della comunicazione nella Pmi, individuare il ruolo che essa svolge nel sostenere la formazione e lo sviluppo di relazioni reticolari all’interno della filiera produttiva... Affiancando all’ottica della comunicazione per il controllo del mercato di sbocco, quella della comunicazione per il controllo della filiera produttiva, probabilmente le Pmi potrebbero comprendere in modo molto più vicino alla loro realtà il contributo che può offrire la comunicazione nell’affinare le loro potenzialità, rispondendo a esigenze molto concrete” (intervento di Roberto Nelli al Convegno “Settimana della Comunicazione d’Impresa”, Teatro Manzoni, Milano, 10-11 giugno 1998. Nell’ambito del convegno l’autore ha reso noti i risultati di una seconda ricerca, svolta nel 1997, che ha analizzato la comunicazione delle piccole e medie imprese nel distretto del mobile della Brianza. Il tessuto produttivo fortemente integrato di questo distretto e il suo sviluppo equilibrato hanno consentito la realizzazione di una fitta rete di relazioni tra i soggetti della filiera, evidenziando il ruolo essenziale che la comunicazione svolge al suo interno). 93 Le differenze che sono emerse, tra le imprese di questo diverso campione, risultano variare prevalentemente in funzione del contesto in cui esse operano, e quindi in funzione di alcuni fattori, quali la struttura del settore, la tipologia di clientela, il prodotto, la presenza di un marchio aziendale. Ma si rilevano importanti anche molti altri fattori, legati soprattutto alla personalità dell’imprenditore, alla sua felice intuizione, che ha consentito all’azienda di differenziarsi dai concorrenti, introducendo nuove logiche competitive nel settore e acquistando posizioni di primato in tempi brevi. E’ stato così possibile individuare, in aziende anche molto simili, culture e pratiche di comunicazione estremamente diverse. E’ degno di nota il fatto che più della metà delle aziende intervistate abbia dichiarato che intende investire di più in comunicazione (mentre nessuna prevede di ridurre tali spese). Alcune imprese, inoltre, dichiarano che in futuro presteranno particolare attenzione alla comunicazione istituzionale e alla comunicazione interna, in quest’ultimo caso “per motivare il personale, ma anche per migliorare l’immagine esterna e creare più sintonia nel perseguimento degli obiettivi aziendali”. Da quanto emerge, si coglie una conferma del ruolo centrale dell’imprenditore nella gestione della comunicazione aziendale, mentre il supporto dei consulenti esterni e delle agenzie (di cui si lamenta talvolta una generale mancanza di competenza e di professionalità) risulta limitato alle fasi operative. Tra le varie forme di comunicazione, la pubblicità è indubbiamente quella di maggior rilievo, sia in termini di importanza che le viene riconosciuta (è giudicata fondamentale dal 45% degli intervistati), che di concreto investimento economico (pari, in media, a 323 milioni di lire)15. Si coglie tuttavia un approccio riduttivo a questo strumento, che rileva una limitata consapevolezza delle sue potenzialità e dei suoi valori strategici. L’obiettivo assegnato alla pubblicità è molto semplice ed è uguale per tutti: far conoscere l’azienda, il marchio, i prodotti. Nessuna delle aziende intervistate fa riferimento alla necessità di costruirsi un’immagine presentando l’azienda e i prodotti con i valori che li sostengono. _______ 15. Subito dopo la pubblicità, il mezzo di comunicazione ritenuto più importante è la fiera (44%). Seguono in ordine le PR (34%), la comunicazione interna (34%) e, infine, le sponsorizzazioni (5%). 94 Nella ripartizione dell’investimento la quasi totalità viene assegnata alla pubblicità di prodotto, mentre a quella istituzionale non tocca più del 10% della spesa. In pochissimi casi le decisioni relative agli investimenti pubblicitari sono il risultato di un’accurata pianificazione, nel corso della quale si assegnano obiettivi ben precisi in termini di fatturato da raggiungere. L’entità del budget viene per lo più decisa in base alla necessità di investire “almeno quanto la concorrenza, alla necessità di garantire una presenza minima su alcuni media, alle disponibilità economiche e finanziarie...”. Anche la valutazione dei costi/benefici raramente viene effettuata con criteri rigorosi, in quanto si affida prevalentemente all’intuito e alla filosofia personale dell’imprenditore, che mai, o quasi mai, ha competenze specifiche in materia. Infine, è interessante osservare come, in generale, la scelta delle forme e dei mezzi pubblicitari, sia giudicata “facile”. Tale valutazione si basa però prevalentemente su considerazioni quali l’esperienza pregressa, la conoscenza approfondita del proprio mercato e del proprio target di riferimento, la “necessità” di investire solo su determinati mezzi, più che su considerazioni relative alla loro efficacia. Come giustamente è stato fatto osservare, la presenza di una cultura della comunicazione nella piccola e media impresa, al di là delle singole iniziative di comunicazione intraprese dipende dall’inserimento dell’azienda stessa in un quadro coerente di costruzione del posizionamento di mercato. (Nelli, ’98). Tuttavia, è proprio lungo questa direzione che le imprese dimostrano di incontrare le maggiori difficoltà, sia pure con differenze anche rilevanti legate al settore e alla diversa realtà territoriale. Esiste ancora, per esempio, una forte concentrazione sul prodotto e un’attenzione talvolta molto bassa alla gestione dell’immagine dell’impresa, meglio ancora della sua identità sociale. E’ certamente vero che, l’elevata frammentazione della produzione e della distribuzione, i ridotti fatturati medi, la modesta politica di marca, sono caratteristiche tali da non richiedere politiche di comunicazione particolarmente “aggressive”. Ciò non toglie che uno sforzo maggiore possa essere fatto proprio sul lato della valorizzazione delle risor95 se immateriali, la cui importanza è enormemente cresciuta nel passaggio dall’industria alla post-industria. Non si tratta, con questo, di concentrare i propri sforzi in via prioritaria sugli aspetti di comunicazione e di simbolizzazione (è chiaro che l’immagine deve poggiare sulla sostanza, e non viceversa), ma di arricchire il prodotto, e l’azienda, con ulteriori elementi distintivi che consentano di allontanarsi da una condizione di subalternità rispetto alla domanda e di sostenere, sulla base di vantaggi competitivi, robusti processi di crescita. 96 LA PRODUZIONE EDITORIALE 97 INTRODUZIONE L’esigenza di una riflessione unitaria sulla Comunicazione d’Impresa ha interessato naturalmente anche il versante dell’offerta editoriale. Il testo scritto, il libro - grazie anche alla sua capacità di caratterizzarsi come oggetto di riflessione, fruibile nelle circostanze più svariate del quotidiano - continua ad essere, nell’era della multimedialità, lo strumento essenziale per la trasmissione delle conoscenze e per la diffusione delle idee; obiettivi, questi ultimi, che la tecnologia al servizio della cultura consente di potenziare e di dilatare, ma non di sostituire. Un’analisi dovuta dunque, ma anche voluta, dal momento che, dall’indagine del panorama editoriale emergono spunti, riflessioni e tendenze in merito ai temi e ai problemi della Comunicazione d’Impresa. 99 I. NOTA METODOLOGICA Il primo passo è stato quello della consultazione di pubblicazioni specialistiche. Tra le fonti, numerose e diverse, si è rivelata preziosa la rivista trimestrale L’informazione bibliografica edita da il Mulino. La sua consultazione ha consentito di individuare la maggior parte delle ottantadue case editrici che hanno rappresentato il primo indispensabile nucleo di indagine, anche sotto il profilo della dislocazione territoriale. Il criterio della scelta, ad eccezione dei nomi più noti e consolidati nel campo editoriale, è stato quello della pertinenza dei titoli con le tematiche proprie o vicine alla comunicazione in generale e in particolare alla Comunicazione d’Impresa. Circa settanta di queste case editrici hanno dichiarato, attraverso colloqui telefonici, di pubblicare o di aver pubblicato testi in materia di comunicazione. Delineato così in maniera più mirata il campo d’indagine, si è proceduto con l’approfondimento. Dall’esame dei cataloghi inviati dalle Case editrici è stato possibile rilevare i titoli e, talvolta, l’anno di pubblicazione e la collana di appartenenza. L’acquisizione di questi dati ha consentito di focalizzare la ricerca su cinquanta Case editrici, per un totale di 236 testi, pubblicati nell’arco temporale che va dal 1990 al 1998. 100 La letteratura individuata, grazie anche ai testi inviati da diverse Case editrici, è stata analizzata in relazione alle sue finalità, teoriche e pratico-didattiche; suddivisa per macroaree e ulteriormente ripartita in relazione agli obiettivi e in relazione agli argomenti; infine, i testi ritenuti più significativi per la specificità, per l’attualità, per l’esemplarità e per la classicità sono stati oggetto di particolare attenzione. Nell’approfondimento dell’analisi si è infatti ritenuto opportuno inserire, nel presente lavoro, dei testi solo apparentemente anomali rispetto all’oggetto di indagine, nella convinzione che un’informazione di contesto sia comunque utile e per gli addetti ai lavori e per quanti si avvicinano, per la prima volta, alle problematiche della comunicazione e della Comunicazione d’Impresa. Questa convinzione dà ragione della presenza, all’interno di una bibliografia specifica, di testi come Linguaggio e informazione di Harris Zellig o di Metodi di decisione di Gianfranco Gambarelli e Giorgio Pederzoli. Dalla lettura di questi e di altri libri, per un totale di quaranta, sono stati redatti gli abstract ed evidenziati alcuni brani scelti. I testi adottati a livello universitario nell’ambito dei corsi di laurea in Scienze della Comunicazione non sono stati analizzati in questa parte del Rapporto in considerazione della loro specificità. 101 II. LE CASE EDITRICI La dislocazione territoriale delle ottantadue Case editrici contattate per la ricerca evidenzia la concentrazione più alta nel Nord-Ovest con il 57,3%; segue il Centro con il 23,2%; il Nord-Est con il 13,4%; il Sud con il 6,1%. Area territoriale v.a. % 47 11 19 5 82 57,3 13,4 23,2 6,1 100 Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud Totale Dislocazione territoriale 6% 23% Nord-Ovest Nord-Est 58% Centro Sud 13% 102 L’analisi relativa alle cinquanta Case editrici che pubblicano testi in tema di comunicazione, e che sono oggetto specifico dell’indagine, attenua la distanza tra Nord Ovest e Centro nella misura del 50% e colloca in 1 a 3 il rapporto tra Sud e Nord Est. In particolare, la dislocazione territoriale vede, in questo caso, il 56% delle Case editrici nel Nord Ovest (v.a. 28); il 28% al Centro (v.a. 14); il 12% nel Nord Est (v.a. 6); il 4% al Sud (v.a. 2). II. 1. LE CASE EDITRICI - RIPARTIZIONE TERRITORIALE NORD OVEST 57,3% (V.A. 47) Adelphi Milano Angeli Milano Apogeo Milano Baldini & Castoldi Milano Bollati Boringhieri Torino Città Studi Torino Cortina Raffaello Milano De Agostini Novara De Vecchi Milano Editrice Bibliografica Milano Egea Milano Einaudi Torino Feltrinelli Milano Garzanti Milano Giappichelli Torino Giuffrè Milano Guerini e Associati Milano Hoepli Milano Isedi Torino Itaca Milano Jaca Book Milano Jackson Milano Liviana Torino Longanesi Milano Lupetti Editori Milano Lybra Immagine Milano Mondadori Milano Mursia Milano Netbook Milano Nuova Italia Milano Paoline Eidotirale Milano Peruzzo Milano Rizzoli Milano Rusconi Milano S.E.I. Torino Saggiatore (il) Milano Sintagma Torino Sole 24 Ore Milano Sperling & Kupfer Milano Strategia d’immagine Tea Milano Tecniche Nuove Milano 103 TTS Torino (prov.) Unicopli Milano Universo Milano UTET Torino Vita e Pensiero Milano CENTRO 23,2% (V.A. 19) Aracne Roma Armando Roma Bancaria Editrice Roma Bulzoni Roma Carocci (già NIS) Roma Castelvecchi Roma Costa & Nolan Roma Editori Riuniti Roma ERI Edizioni RAI Roma Giunti Firenze Le Monnier Firenze Logica Roma Meltemi Roma Montefeltro Urbino Newton Compton Roma Nuova Arnica Roma Seam Roma Sipi Roma Theoria Roma NORD EST 13,4% (V.A. 11) Baskerville Bologna Campanotto Udine Cedam Padova Clueb Bologna Demetra Verona (prov.) Marsilio Venezia Mulino (il) Bologna Muzzio Padova Pitagora Bologna Scarabeo Bologna Zanichelli Bologna SUD 6,1% (V.A. 5) Cuen Napoli Laterza Bari Liguori Napoli 104 Orlando Palermo Tecnodid Napoli III. ANALISI DELL’OFFERTA EDITORIALE L’analisi dell’offerta editoriale in tema di Comunicazione d’Impresa rivela un panorama molto articolato e sicuramente complesso. L’esigenza di inquadrare la specificità della Comunicazione d’Impresa in ambiti più vasti, fa sì che spesso il tema sia affrontato secondo prospettive diverse, che possono essere legate, oltre che alla comunicazione in generale, all’organizzazione, alla gestione delle risorse umane, alla psicologia, alla sociologia, al marketing, alla multimedialità e alla qualità: “Comunicazione interna e processo organizzativo di D.F. Romano e R. Felicioli; Le relazioni interne. Nuove forme di gestione del personale di P. Iacci; Capire chi ci sta di fronte di C.C. Cucchi e M. Grassi; La Comunicazione d’Impresa. Percorsi e testi di sociologia, linguistica, psicologia ed economia di Maddalena della Volpe; Lettere vincenti. Come utilizzare alcuni segreti del direct marketing di Gianni Lombardi; E Dio creò Internet di Christian Huitema; La rivoluzione manageriale. Ripensare la qualità totale di Alberto Galgano”. In altre pubblicazioni il criterio guida è quello teorico, proprio dei testi problematici, di ampio respiro, che analizzano il processo della globalizzazione e della storicizzazione; che si interrogano sul significato, sull’evoluzione e sul ruolo sia della comunicazione che della Comunicazione d’Impresa in relazione alla prepotente emersione delle nuove tecnologie: “Le rivoluzioni della comunicazione. Tecnologie di comunicazione e strutture sociali di Nino Damascelli; La comunicazione mondo di Ar105 mand Mattelart; Multimedia a cura di John Waterworth; Dall’alfabeto alle reti. Per una storia evolutiva della comunicazione di Antonio Pilati”. III. 1. LE COLLANE La pervasività, in qualche modo fisiologica, del termine comunicazione, si riscontra anche nella collocazione dell’argomento nell’ambito di specifiche collane. Si trovano produzioni particolarmente mirate, all’interno delle quali la comunicazione è “frantumata” in relazione alla destinazione d’uso; è il caso delle guide e dei manuali, che sembrano destinati ad acquisire, come si vedrà meglio più avanti, una posizione di crescente rilievo all’interno dell’offerta editoriale: “Parlare insieme di F. Shultz von Thun e L’arte di concludere una vendita di James W. Pickens, nella collana Comunicazione della casa editrice TEA Pratica. L’a b c del saper trattare di Gavin Kennedy nella collana “E & M” Economia e Management di Sperling & Kupfer. Come presentare al meglio se stessi e le proprie idee di Michael Stevens e Come capire e valutare chi ci sta di fronte di D. Mackenzie Davey, nella Biblioteca di autoformazione Winner (ed. De Agostini - FrancoAngeli). La comunicazione come strumento dell’impresa di R. Dardalet, Far parlare di sé sulla stampa di D. Le Dû, Valorizzate l’immagine della vostra impresa di A. Chevalier Beaumel, tutti nella collana Le guide verdi per il management (ed. Itaca). Pubblicità sull’Internet di Alberto De Martini e Come parlare in pubblico con travolgente insuccesso di Giacomina Lapenna, nella collana Tascabili triangoli (ed. Lupetti). I documenti aziendali. Schemi, principi di word processing e stili grafici per creare opuscoli, memorandum, relazioni o lettere d’offerta chiari, efficaci e persuasivi di Garrett Soden e La comunicazione aziendale. Vademecum per il manager di Peter C. Jackson, nella collana Formazione permanente (ed. FrancoAngeli). I segreti della comunicazione di Emilio Bonicelli e Adolfo M. Comari, nella collana Task e Le tecniche per comunicare di Giovanni Olivero, nella collana Le guide, entrambi editi da Il Sole 24 Ore”. 106 Nell’area più propriamente teorica si trovano: “La Comunicazione politica di Gianpietro Mazzoleni, nella collana Le vie della civiltà (ed. il Mulino); La Comunicazione nella II Repubblica di Federico Spantigati e La scuola italiana della comunicazione a cura di P. Trupia nella collana Politica della Comunicazione (ed. Bulzoni); La Comunicazione politica di F. Amoretti nella collana Studi superiori (ed. NIS ora Carocci); Comunicare politica nel sistema dei media a cura di Sara Bentivegna nella collana Universitaria (ed. Costa & Nolan)”. Queste tipologie di proposte editoriali - il manuale e la guida del tipo “fai da te” da un lato e il testo problematico dall’altro - non sono che gli estremi di una produzione talmente vasta e articolata che sfugge, per la sua complessità, che è poi la sua ricchezza, a tentativi di classificazione che abbiano l’ambizione di essere rigidamente tali e cioè precisi. Lo stesso criterio del raggruppamento per collane - che normalmente facilita l’individuazione del tema - diventa talvolta problematico dal momento che non è inusuale imbattersi in testi “sparsi”, che reclamano attenzione non tanto in relazione a particolari collocazioni all’interno di una linea editoriale, quanto in virtù del loro essere comunque attuali. In ogni caso, l’ubiquità della Comunicazione d’Impresa è ulteriormente confermata dalla molteplicità delle collane che la trattano. Tra le Case editrici considerate, trentaquattro articolano la letteratura sulla comunicazione in collane, per un totale di 78, con una polarizzazione che va da 1 a 12. In particolare, quattordici Case editrici dedicano ciascuna una collana all’argomento, otto articolano l’offerta in 2 collane, quattro in 3, tre in 4, altre tre in 5, una in 6 e, infine, una in 12. Adelphi Biblioteca Scientifica FrancoAngeli Formazione Permanente 107 Impresa, comunicazione, mercato ISSO - Risorse umane e marketing interno Azienda moderna Trend - Le guide in un mondo che cambia Sociologia del lavoro e organizzazioni Bancaria Editrice Strumenti Funzioni CittàStudi Caleidoscopio Baskerville Biblioteca di Scienze della Comunicazione Strumenti Bulzoni Politica della comunicazione Carocci (già NIS) Studi Superiori Il servizio sociale Clueb Heuresis Raffaello Cortina Individuo gruppo organizzazione Editori Riuniti I media Castelvecchi In rete 108 Costa & Nolan Riscontri media Pre.testi Universitaria Logica Biblioteca di informatica Manuali Notizie dalle reti ERI - Edizioni RAI Comunicazione Sgrt (giornalismo radio televisivo) Giuffré Economia e gestione delle imprese Egea Biblioteca dell’economia d’azienda Impresa e Valore Impresa e professionisti Le collane della SDA - Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Bocconi Le collane dei Centri di Ricerca dell’Università Bocconi Collana CESAD (Centro Studi di Amministrazione e Direzione Aziendale) Guerini & Associati Collana ISTUD, in collaborazione con l’Istituto Studi Direzionali Competenza, cultura, riflessioni d’impresa Network Network strumenti Network frase Itaca Impariamo l’impresa 109 Total Quality Management Risorse umane e management Le guide verdi per il management Jaca Book EDO - Un’Enciclopedia D’Orientamento Edizioni Universitarie Jaca Casagrande/Testimoni allo specchio Liguori Arcadia Sociologia dei media Lybra Immagine Architettura e Design Lupetti - Editore di comunicazione Tascabili I Triangoli Comunicazione e media Libri teoria Manuali per saper fare Design e comunicazione Meltemi Semiosfera il Mulino Contemporanea Strumenti Studi e ricerche Farsi un’idea Franco Muzzio Biblioteca Nuovo Millennio 110 Orlando ISIDA Pitagora Scienze della Comunicazione Il Saggiatore (Marco Tropea Editore, Pratiche Editrice, Est) La Cultura Discussioni (il Saggiatore) Due Punti (il Saggiatore) Est Quality Paperback (Est) Strumenti per scrivere e comunicare (Pratiche) Sperling & Kupfer Target. Le guide di base per imprenditori, manager, professionisti, consulenti e studenti “E & M” Economia & Management Sipi Impresa e Comunicazione Il Sole 24 Ore Ricerche in progress Task Economica L’Impresa Le guide de Il Sole 24 Ore Professione Impresa Management e Impresa Studi Mondo Economico I manuali de Il Sole 24 Ore Le guide per l’azienda Organizzazione Seam Mediastudies 111 Informazione e comunicazione Ricerche Unicopli AIF Associazione Italiana Formatori Leggerescrivere UTET Mediamorfosi Offerta editoriale Ripartizione per collane 112 III. 2. LE RIPARTIZIONI Una prima grande ripartizione dei 236 testi riguarda le finalità dell’offerta, che sono individuabili nelle due grandi aree dell’editoria teorica e dell’editoria pratico-didattica, incentrate rispettivamente l’una sul “sapere”, con 105 testi, l’altra sul “saper fare” con 131. Offerta editoriale Ripartizione per finalità La prevalenza che si registra nell’area pratico-didattica va considerata tra virgolette. Esistono indubbiamente testi esclusivamente e completamente tecnici, ma la grande maggioranza degli stessi manuali e guide operative tende a caratterizzarsi per la compresenza di capitoli specifici o di riflessioni teoriche, volte a inquadrare in ambiti più generali i temi affrontati. Sta probabilmente emergendo un nuovo tipo di testo “il manuale di seconda generazione” che si differenzia dal precedente modello prettamente operativo per la valenza teorica che ne costituisce il valore aggiunto. La tendenza sembrerebbe infatti quella che vede il “sapere” come condizione necessaria del “saper fare”. E’ il caso di testi quali: Il manuale della comunicazione interna di Alberto Di Raco e Gaetano M. Santoro e di L’Ufficio stampa di Mauro De Vincentiis. Una diversa angolazione consente di articolare la stessa offerta editoriale per argomenti. 113 Sono state individuate al riguardo due macroaree, una sulla comunicazione, l’altra sui media e le nuove tecnologie. La prima comprende i testi specifici sulla Comunicazione d’Impresa e quelli che trattano problematiche strettamente attinenti; la seconda riguarda gli strumenti e le tecnologie della comunicazione. Offerta editoriale Ripartizione per argomenti I testi che hanno per argomento la comunicazione sono 169, quelli sui media e le nuove tecnologie 67. Anche la ripartizione per argomenti, al pari di quella per finalità, è meno rigida di quanto le cifre possano suggerire e va pertanto considerata in termini indicativi. L’obiettivo di fotografare una bipartizione dell’offerta editoriale in grado di evidenziare tematiche eventualmente dominanti può considerarsi raggiunto: i testi sulla Comunicazione d’Impresa sono più del doppio (2,52) di quelli relativi ai media e alle nuove tecnologie ma, in molti casi, è una prevalenza di accento più che di argomento. I testi sulla Comunicazione d’Impresa non prescindono infatti da rinvii e riferimenti alla comunicazione multimediale e quest’ultima è molto spesso analizzata in relazione alla sua funzione all’interno della Comunicazione d’Impresa. 114 Non c’è, in altre parole, la Comunicazione d’Impresa da un lato e la multimedialità dall’altro, ma, piuttosto, un modo di essere vincenti. Di fatto, i contenuti dell’offerta editoriale globalmente intesa, concorrono all’affermazione di un concetto unitario di comunicazione. In particolare, l’unitarietà è rafforzata dal ricorso alla multimedialità per la capacità, di quest’ultima, di potenziare e dilatare gli obiettivi dell’impresa nei confronti di entrambi i pubblici di riferimento, rispettivamente oggetto della comunicazione diretta verso l’interno e della comunicazione diretta verso l’esterno. L’analisi delle singole macroaree, in relazione alle finalità, fornisce ulteriori indicazioni. La macroarea comunicazione fa registrare 104 testi nell’area pratico-didattica del “saper fare” e 65 in quella teorica del “sapere”. Comunicazione Ripartizione per finalità 38% 62% Saper fare Sapere La macroarea media e nuove tecnologie indica un’inversione di tendenza: i testi sul sapere prevalgono su quelli del saper fare: sono rispettivamente 40 a fronte di 27. 115 Media e Nuove Tecnologie Ripartizione per finalità Una lettura comparata di questi dati consente di ipotizzare che la prevalenza dell’offerta editoriale nell’ambito pratico-didattico sia variabile dipendente di una maggiore diffusione e consapevolezza degli aspetti teorici che ne sono alla base. Come dire che le problematiche della comunicazione e della Comunicazione d’Impresa sono sufficientemente conosciute o date comunque per note, per cui la produzione si incentra sul momento successivo e cioè sulle modalità operative proprie dell’ambito pratico didattico. Questa ipotesi consente di spiegare anche quel che si registra nell’altra grande macroarea presa in esame. La scomposizione dei testi al suo interno indica infatti che la letteratura prevalente, addirittura più del doppio, riguarda Internet, con 47 testi rispetto ai 20 relativi ai media. 116 Media e Nuove Tecnologie Ripartizione per argomenti 50 47 45 40 35 30 25 20 20 15 10 5 0 Internet Media La produzione editoriale è dunque maggiore nel settore delle novità, al cui interno non si possono collocare i media, la cui analisi è affrontata prevalentemente sotto il profilo dell’impatto sociale. Altra ipotesi interpretativa, che non demolisce la precedente, è che il ritmo di innovazione che caratterizza le nuove tecnologie condiziona l’offerta editoriale nella diffusione di novità che hanno cicli di vita quanto mai brevi. Sarebbe insomma anche l’obsolescenza precoce dei progressi a influire sulla diffusione del loro continuo avanzamento o superamento. Se la relativamente recente emersione del “settimo continente”, per dirla con una metafora cara ai navigatori di Internet, esige un’ampia diffusione della conoscenza del sistema e delle sue potenzialità, questo non si traduce tuttavia in una prevalenza di testi sul sapere rispetto a quelli sul saper fare: la valenza direttamente applicativa del sistema è in questo caso determinante e l’articolazione dei testi relativi a Internet indica una tendenza all’equilibrio e, anzi, una leggera prevalenza dell’area pratico-didattica che raggruppa 25 testi davanti ai 21 di quella teorica. 117 Internet Ripartizione per finalità Nella produzione relativa alle nuove tecnologie - nell’ambito del “saper fare” - si trovano testi come Fare marketing con Internet. Mettere un’azienda su Internet, crearne una nuova e comunicare online di Greewold e Dettori; Internet e la comunicazione globale di Massimo Penco; Internet e Comunicazione. Per capire come cambia il modo di comunicare l’impresa con Internet di Enrico Guidotti e Elserino Piol. Quanto all’area dei media, i testi che li analizzano vanno da Storia sociale del telefono di Claude S. Fischer a Mezzi di comunicazione e modernità. Una teoria sociale dei media di John B. Thompson del 1998. Tra i testi teorici si annoverano La pelle della cultura. Un’indagine sulla nuova realtà elettronica di Derrick de Kerckhove; L’inganno multimediale di Vincenzo Vita; La fine della comunicazione di massa. Dal villaggio globale alla nuova Babele elettronica di Bino Olivi e Bruno Somalvico. Ricorrono e si sovrappongono, anche all’interno dei media e delle nuove tecnologie, le tre accezioni più diffuse del termine comunicazione, da quella che pone l’accento sulla dotazione tecnica e strumentale a quella che identifica la comunicazione con l’informazione, a quella, infine, che si incentra sulla circostanza di “mettere in comune”. 118 Altra curiosità: così come è normale, parlando di comunicazione, far riferimento al modello classico dell’emittente, del messaggio e del ricevente, parlando di media è normale accennare ai poli estremi degli ottimisti e dei catastrofisti, sempre pronti, davanti a ogni nuovo medium, gli uni a salutare il progresso apportatore di benessere, gli altri a inveire contro la causa di ulteriori squilibri. 119 IV. LA LETTERATURA DELLA COMUNICAZIONE D’IMPRESA Coinvolgimento, motivazione, partecipazione, identità, coerenza, visibilità. Sono queste le parole d’ordine che ricorrono con maggiore frequenza. La produzione in qualche modo prismatica di saggi, guide, manuali che ruota intorno alla Comunicazione d’Impresa ha, come riferimento, questi concetti. Il ruolo della comunicazione si rivela sempre più determinante per il successo delle attività imprenditoriali. La stessa contrapposizione storica tra comunicazione interna e comunicazione esterna, che ha animato lunghi dibattiti, sembra significante esclusivamente in relazione ai pubblici di riferimento, grazie all’affermazione crescente di un concetto unitario di comunicazione volto a caratterizzare l’impresa in tutte le sue attività e occasioni di relazione. La diffusa consapevolezza che l’ambito di operatività dell’impresa è costituito da scambi continui e incessanti di informazioni, di immagini e di valori, rende incerti i confini tra interno ed esterno e, contemporaneamente, evidenzia la valenza strategica della comunicazione quale insostituibile fattore di sviluppo. Esistono delle correlazioni tra tipologia d’impresa e comunicazione. Caratteristiche quali la complessità e l’articolazione aziendale rafforzano l’esigenza di comportamenti unitari e premono in favore di un’adozione ante litteram di strategie di comunicazione. 120 Questo spiegherebbe la collocazione iniziale del dibattito nelle imprese industriali e successivamente nei servizi, al cui interno il settore del credito si dimostra particolarmente sensibile alle problematiche della Comunicazione d’Impresa: “Immagine e strategie di comunicazione nelle banche di Maurizio Irti (ed. Cedam); Conoscere il cliente. Il customer data base nel marketing della banca del futuro di M. Bertucci e Dalla banca al cliente. Professionalità nella vendita di G. Modonesi, entrambi nella collana Strumenti della Edibank; Competitività e gestione delle risorse umane in banca a cura di U. Capucci nella collana Funzioni (Tesi-Edibank). Le parole della banca - La ricerca della qualità nell’informazione su prodotti e servizi per la clientela ‘retail’ di Paola Gianotti, nella collana Ricerche in progress (Il Sole 24 Ore); Le comunicazioni interne nella banca-impresa. Metodi e strumenti per lo sviluppo e la gestione della comunicazione interna di Giorgio Tomassetti, Pietro Rutelli e Renzo Canal (ed. FrancoAngeli)”. La Comunicazione d’Impresa, sia che si preferisca individuarla come comunicazione organizzativa (La comunicazione organizzativa nel governo dell’impresa di E. Invernizzi nella collana Economia e gestione delle imprese ed. Giuffré), o come comunicazione gestionale e infine integrata (La comunicazione integrata nelle aziende a cura di Renato Fiocca nella collana Quaderni ed. SDA Bocconi - Egea), coinvolge l’intera azienda nell’espressione di una identità comune, ne esalta la cultura, è tarata sulla sua specificità, è, contemporaneamente, investimento e sviluppo. La valenza strategica della Comunicazione d’Impresa è fuori discussione; è perseguibile grazie all’adozione di criteri, metodi e atteggiamenti; è un traguardo sempre in progress. Sistema aperto, l’impresa che la sottende è vista soprattutto come una rete di relazioni; emittente e ricevente; dotata di capacità di ascolto; organismo permeabile, in grado di essere influenzato e di influenzare l’ambiente nel quale opera. Al suo interno la formazione è permanente, anzi, è l’impresa tutta che apprende, nella sua tensione all’efficienza e alla qualità globale. Questa impresa, in prospettiva, è piatta, a rete, destrutturata, tale da consentire l’esplicazione delle migliori competenze e abilità delle ri121 sorse umane che la compongono; è l’impresa dove vige il gioco di squadra; dove il successo di uno è il successo di tutti. Chi lavora in questa impresa è un cliente interno, prima individuo e poi professionista; ed è da questa considerazione che è possibile impostare una comunicazione efficace. Non a caso la filosofia della Comunicazione d’Impresa non è estranea alla riscoperta del valore dell’individuo come dell’elemento che, a parità di ogni altra condizione, è l’unico in grado di “fare la differenza”. E poiché tutto ciò che consente all’impresa di mettersi in relazione con l’ambiente fa capo alla comunicazione, è possibile documentarsi per far bene di tutto: dalla composizione grafica di un documento all’emissione di un comunicato stampa; dalla partecipazione a una riunione all’organizzazione di una convention; dall’analisi del clima aziendale alla costruzione del piano di comunicazione globale; dalla pubblicità, al marketing, alla partecipazione a una fiera. ASCAI Servizi ringrazia le Case Editrici che hanno collaborato alla realizzazione di questa ricerca e, in particolare: Adelphi Milano Bancaria Editrice Roma Bulzoni Roma Carocci (NIS) Roma Clueb Bologna De Vecchi Milano Egea Milano Hoepli Milano Il Mulino Bologna Il Saggiatore Milano Il Sole 24 Ore Milano Isedi Torino 122 Lo Scarabeo Bologna Lybra Immagine Milano Muzzio Padova Orlando Palermo Seam Roma Sintagma Torino Sperling & Kupfer Milano Strategia d’immagine Milano Tea Milano TTS Torino (prov.) UTET Torino BIBLIOGRAFIA - COMUNICAZIONE Farina Franco, La comunicazione pubblicitaria, Roma, Aracne 1998 Bateson Gregory, Verso un’ecologia della mente, Milano, Adelphi 14° ed. 1997 Dennett Daniel C., Brainstorms, Milano, Adelphi 1991 Harris Zellig, Linguaggio e informazione, Milano, Adelphi 1995 Guidotti Enrico, Comunicazione integrata per l’impresa. 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I cinque strumenti per avere successo nei rapporti, convincere gli altri, ottenere il massimo dai collaboratori, promuovere l’immagine dell’azienda, Milano, Il Sole 24 Ore 1995 Contaldo Alfonso, Mazzatosta Teresa Maria (a cura di), Il lavoro sul settimo continente. Percorsi di formazione professionale su Internet, Roma, SEAM 1998 Damascelli Nino, Le rivoluzioni della comunicazione. Tecnologie di comunicazione e strutture sociali, Milano, Franco Angeli 1998 De Vincentiis Mauro, L’Ufficio Stampa. Chi, come, dove, quando, perché, Milano, Lupetti Editori di Comunicazione 1997 Di Nicola Patrizio (a cura di), Il manuale del telelavoro, Formello (RM), SEAM 1997 Di Raco Alberto, L’impresa simbolica, Milano, Sperling & Kupfer 1997 Di Raco Alberto, Organizzare una convention. Guida pratica alla comunicazione aziendale, Milano, Editoriale Itaca 1997 Di Raco Alberto, Santoro Gaetano M., Il manuale della comunicazione interna, Milano, Guerini e Associati 1996 Gambarelli Gianfranco, Pederzoli Giorgio, Metodi di decisione. Introduzione alla teoria dei giochi e delle decisioni con applicazione a problemi manageriali di natura industriale, commerciale, assicurativa, medica, politica, finanziaria, Milano, Hoepli 1992 Golfetto Francesca, Comunicazione e comportamenti comunicativi. Una questione di coerenza per l’impresa, Milano, EGEA 1993 Harris Zellig, Linguaggio e informazione, Milano, Adelphi 1995 145 Huitema Christian, E Dio creò Internet, Padova, Aries-Franco Muzzio 1997 Kennedy Gavin, L’a b c del saper trattare, Milano, Sperling & Kupfer 1991 Lehman Enrico R., Spot & Bit. Imprese, media e pubblicità nell’era digitale, Milano, Il Sole 24 Ore 1996 Majello Carlo, L’arte di parlare in pubblico. Guida pratica per esprimersi meglio e capirsi di più, Milano, Paoline 1997 Malizia Pierfranco, Parola e Sistema, Roma, Bulzoni 1993 Marziantonio Roberto, Comunicazione & processi di miglioramento. La cultura d’impresa come processo di scambio, Milano, G&M Strategia d’Immagine 1997 Marzocchi Gian Luca, Strategia d’impresa e tecnologie dell’informazione, Bologna, Clueb 1991 Mattelart Armand, La comunicazione mondo, Milano, Il Saggiatore Editore 1997 Montironi Marina, Coppari Matteo, Capitale umano e imprese di servizi. Empowerment e valorizzazione delle persone come fattore chiave per il successo, Milano, Il Sole 24 Ore 1997 Murialdi Paolo, Il giornale, Bologna, il Mulino 1998 Olivi Bino, Somalvico Bruno, La fine della comunicazione di massa. Dal villaggio globale alla nuova Babele elettronica, Bologna, il Mulino 1997 Pasquale Lucio, Caro cliente. Comunicazione diretta con la clientela, Bologna, Lo Scarabeo 1993 146 Pasquale Lucio, Imago. Codice d’immagine personale e aziendale, Bologna, Editrice Lo Scarabeo 1996 Penco Massimo F., Internet e la comunicazione globale, Padova, AriesFranco Muzzio Editore 1997 Regouby Christian, La comunicazione globale. Come costruire il capitale d’immagine dell’impresa, Torino, ISEDI 1992 Richard Storey, L’arte della comunicazione efficace e persuasiva. Le parole, le frasi, i concetti che convincono, Milano, De Vecchi 1998 Santucci Umberto, Multimedia e Comunicazione d’impresa, Milano, Sperling & Kupfer Editori 1997 Schulz von Thun Friedmann, Parlare insieme. La psicologia della comunicazione, Milano, Tea Pratica 1997 Spencer Lyle M. Jr., Il reengineering delle risorse umane. Riorganizzare la direzione del personale, Milano, Il Sole 24 Ore 1997 Volli Ugo, Il libro della comunicazione, Milano, Il Saggiatore 1994 Volpi Sergio, Il Marketing fieristico - Fair Marketing, Milano, Lybra Immagine 1996 Waterworth John A. (a cura di), Multimedia, Padova, Franco Muzzio Editore 1992 AA.VV., Segno, linguaggio e pubblicità. La comunicazione d’impresa fra cultura e profitto, Palermo, Orlando 1997, pp. 237 ISBN 88-86289-09-X Dal 6 al 15 maggio 1996 l’Istituto Superiore per Imprenditori e Dirigenti di Azienda - ISIDA - ha organizzato a Palermo, nell’ambito di un 147 progetto ASFOR-FORMEZ, il Seminario su “Segno, linguaggio e pubblicità”. Il testo ne pubblica gli atti e leggendolo ci si rende conto di quanto sarebbe stato interessante partecipare. Diviso in tre parti, il Seminario ha affrontato, nella prima, il tema “Significazione, Valori e Società”; nella seconda “Consumi e Impresa” e, nella terza, “Spettacolo e Forme espositive”. Ad introdurre Francesco Alberoni, con un intervento sulla pubblicità; a concludere Leoluca Orlando, con “Comunicare Palermo” e, in mezzo, altri undici studiosi, le cui specifiche estrazioni scientifiche concorrono a fornire una esauriente panoramica della complessità del tema e della molteplicità degli approcci. Gli interventi iniziali toccano i grandi temi che costituiscono il contesto della comunicazione: dalla cultura, all’inconscio, alla sociosemiotica e si concludono con la trattazione/esercitazione sul ruolo e sul significato della comunicazione non verbale. La parte centrale affronta invece specificamente il tema della comunicazione d’impresa, con interventi di Edoardo T. Brioschi, Vanni Codeluppi, Gabriele Morello e Giorgio Fiaschi. Particolarmente interessante la relazione, a cura di G. Morello, su “La comunicazione in un grande ente di servizi”, che illustra un’esperienza di consulenza incentrata sulla revisione del sistema di comunicazione. Dal modello generale di studio, ai criteri adottati nella definizione dei questionari, all’analisi dei risultati, la relazione si caratterizza per una spiccata valenza didattica ed evidenzia la funzionalità degli approcci improntati ai criteri del marketing interno, il cui principio è quello che “non si può vendere all’esterno quello che non si riesce a vendere all’interno di un’azienda”. Brano scelto Nelle parole di un intervistato particolarmente critico: “Non esistendo regole di comunicazione, vengono meno anche quelle di deontologia professionale. La mancanza di chiarezza nella comunicazione deresponsabilizza. Essendo difficile l’individuazione di responsabilità, questa tende a disperdersi nei meandri dell’organizzazione”. Una carenza siffatta nella comunicazione può creare senso di emargina148 zione, strumentalizzazione dell’informazione e disinteresse, soprattutto quando gli ordini non sono accompagnati da spiegazioni o si rivelano poco chiari e talvolta contraddittori, nel senso che la decisione presa viene mutata successivamente o non è in linea con altre posizioni assunte precedentemente (pag. 188). Amoretti Francesco, La comunicazione politica. Un’introduzione, Roma, La Nuova Italia Scientifica 1997, pp. 193 ISBN 88-430-1000-X Le esperienze di comunicazione, rese possibili dallo sviluppo delle nuove tecnologie, possono davvero definirsi in termini di democrazia elettronica? Quando lo Stato-nazione, nell’ambiguità delle pressioni contrapposte, esercitate rispettivamente dalla globalizzazione e dai localismi emergenti, stenta a individuare una precisa collocazione e il “partito organizzato di massa” si trova a dover fare i conti con un dilagante sentimento antipolitico, sarà la videocrazia la fonte di riferimento dei valori? Strutturato in maniera rigorosa, il testo di Francesco Amoretti affronta i cinque argomenti degli Approcci teorici alla comunicazione politica, del Linguaggio e politica, dei Media e istituzioni di governo, dei Partiti ed elezioni e dell’Opinione pubblica inquadrandoli ognuno prima nella specifica dimensione problematica, quindi in relazione alle origini e, infine, con riferimento agli attuali orientamenti di ricerca. La bibliografia di oltre ottocento titoli, che chiude il libro destinato agli studenti del Corso di laurea in Scienze della comunicazione, e non solo, la dice lunga su un testo che, attraverso riferimenti a una mole cospicua di ricerche sul campo, evidenzia e analizza le specificità della tradizione americana e di quelle, meno omogenee, dell’Europa. Se il nuovo ruolo dei media a stampa sembra individuato nella capacità di far scaturire o di “(ri)generare” il senso di appartenenza ad un contesto economico sociale e culturale attraverso la discussione pubblica dei problemi che lo riguardano, per i nuovi media gli interrogativi rimangono aperti: “Piazze telematiche, spazi virtuali, reti interattive: che cosa hanno in comune con l’agorà ateniese? Nulla.” 149 Al di là degli schieramenti estremi degli ottimisti e dei catastrofisti, le trasformazioni in atto appaiono talmente radicali da non consentire l’individuazione delle logiche che ne scaturiranno. Brano scelto (...) è vero solo in teoria che le nuove fonti di informazione, come Internet, siano accessibili a tutti i cittadini. Allo stato attuale, solo chi dispone di risorse finanziarie adeguate e di un livello superiore di istruzione può in pratica farne uso. Né per il prossimo futuro sono prevedibili cambiamenti consistenti nella struttura socio-economica dei Paesi avanzati. E’ molto più probabile invece che con l’innovazione tecnologica si approfondisca il gap tra questi gruppi privilegiati e la stragrande maggioranza della popolazione impossibilitata a fruirne. Solo un astratto determinismo tecnologico può alimentare l’illusione di un nuovo ordine societario fondato sul superamento delle ineguaglianze e sulla ridistribuzione della ricchezza (pag. 152). Baldi Benedetta, Borello Enrico, Borello Laura, Il cambio di canale. I non giornali e le comunicazioni di massa, Torino, Sintagma Editrice 1996, pp. 126 ISBN 88-85174-31-0 La tesi di fondo è che le nuove tecnologie informatiche non sostituiranno i media a stampa. La sussistenza di questi media è infatti garantita dalla capacità di confezionare messaggi in grado di soddisfare le esigenze di ben precisi pubblici di riferimento. Lo dimostra il successo di alcuni “non giornali” in senso classico, quali i periodici di inserzioni gratuite e i bollettini religiosi. “Il cambio di canale” ovvero “I non giornali e le comunicazioni di massa” si incentra sull’analisi di questi due fenomeni dopo un’ampia panoramica sul significato e sulle modalità del “consumo della comunicazione”. Quel che è certo è che all’apparire di ogni nuovo mezzo di comunica150 zione l’esplosione di dibattiti e polemiche è praticamente automatica e, in qualche modo, scontata. Dai libri in edizione economica, alla radio, ai fumetti, alla televisione, a Internet, sempre e comunque, ciascun medium è stato ritenuto responsabile di nefandezze dallo schieramento dei catastrofisti e apportatore di sviluppo dallo schieramento opposto. Se anche questo sia uno dei casi nei quali la verità sta in mezzo è difficile dirlo; i risultati delle ricerche sull’influenza esercitata dalle comunicazioni di massa non hanno fornito prove convincenti in favore dell’una o dell’altra tesi; intanto i giornali di inserzioni gratuite e i bollettini religiosi navigano a gonfie vele. Brano scelto I giornali di inserzioni gratuite rappresentano un cambiamento del rapporto tradizionale tra autore e pubblico, spesso fuorviato dagli interessi di un mercato editoriale in grado di condizionare le scelte, superando la barriera che divide il produttore dal consumatore sancendo una sorta di alleanza tra autori e pubblico, ossia tra le due categorie che concorrono alla produzione e al consumo. Ogni persona assume infatti una doppia valenza essendo contemporaneamente redattore e lettore del giornale: spesso infatti chi è lettore è stato o sarà inserzionista e viceversa (pag. 32). Bertucci Massimiliano, Conoscere il cliente. Il Customer data base nel marketing della banca del futuro, Roma, Bancaria Editrice 1997, pp. 138, ISBN 88-449-0015-7 Il Customer data base - CDB - è molto di più di un archivio di dati relativi alla clientela; il problema consiste nel saperlo organizzare. Lo stesso vale per la segmentazione, che è sicuramente la divisione della clientela in gruppi omogenei per l’individuazione delle specifiche esigenze e la proposizione di specifiche soluzioni. Se poi questi due strumenti di marketing, piuttosto che essere visti separatamente, come di solito succede, sono affrontati e gestiti in un’ottica unitaria, il potenziamento del151 la capacità di risposta della banca alle attese della clientela diventa, da obiettivo, traguardo. Conoscere il cliente, di Massimiliano Bertucci, persegue l’obiettivo di favorire l’assunzione di decisioni sulla base del maggior numero di informazioni possibili e queste informazioni, latenti nelle miriadi di dati catalogati sotto voci diverse, aspettano soltanto di emergere grazie all’uso integrato delle metodologie statistiche. L’approccio al cliente, bene primario dell’impresa bancaria, e non solo, costituisce l’orientamento guida del volume, che ha un taglio decisamente operativo. Si parte dalle modalità di organizzazione e conduzione del progetto del Customer data base per arrivare, dopo l’analisi dei dati - dal concetto di cliente, ai dati comportamentali, a quelli di supporto - alla creazione di nuove variabili. Il Customer data base è poi analizzato nelle sue forme d’uso basilari, in quelle legate alla segmentazione e in altre possibili, che riguardano gli obiettivi commerciali, gli studi sulla qualità del rapporto banca-cliente e la comunicazione. Infine, l’analisi del quadro organizzativo a regime per la manutenzione del sistema. Il libro si conclude, dopo un ampio riferimento ai contenuti e alle implicazioni della legge sul trattamento dei dati personali, con un glossario di 95 voci. Brano scelto Si supponga dunque di aver percorso tutto l’iter costruendo e arricchendo il CDB, estraendo liste mirate per vecchi e nuovi prodotti e pacchetti, e valutando la redditività delle singole azioni in relazione alla numerosità e alle caratteristiche del target. Si sarà fatto moltissimo, ma i clienti non avranno ancora comprato nulla. Occorre fargli conoscere le proposte. L’analisi del CDB può dare indicazioni sul sistema da utilizzare per i contatti, in funzione della reattività del target (percentuali di adesione a precedenti proposte) e della prevista redditività delle iniziative. Ma, a parità di sistema, occorrerà formulare la proposta cercando di utilizzare messaggi tarati sulla psicografia del target (pag. 106). 152 Borello Enrico, Petrolino Anna, Vezzani Adrio (a cura di), Miti, consumi e sogni tra comunicazione di massa e marketing, Atti dei corsi di perfezionamento in Scienze delle Comunicazioni, Torino, Sintagma Editrice 1998, pp. 224 ISBN 88-85174-35-3 Dalla comunicazione, nel senso più generale del termine, alla comunicazione organizzativa; dalle testimonianze sulle strategie di comunicazione e marketing alle modalità proprie della pubblicità e delle comunicazioni di massa, fino al giornalismo, alla televisione paneuropea, ai mittenti invisibili. C’è questo, e non solo, nel testo Miti, consumi e sogni che è la raccolta dei contributi più significativi emersi nei quattro anni di svolgimento del Corso di perfezionamento “Linguaggio e comunicazione” attivato dal Dipartimento di Linguistica dell’Università di Firenze. Nel perseguire l’obiettivo di formare figure professionali destinate ad operare nel settore della comunicazione, all’interno di aziende pubbliche e private, il corso ha favorito l’alternanza di docenti, di esperti e di professionisti. Questo spiega la diversità di angolazioni dalle quali è analizzato il fenomeno della comunicazione, già fisiologicamente interdisciplinare. Ne emerge un quadro d’insieme che dà misura della complessità del fenomeno, della sua rilevanza e delle probabili linee di tendenza. Arrivati alla fine si ha voglia di saperne di più, magari in ordine al rapporto fra istruzione e microlinguistica o sulla particolarità di un prodotto “che non si lascia raccontare ma si esprime in prima persona”. Brano scelto Il ruolo è la risposta fornita da una persona, in termini di comportamenti, ad attese più o meno specificate e chiarite dall’azienda. Rappresenta quindi un risultato di una interazione tra le attese del soggetto sulla base delle proprie caratteristiche personali e professionali, da un lato, e le attese dell’organizzazione sulla base delle caratteristiche della posizione organizzativa da ricoprire, dall’altro. Il grado di congruenza che si genera da questo incontro dà forma al ruolo, che non è semplicemente la somma delle mansioni e dei compiti che il soggetto deve svolgere, bensì il significato che quest’ultimo attribuisce alla propria attività in termini funzionali e relazionali (pag. 52). 153 Borello Enrico, Vezzani Adrio, Il messaggio trasformato. Informazione e comunicazione tra testo e contesto, Chieri (TO), TTS 1995, pp. 207 ISBN 88-86665-00-8 L’interesse del mondo del lavoro nei confronti della comunicazione ha contribuito a stimolare dibattiti e studi. Approcci disciplinari diversi, di derivazione linguistica o psicologica, sociologica o organizzativa, nuotano nel mare magnum della comunicazione arrivando, ognuno per la propria rotta, ad approdi diversi. Con Il messaggio trasformato gli Autori si pongono l’obiettivo di individuare, anche attraverso una sia pur sintetica disamina storica, delle ipotesi di lavoro che costituiscano un terreno comune per le diverse discipline. La parte del leone la fa l’area centrale, dedicata alla “Pubblicità e comunicazione d’impresa” che analizza, specificamente, la comunicazione nella pubblicità; la comunicazione pubblicitaria e le strategie d’impresa; l’impresa come apparato di comunicazione e la comunicazione nei modelli organizzativi. La parte iniziale affronta il fenomeno comunicazione in quanto tale, dal modello di Jakobson ai teoremi di Shannon allo schema di Schmidt e rappresenta l’indispensabile base di partenza per affrontare un qualunque dibattito sul tema. La parte finale si incentra invece sul rapporto tra le nuove tecnologie e la comunicazione di massa. I nuovi media, con la loro capacità di produrre ambiti di conoscenze inimmaginabili, operano nella direzione della costruzione della comunicazione, oltre che in quella della sua trasmissione. L’efficacia di alcuni modelli di comunicazione didattica coinvolgerà quasi un destino - anche gli adulti, soprattutto in ambito aziendale; il problema sarà quello di conciliare i tempi della formazione con quelli del lavoro. Non ci sono alternative e gli Autori non hanno dubbi: “la formazione diventerà indispensabile per la sopravvivenza dell’impresa”. Accompagnato da una articolata bibliografia e da un glossario, Il messaggio trasformato si rivolge agli studenti di precisi corsi di laurea, si 154 consiglia a quanti operano nella comunicazione d’impresa e si segnala a chi, in generale, è interessato a approfondire l’argomento. Brano scelto L’attenzione ai processi di comunicazione va considerata elemento prioritario dell’analisi organizzativa, tenendo presente alcuni elementi di riflessione che sono allo stesso tempo premesse teoriche e strumenti operativi: • l’informazione nelle organizzazioni fluisce indipendentemente dai canali ufficiali (ordini di servizio, circolari, comunicati, ecc.); esistono momenti non ufficiali e situazioni di alta comunicazione tra i membri delle organizzazioni (se potessero parlare e riferire quante cose direbbero le macchine automatiche del caffè nei corridoi aziendali!); • l’informazione informale è incontrollabile nei contenuti e nelle modalità di trasmissione (pag. 114). Breton Philippe, L’utopia della comunicazione. Il mito del “villaggio planetario”, Torino, Utet 1995, pp. 161 ISBN 88-7750-339-4 Problematico e affascinante il libro di Philippe Breton ripercorre le fasi che hanno portato all’affermazione dell’ideologia della comunicazione, a partire dagli studi, effettuati negli anni ‘40, da Norbert Wiener, padre della cibernetica. Quella che etimologicamente è tradotta come “arte del pilota” fu definita, da Wiener, “la scienza del controllo e della comunicazione”, dove il termine controllo va inteso soprattutto nel senso di comando, di direzione. Obiettivo della cibernetica l’individuazione delle leggi generali dello scambio di informazioni, che interessano sia i fenomeni naturali che quelli artificiali, le macchine, la società, gli uomini, i minerali, i vegetali. E’ lo scambio di informazioni, che poi sarà definito dallo stesso Wiener comunicazione, che costituisce i fenomeni. I quali non sono considerati nella loro manifestazione apparente, minerale o animale, ma in funzione delle loro relazioni. 155 L’esserci deriva dal partecipare ad un generale processo di scambio. Dire che “tutto è comunicazione” significa allora abolire le barriere classiche di separazione tra ciò che è naturale e ciò che è artificiale. Significa debiologizzare la mente. La comprensione dei fenomeni sociali è possibile solo attraverso lo studio dei messaggi e dei loro relativi mezzi di comunicazione. Queste teorie o, più in generale, l’idea di una Società della Comunicazione, si affacciano nel mondo scientifico in un momento drammatico della storia, quando le atrocità dei campi di sterminio e della bomba atomica stanno a indicare il naufragio della società. La carica utopica dell’ideologia ne esce, per contrasto, rafforzata. Si profila l’affermazione della comunicazione come valore; una nuova definizione antropologica, quella dell’Homo communicans; una società ideale, regno della razionalità delle macchine, dell’intelligenza. Che è tale, non importa se artificiale o naturale. E oggi, quando tantissimi elementi di quell’utopia sono diventati quotidianità, cosa succede? Il sociologo francese, nella terza parte del libro, si sofferma sulle ambiguità della comunicazione, sulla confusione tra informazione e conoscenza, esasperata dai media, e sul nuovo individualismo generato dalla società dell’informazione. Non c’è dubbio che la democrazia sia profondamente connessa alla possibilità di esprimersi, di comunicare. Ma un eccesso di comunicazione rischia di compromettere la stessa democrazia. Brano scelto Ci viene presentato come il fine dei fini il fatto di poter restare a casa per lavorare, di sbrigare le commissioni in un supermercato “virtuale”, di disporre sullo schermo di tutti i divertimenti del mondo, di dialogare con i vicini o con altri e, infine, di dedicarsi al “sesso virtuale”. Quell’uomo moderno non ha più bisogno di alcun partner fisico, è il single per eccellenza (pag. 146). Comari Adolfo Maria, Bonicelli Emilio, I segreti della comunicazione. I cinque strumenti per avere successo nei rapporti, convincere gli altri, 156 ottenere il massimo dai collaboratori, promuovere l’immagine dell’azienda, Milano, Il Sole 24 Ore 1995, pp. 132 ISBN 88-7187-661-X C’è modo e modo di dire le cose. Comari e Bonicelli hanno scelto la metafora della torcia, del compasso, del martello, del pennello e della rete per illustrare i cinque strumenti della comunicazione. La prima analisi si incentra sulla comunicazione personale e, dopo un’introduzione in chiave psicologica, sulla timidezza e sugli accorgimenti per superarla, affronta il problema della gestione dei colloqui, della comunicazione telefonica, dell’arte della negoziazione, delle tecniche di miglioramento della comunicazione scritta, e dell’importanza della compilazione di un curriculum. Segue la trattazione della comunicazione in pubblico, ricca di suggerimenti sulle tecniche per dominare l’ansia, sull’uso dei gesti e della voce, sul comportamento da adottare davanti a una telecamera. Dei test di verifica consentono al lettore di individuare il proprio stile di comunicazione all’interno delle quattro tipologie del realizzatore, dell’organizzatore, del creativo e del collaboratore; di valutare se è in grado, e in che misura, di parlare in pubblico e, infine, se possiede le competenze e le qualità per dirigere un gruppo. Il titolo “Meno riunioni più salute”, che apre il capitolo sulla comunicazione di gruppo, non lascia dubbi sul pensiero degli Autori nei confronti di questo strumento. Tuttavia, poiché qualche volta non se ne può fare a meno, ecco una serie di considerazioni sui criteri di scelta dei partecipanti, sull’allestimento della sala e sulla soluzione di possibili conflitti. Sintetica, ma non per questo meno interessante, la parte finale relativa alla comunicazione d’impresa. Le analisi volte a mettere in luce il grado di soddisfazione/insoddisfazione dei collaboratori; l’esplicitazione della mission, la definizione di un codice etico scritto; gli strumenti del team briefing, del family day, della newsletter e le indicazioni volte a favorire l’instaurazione di buoni rapporti con la stampa fanno, di questo volumetto, un gradevole punto di riferimento e di riflessione. 157 Brano scelto Se è vero che non si può vivere senza riunioni è altrettanto vero che gran parte delle riunioni di cui si vive sono inutili. Prima di avviare un gruppo di lavoro è bene accendere la torcia e rispondere ad alcune domande. La prima è se la riunione è realmente indispensabile. Esistono altri modi meno dispendiosi per raggiungere lo stesso obiettivo? Non si deve mai dimenticare che un gruppo di lavoro ha dei costi direttamente proporzionali al numero di persone che vi partecipano tralasciando altre utili occupazioni (pag. 90). Contaldo Alfonso, Mazzatosta Teresa Maria (a cura di), Il lavoro sul settimo continente. Percorsi di formazione professionale su Internet, Roma, SEAM 1998, pp. 303 ISBN 88-8179-082-3 Circa la metà della popolazione mondiale non ha accesso a un telefono pubblico, di conseguenza, definire globale la Società dell’informazione suscita qualche perplessità. L’osservazione, che si trova nel Rapporto Building The European Information Society to Us All, il cui primo capitolo è parzialmente riportato nell’appendice de Il lavoro sul settimo continente, esprime con efficacia la preoccupazione che il progresso delle tecnologie informatiche aggiunga, a quella del Sud geografico, l’emarginazione di un nuovo Sud, quello digitale, rovescio della medaglia della super osannata Società dell’informazione. Normalmente non si parte dalla fine per fornire l’idea del contenuto di un libro, in questo caso, tuttavia, la preoccupazione - solo formalmente collocata in conclusione - serpeggia qua e là all’interno di un lavoro collettivo che racchiude i punti di vista di Autori diversi, su problematiche diverse ma comunque collegate ad Internet. E’ Internet infatti il settimo continente, naturalmente virtuale, dove si naviga per lo più a vista, con il rischio di essere sommersi da montagne di informazioni che l’individuo, singolarmente, non è in grado di gestire. La sindrome è ormai nota e va sotto il nome di “Lost in Hyperspace” e si caratterizza per un generale senso di smarrimento all’interno di 158 qualcosa che non si riesce a definire per la mancanza di confini: in altre parole ci si perde nell’Iperspazio. Alla meraviglia, per le possibilità note e per le potenzialità ignote del progresso tecnologico, si accompagna la consapevolezza di un futuro sempre meno immaginabile, il quale, paradossalmente, si profila vicino, per la rapidità dello sviluppo e lontano per le connotazioni che potrà assumere. Le nuove professioni informatiche, il problema della sicurezza dei dati, le frontiere della formazione nell’era digitale, l’impresa virtuale, la pubblicità su Internet, l’utopia di una democrazia senza deleghe, l’arte e l’estetica virtuale, sono solo alcuni dei temi affrontati in un testo che ha, tra tanti, il merito di far toccare con mano il senso del cambiamento che, volenti o nolenti, si sta verificando nelle società avanzate. Brano scelto Il messaggio pubblicitario interattivo elimina la barriera fra trasmittente, con ruolo attivo, e ricevente, fruitore passivo, insita nella comunicazione classica, poiché consente di esporre i propri prodotti e/o servizi e contemporaneamente sottoporre il prodotto ed il messaggio al feedback del visitatore. L’utente di Internet si muove liberamente dentro la Rete ed ha il potere di decidere se diventare audience reale di un sito, visitando la videata, oppure rimanere audience potenziale, cioè spettatore generico, evitando di vedere le pagine ritenute non interessanti. Il cybermarketing opera su bacini di clienti indefiniti, i milioni di navigatori della Rete sparsi per il Mondo, e ciò si traduce in un radicale cambiamento della struttura della campagna pubblicitaria (pag. 105). Damascelli Nino, Le rivoluzioni della comunicazione. Tecnologie di comunicazione e strutture sociali, Milano, Franco Angeli 1998, pp. 144 ISBN 88-464-0529-3 La Scuola canadese di studi sulla comunicazione, fondata da Harold A. Innis, propone una lettura della storia come storia delle tecnologie della comunicazione. 159 Nino Damascelli, ricollegandosi all’approccio di questa Scuola, alla quale appartenne anche Marshall McLuhan, si sofferma su cinque momenti storici che definisce “le cinque rivoluzioni della comunicazione”. L’alfabeto, la stampa, l’applicazione dell’elettricità alla comunicazione e le Nuove tecnologie di comunicazione - Ntc - hanno prodotto cambiamenti rilevantissimi nel sistema economico, politico e sociale. L’Autore si domanda se, dall’analisi dei cambiamenti prodotti dall’evoluzione delle tecnologie della comunicazione, sia possibile trarre qualche indicazione circa il nostro futuro. Ben sapendo che, per quanto il futuro abbia un cuore antico, la velocità e la profondità del cambiamento che caratterizzano la nostra epoca non ci consentono di fare affidamento su ricette già sperimentate come valide. Ogni volta, per dirla con R.D. Stacey, occorre capire cosa fare e come farlo, utilizzando le analogie con quanto si è verificato in passato e si avvicina a quello che sta succedendo ora. Il rifiuto del nuovo, caro a quanti hanno interesse a mantenere lo status quo, non paga. Le analogie con la Cina, che rifiuta l’alfabeto, e con l’impero ottomano, che blocca la stampa per trecento anni, con le conseguenze che si sanno, la dice lunga sul rischio di un’Europa che ancora stenta ad adeguarsi alle Nuove tecnologie di comunicazione. Brano scelto A differenza di quanto è avvenuto nella storia passata, il processo rivoluzionario attualmente in corso non si identifica, tanto, con una nuova particolare tecnologia (come l’alfabeto o il telegrafo, la radio o la televisione), quanto, piuttosto, con il perfezionamento e l’impiego unificato, sinergico e integrato di molteplici e diverse tecnologie, di recente e meno recente invenzione (come il computer, il satellite per telecomunicazioni, il telefono, la radio, la televisione, il compact disc). L’uso integrato di queste tecnologie porterà, in pochi anni, a una profonda trasformazione del preesistente panorama nel campo della comunicazione e, di conseguenza, nelle strutture e nei processi sociali (pag. 80). 160 De Vincentiis Mauro, L’Ufficio Stampa. Chi, come, dove, quando, perché, Milano, Lupetti Editori di Comunicazione 1997, pp. 112 ISBN 8886302-54-1 Negli ultimi vent’anni le imprese hanno privilegiato la comunicazione legata all’area del marketing e della promozione pubblicitaria, con la conseguenza che l’opinione pubblica ha recepito una serie di immagini eccessivamente enfatizzate e, talvolta, distorte, L’attuale fase di rilancio dell’economia impone alle imprese di rivedere le proprie strategie di comunicazione, soprattutto nei rapporti con i mass-media. Perseguire il rilancio degli uffici stampa significa perseguire l’obiettivo dell’autorevolezza della fonte d’informazione. E’ questo il motivo conduttore dell’ultimo lavoro di Mauro De Vincentiis. Il suo libro è molto più di un manuale, se per manuale si intende un insieme organico di informazioni di pronto uso. Più probabilmente siamo in presenza di un manuale di seconda generazione se, per seconda generazione o generazione comunque successiva, si intende un miglioramento ed un arricchimento di un modello consolidato preesistente. “L’Ufficio Stampa” inquadra il come fare che cosa nel contesto storico e teorico della sua evoluzione, lo esemplifica con il ricorso a case history sulla comunicazione di crisi, sulla comunicazione innovativa e su quella finanziaria e mette a disposizione un glossario di 204 voci tra termini ed espressioni ricorrenti nel mondo della comunicazione. Il confronto tra le regole etiche e deontologiche che informano i rapporti con i media negli Stati Uniti e nei principali Paesi europei dà ragione di certi modi di essere della stampa: non è casuale che in Germania vi siano giornali che in cinquant’anni non hanno dovuto rettificare una sola notizia Brano scelto L’impresa non è un organismo impermeabile. Tutti coloro che vi operano trasferiscono verso l’esterno messaggi che, in qualche misura, concorro161 no alla formazione della sua immagine. In caso di gestione di eventi critici, non si può lasciare che il messaggio ufficiale dell’impresa venga veicolato in modo disomogeneo e distorto da atteggiamenti, opinioni e motivazioni negative dei pubblici interni, e cioè dei dipendenti o dei dirigenti che, comunque, sono degli interlocutori del sociale. Occorre così preoccuparsi dell’effetto indotto della comunicazione di operatori esterni all’impresa, sulla motivazione dei pubblici interni e viceversa. La missione di una comunicazione di impresa mirata verso gli stake-holders deve garantire e sviluppare, nell’ambito delle politiche aziendali e degli orientamenti strategici dell’esecutivo, i rapporti con i pubblici dell’azienda, interni ed esterni, assicurando una corretta comunicazione dei fatti e degli interessi. Si tratta di un rapporto privilegiato che attribuisce al pubblico la costruzione e la fruizione dell’offerta, con caratteri di attenzione, intenzionalità, controllo, sconosciuti precedentemente (pag. 20). Di Nicola Patrizio (a cura di), Il manuale del telelavoro, Formello (RM), SEAM 1997, pp. 251 ISBN 88- 8179-105-6 Se ne parlava già attorno alla fine degli anni ‘60, soprattutto da parte dei futurologi, ma occorre arrivare al 1973, al primo grande shock petrolifero, perché Governi e imprese inizino a guardare con attenzione al telelavoro come a una modalità di contenimento e di riduzione dei consumi di carburante: invece di far spostare le persone, fisicamente, dalla loro abitazione al posto di lavoro, appariva più conveniente spostare il lavoro presso le rispettive abitazioni. Nasce così, anche se poi si arricchisce di tante motivazioni differenti, dalla compatibilità con le esigenze familiari alla diffusione di una coscienza ecologica, una modalità di prestazione lavorativa sulla cui definizione la disputa non è affatto sopita. Con Il manuale del telelavoro, Patrizio Di Nicola, in collaborazione con altri esperti, ha realizzato una guida molto articolata, fruibile anche in maniera non sequenziale. Gran parte delle informazioni scaturiscono dal testo sacro in materia che è The Telework Handbook, elaborato dalle Associazioni inglesi e irlandesi di Telelavoro e Telecottage per i propri membri. 162 A queste si aggiungono le testimonianze mirate sulla realtà italiana, dalle esperienze realizzate, agli accordi contrattuali, alla normativa previdenziale vigente. Equilibrato nella sua analisi dei vantaggi e degli svantaggi, il testo si sofferma sull’individuazione delle attività idonee al telelavoro e fornisce una serie di indicazioni precise sulla autopromozione del telelavoratore, attraverso la definizione degli obiettivi, la ricerca di mercato, il business plan e le fonti di finanziamento, compresi i programmi dell’Unione Europea sul telelavoro. Particolarmente stimolante, infine, la panoramica delle esperienze realizzate a livello mondiale in tema di telecentri e telecottage. Brano scelto Se la velocità del cambiamento è altissima, anche quella di risposta dovrà esserlo. Sarà un’operazione molto costosa ma indispensabile: tra pochi anni il modo attuale di lavorare, con il computer sulla scrivania e i programmi per la produttività individuale, sarà scomparso (...). Il telelavoro - o come decideremo di chiamarlo in quell’epoca futura - ci verrà in aiuto e ci permetterà di resistere in un mondo della produzione che si reinventerà giorno dopo giorno (pp. 35-36). Di Raco Alberto, L’impresa simbolica, Milano, Sperling & Kupfer 1997, pp. 142 ISBN 88-200-2556-6 Solo in apparenza la grande impresa è costituita da edifici, uffici, computer e macchinari. In realtà è qualcosa di molto più labile e sfumato. La grande impresa è vista da Di Raco come una rete di relazioni tra individui, il cui obiettivo vero è quello di disporre di un ambiente nel quale intrattenere relazioni sociali ed esercitare l’emotività. Da queste considerazioni, che a detta dell’Autore possono sembrare paradossali o provocatorie, è possibile evidenziare la complessità delle relazioni che si sviluppano in un’impresa. La comunicazione interna è a163 nalizzata con particolare riferimento al suo livello informale, e l’accento cade sulla rappresentazione scenica e sulla ritualità che permea alcuni significativi momenti della vita di un’impresa. Il punto di riferimento obbligato è sicuramente Goffman; il punto di riferimento scelto è l’Erasmo da Rotterdam dell’Elogio della pazzia “per la capacità di osservare dall’alto, quasi da un palco teatrale” figure che sono, contemporaneamente, anonime e individuate: lo Stratega, il Tecnico, il Tenace, l’Allucinato intelligente, l’Intellettuale. “L’impresa simbolica” è la lettura della tensione della grande impresa nella ricerca della sua identità e della sua immagine, a partire dalla comunicazione intesa come coinvolgimento, motivazione e attivazione di relazioni. Gli stessi incontri, riunioni e convention, sono analizzati nella loro funzione latente, come occasioni di socializzazione e di raffronto dei valori condivisi sui quali si fonda la cultura aziendale. Proprio attraverso questi riti, di sacralità laica, la grande impresa arriva a travalicare i suoi obiettivi classici, non importa se collegati al suo essere una organizzazione profit o non profit. Brano scelto I riti aziendali sono delle vere e proprie sacre rappresentazioni, in cui vengono evocati i principali nemici dell’azienda: i concorrenti sempre pronti ad abbattere i loro prezzi pur di non perdere posizioni; le quote di mercato, una sorta di “giudizio di Dio” sulla efficacia ed efficienza dell’azienda, prova della sua tenuta, della sua vitalità, del suo futuro; i costi globali, altro terribile dragone che sputa fuoco e fiamme, sempre pronto, dopo che gli si tagliano le unghie, le braccia, la coda, la testa, a sfuggire dai controlli e a riprodursi di nuovo minaccioso minacciando il Bene Finale, l’Utile Netto (pag. 63). Di Raco Alberto, Organizzare una convention. Guida pratica alla comunicazione aziendale, Milano, Editoriale Itaca 1997, pp. 96 ISBN 887206-093-1 Il manuale, destinato inizialmente alla comunicazione interna di una 164 grande impresa industriale, è una sistematizzazione delle esperienze connesse all’organizzazione di convention. Riflessioni teoriche e modalità pratiche si alternano nella descrizione del processo che accompagna la progettazione e l’allestimento di questa importante occasione di comunicazione la quale, lungi dall’esaurirsi con la conclusione dei lavori, continua a produrre una serie di effetti che meritano di essere gestiti. L’organizzazione di una convention, in quanto occasione di approfondimento delle strategie, di accentuazione della partecipazione e del senso di appartenenza, di rassicurazione e di spinta motivazionale, non è qualcosa da lasciare all’improvvisazione. Perché se è vero che ogni comunicazione efficace si rivolge sia alla sfera razionale che a quella emozionale dell’individuo, la comunicazione trasmessa attraverso la convention amplifica i suoi effetti in relazione alla spettacolarità dell’evento. Quello che ne deriva è comunque grande. Sul piano del successo. E sul piano dell’insuccesso. La guida si divide in due parti. La prima, relativa all’impostazione e all’organizzazione, analizza il tema e i temi di una convention, facendo distinzione tra messaggi espliciti e messaggi simbolici e indiretti; si sofferma sullo stile della manifestazione, sui protagonisti e sulla fase operativa che si conclude con il post-convention. La seconda parte, tecnica, fornisce una serie di indicazioni sui supporti grafici e sulle relative modalità di realizzazione, mentre l’Appendice conclusiva illustra un caso di progettazione innovativa di una convention aziendale. Brano scelto La sequenza dei discorsi dei vari oratori, oltre a rispettare il principio che gli interventi più autorevoli aprono e chiudono i lavori, deve creare e mantenere un clima di interesse, alternando gli interventi in modo da mantenere viva l’attenzione dell’uditorio. Bisogna infatti tenere presente che la capacità di mantenere alto il livello di interesse delle persone è un requisito che i relatori possono più o meno avere, in funzione delle loro caratteristiche personali e della loro 165 abilità nella comunicazione. Parlare agli altri è prima di tutto una sfida verso se stessi, in quanto l’organizzazione del discorso implica un processo di autochiarimento su che cosa si vuole dire e su come si vuole dirlo (pag. 19). Di Raco Alberto, Santoro Gaetano M., Il manuale della comunicazione interna, Milano, Guerini e Associati 1996, pp. 229 ISBN 88-7802-647-6 Fase 1 - Analisi delle esigenze di comunicazione. Fase 2 - Piano di comunicazione. Fase 3 - Realizzazione delle azioni comunicative. Fase 4 - Controllo degli effetti. La regia manageriale della comunicazione interna si esplica attraverso queste quattro fasi ed il Manuale, il primo del genere, ne illustra i percorsi di realizzazione, nella consapevolezza che “duo cum faciunt idem, non est idem”. Come dire che le strategie di comunicazione interna devono fare i conti, anch’esse, con il contesto nel quale si esplicano. Redatto come strumento di lavoro, a sostegno delle scelte operative degli uomini di azienda che già operano nel settore della comunicazione, il Manuale, accanto all’analisi di metodi, tecniche, strumenti e apparati, illustra casi aziendali di settori produttivi diversi e mette a confronto le alternative gestionali alla soluzione dei problemi comprese le luci e le ombre delle diverse scelte. Il sistema di comunicazione interna, che trova i suoi riferimenti disciplinari nella sociologia della comunicazione e dell’organizzazione, nella ricerca comunicativa e nelle tecniche di direzione del personale, viene analizzato in relazione al processo che va dal passaggio di informazioni all’apprendimento organizzativo. Ogni capitolo è accompagnato dalla bibliografia e il libro si conclude con un’Appendice che illustra un’esperienza di formazione di responsabili del personale sul tema della comunicazione interna. 166 Brano scelto La formulazione degli obiettivi di comunicazione è una decisione politica che comporta un salto di qualità dalla dimensione tecnica della ricerca a quella strategica, del governo d’impresa. Per essere realistica non può non tenere conto che gli obiettivi riguardano il compimento di scambi sociali, e che vanno definiti considerando le ragioni e i meccanismi concreti per cui le persone accettano di impegnarsi nell’interazione. Deve essere contestualizzata nell’insieme delle informazioni e dei “rumori”, comunque originati, che circolano in azienda. Il fattore critico di un’efficace regia della comunicazione interna non è tanto la capacità del management di comprendere i rapporti tra gli scopi perseguiti, le informazioni disponibili e gli apparati comunicativi utilizzabili, ma quella di modulare una regolazione degli scambi, nel moltiplicarsi, incrociarsi e rapportarsi fra loro di messaggi concorrenti (pag. 76). Gambarelli Gianfranco, Pederzoli Giorgio, Metodi di decisione. Introduzione alla teoria dei giochi e delle decisioni con applicazione a problemi manageriali di natura industriale, commerciale, assicurativa, medica, politica, finanziaria, Milano, Hoepli 1992, pp. 272, ISBN 88203-1973-X. L’abilità di analizzare le proprie preferenze e operare scelte conseguenti è una caratteristica tipica dell’individuo. Decidere comporta la scelta tra alternative diverse che, a loro volta, producono conseguenze diverse. La stessa indecisione è una scelta: quella di lasciare le cose come stanno. A decidere non sono solo gli individui; lo fanno i gruppi, le imprese, le organizzazioni. Ed è proprio in relazione alle scelte effettuate dal gruppo, sia esso amicale, economico, politico, e all’esigenza di valutarne le relative implicazioni, che si deve, in gran parte, lo sviluppo analitico della teoria delle decisioni. 167 Il libro di Gianfranco Gambarelli e Giorgio Pederzoli si occupa dell’aspetto normativo delle decisioni; analizza cioè, ricorrendo a criteri matematici, il modo nel quale affrontare un problema decisionale tenendo conto delle informazioni disponibili e dei criteri derivanti da imprescindibili assiomi. I fattori che giocano in favore dell’adozione di un modello matematico per l’assunzione di decisioni sono diversi e vanno dalla necessità di descrivere il problema in maniera chiara e precisa, favorendone la massima consapevolezza, fino alla sua rigorosa rappresentazione, in grado di rendere possibile, attraverso le tecniche matematiche, una soluzione esplicita, diversamente raggiungibile per altre vie. L’applicazione dei metodi di decisione a problemi manageriali, in ambito finanziario, politico, industriale e commerciale, dà ragione della funzionalità dell’approccio. Dopo l’analisi dei contesti delle decisioni, che possono essere assunte in condizioni di certezza, o di incertezza, in situazioni di rischio, o di conflitto, il testo affronta, nella seconda parte, la teoria dell’utilità, quindi i modelli di probabilità, l’informazione sugli stati di natura e, infine, la teoria dei giochi. Brano scelto (...) spesso le conseguenze di un’azione qualsiasi possono consistere in diversi risultati che si realizzano simultaneamente. Si pensi alla scelta di un dato volo aereo di linea. La conseguenza può comportare non solo la durata del viaggio, ma anche il prezzo del biglietto e la possibilità di partire e di arrivare in orario. Quando si intende acquistare un’automobile nuova, la conseguenza può riguardare diversi aspetti come il prezzo, la cilindrata, il numero delle porte, il colore. In altri casi le conseguenze possono essere così complesse da richiedere una descrizione lunga e dettagliata (pag. 42). Golfetto Francesca, Comunicazione e comportamenti comunicativi. Una questione di coerenza per l’impresa, Milano, EGEA 1993, pp. 155 ISBN 88-238-0229-6 168 Ha ancora senso parlare separatamente di comunicazione interna e comunicazione esterna? Francesca Golfetto, nel saggio Comunicazione e comportamenti comunicativi dimostra quanto sia preferibile, e più funzionale, superare questo falso problema attraverso il riferimento agli obiettivi. E lo fa seguendo un’impostazione rigorosa, che ricostruisce storicamente le fasi che hanno caratterizzato l’evoluzione della comunicazione d’impresa, i modelli teorici di riferimento, le influenze disciplinari, il ruolo degli eventi. Sarà il primo shock petrolifero degli anni ‘70, con le sue gravissime ripercussioni sugli equilibri economici, politici e sociali, a far sì che alla comunicazione aziendale venga riconosciuto e assegnato, negli Stati Uniti, un ruolo strategico. Da allora ad oggi passi in avanti ne sono stati fatti tanti. Tuttavia, gli orientamenti che caratterizzano attualmente il dibattito sulla comunicazione d’impresa stentano a trovare applicazione per la persistenza di sistemi organizzativi poco coerenti, se non dissonanti, con l’obiettivo di una comunicazione strategica. Non a caso, ciò che non esiste nei comportamenti non si può trasmettere con la comunicazione. E, ancora, la coerenza della comunicazione è strettamente connessa alla coerenza delle strategie. Secondo l’Autrice sono due gli elementi che denotano l’attuale fase di stallo. Il primo è quello dei flussi e degli strumenti di comunicazione. La persistenza della concezione gerarchica dell’impresa, che si esprime nella contrapposizione tra “comunicazione formale e informale, ascendente, discendente e verticale”, in quanto statica non è idonea ad esprimere la ricchezza e la vitalità della comunicazione. Quanto agli strumenti, il ricorso a circolari, news letter e riunioni, denota la prevalenza di una comunicazione top-down fisiologicamente incompatibile con lo sviluppo della creatività. Il secondo elemento di ritardo, anch’esso riconducibile alla irriducibilità della concezione gerarchica, è ravvisato nella ricerca, che l’Autrice definisce affannosa, della funzione alla quale attribuire la responsabilità della comunicazione all’interno dell’azienda. Chi è interessato a districarsi troverà, in questo bel libro, analisi, ipotesi e suggerimenti. Risposte no. Quelle vanno costruite su misura. 169 Brano scelto Si potrebbe avere così un responsabile della comunicazione commerciale, uno della comunicazione organizzativa, uno della comunicazione finalizzata al reperimento di risorse e infine uno della comunicazione finalizzata alla legittimazione dell’impresa nell’ambiente: in definitiva un responsabile per ciascuna delle aree di comunicazione dell’impresa che operi in collegamento con le diverse funzioni aziendali e in staff all’alta direzione (pag. 150). Harris Zellig, Linguaggio e informazione, Milano, Adelphi 1995, pp. 148 ISBN 88-459-1158-6 Compendio delle idee di un grande maestro della linguistica americana, Linguaggio e informazione presenta questa disciplina come uno dei presupposti della comunicazione. Nel testo è sviluppata una teoria formale del linguaggio, i cui elementi, piuttosto che in base alle proprietà fonetiche o semantiche, sono definiti in relazione alla loro frequenza. La correttezza e il senso di una frase sono il risultato di un ordinamento gerarchico e cioè di una struttura matematica. Sintassi e semantica hanno un identico peso; partendo da questa considerazione l’Autore arriva ad evidenziare quel che di paradossale vi è nel linguaggio: una struttura come la sintassi, che è altamente formale, consente la manifestazione dei significati, che sfuggono ad ogni caratterizzazione formale. Partendo dal primo stadio di formazione della frase, quello elementare, composto di soggetto e predicato, è possibile formulare la grammatica attraverso i due tipi di relazione dell’inclusione e dell’espansione tra più frasi. Dai principi generali della grammatica, che costituiscono la base di ogni teoria linguistica, si passa all’analisi dei metalinguaggi e dei sottolinguaggi, ma è ancora l’aspetto paradossale del linguaggio che sta a cuore all’Autore e così l’indagine si incentra sul rapporto tra struttura del linguaggio e informazione. 170 Un simile rapporto, che va oltre l’ambito di analisi classica della linguistica, apre la strada al più vasto orizzonte delle scienze cognitive: l’informazione veicolata da una frase o da un discorso non viene introdotta ad un certo momento, come fattore a sé stante e separato, ma è prodotta dalla scelta delle parole e dalle condizioni che influiscono su questa scelta. Brano scelto Naturalmente non si può giungere a dire che a ogni elemento di contenuto che si voglia esprimere corrisponda un’apposita forma sintattica. I sentimenti non possono essere espressi direttamente con la sintassi. Se ne può parlare, utilizzando le strutture grammaticali ordinarie; oppure possono essere espressi nel linguaggio da espedienti non grammaticali come le intonazioni non sintattiche (per esempio usando non l’intonazione interrogativa, ma quella dell’ira). Persino se consideriamo solo l’informazione si riscontrano nel linguaggio certe lacune nella correlazione forma-contenuto. Le espressioni idiomatiche non ricadono in questo fenomeno. Esse sono invece casi estremi della condizione generale che il significato di una parola può variare quando questa occorre con operatori o argomenti diversi (pag. 99). Huitema Christian, E Dio creò Internet, Padova, Aries-Franco Muzzio 1997, pp. 154 ISBN 88-7021-749-3 L’uso dell’automobile dovrebbe essere consentito solo alla polizia; consentire l’uso dell’automobile ai criminali significherebbe infatti favorirne la fuga. E’ solo una delle tante provocazioni con le quali Christian Huitema, uno dei maggiori esperti mondiali di Internet, si diverte a sdrammatizzare i catastrofismi di chi vede nella “rete di tutte le reti” il flagello prossimo venturo. E Dio creò Internet è la descrizione, e la difesa, appassionata, di un sistema che è, soprattutto e prima di tutto, libertà di comunicazione. 171 Che poi possa essere adoperato per finalità perverse, quali il traffico di organi o la pornografia, non riguarda il sistema in sé, ma l’uso che se ne fa. E la responsabilità, scaricata sullo strumento, torna, come sempre, all’uomo, insostituibile artefice di ciò che è bene e ciò che è male. Il progetto, semplice e grandioso che è oggi alla base di Internet, è quello di collegare, attraverso tutti i computer del mondo, i loro utilizzatori. Nata per collegare dei centri di ricerca, a seguito degli studi avviati nel 1969 dal Dipartimento Progetti Avanzati dell’Esercito americano, Internet vede le sue possibilità di crescita garantite dalla solidità di costruzione della sua rete, all’interno della quale non esiste, volutamente, un punto centrale, un “cervellone” individuabile e, quindi, potenzialmente annientabile. I punti centrali sono tanti quanti sono i nodi di interconnessione delle reti, ognuno in grado di controllare i propri collegamenti e quelli più prossimi; in caso di interruzione di un collegamento, se ne rendono disponibili altri. Dalla posta elettronica, ai problemi di sicurezza, al commercio su scala planetaria, tutto si incentra sulla portata rivoluzionaria di un sistema che consente, a chiunque lo voglia, di essere, contemporaneamente, consumatore e fonte di informazione. E il libro si rivela pienamente rispondente all’obiettivo dell’Autore, che è quello di opporre, alle approssimazioni, le descrizioni precise e, alle paure, il sogno. Brano scelto Internet non è “un’unica rete” con un punto centrale, controllato da qualche multinazionale. E’ un’interconnessione tra reti molto diverse. Al suo interno si trovano dei clienti e dei fornitori di servizi sia grandi che piccoli. Alcuni amministrano una rete locale, limitata a una città o a una regione, altri offrono servizi su ampia scala, e hanno connessioni che attraversano frontiere e oceani. Per far parte di Internet tutti devono interconnettersi. La connessione planetaria costituisce la forza della rete. Un fornitore, anche importante, non connettendosi agli altri, priva i propri clienti dell’accesso a tanti altri server remoti. Di conseguenza quella rete diventa meno interessante e, nel giro di poco tempo, i clienti si orientano verso fornitori meno limitati (pag. 40). 172 Kennedy Gavin, L’a b c del saper trattare, Milano, Sperling & Kupfer 1991, pp. 366 ISBN 88-200-1128-X Un manuale sul negoziato, anzi, un glossario dilatato, letteralmente dalla a di “abbandono” alla zeta di “zitti”, dove le singole voci sono illustrate in poche righe o in molte pagine, in relazione alla complessità relativa o al loro peso specifico all’interno del negoziato. L’attività concorrenziale delle aziende costituisce lo scenario prevalente delle analisi e dei suggerimenti dell’Autore per la miglior conduzione delle trattative, ma non mancano riferimenti a situazioni diverse, nelle quali il negoziato è determinante. Dalla diplomazia alle relazioni industriali ai conflitti parentali, L’a b c del saper trattare è una summa di riflessioni, valutazioni e aneddoti scritta in maniera brillante, punteggiata di ironia, sempre e comunque pragmatica. Il lettore ideale di questo manuale è il manager dell’area vendite ed è a lui, prevalentemente, che l’Autore si rivolge suggerendo, attraverso varie tattiche, cosa fare e cosa non fare nelle situazioni più disparate. Tuttavia, poiché non tutti vanno a cavallo o si dilettano di filatelia ma tutti negoziano, il libro si presta ad essere letto da un pubblico trasversale: i messaggi trasmessi sono, molto spesso, l’esplicitazione di eventi che, sia pure in contesti diversi, ricorrono nell’esperienza di ognuno. Accanto ad essi l’Autore fornisce una serie di informazioni tecniche su termini come cash flow, forfettizzazione, tassi d’interesse e la disposizione in ordine alfabetico consente la massima libertà di scelta. Il testo può infatti essere letto come un libro o consultato come un dizionario, con l’avvertenza - in quest’ultimo caso - che i termini da cercare devono avere, in ogni caso, attinenza con il negoziato. Brano scelto Decisione d’autorità. Quando un team negoziale non riesce a mettersi d’accordo sulla tattica adeguata alle circostanze o a concordare i contenuti di un’offerta, e non c’è tempo per demandare la questione a un’autorità superiore, il negoziatore più importante prende una decisione d’autorità, valida unicamente in virtù della sua carica. 173 Come avviene in campo militare, la decisione ha una sua legittimità e il team dovrebbe adeguarsi. Le decisioni d’autorità non sono necessariamente corrette, ma spesso è meglio prendere la decisione sbagliata che non prenderne affatto (pag. 101). Lehman Enrico R., Spot & Bit. Imprese, media e pubblicità nell’era digitale, Milano, Il Sole 24 Ore 1996, pp. 134 ISBN 88-7187- 641-5 La chiave di lettura di Spot & Bit è nella dedica. Per esprimere i conflitti e le contraddizioni che stanno interessando la comunicazione d’impresa, intesa nella specificità di comunicazione commerciale, pubblicitaria, l’Autore si rivolge ad Hans di Schnookeloch, personaggio di una canzone popolare alsaziana, simbolo della dualità di un territorio in perenne conflitto tra l’attaccamento alla Francia o alla Germania. “Hans ha tutto ciò che vuole, ma ciò che ha non lo vuole e ciò che vuole non lo ha”. Di piccolo, in questo libro, c’è solo il formato. L’ampiezza degli scenari e la chiarezza delle loro analisi testimoniano un approccio rigoroso alla lettura del cambiamento che caratterizza l’epoca attuale. Per Enrico Lehman sono quattro i macrofenomeni che interessano l’impresa: la crisi generale dei modelli sociopolitici; l’emergere dell’individualità e di nuovi fattori di aggregazione sociale; la trasformazione strutturale del mercato e l’introduzione delle nuove tecnologie di comunicazione. La possibilità, per l’impresa, di rinnovarsi all’interno di un contesto così complesso è connessa alla ricerca di una maggiore efficienza e all’adozione di un nuovo modello organizzativo, perseguibile nella trasformazione dello schema competitivo. Dalla guerra di posizione si passa alla guerra di movimento; dal marketing oriented al business oriented. La forza di penetrazione di un messaggio sarà sempre più collegata alla sua sintonia con le esigenze del singolo ricevente e alla sua capacità di articolarsi su livelli diversi di informazione. 174 Il tempo dei messaggi ad ampio raggio, indirizzati a vasti gruppi segmentati su parametri “larghi”, come quelli sociodemografici, è praticamente concluso. Il ruolo interattivo, che le nuove tecnologie assegnano all’individuo, preme nella logica della personalizzazione e della profondità del messaggio. Il libro si conclude con le opinioni di Giancarlo Salina sui fattori determinanti per il successo delle imprese di domani; di Franco Tatò sul rapporto tra rivoluzione tecnologica e rivoluzione individuale e di Alberto Contri, secondo il quale, una volta sbollito l’entusiasmo per le nuove tecnologie, a trionfare sarà il contenuto. Brano scelto Il cambiamento non è puramente estetico o di terminologia. E’ di sostanza. Poniamo il caso che per un’impresa il problema principale sia la difesa della quota di mercato dagli attacchi di un concorrente. Il marketing tradizionale agirebbe rinforzando i suoi strumenti: una ricalibratura del prezzo, un packaging nuovo e accattivante, incentivi al trade, un’aumentata pressione pubblicitaria, una vigorosa azione promozionale. Per un’impresa business oriented tutte queste sono variabili di secondo livello. Prima di decidere se investire risorse negli strumenti di marketing, ci si chiederà innanzitutto se, in termini economici, valga la pena di difendere la quota di mercato o se, ad esempio, non sia di maggior beneficio per l’impresa diversificare l’offerta, entrando in un nuovo settore di mercato (pag. 57). Majello Carlo, L’arte di parlare in pubblico. Guida pratica per esprimersi meglio e capirsi di più, Milano, Paoline 1997, pp. 280 ISBN 88-315-1369-9 I generi letterari della Bibbia sono così diversi tra loro perché rispondono ai criteri retorici propri dei diversi periodi nei quali i libri si sono formati e lo sviluppo delle scuole di oratoria sacra dimostra quanto fosse avvertita l’esigenza di utilizzare metodologie rispondenti all’evolversi delle culture, al fine di realizzare l’obiettivo della comunicazione e, cioè, farsi capire. 175 Il problema della comunicazione si è posto e si pone, dunque, anche nei confronti dei fedeli e il pulpito, a seconda dell’impostazione, dei contenuti, delle modalità e della lunghezza della predica, può rivelarsi più o meno idoneo alla trasmissione di certi valori. Partendo da queste considerazioni Carlo Majello analizza, in maniera chiara e discorsiva, ricca di aneddoti e riferimenti, cosa occorre fare per esprimersi meglio e capirsi di più. Ma se la comunicazione legata alla trasmissione di valori religiosi è alla base del testo, tuttavia L’Arte di parlare in pubblico non si rivolge esclusivamente agli uomini di chiesa ma a quanti, manager, docenti, politici, conferenzieri, si trovino a dover dire qualcosa, in un determinato contesto, ad un gruppo composito di persone, genericamente etichettato come pubblico. La conoscenza dell’argomento da sviluppare rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente per il successo della comunicazione; ad essa va aggiunta la conoscenza dei destinatari: solo un messaggio mirato sulle esigenze del pubblico è in grado di soddisfarne le aspettative. Dal pensiero di Seneca alle tattiche proprie del dibattito televisivo; dagli esercizi per una corretta modulazione della voce alla elaborazione delle mappe mentali; dalle citazioni di Dostoevskij, Gandhi, Padre Mariano e Pavarotti fino agli orientamenti attuali dell’Accademia della Crusca, questa guida pratica offre una grande quantità di spunti e di suggerimenti e, per finire, un decalogo. Quello del buon oratore. Brano scelto Una delle tecniche che ho sperimentato soprattutto come giornalista è quella denominata “della piramide”: stabiliti quali sono gli argomenti più importanti che vogliamo illustrare, disegniamo mentalmente o sulla carta una piramide, dividendola in tanti blocchi quanti sono i fattori essenziali che descriveremo. Diamo ad essi un certo ordine: mettiamo siano quattro. Al vertice piazzeremo il fatto principale e, a mano a mano che scendiamo verso la base, sistemeremo gli altri tre blocchi contenenti le restanti informazioni. Il motivo per cui collochiamo al vertice il fatto più importante è il seguente: in ogni ascoltatore la curva dell’attenzione si abbassa con facilità, dopo un primo sforzo iniziale (pag. 143). 176 Malizia Pierfranco, Parola e Sistema, Roma, Bulzoni 1993, pp. 157 ISBN 88-7119-547-7 Un saggio sulla comunicazione e sull’organizzazione, che parte in sordina, con il garbo dell’approccio didattico e divulgativo nei confronti di un fenomeno complesso e che, strada facendo, illustra e analizza, sempre più dettagliatamente, ruolo, significato e modalità della comunicazione d’impresa. Il tema è affrontato all’interno di specifici contesti. Sociologia, antropologia culturale, semiologia, psicologia, psicolinguistica, teoria dei giochi e pedagogia sono le prospettive di inquadramento che danno ragione della pervasività e della complessità della comunicazione. Seguono poi le diverse tipologie di analisi: transazionale, sociometrica, relazionale e categoriale. Si arriva così all’organizzazione come sistema e, infine, alla comunicazione e organizzazione, la cui trattazione interessa più della metà del testo. Le tipologie della comunicazione organizzativa, gli stili direzionali, la leadership, l’analisi degli scenari delle comunicazioni interne sono affrontati con ricchezza di riferimenti e i rinvii e le citazioni, da E. Auteri a P. Del Castillo a P.L. Amietta, consentono di inquadrare il dibattito all’interno di un panorama che, se a detta dell’Autore, non ha pretese di esaustività, si presenta indubbiamente vasto e stimolante. Dalle oscillazioni etimologiche del “cum moenia” e “communis agere”, che inducono ad individuare nella definizione iniziale del termine comunicazione il “processo sociale condiviso in un insieme sociale definito”, al questionario sulla comunicazione nelle organizzazioni, Parola e Sistema di P. Malizia si presta ad essere definito un testo base e, contemporaneamente, un testo avanzato. Brano scelto Concludiamo questo sintetico iter della comunicazione organizzativa con D. Romano e R. Felicioli i quali in un loro recente saggio affermano che “La comunicazione interna (ma a questo punto sembra più opportuno parlare di comunicazione tout court) non è quindi un aspetto marginale della vita organizzativa, né un semplice supporto all’attività di governo 177 dell’azienda, ma assume il rilievo e la centralità di una risorsa strategica”. Una risorsa il cui ruolo è quello di garantire al sistema aziendale l’equilibrio fra le tensioni del cambiamento e l’esigenza della stabilità. La comunicazione aziendale è sempre e comunque inducting, risponde cioè a precisi obiettivi di manipolazione e cambiamento degli atteggiamenti, delle idee, dei criteri di valutazione, dei comportamenti dei gruppi sociali (interni o esterni all’azienda stessa) ai quali è diretta (pag. 98). Marziantonio Roberto, Comunicazione & processi di miglioramento. La cultura d’impresa come processo di scambio, Milano, G&M Strategia d’Immagine 1997, pp. 170 Comunicazione come possibilità di guidare il progresso in una direzione positiva. Solo mettendo in comune le conoscenze in favore della collettività sarà possibile superare la dissonanza tipica del mondo moderno, dove l’individuo, singolarmente, subisce il peso di un sapere che va oltre le sue capacità di elaborazione e di acquisizione. Queste considerazioni, che sono di carattere generale, consentono, se applicate alla comunicazione d’impresa, il perseguimento dell’eccellenza. Comunicazione & processi di miglioramento è l’argomentazione, chiara e articolata, del ruolo, del significato e delle potenzialità della comunicazione d’impresa. E’, soprattutto, il riconoscimento della centralità dell’individuo e della sua valenza strategica. E’, anche, l’illustrazione di esperienze, quali il progetto pilota di “Comunicazione Responsabile con il Territorio” - CO.RE - che ha fatto, della comunicazione, il punto focale dell’impostazione e della realizzazione di un programma rilevante per il territorio come quello dell’emergenza dei rifiuti solidi urbani. Altre indicazioni significative scaturiscono dalla ricerca condotta in tre Paesi europei considerati all’avanguardia sul piano della comunicazione bancaria. I modelli tedesco, francese e inglese, ognuno nella propria specificità, esprimono sostanziali convergenze a livello di comunicazione. 178 Alle testimonianze l’Autore aggiunge, infine, le proposte: quella del Progetto di miglioramento della comunicazione, delineato negli obiettivi, negli strumenti e nelle modalità operative e quella del Bilancio sociale, indispensabile per ogni impresa interessata a verificare le proprie assunzioni di responsabilità sociale. In Appendice “Il modo nuovo di comunicare la qualità globale della cultura d’impresa”, modello di Bilancio sociale elaborato da Strategia d’Immagine per conto dell’Istituto Europeo per il Bilancio sociale. Brano scelto Ci sono, ovviamente, delle criticità. Molteplici, gravi, a più livelli. A livello culturale la più macroscopica: è carente la cultura del confronto, della messa in comune dell’informazione per farne oggetto di scambio, di conoscenza, di rendiconto e di arricchimento insieme. C’è - come è naturale e comune in gran parte di un management formatosi su modelli di erogazione unidirezionali, prescrittivi e autoritari - la confusione tra informazione, promozione, propaganda e comunicazione (pag. 47). Marzocchi Gian Luca, Strategia d’impresa e tecnologie dell’informazione, Bologna, Clueb 1991, pp. 233 Quando il ricorso alle tecnologie dell’informazione consente di modificare il prodotto di un’impresa, o le sue modalità di competizione, si è in presenza di un utilizzo strategico del Sistema Informativo. A differenza del Sistema Informativo tradizionale, la cui adozione è legata alla soluzione di problemi strettamente operativi, quella del Sistema Informativo Strategico comporta l’individuazione di uno stretto collegamento tra le politiche globali dell’impresa e la gestione delle risorse proprie del Sistema Informativo. A questo approdo si è giunti attraverso quelle che l’Autore definisce vere e proprie ere: • la prima, “Accounting”, risale agli anni ‘50-’60. L’automatizzazione riguarda le attività amministrative della contabilità generale, delle paghe, della gestione delle fatture; 179 • anni ‘60-’70, era dell’“Operation”. La disponibilità di elaboratori capaci di operare in tempo reale consente l’accesso a informazioni determinanti per il ciclo produttivo. La gestione delle scorte e la raccolta e l’elaborazione degli ordini rendono evidente la necessità di coinvolgere il management nella lettura e nell’utilizzazione delle informazioni acquisite; • anni ‘70-‘80, o era dell’“Information”. Il reperimento di dati e informazioni, facilitato dallo sviluppo di strumenti hardware e software, accentua l’esigenza manifestatasi nell’era dell’Operation. E’ la dimensione decisionale dell’utilizzo delle informazioni che fa la differenza; • fase attuale o “Wired Society”. Il Sistema Informativo continua a svolgere quelle funzioni di supporto che ne hanno caratterizzato le origini, ma compie, contemporaneamente, un salto di qualità. Diventa infatti strumento di realizzazione di nuove strategie d’impresa. La possibilità di esprimere appieno queste potenzialità trova il suo maggiore ostacolo nella difficoltà del top management di riconoscere alle risorse informatiche un ruolo che non sia esclusivamente operativo. La mancanza di familiarità con le tecnologie di informazione e la minimizzazione del loro ruolo, a difesa e affermazione della propria specifica professionalità è l’atteggiamento più diffuso, come dimostrano le tante ricerche condotte. Per uscire dall’impasse occorre favorire una serie di mutamenti culturali attraverso la rifocalizzazione, la fertilizzazione e la riqualificazione. Il futuro è nell’affermazione e nello sviluppo di una doppia cultura, insieme tecnica e gestionale e, quindi, ibrida. Brano scelto (...) i mutamenti culturali atti a favorire l’emergere di una nuova concezione del ruolo aziendale dell’IT non possono che in misura parziale essere affidati ad un approccio formativo basato su strumenti tradizionali quali corsi e seminari.(...) Le due figure chiave di ibrido e di leader, in particolare, possono compiutamente svilupparsi solo al termine di un percorso di apprendimento pluriennale non legato a logiche formative classiche, quanto invece ad una esperienza di campo vissuta in modo diretto e continuato (pag. 215). 180 Mattelart Armand, La comunicazione mondo, Milano, Il SaggiatoreEditore 1997, pp. 416 ISBN 88-428-0576-9 E se la globalità fosse un prét à porter ideologico? E’ un rischio che Armand Mattelart non vuole correre, per questo intitola il suo libro La comunicazione mondo. Il concetto di mondo evoca diversità, varietà, complessità; tutti aspetti esclusi, sorvolati o comunque non considerati dal concetto di globalità, di per sé unificante, onnicomprensivo e totalizzante. E il titolo diventa così la chiave di lettura di un’opera complessa e affascinante nella sua problematicità. La comunicazione è un modo di organizzazione del mondo, è fatta di “rapporti di forza simbolici e materiali” che si esplicano a ogni livello e tra livelli diversi, con diversi effetti e diverse modalità. Ne consegue, più che l’esigenza, la necessità di rimettere in discussione il concetto di comunicazione legato ai mass media, oscillante tra chi attribuisce ai media un potere mitico e chi si sforza di relativizzarne il potere fino a dissolverlo nel principio della sovranità assoluta del consumatore, capace di autodeterminazione nelle scelte. Una carrellata storica e tematica, ricca di stralci e citazioni, affronta il problema dell’origine della comunicazione internazionale e la individua nelle interconnessioni che si sono prodotte tra la guerra, il progresso e la cultura, nello sviluppo delle loro manifestazioni successive, nei loro flussi e nei riflussi. Nel passaggio dalle “miserie della conquista” ai “benefici della pace”. C’è poi l’analisi delle soluzioni tecniche: telegrafo, cavo sottomarino, telefono, ferrovia, fino al satellite, nell’ottica della loro partecipazione, passata e presente, alla comunicazione internazionale. E c’è il susseguirsi delle teorie: informazione, propaganda, guerra psicologica, disinformazione, modernizzazione, interdipendenza, globalizzazione, per non citarne che alcune. Quel che preme all’Autore è sollecitare la riflessione sul contesto storico e sociale che è all’origine delle diverse teorie e sugli effetti che queste teorie hanno prodotto e producono. 181 Alla base sta la convinzione che solo la riabilitazione delle “reti sociali” potrà rendere possibile un utilizzo delle “reti tecniche” in grado di affrontare i grandi temi esclusi dal mito egualitario della globalizzazione: dalla droga, al razzismo, al debito estero, all’agricoltura sostenibile. Brano scelto (...) il lettore o l’autore di una storia internazionale possono sfuggire agli etnocentrismi di ogni genere che li insidiano? Che equivale a chiedersi: partendo da quale territorio socialmente e storicamente dato si può parlare del fenomeno all’alba del terzo millennio? Difficile schivare la domanda in un periodo in cui taluni celebrano il quinto centenario della “scoperta” dell’America da parte di Cristoforo Colombo o l’“incontro di due mondi”, mentre altri, a proposito dello stesso evento, commemorano il quinto centenario della “nascita di un sistema storico di ingiustizia” e rendono omaggio alla memoria delle vittime di “uno dei più grandi genocidi e dei più sistematici saccheggi della storia umana” (pag. 381). Montironi Marina, Coppari Matteo, Capitale umano e imprese di servizi. Empowerment e valorizzazione delle persone come fattore chiave per il successo, Milano, Il Sole 24 Ore 1997, pp. 104 ISBN 88-7187-825-6 L’adozione di tecnologie sofisticate non è, di per sé, motivo sufficiente a decretare il successo di un’impresa. Sono le persone l’unica, vera e insostituibile variabile strategica. Persone, e non risorse umane, connotazione strumentale ancora molto diffusa che considera gli individui alla stregua di altre risorse, tecniche, organizzative o finanziarie. Persone, e non personale, che annulla, nella sua genericità, l’unicità dell’individuo. Solo mettendo le persone in condizione di esprimere le proprie capacità, autonomia decisionale e creatività un’impresa può risolvere i problemi che si trova ad affrontare. E questo vale per l’impresa in generale, indipendentemente dalla natura 182 della sua produzione, anche se è nelle imprese di servizi che la centralità delle persone si manifesta in tutta la sua evidenza. Sono le persone, infatti, che realizzano il servizio attraverso il contatto con il cliente, dando vita a quello che Richard Normann ha felicemente definito il momento della verità. Il punto di partenza di Capitale umano e imprese di servizi è che “il successo e la qualità del servizio siano intimamente legati all’appropriatezza dei modelli di comportamento e di relazione che si stabiliscono tra cliente e fornitore”. Si afferma così, ancora una volta, il ruolo della comunicazione, intesa specificamente come processo di esplicitazione dei modelli attesi al fine di favorire indispensabili processi di identificazione. Dopo una panoramica sul dibattito in materia di servizi e l’illustrazione degli elementi caratterizzanti, individuati nel 1977 da Shostack nell’intangibilità, inseparabilità, eterogeneità e peribilità, il testo si sofferma sulla rilevanza del front-office nel processo di servizio; analizza il rapporto tra qualità di servizio e comunicazione e le interrelazioni/interferenze tra qualità tecnica, organizzativa e relazionale. Si vedrà, in seguito, come sia proprio quest’ultima ad attivare le dimensioni tecnica ed organizzativa. Le argomentazioni teoriche sono quindi suffragate dalle esperienze di alcune grandi aziende, italiane e statunitensi, alcune pubbliche altre private, operanti ognuna in settori differenti ma accomunate dal filo rosso di una strategia volta ad esaltare la centralità delle persone. Brano scelto Se si vuole essere efficaci, bisogna produrre servizi che incontrino il più possibile le necessità di ogni singolo cliente. Se, invece, si vuole essere efficienti bisogna produrre servizi che siano confacenti a tutti i clienti. La progettazione del front office dovrà tener conto dell’equilibrio tra standardizzazione delle operazioni e aspettative individuali del cliente. Il diverso modo di disegnare il sistema ha certamente degli effetti diretti sulla gestione delle persone all’interno dell’impresa di servizi (pag. 21). 183 Murialdi Paolo, Il giornale, Bologna, il Mulino 1998, pp. 116 ISBN 8815-06388-9 Sopravviverà? Con questa domanda, quanto mai in medias res, Paolo Murialdi introduce il lettore nel mondo della carta stampata. Un mondo complesso, anzi, turbolento, per la vastità e diversità di interessi che coinvolge, all’interno del quale il giornale affronta “quotidianamente”, nel senso letterale del termine, battaglie su battaglie. Salutato come strumento di libertà, destinato indiscutibilmente ad entrare in ogni famiglia, il quotidiano fu inserito, per questo suo scontato futuro di progresso, nel paniere dei beni di largo e generale consumo per il calcolo della scala mobile. Nel ‘97, con 105 copie ogni mille abitanti, l’Italia si colloca al terz’ultimo posto nella graduatoria europea, seguita dalla Grecia e dal Portogallo. Questa scarsa predisposizione alla lettura, che è comunque cronica, oggi è ulteriormente minacciata, all’interno della Società dell’informazione, dal proliferare delle nuove tecnologie di informazione e di comunicazione, le cui prime vittime, in termini di lettori perduti dai quotidiani, sono - a livello mondiale - i giovani fino a 24 anni. Tradotto in percentuale il dato è impressionante; supera infatti l’11% del totale. Ma cos’è un giornale? Lo specchio della realtà? Con riserva, avverte l’Autore, e ne ripercorre l’evoluzione, dalle prime formulazioni alle caratterizzazioni attuali, compreso il fenomeno delle promozioni, volte a interessare i lettori sul piano del marketing piuttosto che su quello dell’informazione. Ma c’è ancora molto in questo piccolo libro. C’è l’analisi del quotidiano d’informazione e di quello di tendenza; una panoramica sulla proprietà e sulle catene, i quotidiani sono 106, le aziende che li detengono molte di meno; c’è, anche, il salto in redazione, anzi in due; il confronto di alcune testate in uno stesso periodo e tanti punti interrogativi, sulla professione giornalistica, sull’obiettività, sulla deontologia. E una risposta. A quel “sopravviverà” dell’inizio. Brano scelto Sotto le spinte della crisi, di fronte a un futuro pieno di incertezze, la mappa dei quotidiani italiani è cambiata e cambierà ancora. Non tanto 184 per numero di testate - almeno fino alla fine del 1997 - quanto nei tratti qualificanti. I grandi quotidiani diventano più grossi, seguendo tendenze da supermarket, gli intermedi cercano di tenere il passo dopo aver perduto più copie degli altri (fino all’8% nel 1995) Tra i locali, alcuni appaiono ben radicati nella loro zona ma non pochi sono in difficoltà perché frutto di iniziative avventurose (pag. 29). Olivi Bino, Somalvico Bruno, La fine della comunicazione di massa. Dal villaggio globale alla nuova Babele elettronica, Bologna, il Mulino 1997, pp. 446 ISBN 88-15-05754-4 Il concetto di internazionalizzazione è collegato al ruolo, o meglio, al peso, formale e materiale, dei confini geografici e politici. Il concetto di globalizzazione va oltre, fagocita le frontiere e crea, nel contempo, ulteriori sbarramenti, destinati a ghettizzare le fasce economicamente e culturalmente marginali che pure sono presenti all’interno delle società avanzate e quelle che, complessivamente, rappresentano un terzo dell’intero pianeta: i poveri. La sfida della comunicazione globale arriverà a rappresentare una rivoluzione sconvolgente per l’umanità perché, per dirla con le parole del primo Ministro francese Balladur, “le ramificazioni delle telecomunicazioni costituiscono ormai il sistema nervoso delle nostre società”. La fine della comunicazione di massa è l’analisi, spietata perché puntuale, di quello che significa ma, soprattutto, di quello che può significare la rivoluzione digitale, che si fonda sulla trasformazione dei segnali in numeri e sulla loro compressione, che ne aumenta la capacità di trasmissione. Le aree attualmente separate dell’editoria, della radio, della televisione, del telefono e del computer convergeranno. E il servizio televisivo, da generalizzato diventerà individuale, su misura, o per piccoli gruppi di utenti, accomunati da identici interessi. La comunicazione di massa, prima tra tutte quella televisiva, è destinata a scomparire. La televisione a pagamento sta già introducendo nuove 185 disuguaglianze, favorendo gruppi economicamente privilegiati, con la fornitura di servizi di intrattenimento e di informazione. Cosa succederà in un futuro che è già alle porte? C’è ancora spazio per il servizio televisivo pubblico? Quando le nuove tecnologie incidono profondamente sull’organizzazione del lavoro, quando la parola d’ordine è flessibilità - e di conseguenza il lavoro dipendente ha davanti a sé solo la prospettiva della contrazione crescente - c’è ancora spazio per la sicurezza sociale? La sensazione è che si sta andando, ma non si capisce dove. La rilevanza degli argomenti, la ricchezza delle informazioni e il peso degli interrogativi sollevati da Bino Olivi e Bruno Somalvico non sopportano di essere costretti in un abstract. Un grande libro. Per tutti coloro che sono interessati a domandarsi dove stiamo andando. E per tutti coloro che possono influire su questa direzione. Brano scelto Solo di una cosa vi è ormai perfetta certezza, e cioè appunto della violenza che il progresso tecnologico inarrestabile sta producendo nella vita sociale dei Paesi più avanzati, sconvolgendo altresì le ipotesi e le teorie dello sviluppo di gran parte del mondo arretrato. Perciò è corretto parlare ormai di globalità dei mutamenti in corso, perché ormai il mondo intero è coinvolto, anche perché la natura stessa delle tecnologie della comunicazione pretende un’applicazione planetaria delle innovazioni, che in modo più o meno intenso o profondo hanno conseguenze che non risparmiano nessuna parte del globo (pag. 420). Pasquale Lucio, Caro cliente. Comunicazione diretta con la clientela, Bologna, Lo Scarabeo 1993, pp. 192 Tante piccole tessere che formano, tutte insieme, un mosaico. Caro cliente è costruito così. Il tono colloquiale e il frequente ricorso a episodi, vissuti dall’Autore nella sua lunga esperienza di consulente e 186 formatore, rendono gradevole la lettura di un testo teso a oggettivare situazioni, comportamenti e modi di fare che, in quanto abitudinari, tendono a non essere analizzati. Gli spunti di riflessione sono davvero tanti: dopo una panoramica sul significato e sulle modalità della comunicazione e sulla sua evoluzione, chi è interessato all’arte della vendita trova in questo libro un vero e proprio vademecum. Ma il libro è destinato a tutti perché, spiega l’Autore, ognuno di noi, quando comunica, “vende” le proprie idee, la propria immagine, la propria credibilità. Ed è destinato a tutti anche per un altro motivo: perché tutti siamo clienti. E, nei panni del cliente, è divertente riflettere su messaggi del tipo “è severamente vietato sedersi” che fanno bella mostra di sé sui divani di un mobiliere. E’ arduo acquistare un divano senza provarlo; e anche il “severamente” cosa vorrà dire? Che saremo picchiati, maltrattati, multati? Tanto varrebbe scrivere “vietato comprare”. Brano scelto Le regole tecniche e psicologiche di un processo comunicativo convergono nell’obiettivo primario di coinvolgere e persuadere gli altri. Essendo delle vere e proprie armi possono essere utilizzate con fini positivi o negativi. Fino ad oggi la comunicazione commerciale aveva l’unico scopo di vendere il prodotto. Nella filosofia del marketing, che accomuna gli interessi del cliente e quelli del venditore, lo scopo resta pur sempre la vendita, ma solo se si ha il prodotto in grado di soddisfare le esigenze del cliente. Come dire che, se non si dispone del prodotto in grado di assolvere a questo compito, occorre anche saper rinunciare alla vendita (...). (...) anche l’azione persuasiva della comunicazione deve perseguire gli stessi obiettivi di conquista permanente e di mantenimento del cliente, non della vendita fine a se stessa (pag. 81). 187 Pasquale Lucio, Imago. Codice d’immagine personale e aziendale, Bologna, Editrice Lo Scarabeo 1996, pp. 167 Un manuale di comportamento aziendale, quasi un galateo, che analizza, nella prima parte, gli elementi che concorrono a formare l’immagine personale e, nella seconda, l’immagine aziendale. Situazioni lavorative di tutti i giorni - il rapporto con i colleghi, con i superiori, con i clienti - sono esaminate con la lente d’ingrandimento dei valori che ne sono o potrebbero esserne alla base per produrre effetti positivi. Si avverte la tensione “etica” dell’autore, che diventa indignazione, nei casi in cui vengono meno la correttezza, l’educazione, o il rispetto per gli altri. Sotto questo profilo Imago non risparmia nessuno; ce n’è per i dipendenti - è il caso dell’analisi sull’abuso delle telefonate personali - e ce n’è per i vertici, quando, magari a parole, sono fautori del coinvolgimento e della partecipazione e poi dimenticano di motivare perché una proposta non è stata accolta, tingendo di frustrazione un tentativo di collaborazione. Ma non mancano, e non potrebbero mancare in un testo che ha valenza educativa, i modelli di riferimento positivi. L’idea di fondo che permea Imago è che “le grandi cose sono fatte di piccole cose ben fatte”. Brano scelto Un alto dirigente dovrebbe avere la non facile qualità di essere al di sopra delle parti, così da decidere in tutta serenità ed obiettività pensando solo a ciò che è più utile all’azienda nella sua complessità. I suoi veri e più diretti clienti sono i dirigenti e i quadri intermedi e come tali egli deve gestirli, ascoltarli, capirli, guidarli verso la soluzione ottimale per tutti. Gli Americani hanno calcolato che un dirigente passa mediamente il sessanta per cento del suo tempo lavorativo ad ascoltare e ciò significa che più della metà della sua sostanziosa retribuzione è finalizzata alla sua capacità di ascolto. Quando, dunque, un capo si mostra stizzito perché troppe persone gli 188 rubano del tempo, dovrebbe ricordare che è pagato anche, o sarebbe il caso di dire soprattutto, per questo (pag. 89). Penco Massimo F., Internet e la comunicazione globale, Padova, AriesFranco Muzzio Editore 1997, pp. 168 ISBN 88-7021-805-8 Telefonare con Internet? Niente più che la dimensione sonora nell’ambito della normale corrispondenza con un altro utente provvisto di un indirizzo E-mail. Ma questo solo per il momento. Presto, informa l’Autore, si potrà parlare attraverso Internet, anche con chi, invece del collegamento con la rete, dispone semplicemente di un telefono e magari non possiede nemmeno un personal computer. Prodigio della tecnologia? No. Tappa, tra tante, dell’inarrestabile e scontato cammino di successo intrapreso dalle telecomunicazioni. Internet e la comunicazione globale inizia mettendo in discussione l’opportunità, nell’epoca della telefonia cellulare, di continuare ad ancorare le tariffe telefoniche al criterio della distanza quando l’adozione del criterio costo-consumo-tempo rappresenterebbe un parametro molto più vicino alla realtà attuale. Dopo un’analisi dei possibili sviluppi della politica dell’intermediazione telefonica e un accenno alle origini della “rete per eccellenza”, il libro si incentra sulle applicazioni più avanzate di Internet; è il caso della cartolina cybernetica che contiene tutto e tutto insieme: suoni, disegni, musica, testo e costa non più di un francobollo. Oltre a schemi, grafici, immagini, indirizzi e glossario, c’è anche, in allegato, un CD-ROM con oltre 20 programmi Explorer 3.02 e Net Meeting in italiano, con relative istruzioni d’uso. In appendice le modalità di accesso e l’invito ad entrare nella Free World Communications - FWC - il sito predisposto dall’Autore per realizzare “un luogo di incontro per tutti quelli che credono nello sviluppo pacifico di Internet”. 189 Brano scelto Il fenomeno delle reti locali nelle medie e grandi aziende e la loro sempre più massiva espansione, il collegamento e la creazione di siti Internet aziendali, sia per uso commerciale, che per l’immagine stessa dell’azienda, avrà come logica evoluzione anche l’uso del telefono, della video-conferenza e del fax con Internet. Il telefono con Internet sarà anche in Europa un’ovvia evoluzione, non solo per abbattere i costi della bolletta telefonica, che già sarebbe sufficiente a giustificare questa scelta, ma anche per un uso più che necessario, vista la disparità dei servizi che la comunicazione telefonica, videotelefonica e fax con Internet può offrire. Intranet è già una realtà presente in molte aziende, da qui a collegarsi anche telefonicamente il passo è breve (pag. 53). Regouby Christian, La comunicazione globale. Come costruire il capitale d’immagine dell’impresa, Torino, ISEDI 1992, pp. 160 Scritto da uno dei più grandi consulenti francesi degli ultimi dieci anni, con l’obiettivo di chiarire alcuni equivoci, primo fra tutti quello che identifica ed esaurisce la comunicazione d’impresa nel messaggio pubblicitario, La comunicazione globale affronta e analizza il come, il cosa, il quando e a chi l’impresa comunica. Il libro si apre con un excursus storico: gli anni Sessanta, propri di una società fondata sui valori del consumo; gli anni Settanta incentrati sulla contestazione e i valori liberatori e gli anni dall’Ottanta al Duemila, che sono quelli di una società che si basa sui valori della comunicazione. Per ogni periodo l’Autore illustra sinteticamente il modo di essere dell’impresa, dei consumatori e dei professionisti della comunicazione, nell’ordine che ognuna di queste realtà ha rivestito e riveste nei diversi periodi. La seconda parte, che ha per titolo “La comunicazione globale: una rivoluzione culturale”, entra nel cuore del problema, analizzando le nuove relazioni che si impongono alle imprese; relazioni la cui novità non consiste tanto nel loro manifestarsi recente quanto, piuttosto, nella strategicità che recentemente si riconosce al loro ruolo. In un’impresa tutto 190 comunica, di conseguenza ogni espressione dell’impresa è elemento determinante della sua identità. L’approccio in termini di comunicazione globale richiede che la strategia dell’impresa si articoli costantemente in una prospettiva di coerenza e sinergia nel contenuto, nella forma, nel tempo e nello spazio. La sua adozione comporta, per l’impresa, una scelta culturale, dal momento che abbraccia il suo stesso modo di essere, e una scelta politica, perché determina le direttrici del suo sviluppo; per il consumatore è fonte di referenze, perché l’immagine dell’impresa è identificabile con chiarezza, e quindi è “accessibile”; per i professionisti della comunicazione è l’assunzione di un impegno etico e la definizione di una nuova professionalità. Brano scelto Per esistere e svilupparsi durevolmente, l’impresa deve finalizzare tutti i suoi messaggi alla costruzione di un vero territorio d’identità e di personalità. Le fondamenta di questo territorio affondano le loro radici nella cultura del gruppo umano che la compone, garante di una memoria collettiva e di una formidabile energia ancora inutilizzata, o, comunque, quasi sempre mal utilizzata. E’ proprio questo, oggi, il vero motore di sviluppo e di conquista per l’azienda. Attraverso il gruppo umano, la cultura dell’impresa si proietta verso il futuro. I concetti di marca e di prodotto possono in seguito declinarsi con forza e coerenza (pag. 31). Richard Storey, L’arte della comunicazione efficace e persuasiva. Le parole, le frasi, i concetti che convincono, Milano, De Vecchi 1998, pp. 190 ISBN 88-412-5967-1 Persuadere gli altri del valore della propria persona e delle proprie idee. E’ questa la chiave del successo. E poiché, per fortuna, persuasori si diventa, anche se c’è chi ci nasce, ecco a disposizione una serie articolata di tecniche, metodi e argomentazioni in grado di consentire, ad ognuno, di influenzare gli altri. 191 L’arte della comunicazione efficace e persuasiva, scritto da quel guru della comunicazione che è Richard Storey, è dedicato a “coloro che vogliono lasciare un segno in un contesto competitivo, ottenere una promozione, convincere il proprio capo, la propria famiglia o gli amici, o guadagnare nuovi clienti”. Chiaro, brillante, ricco di aneddoti e di test da autosomministrare, il manuale affronta gli aspetti psicologici delle relazioni interpersonali collegandosi alla ricerca junghiana e, in particolare, alle quattro coppie di personalità individuate dallo psicanalista. Da questa analisi e dalla possibilità, per il lettore, di identificarsi in uno specifico tipo psicologico attraverso i test proposti, si arriva alla determinazione degli stili e degli approcci più idonei alla persuasione. Con l’avvertenza che non c’è un modo, e uno solo, di realizzare i propri obiettivi; i modi sono tanti e diversi, così come lo sono gli individui nella loro unicità. Quel che esiste, di comune, è invece una soglia, chiaramente identificata e identificabile, di quel che non è opportuno fare quando si voglia convincere qualcuno. Dopo l’individuazione e l’illustrazione degli otto stili di influenza e delle sette fasi del processo decisionale, l’attenzione si sposta ai gruppi e alle modalità per influenzarli. L’analisi della comunicazione persuasiva al telefono e le regole per scrivere in modo vincente concludono il testo che, in appendice, riassume i criteri di scelta dei modelli di influenza in base all’approccio sistematico, morbido o deciso. Brano scelto Il rapporto è il lubrificante di tutte le forme di comunicazione. E’ l’abilità d’influenza per eccellenza, più importante ancora della conoscenza del settore, della consapevolezza del mercato e delle capacità di persuasione. Una buona relazione olia i meccanismi delle infinite comunicazioni che abbiamo con altri esseri umani. Dal momento in cui lascia il suo letto a quello in cui vi fa ritorno, ciascuno di noi è in contatto quasi continuo con altre persone. E senza un rapporto che spiani l’interfaccia delle comunicazioni quotidiane, si rischia di perdere numerose possibilità d’influenza (pag. 63). 192 Santucci Umberto, Multimedia e Comunicazione d’impresa, Milano, Sperling & Kupfer Editori 1997, pp. 242 ISBN 88-200-2425-X Ogni manuale che si rispetti deve fornire istruzioni per l’uso. Le istruzioni devono essere chiare, altrimenti non istruiscono; e di diretta applicazione, altrimenti non servono. Multimedia e comunicazione d’impresa risponde pienamente a questi requisiti e, anzi, li travalica. Infatti, a fine lettura, l’impressione generale, tanto per restare nei termini, è quella di possedere una vera e propria chiave di accesso. Con questo libro Umberto Santucci consegna una password: l’esplorazione del fenomeno multimediale, delle sue applicazioni e dei possibili sviluppi, e la rilevanza del processo comunicativo di un’impresa che, al pari degli individui “non può non comunicare”, si collocano come punti di riferimento e di arrivo di un inscindibile cammino di sviluppo. Non c’è la multimedialità da una parte e la comunicazione d’impresa dall’altra: c’è un modo di essere vincenti. E l’esistenza di zone d’ombra, che certo non mancano, deve, prima di tutto, ricordarci che l’ombra c’è in quanto c’è la luce. Diviso in due parti, una più breve, relativa ai problemi generali, l’altra agli aspetti pratici, il libro è fruibile in base alle esigenze. Tanto che l’Autore invita chi non ha molto tempo e vuole subito utilizzare le indicazioni operative, ad andare direttamente alla seconda parte del manuale. Gli strumenti di lavoro ci sono tutti, e per tutte le situazioni; ad esempio, per la comunicazione esterna, il testo illustra lo schema di pianificazione strategica, il project management al computer, il time table o diagramma di Gantt, le caratteristiche del medium, la tabella costo-contatto e costorisultato e la tabella di analisi dei costi della comunicazione. Infine, per saperne di più, l’Appendice n. 1 affronta le problematiche connesse al riconoscimento giuridico delle professioni legate alla comunicazione e fornisce un elenco delle relative associazioni, mentre l’Appendice n. 2, incentrata sulla formazione alla comunicazione, indica le scuole e le università che operano in quest’area. Il testo si conclude con un glossario. 193 Brano scelto Le organizzazioni aziendali o burocratiche sono strutturate come una piramide o come una serie di alberi che da livelli bassi man mano salgono a livelli alti, fino a convergere nella direzione generale. Le nuove tecnologie dell’informazione rompono questi schemi e li trasformano in una struttura a rete, dove ogni nodo, rappresentato da una persona, da un ufficio, da un nucleo produttivo è collegato con altri nodi a formare una griglia complessa e mutevole a seconda delle esigenze del momento. Nella piramide sono importanti i vertici. Nella rete sono importanti i nodi. (...) Nella piramide, o nell’albero, la struttura è rigida e a essa si devono adattare le persone che vanno a occupare certi posti. Nella rete la struttura è fluida e dipende dalla capacità personale di attivare collegamenti con altri nodi significativi (pag. 62). Schulz von Thun Friedmann, Parlare insieme. La psicologia della comunicazione, Milano, Tea Pratica 1997, pag. 244 ISBN 88-7818-079-3 La comunicazione ha assunto, ormai da anni, una notevole importanza in ambito psicologico e psicoanalitico, ponendo l’accento sull’importanza, per l’individuo, di essere sempre e comunque all’altezza nel comunicare con gli altri. Spesso, infatti, se non sempre, ogni equivoco, ogni malinteso della vita quotidiana in ambito lavorativo, familiare o affettivo dipende dalle nostre difficoltà nell’approccio con gli altri. Questi “corto circuiti” comunicazionali possono trovare la loro origine nell’infanzia, o più generalmente nel background di ognuno e fondamentale è risolverli per una migliore qualità delle relazioni interpersonali. L’analisi e la comprensione del significato pieno del messaggio come elemento che racchiude in sé non soltanto l’appello oggettivo che si rivolge ad una o più persone, ma anche la rivelazione di sé e la relazione, ovvero la modalità del rapporto che ci lega alla persona a cui ci rivolgiamo, è fondamentale per riuscire a comprendere dove andare a cercare il “circolo vizioso” di un’errata comunicazione. 194 L’Autore, prendendo in esame le teorie dei più grandi studiosi della materia, Adler, Rogers, Cohn, Mandel, parla di circolarità del processo comunicativo. In altre parole non è da ricercare il colpevole e la vittima di un’errata comunicazione perché ognuno degli attori è allo stesso tempo “colpevole” e “vittima”. Operazione di capitale importanza che ogni individuo dovrebbe svolgere è quella, antica e proverbiale, del “conosci te stesso” come leva fondamentale per conoscere e poter comunicare con gli altri. La soluzione è costituita dalla metacomunicazione, ovvero dalla possibilità che ogni individuo ha in sé di affinare la capacità di discutere e di analizzare con l’interlocutore i motivi del fallimento comunicativo. Il testo fornisce la possibilità di un approccio semplificato e piacevole a questo tipo di tematiche, presentando anche esercizi da eseguire in gruppo, in coppia o semplicemente da soli. L’Autore, infatti, non prescinde dall’analisi, se pur breve, della fondamentale teoria della Gestalt. Brano scelto La visione della teoria sistemica, che dedica maggiore attenzione alla relazione tra gli elementi che alle caratteristiche degli elementi stessi, approda infine alla circolarità, ovvero all’affermazione di un’influenza reciproca, nella quale non c’è inizio, ma soltanto una preferenza arbitraria per un’interpunzione. Di conseguenza viene a cadere la visione moralistica della ragione o del torto (pag. 74). Si dimostrerà come l’appello “Sii te stesso” può essere ascoltato soltanto se il mittente riesce innanzitutto a rivelarsi davanti a se stesso. In altre parole: per consentire agli altri un accesso verso di me, devo prima trovare io l’accesso a me stesso e imparare a farlo una volta per tutte (pag. 83). Spencer Lyle M. Jr., Il reengineering delle risorse umane. Riorganizzare la direzione del personale, Milano, Il Sole 24 Ore 1997, pp. 312 ISBN 88-7187-797-7 L’opera di Spencer, del quale Il reengineering delle risorse umane rappresenta l’edizione italiana, è l’argomentazione, convinta e appassiona195 ta, di un nuovo modello di organizzazione del lavoro che, soprattutto negli Stati Uniti, ma non solo, punta al superamento del modello gerarchizzato tipico della fase industriale della società. Il contesto culturale è quello dell’era della responsabilizzazione o empowerment age, che rifiuta, demonizzandolo, tutto ciò che sa di burocrazia, controllo ossessivo, mansionismo e funzioni. L’era della responsabilizzazione contempla spazi di autonomia, di progettazione, di creatività, di varietà, di complessità (e anche molti licenziamenti). Ma cos’è il reengineering o ri-ingegnerizzazione? Un ripensamento radicale, una reimpostazione drastica del processo di business, in grado di consentire il raggiungimento di risultati incredibili sul piano dei costi, della qualità e del servizio, grazie all’adozione di tecnologie informatiche d’avanguardia. Sono queste tecnologie, infatti, a rendere possibile il miracolo. Del resto, è noto che per aumentare le entrate esistono sostanzialmente due metodi: il primo è quello della riduzione dei costi, il secondo consiste nell’aumentare i ricavi, ed è un po’ più complesso. La riduzione dei costi, propria del reengineering, secondo uno studio relativo a un campione di aziende statunitensi pubblicato dal Personnel Journal del luglio ‘94, consente, ma in media, un risparmio del 58% con una riduzione di organico del 67%. Il libro anticipa le meravigliose opportunità che saranno offerte dall’inarrestabile progresso delle tecnologie informatiche e illustra, passo per passo, quello che sta succedendo e quello che occorre fare per realizzare traguardi economici rilevanti. Certo, c’è un problema: quale sarà la fine dei dipendenti licenziati in seguito al reengineering? L’amministrazione Clinton attualmente (1995) sta attivando un’ampia iniziativa di ricollocamento dei lavoratori, grazie al ricorso a tecnologie informatiche d’avanguardia. Brano scelto Il prezzo del progresso Il reengineering dà alle aziende una nuova efficienza e toglie l’impiego ai lavoratori. 196 Secondo alcune stime, il reengineering porterà all’eliminazione di 25 milioni di posti di lavoro sui 90 milioni circa di posti attualmente esistenti nel settore pubblico... Il reengineering del lavoro potrebbe rivelarsi un fenomeno esteso e sconvolgente quanto la Rivoluzione industriale. “Wall Street Journal”, 16 marzo 1993 (pag. 283). Volli Ugo, Il libro della comunicazione, Milano, Il Saggiatore 1994, pp. 312 ISBN 88-428-0215-8 Indipendentemente dalle etichette e dalle definizioni, la comunicazione sembra, oggi, l’unico modo di essere. Esiste solo chi o ciò che comunica. Non comunicare significa, praticamente, non esistere. E questo vale anche nei confronti di chi o di ciò di cui non si parla. Ne consegue che chi o ciò che è in grado di comunicare con forza e precisione esiste più degli altri; prevale. La comunicazione, a differenza di quanto emerge dal modello jakobsoniano, è qualcosa di molto complesso e per niente lineare. Non a caso questa impostazione, che ha costituito il punto di partenza di tanti studi, appare a dir poco semplicistica già in relazione a quanto ognuno di noi sperimenta quotidianamente. La comunicazione, intanto e fuor di dubbio, è “l’ambito in cui diventa possibile la menzogna”. Non c’è comunicazione che sia indipendente dalla possibilità di manipolazione. Lanciato l’avvertimento, Il libro della comunicazione smonta, con sistematicità, lo schema di Jakobson attraverso l’enunciazione di sei differenti concetti di comunicazione. E va avanti, alla stregua di un inventario enciclopedico, con l’analisi delle idee, dei metodi, delle teorie, delle aspettative e dei problemi, sorti negli ambiti disciplinari più diversi, attorno alla comunicazione. Non vi è, in quest’opera, una ricostruzione storica, né un ordinamento lineare dello sviluppo della comunicazione, ma, piuttosto, un’esposizio197 ne volta a privilegiare l’aspetto strumentale della comunicazione e il suo carattere “non neutro, non empirico, non banale, non pacifico”. Riferimento costante il Trattato di semiotica generale di Umberto Eco, il libro di Volli è, in qualche modo, spettacolare, sia per la vastità delle angolazioni dalle quali affronta l’argomento, sia per la chiarezza con la quale rende conto della sua complessità. Brano scelto Sul piano informativo e politico, è ora di abbandonare il dilemma tra demonizzazione dello strumento consumistico e manipolatore ed esaltazione della sua capacità di integrazione. Si tratta di capire che la manipolazione fa parte del gioco, e che il problema è la capacità strategica dello spettatore, o piuttosto del cittadino. Sul piano politico-sociale, bisogna rendersi conto che la capacità di coinvolgimento del gioco è immensamente superiore a quella propagandistica dell’informazione (pag. 221). Volpi Sergio, Il Marketing fieristico - Fair Marketing, Milano, Lybra Immagine 1996, pp. 138 Un libro a vocazione internazionale, scritto, come è, nella doppia versione italiano-inglese, che nasce casualmente da una prima dispensa, si arricchisce con studi successivi e prende forma grazie alla documentazione degli archivi Eurostands. Il Marketing fieristico rappresenta un vero e proprio salto di qualità nei confronti dell’atteggiamento dominante che considera la fiera alla stregua di un evento; la fiera “in realtà è un media potente e diretto, solo atipico” da inserire strategicamente nella comunicazione integrata d’impresa. La fiera fa vedere, fa udire, fa annusare, fa assaggiare e fa toccare. L’udito, da solo, consente una memorizzazione del 25%; udito e vista insieme aggiungono un altro 30%; lo stand fieristico, grazie alle sinergie di percezione di tutti e cinque i sensi, consente di memorizzare un ulteriore 35%. 198 Questa capacità di stimolare globalmente il sistema percettivo fa della fiera un sistema di comunicazione multimediale, tra i cui effetti spiccano l’istituzionalizzazione del contatto, la concretizzazione di una relazione, l’impostazione di una transazione commerciale. Il libro si articola in cinque parti. Inizialmente affronta gli aspetti fondamentali della comunicazione e della percezione e li esamina nello specifico contesto fieristico; da corollario a questo approccio introduttivo c’è l’esposizione dei sistemi di comunicazione interattiva e di marketing propri della fiera. La terza parte, guardando allo stand in termini di marketing communication, illustra metodologie e strumenti volti al duplice obiettivo di successo, sul piano dell’immagine e su quello della vendita; segue l’esame degli elementi tattici, indispensabili alla elaborazione delle strategie, una volta individuati gli obiettivi e, infine, l’analisi degli aspetti tecnici e operativi dell’allestimento, dai materiali alla struttura dello stand. Ricco di dati, prospetti e immagini, Il Marketing fieristico rappresenta un testo fondamentale per gli addetti ai lavori e una tappa significativa nella cultura della comunicazione fieristica. Brano scelto Una cosa è certa. Per fare affari è necessario informare la controparte sulla promessa e sui vantaggi che vengono proposti. Tentare di fare affari senza comunicare e senza contatti con la controparte è come tentare di far viaggiare un treno senza locomotore. L’affare è un atto di comunicazione che va preordinato, considerando che oggi il consumatore cerca il valore di differenziazione tra prodotti, nell’immagine e nei simboli legati al proprio stile di vita. L’immagine d’impresa è un patrimonio soggetto a deteriorarsi. Investire in comunicazione significa investire in manutenzione dell’immagine, con un vantaggio rispetto alla manutenzione degli impianti: questi comunque continuano a indebolirsi strutturalmente e tecnicamente, mentre l’immagine curata con professionalità si potenzia e acquista valore (pag. 88). 199 Waterworth John A. (a cura di), Multimedia, Padova, Franco Muzzio Editore 1992, pp. 220 ISBN 88-7021-628-4 Il modo di scrivere e di pensare sarà rivoluzionato dall’ipermedialità, che rappresenta l’estensione, in qualche modo naturale, del concetto di ipertesto, inteso, quest’ultimo, quale lettura e scrittura non sequenziale di un unico documento. Molto più di un sistema capace di utilizzare dati di diversa origine, la multimedialità dell’ultima generazione trova il suo valore aggiunto nella capacità di combinare fonti diverse di informazione nella generazione di un sistema di riproduzione globale coerente. Il suo elemento chiave è l’interattività, all’interno della quale è possibile interrompere il processo o esserne interrotti, il che va oltre la tradizionale procedura di interazione uomo-macchina. Multimedia, destinato a chi deve comprendere, insegnare, impiegare e sviluppare la multimedialità, è un testo rigorosamente scientifico che raccoglie i contributi dei ricercatori dell’ISS - Institute of Systems Science - dell’Università nazionale di Singapore. La sfida, nota come Intelligent Global Metropolis, è quella di raggiungere un livello di tecnologia in grado di presiedere e gestire ogni attività economica, dalla produzione al trasporto, alla comunicazione, al terziario. L’esposizione degli argomenti è strutturata nel pieno rispetto dei principi classici della retorica e ogni capitolo è accompagnato dalla specifica bibliografia. Diviso in tre sezioni, il libro fornisce una panoramica delle tecnologie fondamentali per lo sviluppo della multimedialità; evidenzia quindi strumenti e ambienti appropriati al loro sviluppo, dalla ottimizzazione dell’interfaccia utente alla interazione in ambiente virtuale e si conclude con l’analisi delle applicazioni. Oltre a considerare i modelli necessari all’utilizzo dei sistemi multimediali interattivi, sono approfondite le possibilità di gestione ottimale dei contenuti che sono, al di là della sofisticazione degli strumenti, l’unica cosa veramente importante. E’ la negazione, esplicita, dell’assunto di McLuhan che vede, nel mezzo utilizzato, il messaggio. Ma non finisce qui. La seconda parte di Multimedia è già in preparazione. 200 Brano scelto La realtà virtuale, o realtà artificiale (termine, questo, che in sé è un ossimoro) è diversa dalle applicazioni precedentemente descritte (progettazione industriale, istruzione) poiché, in questo caso, l’utente ha, tramite opportuni sensori, un ruolo integralmente partecipativo all’interno del mondo simulato (Krueger, 1990). (...) Le realtà virtuali hanno un vasto campo di possibili applicazioni; un esempio è la sovrapposizione delle immagini generate dal computer con quelle provenienti dal mondo reale per consentire raffronti, progetti e generazione di linee guida. Un architetto potrà visualizzare l’edificio che sta progettando tramite uno schermo semitrasparente posto sul capo; un chirurgo potrà ricevere le necessarie informazioni mentre sta operando grazie alla sovrapposizione e alla vista particolareggiata di parti anatomiche su cui sta intervenendo (p. 79). 201 LE RIVISTE SPECIALIZZATE 203 1. LE RIVISTE DELLA COMUNICAZIONE. LO STATO DELL’ARTE DELL’EDITO- RIA PERIODICA SPECIALIZZATA Secondo i dati più attendibili, nel 1998 risultano attive in Italia 45 riviste periodiche specializzate nei temi della comunicazione. Una cifra più che ragguardevole, indice del forte interesse per le attività di comunicazione dell’azienda vivo anche nel settore maggiormente deputato, in virtù della sua flessibilità, alla diffusione dell’informazione, all’aggiornamento e allo scambio di saperi ed esperienze. L’individuazione delle testate che si occupano di comunicazione, all’interno dell’ampio panorama dell’editoria periodica italiana, è complicata dal fatto che il concetto di comunicazione soffre di indeterminatezza in ragione della polivalenza o ambiguità semantica connessa al termine, e a causa della diversità di intenzioni e di valori attribuiti dai soggetti che lo utilizzano. Le riviste sono state così selezionate secondo ambiti di pertinenza pure diversi, ma contigui e complementari. Tali ambiti comprendono tutti i temi della comunicazione, da quelli specifici della comunicazione d’azienda - interna ed esterna - e della promozione aziendale - in tutte le sue accezioni e attività di supporto, dalle relazioni pubbliche al marketing, dalle ricerche di mercato allo sponsoring, dalla pubblicità intesa in senso classico a tutte le altre forme della moderna comunicazione delle imprese -, a quelli della comunicazione pubblica, della ricerca sociologica sui mass media e la comunicazione di massa, delle innovazioni tecnologiche nel settore dell’informazione e della comunicazione, eccetera. Nelle testate selezionate, questi contenuti figurano in modo determinante o sono comunque prevalenti, tali da caratte205 rizzare significativamente l’ambito di interesse e la specialità della rivista. Sono perciò state escluse tutte quelle testate - in gran numero, per la verità - che, occupandosi della vita dell’impresa, del management e, più in generale, degli argomenti dell’economia e del lavoro, riservano saltuariamente nelle loro pagine uno spazio variabile alla comunicazione1. Il dato quantitativo - parziale relativamente al numero delle riviste cessate, ma attendibile per ricavare indicazioni - evidenzia dunque un saldo attivo delle riviste attualmente diffuse pari a 45 testate. Un forte incremento di nuove testate si registra soprattutto negli anni Ottanta e Novanta. In particolare, nel 1994 si segnala un aumento di quasi il 10% rispetto ai periodici specializzati preesistenti (tabb. 1 e 2). _______ 1. Delle precisazioni ulteriori circa i criteri di questa selezione si rendono necessarie. Va in tal senso menzionato un numero di riviste che hanno in passato destinato spazio e che correntemente ospitano saggi e interventi di grande rilevanza dedicati alla comunicazione d’impresa, ma che allo stesso tempo non possono definirsi pubblicazioni specializzate in comunicazione. Esse attestano in maniera indubitabile la crescente attenzione che la cultura manageriale rivolge alla comunicazione. Si tratta delle seguenti testate: Economia & Management. La rivista di direzione aziendale (Sda Bocconi, Etas); Finanza Marketing e Produzione. Rivista di economia d’impresa dell’Università Bocconi (Egea, Giuffré; cfr. ad esempio i nn. 1/90, 1/96, 4/96); L’Impresa. Rivista italiana di management (Il Sole 24 Ore; cfr. ad esempio i nn. 3/93, 3/96, 3/97); Industria e Sindacato (Intersind; cfr. ad esempio i nn. 10-11/92, 1/95); Notiziario del lavoro. Rivista di organizzazione e cultura d’impresa a cura dell’area Personale Organizzazione Telecom Italia (Telecom Italia; cfr. ad esempio i nn. 59/93, 74/95, 76/95); Personale e Lavoro. Rivista di cultura delle risorse umane (Isper); Sviluppo e Organizzazione (Croa Bocconi, Este); eccetera. Caso parzialmente diverso è quello delle riviste che si interessano di una forma talmente specifica di comunicazione da costituire un ambito di pertinenza indipendente e distinto da quello preso in esame dalla presente analisi. E’ il caso della comunicazione congressuale. Per una diversa ragione, dunque, una pari sorte ha riguardato le seguenti due testate: Business Congress (BC Editrice) e Convegni Incentive Comunicazione (Convegni), entrambe escluse dal presente studio. Ragioni analoghe hanno motivato l’esclusione dall’elenco delle riviste prese in rassegna di altri due periodici: OG Informazione (Ordine Nazionale dei Giornalisti) e Tribuna Stampa. Organo nazionale d’informazione dei giornalisti (Tribuna Stampa). Infatti, la loro inclusione avrebbe comportato un eccessivo allargamento del valore semantico del concetto di “comunicazione” qui considerato. Nell’elenco delle riviste selezionate non sono comprese, infine, le guide, gli annuari e i supplementi di argomento pertinente: di essi si dà conto in appendice. In ultimo appare opportuno segnalare che un considerevole numero di altre riviste e alcuni quotidiani (ad esempio, Il Sole 24 Ore, Il Corriere della Sera, la Repubblica), seppure si tratta di pubblicazioni evidentemente non specializzate, hanno cominciato a riservare nelle loro pagine uno spazio vieppiù maggiore alla comunicazione. Ciò è senz’altro indice del forte interesse culturale che negli ultimi anni sempre più sta crescendo intorno al tema. 206 Tab. 1 - Riviste attive dal 1950 ad oggi. Anni Prima 1950 1950-1959 1960-1969 1970-1979 1980-1989 1990-1998 Nate (v.a.) Cessate (v.a.)* Totale attive (v.a.) 2 2 4 11 22 21 0 0 0 1 2 9 2 4 8 18 38 *45 * I dati non fanno riferimento a 5 testate, nate rispettivamente nel 1952, 1963, 1981, 1984 e 1987, per le quali non è stato possibile stabilire l’anno di cessazione. Tab. 2 - La crescita nell’ultimo decennio. Variazione annuale delle riviste attive dal 1990 ad oggi. Anni 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 Nate (v.a.) Cessate (v.a.)* Totale attive (v.a.) Variazione (%) 0 4 3 2 4 3 4 0 1 2 2 1 0 0 3 0 1 0 36 38 40 42 46 46 50 49 *45 +5,5 +5,2 +5,0 +9,5 0,0 +8,7 +8,7 * I dati non fanno riferimento a 5 testate, nate rispettivamente nel 1952, 1963, 1981, 1984 e 1987, per le quali non è stato possibile stabilire l’anno di cessazione. Non è facile stabilire la durata media delle riviste cessate, in quanto il periodo di attività è molto variabile, oscillando da un minimo di pochi numeri distribuiti nell’arco di circa un biennio, ad un massimo di 207 31 anni di attività de Il Millimetro (tab. 3). Le altre testate più antiche sono Lineagrafica, fondata nel 1946, Ikon (1947) e Advertiser (1957). Tab. 3 - Durata delle riviste cessate. Anni 1-3 anni 4-6 anni 7-10 anni 10-13 anni oltre 13 anni n.d.* Totale v.a. % 2 3 3 2 2 5 17 11,8 17,6 17,6 11,8 11,8 29,4 100,0 * I dati non fanno riferimento a 5 testate, nate rispettivamente nel 1952, 1963, 1981,1984 e 1987, per le quali non è stato possibile stabilire l’anno di cessazione. Per quanto riguarda la distribuzione territoriale, va rilevato che le riviste sono concentrate in massima parte nel Nord Italia (84,5%), ed esclusivamente nelle grandi città (100%). In particolare, a Milano si trova il 58% delle redazioni e degli editori, a Roma il 13% e a Torino il 9%. A questo quadro corrisponde la totale assenza di sedi dislocate nell’Italia meridionale, riflesso dell’atavica arretratezza del Mezzogiorno rispetto alle aree più sviluppate del Centro-Nord (tab. 4). Tab. 4 - La dislocazione. Ripartizione delle riviste per aree geografiche. Aree Nord Centro Sud Totale 208 Città v.a. % 38 7 0 45 84,5 15,5 0,0 100,0 Piccoli centri v.a. % 0 0 0 0 0,0 0,0 0,0 0,0 Totale v.a. % 38 7 0 45 84,5 15,5 0,0 100,0 Grafico 1 - La dislocazione. Ripartizione delle riviste per aree geografiche. 100 90 80 Piccoli centri 70 Città 60 50 40 30 20 10 0 Nord Centro Sud La periodicità delle riviste varia da settimanale ad annuale, con una prevalenza delle testate mensili (33,3%), trimestrali (20%), semestrali (17,9%) e bimestrali (15,6%). I settimanali sono soltanto 2 (4,4%), e trattano prevalentemente di pubblicità. Le testate annuali (2,2%, quota che non comprende però le guide, gli annuari e i supplementi annuali) sono rappresentate da vademecum per la documentazione sui valori di fruizione dei media, la tipologia dell’audience e le tariffe, che costituiscono un utile osservatorio per orientare gli investimenti pubblicitari (tab. 5). Tab. 5 - Ripartizione delle riviste per periodicità. Periodicità Settimanale Mensile Bimestrale Trimestrale Quadrimestrale Semestrale Annuale Aperiodica Totale v.a. % 2 15 7 9 2 8 1 1 45 4,4 33,3 15,6 20,0 4,4 17,9 2,2 2,2 100,0 209 Grafico 2 - La periodicità. Ripartizione delle riviste per periodicità. settimanale mensile bimestrale trimestrale quadrimestrale semestrale annuale aperiodica La maggior parte delle testate fa capo a piccoli editori e ad agenzie attive nel settore. Solo poche case editrici medio-grandi pubblicano più di una testata (tab. 6). Tab. 6 - Editori che pubblicano più di una rivista. Editore Media Key Il Mulino Franco Angeli Giuffré Gutemberg 2000 Strategia Editoriale Nim 210 Numero di riviste 3 2 2 2 2 2 2 Il mercato dei periodici specializzati in comunicazione è stimabile complessivamente in oltre 3,5 milioni di copie stampate all’anno. Poiché le pubblicazioni sono rivolte ad un pubblico specializzato, le tirature sono, in genere, contenute. Solo in pochi casi si supera la decina di migliaia di copie al mese (tab. 7). Si segnalano come eccezioni: Proiezioni, con 100.000 copie per quadrimestre, Prima Comunicazione, con 21.000 copie al mese, e i due settimanali specializzati in pubblicità, Pubblico e Pubblicità Italia, di cui si stampano rispettivamente 10.000 e circa 8.400 copie alla settimana - rispettivamente, 480.000 e 400.000 copie all’anno. I dati sulla reale diffusione delle singole testate non sono disponibili, perché queste riviste non sono sottoposte all’accertamento ADS come i grandi quotidiani e i periodici a più larga diffusione. Tab. 7 - Ripartizione delle riviste per tiratura (numero di copie/anno). Tiratura Fino 5.000 copie 5.001-10.000 10.001-50.000 50.001-100.000 oltre 100.000 n.d.* Totale v.a. % 3 5 7 4 11 15 45 6,7 11,1 13,3 8,9 24,4 35,6 100,0 * I dati non fanno riferimento a 15 testate di cui non è stato possibile stabilire la tiratura. Un dato molto significativo riguarda la tipologia della distribuzione delle riviste. Alla maggior parte di esse è riservata solo la distribuzione per abbonamento postale (71%), in accordo con quanto generalmente accade per gran parte delle riviste molto specializzate, che rispondono a nicchie e segmenti della domanda editoriale. Questo sistema distributivo, seppure permette agli editori di aggirare i gravi costi 211 delle tirature eccessive e delle rese, d’altra parte comporta per le riviste un elevato rischio di scarsa visibilità. L’accesso alla libreria (22,3%) è limitato generalmente alle testate che fanno capo alle case editrici più grandi (Il Mulino, Franco Angeli, Giuffré), dotate di un sistema distributivo più articolato e sperimentato. La vendita nelle librerie, comunque, non abbassa di molto il rischio di scarsa visibilità delle riviste, in quanto il numero dei punti vendita librari che trattano anche i periodici, oltre che i libri, è molto ridotto. Infine, la distribuzione nelle edicole più o meno capillare - è una pregevole eccezione che riguarda solo un numero esiguo di riviste: tre in tutto (6,7%) (tab. 8). Tab. 8 - Ripartizione delle riviste per tipologia di distribuzione. Distribuzione v.a. norm. grat. Solo abbonamento 31 % riserv. totale norm. 1 0 32 68,8 grat. riserv. totale 2,2 0,0 Abbonamento + Libreria 10 22,3 Abb. + Libreria + Edicola 3 6,7 Totale 45 100,0 212 71,0 2. IL FORMATO EDITORIALE Un numero considerevole di riviste - quelle che si occupano di pubblicità intesa nel senso classico - appare più dinamico e corrispondente al formato del magazine. La veste grafica è a colori, le pagine sono arricchite da tabelle, grafici, illustrazioni e fotografie. Rispetto alle riviste di carattere prevalentemente accademico-scientifico, queste mostrano una precisa scelta circa l’output editoriale maggiormente conforme al formato tipico dei rotocalchi a più larga diffusione, e il budget di cui dispongono per i costi di stampa è evidentemente più consistente grazie agli introiti provenienti dalla vendita degli spazi pubblicitari. Il formato editoriale della maggior parte delle riviste esaminate è strutturato prevalentemente in articoli informativi e analitici sui temi della comunicazione e in aggiornamenti brevi e concisi (news) sugli avvenimenti che riguardano il mondo della comunicazione (convegni, premi, eventi, poltrone, eccetera). Questi formati ricorrono rispettivamente nel 77,7% e nel 75,5% delle riviste. In poco più della metà delle testate vengono pubblicate interviste ad esperti del settore (53,3%). Figurano, inoltre, rubriche specifiche ricorrenti in ogni numero (40% del totale delle riviste), vengono fornite le raccolte di dati utili per gli investimenti pubblicitari (diffusione della stampa, audience radiotelevisiva, big spender, tariffe, eccetera) (31%) e recensioni della letteratura specializzata (28,8%). I saggi di approfondimento ricorrono in una porzione minore di riviste (24,4%), quelle di taglio accademico-scientifico. Infine, le monografie dedicate a temi specifici e la pubblicazione dei risultati di indagini e ri213 cerche sperimentali ricorrono in una percentuale di testate ancora inferiore, rispettivamente il 17,7% e il 13,3% del totale (tab. 9). Al settembre 1998, un apprezzabile numero di riviste (16 su 45, poco più di un terzo del totale) ha allestito una versione on line, consultabile presso un apposito sito web, presso cui generalmente viene riprodotta la copertina, i dati informativi della testata, le modalità di abbonamento, l’indice di alcuni numeri, gli autori e talvolta articoli o abstract. Tab. 9 - Ripartizione delle riviste per tipologia del testo. punti 100 = tipo più frequente Tipologia Articoli News Interviste Rubriche Dati Recensioni Saggi Monografie Ricerche Posta dei lettori indice v.a. % 100 97 68 51 40 37 31 22 17 0 35 34 24 18 14 13 11 8 6 0 77,7 75,5 53,3 40,0 31,1 28,8 24,4 17,7 13,3 0,0 Grafico 3 - La tipologia del testo. Ripartizione delle riviste per tipologia del testo. 40 monografie 35 saggi 30 ricerche 25 dati articoli 20 interviste 15 10 5 0 214 news rubriche recensioni posta dei lettori 3. REDAZIONE E TARGET La redazione è curata per il maggior numero di riviste da professionisti e operatori del settore: pubblicitari, communication manager, esperti (88,8%). Abbastanza frequenti sono gli interventi diretti dei dirigenti e consulenti d’azienda (45%) che ricoprono incarichi diversi, ma pertinenti ai processi comunicativi, all’interno delle imprese. Un ruolo significativo, infine, è svolto dai ricercatori scientifici, docenti universitari, studiosi e intellettuali (22,2%), e dalle Università - come la Bocconi - e gli Istituti di ricerca - come l’Istituto di ricerca sulla comunicazione A. Gemelli e C. Musatti -, quando essi stessi si fanno direttamente promotori ed editori della testata (11,1%) (tab. 10). Questi ultimi due generi di redattori costituiscono la punta avanzata della speculazione teorica e del dibattito accademico veicolato dalle pubblicazioni periodiche. Tab. 10 - Ripartizione delle riviste per tipologia di redazione. punti 100 = redattore più frequente Redazione Profession./Operatori di sett. Dirigenti/Consul. d’azienda Giornalisti Ricercatori scientifici Istituti di ricerca/Università indice v.a. % 100 45 40 25 12 40 18 16 10 5 88,8 45,0 35,5 22,2 11,1 215 Per quanto riguarda il target di riferimento, più numerose sono quelle riviste che si rivolgono ai professionisti, operatori del settore e imprenditori (90% circa), con un taglio meno accademico e più pragmatico. Agli uomini d’azienda - dirigenti e consulenti - si indirizza circa la metà delle riviste (48,8%). Secondario, seppure apprezzabile, lo spazio destinato al dibattito teorico-scientifico: ai ricercatori scientifici e agli studenti si rivolge il 22% delle testate (tab. 11). Coerentemente, le finalità principalmente perseguite dalle riviste sono: l’informazione (88,8%), la promozione dei mezzi e delle agenzie di comunicazione (55,5%), il dibattito scientifico-specialistico (22%), la divulgazione delle tematiche (22%) e la fornitura di una documentazione utile attraverso un osservatorio continuo per orientare gli investimenti pubblicitari (17,7%) (tab. 12). L’ambiente più dinamico si riconferma, dunque, quello degli operatori di marketing e pubblicità. Questi ultimi dati vanno letti in un quadro più generale. La tabella 9, riepilogativa delle tipologie dei formati editoriali più frequenti nei periodici analizzati, indica che dal complesso delle riviste viene concesso meno spazio a ricerche e studi scientifici, e che invece numerose pagine sono riservate agli articoli generalmente brevi, alle news, ai dati utili e alle interviste - tutti formati, questi, capaci di rendere immediatamente chiari i concetti e di trasferire le esperienze altrui al lettore. D’altra parte, la tabella 10, riassuntiva del genere di redazioni più frequenti, mostra che gli autori di approfondimenti teorico-scientifici ricoprono un posto secondario nel panorama collettivo delle testate analizzate. Questa constatazione stimola la riflessione e il dubbio se poi, dopo fiumi d’inchiostro, la teoria entri effettivamente dentro i cancelli delle aziende. I due dati vanno decifrati congiuntamente a quelli forniti dalla tabella 11, significativa delle frequenze con le quali le riviste si rivolgono ai diversi destinatari. Tutti insieme, essi ci forniscono l’indicazione che, in genere, al mondo dell’editoria specializzata in comunicazione - composto dagli autori ed editori, ma anche dai lettori - tutto sommato sembra interessare di meno la speculazione teorica, mentre molto di più stanno a cuore le notizie, i dati di fruizione dei media, i casi di eccellenza, le nuove possibilità pratiche per un’azienda di “fare comunicazio216 ne”. Insomma, le riviste costituiscono principalmente un veicolo di trasmissione di esperienze concrete da operatori a operatori. Tab. 11 - Ripartizione delle riviste per tipologia dei destinatari. punti 100 = destinatario più frequente Destinatari Profes./Operat./Imprend. Dirigenti/Consul. d’azienda Ricercatori scientifici Studenti indice v.a. % 100 55 25 25 40 22 10 10 88,8 48,8 22,2 22,2 indice v.a. % 100 62 25 25 20 12 40 25 10 10 8 5 88,8 55,5 22,2 22,2 17,7 11,1 Tab. 12 - Ripartizione delle riviste per finalità. punti 100 = finalità più frequente Finalità Informazione Promozione Dibattito specia./scient. Divulgazione Documentazione Formazione 217 4. ANALISI DEI CONTENUTI. LA NUOVA STAGIONE DELLA COMUNICAZIONE Tab. 13 - Ripartizione delle riviste per contenuti determinanti o prevalenti. punti 100 = contenuto più frequente Contenuti indice v.a. % Comunicazione esterna 100 Pubblicità/Sponsoring 84 Marketing 75 Comunicazione interna 69 Mass media 69 Cultura d’impresa/Management 51 Tecnologie/Multimedialità 36 Politici/Sociali/Culturali 33 Comunicazione integrata 27 Comunicazione organizzativa 27 PR/Ufficio stampa 27 Economia/Lavoro/Finanza 27 Formazione 27 Sociologici/Antropol./Psicol./Semiolog. 24 Giornalismo 18 Organizzazione e Personale 12 Comunicazione pubblica 12 Comunicazione politica 9 Sindacali 9 Giurisprudenza del settore 6 33 28 25 23 23 17 12 11 9 9 9 9 9 8 6 4 4 3 3 2 73,3 62,2 55,5 51,1 51,1 37,7 26,6 24,4 20,0 20,0 20,0 20,0 20,0 17,7 13,3 8,8 8,8 6,6 6,6 4,4 218 Da un’analisi complessiva delle riviste emerge, coerentemente con i dati illustrati precedentemente, che i contenuti trattati sono in prevalenza: la comunicazione esterna (73,3% delle riviste), la pubblicità in senso classico (62%) e il marketing (55,5%). Seguono: la comunicazione interna (51%), lo studio dei mass media (51%), le nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione e la multimedialità (26,6%), i risvolti politico-sociologici connessi ai processi di comunicazione (24,4%), i temi relativi ai nuovi concetti di comunicazione integrata e di comunicazione organizzativa (20%) (tab. 13). Grafico 4 - I contenuti. Ripartizione delle riviste per contenuti più frequenti. pubblicità/sponsoring comunicazione esterna comunicazione interna comunicazione integrata economia/lavoro/finanza mass media giornalismo sindacali organizzazione e personale comunicazione pubblica marketing politici/sociali/culturali cultura d'impresa/management comunicazione organizzativa PR/ufficio stampa tecnologie/multimedialità giurisprudenza formazione comunicazione politica sociologici/antrop./psicol./semiol. 219 Tuttavia, un raggruppamento delle testate per categorie omogenee effettuato in relazione ai contenuti determinanti la qualità complessiva della testata, o comunque prevalenti, sia pure soggetto ad imperfezioni, permette di analizzare più approfonditamente alcune recenti tendenze. Nel valutare tali inferenze, bisogna tenere conto che il settore dei periodici è soggetto per sua natura più di altri a repentini mutamenti - innovazioni del formato e anche variazioni significative nella presentazione dei contenuti -, tali che potrebbero rendere inutile il tentativo di classificare prodotti in certi casi tanto variabili. L’analisi ha perciò valore esemplificativo, più che esaustivo, di alcuni dei trend rilevabili. Le riviste possono essere aggregate per contenuti prevalenti e determinanti, secondo i criteri enunciati, in 4 gruppi complessivamente rappresentativi di tutti i temi identificati, secondo la seguente suddivisione: A Cultura della comunicazione B Pubblicità/ Marketing C Sociologici/ Mass media D Tecnologie/ Multimed. Comunicaz. esterna Pubblicità/ Sponsoring Comunicazione politica Politici/Sociali/ Culturali Sociologici/ Antropologi Psicologici/ Semiologici Giornalismo Mass media Tecnologie/ Multimed. Comunicaz. interna Comunicaz. integrata Comunicaz. organiz. Comunicaz. pubblica PR/Ufficio Stampa Organiz. e Personale Formazione Cultura d’impresa/ manag. Giurisprudenza del settore Economia/Lavoro/ Finanza Sindacali 220 Il trend della natalità delle riviste fa registrare negli anni Novanta l’aumento più considerevole tra le testate ascrivibili al gruppo A (cultura della comunicazione), in cui i temi della comunicazione hanno subito nel dibattito teorico, seppure non ancora nella pratica comune all’interno delle aziende, una transizione verso la prevalenza del concetto di comunicazione intesa come leva strategica a disposizione del management e potenziale aggiunto per i processi organizzativi. Nel corso dell’ultimo decennio si segnala, inoltre, una stasi delle nascite delle riviste che trattano di pubblicità pura (gruppo B), e una crescita di quelle che tematizzano principalmente i mezzi e i processi dell’innovazione tecnologica connessa alla comunicazione e all’informazione (gruppo D) (tabb. 14-15). Le testate di quest’ultimo gruppo e quelle del gruppo A rappresentano le punte avanzate dell’editoria specializzata degli anni Novanta. Se il grado di attenzione per un argomento si misura dalla proliferazione degli interventi ad esso dedicati, e dall’aumento delle testate che su di esso maggiormente si concentrano, allora è giusto porre la cultura della comunicazione aziendale tra gli argomenti che hanno riscosso maggiore interesse negli ultimi anni. I cambiamenti quantitativi e qualitativi avvenuti nella stampa specializzata riflettono evidentemente le profonde trasformazioni in atto, che hanno caratterizzato e continuano sempre più a qualificare la recente evoluzione degli obiettivi e dei mezzi della comunicazione d’impresa. Gli anni Novanta sembrano essere contraddistinti, infatti, da un aumento del numero di testate specificamente dedicate alla comunicazione aziendale percepita secondo la nuova concezione per cui essa, da un ruolo marginale, passa a ricoprirne uno strategico da radicare nella cultura d’impresa. Superata l’identificazione tout court della comunicazione aziendale con la comunicazione pubblicitaria relativa al prodotto dell’azienda, si assiste ora ad una evoluzione verso la consapevolezza dei nuovi strumenti, obiettivi, pubblici e contenuti della progettualità comunicativa. La visibilità dell’impresa non sembra più essere affidata esclusivamente ai mezzi dell’advertising tradizionale presso la più vasta audience - concetto che ha avuto un grande risalto nelle riviste durante gli anni Settanta e Ottanta. Un nesso significativo si è stabilito tra comunicazione, pubblico interno all’azienda, stato di salute dell’impresa, formazione, funzionalità della 221 comunicazione rispetto all’organizzazione e, più in generale, rispetto al rapporto tra impresa e società. La comunicazione diventa, dunque, funzione strategica intorno a cui si impegna il sistema informativo e il dibattito specialistico-scientifico nelle riviste, unitamente al crescente interesse per le innovazioni tecnologiche e per il rinnovamento della cultura e competenza del management. Tab. 14 - Ripartizione delle riviste (aggregate per contenuti prevalenti) per anno di fondazione, 1970-1998. Cultura della comunicazione v.a. % Anni Prima 1970 ’70 ’80 ’90 Totale 0 3 2 10 15 0,0 6,7 4,4 22,2 33,3 Pubblicità/ Marketing v.a. % 4 8,9 6 13,3 4 8,9 4 8,9 18 40,0 Sociologici/ Mass media v.a. % 1 1 2 3 7 Tecnologie/ Multimedialità Totale v.a. % v.a. % 2,2 2,2 4,4 6,7 15,5 0 0 2 3 5 0,0 0,0 4,4 6,7 11,1 5 10 10 20 45 11,1 22,2 22,2 44,5 100,0 Grafico 5 - Ripartizione delle riviste (aggregate per contenuti prevalenti) per anno di fondazione. 0 ‘9 ni an 0 ‘8 ni an 0 ‘7 ni an 0 222 5 10 15 cultura comunicaz. pubbl./mark. sociol./mass media tecnol./multim. 20 25 Tab. 15 - Ripartizione delle riviste (aggregate per contenuti prevalenti) per finalità principale. Contenuti Cultura della comunicazione v.a. % Informazione 8 Promozione 1 Dibat. spec./sc. 5 Divulgazione 1 Documentaz. 0 Formazione 0 15 Totale 17,8 2,2 11,1 2,2 0,0 0,0 33,3 Pubblicità/ Marketing v.a. % Sociologici/ Mass media v.a. % 5 11,1 7 15,7 0 0,0 1 2,2 4 8,9 1 2,2 18 40,1 2 0 5 0 0 0 7 Tecnologie/ Multimedialità Totale v.a. % v.a. % 4,4 0,0 11,1 0,0 0,0 0,0 15,5 4 0 0 0 0 1 5 8,9 0,0 0,0 0,0 0,0 2,2 11,1 19 8 10 2 4 2 -45 42,2 17,9 22,2 4,4 8,9 4,4 100,0 Grafico 6 - Ripartizione delle riviste (aggregate per contenuti prevalenti) per finalità principale. 20 18 16 14 12 10 8 6 4 2 0 ra ltu cu . az ic un m co k. ar ./m l bb pu s as m l./ o ci so informazione ia ed m . tim ul m ./ ol cn te promozione dibat. special./scient. divulgazione documentazione formazione 223 CAPITOLO III LA DOMANDA E L’OFFERTA DI COMUNICAZIONE D’IMPRESA 225 1. GLI INVESTIMENTI IN PUBBLICITÀ Un Rapporto che si propone di “fotografare” l’attuale situazione di sviluppo delle comunicazioni d’impresa in Italia non può sottrarsi all’obbligo di predisporre anche un esame del mondo della pubblicità porzione della comunicazione su cui in maniera più cospicua si indirizzano tradizionalmente gli investimenti aziendali -; né può evitare di suggerire una valutazione delle sue più recenti inclinazioni innovative, nel tentativo di ricostruire un quadro il più fedele possibile delle tendenze e fornire indicazioni sugli sviluppi prevedibili. L’indagine adotta metodologie quali-quantitative - dalla desk-research sui dati e le informazioni provenienti da ricerche e analisi dei bilanci, agli approfondimenti dei focus group tenuti con i professionisti del settore, esperti e operatori1 - al fine di ricavare degli “indizi” validi per delineare il contesto attuale e gli scenari inediti che si prospettano all’orizzonte della comunicazione nelle sue interazioni con la dimensione economico-produttiva e, più in generale, con le dinamiche sociali. Uno strumento essenziale allo scopo è il Rapporto 1998 dell’Upa basato sull’indagine curata da InterMatrix e Astra, per quel che concerne gli investimenti in comunicazione commerciale, e da ACNielsen, per l’analisi della domanda e del mercato di pubblicità. Tale Rapporto, dal 1982 _______ 1. Le testimonianze dei professionisti della comunicazione d’impresa sono state recepite in occasione del focus group organizzato da Ascai Servizi a Roma, presso il Cnel, il 14 maggio 1998. 227 affianca alle rilevazioni, misurazioni e classificazioni relative ai mezzi e alle forme di pubblicità la ricerca predittiva sugli anni a venire2. Esso presenta quest’anno dei toni positivi circa l’andamento dell’anno 1997, la chiusura del 1998 e le previsioni per il 1999. In particolare, il 1997 appare contraddistinguere una delle fasi più positive della storia della comunicazione pubblicitaria degli ultimi vent’anni. Ma, allo stesso tempo, le rilevazioni lasciano scorgere tra le righe una certa inquietudine nel mondo dei pubblicitari, e offrono interessanti spunti per la nostra riflessione, dal momento che l’elemento nuovo emerso dall’indagine è il divario considerevole tra i tassi di crescita degli investimenti pubblicitari e l’andamento del mercato e dei consumi - quindi, delle vendite. Il dato suscita perplessità e forse qualche preoccupazione. E’ comunque un indice di sicura significatività che va considerato nelle più generali implicazioni di tendenza della cultura della comunicazione. L’analisi dei dati porta innanzitutto a stabilire l’ammontare complessivo degli investimenti pubblicitari del 1997 in 22.897 miliardi di lire, con un ragguardevole incremento rispetto all’anno precedente, pari al 7,4% nominale (+8,8% l’aumento del totale degli investimenti sui mezzi classici). Il tasso nominale di crescita cumulativo ‘97/‘95 corrisponde ad un lusinghiero +14,4% (+16,2% solo nell’area classica) (tabb. 1 e 2). Va precisato che la crescita del mercato pubblicitario è da imputare maggiormente ad un incremento del numero di annunci (+5,8%), piuttosto che all’aumento del prezzo medio per annuncio (+2,8%)3. _______ 2. Dalle rilevazioni presentate nel Rapporto annuale dell’Upa (marzo 1998) rimangono escluse le seguenti forme di investimento, la cui rilevazione risulta incerta: gli annunci a pagamento inseriti in pubblicazioni gratuite, la pubblicità su annuari e repertori, le sponsorizzazioni cinematografiche, il packaging, il bartering, la pubblicità veicolata da Televideo e tramite Internet. Per una maggiore completezza delle informazioni e dei dati, e per maggiori approfondimenti, si rimanda direttamente al Rapporto Upa. 3. Tuttavia non è il caso, questo, della pubblicità televisiva. Qui la grande domanda e la limitazione dell’offerta disponibile hanno fatto sì che il prezzo medio per singolo annuncio lievitasse, mentre è cresciuto molto meno il numero totale di spot emessi. 228 All’interno del quadro generale senza dubbio positivo per quel che riguarda gli investimenti, risulta interessante prendere in considerazione la ripartizione in ordine ai diversi settori, principalmente: stampa, televisione, radio, cinema, pubblicità esterna. Dal Rapporto Upa emerge che il maggior contributo alla crescita del mercato della pubblicità proviene proprio dai mezzi classici (+8,8% nominale; +7,0% al netto dell’inflazione). In particolare, la radio aumenta nell’insieme la raccolta dell’11,0%; la pubblicità esterna del 10,1%; i quotidiani del 9,9%; la televisione complessivamente del 9,4%. Il rendimento meno vistoso si è fatto registrare negli investimenti indirizzati all’insieme dei periodici (+4,2%), sebbene si segnala un aumento nei magazine di ben il 35,5%. Sul versante degli investimenti rivolti alle forme di comunicazione commerciale comprese nella cosiddetta “area allargata”, si è rivelata una tendenza di crescita inferiore a quella degli investimenti sui mezzi classici: +5,9% nell’insieme, e in particolare +6,5% nel caso delle relazioni pubbliche; +6,2% il direct response; +6,2% le promozioni; e, infine, +3,8% le sponsorizzazioni. Il peso maggiore nelle market share dei mezzi classici è esercitato dalla televisione, la cui quota di assorbimento degli investimenti sale dal 54,1% del 1995 al 54,6%. La stampa cala complessivamente dal 37,3% del 1995 al 36,5% (tab. 3). Inoltre, la quota degli investimenti volti alle iniziative di comunicazione (direct response, promozioni, relazioni pubbliche e sponsorizzazioni) scende a favore del complesso della media advertising dal 53,3% del 1995 al 52,5% (tab. 4). I nuovi media non costituiscono un vettore alternativo di sviluppo per la pubblicità, né erodono spazi ai mezzi classici. Non sembrano, infatti, in grado di produrre, per ora, effetti di qualche rilievo sul mercato della comunicazione commerciale. La diffusione della Tv digitale a pagamento, via satellite o via cavo (pay per view, video on demand, eccetera), sembra essere avversata dai costi, mentre l’utilizzo dei servizi on line, come Internet, seppure soggetto a sviluppi vertiginosi, è ancora limitato dalla scarsa diffusione dell’hardware necessario presso le famiglie. Le previsioni di chiusura del 1998 indicano un ulteriore rialzo nominale del 6,1%. Nel periodo gennaio-agosto 1998 gli investimenti netti sono arrivati a quasi 7.000 miliardi, con un incremento dell’11,1% ri229 spetto allo stesso intervallo del ‘97. In questo periodo la stampa è salita complessivamente del 9,1% a 2.532 miliardi (quotidiani: +7,9%; periodici: +10,7%). La televisione ha conseguito un incremento pari all’11,2% sfiorando la soglia dei 4.000 miliardi. Il comparto radiofonico, la cui quota pesa ancora in maniera ridotta sugli investimenti complessivi, ha raccolto nei primi 8 mesi dell’anno in corso 277 miliardi in tutto, consolidando un incremento notevole: +24,5%. In particolare, le emittenti private aumentano l’assorbimento degli annunci del 35,2%. Soddisfacente, infine, la raccolta delle affissioni che, nel periodo esaminato, segnano un incremento del 19,9% (185 miliardi) (tab. 5). Per il 1999, infine, l’investimento complessivo è stimato in 25.620 miliardi (+5,5%). Se le stime venissero confermate, il tasso nominale di crescita accumulato dal ‘95 al ‘99 attesterebbe un +28,0% (+16,3% reale). I dati sono ancora più significativi se si pensa ai recenti anni di crisi della pubblicità, caratterizzati da ripetuti scostamenti negativi (1993 = -2,4%; 1994 = -0,2%), cessati con il primo aumento reale verificatosi nel 1995 (+6,1%): anno topico, che ha rappresentato il momento terminale di un periodo di flessione e quello iniziale di una progressiva ripresa degli investimenti pubblicitari. La vitalità del settore viene confermata dal confronto dei dati con gli indicatori macroeconomici, innanzitutto considerando l’incidenza degli investimenti pubblicitari rispetto al prodotto interno lordo nazionale. Il rapporto tra la spesa pubblicitaria complessiva e il PIL a fine ‘97 è dell’1,18% (nel 1995 era dell’1,13%) (tab. 6). Sul versante della domanda va sottolineato che, se gli investimenti sono cresciuti in maniera notevole nel 1997 e nell’anno in corso, l’incremento del mercato pubblicitario è dipeso di fatto dall’aumento dell’investimento unitario per singola azienda (+8,1%), mentre, a differenza degli anni precedenti, non si è registrato un incremento di qualche rilievo del numero degli investitori (13.945 in totale nel 1997: +0,5%). Il 78% degli investimenti complessivi è sostenuto dalle stesse aziende del 1988, e una fetta pari al 30,6% dalle stesse marche di 10 anni fa. Gli investimenti dei primi 3 big spender nel periodo ottobre 1996-marzo 1997, infine, oscillano intorno a cifre record, tra i 200 e i 300 miliardi di lire (tab. 7). 230 Tab. 1 - Gli investimenti in pubblicità, 1995-1999 (valori in miliardi di lire correnti)*. Mezzi e iniziative 1995 1996 1997 1998 1999 Stampa Televisione Radio Cinema Esterna Costi di produzione Totale mezzi classici 3.646 5.290 413 32 402 951 10.734 3.881 5.682 455 35 425 992 11.470 4.161 6.215 505 39 468 1.088 12.476 4.323 6.638 543 43 505 1.150 13.202 4.494 6.948 576 47 540 1.198 13.803 Direct response Promozioni Relazioni pubbliche Sponsorizzazioni Totale iniziative di comunicazione 2.920 5.299 2.157 1.862 3.113 5.659 2.286 1.940 3.306 6.010 2.435 2.013 3.531 6.388 2.593 2.118 3.775 6.765 2.761 2.234 12.238 12.998 13.764 14.630 15.535 Totale generale† 20.012 21.0316 22.897 24.294 25.620 * Al netto di sconti e omaggi, comprendenti le commissioni di agenzia. † Al netto degli investimenti conteggiati più volte. Fonte: elaborazione Ascai Servizi su dati Upa. Tab. 2 - Gli investimenti in pubblicità, 1995-1999 (tassi % annui di crescita nominali e reali). Mezzi e iniziative 1995 nom. reale 1996 nom. reale 1997 nom. reale 1998 nom. reale 1999 nom. reale Stampa Televisione Radio Cinema Esterna Costi di produzione Totale mezzi classici 4,2 5,6 16,3 6,7 1,8 4,2 5,2 -1,2 0,2 10,4 1,2 -3,4 -1,1 -0,2 6,4 7,4 10,2 9,4 5,7 4,3 6,9 2,4 3,4 6,0 5,3 1,8 0,4 2,8 7,2 9,4 11,0 11,4 10,1 9,7 8,8 5,4 7,6 9,1 9,6 8,3 7,8 7,0 3,9 6,8 7,5 10,3 7,9 5,7 5,8 1,9 4,7 5,4 8,1 5,8 3,6 3,7 4,0 4,7 6,1 9,3 6,9 4,2 4,6 1,8 2,5 3,9 7,1 4,7 2,0 2,4 Direct response Promozioni Relazioni pubbliche Sponsorizzazioni Totale iniziative di comunicazione 8,4 8,7 5,7 4,9 2,8 3,1 0,3 -0,5 6,6 6,8 6,0 4,2 2,6 2,8 2,0 0,3 6,2 6,2 6,5 3,8 4,4 4,4 4,7 2,0 6,8 6,3 6,5 5,2 4,7 4,2 4,4 3,2 6,9 5,9 6,5 5,5 4,7 3,7 4,3 3,3 7,5 2,0 6,2 2,2 5,9 4,1 6,3 4,2 6,2 4,0 Totale generale* 6,1 0,6 6,5 2,5 7,4 5,6 6,1 4,0 5,5 3,3 * Al netto degli investimenti conteggiati più volte. Fonte: elaborazione Ascai Servizi su dati Upa. 231 Tab. 3 - Composizioni dei mezzi per area, 1995-1999 (valori %). Mezzi e iniziative 1995 1996 1997 1998 1999 Stampa Televisione Radio Cinema Esterna Totale mezzi classici 37,3 54,1 4,2 0,3 4,1 100,0 37,0 54,2 4,3 0,3 4,1 100,0 36,5 54,6 4,4 0,3 4,1 100,0 35,9 55,1 4,5 0,4 4,2 100,0 35,7 55,1 4,6 0,4 4,3 100,0 Direct response Promozioni Relazioni pubbliche Sponsorizzazioni Totale iniziative di comunicazione 23,9 43,3 17,6 15,2 23,9 43,5 17,6 14,9 24,0 43,7 17,7 14,6 24,1 43,7 17,7 14,5 24,3 43,5 17,8 14,4 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Fonte: elaborazione Ascai Servizi su dati Upa. Tab. 4 - Composizioni degli investimenti per area, 1995-1999 (valori %). Mezzi e iniziative 1995 1996 1997 1998 1999 Mezzi classici Iniziative di comunicaz. Totale generale* 46,7 53,3 100,0 46,9 53,1 100,0 47,5 52,5 100,0 47,4 52,6 100,0 47,0 53,0 100,0 * Al lordo degli investimenti conteggiati più volte. Fonte: elaborazione Ascai Servizi su dati Upa. Tab. 5 - Gli investimenti netti in pubblicità, gennaio-agosto 1998 (valori in milioni di lire correnti). Mezzi gen.-ago. 1997 gen.-ago. 1998 var. % Quotidiani Periodici Totale stampa 1.351.716 969.368 2.321.084 1.458.985 1.073.124 2.532.109 7,9 10,7 9,1 TV Rai TV Mediaset TV TMC Totale TV 1.264.063 2.229.630 80.070 3.573.763 1.381.113 2.501.595 91.697 3.974.405 9,3 12,2 14,5 11,2 Radio Rai Radio private Totale radio Esterna Totale generale 99.693 123.264 222.957 154.617 6.272.421 110.934 166.618 277.552 185.372 6.969.438 11,3 35,2 24,5 19,9 11,1 Fonte: elaborazione Ascai Servizi su dati ACNielsen. 232 Tab. 6 - Tassi di crescita degli investimenti e indicatori macroeconomici, 1995-1999 (valori %). Investimenti e indicatori 1995 1996 1997 1998 1999 Investimenti (tassi nom.) Inflazione Investimenti (tassi reali) PIL Consumi privati Investimenti/PIL 6,1 5,4 0,6 3,0 1,7 1,13 6,5 3,9 2,5 0,7 0,7 1,14 7,4 1,7 5,6 1,5 1,9 1,18 6,1 2,0 4,0 2,2 2,2 1,20 5,5 2,1 3,3 2,6 2,4 1,21 Fonte: elaborazione Ascai Servizi su dati Upa. Grafico 1 - Investimenti pubblicitari/PIL, 1995-1999 (valori %). Grafico 2 - Tassi di crescita degli investimenti e indicatori macroeconomici, 1995-1999 (valori %). 233 Tab. 7 - I primi 20 investitori pubblicitari (big spender), ottobre 1996marzo 1997 (valori in milioni di lire correnti). Investitori 11 Ferrero 22 Project 28 & Gamble 23 Fiat Auto 24 Barilla Dolciaria 25 Autogerma 26 Renault Italia 27 Nestlè Italia 28 Unilever Div. 28 Sagit 29 Mondadori 10 Saipo 11 Ford Italia 12 Spec. Località 13 La Repubblica 14 Fiat Alfa 15 Telecom Italia 16 Omnitel 17 TIM 18 RCS Libri 19 Perfetti 20 Telepiù Totale Stampa TV Radio Esterna 294.087 14.637 265.002 12.199 2.249 207.069 191.119 175.372 165.967 126.680 122.885 25159 78.049 12.345 52.751 47.314 24.418 177.099 88.840 153.786 76.513 57.475 81.893 4.603 16.913 9.241 29.226 14.929 11.037 202 7.317 0 7.477 6.962 5.537 111.188 110.936 97.443 96.803 95.484 92.836 92.335 87.794 83.484 83.469 78.113 71.773 68.141 7.583 34.693 29.656 34.314 95.464 70.241 59.360 64.827 24.235 34.130 32.031 1.123 40.564 101.444 54.766 67.787 59.649 0 10.674 29.275 19.639 52.287 36.305 39.957 62.337 17.603 2.101 18.234 0 2.689 0 17.771 3.696 6.814 2.241 11.516 6.075 8.223 7.746 60 3.243 0 151 0 0 2 4.997 4.721 9.188 50 0 2.228 Fonte: elaborazione Ascai Servizi su dati ACNielsen. 234 2. LO SCENARIO ECONOMICO E SOCIALE DI RIFERIMENTO I principali fattori che, secondo il Rapporto Upa, hanno determinato il trend positivo degli investimenti in comunicazione commerciale del 1997 sono individuabili nella convergenza di diverse componenti: • la disponibilità di risorse finanziarie da parte delle imprese. Nel 1997 si sono resi disponibili i frutti del processo di ricostituzione e di accumulo dei margini economici d’impresa avviato, a seguito della crisi economica, tra il 1995 e il 1996. A ciò sono stati funzionali le politiche di taglio dei costi, la sostanziale stabilità del costo dei fattori di produzione - dalle materie prime al lavoro -, nonché il calo del costo del denaro, che ha segnato una riduzione del prime rate pari a quasi 3 punti percentuali tra la metà del 1996 e la fine del 1997; • una cultura della competitività diffusa, ulteriormente incoraggiata dall’imposizione a livello continentale di modelli sociali e politici imperniati su paradigmi di competizione intesa a garanzia e tutela dei consumatori - si considerino, ad esempio, le direttive comunitarie volte all’apertura alla concorrenza nei Paesi membri di mercati tradizionalmente protetti o regolamentati; o all’orientamento delle politiche nazionali di privatizzazione e di smobilitazione di tradizionali concessioni monopolistiche. L’inasprimento della concorrenza ha riguardato non solo i mercati più consolidati, dunque, come quello alimentare e dei larghi consumi, ma anche settori emergenti come quello delle telecomunicazioni e dei servizi a valore aggiunto; 235 • le aspettative positive e la fiducia nel futuro nutrita da manager e imprenditori, che hanno soppiantato la visione pessimistica grazie alle prospettive di maggiore stabilità politica e al superamento della fase più acuta delle politiche restrittive fiscali; • l’allontanamento dello spettro di una grave recessione innescata da un possibile crollo dei consumi a seguito della crescente disoccupazione e della indisponibilità finanziaria delle famiglie; • una maturazione dei consumatori, sempre più attenti e meno propensi alla “fedeltà” ad un prodotto, che impone il ricorso strategico alla comunicazione da parte dell’offerta di mercato; • il recupero del valore della marca, in una fase in cui il crescente peso della rete distributiva richiama l’obbligo, per evitare la spirale del ribasso dei prezzi, di giustificare il differenziale di prezzo attraverso la valorizzazione, mediante la pubblicità, dei plus di prodotto e dell’immagine dei marchi. La convergenza di questi principali fattori - finanziari, culturali, di contesto - ha fatto sì che in questa fase l’interesse delle imprese si ponesse sull’acquisizione di quote di mercato e la realizzazione di vantaggi competitivi, anche in vista dell’apertura di nuovi mercati e dell’ingresso imminente dei concorrenti stranieri, facendo convergere così rilevanti investimenti sulla pubblicità. Per citare solo un caso di particolare interesse, va detto che un settore che si è segnalato, in questa fase, per la sua innovativa vivacità nel campo degli investimenti pubblicitari è quello bancario. I processi di privatizzazione e i collocamenti azionari, da un lato, l’inasprimento della concorrenza, dall’altro, e il recente boom dell’interesse per il risparmio gestito - su cui si sono riversati i piccoli risparmiatori in conseguenza della drastica riduzione dei tassi di rendimento dei titoli di Stato - hanno accostato le banche alla comunicazione pubblicitaria per rilanciare l’immagine e favorire l’offerta di nuovi servizi e prodotti. Fra tutti, rimane come mercato trainante il settore dell’information technology. Gli investimenti pubblicitari provenienti dal mercato della telefonia mobile (servizi e hardware) hanno raggiunto livelli record nel periodo ‘97-‘98, e l’apporto concorrenziale derivante dall’ingresso del terzo gestore (Wind) stimolerà ulteriormente gli investimenti in pubblicità. D’altra parte, ci si attende ora una performance analoga anche nel settore della telefonia fissa, a seguito della liberalizzazione del servizio (Infostrada). 236 3. LE PREVISIONI PER IL FUTURO PROSSIMO Nel corso del 1998, ai successi nazionali collezionati sul piano delle politiche di compressione dell’inflazione, di contenimento del deficit e di riequilibrio dei conti dello Stato senza ricorso a manovre straordinarie di finanza pubblica, e al successo rappresentato poi - anche in termini di immagine - dall’ingresso dell’Italia tra i Paesi capifila dell’unione monetaria, si sono accompagnate le turbolenze economiche dei mercati globali (la crisi asiatica, il rischio di recessione giapponese, la svalutazione del rublo, la flessione delle Borse internazionali, la crisi dell’amministrazione Clinton), nonché l’improvvisa messa in discussione degli assetti politici nazionali. Dal punto di vista economico, la fiducia riposta in un quadro tutto sommato positivo deve invariabilmente fare i conti con le dolenti note di una grave situazione sul piano occupazionale, le insufficienti misure adottate per lo sviluppo del Mezzogiorno, l’eccessiva pressione fiscale e contributiva sulle imprese, la timida ripresa dei consumi finali e la sostanziale stazionarietà della propensione al consumo (reddito disponibile reale, al netto delle tasse, allocato ai consumi). Le tendenze previste per il prossimo futuro confermano, quindi, il trend positivo del mercato, ma ne riducono la portata espansiva. Il 1998 si chiuderà, infatti, con un aumento degli investimenti complessivi pari al 6,1% nominale (+4,0% al netto dell’inflazione, contro il +5,6% del 1997). Per il 1999 si profila un miglioramento della situazione generale, delineando uno scenario in cui il tasso di crescita dei consumi salirà al 237 2,4%, il PIL al 2,6% e l’inflazione rimarrà contenuta al 2,1%. L’andamento degli investimenti pubblicitari si prevede assestato su un +5,5% nominale (+3,3% in lire costanti). Il rapporto investimenti/PIL passerà, quindi, dall’1,18% di fine ‘97 all’1,21% di fine ‘99 (tab. 6). Stando alle opinioni prevalenti, il mercato della pubblicità potrà inoltre trarre slancio dall’ingresso di nuovi utenti, grazie all’impulso delle privatizzazioni e del processo di deregolamentazione, che dovrebbero accrescere la domanda attraverso l’introduzione della concorrenza in settori che ne erano privi e attirare così nuovi operatori. Una seconda considerazione, per una corretta previsione dei comportamenti di consumo degli italiani, riguarda il progressivo spostamento verso i cosiddetti “nuovi consumi” (turismo, cultura, sanità privata, tempo libero, servizi, eccetera). In questi settori sono in corso processi di consolidamento e di professionalizzazione, fino ad esprimere nuove e più articolate esigenze di una comunicazione consapevole e mirata. Proprio da questi nuovi investitori il mercato pubblicitario può attendersi un contributo alla crescita per i prossimi anni, in previsione del progressivo orientamento verso tipologie di consumo che avvicinano l’Italia ai Paesi più maturi - dai beni primari a beni a forte contenuto di servizio. Né peraltro può essere sottovalutato l’orientamento che sembra delinearsi nel segmento delle piccole-medie imprese - parte tutt’altro che indifferente nella realtà imprenditoriale italiana - di ricercare proprie specifiche modalità di affermazione e di comunicazione. Il settore del non-profit, oltre al resto, è destinato ad una sempre maggiore attenzione da parte degli individui e dei soggetti organizzati, ed ha ormai raggiunto una prima cornice di riferimento normativo che consente di dispiegare azioni di comunicazione per attirare risorse umane e finanziarie. Si apre, dunque, una nuova frontiera per la comunicazione. In linee generali, il mercato della comunicazione pubblicitaria si riafferma tra le leve competitive indispensabili per il management, e quindi tra i fattori produttivi al servizio dell’azienda. Ma il Rapporto dell’Upa avverte: “Risulta sempre più fortemente radicata come valoreguida la cultura del risultato (...). Se da un lato, dunque, vengono con238 fermate l’interpretazione della comunicazione (pubblicitaria) in chiave di investimento e la sua acquisizione fra le prioritarie destinazioni delle risorse aziendali, dall’altro la prosecuzione delle attuali politiche espansive sembra fortemente condizionata dalla verifica della loro efficacia e dunque dei risultati” (Upa 1998, p. 25). Risulta chiaro, in altri termini, che una prosecuzione della fase di espansione del mercato della pubblicità nel prossimo futuro è strettamente vincolata al riallineamento del tasso di crescita degli investimenti con quello relativo ai consumi - e ai fatturati delle imprese, quindi - che in questa fase, come già detto, sono risultati fortemente divergenti. Tanto più che la congiuntura degli eventi favorevoli del 1997 non potrà replicarsi. Per fare solo un esempio, si sta esaurendo l’impatto positivo esercitato sui conti economici delle imprese e sugli investimenti in pubblicità dal processo di accumulo successivo alla crisi. 239 4. CRISI DELLA PUBBLICITÀ O NUOVO CORSO DELLA COMUNICAZIONE? Il rapporto della spesa pubblicitaria con il PIL e quello con i consumi finali interni delle famiglie, cui sopra abbiamo accennato, rappresentano il riferimento più indicativo di cui si dispone. Se viene posta l’attenzione sul rapporto esistente tra il ritmo di sviluppo dell’economia e quello del mercato della comunicazione commerciale, si scopre che il rapporto tra l’incremento percentuale degli investimenti e quello del PIL nel biennio ‘96-‘97 è pari a 3,8 volte. Depurato il dato dell’effetto inflattivo, in modo da confrontare dati omogenei, si trova essere persino superiore a quello registrato nel biennio d’oro ‘88-‘89 di un decennio fa, in cui il tasso di incremento degli investimenti rispetto agli anni precedenti era superiore a quello attuale, ma il rapporto con l’incremento del PIL era pari “solo” a 1,6 volte. A ciò si aggiunge l’ampio divario stabilitosi tra il tasso di crescita degli investimenti (complessivamente +5,6% al netto dell’inflazione, e +7,0% per quanto riguarda le forme di pubblicità “classica”) e quello relativo ai consumi privati (+1,9%). La profonda divergenza riferita tra la crescita degli investimenti pubblicitari e i fondamentali dell’economia, ravvisabile nello scenario socio-economico italiano presente rispetto alle serie storiche degli indici di correlazione, implica tacitamente una constatazione: che alla ripresa degli investimenti in pubblicità non ha corrisposto un pari progresso delle vendite e dei margini d’impresa. 240 Sebbene gli attuali tassi di crescita al netto dell’inflazione ricordino i tassi degli anni Ottanta, lo scenario è profondamente mutato. La crisi dell’incidenza pubblicitaria - ovvero il rapporto percentuale tra investimenti pubblicitari e vendite - indica chiaramente che è entrato in crisi il paradigma pubblicitario di quegli anni. La tradizionale funzione della pubblicità intesa come stimolo, traino e moltiplicatore dei consumi e delle vendite ha perso di efficacia: aumentano, sì, i margini investiti, ma non crescono di pari passo i risultati in termini di sell-out e di conseguimento effettivo degli obiettivi. Cade la “mitica” proporzionalità diretta tra pressione pubblicitaria e consumi. Una simile osservazione comporta un’analisi esplicativa altamente complessa e chiama in causa, per la sua soluzione, l’intervento dei fattori molteplici e interrelati che agiscono sul comportamento dei consumatori. Non è questa la sede per dirimere la questione, che va spiegata ricercando le cause nell’evoluzione dei cicli del mercato, tuttavia si vuole cogliere lo spunto offerto da questo dato assai significativo per scorgere una linea di tendenza evolutiva della cultura della comunicazione. In base alle più accreditate opinioni espresse dagli esperti del settore, il paradigma della pubblicità è cambiato. L’affermazione merita di essere sostenuta con una ricognizione più ampia delle recenti innovazioni. Oggi la distribuzione incide in maniera significativa sull’intero processo aziendale. Il peso esercitato dal destinatario, il cliente, influisce in modo crescente sullo sviluppo aziendale. Permangono, certo, i problemi legati alla produzione e alla ricerca di nuovi mercati, ma essi sono legati sempre di più a doppio filo alla capacità di capire e comunicare con il cliente, e di fornirgli un servizio adeguato. Dato il continuo confronto/scontro dei produttori con la distribuzione, il vantaggio si colloca allora nella capacità di conquistare la cosiddetta share of mind del consumatore finale. E’ evidente che queste nuove necessità sono tutte inerenti alla funzione di comunicazione. Il dialogo con il consumatore attraverso la comunicazione della marca è dunque diventato lo strumento fondamentale della politica delle aziende in questo scorcio di secolo. 241 In una concezione siffatta, che considera la leva comunicazionale d’impresa in termini molto più articolati rispetto a quelli riduttivi del passato, l’utilizzo della comunicazione diviene fattore sempre di più strategico, “elemento basilare della costruzione del prodotto e di quel particolare rapporto tra quest’ultimo e il consumatore che è riassunto dal concetto di marca” (Upa 1998, p. 143), anche quando la spesa pubblicitaria non abbia effetto immediatamente propulsivo sulle quote di mercato, né tempestivi benefici sui risultati di vendita. “La pubblicità manifesta, pertanto, una minore capacità di fare reagire le vendite nel breve periodo, ma emerge come uno degli elementi fondamentali per la costruzione e il sostegno della marca e quindi delle vendite nel medio periodo” (Upa 1998, p. 142). Questa spiegazione dei profondi cambiamenti avvenuti nel modo e nel senso di “fare pubblicità” si adatta correttamente al nostro attuale contesto socio-economico e produttivo. Eppure deve essere valutata con cautela. Questa interpretazione dell’inversione di tendenza del rapporto tra l’incremento della spesa pubblicitaria e quello dei consumi, pur contenendo argomenti validi e utili, rischia di apparire indebolita dal punto di vista speculativo da una sorta di petizione di principio: viene cioè utilizzata in funzione di premessa esplicativa la tesi che si deve invece dimostrare. I dati empirici vengono letti a posteriori come rinvianti a qualcos’altro in realtà già presupposto. Al di là di tale interpolazione proveniente dal mondo dei pubblicitari, il dato di scostamento della crescita della spesa pubblicitaria da quella dei consumi finali lascia intravedere una ulteriore ipotesi di interpretazione delle più recenti tendenze della comunicazione d’impresa rispetto al sistema aziendale e al corpo sociale nel suo complesso, entrambi collocati all’interno dei grandi cambiamenti in cui oggi ci troviamo immersi. Va prima di tutto sottolineato che il sistema aziendale è scosso fortemente e rapidamente nella sua funzione e gestione dai mutamenti strutturali e istituzionali associati all’ondata delle innovazioni tecnologiche che stanno penetrando in maniera pervasiva nel complesso economico e sociale del Paese. In secondo luogo, i processi di globalizzazione dei mercati, di liberalizzazione, deregolamentazione e privatizzazione dell’economia, e 242 l’unificazione politica e monetaria europea hanno determinato una fase di radicale trasformazione dell’assetto organizzativo delle imprese e delle relazioni di comunicazione delle stesse. Le motivazioni che stanno dietro l’orientamento politico mondiale verso la deregolamentazione, la liberalizzazione dei mercati e la privatizzazione delle utilities e dei servizi pubblici risiedono nella convinzione radicatasi ormai ai diversi livelli che l’aumento - o, in taluni casi, l’introduzione - della concorrenza tra le imprese nei molteplici settori determinerà insieme l’aumento della loro redditività, il miglioramento del servizio e la riduzione dei costi per l’utenza finale. Nel nuovo contesto delineato diventa assolutamente imprescindibile per l’impresa arrivare a una concezione dei prodotti e dei servizi in linea con le esigenze della clientela, esterna ed interna, attraverso l’instaurazione di nuove relazioni con gli utenti, i dipendenti, i soggetti collettivi (associazioni dei consumatori, gruppi di interesse, enti locali, eccetera) e la società in generale, e attraverso il monitoraggio organizzato delle esigenze della domanda. Tale rete di relazioni ha lo scopo di costruire un meccanismo sistematico di misura del clima aziendale e della customer satisfaction - essenziale, quest’ultima, per costruire piani di offerta e di comunicazione verso la clientela, ma soprattutto per definire la concezione dei nuovi prodotti e servizi sulla base delle reali esigenze del mercato, non più mediate da una interpretazione soggettiva da parte dell’azienda. Siamo convinti che “i fenomeni comunicativi sono strettamente e intimamente legati a quelli consumistici, dato che senza rapida comunicazione e quindi senza possibilità di quasi immediata trasmissione di un prodotto, di un pensiero, di una immagine non si verificherebbe neppure un altrettanto rapido e incessante consenso e la necessità di apprestare nuovi condizionamenti visivi, auditivi, immaginativi che valgano a soddisfare la nostra smania, e anzi il nostro bisogno, di «novità»” (Scalise 1984, p. 140). Tuttavia, e proprio in ragione di ciò, i vantaggi competitivi si ottengono oggi sfruttando altri strumenti e approcci comunicativi accanto alla tradizionale comunicazione pubblicitaria. Superata l’identificazione immediata della comunicazione aziendale con la pubblicità commerciale dei prodotti d’impresa, si assiste og243 gi ad una evoluzione degli strumenti, degli obiettivi, dei contenuti e degli approcci della comunicazione, imposti dalla competizione globale e dalle turbolenze degli scenari socio-economici internazionali, nonché dall’evoluzione delle reti e dall’innovazione tecnologica nella gestione delle informazioni. La comunicazione agisce sempre di più all’interno delle diverse reti di relazione che costituiscono le organizzazioni, coinvolgendo al tempo stesso i clienti esterni ed interni. Va dunque senza dubbio rivalutata l’importanza del cliente interno: non si può sostenere la promozione pubblicitaria del prodotto o servizio dell’azienda ed essere incapaci al contempo di gestire in maniera adeguata e soddisfacente le relazioni all’interno dell’organizzazione. E’ emblematico, a questo proposito, il caso delle Ferrovie dello Stato che, qualche tempo fa, lanciarono una costosa campagna pubblicitaria la quale, sfruttando l’immagine di un famoso testimonial, focalizzava l’interesse sulla qualità del servizio (efficienza dei treni, comfort, velocità e sicurezza). A tale iniziativa non corrispose però un reale investimento nell’innovazione e un miglioramento effettivo, né tantomeno un investimento nella strategia di comunicazione interna. Il risultato fu un messaggio dal contenuto fortemente contraddittorio e, in definitiva, una operazione di comunicazione inefficace. 244 5. IL NUOVO PARADIGMA DELLA COMUNICAZIONE Non si può comprendere il nuovo paradigma della comunicazione d’impresa, né i tratti essenziali con cui si modifica l’offerta di comunicazione, se non si predispone un’analisi strettamente integrata con l’individuazione dei soggetti, interni ed esterni, che contribuiscono alle scelte di politica di comunicazione - quindi, alla domanda di comunicazione d’impresa. Come prima impostazione metodologica, dunque, c’è la rinuncia al tentativo di un’analisi separata tra: • soggetti che contribuiscono alla definizione della domanda di comunicazione d’impresa; • soggetti che rappresentano l’offerta di comunicazione d’impresa. L’impresa che comunica lo fa in quanto immersa nella società comunicativa, fondata sulla interdipendenza tra soggetti, saperi, competenze, finalità, modalità di azione, relazioni. Le riflessioni su “cos’è comunicazione” convincono a non poter valutare separatamente l’analisi dei soggetti che costituiscono l’offerta di comunicazione da quella che riguarda i soggetti che contribuiscono alla definizione delle scelte di politica di comunicazione delle imprese. Inoltre, gli aspetti - o, più propriamente, gli “indizi” - concernenti l’evoluzione della domanda di comunicazione, raccolti e ordinati durante l’attività di analisi e di interpretazione delle testimonianze provenienti dal mondo dei professionisti della comunicazione, incoraggiano fortemente l’ipotesi di lavoro indirizzata a delineare lo scenario dei soggetti che costituiscono l’offerta di 245 comunicazione alle imprese. L’intuizione che sorregge questo quadro si basa, dunque, sulla interdipendenza tra i soggetti dell’offerta e i soggetti della domanda. Stabilito questo punto di partenza, l’analisi proposta è strutturata in tre “luoghi” di riflessione: • analisi introduttiva su “cos’è comunicazione”; • soggetti che contribuiscono alla definizione della domanda di comunicazione d’impresa; • soggetti che rappresentano l’offerta di comunicazione alle imprese. 5.1 La comunicazione è scelta di comportamento Una prima, fondamentale, premessa teorica è la differenza tra comunicazione e informazione. Nel processo comunicativo si stabilisce una relazione tra il soggetto che comunica (la fonte, l’emittente) e l’obiettivo che si vuole raggiungere. Ciò che interessa non è quanto si trasferisce dell’informazione dall’emittente al ricevente attraverso un mezzo o uno strumento, ma quale influenza la fonte ha la capacità di esercitare per il raggiungimento dell’obiettivo. E’ la risposta di comportamento dell’“altro” (il destinatario, il ricevente) che conclude il processo comunicativo, e non il trasferimento di una informazione. Dunque, la comunicazione si basa sull’ascolto dell’altro e sull’analisi della sua risposta in termini di comportamento; fuori da questa ipotesi tutto è informazione. Il soggetto-altro è assiomaticamente diverso dal soggetto-fonte. Non si può, per questo, comunicare senza aver prima ascoltato. E non si può comunicare, dopo aver ascoltato, senza modificare i propri comportamenti. Comunicazione è, quindi, scelta di comportamento. E scegliere quei comportamenti che abbiano una immediata efficacia nella comunicazione permette di ottenere una risposta che non può essere solo formale, ma deve essere di sostanziale modifica di comportamento da parte dell’altro interesse. La comunicazione reale è, dunque, comunicazione di ascolto e di comportamento, modalità di disponibilità al cambiamento anche da parte di chi comunica. 246 Se comunicazione è scelta di comportamento, allora i soggetti della comunicazione d’impresa da individuare sono coloro che contribuiscono alle scelte di comportamento delle imprese. Domanda e offerta di comunicazione attengono in definitiva alle modalità di scelta di comportamento delle imprese. 5.2 La società è comunicativa Quest’ultima affermazione è supportata dalla configurazione generale che la società di questi anni è venuta sempre più assumendo. L’attuale società è stata da più parti definita “comunicativa”. Secondo l’interpretazione che interessa al nostro percorso di analisi, società comunicativa è la società in cui la comunicazione non è scissa dagli obiettivi istituzionali o aziendali. Nella società comunicativa, la comunicazione non è successiva o strumentale alle decisioni strategiche, ma è, all’opposto, modalità di determinazione degli obiettivi - e dei comportamenti - e principale leva strategica della loro realizzabilità. Nella società comunicativa non agisce una volontà aziendale che pone l’obiettivo e chiede alla comunicazione un contributo per il suo raggiungimento. Agisce, all’inverso, una comunicazione dell’impresa che partecipa, e risulta utile, alla definizione dell’obiettivo. Chi ha ruolo nella società comunicativa per la definizione dell’obiettivo? Per molti anni si è erroneamente ritenuto che il sistema della comunicazione fosse soprattutto un processo industriale, dove la comunicazione si consuma quasi come un prodotto. Tutto ciò non è adeguato a una società interdipendente e pluralista come quella in cui viviamo. La comunicazione, intesa nella visione della società comunicativa, è la comunicazione che dà consapevolezza, in particolare delle interdipendenze e delle interconnessioni che sono l’aspetto fondamentale della nostra società. In essa, tutte le categorie di rappresentanza degli interessi partecipano alla definizione dell’obiettivo, influenzando la domanda di comunicazione d’impresa. In linea di principio, le categorie dei giuristi, dei filosofi, degli economisti, degli ambientalisti, eccetera sono u247 gualmente coinvolte nel processo di definizione dell’obiettivo aziendale. Le comunicazioni di tutte queste categorie possono influenzare e agire sui quadri dell’industria della comunicazione e contribuire alla qualità dell’offerta di comunicazione alle imprese. Anche le scelte e le decisioni di comportamento possono essere influenzate, quindi, dalla comunicazione espressa dalla società comunicativa. 5.3 Il paradigma della comunicazione è cambiato L’altro aspetto che sostiene la tesi che domanda e offerta di comunicazione attengono alle modalità di scelta di comportamento delle imprese riguarda la constatazione che è cambiato - ma non solo sul mercato italiano - il paradigma di base della comunicazione d’impresa. Anche se non ancora definitivamente percepibili in Italia, emergono i segnali che: • la comunicazione svolge il ruolo di pilastro portante di quella società della conoscenza che permea di sé il nostro futuro prossimo; • l’economia della convergenza tecnologica pone la comunicazione come suo fondamento e impatta trasversalmente ogni organizzazione, sotto l’aspetto sia culturale che di processo; • i percorsi di disintermediazione in atto sui mercati impongono alla comunicazione d’impresa un cambiamento culturale. Le implicazioni di questo cambiamento di paradigma sono già riconoscibili nel: • chi comunica - i soggetti della comunicazione d’impresa sono cambiati: dal consumatore/azionista/dipendente si è passati agli stakeholders/gruppi di interesse; • come si comunica - i processi sono cambiati, anche se gli strumenti usuali rimangono a fianco dei nuovi; • perché si comunica - la relazione e il comportamento prevalgono sulla immagine e sulla visibilità. Si è dunque avviata una fase di mutazione che conduce a riconoscere alla comunicazione un ruolo centrale nella definizione dei comportamenti delle imprese. Il modello generale della comunicazione 248 d’impresa attiene al rapporto tra i comportamenti aziendali e gli stili e la qualità di vita delle persone. Il cambiamento di paradigma della comunicazione si fonda, infatti, sulla crescente consapevolezza che la comunicazione di comportamenti da parte delle imprese socialmente responsabili determina un significativo valore aggiunto nelle relazioni con i gruppi di interesse. In tal senso, la comunicazione non va vista unicamente come un dato di efficienza dell’organizzazione, ma anche come possibilità di sviluppo dell’azienda stessa e, in fondo, dell’economia di produzione. 5.4 La partecipazione degli interessi esterni e interni nella definizione della domanda di comunicazione d’impresa Nello scenario attuale l’attenzione si sposta sulla comunicazione di ascolto e di comportamento. E’ su questa base che poggia l’intuizione di non poter svolgere un’analisi separata tra domanda e offerta di comunicazione, in quanto entrambe attengono alle modalità di scelta dei comportamenti dell’impresa. Mentre domanda, l’azienda offre comunicazione. E, viceversa, i soggetti esterni, che tradizionalmente costituiscono l’offerta, influenzano la definizione della domanda partecipando così alle scelte strategiche dell’impresa. Questo modello dell’inter-soggettività tra domanda e offerta di comunicazione si fonda sulla convinzione che non c’è comunicazione d’impresa reale e fondata sull’ascolto se non c’è la partecipazione dei gruppi di interesse - esterni e interni - alla definizione dei processi decisionali dell’organizzazione. Nell’attuale configurazione pluralista della nostra società, lo schema di riferimento delle organizzazioni complesse è proprio quello che si fonda sulla mediazione e sulla loro capacità di ricezione dell’assetto degli interessi. Secondo questo schema, la domanda/offerta di comunicazione - o meglio, la scelta di comportamento - proviene dall’organizzazione e dall’equilibrio degli interessi - esterni e interni - nella loro soddisfazione di fatto. La centralità del ruolo di ricezione è importante per riconfermare che in una società comunicativa e pluralista domanda 249 e offerta di comunicazione interagiscono e si influenzano reciprocamente. Nel contesto del pluralismo, dunque, gli interessi diversi contribuiscono, attraverso un processo di comunicazione, alle scelte di comportamento del soggetto-fonte. In concreto, esiste la possibilità che interessi esterni all’impresa contribuiscano alla definizione della domanda di comunicazione. Perseguire l’individuazione di quali soggetti contribuiscono alla domanda di comunicazione d’impresa presuppone una domanda: qual è l’interesse da ascoltare? Ovvero: se comunicazione è ascolto e conseguente scelta di comportamento, allora quali interessi orientano le azioni - e la comunicazione come modalità di cambiamento - dell’impresa? L’interesse al quale le organizzazioni devono fare riferimento non è, in condizioni di pluralismo, l’interesse prefissato o fissato unicamente dal confronto al vertice dell’azienda. Alla probabile scomparsa della predeterminazione corrisponde così la necessità di soddisfare l’interesse risultante dall’ascolto delle categorie che rappresentano gli interessi esterni/interni all’impresa. La comunicazione dell’impresa non può, oggi, non basarsi sull’ascolto. L’impresa deve connettersi con l’esterno/interno, attivare la partecipazione dei suoi stakeholders e comprendere il contenuto dell’interesse risultante dalle loro azioni, cioè la somma di diversi interessi soggettivi da ascoltare e da soddisfare. L’obiettivo è l’adeguamento delle azioni dell’impresa all’equilibrio degli interessi esterni/interni. La domanda di comunicazione da parte dell’impresa si compone oggi seguendo questo schema basato sull’ascolto e sulla scelta di comportamenti orientati all’equilibrio degli interessi. Ai processi di definizione del contenuto della domanda partecipano, in modo diretto o indiretto, tutte le diverse categorie di rappresentanza di interessi che compongono la società. Questo fattore incide qualitativamente sulla composizione della domanda, la quale risulta essere più matura rispetto agli anni appena trascorsi e più orientata a riconoscere alla comunicazione il ruolo reale di contributo alla scelta dei comportamenti. L’obiettivo è, infine, l’adeguamento delle azioni dell’impresa all’equilibrio degli inte250 ressi esterni. Lo stesso processo avviene all’interno dell’impresa, dove le azioni sono orientate a recepire l’assetto degli interessi interni. 5.5 Il decisore nei processi di definizione delle politiche di comunicazione E’ così definita la struttura teorica attraverso la quale viene oggi influenzata la domanda di comunicazione: la partecipazione degli interessi esterni e interni. In altre parole, di fronte alla presenza di una pluralità di interessi, l’impresa non può basarsi solo sui propri contenuti. Essa deve individuare l’interesse risultante dal confronto con le opinioni collettive esterne e interne, e caratterizzare conseguentemente la sua azione: che è domanda/offerta di comunicazione attraverso una scelta di comportamento da parte dell’azienda. A fronte di questa analisi di scenario c’è poi il tema di chi, all’interno dell’impresa, ha la responsabilità finale in termini di scelta di politica di comunicazione. La responsabilità delle decisioni strategiche in materia di comunicazione risulta attenere, nella maggior parte dei casi, al Capo azienda: Presidente, Direttore generale o Amministratore delegato. La comunicazione compete al Capo azienda non perché sia il capo dell’azienda, ma perché egli, recepito l’assetto degli interessi esterni e interni, ha la responsabilità degli obiettivi e della strategia, e la comunicazione rientra tra le scelte strategiche che una impresa deve compiere. Con la diffusa tendenza a riconoscere all’impresa una sempre più qualificata competenza nella definizione strategica delle politiche di comunicazione, si ritiene che il vertice aziendale sia oggi, più che in passato, supportato nei processi decisionali da risorse professionali interne sempre più selezionate dal punto di vista qualitativo. 5.6 Come cambia la domanda di comunicazione d’impresa (dal punto di vista del mercato) All’analisi indirizzata a rilevare i soggetti che contribuiscono alla definizione della domanda di comunicazione si affianca una riflessione proveniente dall’osservazione del mercato di comunicazione. 251 La crisi economica aveva interrotto un decennio di forte crescita degli investimenti in comunicazione commerciale, caratterizzato significativamente da uno squilibrio tra domanda e offerta. Era l’offerta che decideva prodotti e servizi, ed era sempre l’offerta a determinare i prezzi. La crisi ha invece prodotto una maggiore attenzione delle imprese ai costi. Non appena sono emersi i primi segnali di ripresa degli investimenti in comunicazione commerciale, inoltre, le imprese si sono dotate di risorse professionali interne più qualificate, ponendo così fine alla fase di sostanziale delega all’esterno della responsabilità delle strategie di comunicazione. Oggi si osserva una domanda che, rispetto agli anni passati, si è evoluta o, almeno, parzialmente evoluta. E’ la domanda a imporsi sull’offerta, determinando i costi, ma soprattutto proponendo comportamenti e contenuti attraverso cui comunicare. Oltre a questo, dalle imprese arriva una crescente richiesta di modalità e strumenti per la misurazione dell’efficacia della comunicazione. Nel mondo della pubblicità, in particolare, sono rimasti irrisolti problemi e inadeguatezze da tempo denunciati dagli utenti dei mezzi, in primo luogo il miglioramento dei sistemi di misurazione in termini di sicurezza delle rilevazioni e di arricchimento qualitativo dei dati. In questo ambito l’offerta di comunicazione ha un ruolo propositivo ancora da spendere. La misurazione del risultato, infatti, non deve essere una misurazione percentuale del grado di comprensione del messaggio. Misurare i risultati significa definire il piano di comunicazione e verificare, in ogni fase di esso, la direzione d’azione dei comportamenti. La misurazione dell’efficacia della comunicazione va essenzialmente eseguita in senso qualitativo, ossia in termini di influenza sulle diverse categorie degli interessi. Risulta illogico, infatti, valutare le azioni di comunicazione solo dal punto di vista quantitativo: i budget vengono spesi non per la comunicazione in sé, ma per il risultato in termini di risposta di comportamento che si vuole raggiungere. 5.7 Soggetti che rappresentano l’offerta di comunicazione alle imprese L’interdipendenza tra domanda e offerta di comunicazione, che abbiamo provato a spiegare in termini di partecipazione degli interessi e 252 di influenza esercitata da questi sulla definizione della domanda/offerta di comunicazione, rende valide le considerazioni proposte con riferimento alla domanda anche per l’offerta di comunicazione alle imprese. Sulla tipologia dei soggetti che costituiscono l’offerta di comunicazione alle imprese possiamo aggiungere qualche considerazione. In particolare, riteniamo di poter distinguere tra: • gruppi di interesse che, suggerendo all’impresa comportamenti socialmente responsabili, contribuiscono alle sue scelte di politica di comunicazione; • soggetti che rappresentano il mercato dell’offerta. Il ruolo dei comunicatori d’impresa si gioca sempre di più, infatti, nell’arena delle relazioni tra l’azienda e i soggetti pubblici, istituzionali, associativi, eccetera. L’obiettivo principale è dare concretezza alla prospettiva di una reale collaborazione, o partnership, tra l’impresa e i gruppi di interesse esterni e interni. Da questo punto di vista si fa strada la convinzione che le categorie di rappresentanza di interessi, portando all’interno delle imprese riflessioni e suggerimenti in termini di comportamenti da adottare, contribuiscono a diversificare qualitativamente l’offerta di comunicazione alle imprese. Gli “accordi di collaborazione” o i “protocolli d’intesa” sono scelte di comportamento sempre più frequentemente adottate dalle aziende in partnership con altri gruppi di interesse. Tali modalità di comunicazione producono un forte valore aggiunto nelle relazioni tra l’impresa e la sua arena di influenzamento e aprono nuove possibilità di sviluppo delle comunicazioni. 5.8 Come cambia l’offerta di comunicazione alle imprese (dal punto di vista del mercato) Raccogliamo, infine, qualche riflessione sui soggetti che rappresentano il mercato dell’offerta. Come già affermato, c’è la diffusa sensazione che la domanda di comunicazione d’impresa sia migliorata ne253 gli ultimi anni. L’offerta, analizzata dal punto di vista dei soggetti che ne costituiscono il mercato, è rimasta invece ferma, o meglio ha dovuto arretrare rispetto alle posizioni conquistate. L’offerta non sembra seguire il passo della domanda di comunicazione. Dal 1993 in poi, le agenzie o società di consulenza di comunicazione hanno cominciato a percepire la crisi e l’arrivo di un forte arresto della domanda di comunicazione in termini di investimenti. La prima e più rilevante conseguenza è stata sull’occupazione che è al tempo stesso diminuita e cambiata. L’occupazione è diminuita perché sono fuoriusciti dal settore della comunicazione almeno 2.000 addetti tra il 1993 e il 19974. Inoltre, l’occupazione è cambiata qualitativamente perché all’evoluzione della professionalità di comunicazione interna alle imprese è corrisposto un riposizionamento delle risorse umane del settore verso funzioni più tattiche e operative. L’effetto sull’offerta di comunicazione è probabilmente negativo, soprattutto perché oggi prevale la capacità delle imprese - presso le quali rimane salda, contrariamente al passato, la decisione delle strategie in campo di comunicazione - di orientare i soggetti che costituiscono il mercato dell’offerta di comunicazione. Ciò sta creando una competitività tra i professionisti della domanda e dell’offerta di comunicazione, i quali, invece di individuare percorsi di crescita complementari, stanno assumendo reciproche posizioni di difesa e consolidamento delle posizioni raggiunte. Questa piega è favorita, poi, dall’assenza di un terreno associativo in cui regole certe possano garantire e promuovere la funzione della categoria. A fronte di questo andamento, si registrano nello scenario analizzato due novità con riguardo ai soggetti che costituiscono il mercato dell’offerta di comunicazione. Da un lato, le imprese iniziano a rivolgersi alle grandi società di consulenza e di direzione aziendale per la definizione delle politiche di comunicazione. Dall’altro, le imprese hanno sviluppato la capacità di rivolgersi a soggetti molteplici per potersi garantire la migliore consulenza in ogni settore. _________ 4. Per citare solo un caso, il numero degli addetti in sede Assap è sceso dal 1992 ad oggi di oltre 1.000 unità. Da 4.700 in totale, sono passati a circa 3.600. 254 Questo secondo aspetto ha portato a superare la fase della “azienda globale” nel campo dell’offerta di comunicazione. C’è dunque da aspettarsi, e forse da augurarsi, una risposta determinata da parte delle società di consulenza di comunicazione che sembrano adattarsi in questi anni alle esigenze delle imprese, senza però elaborare un nuovo modello per: • supportare l’azienda nelle scelte di politica di comunicazione; • non cedere il passo alle società di direzione aziendale. Con probabilità, il modello di consulenza da elaborare dovrà essere sempre di più basato sulla capacità di ascolto e sulla competenza ad elaborare piani di comunicazione, ovvero strategie basate sulla scelta dei comportamenti. Le competenze di un comunicatore d’impresa dovranno essere orientate ai diversi elementi: • ascolto; • ricezione degli interessi; • obiettivo; • piani di comunicazione; • identità/comportamento; • mezzi minimi; • risultati. La comunicazione, infatti, è ascolto, coinvolgimento e attivazione dell’altro interesse attraverso scelte di comportamento. Comunicazione è comprensione del contenuto dell’altro interesse come criterio per l’individuazione delle modalità di azione. 255 6. FARE CONVERGENZA D’IMPRESA TRA DOMANDA E OFFERTA DI COMUNICAZIONE La comunicazione rappresenta ormai un settore strategico per la realtà imprenditoriale del Paese - soprattutto nel nuovo scenario della accresciuta competizione internazionale -, e i processi comunicazionali si pongono con forza crescente come strumenti che contribuiscono al conseguimento degli obiettivi aziendali più rilevanti. Tuttavia, del tema della comunicazione si fa un gran parlare, ma poi alle parole spesso non fa seguito un cambiamento di sistema concreto e sostanziale nelle realtà aziendali. Il problema è dunque far convergere domanda e offerta di comunicazione d’impresa. A cominciare da questo 1° Rapporto annuale sulla comunicazione d’impresa - che nasce con l’intenzione di consentire e promuovere una riflessione unitaria sulla comunicazione, indicando le coordinate di riferimento, delineando gli scenari, mettendo a confronto i saperi e le esperienze e la loro materializzazione nei diseguali contesti territoriali, settoriali, di dimensione e compagine - si vuole dare al mondo imprenditoriale, manageriale, istituzionale e accademico un segnale forte in questa direzione. Per avviare una riflessione e lanciare una ipotesi di lavoro per il prossimo Rapporto vogliamo porre l’attenzione su una operazione fortemente orientata e di sicura utilità: esaminare il problema della comunicazione in maniera più articolata e analitica, sondando anzitutto il bisogno di comunicazione diffuso nelle realtà organizzative italiane. 256 Svolgere, quindi, una approfondita indagine presso le aziende, raccogliere informazioni al riguardo ed elaborare dati, al fine di superare un grave limite del dibattito corrente sulla comunicazione: il fatto cioè che esso sia molto autoreferenziale, in gran parte o esclusivamente concentrato sui - e tra i - soggetti che sono interessati ad esercitare funzione di comunicazione, mentre trascura la prospettiva concreta delle altre voci, impedendo così che il discorso raggiunga più ampi profili. Tale ipotesi di lavoro e, insieme, proposta effettiva nasce dall’esigenza di sviluppare una più matura funzione di comunicazione nei diversi settori imprenditoriali e pubblici. Questa pretesa non viene certo evidenziata per la prima volta con i riscontri del presente Rapporto. Tutte le opinioni raccolte dai testimoni del settore riconoscono l’urgenza e la valenza strategica alle iniziative che verranno assunte in questo ambito. Una siffatta operazione - “culturale” e pragmatica - di convergenza si rende necessaria se si vuole impedire l’eventualità che le parole rimangano sospese al di fuori dei cancelli dell’azienda. Il tentativo di “incrociare” i due piani della domanda e dell’offerta, per cercare un margine di possibile congiuntura tra i due, richiede un approccio che risponda all’esigenza di valutazione dei bisogni e che preveda il monitoraggio dei risultati ottenuti con le iniziative di comunicazione, nonché un cambiamento di prospettiva, da quella propria degli operatori a quella dei soggetti comunicatori che necessitano di piani di comunicazione, consapevoli ormai del fatto che senza processi di comunicazione efficaci viene fortemente intaccata e penalizzata la competitività dell’azienda. Il progetto mira a stabilire con maggiore cognizione quante e quali aziende private e pubbliche del Sistema Italia possiedono sistemi e attuano processi di comunicazione avanzati e compatibili con le esigenze avvertite all’interno e all’esterno dell’organizzazione: • valutare quanti e quali soggetti riorganizzano in maniera strategica la funzione comunicazionale e rispondono ai criteri generali di una comunicazione d’impresa funzionale; sono quindi dotati di una struttura e di un organigramma specificamente dedicati, un piano di comunicazione, strumenti peculiari, un sistema informativo, e sono permeati da un grado di cultura della comunicazione progredito; 257 • valutare, in caso contrario, il rischio che, visto il ruolo che la comunicazione ricopre nella capacità di competitività, si traduce immediatamente in rischio di competitività generale dell’azienda; • valutare, inoltre, l’atteggiamento tenuto dalle imprese nei confronti della comunicazione. Punteranno a breve termine risorse finanziarie e professionali sul tavolo della comunicazione?; • valutare, d’altro canto, se esiste una offerta sufficientemente valida, in grado di rispondere ad un mondo imprenditoriale intensamente differenziato per settori, dimensioni, localizzazione e livello di sviluppo. Più in particolare, il progetto potrebbe essere articolato secondo i seguenti punti principali: • individuare “chi” sono i soggetti della domanda di comunicazione d’impresa (questionario alle imprese e approfondimenti qualitativi); • analizzare i loro bisogni di comunicazione; • prendere consapevolezza dello stato delle politiche e delle operazioni di comunicazione attuate; • misurare l’entità degli investimenti economici delle aziende e della Pubblica Amministrazione in materia di comunicazione; • individuare le intenzioni d’investimento culturale e professionale sulla comunicazione d’impresa; • individuare “chi” sono gli attori dell’offerta sul mercato della comunicazione d’impresa (communication manager, ricercatori e formatori, società di consulenza, agenzie, concessionarie, mezzi, creativi e grafici, eccetera); • stimare il numero degli addetti del settore e la qualità delle loro competenze; • analizzare i prodotti offerti e le modalità di erogazione dei servizi; • realizzare un apprezzamento dei profitti attuali e di quelli in prospettiva; • individuare i cambiamenti qualitativi e quantitativi del settore; • indagare le nuove dinamiche dei mezzi; • valutare l’impatto delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione sulla comunicazione d’impresa. 258 Il compito è di sicuro complicato dal fatto che mancano sistemi di rilevazione e dati certi sugli investimenti in forme di comunicazione altre dalla pubblicità, per le quali non si sono sviluppati e affinati strumenti e soggetti predisposti. Per la loro natura, del resto, le informazioni sono difficili da trarre in evidenza in termini quantitativi, come è difficile rintracciare immediatamente le forme di comunicazione più o meno dissimulate tra le voci di bilancio. L’analisi successiva, irrinunciabile, riguarda gli scenari in prospettiva. Non può, in tal senso, non essere analiticamente studiata l’offerta di formazione esistente, riservando un’attenzione particolare ai corsi di laurea in Scienze delle comunicazioni recentemente attivati presso diversi atenei italiani, pubblici e privati, distribuiti sull’intero territorio nazionale5. Fino a qualche anno fa, infatti, quello del comunicatore era un mestiere che si apprendeva tutto sul campo, quindi in maniera condizionata dal confronto con situazioni casuali e disomogenee, senza un sistematico consolidamento teorico-accademico. La nuova situazione fornisce, al contrario, una base di omologazione che consente di parlare, nel bene o nel male, di formazione di professionalità. Sarà interessante esaminare la fortuna, o il destino, in termini di inserimento nel mercato del lavoro, delle prime giovani leve licenziate dagli istituti. Lo studio potrà essere arricchito dall’analisi di uno o più casi di eccellenza, o case history. L’intenzione di fondo, insomma, è di promuovere una operazione “culturale” e pragmatica di convergenza dei due piani della domanda e dell’offerta in una “zona” comune, una sorta di distretto della comunicazione - se non rintracciabile territorialmente, almeno fruibile culturalmente e utilizzabile come slogan di sensibilizzazione -, affinché la comunicazione d’impresa possa effettivamente collocarsi tra quei distretti che rendono ricca e vitale l’economia italiana. ________ 5. Le testimonianze di docenti e responsabili dei corsi di laurea in Scienze delle comunicazioni delle varie Università italiane sono state raccolte in occasione del focus group organizzato da Ascai Servizi a Roma, presso il Cnel, il 28 settembre 1998. 259 CAPITOLO IV GLI STRUMENTI DELLA COMUNICAZIONE D’IMPRESA 261 LA STAMPA AZIENDALE 263 1. SCRIPTA MANENT... PAROLA D’AZIENDA Nei passati decenni, come già si è detto, il giornale aziendale ha costituito lo strumento primario della comunicazione d’impresa, tanto da sancire una forte identificazione tra house organ e comunicazione interna. Oggi, nel mutato scenario della modernità, esso conserva una larga diffusione e vanta ancora un ampio credito presso le imprese. La Feiea, Federation of European Industrial Editors Association, ha stimato l’esistenza in Europa di oltre 7.000 pubblicazioni aziendali, con una tiratura annua complessiva superiore a 200 milioni di copie. Se si considera che la maggior parte di esse sono inviate al domicilio del lavoratore, il numero complessivo dei lettori si può ritenere almeno doppio. Sebbene una “cultura della comunicazione” si sia fatta nel tempo più strutturata ed evoluta - essendo maturata la consapevolezza dell’efficacia dell’azione comunicativa come leva manageriale strategica per conseguire vantaggi competitivi -, e alla stampa si siano affiancati mezzi e modalità complementari se non alternativi, questo rilievo non desta sospetti né perplessità. Oltre alla sua riconoscibilità storica, a mantenere il periodico aziendale attuale e funzionale provvedono i caratteri peculiari del mezzo stampato. Per esplicitarne solo alcuni, si possono segnalare la maneggiabilità, la facilità di fruizione, la familiarità e la consuetudine dei lettori con le testate. La lettura, inoltre, non è legata a costrizioni temporali, mentre altre soluzioni - come le convention, gli audiovisivi, i mezzi telematici, eccetera - vincolano a un programma temporale ineludibile. Al contrario, chiunque può leggere quando vuole, nel momento più adatto e pertinente con il proprio ritmo personale. 265 Oltre alle prerogative attinenti all’autonomia di tempi e modalità di fruizione, la rivista consente il vantaggio di trattare i contenuti con dettagliatezza e completezza. Un altro suo punto di forza risiede nel fatto che essa abbatte le distanze, potendo essere recapitata potenzialmente in ogni luogo. Non solo: la lettura può estendersi alla famiglia del destinatario, dal momento che la maggior parte delle aziende spedisce il proprio house organ direttamente a casa. Cosicché, anche se dalla carta stampata si è ormai aperta nelle aziende la via alle relazioni interpersonali, l’house organ ricopre un ruolo fondamentale per veicolare messaggi attraverso la parola e l’immagine, al fine di trasmettere “dentro” l’impresa valori e strategie, e per coinvolgere tutte le risorse umane in partecipazioni attive nei processi di crescita e di trasformazione del lavoro e della società. Di volta in volta intesi, a seconda del grado di “cultura della comunicazione” che permea il management, come oneri gravanti sul bilancio aziendale o come perle di valore aggiunto, i periodici aziendali rappresentano senza dubbio degli strumenti chiave di informazione e comunicazione. Possiedono le potenzialità comunicative per trasmettere non solo informazioni sui “fatti” aziendali, ma soprattutto l’interpretazione aziendale dei medesimi, nonché messaggi finalizzati a incidere su opinioni e comportamenti. Scambiare valori diretti a creare condivisione, coesione e appartenenza è oggi la principale aspettativa di ogni organizzazione avanzata nei confronti dei suoi pubblici interni. Generalmente questa aspirazione converge in larga misura nei periodici aziendali. D’altra parte, un giornale aziendale è, per sua natura, svincolato da logiche di acquisto e quindi di visibilità. Un house organ deve essere credibile ma, a differenza dei media da edicola, non deve rispondere necessariamente a tutte le esigenze del suo target. Di larghe diffusioni, o di tirature limitate, le pubblicazioni aziendali non hanno l’impegno di compiacere il lettore per ragioni commerciali, né ambiscono a raggiungere un pubblico più vasto di quello costituito dai naturali destinatari. Non hanno l’obbligo di presentare quello che il lettore vuole leggere, dunque, ma quello che deve sapere per assolvere con dignità e competenza il ruolo che svolge in azienda. 266 La rivista aziendale è così finalizzata ad aumentare la visibilità dell’azienda, a facilitare la conoscenza delle persone, delle esperienze, delle strutture organizzative e dei ruoli, a diffondere la conoscenza dei mutamenti dovuti alle innovazioni di carattere strutturale, organizzativo e tecnologico. Oltre a mirare alla promozione dell’immagine dell’azienda, dei prodotti e dei servizi, a far conoscere le nuove strutture di reparto e dirigenziali, le nuove sedi e gli impianti, si pone lo scopo di omogeneizzare il linguaggio e i codici espressivi utilizzati in azienda, formare ai metodi di lavoro e fornire l’aggiornamento professionale. L’interesse generale è di diffondere l’idea globale dell’impresa e del suo percorso di marcia - la mission aziendale -, interpretare il rapporto tra realtà esterna e interna all’impresa, comunicare le risonanze nei mass media, rendere comuni le sfide che si pongono all’azienda, trasferire così valori-guida, incentivando il dialogo tra azienda e dipendenti per migliorare la comunicazione, gestire le crisi e risolvere i conflitti, influenzare il clima aziendale e determinare nei dipendenti coinvolgimento, identificazione, motivazione e orientamento al cambiamento. Il panorama della stampa aziendale presenta tuttavia un’offerta varia e diversificata di formule e soluzioni, e una qualità ancora molto ineguale. La visione che qui ne viene proposta ha il valore di un rilevamento indicativo delle tendenze compiuto attraverso una lettura indiretta del fenomeno, e non tramite un approccio organico e sistematico. Ciò è giustificabile in ragione della difficile reperibilità di dati certi utili all’analisi del fenomeno, e a causa della disomogeneità di quelli disponibili. Infatti, pur nello sviluppo progressivo delle tematiche e delle forme espressive, la stampa aziendale è rimasta caratterizzata dalla propensione a non uscire dalla cinta degli interessi aziendali e dai circuiti dell’impresa. Ciò ha contribuito a limitarne la diffusione e la conoscenza, conferendole quei connotati da mondo sommerso che la caratterizzano. Inoltre, se è cresciuta vieppiù la consapevolezza della necessità dell’house organ e del suo valore nell’ambito delle politiche e delle strategie aziendali, più carenti sono rimaste la valutazione degli effetti sui destinatari e le analisi del gradimento delle testate aziendali - carenza dovuta ai limiti strutturali e operativi delle aziende nella dotazione di strumenti adeguati a questi rilevamenti. La letteratura, poi, contiene solo informazioni descrittive e riguardanti la diffusione. Scarsa permane 267 la valutazione della fruizione e dell’efficacia, la verifica della readership, dell’interesse suscitato e del gradimento ottenuto, così come dei risultati conseguiti. I limiti di questa ricostruzione non invalidano comunque la comprensione, la definizione e la descrizione che qui viene presentata degli elementi positivi, di novità e di criticità della stampa aziendale. 268 2. LA COMUNICAZIONE DALLA CARTA STAMPATA ALL’ANIMA. UNA RICO- STRUZIONE STORICA Il giornale aziendale nasce con la seconda rivoluzione industriale, ed è lo strumento più antico adottato dalle imprese per tessere rapporti con i dipendenti. Anzi, è lo strumento che per tradizione, riconoscibilità e diffusione viene considerato l’output per antonomasia della comunicazione interna. Fin dai primi decenni del secolo si trovano riferimenti di pubblicazioni aziendali in Italia. Con probabilità il giornale della Società Idroelettrica Piemonte, edito a Torino dal 1921 al 1930, o la rivista distribuita nelle città di Piemonte e Lombardia a partire dal 1925 per far conoscere l’uso del telefono, oppure il fascicoletto che la società elettrica Edison di Milano inviava ai suoi utenti negli anni Trenta, non costituirono casi isolati, sebbene non siano rimaste altre tracce vistose, né furono mai raccolti i nomi delle testate e una concreta documentazione esista soltanto per il periodo successivo alla prima Guerra mondiale. All’origine della realizzazione dei primi periodici aziendali può essere stata la necessità di comunicazione di qualche impresa con fabbriche delocalizzate, o la convenienza di alimentare un certo spirito di corpo nei dipendenti, o anche l’esigenza di pura e semplice pubblicità societaria. Il problema viene risolto con un escamotage innovativo e ingegnoso, sebbene ingenuo, viste le potenzialità rimaste allora ancora inutilizzate. La stampa aziendale nasce dunque come iniziativa rivolta ad un pubblico ben definito, quindi con tirature ridotte, di scarso interesse per altro genere di lettori a cui fosse capitata tra le mani. Subentrarono successiva269 mente confronti, ragioni di prestigio, la ricerca della convenienza. Inizi diversi, insomma, e spinte non omogenee hanno costituito le originarie motivazioni che, con il tempo, hanno perduto il loro peso e sono state sostituite da altre. Sicché, a voler ricostruire un quadro storico degli house organ si corre il rischio, o c’è la tentazione, di prendere le mosse da chissà quali epoche remote. Ma per evitare il rischio, e sfuggire alla tentazione, ci si deve riferire alle origini di una vera e propria stampa aziendale solo diversi anni dopo, nel secondo dopoguerra, quando, a partire dagli anni Cinquanta, ne inizia il vero e proprio sviluppo. Fra gli anni Cinquanta e Sessanta si registra in Italia l’attività di quasi 120 testate. Alla flessione che ha caratterizzato gli anni Settanta - in concomitanza con alcune grandi concentrazioni industriali -, con una media di 80-90 testate, ha fatto seguito nel periodo successivo una nuova significativa ripresa. Attualmente sono più di 200 le testate censite in Italia, con una tiratura annua complessiva stimata in circa 20 milioni di copie. Una cifra puramente indicativa, ma assai significativa delle dimensioni del fenomeno (tab. 1). Un fenomeno talmente importante, e ricco di prospettive, da indurre la costituzione nel 1954 - seppure fin dal 1950 i redattori e i rappresentanti dei giornali aziendali avevano iniziato a riunirsi almeno una volta all’anno - dell’Asai, Associazione della Stampa Aziendale Italiana. Molti anni dopo, nel 1989, l’assemblea delle aziende associate ne mutò il nome in Ascai, Associazione per lo Sviluppo delle Comunicazioni Aziendali in Italia, per segnalare come la comunicazione abbia ormai raggiunto uno stadio di maturità che la pone tra i fattori strategici della organizzazione e della gestione delle imprese. Il nome appare ora più aderente agli scopi perseguiti dall’Associazione, ovvero incoraggiare la diffusione di tutti i mezzi, le tecniche e i processi di informazione e comunicazione che le aziende producono con specifica finalizzazione interna - ma che hanno al tempo stesso un apprezzabile rilievo all’esterno -, con la definitiva consapevolezza che un elemento fondamentale del successo di una impresa è rappresentato dal collegamento ottimale delle risorse umane raggiunto mediante l’attività di comunicazione svolta all’interno dell’azienda. Oggi la presenza degli house organ ha assunto un’importanza sempre più significativa in concomitanza con la crescita di attenzione 270 per gli aspetti complessivi di comunicazione e immagine. Questo articolato interesse, e l’esigenza di promuovere lo scambio di informazioni ed esperienze tra i professionisti della comunicazione d’impresa operanti in Paesi diversi, ha favorito la costituzione a Copenaghen nel 1955 di un organismo transnazionale che riunisce le associazioni di giornali aziendali e i comunicatori d’impresa dei Paesi europei. Si tratta della già citata Feiea, Federation of European Industrial Editors Association, di cui fanno parte attualmente Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Inghilterra, Italia, Norvegia, Olanda, Portogallo, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera e Ungheria. Le riviste aziendali contemporanee sono il frutto dell’evoluzione delle organizzazioni e della cultura aziendale. Una chiave di lettura che ci permette di avviare una rapida disamina di queste trasformazioni ci è offerta dai temi dei convegni che in mezzo secolo l’Ascai ha promosso e organizzato. I primi convegni degli anni Cinquanta, coerentemente con la denominazione originaria, erano orientati a fare il punto sulla stampa aziendale e a fornire indicazioni per l’organizzazione di un periodico aziendale, talvolta tentando raffronti con la realtà estera. Pure venivano già anticipati in maniera lungimirante temi importanti, come testimonia il titolo del convegno del 1956: “Contributo del giornale aziendale alle attività del tempo libero”. In questi anni, accanto alle pubblicazioni delle grandi aziende, caratterizzate da larghe e medie tirature, vivono anche testate dalla diffusione modestissima, dalle 300 alle 1.000 copie, prodotte con macchine duplicatrici da ufficio in formato UNI, che in comune con la grande stampa hanno solo la definizione tecnica e giuridica. Ma proprio esse, con i loro sforzi, costituiscono il fiore all’occhiello dell’Asai, a sostegno dell’affermazione teorica che un’attività lavorativa di cui si ignorino all’interno gli scopi, le dimensioni e le finalità sarebbe inaccettabile e che il bisogno di comunicare internamente alle aziende non nasce dal numero dei destinatari, né dalla dislocazione o dal comparto specifico di attività, ma da motivi ben più profondi. Tra gli anni Sessanta e Settanta, periodo contraddistinto dall’acuirsi dei conflitti sociali e dalle lotte sindacali, i convegni Asai si allargano a comprendere tematiche più ampie. Oltre a riguardare l’organizzazione del giornale, le tecniche di preparazione, la formazione delle redazioni, la scelta della tipologia dei lettori, il dibattito muta in chiave europeista, si discute sull’estensione dell’interesse del giornale alla famiglia del lavorato271 re, delle problematiche ambientali (1974: “La presentazione dei problemi ecologici nella stampa aziendale”; 1976: “La protezione dell’ambiente quale tema di attualità per l’impresa e il suo giornale aziendale”), sul ruolo della donna (1975: “La donna e la stampa aziendale”). Si accende contemporaneamente anche la discussione su questioni importanti e ancora oggi irrisolte, come la querelle decennale sull’unificazione della stampa indirizzata all’interno e all’esterno dell’azienda (1972: “Una sola pubblicazione rivolta all’interno e all’esterno o due pubblicazioni distinte?”). Dal 1984 scompare dai titoli dei convegni il riferimento esplicito alla “stampa aziendale” e fa la sua comparsa la definizione di “comunicazione aziendale”. Per rimarcare che la comunicazione interna non è più appannaggio esclusivo della stampa, e per sottolineare l’apertura a tutti i temi e gli strumenti della comunicazione aziendale, nel 1989 la svolta è sancita dal cambiamento del nome dell’Associazione in Ascai. Oggi la maturità della stampa aziendale è raggiunta, ed esistono numerosi periodici che, superando largamente le decine di migliaia di copie, comportano un impegno redazionale e tipografico cospicuo (tab. 2). Tab. 1 - Quadro sinottico dell’evoluzione storica degli house organ. Anni 1950 1954 1955 ’60 ’70 ’80 1989 1997 Avvenimenti Primo convegno dei giornali aziendali Costituzione dell’Asai Costituzione della Feiea Grande sviluppo della stampa aziendale Concentrazioni di aziende in grandi società nazionali (Enel, Sip, ecc.) che riducono il numero delle testate, ma non quello dei destinatari - Conflitti sociali e lotte sindacali Prende avvio la riflessione sulla comunicazione interna - Inizia la diversificazione della distribuzione ai pubblici interni (dirigenti, quadri, ecc.) L’Asai diventa Ascai Nasce Ascai Servizi Srl Fonte: Ascai. 272 Periodici aziendali 15 26 ˜120 ˜90 ˜105 145 204 Tab. 2 - Evoluzione degli iscritti Ascai e dei periodici pubblicati (anni 1990-1998). Associati Periodici 1990 1991 1992 1993 1994 1998* 113 145 122 148 137 181 133 187 138 183 194 204 var. % 1990-1998 +72 &@ * Successivamente al 1994 sono stati ammessi ad aderire all’Ascai anche soci individuali. Fonte: Ascai. 273 3. DA “VOCE DEL PADRONE” A STRUMENTO DI ASCOLTO E DIALOGO. LA RIVOLUZIONE DEGLI HOUSE ORGAN La stampa aziendale ha conosciuto nel corso della sua evoluzione quantitativa e qualitativa importanti trasformazioni avvenute parallelamente ai cambiamenti che hanno contraddistinto il percorso di modernizzazione delle aziende e, con esso, le mutazioni della concezione del lavoro, del rapporto con l’azienda, della comunicazione interna. Rispetto alle esperienze passate, la stampa aziendale si è trasformata da “voce del padrone” a strumento che favorisce il dialogo interattivo in un quadro partecipatorio, che mira all’integrazione e allo scambio delle idee e delle esperienze. Il nuovo scopo della comunicazione è ascoltare e dialogare, creare un “patto” tra management e dipendenti. Più che a indottrinare e persuadere, le riviste aziendali mirano a creare modi di operare per il cambiamento e il miglioramento dell’organizzazione. Lo sforzo progressivo, quindi, è stato quello di alleggerire, attraverso un equilibrato mix di tematiche e codici espressivi, l’intenzionalità di legittimazione e consenso, di controllo. La diffusione della logica della “qualità totale” e della concezione di centralità delle risorse umane - per cui si considera come cliente la risorsa strategica interna -, e la nuova cultura di gestione che fa perno su un diverso modo di intendere i rapporti intra-aziendali e le relazioni umane e sull’idea di scambio sociale tra azienda e lavoratore, infine il concetto organizzativo della comunicazione degli anni Novanta, tutti questi fattori hanno determinato una rivoluzione degli house organ, i 274 quali immediatamente hanno fatto da specchio alle nuove concezioni e da veicolo operativo alle nuove intenzionalità. Le fasi del processo di sviluppo e maturazione compiuto dalla comunicazione e dalla stampa aziendale possono essere sintetizzate in cinque momenti, secondo quanto la letteratura generalmente concorda: a) fase tradizionale amministrativo-disciplinare (o normativo-contrattuale); b) fase delle relazioni umane; c) fase della gestione delle risorse umane; d) fase dello sviluppo delle risorse umane; e) fase dello sviluppo organizzativo. In alcuni casi queste fasi sono rimaste solo dei puri modelli teorici, e non trovano di fatto riscontro nell’organizzazione dell’azienda. Ciò può dipendere da precise scelte che si discostano dal tracciato qui indicato, o da uno slittamento cronologico leggibile come un vero e proprio stato di arretratezza in cui versa l’impresa, la sua organizzazione e la sua gestione. L’aderenza concreta ai modelli può quindi variare a seconda delle caratteristiche culturali, dei bisogni, degli obiettivi e delle strategie aziendali; elementi, questi, che attraverso la eterogeneità dei segni e dei significati della stampa aziendale rivelano il grado di arretratezza o di avanzamento dell’impresa. La “parola” dell’azienda, infatti, rappresenta modi, stili, vizi e virtù della comunicazione aziendale. Le categorie espressive, le famiglie dei codici dominanti nella comunicazione dell’emittente, la scelta dei contenuti, i mondi costruiti e raffigurati, i messaggi e i valori trasferiti indicano le responsabilità e le aspettative delle aziende di fronte al loro pubblico interno. Conseguentemente, l’house organ è un valido indicatore dei modelli di relazioni umane adottati e sintomo dei valori aziendali condivisi. a) Fase tradizionale amministrativo-disciplinare (o normativocontrattuale). In questo modello il successo dell’impresa si fa dipendere da forme adeguate di pianificazione, di progettazione e attento controllo. Suona l’ora dell’orientamento al prodotto, quindi vengono considerati prioritari i bisogni della produzione. L’uomo costituisce la variabile dipendente dell’organizzazione, rappresenta la figura dell’esecuto275 re, e il suo compito è quello di adeguarsi. Dall’individuo l’azienda ricerca un comportamento conforme e passivo, che non metta in discussione né il valore dell’organizzazione, né quello della gerarchia. La società è rappresentata dai dirigenti: questi esclusivamente determinano le tendenze. Le persone sono interlocutori non identificati con l’azienda, ma con cui l’azienda agisce, motivandoli. La risorsa umana ha il “dovere” di lavorare e produrre, e a tal fine essa viene disciplinata e controllata dall’azienda. I dipendenti sono fedeli collaboratori da istruire e, nel caso, gratificare. Tutto ciò che attiene alla sfera del soggettivo, del personale e dell’affettivo è ritenuto nella maggior parte dei casi scarsamente rilevante. Coerentemente, la comunicazione interna è esclusivamente di tipo informativo, top-down, di natura prescrittiva. Essa fluisce lungo una sola via, verticale e discendente, attraverso le istruzioni del capo agli esecutori, le opinioni personali dei quali non interessano e non vengono richieste. La comunicazione assolve la funzione di fornire ai lavoratori le istruzioni necessarie, di mantenere il controllo manageriale, e di consentire ai manager di operare la pianificazione. Si esplicita in raccomandazioni, proibizioni e sanzioni relative al comportamento sul lavoro, e nella trasmissione di ordini di servizio o informazioni legate al ciclo produttivo. Inserito in un sistema gerarchico tradizionale, l’house organ è il bollettino dell’azienda: deve solo diffondere le informazioni che il management dell’impresa decide che debbano essere messe in comune con tutti i dipendenti, e deve enfatizzare le attività e i successi dell’impresa. La stampa aziendale di questo tipo di imprese è il megafono del padrone. Si tratta di un house organ “verticale”, in cui il punto di vista è identificato chiaramente con il capo azienda che agisce esplicitamente per spiegare, introdurre le strategie aziendali che si vuole rendere consapevoli ai destinatari, in alcuni casi lodare e incentivare. L’azienda è il luogo delle certezze e dell’autorità. L’house organ si rivolge dal vertice alla base della piramide, ai dipendenti, al personale. b) Fase delle relazioni umane. In questa fase l’uomo continua ad essere considerato una variabile dipendente dall’organizzazione, ma diventa oggetto di più marcata attenzione: il lavoratore è visto come 276 portatore di bisogni. L’efficienza dell’azienda viene ricercata attraverso il miglioramento dell’appartenenza dell’uomo all’organizzazione. Si vogliono conciliare le esigenze funzionali della produzione con quelle dei membri dell’organizzazione, come singoli e come soggetti sociali. La comunicazione interna mira a curare e a lubrificare il sistema delle relazioni tra azienda e individuo, tra gerarchia e individuo, tra individui, e tra individuo e lavoro. L’obiettivo è assicurare buone relazioni con il personale, migliorare il clima aziendale, pur senza toccare le norme. Si viene affermando il ruolo dei capi come canalizzatori dei messaggi. Nasce l’attenzione per la comunicazione di ritorno, il feedback, e la comunicazione a due vie, top-down e bottom-up. L’house organ deve innescare un processo di informazione e convincimento. Per soddisfare le accresciute aspettative si avviano strutture operative adeguate (uffici ad hoc, redazioni, reti di collaboratori, eccetera) e si realizzano strumenti editorialmente più ricchi. c) Fase della gestione delle risorse umane. In questa fase si passa chiaramente dalla stagione della product orientation a quella della market orientation, dell’attenzione ai bisogni dei clienti, interni ed esterni. L’azienda è orientata al cliente, a cui deve fornire un servizio, così si realizza il passaggio dalla figura del dipendente subordinato a quella del lavoratore/cliente, il cliente interno, nei confronti del quale il management adopera le leve gestionali della comprensione, della motivazione e della gratificazione - le stesse adoperate per soddisfare il cliente esterno. L’uomo diviene variabile indipendente. Il lavoratore è una risorsa, un soggetto attivo che influenza e viene influenzato. I suoi bisogni non sono più semplicemente riconducibili alla richiesta di gratificazione economica. L’obiettivo è di migliorare l’efficienza dell’azienda attraverso un miglior impiego delle risorse, ottimizzare il rendimento attraverso la ricerca del posto giusto per l’uomo giusto. Non servono più meri esecutori, ma persone partecipi e motivate, che traggano soddisfazione dal lavoro. 277 Il tentativo della comunicazione è di diffondere la cultura che ha ispirato le scelte aziendali per farla diventare patrimonio di tutti. Il riconoscimento del ruolo cruciale che un nuovo mercato di riferimento - il mercato interno dell’impresa - riveste per la realizzazione delle strategie più impegnative comporta flussi orizzontali di informazione verso i lavoratori/clienti per l’ottimizzazione dell’azienda. Qualità, flessibilità e innovazione diffusa implicano una comunicazione trasparente ed aperta con il pubblico interno. La stampa aziendale diventa complessivamente più importante: ad essa si dedicano intensamente responsabili, redazioni, collaboratori esterni. Vengono realizzati house organ di tipo “orizzontale” che accanto alla presentazione dei prodotti, all’attenzione per l’evoluzione tecnologica e i problemi aziendali, mettono anche quelli individuali. Trovano collocazione anche contenuti extra-aziendali (attività sportive, hobbies, tempo libero, cultura generale) come conseguenza dell’attenzione per le esigenze anche non lavorative del singolo. La voce enunciante diviene neutrale, intermedia tra i vertici e la base dell’azienda. I dipendenti, così come i vertici, devono collaborare secondo una logica di sviluppo. L’house organ si rivolge, dunque, all’azienda intera. La proprietà non compare quasi più. Ciò è spiegabile anche con il fatto che le moderne grandi aziende sono caratterizzate dalla frammentazione della proprietà e dall’azionariato diffuso. d) Fase dello sviluppo delle risorse umane. Emerge sempre più la consapevolezza non solo che esiste una risorsa umana che può produrre meglio, se meglio utilizzata, ma che essa può e deve crescere attraverso l’organizzazione, che è lo strumento flessibile per consentire all’uomo di svilupparsi. E’ in atto un recupero della dimensione umana. La comunicazione interna è orientata all’individuo, identificandone i bisogni, i compiti, gli obiettivi, i risultati. Si vuole far crescere la capacità individuale e quindi arricchire, soddisfare e gratificare il lavoratore. Conseguentemente, nella stampa aziendale si avvia un processo di specializzazione nei confronti dei pubblici interni. Si fa strada, inoltre, la percezione del rapporto con la comunicazione esterna, e prende inizio un processo di integrazione con essa. 278 Qualità totale Relazioni umane • sviluppo organizzativo • house organ circolare • sviluppo delle risorse umane • house organ specializzato • gestione delle risorse umane • house organ orizzontale • relazioni umane • house organ a due vie • fase tradizionale • amministrativo-disciplinare • house organ verticale e) Fase dello sviluppo organizzativo. Il modello operante è quello sistemico. L’organizzazione viene considerata un sistema composto da più variabili: le strutture organizzative, le risorse umane, i meccanismi operativi, il comportamento organizzativo, eccetera. Esse sono tutte strettamente collegate e funzionali agli obiettivi strategici. L’immagine dell’azienda è di una comunità, in cui ognuno trova il proprio ruolo e riconoscimento. Si intende migliorare il clima aziendale e la qualità della vita in azienda facendo convergere coinvolgimento e responsabilità nei processi produttivi. Il sistema, inoltre, è aperto verso l’esterno. Tra impresa e ambiente si instaura una influenza reciproca. Ci si rende sempre più conto della necessità di coerenza tra comunicazione interna ed esterna. Nella comunicazione interna, infine, matura l’acquisizione di nuove tecniche e strumenti di comunicazione. 279 La comunicazione diviene pluridirezionale: top-down, bottom-up, orizzontale e laterale per la cooperazione all’interno dei gruppi. L’house organ è “circolare”, si pone come espressione di una collettività, quella dei collaboratori (ormai non definiti più dipendenti), che agisce nell’animazione delle attività dell’azienda. Esso rappresenta lo strumento utilizzato per trasmettere il cambiamento, per “fare identità” d’impresa, favorire gli aspetti di integrazione e di scambio. Inoltre, la stampa comprende anche eventi esterni alla pura realtà lavorativa. C’è attenzione anche per lo spessore psicologico delle persone, e il rapporto con i vertici è di interazione tra addetti ai lavori che rispondono agli interrogativi della società in maniera organica. L’house organ si rivolge al gruppo. Il modello proposto è partecipativo e di responsabilità diffusa. 280 4. T RASFORMAZIONI MORFOLOGICHE E FISIOLOGICHE DEI PERIODICI AZIENDALI Cambiamenti della struttura, della forma e dei contenuti, oltre che degli scopi, hanno caratterizzato l’evoluzione della stampa aziendale rispetto ai nuovi scenari offerti dalla modernità. La sofisticazione tecnica degli strumenti di riproduzione e le attese del lettore hanno determinato delle trasformazioni morfologiche delle riviste aziendali innalzandone la qualità complessiva. Innanzitutto, le caratteristiche formali del giornale (formato, tipo di carta, impaginazione, tipografia e colori) - le prime spie in grado di segnalare intenzioni e finalità - sono evolute verso una qualità generalmente migliore, garantendo alle testate una notevole leggibilità. Sul versante dei contenuti prevale sempre più l’informazione sui fatti piuttosto che l’esibizione di ideologie, gli inviti all’azione collaborativa anziché le suggestioni. Nonostante ciò, le riviste aziendali mostrano ancora scarsi rapporti autonomi con la realtà e gli eventi esterni all’azienda, qualora questi non riguardino direttamente temi portanti dell’interesse aziendale. I temi più frequenti sono le prospettive, i programmi e i propositi dell’azienda per il futuro, le rassicurazioni e le soluzioni relative alle situazioni di crisi, le figure della vita aziendale, gli approfondimenti relativi a questioni tecnologiche e scientifiche, la famiglia, i divertimenti, la cultura. Il valore di base trasmesso è la collaborazione nell’interesse comune, la sensibilità all’innovazione, nel nome di imprese concepite in movimento, come organismi pulsanti. L’in281 tervista, ad esempio, svolge un ruolo funzionale in tal senso. Essa veicola il punto di vista del manager e le sue indicazioni, ma in un modo mediato dall’intervistatore, per definizione neutro e garante dell’informazione, in rapporto empatico con il lettore. Rispetto all’intervento diretto, essa si presenta come mezzo evidentemente meno autoritario e paternalista, determinando un restringimento della distanza tra vertice e base dell’azienda. Sempre più l’impegno condiviso è di usare una terminologia non pretenziosa, affinché le informazioni vengano comprese a ogni livello, e di confezionare una rivista interessante e piacevole al tempo stesso. Le trasformazioni del repertorio linguistico, specchio della filosofia aziendale, indulgono nelle metafore del viaggio e della meta sulla strada della qualità, alludono a un percorso destinato a concludersi con obiettivi determinati, fondato sulla condivisione, il coinvolgimento e la collaborazione, e mettono l’accento sui valori di appartenenza e pariteticità, sulla crescita dei singoli e dell’istituzione. Il codice grafico degli house organ comprende disegni, schemi e fotografie (le sedi, gli impianti, i prodotti commercializzati dall’azienda, le sponsorizzazioni, la presentazione visiva dei dirigenti e le occasioni di presenza collettiva come assemblee, fiere, convegni, premiazioni, eccetera). E’ di tipo classicamente celebrativo con finalità illustrative, di enfasi o sottrazione, di focalizzazione. In ciò agisce anche l’assimilazione del lettore/lavoratore ad un potenziale cliente. Ma sono presenti anche immagini extra-aziendali quando il periodico si apre alla dimensione sociale esterna. Insieme alle mutazioni conosciute dalla fisionomia degli house organ, tre trasformazioni fisiologiche ne hanno caratterizzato l’evoluzione: a) segmentazione; b) terziarizzazione; c) destinazione all’esterno. Il primo fenomeno è definibile come processo di segmentazione. Il rapporto fra comunicazione e destinatari della comunicazione è cambiato: si è passati dalla massificazione alla segmentazione dei lavoratori/clienti. Il concetto di internal marketing implica la comprensione delle caratteristiche e dei bisogni specifici del pubblico interno. Le orga282 nizzazioni diventano sempre più consapevoli della necessità di dividere in segmenti la propria audience interna, differenziata per livelli gerarchici, funzioni o ruoli, professionalità, età anagrafica, anzianità di lavoro, territorio di residenza, caratteri socio-culturali, oppure diversificata secondo specifici progetti aziendali riguardanti solo un determinato segmento di collaboratori, nei casi una tantum (una crisi, un evento strategico), eccetera. La ragione per cui si avviano processi di segmentazione dei pubblici della comunicazione interna è la ricerca di efficacia: si intende ottenere comunicazioni mirate sull’interlocutore. I lettori non sono più una massa anonima, bensì portatori di proprie esigenze, aspettative, valori, desideri e caratteristiche da servire. A tale segmentazione del lavoratore come cliente interno deve corrispondere l’offerta della stampa. La comunicazione virtuosa, quindi, sperimenta forme e metodi che tengono conto della pluralità dei pubblici possibili, rispetto ai quali utilizzare una pluralità di media, metodologie e itinerari in ragione degli interessi e delle esigenze dei diversi segmenti di popolazione interna, diversificando così la tipologia dei messaggi e dei linguaggi. In pratica, sono nate testate rivolte in modo specifico ai quadri e ai dirigenti, o supplementi e allegati indirizzati a fasce particolari di dipendenti. Il secondo fenomeno indicato è quello della terziarizzazione. Negli ultimi tempi le imprese tendono a demandare e acquistare all’esterno non solo servizi a basso valore e automatizzabili, ma sempre di più anche servizi con valenza strategica, come la comunicazione. E’ iniziata così una fase di decentramento delle redazioni degli house organ verso agenzie e professionisti esterni all’azienda. La motivazione dell’affermazione delle strategie di outsourcing - l’apertura delle imprese a risorse esterne per sostituire quanto in precedenza veniva prodotto all’interno dell’azienda stessa - è economica, legata al contenimento dei costi e al miglioramento della qualità del prodotto finale. Uno dei vantaggi è che si riducono in modo sensibile i tempi di realizzazione, e la cadenza delle uscite è maggiormente rispettata. Va però rilevato che, seppure con i processi di terziarizzazione la responsabilità della conduzione rimane sempre all’azienda, esiste il rischio relativo ad una mancanza di integrazione tra il prodotto confezionato all’esterno e la specifica realtà aziendale. 283 Infine, la destinazione all’esterno. I clienti esterni e quelli interni vengono sempre più integrati, anche se a volte essi presuppongono strumenti diversi, parlano linguaggi differenti, fanno capo ad aree decisionali e funzioni molteplici. Si è aperto il filone delle pubblicazioni promozionali dirette anche all’esterno dell’azienda. Così, in molti casi, uno stesso giornale si rivolge al pubblico interno ed esterno contemporaneamente. Il limite di questo processo di simultaneo orientamento tanto all’interno quanto all’esterno dell’azienda risiede, evidentemente, nel rischio che gli interessi dei due pubblici a cui il giornale si rivolge siano divergenti. In ultimo, una valutazione che voglia considerare le ulteriori prospettive di sviluppo della stampa aziendale non può trascurare l’impatto delle nuove tecnologie d’informazione e comunicazione, e gli effetti che sempre più l’innovazione tecnologica avrà anche sui periodici dell’azienda. Oggi l’house organ può essere pubblicato in forma elettronica ed essere destinato alla diffusione in rete aziendale o globale, indirizzato rispettivamente a un pubblico interno alla struttura - ad esempio, come sistema di comunicazione e aggiornamento periodico fra sedi diverse, pratico e di facile consultazione - o a un pubblico più vasto, esterno. In quest’ultimo caso l’house organ, immesso nel circuito Internet ed eventualmente realizzato in lingue diverse, può rappresentare uno strumento d’informazione e comunicazione ancora più prestigioso, potente e facilmente reperibile dagli interessati, in grado di provvedere a diffondere le notizie e le novità legate all’assetto societario, alla produzione e alle iniziative dell’azienda. 284 5. IL POLSO DELLA STAMPA AZIENDALE. LO STATO ATTUALE DI SVILUPPO Al fine di conoscere e di descrivere lo stato attuale di sviluppo degli house organ realizzati dalle aziende italiane è stata predisposta una indagine ad hoc mediante la somministrazione di un questionario ad un numero significativo di imprese appartenenti a molteplici settori merceologici e di diverse dimensioni, attive sull’intero territorio nazionale. Il questionario, strutturato in forma semplice e breve, è stato concepito per raccogliere informazioni oggettive sui caratteri formali del periodico aziendale (tipologia editoriale e stile grafico), sulla periodicità e la tiratura, il tipo di redazione e di distribuzione, i destinatari cui viene indirizzato, i contenuti comunicati e le finalità perseguite secondo le intenzioni dei responsabili, con l’intento di ricavarne un quadro essenziale ma preciso ed attendibile. Oltre ai dati oggettivi riguardanti la testata realizzata dall’azienda, è stato chiesto ai responsabili di esprimere una opinione circa l’impatto delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione percepito in relazione al confezionamento e alle finalità del periodico aziendale. E’ stata richiesta, in ultimo, una previsione sul possibile effetto che l’introduzione delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione avrà in prospettiva sul periodico e, quindi, sulla comunicazione interna delle imprese. Sono stati inviati 246 questionari per l’analisi di altrettanti house organ ad un numero relativamente minore di aziende, tenendo conto del fatto che alcune - le più grandi - redigono più di un giornale aziendale. Quelli ritenuti validi per l’analisi sono risultati essere 104: un campione 285 rappresentativo in modo soddisfacente dell’universo dei periodici aziendali italiani1. I dati emersi dalla ricerca sono numerosi e molto differenziati, riferendosi a prodotti talvolta assai diversi fra di loro sia formalmente sia sostanzialmente. Per questo motivo non è stato possibile in alcuni casi fornire visioni di sintesi e si è dovuto necessariamente procedere con approfondimenti qualitativi. L’analisi dei dati evidenzia che gli house organ del campione fanno capo ad aziende ripartite nei vari settori merceologici come riportato nella tab. 3, di dimensioni medio-grandi, che talvolta editano, come già detto, più di una testata. Tab. 3 - Ripartizione delle testate per settore merceologico dell’azienda2. Settori v.a. % Credito e Assicurazioni Industria Servizi (Distribuzione, Trasporti, ecc.) Information & Communication Technology Totale 37 35 19 13 104 35,6 33,7 18,2 12,5 100,0 Dal punto di vista del formato editoriale, la tipologia più largamente ricorrente tra i periodici aziendali esaminati è la rivista (72,1%). Solo in minima parte vengono adottati l’opuscolo (14,4%) e il tipo quotidiano (10,6%). Trascurabile, infine, l’utilizzo del volantino (appena il 2,9% del totale) (tab. 4). _______ 1. Tuttavia, in alcuni dei questionari sono rinvenibili, come quasi sempre accade, delle omissioni in relazione a qualcuna delle domande poste. Tali casi vengono di volta in volta segnalati, precisando il totale in valore assoluto delle testate che hanno risposto alla domanda in questione. 2. Coerentemente con i criteri di semplicità e di sintesi adottati nella preparazione del questionario e nella conduzione dell’intera indagine, si è preferito servirsi di una ripartizione sommaria in 4 macro-comparti, piuttosto che di una maggiore disaggregazione dei settori merceologici di appartenenza delle aziende. 286 Il giornale aziendale in formato tabloid, simile ai quotidiani, trasmette messaggi di tipo informativo e non si presta ad approfondimenti culturali. Si rivolge ad un pubblico prevalentemente interno interessato alle notizie di cronaca della vita aziendale (eventi, premiazioni, inaugurazioni, eccetera). Le newsletter vengono realizzate a volte nella veste di semplici volantini, in altri casi in forma di opuscolo a 4 facciate, molto spesso sono prive di immagini, con notizie stringate e per lo più di tipo operativo: dati e cifre sull’andamento delle vendite, o notizie relative a mutamenti del top management, o semplici comunicazioni di servizio. Questa tipologia viene generalmente realizzata all’interno dell’azienda, in formato Uni A4, attraverso moderni sistemi computerizzati di editoria. La rivista, invece, è il mezzo favorito dall’azienda per comunicare all’interno e all’esterno. Realizzata in formato tipo magazine, generalmente stampata in quadricromia, rappresenta l’immagine dell’azienda ed è perciò sempre editorialmente molto curata. I prodotti della stampa aziendale, infatti, sono generalmente caratterizzati da una veste grafica gradevole ed accurata, funzionale ad una buona fruizione da parte del lettore. Vengono stampati per lo più a colori (84,7%) e le pagine sono arricchite da illustrazioni e fotografie (71,4%). Solo una minima parte è pubblicata in bianco e nero (14,3% del totale) (tab. 5). Tab. 4 - Ripartizione delle testate per tipologia editoriale. Formato v.a. % Rivista Opuscolo Tipo quotidiano Volantino Totale 75 15 11 3 104 72,1 14,4 10,6 2,9 100,0 287 Tab. 5 - Il formato editoriale. Ripartizione delle testate per stile editoriale. Caratteristiche Colore Bianco & Nero Disegni/Fotografie v.a. % 83 14 70 84,7 14,3 71,4 Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte. Numero di ricorrenze (N) = 98. La consistenza di ciascun numero è molto variabile in relazione alla diversità dei periodici, oscillando da un minimo di 2 ad un massimo di 150 pagine. La periodicità delle testate in assoluto più ricorrente è quella trimestrale (39,4%); seguono i bimestrali (25,2%), i mensili (15,2%) e i quadrimestrali (10,1%). Sono del tutto assenti pubblicazioni quotidiane o settimanali. Prevalgono, dunque, le uscite con cadenze distribuite in tempi piuttosto lunghi (tab. 6). Per quanto riguarda la tiratura (numero di copie stampate per numero), risulta privo di significatività stabilire una tiratura media delle testate, in ragione dell’ampia disomogeneità dei prodotti considerati. Conviene preferire all’esplicitazione quantitativa una constatazione di tipo qualitativo, indicando che il numero di copie stampate all’anno per ciascuna testata oscilla dalle poche migliaia fino ai 2.400.000 nel caso di Illustrato, uno degli house organ della Fiat. La regolarità delle uscite dei periodici è un indice della serietà avvertita in azienda rispetto alla pubblicazione, e della cura attenta rivolta ad essa. La cadenza dell’edizione dei periodici viene sempre rispettata nel 70% circa dei casi. Trascurabile, al contrario, il numero delle testate di cui non viene mai rispettata la cadenza delle uscite (1% del totale) (tab. 7). 288 Tab. 6 - Ripartizione delle testate per periodicità. Periodicità Quotidiano Settimanale Quindicinale Mensile Bimestrale Trimestrale Quadrimestrale Semestrale Annuale Totale v.a. % 0 0 3 15 25 39 10 7 0 99 0,0 0,0 3,0 15,2 25,2 39,4 10,1 7,1 0,0 100,0 Tab. 7 - Ripartizione delle testate per cadenza delle uscite. Regolarità edizioni v.a. % Sempre rispettata Con slittamenti significativi Mai rispettata Totale 71 30 1 102 69,6 29,4 1,0 100,0 Per quanto riguarda la distribuzione del periodico aziendale, va segnalato che il 70% circa delle testate viene consegnato ai dipendenti e ai collaboratori sul posto di lavoro, che permane la modalità di distribuzione privilegiata. Il 33% del totale delle testate viene spedito al domicilio del destinatario, esponendosi potenzialmente alla fruizione anche da parte dei familiari. Assai significativo è che oltre la metà delle pubblicazioni (53,8%) è rivolta anche ad un pubblico esterno all’impresa, a riconferma della crescente tendenza all’esternalizzazione - a fini promozionali e per la cura dell’immagine - della stampa aziendale (tab. 8). 289 Tab. 8 - Ripartizione delle testate per modalità di distribuzione. Distribuzione Interna, sul posto di lavoro Interna, al domicilio Esterna v.a. % 73 33 56 70,2 31,7 53,8 Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte. N = 104. I destinatari a cui il periodico si rivolge con maggiore frequenza sono i dirigenti (90% delle testate). Seguono i quadri (86%) e gli altri dipendenti (impiegati, tecnici, operai, eccetera: 81%) (tab. 9). Come si vede, non sempre le riviste sono rivolte a tutte le categorie di dipendenti; piuttosto prevale un criterio di segmentazione diversamente articolato a seconda delle aziende considerate. Risulta chiaro che il ruolo ricoperto dal corpo dei dirigenti ha un significato diverso, rispetto agli altri gruppi di destinatari, in relazione ai contenuti e agli obiettivi della rivista. Tale posizione di rilievo si chiarisce in ragione della peculiarità delle funzioni manageriali. Essa si spiega, infatti, in termini di necessaria acquisizione di conoscenza e di funzione di controllo - come soggetto che comunica -, e anche - soprattutto in realtà aziendali complesse - come esigenza di allineamento con le comunicazioni del vertice aziendale. Tra i destinatari meno frequenti sono stati menzionati i pensionati ex dipendenti (47%), la rete di vendita (29%), gli azionisti (18%), le famiglie dei dipendenti (16%) e i fornitori (16%). I clienti e/o gli utenti, e gli altri soggetti diversi per fini promozionali, rappresentano una fetta relativamente ridotta dell’insieme dei target: ad essi fanno riferimento rispettivamente il 27% e il 23% delle testate. Infatti, sebbene i processi di esternalizzazione della stampa aziendale siano in crescita, soprattutto nel settore del credito e dei servizi, 290 tuttavia l’interesse prioritario e la finalità principale del periodico aziendale rimangono quelli di comunicare all’interno, fornendo informazione e intessendo relazioni con i diversi soggetti attivi “dentro” l’azienda. Altro dato significativo è costituito dal riferimento esplicito del 16% delle testate ai familiari dei dipendenti. Tale indicazione fa presumere un avanzato grado di maturazione nella concezione da parte dell’azienda di un veicolo di comunicazione rivolto ai propri soggetti interni che non trascuri però la dimensione degli interessi di tipo extraaziendale, e che riguardi invece anche le attitudini, i comportamenti e, più in generale, la vita del “cliente interno” nella sua complessità. Tale valutazione dovrà essere fra breve supportata dall’esame specifico dei contenuti trattati dai periodici aziendali. Tab. 9 - Ripartizione delle testate per tipo di destinatario. Destinatari Dirigenti Quadri Altri dipendenti Pensionati Rete di vendita Altri Clienti / Utenti Soggetti diversi per promozione Azionisti Famiglie dei dipendenti Fornitori v.a. % 90 86 81 47 29 28 27 23 18 16 16 90,0 86,0 81,0 47,0 29,0 28,0 27,0 23,0 18,0 16,0 16,0 Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte. N = 100. Da chi vengono redatti e confezionati i prodotti editoriali dell’azienda? Se ne occupano direttamente risorse umane e apposite strutture interne alle imprese o, al contrario, assumono un ruolo specifico reda291 zioni decentrate all’esterno? Per quanto riguarda la tipologia della redazione, l’indagine evidenzia che oltre la metà del campione delle testate fa capo ad uno specifico ufficio o unità interni (52,9%). Ad un’agenzia esterna specializzata ricorre l’altra metà dei periodici. Tuttavia, solo in un numero esiguo di casi (circa l’8%) si impone la pratica della totale terziarizzazione, con l’affidamento della redazione del periodico completamente all’esterno. Il questionario non ci permette di valutare se tale condotta sia il risultato di una consapevole strategia di outsourcing decisa dal vertice aziendale, oppure se risponda ad altre logiche, o se eventualmente sia la conseguenza di limiti strutturali dell’azienda. Nel rimanente 39,2% dei casi l’intervento di professionisti esterni all’azienda viene affiancato alla redazione interna, presso cui rimane la direzione e l’orientamento generale della testata (tab. 10). Certo è che le aziende attingono risorse più qualificate dal mondo del giornalismo e da altri settori specializzati (comunicazione e promozione, ma anche aree tecnico-scientifiche specialistiche). Come è certo che, per evitare che la stampa aziendale non sia nulla di diverso da una noiosa e inefficace stampa propagandistica - che finirebbe con ogni probabilità nel cestino della carta straccia prima ancora di essere tolta dall’involucro di cellophane -, si rende necessario acquisire all’interno il know how adeguato: il senso della notizia, il taglio accattivante dell’informazione, l’applicazione delle tecniche redazionali per la stesura dei testi; ma anche la conoscenza dei mass media, dei meccanismi di trasmissione dell’informazione, della comunicazione visiva (fotografie e immagini), eccetera. Tab. 10 - Ripartizione delle testate per tipo di redazione. Redazione v.a. % Specifico Ufficio interno all’azienda Mista (redaz. interna + collab. esterni) Agenzia esterna Totale 54 40 8 102 52,9 39,2 7,9 100,0 292 I contenuti più frequentemente trattati dai periodici aziendali sono: l’azienda e la sua attività (32,2% del totale dei temi complessivamente presentati nelle testate) e i suoi prodotti/servizi (27%). I temi extra-aziendali hanno un peso apprezzabile (11,5%). La formazione ricopre il 7,1% del totale dei contenuti trattati, mentre è trascurabile il peso dei temi sindacali (2,1%) (tab. 11). In generale, sembra che oggi si sia notevolmente abbassato l’interesse ai temi vari proposti uniformemente dall’azienda a favore di una informazione mirata, più legata alle specifiche realtà delle organizzazioni. Tab. 11 - Peso % di ciascun tema sul totale dei contenuti. Contenuti L’azienda I prodotti / servizi Temi extra-aziendali L’organizzazione Altro La formazione Temi sindacali Totale % 32,2 27,0 11,5 10,8 9,3 7,1 2,1 100,0 N = 102. Invitati ad esprimersi sulle 3 finalità ritenute più importanti, per le quali viene espressamente realizzata la testata dell’impresa, gli intervistati hanno attribuito all’informazione la priorità principale (27% del totale dei punteggi assegnati complessivamente alle diverse finalità). Segue con il 18,7% il coinvolgimento, l’identificazione, la motivazione e l’orientamento al cambiamento dei dipendenti. Sommata quest’ultima quota percentuale con quella assegnata al dialogo azienda-dipendenti (per influenzare il clima aziendale, risolvere i conflitti e migliorare le 293 relazioni interpersonali), si trova che l’orientamento all’ascolto, il dialogo e la comunicazione di comportamenti tra azienda e dipendenti rappresentano obiettivi altamente condivisi dalle imprese (30% del totale dei punteggi assegnati complessivamente alle finalità delle testate) (tab. 12). La promozione dell’immagine dell’azienda (15,6%) e la promozione dei prodotti e/o servizi dell’azienda (11,7%) si collocano soltanto rispettivamente al terzo e al quarto posto nella graduatoria delle finalità della pubblicazione periodica dell’impresa ritenute più importanti3. Il peso della formazione delle risorse umane nel complesso delle finalità è ritenuto di minore rilevanza (7,7%)4. Il fatto, infine, che la diffusione delle istruzioni del vertice dirigenziale eserciti un peso sul totale dei punteggi assegnati alle finalità principali della testata pari solo al 5,5% la dice lunga sull’evoluzione che la cultura della comunicazione d’impresa ha conosciuto negli ultimi tempi. _______ 3. Da una ricerca sulla comunicazione interna svolta dall’Ascai nel 1992 su un campione di 82 aziende, basata su criteri parzialmente differenti da quelli adottati qui (l’alternativa prospettata dal questionario con riguardo alle finalità della stampa aziendale era articolata in 3 item - informazione, formazione e immagine -, ma non veniva richiesto di esprimere una valutazione qualitativa), emergeva che potenziamento e visibilità del prodotto costituivano una priorità dell’house organ largamente diffusa tra le aziende (45,6% del campione), soprattutto nelle aziende pubbliche (68,2%) e in quelle di piccole dimensioni (60,0%) (Quaglino, 1992). Le diverse impostazioni metodologiche delle due ricerche ci inducono, comunque, a trarre eventuali conclusioni da questa constatazione solo con estrema cautela. 4. Nella stessa ricerca citata (Quaglino, 1992) veniva evidenziato che la formazione era indicata dal 36,9% del campione come obiettivo assunto dalla testata (50,0% nel caso delle aziende private nazionali). Per le eventuali deduzioni derivanti dal confronto con i dati attuali valgono le precisazioni riferite nella nota precedente. 294 Tab. 12 - Peso % delle finalità principali5. punti punteggio medio6 % sul tot. punti assegnati Informazione 271 Coinvolgimento / identificazione / motivazione / orientamento al cambiamento dei dipendenti 187 Promozione dell’immagine dell’azienda 156 Promozione dei prodotti / servizi 117 Dialogo azienda-dipendenti (per influenzare il clima aziendale, risolvere conflitti, migliorare le relazioni interpersonali) 111 Formazione delle risorse umane 77 Diffusione delle istruzioni della dirigenza 55 Gestione delle crisi 28 Totale 1.002 2,8 27,0 1,9 1,6 1,2 18,7 15,6 11,7 1,1 0,8 0,5 0,2 11,0 7,7 5,5 2,8 100,0 Finalità N = 96. ________ 5. Il quesito prevedeva l’assegnazione alle 3 finalità ritenute più importanti di un valore compreso tra 1 e 3 in ordine decrescente di importanza (1 = più importante). Tuttavia, in un numero consistente di questionari (per la precisione 22 su 96, il 23% di quelli in cui è stata fornita una risposta alla domanda) il compilatore ha espresso la propria valutazione secondo una modalità alternativa non prevista, cioè esprimendo un giudizio su ciascuna finalità prospettata dalla domanda. Con un piccolo stratagemma funzionale al conteggio dei risultati è stato possibile recuperare anche queste risposte, ora sintetizzate in tabella. Nel primo caso i punteggi assegnati sono stati riconteggiati attribuendo i seguenti valori: 1=5, 2=3, 3=1. Nel secondo caso i punteggi assegnati sono stati così riconvertiti: 1=3, 2=2, 3=1. Ciò al fine di non disperdere nessuna risposta e renderle tutte utilizzabili. 6. Per punteggio medio si deve intendere la media del punteggio totale assegnato a ciascun singolo item calcolata sul numero complessivo delle risposte fornite alla domanda (96), assegnando automaticamente il valore 0 nei casi in cui l’item in questione non è stato prescelto dal compilatore. 295 Le ultime due domande del questionario erano intese a raccogliere le opinioni dei responsabili degli house organ sulle applicazioni e gli effetti stimati degli strumenti tecnologici ai fini della comunicazione interna o, più precisamente, in relazione ai giornali aziendali. L’impatto delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione è valutato senz’altro in termini positivi dagli intervistati. Ben 84 dei 98 questionari validi per questa domanda (l’85,7%) ravvedono con convinzione nell’uso dei nuovi strumenti un fattore utile e importante per la realizzazione del periodico, o comunque segnalano una specifica funzionalità delle nuove tecnologie rispetto agli scopi della stampa aziendale. In particolare è stato sottolineato il valore del ruolo della posta elettronica (49,0%), del desktop publishing (44,9%) e della rete Internet (33,7%), e cioè dei due mezzi di comunicazione e informazione più innovativi degli ultimi tempi e di uno strumento tecnico oggi indispensabile per il confezionamento di prodotti editoriali. Soltanto il 14,3% si è espresso in termini contrari, negando il ruolo significativo delle nuove tecnologie per la realizzazione e per il conseguimento degli obiettivi della stampa aziendale (tab. 13). Altrettanto confortante è l’opinione espressa dagli interessati circa l’effetto che si ritiene possa avere in prospettiva l’introduzione delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione sul periodico aziendale. Quasi l’80% allude ad una nuova frontiera per la stampa aziendale, e si dice convinto che si creerà integrazione tra il periodico e i nuovi strumenti, sfruttati per migliorare sempre di più la qualità e l’efficacia della comunicazione d’impresa. Il 15,7% degli interpellati ritiene che l’house organ muterà, a seguito della diffusione delle nuove tecnologie, acquistando funzioni diverse (ad esempio, approfondimento, acculturazione, eccetera). Per l’11,8% non avverrà nessun cambiamento. Infine, solo per il 5,9% si ridurrà l’importanza del giornale aziendale e il suo peso nell’ambito della comunicazione d’impresa, mentre nessuno si è espresso nel senso di una prevedibile scomparsa del periodico aziendale (0,0%) (tab. 14). 296 Tab. 13 - Le nuove tecnologie di informazione e comunicazione che hanno un impatto sugli house organ. Ntic Posta elettronica Desktop publishing Internet Intranet Database Computer multimediale Nessuna Sistemi elettronici per la diffusione delle notizie Audiovisivi LAN v.a. % 48 44 33 28 16 14 14 13 8 6 49,0 44,9 33,7 28,5 16,3 14,3 14,3 13,2 8,2 6,1 Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte. N = 98. Tab. 14 - L’effetto delle Ntic sugli house organ. Effetti Si creerà integrazione con i nuovi strumenti Permarrà, ma con funzioni diverse Nessun cambiamento Si ridurrà la sua importanza Scomparirà v.a. % 80 16 12 6 0 78,4 15,7 11,8 5,9 0,0 Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte. N = 102. Mettendo in relazione le enunciazioni sulla funzione delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione con le finalità del giornale aziendale emergono altri rilievi di interesse (tab. 15). L’utilizzo della posta elettronica (6,1% sul totale), di Internet (4,7%), Intranet (3,4%) e del desktop publishing (4,4%) sono indicati come i fattori più rilevanti in relazione alla funzione di informazione della rivista aziendale. La e-mail e Internet, inoltre, ricoprono un ruolo decisivo anche in relazione alla funzione di promozione dell’immagine e dei prodotti e/o servizi dell’azienda. 297 298 5,1 6,8 16,7 6,8 17,8 12,9 2,3 23,2 5,5 Sistemi elettr. 1,4 1,8 4,4 3,4 0,6 26,3 Internet Intranet LAN Posta elettr. 6,1 1,4 DTP PC multimed. 1,8 4,7 Database Nessuna Totale 26,3 26,4 29,0 19,2 24,5 29,9 28,4 26,1 23,2 20,3 22,9 7,9 6,5 3,5 7,6 3,0 18,3 1,2 100 6,7 3,8 20,6 0,5 2,3 12,5 2,2 12,2 1,4 3,6 19,6 1,4 1,2 0,6 18,3 22,5 17,9 17,8 16,6 14,3 22,3 21,4 18,8 17,7 18,1 Coinvolgimento %c %r c = colonna; r = riga. 100 3,1 0,8 Audiovisivi Informazione %c %r 9,8 5,7 1,9 6,8 1,9 15,5 0,6 100 4,1 3,1 19,9 0,3 2,2 13,9 3,2 20,7 1,1 2,4 15,3 1,5 0,9 0,3 15,5 11,6 14,7 9,6 15,6 20,5 16,9 14,1 19,9 13,3 8,4 Prom. immag. %c %r 10,7 0,5 2,1 0,4 1,6 1,8 0,6 1,5 1,0 0,9 0,3 100 4,3 19,8 4,0 15,0 17,0 5,5 14,2 9,1 8,3 2,8 10,7 8,5 10,1 13,7 11,7 11,6 9,5 9,0 12,7 13,3 8,4 Prom. prodotti %c %r 12,6 0,7 2,4 0,7 1,8 1,7 0,5 2,1 0,9 1,2 0,6 100 5,4 19,2 5,4 14,1 13,5 4,4 16,8 7,1 9,4 4,7 12,6 12,4 11,5 21,9 12,9 10,8 8,8 12,6 11,6 17,7 16,9 Dialogo %c %r 7,5 0,5 1,7 0,2 1,0 0,8 0,3 1,6 0,4 0,5 0,5 8,2 6,8 7,1 5,4 4,7 9,3 5,5 7,0 100 7,5 7,3 10,1 23,0 2,8 12,9 11,2 3,9 20,8 5,6 6,2 6,2 13,3 Formazione %c %r Tab. 15 - Ripartizione delle testate in base alle Ntic e alle finalità (valori %). 5,7 9,3 5,0 8,6 2,9 5,9 0,3 100 5,7 1,1 17,9 0,2 1,0 17,1 0,8 12,9 0,5 0,9 15,0 0,3 0,5 0,3 5,9 6,2 5,0 5,5 7,4 4,9 8,1 5,3 4,4 8,2 8,4 Istruzioni dirig. %c %r 9,5 5,4 4,1 2,7 5,4 3,1 0,1 100 4,1 0,8 24,3 0,2 0,6 18,9 0,4 13,5 0,1 0,4 12,2 0,3 0,2 0,1 3,1 2,3 3,6 5,5 4,3 2,7 1,4 2,3 3,9 2,5 3,6 Gestione crisi %c %r 100,0 5,5 21,0 3,1 13,8 15,7 6,3 16,8 7,7 6,7 3,5 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Totale %c %r L’esame dei risultati letti in parallelo ci consente di approfondire ulteriormente il quadro delineato fin qui e permette di avanzare ipotesi interpretative in merito. Un nodo critico riguarda la tipologia della redazione delle riviste aziendali, come già indicato. L’affidamento ad una redazione specializzata esterna all’azienda può rappresentare per la rivista dell’impresa una scelta decisiva sotto diversi profili. Sono già stati messi in luce i pregi e i limiti in generale della scelta di terziarizzazione della redazione. Ora può essere di una qualche utilità verificare sul campione dell’indagine come si delineano alcune significative differenziazioni riferite alla diversa tipologia della redazione - interna, esterna o mista. Una prima indicazione deriva dall’incrocio della tipologia della redazione con la cadenza delle uscite, per verificare se esiste una correlazione tra i due fattori (tab. 16). La disaggregazione evidenzia che il 36,0% delle testate rispetta sempre la cadenza delle uscite ed ha una redazione interna all’azienda. L’altra quota maggiormente rappresentata è riferita alle testate che hanno alle spalle una redazione mista e le cui uscite sono sempre regolari: 28,0%. L’unica testata del campione che si segnala per non rispettare mai i termini delle uscite ha una redazione esterna (1,0%). Tab. 16 - Ripartizione delle testate in base alla tipologia della redazione e alla regolarità delle uscite (valori %). Sempre Con slittamenti %c %r %c Mai %r %c Totale %r %c %r Interna 36,0 52,2 67,9 17,0 56,7 32,1 0,0 0,0 0,0 53,0 100,0 Esterna 5,0 7,2 62,5 2,0 6,7 25,0 1,0 100,0 12,5 8,0 100,0 Mista 28,0 40,6 71,8 11,0 36,7 28,2 0,0 0,0 0,0 39,0 100,0 Totale 69,0 100,0 69,0 30,0 100,0 30,0 1,0 100,0 1,0 100,0 100,0 c = colonna; r = riga. D’altra parte, la quota delle testate che fanno capo ad una redazione mista rispetta sempre i termini nel 71,8% dei casi. Nel 67,9% ciò accade per le testate che fanno capo ad una redazione interna, e nel 62,5% dei casi 299 per quelle che si avvalgono di un’agenzia esterna. Tutto sommato, non si riscontra un fattore discriminante di rilievo correlato alla tipologia redazionale in stretto legame con il rispetto della cadenza delle edizioni. La tipologia della redazione ha invece una rilevanza se messa in relazione con i contenuti trattati dagli house organ (tab. 17). Dalla correlazione tra tipologia redazionale e contenuti comunicati emerge che il 20,2% sul totale delle testate (la quota più rilevante del campione) ha una redazione interna e tratta con priorità i temi concernenti gli eventi e la vita dell’azienda. Una grossa differenziazione esiste tra le testate che si rifanno ad un’agenzia esterna e quelle che dipendono da una redazione interna all’impresa con riferimento al contenuto “l’azienda”. Infatti, se per il 62,0% tale tema è trattato in modo prioritario nelle testate con redazione interna, è solo di un modesto 3,7% la porzione di questo contenuto veicolata dai periodici con redazione esterna. Per quanto riguarda la trattazione dei prodotti/servizi dell’azienda, i veicoli principali sono, per la loro prevalenza, le testate con redazione interna (49,7%). Tuttavia, il peso specifico di tale tema sulle redazioni esterne è pari al 45,0% del totale dei contenuti comunicati (rispetto ad un peso specifico del 25,3% nelle redazioni interne e uno del 24,2% in quelle miste). Il dato è largamente superiore alla quota media delle riviste (27% circa). Un’altra quota rilevante dei temi trattati dalle redazioni esterne pertiene ai temi extra-aziendali (20,0% rispetto ad un peso del 9,5% nelle redazioni interne). I prodotti/servizi dell’azienda e i temi extra-aziendali sono dunque gli argomenti maggiormente comunicati dalle redazioni esterne. Questi dati possono leggersi congiuntamente avanzando una ipotesi interpretativa. Quando l’azienda decide di comunicare i propri prodotti e servizi, visto poi il rilievo che sempre di più le riviste aziendali hanno all’esterno dell’azienda stessa, tende ad avvalersi di professionisti qualificati reperiti al di fuori delle strutture dell’azienda medesima. L’esigenza di articolare la comunicazione d’impresa lungo canali diversi implica, infatti, la necessità di tarare le caratteristiche del giornale e di misurarle sul target di lettori ai quali esso si rivolge. Un discorso analogo può essere fatto per l’altro riferimento. Un’azienda che intenda valorizzare i temi extra-aziendali nel proprio house organ si rivolge all’esterno affinché il prodotto editoriale sia confezionato con una particolare attenzione e capacità da questo punto di vista. 300 Al contrario, il tema principale comunicato dall’azienda dal suo interno al suo interno - senza apporti dall’esterno - è costituito dall’azienda stessa (38,8% del totale dei contenuti comunicati dalle testate con redazione interna). La notizia dell’azienda arriva direttamente dall’azienda, riguarda l’azienda, tende alla diffusione dell’informazione, ma anche alla valorizzazione delle attività dell’azienda medesima e al miglioramento della propria immagine. Queste suggestioni trovano conforto se si esaminano i dati emergenti dalla ripartizione delle testate in base alla tipologia della redazione messa in relazione con le finalità della testata (tab. 18). La quota maggiormente rappresentata è quella costituita dalle testate con redazione interna e che danno priorità all’informazione (14,6%). L’informazione è infatti veicolata per il 53,2% dalle redazioni interne, rispetto al 6,0% attribuibile alle redazioni esterne. Il dato è coerente con quelli riepilogati nella tab. 17: informare sull’azienda è il compito principale degli house organ in generale, ma di quelli con redazione interna in particolare. Altre specifiche funzioni della comunicazione interna sono gestite tramite gli house organ direttamente dalle redazioni interne. Il coinvolgimento, l’identificazione, la motivazione e l’orientamento al cambiamento dei dipendenti, il dialogo azienda-dipendenti per influenzare il clima aziendale, risolvere i conflitti, migliorare le relazioni interpersonali: queste sono le funzioni per cui è concepito il periodico aziendale per oltre il 33% di quelli con redazione interna e per oltre il 28% di quelli con redazione mista. Tali funzioni, invece, ricoprono un ruolo solo nel 12,6% delle testate con redazione esterna. Ciò vuol dire che queste fondamentali funzioni della comunicazione interna rimangono presidio dell’azienda stessa, e non vengono demandate all’esterno. Discorso diverso va fatto quando si esaminano le funzioni “promozione dell’immagine dell’azienda” e “promozione dei prodotti/servizi dell’azienda”. Tali funzioni ricoprono un peso rispettivo del 23,8% e del 13,8% nel caso delle redazioni esterne, e rispettivamente del 13,3% e del 9,8% nel caso delle redazioni interne. Il netto scostamento è coerente con i dati riepilogati dalla tab. 17, che metteva in evidenza come il tema maggiormente trattato dalle riviste con redazione esterna è “prodotti/servizi dell’azienda”. Ciò non stupisce, in fondo, se solo si pensa che sembra probabile e comprensibile avvalersi di risorse specializzate esterne all’azienda per le attività di promozione. 301 302 35,2 Mista Totale 32,5 27,8 15,0 38,8 26,4 9,7 3,6 13,2 100 36,6 13,6 49,7 26,4 24,2 45,0 25,3 11,6 5,0 1,6 4,9 100 43,5 13,8 42,7 %c 11,6 12,6 20,0 9,5 %r Extra-aziendali 10,9 3,4 1,1 6,4 100 31,1 9,7 59,2 %c 10,9 8,4 13,1 12,4 %r Organizzazione 9,5 7,1 0,2 2,2 Altro 100 74,8 2,1 23,1 %c 9,5 17,8 2,5 4,2 %r 7,1 2,9 0,4 3,8 100 41,2 4,9 53,8 %c 7,1 7,3 4,4 7,3 %r La formazione 0,0 2,1 100 0,8 36,4 0,0 1,3 63,6 %c %r %r 18,5 100 18,5 27,4 100 27,4 Totale c = colonna; r = riga. 7,4 40,0 19,9 11,2 40,8 30,2 5,0 11,3 Mista 0,9 1,6 6,0 20,0 10,2 55,0 18,6 %c Coinvolgimento Esterna Interna 14,6 53,2 26,6 %c Informazione 15,2 6,0 2,0 7,3 100 39,2 12,8 48,0 %c 15,2 16,1 23,8 13,3 %r Prom. immag. 11,4 4,9 1,1 5,3 100 43,2 9,9 46,8 %c 11,4 13,3 13,8 9,8 %r Prom. prodotti 11,2 3,1 0,1 8,0 %r 8,3 1,3 100 11,2 27,5 0,9 71,6 14,6 %c Dialogo 7,8 1,2 1,5 5,0 9,2 %r 100 15,8 7,8 3,3 19,7 18,8 64,5 %c Formazione 5,6 2,2 0,6 2,9 100 38,2 10,9 50,9 %c 5,6 5,8 7,5 5,3 %r Istruzioni dirig. 2,9 1,1 0,3 1,4 100 39,3 10,7 50,0 %c 2,9 3,0 3,8 2,6 %r Gestione crisi 2,1 1,9 0,0 2,5 %r Temi sindacali Tab. 18 - Ripartizione delle testate in base alla tipologia della redazione e alle finalità (valori %). c = colonna; r = riga. 100 3,7 34,3 1,2 11,1 Esterna 62,0 20,2 Interna %c %r Prodotti/Servizi %c %r L’azienda Tab. 17 - Ripartizione delle testate in base alla tipologia della redazione e ai contenuti (valori %). 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 37,1 100,0 100,0 100,0 54,7 8,2 %r %c Totale 100,0 40,0 8,0 52,0 %r 100,0 Totale %c Anche la formazione appare una funzione principalmente affidata alle redazioni esterne: 18,8%, rispetto al 9,2% di quelle interne e al 3,3% di quelle miste. Questo dato, come i precedenti, sembra confermare la tendenza delle imprese ad affidarsi a strutture professionali esterne per fare, o per fare meglio, ciò per cui all’interno non esistono valide dotazioni in termini di risorse umane e/o di strutture adeguate. Se fare informazione sull’azienda è un obiettivo e un compito che non viene trasferito all’esterno dal cuore della stessa azienda - la più competente e interessata a farlo -, per altre funzioni, altri compiti e altri obiettivi, affidarsi a strutture esterne meglio dotate e qualificate sembra più opportuno, nei casi in cui comunque i responsabili della rivista aziendale abbiano deciso che il proprio house organ deve contenere certi temi e contribuire al raggiungimento di certi obiettivi (sostanzialmente, promozione dell’immagine e dei prodotti, e formazione delle risorse umane) (cfr. tab. 19). In sintesi, l’identikit dell’house organ italiano “tipo” lo raffigura come una rivista ben curata nel taglio editoriale e dal punto di vista grafico, pubblicata a colori, arricchita da fotografie e da illustrazioni, con cadenza per lo più trimestrale o bimestrale. La rivista aziendale è distribuita prevalentemente sul posto di lavoro, ma sempre di più viene recapitata a casa e destinata a soggetti esterni all’azienda. I destinatari principali rimangono comunque i dirigenti, i quadri e tutti gli altri dipendenti, in quanto la funzione fondamentale dell’house organ è concentrata sulla comunicazione interna. I contenuti principalmente veicolati dalla rivista aziendale sono “l’azienda” stessa nel suo insieme, i suoi prodotti e/o servizi, ma anche i temi extra-aziendali, che possono interessare la vita del dipendente nel suo complesso. Le finalità maggiormente perseguite dalla rivista sono l’informazione e la promozione dell’immagine e dei prodotti e/o servizi. Ma lo scopo prevalente è anche di tessere relazioni e di creare un dialogo tra azienda e dipendenti volto al coinvolgimento e all’identificazione di questi ultimi. 303 304 1,0 22,3 Totale c = colonna; r = riga. 100 22,3 5,8 14,3 9,9 15,4 2,4 18,2 17,1 100 17,1 1,7 2,2 9,8 31,4 Extra-azien. 2,3 10,2 20,5 0,4 2,2 22,0 Temi sind. 0,5 Altro 1,3 6,7 19,6 La formaz.1,5 7,4 16,6 2,4 13,9 20,0 Organizz. 2,3 10,2 19,1 15,8 1,4 2,4 0,3 1,0 1,4 100 8,7 15,3 1,7 6,6 9,2 28,3 30,3 3,9 22,9 14,9 4,5 6,5 37,7 19,0 L’azienda 7,7 34,6 22,7 Prod./Ser. 5,9 26,3 22,3 4,8 %c 15,8 19,7 21,8 11,7 13,5 12,2 17,0 14,1 %r Prom. immag. %r %c %c %r Coinvolgimento Informazione 13,0 0,9 1,7 0,3 0,8 1,4 4,3 3,7 100 6,9 13,2 2,0 6,5 10,5 32,8 28,1 %c 13,0 13,0 15,5 11,7 11,0 11,5 16,3 10,8 %r Prom. prodotti 12,5 0,5 0,9 0,4 1,1 1,6 2,9 5,1 %r 7,5 8,3 100 12,5 4,2 7,3 3,0 16,5 8,9 14,5 12,6 13,2 23,5 11,2 40,7 15,0 %c Dialogo 7,9 0,3 1,0 0,2 0,8 1,2 1,8 2,5 6,9 7,4 %r 100 4,1 12,7 2,2 7,9 4,6 9,0 7,9 10,7 11,0 15,2 10,1 23,1 32,1 %c Formazione Tab. 19 - Ripartizione delle testate in base ai contenuti e alle finalità (valori %). 7,1 0,5 0,6 0,1 0,6 1,0 1,9 2,3 100 7,3 8,3 1,9 9,0 13,8 26,5 33,1 %c 7,1 7,4 5,3 6,1 8,3 8,2 7,1 6,9 %r Istruzioni dirig. 4,3 0,1 0,5 0,1 0,4 0,7 1,1 1,4 100 3,4 10,9 3,1 9,7 15,6 25,6 31,6 %c 4,3 2,1 4,3 6,1 5,5 5,7 4,2 4,0 %r Gestione crisi 100,0 7,0 11,1 2,2 7,7 11,9 26,2 33,9 %c 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 %r Totale La rivista dell’azienda è curata da una redazione interna, che si avvale però in maniera considerevole di risorse reperite all’esterno, specialmente con riferimento ad alcuni contenuti (i prodotti e/o servizi, i temi extra-aziendali) e ad alcune funzioni che si esige che la testata svolga (la promozione, la formazione). La conduzione e la responsabilità della testata rimangono saldamente all’interno. Nel perseguire i suoi obiettivi, la rivista sempre di più si avvale delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione, soprattutto della posta elettronica, della rete Internet e del desktop publishing. Essa sembra destinata ad una crescente integrazione con i nuovi strumenti, forse variando qualche sua funzione, ma riconfermandosi oggi come uno dei mezzi principali della comunicazione d’impresa. 305 L’INNOVAZIONE TECNOLOGICA PER LA COMUNICAZIONE D’IMPRESA 307 PREMESSA Comprendere gli impatti delle nuove tecnologie sui processi di comunicazione d’impresa è sempre più importante per il management e per le figure professionali che con diverse responsabilità e ruolo operano nei campi della comunicazione. Più in generale il tema assume un interesse crescente per tutte le persone che operano nell’impresa e sono coinvolte nei processi di cambiamento dell’organizzazione, del modo di lavorare, dell’apprendere e del comunicare; cambiamento reso possibile e talvolta stimolato dall’innovazione tecnologica. Nel contesto del 1° Rapporto sulla Comunicazione d’Impresa si è voluto sviluppare il tema in oggetto perseguendo alcuni obiettivi: • consentire un primo livello di conoscenza aggiornata delle caratteristiche di base e della funzionalità delle principali tecnologie; spesso queste informazioni si trovano disperse in fonti e ambiti diversi e ciò rende faticoso il loro reperimento; • facilitare una prima comprensione del “come” le diverse tecnologie possano trovare applicazione in alcuni processi aziendali nei quali la dimensione della comunicazione assume particolare rilevanza; • porre alcune basi di riferimento per realizzare successivi aggiornamenti e approfondimenti delle importanti problematiche relative agli impatti sull’organizzazione, sui ruoli professionali e sulle persone. 309 NUOVE TECNOLOGIE PER LA COMUNICAZIONE: PRINCIPALI CARATTERISTICHE E FUNZIONALITÀ Le tecnologie che si intendono prendere in esame sono quelle che, per ampiezza di diffusione e innovatività, impattano oggi in modo particolarmente significativo sulla comunicazione d’impresa. Di seguito vengono presentate le caratteristiche funzionali e le applicazioni d’uso, anche potenziali, di: Intranet, E-mail, Computer Conferencing, Data base on line, Business Television, Videoconferencing e Desk Top Conferencing, Multimedia interattivi. Intranet Intranet è una rete interna a una determinata azienda o a un pool di aziende, accessibile solo ai dipendenti e ai pubblici autorizzati; si tratta di uno strumento molto potente che utilizza la tecnologia Internet per rendere disponibile l’informazione dentro e fuori l’azienda. Secondo recenti ricerche due terzi delle grandi aziende utilizzano Intranet per il loro business. Dal punto di vista tecnologico, l’azienda può servirsi di una rete locale dedicata (LAN) con propri cavi e un proprio sistema client server uniforme per hardware e software; oppure può appoggiarsi a una rete virtuale che utilizza cavi telefonici pubblici, ma riserva gli accessi solo all’azienda e ai propri autorizzati; infine può utilizzare una sottorete 310 virtuale di Internet, riservata a una o più aziende, servendosi delle relative facilitazioni (browser come Netscape Navigator, Internet Explorer, server, motori di ricerca come Altavista, ecc.). Le principali caratteristiche di Intranet sono la facilità di navigazione, la rapidità di prototipazione, l’accessibilità da qualunque piattaforma, la possibilità di utilizzare diversi tipi di media (audio, video e applicazioni interattive). Inoltre, con Intranet si possono realizzare reti interne di qualunque dimensione, dal momento che si può partire da una rete piccola, che cresce in momenti successivi a seconda delle necessità di sviluppo, comportando investimenti iniziali minimi per l’installazione; Intranet risulta pertanto conveniente alle realtà organizzative medio piccole come a quelle più grandi e disperse geograficamente. Si consideri infine che l’informazione fornita attraverso Intranet giunge all’utente in modo estremamente più tempestivo ed economico di quella fornita attraverso mezzi tradizionali cartacei. Le applicazioni di Intranet in ambito aziendale sono svariate, e comprendono ad esempio: • trasmissione ai dipendenti di diversi tipi di informazioni, come politiche aziendali, procedure operative, descrizioni di attività e ruoli, dati e documentazione relativi a piani di business, news aziendali, rapporti di ricerca, progetti, ecc.; • assistenza e supporto tecnico allo sviluppo professionale e alla formazione dei dipendenti; • accesso a data base con facilitazioni per le operazioni di ricerca delle informazioni; • trasmissione di informazioni a reti di vendita, fornitori, clienti, ecc.; • possibilità di collaborare a gruppi di lavoro: gli utenti possono accedere a documenti di progetto in modo interattivo, fornendo il loro contributo. L’Intranet di Ford ad esempio mette in connessione i progettisti di Stati Uniti, Europa e Asia, consentendo attività di lavoro congiunto (coworking); • invio di posta elettronica. 311 Electronic mail - posta elettronica La posta elettronica consente di inviare e di ricevere messaggi attraverso una casella postale (mailbox) che viene attivata sul computer e tramite il collegamento alla rete telefonica, che viene generalmente effettuato da un provider specializzato. Si può inviare un messaggio privato a un destinatario titolare di una casella postale elettronica; si possono inoltre inviare messaggi pubblici, che possono essere letti da tutti coloro che condividono una rete. Dal punto di vista della rapidità, la e-mail è molto simile al telefono, con il quale condivide la rete; dal punto di vista dei costi, il costo unitario di un invio è inferiore a quello di una telefonata o di una lettera. La rapidità e il basso costo dell’E-mail hanno permesso di aumentare in modo significativo gli scambi tra persone lontane fisicamente, consentendo di mantenere contatti più stretti e regolari tra i membri di un team di lavoro, di diffondere le informazioni all’interno e all’esterno dell’azienda, sia a livello verticale che orizzontale, in maniera più sistematica e di lavorare in maniera più flessibile, modulando lo scambio di messaggi tra più persone nel momento più conveniente, senza richiedere la presenza contemporanea degli interlocutori. Indubbiamente la diffusione della comunicazione per posta elettronica ha generato un nuovo stile di comunicazione, basato sull’informalità sulla brevità dei messaggi: il testo E-mail è di solito molto succinto, i contenuti sono espressi in modo dichiarativo, la sintassi è semplificata; spariscono - o tendono a perdere rilevanza sociale - i riferimenti alla posizione gerarchica e al livello professionale aziendale. La natura informale della comunicazione tramite posta elettronica è stata uno dei fattori principali del successo dell’E-mail a partire da contesti di interazione come le comunità scientifiche ed accademiche. Lo stile informale e la brevità dei messaggi costituiscono però anche i limiti della posta elettronica quando questa diventa un mezzo di comunicazione aziendale: i messaggi E-mail infatti, sia dal punto di vista legale che per ragioni formali, non possono sostituire tutti gli altri tipi di corrispondenza, soprattutto commerciale. Inoltre, le conversazioni che richiedono un certo livello di negoziazione o che implicano mutui 312 aggiustamenti tra interlocutori, come la risoluzione di situazioni conflittuali, richiedono la ricchezza delle modalità espressive del linguaggio parlato. Esse vengono perciò necessariamente condotte verbalmente nel corso di riunioni o utilizzando il telefono. Con la posta elettronica sorgono inoltre problemi di riservatezza (“chi controlla/vede la mia E-mail”) ed emerge la necessità di applicare regole condivise tra gli interlocutori per evitare l’accumulo dei messaggi e i tempi di attesa molto lunghi necessari per scaricare allegati (attachement) di dimensioni eccessive. Conferenza elettronica (computer conferencing) Il termine Computer Conferencing designa un insieme di tecnologie variamente integrate, che consentono di scambiare messaggi e dati e di lavorare su un medesimo documento in tempo reale (Syncronous Conferencing) o differito (Asyncronous Conferencing). Generalmente le tecnologie di Computer Conferencing si dividono in quattro categorie: servizi di posta elettronica, sistemi di Bullettin Board (BBS), sistemi di conferenza vera e propria, servizi di ricerca e di condivisione di informazioni. Mentre le prime tre tecnologie rientrano nella sfera della comunicazione interpersonale e hanno lo scopo di riprodurre, attraverso la rete, le modalità di interazione tra gli individui o tra i gruppi, la quarta categoria riguarda i sistemi che consentono di accedere a informazioni immagazzinate nei nodi della rete (basi di dati, archivi software, ecc.) e di condividere le stesse informazioni tra i partecipanti alla comunicazione. Questi sistemi presentano una vasta gamma di funzionalità tra cui: organizzare la comunicazione su argomenti e temi di discussione; assegnare ruoli diversi ai partecipanti (es. tutor, moderatore); coordinare e monitorare il lavoro delle persone. Della conferenza elettronica si può fare un uso più o meno strutturato. L’uso non strutturato prevede la presenza di aree di discussione libera (“chatting area” o “café”); di help-desk specializzati che possono 313 fornire risposta a domande specifiche o a interrogazioni tecniche sul funzionamento del sistema; di aree di “contatto”, o punti di incontro, che servono a lanciare nuovi argomenti di discussione. L’uso strutturato prevede l’organizzazione dei processi di interazione e la definizione dei risultati che si vogliono raggiungere. Il lavoro di team, le attività di apprendimento e di formazione on line, lo scambio di conoscenza su un argomento specifico sono esempi di uso aziendale strutturato dei sistemi di conferenza elettronica. Un aspetto caratteristico delle tecnologie di Computer Conferencing è la notevole flessibilità dei modi di comunicazione e di scambio tra le persone e tra i gruppi, pur all’interno di determinati vincoli tecnologici: dalle ricerche finora effettuate a livello internazionale sulle applicazioni di queste tecnologie alle organizzazioni aziendali ed alle istituzioni educative, come la scuola e l’università, si può rilevare una notevole plasticità e apertura dei sistemi di Computer Conferencing, che sembrano adattarsi facilmente a qualsiasi tipo e forma di cooperazione. Business Television La Business Television è una rete protetta che utilizza un canale di proprietà di un’azienda per la trasmissione in diretta via satellite alle sedi remote. La qualità del segnale audio e video che offre questa tecnologia è molto elevata; inoltre il segnale può essere criptato ed il destinatario selezionato. Il livello di interazione con gli utenti che offre questa tecnologia è invece di per sé piuttosto basso, in quanto la comunicazione video è a una sola via, mentre i siti riceventi presso le sedi remote, che non possono comunicare tra loro, possono interagire telefonicamente con l’emittente con modalità diverse: telefonate in diretta senza filtro o filtrate da un operatore, telefonate in differita, cui si può decidere di rispondere in diretta o successivamente; telefonate con domande preparate in anticipo, sollecitate preventivamente dal relatore. A sua volta, chi trasmette dallo studio televisivo può effettuare chiamate casuali o preorganizzate 314 ai siti riceventi o a un esperto remoto, non fisicamente presente alla trasmissione. L’interazione telefonica può essere potenziata con un dispositivo elettronico, il bridge telefonico, che tiene in linea contemporaneamente più utenti, o con l’utilizzo di tastiere elettroniche (responding machine) che consentono agli utenti remoti di digitare risposte da inviare al relatore. Si può ovviare alla bassa possibilità di interazione prestrutturando le trasmissioni, inviando preventivamente materiali cartacei, prevedendo momenti di stimolo affidati ad animazioni o all’inserimento di filmati. Per le sue caratteristiche la Business Television è adatta a grandi numeri di utenti dislocati in sedi diverse su un territorio anche vasto; si presta all’erogazione di programmi di formazione, alla larga diffusione di informazioni di interesse aziendale (il telegiornale aziendale, informazioni su nuovi prodotti, ecc.), alla trasmissione di messaggi in occasione di eventi o convention. I costi di equipaggiamento e di trasmissione sono notevoli, pertanto la Business Television è una scelta consigliabile se si prevede un numero di postazioni remote elevato e una frequenza di trasmissione tale da ammortizzare i costi iniziali di impianto. Data base on line I data base sono sistemi che immagazzinano informazioni e le organizzano in modo tale da rendere la ricerca e l’accesso efficace, semplice e tempestivo. Esistono diversi modelli di data base che si differenziano a seconda del modo in cui organizzano le informazioni. I più diffusi attualmente sono i data base relazionali, che collegano i dati di diversi file attraverso l’uso di campi chiave. Ad esempio il campo NomeCliente presente sia nel file “clienti” che nel file “prodotti” permette di collegare il cliente al/i prodotto/i che ha acquistato. Il cliente e qualsiasi altro dato/informazione viene descritto come una combinazione di campi che possono essere facilmente aggiornati e arricchiti. Altri data base (object 315 oriented), oltre a contenere informazioni non solo testuali e numeriche ma anche multimediali, consentono di effettuare alcune operazioni a partire dalle informazioni stesse (ad esempio calcolare il fondo pensione di una persona sulla base dell’età e dei contributi versati). I data base sono diventati un elemento importante delle tecnologie della comunicazione da quando sono disponibili “on line”. Essi consentono l’accesso in tempo reale a una vastissima quantità di risorse di conoscenza (basi di conoscenza) e di informazione, permettendo in questo modo di aggiungere valore ai processi di formazione a distanza, di lavoro di gruppo, di gestione della conoscenza, di supporto alle performance delle persone che operano nei diversi contesti professionali. Videoconferenza e desk top conference La videoconferenza, che consente un’interazione audio e video a due vie tra due siti (point to point) e fra più siti (multipoint) a gruppi consistenti di persone, utilizza linee di tipo ISDN (Integrated Services Digital Network): la qualità del segnale dipende dal numero di linee attivate e attualmente non è ancora pienamente soddisfacente pur garantendo una qualità sufficiente agli scopi della comunicazione. In campo aziendale la videoconferenza viene utilizzata per testimonianze, interventi nel corso di meeting, cicli di formazione integrati da materiali cartacei e supportati da tutor, incontri di lavoro a distanza, comunicazione di messaggi aziendali. I costi di installazione e gestione sono molto inferiori a quelli della BTV. Tra i vantaggi, sono inoltre da tenere in considerazione il notevole abbattimento dei costi, dei tempi e dei disagi collegati al trasferimento delle persone, la tempestività e la capillarità della diffusione dell’informazione. La Desk Top Conference consente una trasmissione di video-conferenza tramite computer tra singoli individui o tra piccoli gruppi; ha costi di equipaggiamento inferiori a quelli delle video-conferenze e trova applicazione nelle attività di tutoring e negli incontri di lavoro a distanza. 316 Media interattivi La tecnologia multimediale presenta l’informazione attraverso l’integrazione di più codici e modalità di comunicazione: testi, animazioni grafiche, filmati, musica e voce. Un prodotto multimediale immagazzina moltissime informazioni digitalizzate: il supporto più comune è pertanto il CD Rom (Compact Disk Read Only Memory), un disco a memoria ottica che contiene informazioni testuali sonore e grafiche preregistrate, e che, analogamente al Compact Disk Musicale, può solo essere letto; per leggere un CD Rom è necessario disporre di un computer multimediale, dodato di scheda audio. Una prima caratteristica peculiare di questi supporti, destinati come il libro alla fruizione individuale, a differenza di una pubblicazione tradizionale strutturata in modo sequenziale, è che essi si prestano ad accogliere una struttura ipertestuale basata su una memoria ad albero che consente l’accesso e la navigazione a partire da un menu oppure da parole “chiave”. Una seconda caratteristica importante del CD Rom è quella di consentire all’utente una fruizione interattiva dei dati che può portare a selezionare un percorso personale, a determinare la sequenza di fruizione e il tempo di consultazione del CD Rom. I CD Rom trovano attualmente larga applicazione nel campo dello stoccaggio di informazioni che non necessitano di essere aggiornate frequentemente, come ad esempio le enciclopedie, gli archivi e altri strumenti di consultazione interattivi. Più pertinente al discorso della comunicazione nelle imprese è il vasto utilizzo nel campo delle presentazioni di prodotti/servizi, della formazione, della manualistica tecnica. La combinazione è l’integrazione delle tecnologie Considerata la varietà delle tecnologie descritte e le diverse modalità delle possibili applicazioni alla comunicazione d’impresa, si rende 317 utile una loro classificazione in base ad alcune tra le categorie più comunemente proposte in ambito scientifico. Una prima classificazione si basa sulla duplice distinzione tra la dimensione temporale della comunicazione (sincrona e asincrona) da una parte e la direzione del flusso comunicativo/informativo dall’altra (Fig. 1). Dimensione temporale Sincrona Asincrona Unidirezionale BTV CD-Rom Bidirezionale Videoconferencing Desk top videoconf. Computer conferencing E-mail Computer conferencing Direzione Fig. 1 Un’altra classificazione (Fig. 2) prende in considerazione la dimensione dell’interattività. Interattività alta Multimediali interattivi (CD Rom) Corsi WEB VDC / Desk top conferencing e document sharing Unidirezionale Bidirezionale Computer Conferencing E-Mail BTV Interattività bassa Fig. 2 318 Da questa classificazione esemplificativa emerge come la videoconferenza e la conferenza desk top consentono di ottenere il livello più alto di interazione comunicativa in quanto sono le tecnologie che ricreano nel modo più prossimo le condizioni della comunicazione “faccia a faccia”. Sono quindi da preferire in contesti d’uso che richiedono negoziazione, elaborazione e decisione condivise e nel caso si voglia ottenere una comunicazione più “calda” dei messaggi. Le tecnologie della comunicazione mediate dal computer, che si basano sullo scambio di testi scritti e di dati, sono più adatte a contesti che richiedano analisi, riflessione e forme di condivisione più approfondite, come quelle richieste dalle attività di apprendimento e/o di lavoro a distanza. Questi tipi di classificazioni sono utili per valutare le opportunità di utilizzo delle diverse tecnologie in relazione alle esigenze collegate ai contesti organizzativi, ai contenuti e agli obiettivi della comunicazione e alle caratteristiche delle persone. Ulteriori considerazioni riguardano la natura aperta, dinamica e polivalente delle tecnologie. Queste caratteristiche per così dire “plastiche” comportano la possibilità di realizzare una vasta gamma di possibili combinazioni e integrazioni. Ciò consente l’ottimizzazione delle potenzialità funzionali e il disegno di soluzioni sempre più raffinate e al contempo personalizzate, rispondenti ai diversi bisogni delle aziende. Il percorso di sviluppo delle tecnologie della comunicazione, in seguito alla loro integrazione con le tecnologie informatiche e all’utilizzo della rete, rende evidente, come emerge da quanto detto finora, il passaggio dalla comunicazione unidirezionale e standardizzata propria dei mezzi di comunicazione di massa di prima generazione a una comunicazione a più vie, interattiva, flessibile, di conseguenza più adatta alle mutevoli necessità che caratterizzano i contesti organizzativi attuali. La combinazione delle soluzioni tecnologiche porta alla costituzione di sistemi adatti a supportare le attività sempre più complesse e ad alta densità di interazione richieste alle persone nelle moderne organizzazioni. 319 I sistemi di groupware I sistemi di groupware sono costituiti da un insieme di mezzi telematici e di software che consentono forme di comunicazione e di collaborazione fra persone e integrano tecnologie software (come la posta elettronica, la conferenza elettronica in tempo reale o differito e la videoconferenza) con reti di comunicazione aziendali (interne e dedicate) e/o con reti esterne e pubbliche. Utilizzano inoltre software per la programmazione e la calendarizzazione delle riunioni, per lo scambio e la gestione comune di documenti di lavoro, per la soluzione dei problemi e la presa di decisione condivisa. Consentono, per realizzare i compiti citati, l’accesso a data base aziendali per l’acquisizione di informazioni, di documentazione interna ed esterna e per l’accesso a basi di conoscenza. Nella figura (Fig. 3) viene schematicamente rappresentato il sistema di groupware, le tecnologie e le funzionalità che lo costituiscono, i Archivio di documenti e di disegni Knowledge bases Data base di informazioni GROUP WARE Data base di gruppo Gestione di documentazione Computer Conferencing Desk top Conferencing Applicativi per la produttività individuale E-mail Messaggeria SISTEMA OPERATIVO INFRASTRUTTURA HARDWARE E RETI (LAM/WAN/ISDN) STANDARD/PROTOCOLLI - SERVER LOCALI E REMOTI Fig. 3 - L’ambiente del groupware. 320 Agenda BBS suoi collegamenti alle fonti di informazione aziendali, l’architettura hardware e software. I sistemi di groupware, in sintesi, consentono a team virtuali di lavorare, supportando tutte le funzioni di comunicazione tipiche di un gruppo di lavoro, funzioni necessarie per realizzare i compiti e gli obiettivi che gli sono assegnati. Questi aspetti saranno esaminati più dettagliatamente nell’ambito del capitolo specifico dedicato ai campi applicativi. 321 CAMPI APPLICATIVI DELLE NUOVE TECNOLOGIE: VANTAGGI E IMPLICAZIONE PER L’IMPRESA Le nuove tecnologie della comunicazione nel campo della formazione aziendale Fra i campi applicativi più promettenti per le nuove tecnologie della comunicazione vi è senz’altro quello della formazione e dell’addestramento aziendale. Negli ultimi dieci anni la sperimentazione delle nuove tecnologie nella formazione è stata ricca e articolata e oggi le ricerche nel settore evidenziano un significativo trend di ampliamento del loro utilizzo, come illustrato nelle figure seguenti (Fig. 4 e Fig. 5). Modalità di erogazione della formazione 0 10 20 30 40 50 60 CD-Rom Disk Client/Server Intranet Web World Wide Web CBT Altro Fonte: The 1997 CBT Report, SB Communictions Fig. 4 322 70 Dall’aula all’apprendimento on-line 0 10 20 30 40 50 60 70 80 Classroom, 1997 On-line, 1997 Classroom, 2000 On-line, 2000 Fonte: Corporate University Review Fig. 5 Il trend è collegabile da una parte allo sviluppo delle tecnologie stesse, sempre più accessibili, meno costose e più ricche di funzionalità, dall’altra alla crescente rilevanza che i processi di apprendimento individuali e collettivi assumono per le aziende: le competenze, il knowhow di prodotto/servizio e di processo, la conoscenza del mercato e dei clienti, la cultura dell’impresa sono infatti sempre più identificati come fattori di successo fondamentali. Alla formazione si richiede perciò di raggiungere un’efficacia elevata, di produrre risultati di apprendimento effettivi e misurabili. D’altra parte crescono e diventano sempre più critici per le imprese i vincoli organizzativi come la necessità di limitare l’allontanamento delle persone dal posto di lavoro e la necessità di contenere i costi complessivi della formazione. In questa prospettiva le nuove tecnologie della comunicazione sono in grado di offrire, all’interno dei processi organizzati di formazione e addestramento, una serie di vantaggi ormai riconosciuti dalle aziende che ne hanno sperimentato l’utilizzo, oltre che dagli osservatori più accreditati di questo campo di applicazione. In sintesi, i vantaggi riconosciuti sono i seguenti: • la possibilità di raggiungere in tempi brevi ampie popolazioni decentrate geograficamente (unità produttive, reti di distribuzione, reti di assistenza tecnica, ecc.); 323 • la capacità di rendere più flessibile le modalità di erogazione e di fruizione fino a giungere al concetto di “any time, any place” (in qualunque momento, anche fuori orario di lavoro e in qualunque luogo, compreso il posto di lavoro medesimo); • la possibilità di realizzare una forte omogeneità dei contenuti oggetto di apprendimento, laddove questo risulti necessario e sia considerato un valore; • la possibilità di raggiungere e di soddisfare i bisogni di apprendimento dei singoli individui e di ottenere dati sulle attività da loro svolte e sui risultati di apprendimento ottenuti; • una riduzione complessiva dei costi della formazione, collegata soprattutto all’abbattimento dei costi logistici e ai costi del mancato lavoro. La varietà e la plurifunzionalità delle nuove tecnologie disponibili consentono di progettare e implementare un’ampia gamma di soluzioni e di modelli per l’apprendimento. La vasta letteratura disponibile sull’argomento affronta il tema a partire da classificazioni e descrizioni molto articolate. I concetti di formazione a distanza (FAD), open learning (OL), autoapprendimento, rimandano a una ricca varietà di collegamenti e incroci tra le tematiche inerenti caratteristiche delle tecnologie, livelli di interattività, livelli di autonomia di chi apprende, modelli e tipologie di apprendimento, ecc. In questo capitolo, per motivi di chiarezza e di sinteticità, si è scelto di focalizzare l’attenzione su due aspetti, trattati necessariamente in modo parziale e a titolo di esempio: il primo è quello delle funzioni didattiche che nei processi di formazione possono essere supportate attraverso le tecnologie; il secondo è quello delle soluzioni metodologiche basate sulla tecnologia che possono essere messe in atto per diverse finalità di apprendimento. Funzionalità delle tecnologie della comunicazione per i processi di apprendimento Tra le principali funzioni didattiche realizzabili attraverso il supporto della tecnologia ricordiamo le seguenti: 324 • La lezione a distanza. Le persone in formazione possono, da siti remoti, fruire di lezioni e partecipare a discussioni di approfondimento con un docente esperto. La fruizione può essere collettiva o anche individuale a seconda che si utilizzino sistemi di videoconferenza o sistemi di desktop conferencing. Questa funzione può essere realizzata (con un livello di interazione più basso) anche attraverso collegamenti di televisione satellitare (BTV). Nel processo di formazione-apprendimento le tecnologie possono essere ovviamente utilizzate anche per fornire feedback, spiegazioni, o occasioni di approfondimento a valle di attività svolte individualmente o in gruppo, quali ad esempio esercitazioni, analisi di casi, lavoro su compiti specifici, ecc. E’ intuitivo comprendere quindi come possono essere utilizzate per gestire un processo di apprendimento più complesso rispetto a quello che si può realizzare con una semplice attività di lezione e discussione. • L’apprendimento autogestito in contesto stand-alone o in rete. Le persone possono realizzare percorsi formativi, avvalendosi di supporti multimediali, senza la mediazione del docente. L’accesso e l’utilizzo dei supporti possono avvenire da una postazione attrezzata delle tecnologie necessarie ed autonoma (stand alone) o da una postazione collegata in rete che consente di procurarsi il materiale multimediale da archivi contenuti in un computer remoto con funzioni di server. Il materiale multimediale, utilizzato come risorsa per l’apprendimento, può avere caratteristiche molto diverse e consentire tipologie e livelli di apprendimento altrettanto diversificati. Possono essere utilizzati CD Rom interattivi che contengono elevate quantità di informazioni e consentono al discente di realizzare attività complesse (navigazione tra le informazioni, simulazioni, test di controllo dell’apprendimento, ecc.) così come l’accesso, se vi sono collegamenti di rete, ad archivi informatizzati. • Tutoring on line: consiste nell’assistenza personalizzata alle persone in formazione da parte di un tutor collegato tramite posta elettronica e desk top conferencing. Il tutoring on line può essere utile per ottenere informazioni lungo i percorsi formativi, realizzare verifiche, richiedere accesso ad altre 325 fonti utili e supportare efficacemente l’attività di monitoraggio del processo di apprendimento. • Studio e lavoro di gruppo in rete: si tratta dell’interazione tra persone finalizzata al lavoro di gruppo (soluzione di problemi, realizzazione di compiti assegnati, produzione cooperativa di materiali e discussione in rete) tramite l’utilizzo prevalente di posta elettronica, computer conferencing, lavoro comune sugli stessi file/documenti. Soluzioni metodologiche per diverse finalità di apprendimento Consideriamo ora le soluzioni metodologiche che possono essere attuate per promuovere diverse finalità di apprendimento, per gli individui o per gruppi di varia dimensione. In funzione delle diverse finalizzazioni è infatti possibile progettare e supportare diversi processi di apprendimento, di sviluppo delle conoscenze, piuttosto che di sviluppo delle capacità, che si indirizzano all’apprendimento individuale o di gruppo (Fig. 6). Individui Conoscenze Es. Es. • Ipermedia informativi • CBT • Knowledge data base • Business simulation (su CD Rom) • Manualistica • (CD Rom, WEB) • Sistemi esperti di supporto alle performance (EPSS) Es. Es. • Corsi a distanza in videoconferenza • Classi virtuali • Corsi in BTV • Alternanza di studio individuale autogestito e workshop Gruppi Fig. 6 326 Skill E’ interessante notare come, nel caso si vogliano potenziare capacità complesse a livello individuale, la metodologia appropriata può essere quella, a titolo di esempio, della Business Simulation, che consente di cimentare il discente nella operatività e in percorsi di problem solving e presa di decisioni in funzione dei risultati da raggiungere. Se si intendono invece sviluppare conoscenze e capacità ad un livello più collettivo, una soluzione appropriata può essere la classe virtuale: diverse persone in località diverse studiano e lavorano a distanza per raggiungere obiettivi formativi definiti e comuni. I membri della classe virtuale utilizzano materiale multimediale, interagiscono su specifici compiti loro assegnati, hanno il supporto di un docente-tutor e di esperti. Vi sono appuntamenti collettivi on line a scadenze definite ed eventualmente lungo il percorso riunioni in presenza. La lista degli esempi potrebbe essere lunga. Ciò che preme sottolineare è che, in relazione alle diverse finalità, è importante saper progettare il percorso di apprendimento, realizzando il giusto raccordo tra metodi o tecnologie. 327 I SISTEMI INTEGRATI PER LA COMUNICAZIONE, LA FORMAZIONE E IL SUP- PORTO ALLE PERFORMANCE Come si è visto, le tecnologie della comunicazione possono essere utilizzate a fini formativi e generare numerose soluzioni per la realizzazione di corsi a distanza, attività di formazione e programmi complessi, all’interno dei quali si presenta un’alternanza e un mix di soluzioni diverse: videoconferenze, reti di BTV, multimedialità, ecc. Le soluzioni ed i percorsi di apprendimento sono progettate dall’azienda, che pianifica forme, modalità e tempi di accesso alle attività. Nelle realtà aziendali più avanzate nell’uso delle tecnologie della comunicazione si assiste oggi allo sviluppo di sistemi integrati che, a partire da architetture tecnologiche “client server”,1 sono in grado di offrire una vasta gamma di strumenti e servizi per la comunicazione, la formazione ed il supporto alla realizzazione di specifiche performance. Questi sistemi integrati consentono di accedere da un’unica postazione di lavoro a corsi interattivi multimediali; a servizi di informazione su seminari, workshop, eventi di comunicazione (programmati dall’azienda o da esterni), cui è possibile iscriversi direttamente; a strumenti operativi di supporto per la realizzazione di specifici compiti professionali, a informazioni e conoscenze generate in azienda, formalizzate e disponibili in appositi data base; a fonti di conoscenza esterne tramite collegamenti in Internet o a banche dati. ________ 1. Nei sistemi client-server gli utenti sono collegati tramite terminali a computer centralizzati (server) fornitori di servizi. 328 Questi stessi sistemi possono accumulare informazioni atte a documentare ed eventualmente certificare le conoscenze acquisite, l’avvenuto utilizzo degli strumenti di supporto alle performance professionali, la frequenza di accesso e di utilizzo dei diversi data base disponibili. Lo sviluppo di sistemi integrati per la comunicazione, la formazione e il supporto alle performance, basati su architetture tecnologiche client server, generano un vero e proprio salto di qualità nei processi di comunicazione e apprendimento. Le considerazioni su questo tema potrebbero essere molto ampie e articolate, ma, in sintesi, sono riconducibili a quattro aspetti fondamentali: • i sistemi integrati possono essere utilizzati da una molteplicità di utenti diversi: il personale interno, i fornitori, la rete di vendita, i clienti; • gli utenti di questi sistemi sono indotti ad assumere la responsabilità diretta delle scelte di fruizione delle informazioni e di formazione in relazione ai propri bisogni. Il sistema di erogazione/distribuzione delle conoscenze (delivery system) evolve da una logica “push” verso una logica “pull”: informazioni, corsi, servizi di orientamento, strumenti sono disponibili e utilizzabili su iniziativa degli utenti (“on demand”) e non erogati su iniziativa dell’azienda in modo più indifferenziato e indipendente dall’iniziativa individuale; • questi sistemi consentono maggiormente l’integrazione del processo di apprendimento con i processi di lavoro: la ricerca delle informazioni utili o la scelta di praticare attività di training, sono maggiormente collegati al flusso dell’attività operativa (“on going learning”); • i sistemi possono essere continuamente aggiornati e manutenuti utilizzando le informazioni di feedback che immagazzinano al loro interno, ciò favorisce la patrimonializzazione continua delle conoscenze e l’innovazione delle soluzioni. Queste caratteristiche dei sistemi integrati fanno sì che essi si configurino non solo come una risorsa a disposizione dei singoli individui, ma come potenziali supporti ai processi di apprendimento dell’intera organizzazione. 329 LE APPLICAZIONI DEL GROUPWARE ALLE ORGANIZZAZIONI AZIENDALI Il potenziamento del lavoro in team è una delle sfide più significative per le aziende che devono dar vita a modelli di funzionamento organizzativo più flessibili, veloci in ogni realizzazione, capaci di rendere efficienti ed efficaci i loro processi. L’organizzazione basata sui team di lavoro costituisce una delle risposte ai problemi generati dall’organizzazione di tipo rigidamente funzionale e gerarchico, ma ripropone, fra gli altri, il tema del legame tra tecnologia, organizzazione e lavoro di gruppo. Esiste oggi una tipologia di sistemi software progettati specificatamente per le esigenze dei gruppi di lavoro: il groupware. I sistemi di groupware sono nati sia sulla spinta delle nuove esigenze dell’organizzazione del lavoro, sia per superare i limiti manifestati dai software già disponibili nel supportare alcune specifiche funzioni necessarie ai gruppi per lavorare assieme e raggiungere i loro obiettivi. Ogni team ha una sua unicità, costituita dall’insieme peculiare dei compiti e degli obiettivi che gli sono assegnati, dalle sue dimensioni, dai ruoli che i suoi membri sono chiamati a svolgere in funzione delle loro competenze ed esperienze: la tecnologia chiamata a supportare il lavoro di team deve pertanto saper rispettare e supportare queste peculiarità ed essere quindi flessibile, capace di accogliere le procedure di lavoro adottate dal team. La comunità scientifica, impegnata nello studio multidisciplinare dei fabbisogni tecnologici necessari a supportare il lavoro di team, ha coniato, a proposito di questa nuova realtà che costi330 tuisce un interessante campo di indagine, il termine Computer Supported Coopeative Work (CSCW). Il groupware (termine utilizzato per descrivere l’insieme dei prodotti software dedicati) sostiene il processo di contribuzione individuale al team, consente di gestire la pianificazione condivisa delle attività e di condividere nel team le informazioni in modo efficace. L’introduzione del groupware in una organizzazione può costituire anche un’opportunità per modificare, se necessario, i processi e le procedure in uso. I principali bisogni dei team di lavoro che la tecnologia consente di soddisfare sono i seguenti: • La condivisione tempestiva delle informazioni I membri di un team necessitano di un rapido accesso alle informazioni, alle conoscenze ed alle esperienze accumulate dalla loro organizzazione e che possono essere utili allo svolgimento delle attività: biblioteche, archivi comuni, basi di conoscenza sono esempi di “magazzini di informazioni” che i membri possono utilizzare per rispondere a due esigenze fondamentali. “Dove posso trovare ciò che mi serve?” “Che utilità questa informazione ha per i problemi di cui ci stiamo occupando?”. • La comunicazione efficace all’interno del team L’efficacia della comunicazione all’interno di un team dipende dalla scelta del canale adeguato. Tale scelta a sua volta dipende dalla natura delle informazioni oggetto di scambio e dal livello di interazione richiesto all’interno del gruppo. La tecnologia sempre di più viene utilizzata come veicolo per le comunicazioni del team: posta elettronica, bacheche elettroniche, desktop conferencing sono esempi di canali (già descritti in termini di funzionalità) volta per volta selezionabili in funzione delle esigenze di comunicazione. • La collaborazione produttiva (coworking) La collaborazione produttiva è in concreto l’atto di lavorare insieme per produrre “oggetti” sia intangibili che materiali: analisi di dati ed elaborazione di report, sviluppo di progetti, elaborazione di proposte e documenti per clienti, sono esempi di prodotti realizzabili in collaborazione. 331 Le tecnologie mettono a disposizione strumenti specifici (application sharing) per il lavoro condiviso a distanza: in particolare consentono di manipolare in modo condiviso gli stessi oggetti e di tenere memoria dell’avanzamento dei risultati e degli eventi che hanno caratterizzato il processo di lavoro. • La realizzazione di riunioni produttive L’attività di un team è scandita da riunioni: normalmente queste avvengono in situazioni “faccia a faccia” e sono finalizzate a risolvere problemi e a prendere decisioni non di routine. Le tecniche di problem solving e di decision making basate sulla tecnologia (Sistemi di Supporto alle Decisioni di Gruppo-GDSS) presentano alcuni vantaggi: rendono più organizzata la discussione di un problema, strutturano il brainstorming, stabiliscono criteri per la valutazione delle proposte anche in relazione ai vincoli e al modello di business. Questi strumenti aumentano l’efficacia del team in misura maggiore dei software generici, che non sono in grado di sostenere il processo realizzato dal team e di catturare/elaborare le informazioni chiave, i risultati intermedi, ecc. • La possibilità di pianificare, coordinare e gestire i flussi di lavoro I prodotti groupware consentono di gestire la complessità dei flussi di lavoro e dei programmi: la programmazione delle riunioni e delle scadenze, la definizione delle procedure operative, la diffusione delle informazioni relative allo stato di avanzamento del progetto all’interno e all’esterno del gruppo sono esempi di funzionalità realizzabili. Una ricognizione delle applicazioni del groupware nelle grandi organizzazioni aziendali dimostra come attualmente vengano maggiormente utilizzati per il lavoro di team gli strumenti che facilitano la comunicazione e lo scambio di informazione tra i membri del gruppo e quelli per la pianificazione e la gestione dei flussi di lavoro; meno utilizzati sono invece gli strumenti di coworking e di supporto alle decisioni. Le ragioni di ciò sono probabilmente collegate alla scarsa padronanza che le persone hanno dei mezzi informatici che consentono queste attività. Inoltre, sulle applicazioni dei sistemi di groupware e sul funzionamento dei team virtuali rimangono ancora aperte alcune importanti domande. 332 Quali effetti avrà l’utilizzo del groupware per l’individuo? Si verificheranno modifiche nell’assunzione delle responsabilità personali? I sistemi di groupware rinforzeranno la cultura del team o, al contrario, creeranno spinte verso l’individualismo? Quali modelli di management e quali stili di leadership dovranno essere sviluppati per gestire i gruppi virtuali? Come dovrà essere ripensata la formazione? A queste e ad altre domande si dovrà dare risposta: lo sviluppo rapido e pervasivo delle tecnologie di comunicazione porterà comunque, inesorabilmente, a una crescita ampia dei team e delle comunità virtuali. 333 I RIFLESSI SULLE PERSONE DERIVANTI DALLA DIFFUSIONE DELLE NUOVE TECNOLOGIE DELLA COMUNICAZIONE Nel considerare gli impatti che le nuove tecnologie della comunicazione hanno sui processi di comunicazione nell’impresa, non ci si può esimere dallo sviluppare alcune riflessioni sulle conseguenze per le persone, per il loro modo di comunicare, di relazionarsi e di crescere sul piano delle competenze all’interno delle organizzazioni. Il tema è molto ampio e forse le domande sono più complesse e numerose delle risposte che oggi anche la ricerca scientifica e di management è in grado di fornire. Una prima serie di problemi riguarda la qualità della relazione comunicativa che le persone sono in grado di instaurare con i nuovi media. La letteratura e la ricerca applicata sul tema individuano due diverse dimensioni di questo problema: la qualità delle interfacce e la qualità dell’interazione tra utente e tecnologia e fra i diversi utenti attraverso la tecnologia. Il termine interfaccia designa tutti gli aspetti grafici, tecnici, funzionali, ed ergonomici che consentono all’utente di entrare in relazione con i sistemi tecnologici e di fruire appieno delle opportunità che essi sono in grado di offrire. Ma il concetto di interfaccia assume anche un significato più allargato, in particolare per quelle tecnologie che supportano gli utenti in processi più complessi e autodiretti (per esempio un percorso multimediale interattivo; un sistema di navigazione per ricercare informazioni; un sistema di supporto alle decisioni). In questi casi la qualità dell’interfaccia è data dalla capacità di mantenere elevata la motivazione dell’utente lungo tutto il processo a 334 utilizzare la tecnologia nello specifico contesto di ricerca e di lavoro. Tale motivazione è collegata alla percezione, da parte dell’utente, del livello di congruenza esistente tra l’impegno e le operazioni a lui richieste dalla tecnologia e gli effettivi vantaggi che egli può ricavarne. L’interfaccia utente-tecnologia deve pertanto essere progettata a partire da una accurata analisi delle caratteristiche culturali ed esperienziali degli utenti, dei processi di lavoro in cui la tecnologia si colloca ed anche dell’ambiente fisico e delle condizioni in cui la tecnologia viene utilizzata. L’evoluzione dei sistemi di interfaccia va nella direzione di una crescente personalizzazione e di un crescente avvicinamento ai modi di comunicazione naturali; si pensi ai dispositivi di riconoscimento della voce o della scrittura manuale. Relativamente alla qualità delle interazioni occorre sottolineare come, rispetto alla comunicazione “faccia a faccia”, si verifichi l’assenza o la debolezza, secondo il tipo di tecnologia utilizzata, dei messaggi non verbali e paraverbali. Ciò può comportare significative conseguenze sul livello di motivazione delle persone e, in certi casi, può generare ambiguità o impoverimento degli aspetti semantici del messaggio: è infatti noto come attraverso la comunicazione non verbale e paraverbale un messaggio possa essere qualificato in termini di significato effettivo e al contempo venga a definirsi il tipo e la qualità della relazione tra i comunicanti. Relativamente a questo problema è possibile concludere che la comunicazione mediata dalle tecnologie può facilitare una più spiccata concentrazione sui compiti da realizzare (maggiore impegno nel formalizzare/testualizzare la comunicazione, maggiore intenzionalità nel ricercare occasioni di comunicazione, ecc.), ma al contempo rischia di deprimere quegli aspetti di coinvolgimento e di motivazione, che concorrono in modo sostanziale alla realizzazione delle performance oltre che al benessere emotivo delle persone. Un secondo ordine di problemi è collegato al maggior livello di responsabilizzazione, autonomia, autodisciplina e impegno che le nuove tecnologie utilizzate per la comunicazione nell’impresa sollecitano agli individui. 335 La formazione autogestita e autodiretta, la ricerca e l’utilizzo di informazioni per operare, casi come il semplice, ma costante ed efficace utilizzo di E-mail implicano che le persone siano capaci di lavorare con autonomia, siano rispettose delle regole, dei tempi e delle modalità di comunicazione e scambio definite a livello dell’organizzazione e del team di cui fanno parte, siano orientate ad assumersi maggiore responsabilità verso i propri percorsi di apprendimento e di sviluppo professionale. Questo tipo di problemi può trovare soluzioni se si opera nell’azienda a due livelli: il livello del sistema premiante, che deve saper promuovere e valorizzare l’impegno e la performance individuale e nel contempo premiare tutte le forme di comunicazione e di collaborazione basate sulla tecnologia e orientate al gruppo, e il livello dello sviluppo delle competenze individuali e collettive, attraverso sistemi di formazione e supporto professionale adeguati. Il tema dello sviluppo delle competenze, intese come conoscenze, abilità e capacità individuali che servono alle persone e, più in generale, all’organizzazione per utilizzare in modo diffuso e proficuo le nuove tecnologie della comunicazione, costituisce un altro nodo critico per le imprese. E’ necessario sviluppare le competenze tecniche necessarie per utilizzare i diversi strumenti hardware e software disponibili, ma si tratta anche di acquisire nuove capacità per navigare e catturare le informazioni all’interno di strutture di comunicazione ipertestuale non lineare, senza perdere tempo e senza disperdere energie; si tratta, ancora, di saper progettare con metodo processi di comunicazione, di formazione, di lavoro con caratteristiche tali da consentire l’uso ottimale delle nuove tecnologie della comunicazione. Infine, ma l’elenco proposto non è certo esaustivo, è urgente sviluppare le capacità manageriali e di leadership coerenti con queste nuove forme di comunicazione e al contempo efficaci verso le persone e i team impegnati a lavorare e a comunicare in modo diverso. E’ evidente quindi la necessità di accompagnare l’implementazione delle nuove tecnologie con un’adeguata formazione, mirata allo sviluppo delle competenze, ma anche a stimolare e sostenere la motivazione, considerati gli impatti sulle modalità comunicative e i comportamenti richiesti alle persone, l’introduzione delle tecnologie si configura come un vero e proprio processo di cambiamento per l’organizzazione. 336 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE Quanto abbiamo finora esaminato ci mostra una grande varietà di tecnologie, sempre più accessibili e di facile utilizzo che al contempo presentano caratteristiche di plurifunzionalità rispetto alla comunicazione. Ad esempio con un sistema di videoconferenza si possono “far parlare” persone o gruppi tra di loro e al contempo si possono condividere documenti sui quali lavorare. Queste caratteristiche di plurifunzionalità portano anche a un certo livello di sovrapposizione e ridondanza delle tecnologie rispetto ai possibili usi di comunicazione. Il fatto che le nuove tecnologie della comunicazione siano numerose, pervasive, plurifunzionali e variamente integrabili fra loro non significa che non possano, anzi non debbano convivere con mezzi e modalità di comunicazione più tradizionali: il messaggio elettronico convive con la telefonata, il newsgroup o la conferenza elettronica con lo scambio di materiali via fax o l’incontro tra persone, la classe virtuale con il corso in aula, l’Intranet aziendale con l’house organ. Oggi le organizzazioni debbono risolvere un problema di cultura che troppo spesso oscilla fra due estremi: l’illusione che la tecnologia di per sé sia una soluzione efficiente ed efficace per la comunicazione e la resistenza alla tecnologia in quanto portatrice di nuove difficoltà e complessità. L’utilizzo efficace delle nuove tecnologie della comunicazione nei diversi campi applicativi, alcuni dei quali sono stati descritti in questo capitolo, richiede in realtà una maggiore capacità progettuale da parte dell’impresa, oltre che una aggiornata e anche diffusa conoscenza delle 337 caratteristiche e delle funzionalità delle tecnologie medesime. Ad esempio attivare una rete di TV satellitare per comunicare con una rete distributiva richiede un’attenta progettazione non solo dell’architettura tecnologica necessaria, ma anche dei programmi, delle modalità di accesso alle trasmissioni, dei diversi ruoli che dovranno supportare centralmente e localmente i momenti di collegamento, dei sistemi di valutazione dell’efficacia della comunicazione, ecc. La realizzazione di un sistema di formazione on line implica un cospicuo impegno ed un lavoro metodico di analisi approfondita delle competenze necessarie a far funzionare i processi di lavoro, di modularizzazione delle diverse soluzioni di apprendimento oltre che, anche in questo caso, delle scelte tecnologiche, hardware e software, degli aspetti ergonomici e motivazionali che faciliteranno la fruizione effettiva della formazione da parte degli utenti. Molta progettualità e metodo vanno investiti anche nella direzione di prevedere l’integrazione efficace delle modalità e delle tecnologie di comunicazione più innovative con quelle più tradizionali, ma pur sempre necessarie per molti scopi. Queste ultime però nell’impresa che “sa” utilizzare le nuove tecnologie tendono a rifocalizzarsi e a riqualificarsi. Ad esempio per un team virtuale che “sa” lavorare a distanza, sfruttando tutte le potenzialità delle reti, scegliere di fare una riunione in presenza, “faccia a faccia”, ha significato solo se la riunione ha obiettivi chiari, è gestita al meglio e produce risultati non ottenibili in altro modo. Possiamo concludere sottolineando che le imprese tendono a configurarsi come luoghi in cui i processi di comunicazione e di informazione assumono la forma di complesse reti di interazioni organizzative, di transazioni, di scambi che travalicano la dimensione interna per estendersi alle reti distributive, ai fornitori, ai clienti. A ciò si aggiunge che i confini del lavoro e della comunicazione sulla spinta della globalizzazione si allargano ormai fino a comprendere l’intero pianeta. La competitività delle imprese è sempre più legata alla capacità di progettare e gestire il funzionamento di questi sistemi flessibili di lavoro e comunicazione integrando il ridisegno dei processi, la tecnologia e le competenze delle persone. 338 CAPITOLO V LA FORMAZIONE UNIVERSITARIA 339 IL CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE 341 GENESI E SVILUPPO La tendenza della Comunicazione d’Impresa ad uscire, anche nel nostro Paese, dalla fase empirica, testimoniata dall’attenzione riservata all’argomento da parte del mondo accademico, è confermata dal moltiplicarsi - accentuato in questi ultimi anni - dell’istituzione di Corsi di laurea in Scienze della Comunicazione. Attivato attualmente da almeno undici Università all’interno di facoltà umanistiche diverse, quali Lettere e Filosofia, Sociologia, Scienze della Formazione e, da ultimo, Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo, il Corso di laurea in Scienze della Comunicazione si affaccia per la prima volta in Italia nell’anno accademico ‘91-’92, nell’ambito della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Salerno. Ma è la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino a sollecitare il Ministero, già dal 1987, ad istituire un Corso di laurea di durata quadriennale, volto a favorire l’acquisizione di professionalità nelle aree dell’editoria, della biblioteconomia, della pubblicità, della scrittura tecnica e dell’intelligenza artificiale (Pennacini, 1995). La richiesta nasceva dall’esigenza di favorire una più stretta correlazione tra l’evoluzione del mercato del lavoro e il livello e i contenuti di preparazione dei laureati in Lettere e Filosofia. Una solida cultura umanistica, accompagnata da conoscenze e abilità professionali legate alla gestione dei processi e dei flussi di comunicazione avrebbe probabilmente costituito un bagaglio interessante per un mercato del lavoro “variegato” e, nel contempo, unificato dal collante della comunicazione. 343 I risultati di alcune indagini, successivamente pubblicati nel testo Professionisti della cultura. Formazione, strategie e sbocchi professionali dei laureati in Lettere e Filosofia (Milano FrancoAngeli 1987) indicavano infatti che, oltre a quelli “classici” dell’insegnamento, si aprivano nuovi spazi in settori diversi: dalla regia alle attività di sponsorizzazione, alla pubblicità. Il processo che porterà all’emanazione del D.M. 31 ottobre 1991, istitutivo del Corso di laurea in Scienze della Comunicazione e dei Diplomi universitari o Lauree brevi in Giornalismo e in Tecnica pubblicitaria, si fa comunque risalire ai primi anni Settanta, quando, all’interno dei nuovi Corsi di laurea in Sociologia, si trovano i primi insegnamenti in materia di comunicazione. Negli anni successivi ulteriori approcci, alcuni di matrice semiologica, altri più propriamente psicologici, altri ancora storico-filosofici, attraverso l’inserimento in piani di studio differenti di discipline incentrate sulla comunicazione, premono, sia pure indirettamente, in favore della sistematizzazione della comunicazione in un corpo organico di studi. Indirettamente perché l’inserimento di discipline sulla comunicazione avveniva nella logica della loro funzionalità all’interno di ambiti specifici e non in quella di una autonoma dignità didattica. La sensibilità dimostrata nei confronti della comunicazione dagli ambienti universitari legati alla sociologia, alla semiotica, alla filosofia e alla psicologia si rifletterà, successivamente, nella composizione della Commissione istituita dal Ministro dell’Università e della Ricerca scientifica, Ruberti, con l’incarico di progettare il nuovo Corso di laurea. La valenza pluridisciplinare della comunicazione e la difficoltà di pervenire ad una definizione puntuale dei relativi profili professionali, accentuata dal ritmo di cambiamento proprio delle tecnologie di comunicazione e sottolineata dagli effetti conseguenti sulla domanda di lavoro, che si caratterizzava già allora per la rapida obsolescenza dei profili, furono gli ostacoli con i quali la Commissione fu costretta a misurarsi. Un primo orientamento fu quello della articolazione della Comunicazione in tre grandi aree: una relativa all’approccio logico-sperimentale, proprio delle tecnologie avanzate e dell’intelligenza artificiale; 344 un’altra, di estrazione più specificamente sociologica, incentrata sulle comunicazioni di massa e una terza relativa alla comunicazione istituzionale, dell’Amministrazione Pubblica e dell’impresa. L’idea che si fece strada, e che si affermò, fu quella di pervenire alla definizione di un Corso di laurea che si caratterizzasse quale sistema aperto: un biennio di base, comune, e un triennio di indirizzi, volto ad approfondire, rispettivamente, le comunicazioni di massa e la comunicazione istituzionale e d’impresa. Il terzo indirizzo, previsto inizialmente per l’approfondimento logicosperimentale delle tematiche connesse alle nuove tecnologie e all’intelligenza artificiale, fu infatti abolito dal Consiglio Universitario Nazionale. L’accesso al Corso, inizialmente aperto, avviene, ormai dal 1993, attraverso il sistema del numero chiuso o programmato adottato da tutte le Sedi; la selezione ha luogo mediante la somministrazione di un test scritto e il suo risultato è valutato unitamente al voto conseguito nell’esame di maturità, il cui peso è comunque meno rilevante di quello attribuito al test. Questa misura si rese necessaria a seguito dell’enorme interesse manifestato dagli studenti: la gran massa di iscrizioni appariva difficilmente gestibile in rapporto alle dotazioni di organico dei nuovi Corsi. Dal punto di vista amministrativo-organizzativo si assisteva infatti al paradosso di corsi “consolidati”, che potevano contare su un gran numero di personale, aumentato nel tempo, ma che avevano pochi iscritti e il nuovo corso, che disponeva di un organico ridotto, ma di un numero enorme di iscritti (Tranfaglia, 1998). La stessa esigenza di non inflazionare il mercato con un numero di laureati esorbitante rispetto alle capacità di assorbimento del mondo del lavoro giocava, del resto, in favore dell’adozione del numero programmato; tuttavia le difficoltà incontrate nella fase di avvio furono tante, e di diversa natura. Basti considerare che il piano di studi prevede, obbligatoriamente, che le due prove scritte di italiano e di inglese siano superate dimostrando di saper utilizzare il Personal Computer. Sul piano organizzativo questa previsione comporta la predisposizione di laboratori informatici in grado di consentire, a tutti gli studenti, l’acquisizione delle abilità richieste. 345 Va anche considerato che il ritmo di evoluzione delle nuove tecnologie è quanto mai intenso e che il problema, che si poneva e si pone, non è solo quello di laboratori adeguati, ma di laboratori aggiornati, sul piano della dotazione tecnico-strumentale e della relativa docenza. Lo stesso trasferimento di insegnamenti propri di facoltà tecniche nell’ambito di facoltà umanistiche non è un passaggio del tutto indolore. Una cosa è insegnare Informatica a studenti del Corso di laurea in Ingegneria, altra cosa è insegnarla a studenti che, per cultura di base, per aspirazioni, per particolari motivazioni hanno scelto di approfondire gli studi dell’area umanistica (Bagnara, 1995). Prima di entrare nel merito del Corso di laurea è interessante rilevare che quello in Scienze della Comunicazione è l’unico, all’interno delle facoltà umanistiche, ad articolarsi nell’arco di cinque anni. Questa specificità deriverebbe dall’esigenza di accentuare la vocazione professionalizzante degli indirizzi percorribili dopo il superamento del biennio. Di fatto, il quinto anno, negli intendimenti della Commissione, avrebbe dovuto svolgere le funzioni tipiche della specializzazione, affidate, negli altri Paesi europei, al terzo livello universitario dell’approfondimento post lauream. E’ vero che in Italia si è ancora lontani da una simile articolazione, tuttavia è convinzione diffusa che il D.M. 31 ottobre ‘91 abbia consentito al sistema universitario di compiere un duplice passo avanti colmando significativi ritardi: uno relativo all’assenza, nel nostro ordinamento di studi, di un Corso di laurea completamente dedicato alla comunicazione; l’altro introducendo il Diploma universitario o Laurea breve, che rappresenta, nella generalità dell’Europa, il primo livello universitario. 346 ORDINAMENTO DEL CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE DECRETO MINISTERIALE DEL 31 OTTOBRE 1991 (G.U. DEL 15 GIUGNO 1992) EX Il corso si articola, come si è detto, nell’arco di cinque anni, attraverso un biennio formativo di base ed un triennio, i cui due indirizzi mirano ad offrire preparazioni professionali specifiche rispettivamente nell’area delle Comunicazioni di massa e in quella della Comunicazione istituzionale e d’impresa. Nel rispetto delle norme vigenti in materia di ordinamenti didattici universitari, le facoltà possono proporre l’istituzione di ulteriori indirizzi. Come si vedrà meglio più avanti, alcune facoltà, avvalendosi di questa “apertura”, hanno attivato degli sbocchi specifici. Nel primo biennio sono previsti dieci insegnamenti di base, da scegliere all’interno delle aree disciplinari scientifico-tecnologica, comunicativa, economica, sociologica, semiologica, linguistica, psicologica, giuridica e storica. Sempre nel biennio o, al più tardi entro il terzo anno, devono essere sostenute due prove scritte, una in lingua italiana, l’altra in lingua inglese, di composizione e elaborazione di testi con l’utilizzo di Personal Computer e un colloquio volto ad accertare la conoscenza della lingua inglese. La possibilità di accedere al triennio, e di scegliere l’indirizzo specialistico, è subordinata al superamento degli esami del biennio. 347 Ogni indirizzo, la cui scelta può essere modificata, prevede tre insegnamenti fondamentali comuni, sette insegnamenti costitutivi dell’indirizzo e quattro insegnamenti opzionali. Complessivamente, dunque, il Corso di laurea comporta il superamento di 24 esami, di due prove scritte e di un colloquio. I tre insegnamenti fondamentali, comuni a entrambi gli indirizzi, devono essere scelti ognuno all’interno di specifici raggruppamenti, riconducibili, rispettivamente, all’area linguistica (Retorica e stilistica, Lingua straniera moderna, Grammatica italiana, Storia della lingua italiana); all’area della comunicazione visiva (Comunicazione visiva, Iconologia e iconografia, Semiologia del cinema e degli audiovisivi, Disegno industriale) e all’area sociale (Antropologia culturale, Psicologia sociale, Scienza della politica, Sociologia dei processi culturali). I sette insegnamenti che costituiscono ogni indirizzo sono scelti all’interno di un elenco di nove insegnamenti. L’indirizzo in Comunicazioni di massa è costituito da: • Diritto dell’informazione e della comunicazione; • Teorie e tecniche del linguaggio cinematografico; • Teorie e tecniche del linguaggio giornalistico; • Teorie e tecniche del linguaggio radiotelevisivo; • Storia del giornalismo e delle comunicazioni sociali; • Economia ed organizzazione delle imprese editoriali; • Relazioni internazionali; • Metodologia e tecnica della ricerca sociale; • Teorie e tecniche dei nuovi media. Gli insegnamenti dell’indirizzo in Comunicazione istituzionale e d’impresa sono: • Diritto dell’economia; • Economia aziendale o Organizzazione aziendale; • Marketing; • Scienza dell’opinione pubblica o Istituzioni politiche e gruppi di pressione; • Metodologia e tecnica della ricerca sociale; 348 • Teorie e tecniche della comunicazione pubblica; • Teorie e tecniche della promozione di immagine; • Tecniche della comunicazione pubblicitaria; • Storia dell’industria o Storia economica contemporanea. I quattro insegnamenti opzionali, comuni ad entrambi gli indirizzi del triennio, possono essere scelti in un elenco di quarantacinque, e variano dal diritto all’economia, alla filosofia, alla letteratura, alla storia, con una netta prevalenza degli insegnamenti di matrice umanistica. Al posto di questi insegnamenti possono essere scelti, come complementari, quelli fondamentali che non siano stati inclusi nel piano di studio o quelli costitutivi dell’indirizzo diverso da quello scelto. Il Decreto dispone infine che, una volta superato il biennio, è possibile, al posto dell’accesso al triennio, l’iscrizione al terzo anno del Corso di diploma in Giornalismo o in Tecnica pubblicitaria. Per completezza di informazione si precisa che il Corso di diploma universitario in Giornalismo, attivato a Palermo, a Macerata, a Genova e alla Lumsa, è ormai ad esaurimento, perché sostituito dall’indirizzo in Giornalismo, sempre nell’ambito del Corso di laurea in Scienze della Comunicazione (G.U. n. 140 del 17 giugno 1996). L’esame di Laurea consiste nella discussione di una tesi relativa all’indirizzo scelto. 349 LE UNIVERSITÀ Il Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione è attivato da: 1. Università degli Studi di Bologna Istituto di Discipline della Comunicazione Via Toffano 2, 40125 Bologna 2. Università IULM Facoltà di Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo Via Filippo da Liscate 1.2, 20143 Milano 3. L.U.M.S.A. Facoltà di Lettere e Filosofia Via della Traspontina 21, 00195 Roma 4. Università degli Studi di Macerata Comitato interfacoltà Piazza dell’Università 2, 62100 Macerata 5. Università degli Studi di Padova Facoltà di Lettere e Filosofia Piazza Capitaniato 100, 35139 Padova 6. Università degli Studi di Palermo Facoltà di Scienze della Formazione Piazza Ignazio Florio 24, 90139 Palermo 350 7. Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Facoltà di Sociologia Via Salaria 113, 00198 Roma 8. Università degli Studi di Salerno Facoltà di Lettere e Filosofia Via Ponte Don Melillo, 84084 Fisciano (Salerno) 9. Università degli Studi di Siena Facoltà di Lettere e Filosofia Via del Giglio 14, 53100 Siena 10. Università degli Studi di Torino Facoltà di Lettere e Filosofia Via Sant’Ottavio 20, 10124 Torino 11. Università degli Studi di Trieste Facoltà di Scienze della Formazione Via Tigor 22, 34124 Trieste 351 CARATTERISTICHE E SPECIFICITÀ Le Facoltà che più delle altre hanno attivato Corsi di laurea in Scienze della Comunicazione sono quelle di Lettere e Filosofia, nelle cinque sedi della L.U.M.S.A., nonché quelle dell’Università di Padova, di Salerno, di Siena e di Torino; seguono le due Facoltà di Scienze della Formazione, rispettivamente di Palermo e Trieste; la Facoltà di Sociologia dell’Università di Roma “La Sapienza”; l’Istituto di Discipline della Comunicazione di Bologna; la Facoltà di Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo dello IULM; il Comitato interfacoltà di Macerata. A queste diversità di “origine”, si aggiungono le particolarità dei programmi dei singoli Corsi, che testimoniano, nei fatti, non solo l’autonomia delle singole sedi, ma la particolarità di questa laurea, che presenta notevoli differenze negli indirizzi, nella formazione, negli sbocchi. Il corso attivato dall’Istituto di Discipline della Comunicazione dell’Università di Bologna si caratterizza per la presenza di un unico indirizzo, quello in Comunicazioni di massa, al cui interno spicca, quale elemento distintivo, l’insegnamento dedicato all’economia e all’organizzazione delle imprese editoriali. Altra specificità si riscontra nel Corso di laurea interfacoltà dell’Università di Macerata. Gli insegnamenti di base, invece che in un biennio, si articolano in un triennio e i tre indirizzi successivi sono, di conseguenza, biennali. In alcune Facoltà il nome dell’indirizzo è “comunicazioni di massa”; in altre è “comunicazione di massa”. 352 Sedi I Indirizzo BOLOGNA Corso unitario I.U.L.M. Corso unitario L.U.M.S.A. Comunicazione di massa Comunicazione istituzionale e d’impresa Giornalismo MACERATA Comunicazione di massa Comunicazione istituzionale Comunicazione d’impresa PADOVA Comunicazione di massa Comunicazione istituzionale e d’impresa Giornalismo Comunicazione istituzionale e d’impresa Giornalismo PALERMO II Indirizzo III Indirizzo ROMA “La Sapienza” Comunicazione di massa Comunicazione istituzionale e d’impresa SALERNO Comunicazione di massa Comunicazione istituzionale e d’impresa SIENA Comunicazione di massa Comunicazione istituzionale e d’impresa TORINO Comunicazione Giornalismo e pubblica e d’impresa comunicazione di massa Comunicazione multimediale TRIESTE Comunicazione di massa Giornalismo Comunicazione istituzionale e d’impresa Gestione delle tecnologie per la comunicazione Il corso attivato dallo IULM prevede, rispetto agli altri, il superamento di due prove aggiuntive di idoneità, relative all’informatica e alla sperimentazione multimediale, come quello di Bologna è unitario e si caratterizza per la prevalenza di insegnamenti incentrati sull’impatto delle nuove tecnologie di informazione e di comunicazione sull’editoria e la stampa. Sotto il profilo dell’attivazione degli indirizzi risulta che sei Università - L.U.M.S.A., Macerata, Padova, Siena, Torino e Trieste - hanno attivato tre indirizzi di specializzazione; tre Università - Palermo, Roma e Salerno - ne hanno attivati due, Bologna e IULM uno. 353 Una lettura trasversale degli indirizzi attivati dalle Università consente di registrare una analoga diffusione per quel che concerne le aree della Comunicazione istituzionale e d’impresa e delle Comunicazioni di Massa. In particolare, il Corso interfacoltà dell’Università di Macerata scinde l’area della Comunicazione istituzionale e d’impresa in due distinti indirizzi, mentre l’Università di Torino prevede l’indirizzo in Comunicazione pubblica e d’impresa. Le Università di Palermo, di Trieste e la L.U.M.S.A. l’indirizzo in Giornalismo; a Siena si trova “Gestione delle tecnologie per la Comunicazione”; a Torino la “Comunicazione multimediale”. Ma come si presentano questi corsi? Dalle Guide o, comunque, da pubblicazioni che fanno capo alle diverse Facoltà, emergono informazioni in tal senso. A titolo esemplificativo si riportano, qui di seguito, alcuni stralci. Obiettivo generale del Corso di laurea in Scienze della Comunicazione dell’Università IULM è formare delle figure di operatori dei processi culturali e delle reti comunicative, soprattutto nella prospettiva delle grandi modifiche che investiranno tutto il settore della comunicazione, sotto l’impatto delle nuove tecnologie. Fin d’ora però i laureati in Scienze della Comunicazione dovranno essere in grado di operare con successo nell’industria culturale, editoriale, radiotelevisiva, telematica, grazie alla loro formazione di base e a un accentuato interesse per la multimedialità e i nuovi mezzi. I laureati in Scienze della Comunicazione dovranno essere in grado di interagire tanto con i progettisti tecnici (ingegneri delle reti e del software ecc.) quanto col pubblico e con le società interessate, in modo da garantire il funzionamento di processi comunicativi di massa ma personalizzati, tanto sotto il profilo del controllo dei formati e delle interfacce, tanto da quello della produzione dei contenuti. L’Ordine degli studi della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Palermo recita: Il Corso di laurea in Scienze della Comunicazione, istituito da pochi anni in alcune selezionate Università italiane, ha un obiettivo formativo molto preciso: quello di fornire a differenti figure della comuni354 cazione - giornalisti, pubblicitari, comunicatori pubblici e d’impresa, esperti in pubbliche relazioni, operatori di radio e televisione etc. - una preparazione professionale completa, dove l’esperienza pratica sul campo si intreccia con una preparazione teorica e culturale di base. Per tale ragione, in questo Corso di laurea convivono e si intrecciano discipline, aree di ricerca e esperienze pratiche che nella cultura e nel sistema formativo italiani sono sempre state tenute separate: ingegneria e letteratura, sociologia e linguistica, storia ed economia, diritto ed informatica, psicologia e semiotica non sono infatti in questo nuovo Corso di laurea, compartimenti stagni, senza relazioni tra loro, ma “punti di vista” diversi dai quali considerare il medesimo problema: quello, appunto, della comunicazione, non più vista come un fenomeno trasversale e tutto sommato inessenziale, ma considerata come il luogo a partire dal quale poter comprendere il fulcro stesso della nostra vita quotidiana e delle grandi organizzazioni economiche, sociali e politiche. Dal Manifesto degli Studi della Facoltà di Sociologia dell’Università di Roma “La Sapienza”: Il Corso di laurea in Scienze della Comunicazione rappresenta un significativo risultato del processo di cambiamento che ha coinvolto l’Università italiana nell’ultimo decennio, nella prospettiva di offrire un’adeguata veste istituzionale alle discipline comunicative. Seppure con qualche ritardo, la garanzia universalistica e “pubblica” dell’Università segue i mutamenti strutturali nell’industria culturale e l’emergere di specifici bisogni formativi legati alle nuove realtà professionali nel sistema della comunicazione e dei media, che pongono l’esigenza di una preparazione completa e rigorosa. (...) Il Corso di laurea punta ad intervenire nel mercato del lavoro e delle professioni comunicative attraverso l’offerta di un itinerario didattico aggiornato ispirato ad un approccio interdisciplinare teso alla formazione teorica ed operativa. E’ opportuno annotare in proposito che le nuove tendenze del mercato della comunicazione promettono in prospettiva l’espansione e la diversificazione dei profili professionali, ma è anche doveroso segnalare la particolare instabilità di alcuni ambiti tradizionali quali il giornalismo e la pubblicità. Ecco infine la presentazione del Corso di laurea della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Siena: 355 Nella società contemporanea la crescita delle possibilità e dei bisogni di comunicazione deriva dallo sviluppo tecnologico, da profondi mutamenti culturali, dalla coesistenza di stili di vita diversi e dalla crescita di relazioni sociali non regolate in base alla tradizione. Tuttavia, il continuo aumento e le novità delle comunicazioni trasformano le relazioni sociali e di lavoro e danno origine a nuovi problemi: tali problemi possono essere risolti solo se vengono create competenze capaci di utilizzare adeguatamente le nuove opportunità comunicative e guidare i processi di trasformazione. E’ necessario creare e diffondere una cultura adeguata alle componenti tecnologiche della comunicazione, in modo da chiarire i significati possibili che queste aggiungono, anche implicitamente, ai modi di comunicare. Da tutto ciò deriva una forte domanda di figure professionali, le cui caratteristiche, però, non sono ancora del tutto definite. Tale fenomeno avviene anche in altri ambiti di lavoro, ma è tipico delle attività relative alla comunicazione. Per questi motivi i profili professionali dei comunicatori sono molto flessibili e possono essere ristrutturati o anche completamente modificati in brevi periodi di tempo. Dal punto di vista delle imprese la conoscenza dei programmi e, in generale, della formazione impartita dai Corsi di laurea in Scienze della Comunicazione appare scarsamente diffusa, tanto da far ipotizzare una certa “debolezza” delle politiche di marketing delle Università. E’ quanto emerge dal rapporto relativo ai Focus group promossi da ASCAI Servizi con i responsabili della comunicazione interna di diverse imprese, a Torino e a Milano, nel giugno del ‘97. Emerge, dal rapporto, che le imprese non vedono ancora “quali specificità e quindi quali vantaggi competitivi” abbia questo Corso rispetto ai percorsi tradizionali finora seguiti dai professionisti della comunicazione aziendale. La “concorrenza” sarebbe rappresentata dai Corsi di laurea tradizionali e dai Master in comunicazione. La Laurea in Lettere, in Scienze politiche, in Giurisprudenza, in Economia e commercio sono maggiormente gettonate, perché più consolidate, quando ci sia bisogno di preparazioni di tipo umanistico o economico. 356 Quanto ai Master di specializzazione, è l’alto livello di inserimento nel mondo del lavoro a garantire la qualità della formazione impartita. La collaborazione tra Università e mondo delle imprese è comunque avvertita e auspicata indistintamente, anche se i rapporti che attualmente prevalgono, fatte salve le dovute eccezioni, sembrano caratterizzarsi per episodicità o per volontarismo. Che qualcosa non funzioni nell’auspicato dialogo tra due mondi abituati nel tempo ad ignorarsi non stupisce; e in questo contesto risuona emblematica la dichiarazione fatta da Umberto Eco in occasione dell’inaugurazione del primo anno accademico del Corso di laurea in Scienze della Comunicazione dell’Università di Bologna.“Per quanto riguarda gli sbocchi professionali, ricordatevi che non siamo la Croce Rossa. Non spetta a noi trovarvi un lavoro”. Ma l’assenza di stupore non impedisce alla riforma universitaria in atto, relativa anche al Corso di laurea in Scienze della Comunicazione, di cercare di voltar pagina e di introdurre meccanismi volti ad inquadrare in una nuova ottica il rapporto tra Università e mondo delle imprese. Ci si riferisce, in particolare, alla possibilità, attualmente all’esame dell’apposita Commissione di studio del Ministero, di rendere praticabile l’alternanza di periodi di lavoro e periodi di formazione, nella logica di un interscambio e di una flessibilità più consone al ritmo di cambiamento che caratterizza le società avanzate. Per quel che riguarda in particolare il Corso in Scienze della Comunicazione, gli orientamenti, condivisi dal Ministero e dalla Commissione, sono quelli della sua riduzione a quattro anni, al pari della generalità delle altre Lauree di matrice umanistica; dovrebbero essere introdotti Master e scuole di specializzazione, in armonia con il terzo livello universitario diffuso in Europa e, infine, istituiti nuovi diplomi, primo fra tutti quello di tecnico multimediale, in risposta alle esigenze delle imprese, pubbliche e private. 357 LE SPECIALIZZAZIONI Oltre ai Corsi di laurea in Scienze della Comunicazione, il panorama della formazione nell’ambito della comunicazione d’impresa presenta altri tipi di titoli accademici. Presso l’Università Cattolica di Milano è attiva la Scuola di Specializzazione in analisi e gestione della comunicazione. Il piano di studi si articola in quattro indirizzi; specializzazione in spettacolo, in audiovisivi, in giornalismo e in comunicazione pubblica e d’impresa. Il corso è biennale e con insegnamenti comuni nel primo anno delle quattro specializzazioni; il secondo anno è invece fortemente caratterizzato. Ognuna delle quattro specializzazioni prevede due o più curricula mirati a fornire competenze specifiche legate a precise aree professionali. In particolare la specializzazione in comunicazione pubblica e d’impresa prevede le seguenti articolazioni: • responsabile di comunicazione aziendale; • tecniche creative per la comunicazione pubblica e d’impresa; • pianificazione dei mezzi per la comunicazione pubblica e d’impresa. Alla Scuola sono ammessi i laureati delle Facoltà di Lettere e Filosofia e lauree equipollenti e si accede con un concorso pubblico che prevede la compilazione di un elaborato scritto e un colloquio orale. Per la formulazione della graduatoria viene preso in considerazione il voto di laurea. All’Università Ca’ Foscari di Venezia è attivo un Master in Comu358 nicazione d’Azienda post-lauream al quale sono ammessi coloro i quali abbiano superato con esito positivo un test psicoattitudinale e colloqui individuali. La durata è di nove mesi di cui 3 dedicati a stage. Il Master è promosso dal comitato UPA (Utenti Pubblicità Associati) per la Formazione in Comunicazione d’Azienda in collaborazione con il Dipartimento di Economia e Direzione Aziendale dell’Università di Venezia. Scopo del Master è quello di formare figure professionali che siano in grado di operare all’interno di aziende sia pubbliche che private in tutte le attività inerenti la comunicazione: marketing, PR, ecc. Il programma prevede sei fasi, tra le quali una dedicata all’apprendimento delle conoscenze di base relativamente alla dinamica economico-finanziaria dell’azienda, un’altra allo studio del marketing, un’altra ancora alla comunicazione che viene affrontata in una prospettiva multidisciplinare (psicologica, sociologica, semiologica). Presso la Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Urbino è attivato un Corso di Diploma Universitario in Marketing e Comunicazione in azienda, della durata di tre anni. I requisiti per l’ammissione sono gli stessi che la normativa prevede per i corsi di laurea. Gli esami del primo anno corrispondono a quelli del Corso di laurea in Economia e sono rivolti a fornire allo studente le nozioni di base di diritto, economia politica, matematica. Il piano di studi del secondo anno: economia e gestione delle imprese, gestione informatica dei dati aziendali, marketing, statistica e un esame a scelta tra economia e gestione delle imprese commerciali e organizzazione aziendale. Il terzo anno prevede: economia e gestione delle imprese di servizi, una lingua straniera, management della pubblicità, marketing internazionale, programmazione e controllo della comunicazione d’impresa, sociologia delle comunicazioni, strategie e strumenti della comunicazione d’impresa. La struttura del corso associa l’inquadramento teorico dei temi trattati all’approfondimento delle applicazioni pratiche dei concetti e delle tecniche insegnate. Sono previste infatti 200 ore di esercitazioni che potranno essere utilizzate anche per seminari con esperti, incontri con imprenditori e manager e stages. 359 IL RAPPORTO TRA UNIVERSITÀ E IMPRESE 361 Che il rapporto tra mondo accademico e mondo imprenditoriale sia caratterizzato nel nostro Paese dalla mancanza di una qualche positiva strutturalità è incontestabile, così come assidue sono le sollecitazioni da parte di tutti gli osservatori e gli studiosi delle problematiche educative ad individuare strade e modalità che portino al superamento di una situazione che produce grave nocumento ad entrambi questi importanti ambiti della vita del Paese. Situazione che peraltro ha gravi ripercussioni sull’avvenire professionale e di lavoro dei laureati. In particolare merita di essere preso in considerazione un documento recentemente elaborato da un gruppo di lavoro della Confindustria che qui si riporta integralmente: Una collaborazione strategica Il livello e la complessità delle conoscenze scientifiche e il passaggio da una civiltà dei consumi a una civiltà del sapere rendono la collaborazione università-impresa davvero strategica e appare imprescindibile promuovere e consolidare i legami tra le componenti del mondo universitario e del mondo produttivo. Per converso, il rapporto tra università e impresa è caratterizzato, oggi, da una situazione opposta alla strutturalità. Siamo di fronte a iniziative volontaristiche, disomogenee, territorialmente squilibrate, qualitativamente non confrontabili, non sistematiche, molecolari. Il rapporto università-impresa è sovente ridotto 363 a una reciproca richiesta di dover fare e di dover essere, a una sorta di constatazione/contestazione delle reciproche inadeguatezze. Un rapporto strutturale Riteniamo opportuno indicare tre linee-guida di natura strutturale che dovranno ispirare, da oggi, il rapporto tra università e impresa e che siamo disposti a perseguire in partenariato con l’università: 1. passare dalla frammentazione/volontarismo alla strutturalità diffusa; 2. passare dalla contestazione/richiesta allo scambio alla pari; 3. operare la scelta di applicare i principi in un ambito privilegiato e legittimamente che è quello della formazione al mondo del lavoro. Cosa fare insieme? 1. Riflettere congiuntamente sui trend di evoluzione del mercato del lavoro per l’alta formazione e progettare in maniera coordinata l’integrazione tra i momenti teorici ed esperienziali della formazione universitaria professionalizzante (diplomi universitari, definizione dei curricula, long life learning); 2. promuovere la “catena della transizione” e assumersi la responsabilità di lavorare in modo congiunto per realizzare l’obiettivo di facilitare ai giovani l’inserimento nel mondo del lavoro (orientamento, stage, borse di studio e lavori estivi); 3. aumentare le occasioni sistematiche di contatto per meglio coordinare i propri ruoli educativi e formativi (incubatori dell’autonomia, rete università-impresa, corsi di formazione comuni per operatori delle imprese e delle università); 4. attivare - in materia di ricerca scientifica e innovazione tecnologica stabili rapporti di collaborazione a livello locale tra piccole e medie imprese e università (sezioni dedicate allo sviluppo di tecnologie per le Pmi, sportelli sulla ricerca universitaria, co-partecipazione a programmi comunitari); 5. creare un foro di comunicazione e dibattito permanente e sistematico tra il mondo universitario e quello imprenditoriale che consenta e 364 favorisca le iniziative di dialogo e le attività di collaborazione ad alto profilo tra industria e università (Forum, Fondazione). Quali risorse rendere disponibili per realizzare tutto ciò? L’impresa offre: • autoanalisi - la più precisa possibile - dei trend dei bisogni di professionalità medio-alte ed esprime una domanda di formazione qualificata e centrata sui contenuti, sul metodo e sulle qualificazioni trasversali; • l’apertura delle imprese al mondo dell’università - “giù i muri” - per usare l’impresa e i suoi uomini come risorsa formativa; • la nostra esperienza nel campo imprenditoriale, manageriale, organizzativo, formativo, di sviluppo e della qualità al servizio dell’università; • la disponibilità delle proprie risorse scientifiche, tecniche e progettuali per moltiplicare l’efficacia e l’efficienza delle iniziative comuni in materia di ricerca e di innovazione. All’università chiediamo: • autoanalisi per verificare la presenza nei curricula, dell’orientamento al lavoro e alla professione ed esprimere un’offerta formativa centrata sui contenuti, sul metodo, sulle attività; • l’apertura dell’università al mondo dell’impresa - “giù i muri” - per progettare i curricula e tutte le attività formative orientate e connesse al mondo del lavoro; • applicazione - sia nei contenuti e programmi formativi sia nella gestione universitaria - delle risorse di managerialità offerte dalle aziende e delle conoscenze maturate dalle libere università; • di dotarsi di strumenti efficaci per il trasferimento tecnologico alle piccole e medie imprese degli studi e dei risultati della ricerca scientifica e tecnologica universitaria. Come farlo. Università e impresa hanno bisogno di parlarsi in continuità per capire il nuovo e per proporre progetti adeguati. Proponiamo di adottare un metodo della collaborazione che si basa su cinque segreti di Don Blandin, studioso della United States Business - Higher Education Forum: 365 • enfatizzare la qualità delle relazioni interpersonali; • collaborare alla pari; • essere pazienti; • essere flessibili; • pensare in grande. Il testo redatto in forma sintetica e incisiva, dovrebbe costituire, almeno nelle intenzioni degli estensori, un punto di partenza, di metodo e di merito, per cercare di costruire tra università e imprese un’architettura idonea a sostenere un dialogo e una collaborazione finalmente “fisiologica, sistematica e diffusa” in tutto il Paese. Può darsi che, per i non addetti ai lavori, la richiesta di un dialogo siffatto possa apparire quasi ovvia; anzi, ci si potrebbe meravigliare che così non sia. In realtà, gli obiettivi di un rapporto normale rappresenterebbero una grande conquista. Per i molti addetti ai lavori infatti, solo qualche anno fa, gli obiettivi tratteggiati sarebbero apparsi ancora azzardati (si sarebbe parlato d’invadenza, di perdita di autonomia, di strumentalizzazione e anche d’impegno inutile e impossibile). Oggi, se la necessità di un dialogo organico e strutturale è più condivisa sia da parte delle imprese sia delle università, è bene dire che, sotto l’aspetto della concretezza e dell’attenzione, lunga è ancora la strada da compiere e incerti e contrastanti sono nei fatti i modi su come realizzare questo dialogo; infine non c’è ancora una scelta sui contenuti su cui prioritariamente confrontarsi. Per fortuna non mancano esempi eccellenti di collaborazione diffusa sul territorio e in particolare in facoltà scientifiche e soprattutto nell’area del diploma universitario, ma queste sperimentazioni assomigliano tanto a quelle in atto nella scuola secondaria da anni; si fanno, ma rimangono confinate nell’area di riferimento; non si generalizzano, non diventano dopo un po’, nel merito e nel metodo, un modello per tutti. In questo periodo si corre in particolare il pericolo che l’università, nel suo complesso, scossa e pervasa dai nuovi decreti sull’autonomia, si concentri su di sé e quasi si difenda più che aprirsi a dialoghi nuovi e strutturali. E allora, che cosa sta succedendo? Più autonomia e più indipendenza? Più autonomia e accresciuta auto-referenzialità. Non scegliere i nuovi soggetti di dialogo per non far torto a nessuno e chiudersi in sé 366 per organizzarsi in proprio? La nuova autonomia, interpretata da una vecchia cultura, ieri ideologicamente avversa, oggi disincentivata, impigrita e nel contempo costretta a reagire da un cambiamento turbolento, può in ogni momento scivolare in una pericolosa e nuova entropia organizzativa, che rinuncia alla nuova complessità, a un nuovo dialogo alla pari con i diversi. Dialogo strutturale con le parti sociali che deve essere considerato la bussola, e non un ulteriore appesantimento, per orientare e qualificare la nuova autonomia. Ecco quindi il significato del documento elaborato: un messaggio, non solo formale, per cercare di accantonare possibili tentazioni - anche per le imprese oltre che per le università - di rimandare il dialogo, perché adesso “ci sono tante cose da fare”, perché comunicare costa impegno e sacrifici che non “vengono riconosciuti”. Proprio perché la strada è lunga, occorre cominciare subito: la fiducia e la collaborazione reciproche sono piante che crescono lentamente e quindi occorre piantarle “ieri”. Si è parlato di nuova consapevolezza sulla necessità di un dialogo sistematico e delle difficoltà a dargli corso. Sul primo aspetto, un grande contributo, al di là di quanto già da tempo era stato detto da illuminati osservatori, è venuto dal Libro bianco della Commissione delle Comunità europee su Istruzione e Formazione. Uno dei cinque obiettivi strategici della Commissione “Avvicinare la Scuola all’Impresa” è una forte legittimazione di un modo nuovo di affrontare i percorsi educativi. La dichiarazione riguarda tutti gli Stati europei: ciò significa che, pur se da punti di partenza diversi, tutti i sistemi scolastici di vario livello hanno difficoltà a mantenere il “giusto” collegamento con il dinamismo delle imprese tra conoscenze di base e capacità, tra discipline e professionalità. E si tratta comunque di Paesi che hanno già abbondantemente introdotto confronti organici e sistematici tra scuola e parti sociali e in particolare con l’università. Le ragioni di questo problema trasversale, in termini generali, sono molteplici, riassunte grossolanamente nell’espressione “separazione tra teoria e pratica”, nella diversa necessità, per tempi e contenuti dei diversi soggetti, impresa e università, di rispondere al cambiamento; in definitiva la mancanza nell’università, a differenza dell’impresa, di effettive esigenze di sopravvivenza. Se per contenere ed equilibrare queste tenden367 ze si sono sviluppati nel tempo, nei diversi Paesi europei, meccanismi di confronto e di dialogo continuo, la situazione italiana si presenta, per così dire originale, per scollamento e distanza. Occorre quindi, superando volontarismi encomiabili e generalizzando esperienze eccellenti, creare gli agganci organici per procedere insieme. Articolando per grandi fasi il processo educativo (diagnosi dei bisogni, progettazione dei percorsi educativi, loro erogazione e infine valutazione degli stessi), si constata come l’impresa e il mondo del lavoro, direttamente o tramite le loro rappresentanze istituzionali, non siano effettivamente presenti di diritto e con modalità coerenti in alcuna fase (si può parlare della necessità di ambiti e meccanismi di consultazione sistematica e “obbligatoria”, pur se non vincolante). La situazione attuale è veramente pericolosa, lo è stata e lo sarà ancora di più con le sempre più accelerate dinamiche di cambiamento che ci attendono. Senza un dialogo convinto, l’università non incorporerà organicamente nella sua stessa struttura la gestione del cambiamento. Ciò che si registra in termini critici all’interno del mondo accademico trova riscontro anche nei Corsi di laurea in Scienze della Comunicazione. La loro recente costituzione, e la loro stretta connessione con un’area indubbiamente strategica per l’impresa, inducevano e inducono a considerare questo Corso in termini di offerta formativa flessibile, moderna, aperta al dialogo. Per approfondire la situazione e per capire se l’interpretazione/aspettativa di tali Corsi rispondesse a realtà e se, comunque, in caso contrario, vi fossero spazi per contribuire a superare una dicotomia contraria agli interessi di tutti gli attori, ASCAI Servizi ha promosso, presso la sede del Cnel, un seminario di riflessione con i rappresentanti dei vari Corsi di laurea. L’incontro è stato apprezzato da tutti i partecipanti che hanno peraltro auspicato non rimanesse un evento isolato. Ma veniamo alle indicazioni emerse. Intanto, un solo nome. Per Corsi diversi nelle materie di studio, nelle impostazioni e negli obiettivi. Non c’è infatti, come si è visto, un Corso di laurea in Scienze della Comunicazione che sia uguale a un altro. 368 Questo quadro riflette, in buona sostanza, la stessa complessità e instabilità di una disciplina che probabilmente è caratterizzabile per essere permanentemente in progress. Le testimonianze portate al seminario hanno messo in luce anche altre peculiarità. Le più significative riguardano proprio il rapporto con il mondo delle imprese. Il dialogo quando c’è è positivo; quando non c’è è auspicato. I fattori che lo rendono possibile sono diversi e risentono della natura giuridica dell’Università come del contesto di inserimento, anche se sono sostanzialmente riconducibili all’atteggiamento culturale dei docenti nei confronti del ruolo stesso dell’Università e dell’Impresa. Parlare di dialogo tra queste due realtà significa, soprattutto, parlare del rapporto di collaborazione che può realizzarsi sia attraverso attività di ricerca comune e la presenza, in aula, di imprenditori e manager che illustrano le proprie esperienze, sia attraverso la presenza, all’interno dell’impresa, di studenti che effettuano stage. Le materie di studio, in quanto oggetto di disposizione ministeriale, non possono essere modificate in relazione ai contenuti ma, entro limiti predefiniti, diversamente accorpate all’interno dei singoli indirizzi. Questa rigidità è vissuta dalle Università come un ostacolo alla realizzazione di un insegnamento più vicino alle esigenze del mondo del lavoro. E’ un dato di fatto che all’interno della tabella ministeriale non esistano, tanto per fare un esempio, insegnamenti quali Gestione delle risorse umane o Strategia e promozione d’immagine. Più ampia libertà di articolazione si ha invece nella progettazione di master di specializzazione post laurea; attualmente ne è in preparazione uno su richiesta di alcune imprese del settore industriale, interessate a realizzare, con l’Università, una formazione strettamente connessa a problematiche specifiche. E’ a livello di specializzazione, dunque, che è possibile stabilire insieme “cosa è effimero, cosa è degno di approfondimento, cosa di consolidamento”. Ne consegue, inevitabilmente, una diversa considerazione della formazione universitaria: nella prospettiva, peraltro concreta, della for369 mazione permanente, le ambizioni formative e informative connesse al perseguimento della laurea perdono di esaustività; e il ricorso ad un successivo livello di specializzazione diventa, piuttosto che la conclusione, una fase del processo di apprendimento. Allo stato delle cose è soprattutto nell’istituto dello stage che si incentra la possibilità di attualizzare, in senso letterale, la formazione universitaria. Un’indagine, condotta su 150 laureati, ha evidenziato un accesso rapidissimo al mondo del lavoro per quegli studenti che avevano iniziato a fare esperienza di stage in azienda negli ultimi anni di corso. Momento di incontro di due conoscenze diverse, quella del sapere dello studente e del saper fare dell’impresa, lo stage consente la realizzazione, accanto a questa funzione patente, di altri obiettivi: l’opportunità di valutazione da parte dell’impresa può infatti tradursi in concrete occasioni di lavoro, vuoi dipendente vuoi consulenziale. Ma prima di organizzare e realizzare uno stage occorre entrare in contatto con le imprese. Sicuramente il contesto ha un peso non indifferente nel favorire o nell’ostacolare le relazioni possibili: un Parco scientifico e tecnologico rappresenta l’habitat ideale per il loro sviluppo; inoltre, per un’Università privata, le possibilità sono maggiori, come quella di nominare uomini d’azienda all’interno del proprio Consiglio di Amministrazione. Tuttavia, anche le Facoltà delle Università pubbliche hanno delle opportunità; una è quella di stabilire convenzioni con le imprese, e con le Associazioni che le rappresentano, anche per lo svolgimento di ricerche mirate; un’altra quella di coinvolgere imprenditori, manager e esperti a livello di testimoni o di docenti, come già in precedenza accennato. La partecipazione all’attività universitaria favorisce l’instaurazione di rapporti che sfociano facilmente nell’organizzazione di esperienze di apprendimento/lavoro. Altra occasione di contatto può venire, in alcuni casi, dagli stessi docenti che, nella duplice veste di consulenti d’impresa, si collocano come ponte tra le due realtà. Gli stage, che si articolano normalmente nell’arco di due-tre mesi, destano tuttavia qualche preoccupazione negli studenti che, spesso, sono 370 restii ad allontanarsi dalla vita universitaria quando sono ormai prossimi alla laurea. Può accadere così che l’offerta di stage proveniente dalle aziende rimanga inevasa anche nell’ordine del cinquanta per cento. In altre realtà, l’approccio marcatamente esperienziale alla Comunicazione d’Impresa, realizzato attraverso un ampio ricorso alla presenza in aula di professionisti ed esperti, fa sì che lo stage sia molto richiesto dagli studenti e che, di fatto, diventi obbligatorio nella fase di elaborazione della tesi. Su questo orientamento è emerso un consenso generalizzato. A ben guardare, sarebbe la stessa natura ibrida del Corso, che si incentra sulla classicità della tradizione accademica e, contemporaneamente, sulla modernità propria dell’apertura all’ingresso di professionalità, a premere nella direzione di un rapporto stabile con il mondo delle imprese. Tuttavia, instaurare un rapporto con le imprese richiede una disponibilità di risorse che non tutte le Facoltà hanno. Inoltre, il ricorso allo stage potrebbe anche essere percepito come una sorta di abdicazione dell’Università al suo essere insostituibile fonte di trasmissione del sapere. In quest’ottica, piuttosto che delegare il saper fare all’esterno e soffermarsi nel suo alveo classico del Sapere, l’Università dovrebbe poter disporre di laboratori in grado di produrre piuttosto che di simulare; in questo modo gli stage avrebbero luogo al suo interno. Questa lettura del ruolo dell’Università non ha raccolto particolari adesioni; ad essa si è preferita, da parte della maggioranza dei presenti, la separazione delle responsabilità e l’integrazione delle competenze: l’Università dà ciò che non può dare l’impresa; l’impresa dà ciò che non può dare l’Università. Gli orientamenti della riforma universitaria in merito alla revisione della durata del Corso, non si sa bene se nella versione di quattro anni più uno di specializzazione, o in quella del diploma triennale o laurea breve, con successiva specializzazione annuale o biennale, sono stati condivisi all’unanimità. Restano aperti, quasi a sottolinearne la specificità, i problemi connessi alla natura ibrida del Corso, in parte umanistico e in parte tecnico. 371 Il suo essere “contaminato” è fonte di problemi per i docenti di discipline tecniche, che si trovano a insegnare queste materie a studenti con spiccata vocazione umanistica; ed è fonte di problemi per questi studenti avere a che fare con l’informatica e la statistica. Probabilmente siamo in presenza di una falsa preoccupazione: le nuove frontiere della formazione dicono che il futuro è proprio nell’affermazione e nello sviluppo di una doppia cultura, insieme tecnica e gestionale e, quindi, ibrida (Marzocchi, 1991). 372 CAPITOLO VI TEMA MONOGRAFICO LEADERSHIP E COMUNICAZIONE D’IMPRESA 373 1. LA COMUNICAZIONE AZIENDALE Ancora intorno alla metà degli anni ‘80, si potevano esprimere, senza per questo apparire provocatori, seri dubbi sulla natura e sulla validità dei temi legati alla comunicazione d’impresa, dalla cura dell’immagine aziendale all’identità culturale dell’impresa. Per usare l’espressione rubata ad uno studioso di realtà organizzative (che l’aveva coniata per meglio sollecitare una riflessione a più voci condotta nel corso di una iniziativa formativa su questo genere di temi), c’era da domandarsi se oltre all’hardware e al software con la comunicazione d’impresa non venisse introdotto anche il vaporware; cioè una realtà indistinta e con ogni probabilità inconsistente. Al di là dell’episodio, niente più che un espediente d’aula, felice nella fattispecie per l’esito conseguito, resta vero che in generale dubbi reali circolavano nella cultura e nella società italiana. Dubbi che non derivavano affatto dal gusto intellettuale per la discussione, ma che erano generati da una serie di fenomeni che potrebbero essere definiti strutturali e che in varia misura risultavano, come risultano, connessi: uno scarso peso della grande impresa nel sistema economico nazionale; il ritardo con cui se ne è affermata la presenza; la scarsa e tardiva elaborazione di una cultura manageriale minimamente riferita alla realtà italiana; una forte diffidenza della cultura “nazional-popolare” nei confronti dell’impresa; in definitiva una scarsa legittimazione culturale e sociale dell’impresa (legittimazione che aveva con ogni evidenza toccato il suo livello più basso negli anni ‘70, sia pure per una equivoca e impropria commistione fra conflitto industriale - per quanto acceso - e rifiuto etico-politico dell’industria da parte di larghi strati della società). 375 Il quadro oggi appare radicalmente mutato. Sono cambiati al tempo stesso imprese e modelli produttivi, istituzioni culturali e politiche, ma soprattutto si è affermata una più matura consapevolezza del ruolo sociale dell’impresa come luogo imprescindibile per la produzione di una ricchezza da cui sola possono originare quei processi redistributivi postulati da esigenze sia economiche, sia etiche, sia politiche; in definitiva postulati dal bisogno di livelli minimi di partecipazione ai benefici di una comune cittadinanza. In questo quadro nuovo, interrogarsi sulla comunicazione aziendale ha un significato forte che chiama in causa non solo il ruolo della comunicazione d’impresa in generale, ma ancor più il ruolo di chi esercita la leadership. Una volta, infatti, che si prende sul serio la comunicazione, si finisce inevitabilmente per domandarsi - in ogni contesto, ma in modo ancora più esplicito nel contesto aziendale - non solo chi, come e che cosa comunica, ma soprattutto in vista di quali obiettivi. Tali domande, l’ultima poi in modo particolare, fanno emergere la questione di chi determina gli obiettivi e quindi esercita il potere o, per usare un termine di portata più generale perché meno rigorosamente legato ai rapporti politici, chi esercita la leadership. In altra parte del presente Rapporto si può constatare come più di una delle ricerche in materia metta in luce quanto la comunicazione venga impiegata per aumentare l’efficacia e l’efficienza delle imprese (Invernizzi, 1996) o come possa essere fonte di risorse immateriali di rilevanza strategica (Nelli, 1998). Il tema sviluppato in questa parte del Rapporto potrebbe mettere in epigrafe due asserzioni pronunciate da uomini d’azienda in occasione del 45° Convegno Nazionale della Stampa Aziendale Italiana e della Comunicazione d’Impresa. La prima, più elaborata, non a caso formulata nella prefazione degli atti del convegno (ASCAI, 1997) dal Vicepresidente della Confindustria Carlo Callieri, afferma: “La crescente importanza della comunicazione nei processi aziendali nasce da una consapevolezza che si va facendo strada in ogni categoria di impresa. La consapevolezza cioè che l’asse del successo aziendale si sta spostando verso le funzioni a più alto contenuto di comunicazione. Qualità, servizio al cliente, utilizzo dei nuovi strumenti finanziari, internazionalizzazione sono tutti processi aziendali che richiedono una forte capacità di comunicare. 376 E nella azienda piatta che deve stimolare autonomia, responsabilità e autoimprenditorialità dei propri dipendenti, il collante dell’identità aziendale non può più essere affidato al controllo gerarchico delle funzioni, ma deve poggiare sul solido piedistallo di una cultura aziendale condivisa anche perché ben comunicata”. La seconda asserzione, formulata in modo molto più diretto nel corso dello stesso Convegno da Tiberio Indiani, manager e Amministratore della Texas Instruments Italia afferma: “In senso molto generale potremmo considerare l’obiettivo della comunicazione aziendale quello di migliorare la performance dell’organizzazione”. E’ certo che ogni tipo di comunicazione ha le sue forme peculiari di retorica. La comunicazione aziendale non sfugge alla regola, soprattutto in convegni in cui essa è al tempo stesso oggetto di riflessione e strumento di rapporto con il pubblico presente nella sala. Con le due asserzioni appena citate, però, non si è in presenza di affermazioni retoriche nel senso corrente e parzialmente negativo del termine, dal momento che trovano conferma puntuale in alcuni fatti elementari e oggettivi raccolti nel corso di indagini e rilevazioni. 377 2. LEADERSHIP AZIENDALE E COMUNICAZIONE Già nel 1992, in base al Rapporto nel quale venivano commentati i risultati di una indagine condotta dall’ASCAI fra le aziende associate (generalmente grandi imprese pubbliche e private, industriali e di servizi, italiane e multinazionali), risultava che nel 60% dei casi la formulazione delle politiche di comunicazione era una prerogativa del vertice aziendale (Amministratore delegato - Direttore generale). Quattro anni dopo, la ricerca condotta dall’ASCAI sempre tra le aziende associate e destinata ai vertici di tali aziende, accertava che nell’83,6% dei casi la competenza primaria di dettare gli indirizzi strategici in materia di comunicazione interna apparteneva al Capo azienda: l’attribuzione della maggiore responsabilità al Capo azienda risultava sostenuta da un consenso troppo alto per essere discutibile1. Il discorso si faceva ovviamente diverso nel passare dalla attribuzione della responsabilità strategica a quella della responsabilità operativa. In questa diversa prospettiva si registravano tre diverse posizioni: quella maggioritaria 48,0% vedeva la responsabilità operativa far capo alla __________ 1. Anche una recente ricerca (Nelli, 1998a) sulla piccola e media impresa veneta, conferma, in un contesto tanto diverso, questa indicazione generale “La responsabilità della definizione della politica di comunicazione ... [risulta] affidata...costantemente negli anni, in modo esclusivo all’imprenditore (51% delle imprese) o comunque con un suo coinvolgimento accanto ad una o più altre figure professionali: il direttore generale (19%), il direttore marketing (14%) o il responsabile stesso della comunicazione (4%)”. 378 funzione del personale e/o dell’organizzazione; alla posizione maggioritaria se ne accompagnavano due di peso non dissimile, che vedevano la responsabilità operativa assegnata alle Pubbliche Relazioni e/o alle Relazioni esterne (24,4%) o invece ad un apposito ufficio (26,8%). Si è in presenza, come è facile constatare, di una tendenza chiara: il ruolo del top management è prioritario quantomeno nella definizione delle politiche e delle strategie di comunicazione. Questa linea di evoluzione veniva già colta nel ‘92. Come concludeva il Rapporto di ricerca “alla comunicazione si sta indubbiamente destinando una progressiva e crescente attenzione. Diffuso e chiaro è il modo di considerarla come una vera e propria leva strategica connessa ai processi di cambiamento e sviluppo aziendale. E’ tuttavia ancora prevalente l’immagine di una comunicazione che opera più nella prospettiva dell’informazione e dell’immagine che non in quella dello scambio e del dialogo (a due vie). Ed è altrettanto prevalente l’orientamento dei processi di comunicazione verso l’esterno. Guardando in prospettiva allora, il problema sembra anzitutto quello di accreditare sempre più la comunicazione come processo interno all’azienda, articolandolo a tutti i livelli dello scambio ‘fra individuo e organizzazione’ nella prospettiva del coinvolgimento e non semplicemente in quella dell’informazione”. Quasi a voler verificare una modifica dell’orientamento dei processi di comunicazione verso l’esterno, che ancora nel ‘92 sembrava prevalente, l’indagine ASCAI del ‘96 mirava ad accertare soprattutto ruolo e atteggiamento del top management sul tema della comunicazione interna. Una domanda che veniva sottoposta agli intervistati peraltro mirava ad accertare se a loro giudizio “nel caso di un ufficio espressamente preposto” alle attività di comunicazione, esso dovesse avere la responsabilità operativa della sola comunicazione interna o della comunicazione aziendale nel suo insieme (“interna ed esterna” recitava espressamente la domanda). A tale domanda poco meno del 60% (59,2%) degli intervistati, ma circa i quattro quinti di chi aveva risposto - dato che il 24,8% non aveva accettato di discutere l’ipotesi del questionario e quindi non aveva risposto - ha ritenuto che un eventuale ufficio apposito avrebbe dovuto occuparsi in modo integrato della comunicazione aziendale, sia di quella interna che di quella esterna. 379 Fra la rilevazione del ‘92 e l’opinione raccolta nell’indagine del ‘96 sta una linea evolutiva che, per quanto i dati non siano rigorosamente confrontabili perché frutto di indagini diverse, destinate a soggetti diversi, anche se condotte su universi simili (grandi imprese), ci dice che nel ‘92 si trovava un unico ente di comunicazione nel 29,0% dei casi, mentre l’analogo valore saliva al 52,4% solo quattro anni dopo. Questa deviazione dal discorso relativo alle attribuzioni al top management della prerogativa di definire la strategia delle comunicazioni è solo apparente. Come notava l’autore (Invernizzi, 1994) in una ricerca già citata: “Esistono buone ragioni per integrare le diverse attività di comunicazione. In primo luogo perché sempre più gli strumenti di comunicazione esterna sono rivolti a pubblici interni e viceversa. In secondo luogo, perché ormai pressoché tutte le comunicazioni esterne devono considerare gli effetti che provocano all’interno. Infine, perché tutte le più significative attività di comunicazione interna hanno effetti sull’esterno sia per le informazioni che gli interni danno sull’impresa e sui prodotti e servizi, sia per la qualità del rapporto che essi instaurano con gli interlocutori esterni”. Come è facile vedere si sta parlando della esigenza di sempre maggior coerenza fra i messaggi inviati ai diversi destinatari delle comunicazioni; coerenza resa necessaria da un ambiente che per le aziende si fa sempre più competitivo. Anche per questa via, si ribadisce perciò una premessa importante ai fini del presente testo: la comunicazione d’azienda si lega all’esercizio delle massime responsabilità d’impresa; è infatti uno degli strumenti che il vertice aziendale utilizza per mobilitare le energie disponibili in azienda. Il tema della coerenza dei vari messaggi aziendali può, infatti, non essere completamente avvertito al livello delle funzioni aziendali specialistiche, forse portate ad accentuare le specifiche metodologie professionali e le peculiarità dei diversi gruppi di pubblico cui i messaggi di volta in volta sono destinati, ma è certo a livello del top management che questo tema viene colto e i relativi problemi devono essere risolti. Questo perché “nel top management la cultura della comunicazione è una cultura di collegamento alla strategia dell’azienda”, come sottolineava De Rita commentando i dati della ricerca (ASCAI, 1997) presentata in occasione del 54° Convegno dell’Associazione sopra menzionato. 380 3. GLI STRUMENTI AL SERVIZIO DELLA STRATEGIA DI COMUNICAZIONE AZIENDALE La comunicazione d’azienda, come si è potuto vedere, non ha a che fare con la cosmesi aziendale, ma è ormai una leva di politica aziendale cui il top management dedica sempre maggiore attenzione. Si tratta di una leva assai significativa e le operazioni gestionali, che essa consente o che suo tramite vengono realizzate, sempre più spesso vengono affidate, una volta definite le linee politiche o strategiche della comunicazione, a strutture che sovrintendono aree specifiche della gestione aziendale, come si è già avuto modo di vedere: più l’area del personale e/o della organizzazione; meno frequentemente l’area delle Relazioni esterne o delle Relazioni istituzionali e infine, ma comunque in un numero significativo di casi, in un’apposita struttura aziendale. Sia la collocazione, sia l’assetto organizzativo delle unità che si occupano o che hanno la responsabilità di realizzare le politiche di comunicazione definite dal vertice aziendale, risultano assai variegate e non solo per una certa giovinezza delle strutture dedicate alla comunicazione, ma soprattutto perché l’azienda è un organismo sociale in continua evoluzione e non un hardware che col suo software di base può “riconoscere” un limitato numero di programmi applicativi. Qui per altro ci soffermeremo su un aspetto più consolidato della comunicazione aziendale, quello degli strumenti usati dal vertice aziendale per la comunicazione interna, utilizzando alcuni dati tratti dalla più recente ricerca in materia (ASCAI, 1997). 381 Già la precedente ricerca del ‘92 aveva rilevato questo aspetto della comunicazione aziendale, ponendo sotto osservazione, in modo particolare, anche se non esclusivo, la vasta area delle pubblicazioni aziendali. Nelle sue conclusioni il Rapporto di ricerca annotava: “Il panorama degli strumenti è certo ricco e differenziato, ma in larga misura concentrato su iniziative di stampa aziendale a carattere periodico e di taglio ‘giornalistico’, mentre il ricorso a strumenti a più alto contenuto tecnologico è ancora molto marginale in questa area degli strumenti”. Per contrasto si può notare come quell’indagine trovasse che nelle aziende intervistate risultava molto rilevante l’uso di più tradizionali strumenti di comunicazione come la bacheca (citata nel 75,6% dei casi), per non parlare degli opuscoli e dei poster aziendali citati, rispettivamente, nel 54,9% e nel 50,0% dei casi. La ricerca, cui si farà in seguito riferimento, ha rinunciato - a differenza di quella appena richiamata - a raccogliere dettagliate informazioni sulle pubblicazioni aziendali (formato, grafica, periodicità, tiratura, ecc.) per mettere una larga e comprensiva serie di strumenti di informazione sullo stesso piano in modo da poter valutare le differenze relative all’uso, al peso accordato e alle valutazioni espresse dai vertici aziendali. Nella ricerca dunque venivano dedicate due domande ad acquisire le opinioni del top management sui più usuali strumenti aziendali di comunicazione interna. Le due domande, che si presentavano con una struttura uguale, sollecitavano in modo diverso gli intervistati, cercando soprattutto di accertare nel passaggio dall’una all’altra domanda l’opinione più soggettivamente radicata negli intervistati. La prima domanda, infatti, nel chiedere quale strumento di comunicazione interna l’intervistato ritenesse “in generale” più efficace, sembrava volesse ottenere con quell’inciso una risposta oggettiva, in qualche misura indipendente dalla stretta opinione personale, per riferirsi piuttosto, anche se in modo implicito, ad una qualche communis opinio diffusa tra i manager; inoltre un piccolo esercizio di pazienza richiesto all’intervistato chiedeva di indicare il valore di ciascuno dei dodici strumenti, su cui veniva chiesto un parere, utilizzando un punteggio che andava da 1 a 12. La seconda domanda invece chiedeva innanzi tutto di collocarsi nella prospettiva del proprio ruolo (“dal punto di vista del suo ruolo”) e 382 in secondo luogo obbligava l’intervistato a praticare una sorta di “gioco della torre” chiedendo di indicare in ordine di precedenza solo quattro strumenti “da utilizzare con maggiore efficacia”. Come si può vedere dalle due tabelle allegate non emergono indicazioni contrastanti fra i risultati ottenuti; ma la seconda domanda non poteva che risultare più selettiva e, forse proprio per ciò, presentare risultati più coerenti. L’esame dei dati esposti nelle due tabelle consentirà alcune considerazioni che è il caso di rendere esplicite. Tab. 1 - Punteggi complessivamente attribuiti agli strumenti della comunicazione interna, numerosità delle risposte ottenute e valore medio del punteggio attribuito, riferiti a ciascuno degli strumenti sottoposti alla valutazione degli intervistati per quanto attiene alla loro efficacia. Strumenti Punteggio complessivo Numero Valore medio del delle risposte punteggio Relaz. capi collaboratori 1.099 107 10,3 Incontri con i capi 1.072 109 9,8 Modal. di lavoro collegiale 847 100 8,5 Convention 792 104 7,6 News letter 762 101 7,5 House organ 755 103 7,3 Sistemi telematici 621 101 6,1 Circolari 562 97 5,8 Bacheche 540 100 5,4 Terminali video 524 96 5,5 Giornale telefonico 314 89 3,5 90 40 2,3 Altro 383 Tab. 2 - Strumenti per comunicare con il personale da utilizzare con maggiore efficacia dal punto di vista del ruolo dell’intervistato. Punteggi complessivamente attribuiti, numerosità delle “preferenze” espresse e loro valore. Strumenti Punteggio complessivo “Preferenze” Valore medio del espresse punteggio Incontri con i capi 306 94 3,3 Relazione con i collaboratori diretti 284 93 3,1 Convention 132 60 2,2 House organ 120 54 2,2 News letter 93 39 2,4 Sistemi telematici 50 30 1,7 Circolari 47 26 1,8 Terminali video 32 18 1,8 Bacheche 15 10 1,5 Altro 8 4 2,0 Giornale telefonico 5 2 2,5 La prima considerazione è stata suggerita da un esame congiunto delle risposte offerte alle due domande. Le opinioni raccolte hanno fatto emergere in prima istanza tre modelli di comunicazione. Il primo, e più forte, è quello che tende a fondare la comunicazione sulle relazioni interpersonali e, fin dove è possibile, sul rapporto faccia a faccia: per questo modello gli strumenti più efficaci sono la relazione capi collaboratori, gli incontri con i capi, le modalità di lavoro collegiale e le convention aziendali. 384 Il secondo modello è quello che fa un forte affidamento sulla comunicazione scritta: news letter, house organ, le circolari e le bacheche. Il terzo modello è quello che fa un forte affidamento sull’uso dei supporti tecnologici: marginalmente il giornale telefonico, ma più in particolare i terminali video e soprattutto i sistemi telematici. Occorre sottolineare, peraltro, che si è in presenza di modelli non necessariamente, o quanto meno non sempre, alternativi, dato che, in base ad un esame più analitico dei risultati offerti dall’indagine, emergeva l’ipotesi che il modello supportato dalla scrittura fosse in buona misura alternativo a quello basato sulla tecnologia, mentre non sembrava esistere uno spazio per l’ipotesi che ciascuno degli ultimi due modelli fosse alternativo al primo, cioè a quello basato sulle relazioni interpersonali. Una seconda considerazione, che scaturisce dai risultati, è quella suggerita dall’emersione del modello nel quale la preferenza degli intervistati è (ma sembrerebbe necessario aggiungere anche) per la comunicazione supportata dalla tecnologia. Tale modello, minoritario peraltro nell’universo indagato, è risultato avere un peso significativo in particolare nel settore delle imprese bancarie. La cosa è comprensibile se si pensa sia al rapporto fra il numero di work station o di terminali più o meno intelligenti e il numero degli addetti, sia alla ormai lunga socializzazione all’uso di tali strumenti di lavoro (ma anche di comunicazione) propria del personale bancario. Se ci si fermasse qui non si andrebbe oltre la semplice constatazione. La considerazione che, sia pure indirettamente, è suggerita dai risultati dell’indagine riguarda l’opportunità di riflettere su quella che nella ricerca veniva definita “incipiente diffusione” e che dopo due anni può essere detta rapidamente crescente, se non massiccia, diffusione nelle aziende di Intranet, cioè di sistemi informativi aziendali a rete, riservati al personale o ai clienti dell’azienda e quindi in qualche misura chiusi, ma comunque basati sulla architettura di Internet. La logica delle reti, delle risorse di calcolo distribuite, della trasparenza (sia pure discriminata) dei depositi informativi, della facilità di accesso alle banche dati come alla potenza di calcolo disponibile, non potrà non avere conseguenze sulla comunicazione interna (via Intranet) e sulla comunicazione esterna (via In385 ternet). L’avvento dell’information society rappresenta indubbiamente una sfida e al tempo stesso un’opportunità anche per la comunicazione e per chi esercitando la leadership aziendale (o direttamente partecipando ad essa) deve avere (come ben sa peraltro la totalità di coloro che hanno risposto al questionario), la responsabilità di indirizzo strategico e/o la responsabilità operativa della comunicazione in azienda. Una ulteriore e più importante considerazione è suggerita con grande chiarezza dai risultati offerti dalle due tabelle sopra presentate. A ben guardare quando si parla di “Relazione capi-collaboratori”, “Incontri con i capi” e di “Modalità di lavoro collegiale” si parla sì di strumenti di comunicazione, ma si parla ancor più di stili di guida (e cioè di esercizio della leadership), di criteri di gestione, di modello di comportamento manageriale. Come annotava il Rapporto di ricerca “sia nella formulazione delle due domande, sia in coloro che hanno risposto ad esse sembrano presenti, con ogni probabilità in modo inconscio, due assiomi classici della comunicazione: ‘il mezzo è il messaggio’ (Marshall McLuhan) e ‘non si può non comunicare’ (la scuola di Palo Alto). Ambedue questi assiomi elaborati in due diversi ambiti di riflessione il primo sulle tecnologie di comunicazione, il secondo sugli effetti della comunicazione interpersonale - paiono confortare e supportare l’indicazione forte che emerge dalle risposte del questionario”. “La grande preminenza che viene assegnata dalla totalità degli intervistati ai tre strumenti citati in precedenza fa capire quanto sia importante per tutti l’effetto comunicativo dei comportamenti, in particolare dei comportamenti manageriali. Tali comportamenti sono un mezzo (nel senso proprio del linguaggio della comunicazione: medium) ed anzi sono ritenuti il mezzo più potente (più efficace per usare il termine del questionario) per la comunicazione aziendale”. Come è facile vedere, le risposte, esaminate sulla base delle due tabelle sopra illustrate e del peso che risulta essere assegnato a quelli che abbiamo complessivamente chiamato strumenti di comunicazione interpersonale, sono risposte impegnative e pongono, come si vedrà in seguito, questioni assai esigenti al top management. 386 4. LA COMUNICAZIONE AZIENDALE COME STRUMENTO DELLA LEADERSHIP La ricerca appena citata ha anche chiesto agli intervistati di valutare i motivi che ostacolano lo sviluppo di un efficace sistema di comunicazione aziendale e di indicare quali fossero i vantaggi di una buona comunicazione aziendale interna. Le risposte offerte alle due domande sono risultate centrali non solo nel contesto di tale ricerca, ma risultano anche centrali con riferimento al tema che la relazione si propone di affrontare in questa sede. Innanzi tutto occorre ricordare che le risposte su queste due questioni vanno viste assieme a quelle fornite e citate all’inizio su chi avesse la responsabilità dell’indirizzo strategico della comunicazione interna e inoltre tenendo conto di quelle fornite in risposta alle due domande (relative alla valutazione degli strumenti di comunicazione aziendale), cui in precedenza si è fatto riferimento. Orbene l’insieme delle risposte contribuisce a definire in modo ancora più preciso la convinzione largamente diffusa tra i manager intervistati circa la portata del problema in esame e circa la responsabilità di cui essi si sentono investiti. Sarà il caso di partire illustrando la tabella 3 che riassume le indicazioni emerse circa i motivi che ostacolano maggiormente lo sviluppo della comunicazione interna2. __________ 2. Per meglio leggere i risultati della tabella è il caso di ricordare al lettore che la domanda da cui la tabella 3 è generata proponeva di indicare in un ordine di valutazione da uno a cinque i motivi che, fra i dodici proposti, potevano essere ritenuti di maggior ostacolo per lo sviluppo della comunicazione interna. Con una semplice trasformazione dell’ordine di valutazione in punteggio si è ottenuta una graduatoria che esprime la distribuzione dell’opinione dei top manager intervistati sul tema che era stato sottoposto al loro esame e alla loro valutazione. 387 Tab. 3 - Punteggi complessivamente attribuiti ai motivi che ostacolano maggiormente lo sviluppo della comunicazione interna, numerosità delle risposte ottenute e valore medio del punteggio attribuito, riferiti a ciascuno dei motivi sottoposti alla valutazione degli intervistati. Motivi Punteggio complessivo Numero delle risposte Valore medio del punteggio Modalità di lavoro tradizionali/gerarc. 320 87 3,7 Cultura gerarc. dei capi intermedi 293 81 3,6 Indeterminatezza degli obiet. della comun. 208 61 3,4 Livelli organizzativi 178 58 3,1 Capacità di cogliere la domanda di inform. 167 59 2,8 Strutture funzionali 122 45 2,7 Criticità aziendali 100 37 2,7 Ristrutturazione aziendale 91 28 3,3 Costi di investimenti necessari 85 27 3,1 Difficoltà a valutare il ritorno degli invest. 67 25 2,7 Professionalità del respons. della comun. 64 20 3,2 Influenza dei mass-media sull’immag. dell’azienda 50 17 2,9 Le prime due colonne della tabella mettono in luce una fortissima coerenza fra il punteggio complessivo (si potrebbe dire peso e gravità dei motivi) e il numero delle risposte (potremmo dire diffusione delle opinioni). Nell’ordine delle due colonne esiste solo una piccola sfasatura - piccola nei valori assoluti che la determinano e piccola nella incoerenza che determina fra le due graduatorie - fra “i livelli organizzativi” che come motivo di ostacolo si collocano al quarto posto in termini di punteggio complessivo e al quinto in termini di opinioni espresse, rispetto alle difficoltà di “cogliere la domanda d’informazione” che propone un ordine inverso. 388 Si può agevolmente constatare come i motivi che ostacolano lo sviluppo della comunicazione interna che si situano nelle prime sei posizioni della graduatoria che la tabella espone fanno chiaro riferimento al cuore stesso della struttura aziendale (come i “Livelli organizzativi” o le “Strutture funzionali”) o, elemento ancora più duro da rimuovere, al cuore delle strutture culturali dell’impresa, quelle più difficili da individuare e ancor più difficili da “ristrutturare” (come, ad esempio, le “Modalità di lavoro tradizionali/gerarchiche” o la “Cultura gerarchica dei capi intermedi”) o comunque attengono alla competenza e alla sensibilità del top manager (come la “Indeterminatezza degli obiettivi della comunicazione” o la “Capacità di cogliere la domanda di informazione”). Se si pensa che, come ha dimostrato il Rapporto di ricerca, i questionari sono stati redatti per la stragrande maggioranza da top manager (mentre nei restanti casi sono comunque stati redatti dai responsabili delle funzioni aziendali maggiormente interessate al tema: personale, organizzazione, relazioni esterne o relazioni pubbliche), si può constatare quanto le risposte al questionario siano state oneste. Si sarebbe potuto, ad esempio, fare del responsabile della comunicazione il capro espiatorio delle difficoltà che la comunicazione interna incontra - come una delle opzioni presentate nella domanda agli intervistati consentiva -, ma non lo si è fatto. Forse - come notava il Rapporto di ricerca - è persino mortificante per chi fosse del mestiere costatare che “la professionalità del responsabile della comunicazione è all’undicesimo posto fra i motivi che sono di ostacolo alla comunicazione interna”. Colpisce il fatto che l’influenza dei mass media sull’immagine dell’azienda si colloca addirittura all’ultimo posto fra i motivi che ostacolano lo sviluppo della comunicazione interna; la valutazione potrebbe essere ambivalente nel senso che i mass media non frappongono ostacolo perché tutto sommato si muovono in modo favorevole al mondo dell’impresa oppure perché non si ritiene che abbiano un’influenza apprezzabile. Anche motivi quali le “Criticità aziendali” o le “Situazioni di ristrutturazione aziendale” - cioè due buone ragioni che avrebbero potuto essere scelte dall’intervistato, magari inconsapevolmente, per alleggerire in qualche misura il peso della responsabilità connessa al proprio ruolo - si collocano al settimo e all’ottavo posto, ricevendo un basso numero di indicazioni, le quali peraltro assegnano una discreta importanza a tali motivi 389 (e questa è la conferma che erano stati offerti due motivi legati in modo permanente alla vita delle imprese e che avrebbero potuto essere agevolmente utilizzati per sminuire le responsabilità dei top manager). La maggioranza dei top manager intervistati, invece, ha indicato, più frequentemente e assegnando valutazioni più elevate, proprio quei motivi su cui si esercita con maggiore difficoltà il proprio ruolo e che quindi chiamano in causa con maggior evidenza le loro responsabilità. Difficile infatti sostenere che non sia compito dei top manager modificare le “Modalità di lavoro tradizionali/gerarchiche”; in qualche misura far evolvere la (o incidere sulla) “Cultura gerarchica dei capi intermedi”; o intervenire sul disegno delle “Strutture funzionali”, come pure sulla numerosità e sull’estensione dei “Livelli gerarchici”; oppure che non tocchi loro darsi carico di risolvere la eventuale “Indeterminatezza degli obiettivi della comunicazione”. “Si ha l’impressione - come faceva notare De Rita nel Convegno in cui veniva presentata la ricerca - che il top manager veda la struttura aziendale come un ostacolo”, per cui egli proseguiva domandandosi: “la comunicazione vuole di più di quanto possa offrire la struttura organizzativa?”; e nel darsi una risposta egli avanzava l’ipotesi che “o la velocità o il volume delle aspettative genera una logica di comunicazione troppo forte rispetto alla lentezza di una trasformazione organizzativa, oppure chiaramente la dimensione organizzativa è oggi meno sviluppata e meno trasformata di quanto comunemente si dice nei convegni”. La questione resta aperta. E’ certo, però, che prima di procedere oltre merita di essere sottolineata questa rivendicazione in qualche misura orgogliosa delle responsabilità del top management da un lato e dall’altro, il riconoscere che le maggiori difficoltà per lo sviluppo della comunicazione vengono frapposte dalle strutture delle imprese in generale e sostanzialmente dalla capacità che il management ha di influenzare i disegni organizzativi, la cultura organizzativa e le dinamiche di cambiamento della propria impresa. Non che questo segni necessariamente una sorta di schizofrenia del management, quanto piuttosto la testimonianza esplicita di come anche i manager più convinti del proprio ruolo scontino le difficoltà connesse ai processi di cambiamento e quindi inevitabili; e, per altro verso, diano la misura di come la tensione 390 all’innovazione corra più avanti di quanto riesca a fare la risposta delle strutture organizzative, per quanto immaginabile come rapida; e come solo a fatica le strutture organizzative possano tenere dietro alle esigenze che i top manager interpretano, precorrendo l’orizzonte delle possibilità operative immediate. L’indagine cui in queste pagine facciamo più spesso riferimento per essere la più prossima in ordine temporale e la più coerente con il tema affrontato in questa parte del presente Rapporto, offre un ultimo gruppo di dati particolarmente significativi per completare le riflessioni che si vengono facendo in materia di comunicazioni e leadership d’impresa. Tab. 4 - Punteggi complessivamente attribuiti ai vantaggi che derivano da una buona comunicazione interna, numerosità delle risposte ottenute e valore medio del punteggio attribuito, riferiti a ciascuno dei vantaggi sottoposti alla valutazione degli intervistati. Vantaggi Punteggio complessivo Numero delle risposte Valore medio del punteggio Crescita della partecipazione e della collaborazione 679 102 6,7 Più puntuale comprensione dei valori e degli indirizzi dell’azienda 679 102 6,7 Rafforzamento dell’identità aziendale 524 96 5,5 Migliore qualità del clima aziendale 466 92 5,1 Contributo ad un più efficace funzionamento dell’organizzazione 463 93 5,0 Maggior disposizione ad assumersi responsabilità da parte dei singoli 428 89 4,8 Miglioramento della cultura aziendale dei dipendenti 294 78 3,8 Contemperamento delle tensioni sindacali 198 75 2,6 391 I dati e le riflessioni da essi suggerite consentono di chiudere il discorso fin qui fatto; anche se, come è ovvio, aprono a loro volta una seconda e più analitica fase di studio, di indagine e di ulteriore riflessione in modo da poter passare dalle considerazioni generali fin qui fatte, a più puntuali e articolate considerazioni. A parte la preliminare dicotomia fra grande e piccola azienda, cui si darà uno spazio di attenzione prima di concludere la presente parte del Rapporto, sarà importante fin da ora prepararsi a capire come le annotazioni, le riflessioni o le parziali conclusioni cui si è finora pervenuti si debbano specificare in ragione del mercato di riferimento delle imprese, delle tecnologie che ne caratterizzano l’attività, della specifica fase di cambiamento che stanno attraversando, del maggiore o minore grado di esposizione alla competizione internazionale, della maggiore o minore incidenza dei vincoli ambientali (fisici, normativi o culturali che essi siano), solo per ricordare alcune fra le possibili variabili che potrebbero contribuire a spiegare sia certe modalità di comportamenti comunicativi, sia le rispettive varianze. Stando però alle ricerche fin qui citate - una parte del comunque piccolo e recente universo delle ricerche fino ad oggi condotte in materia di comunicazione d’impresa - il tema che ci apprestiamo a trattare con l’ausilio di una tabella estratta dall’ultima indagine (ASCAI, ‘97) può consentire una prima chiusura del discorso. La tabella numero 4 ci illustra i vantaggi che, a giudizio di un gruppo di top manager intervistati, possono derivare da una buona comunicazione interna3. L’esame delle risposte alla domanda che genera la tabella che stiamo osservando ci dice che tali risposte hanno una loro plausibilità confermata anche dalla elevata coerenza dei risultati osservabili una volta che i vantaggi siano pesati in termini di punteggio complessivo e i pesi vengano confrontati con la numerosità delle opinioni espresse in merito ai diversi items; anche in questo caso il disallineamento fra il punteggio complessivo e numerosità delle risposte quando si confronta il quarto vantaggio dato dalla domanda rispetto al quinto è di scarso rilievo per l’esiguità dei valori in gioco; più che di un disallineamento si potrebbe pacificamente parlare di pratica parità. ________ 3. Anche in questo caso come in quello della tabella precedente si è operata una trasformazione in punteggio dell’ordine di importanza degli otto tipi di vantaggi dei quali si era chiesta l’opinione e la valutazione degli intervistati. 392 Al di là delle constatazioni circa l’importanza attribuita dagli intervistati ai vari vantaggi è forse il caso di guardare il problema che la tabella evoca in modo veramente sconcertante, data la chiarezza con cui viene posto. Se si guardano bene i vari vantaggi che sono stati valutati dagli intervistati si può osservare come invece che chiamarli vantaggi si potrebbe con tutta tranquillità chiamarli “fattori produttivi”. La cosa sembra particolarmente evidente a chi sta esprimendo questa opinione, ma va forse meglio chiarita operando una rapida e solo apparente digressione. Un’azienda, manifatturiera o di servizi non importa, può essere concepita come un’istituzione economica che mediante un processo produttivo trasforma una serie di input in una serie di output dotata di un valore di mercato superiore a quello degli input. La proposizione ha volutamente una forma astratta e generale e può essere espressa anche facendo ricorso alla funzione della produzione, cioè a quella espressione matematica che in estrema sintesi ci dice che la produzione è funzione delle dosi di lavoro e di capitale impiegati; solo che accanto alle dosi di lavoro e di capitale compare una epsilon (il cosiddetto fattore residuo) che spiega la totalità della produzione, dato che il lavoro e il capitale da soli ne spiegano solo una parte. Sul finire degli anni ’50 si è utilizzata la funzione della produzione traendola fuori dall’ambiente microeconomico nel quale era nata per applicarla a valutare la prestazione macroeconomica delle economie nazionali. In questi casi la produzione era rappresentata dal prodotto nazionale lordo e la funzione della produzione cercava di stabilire in che misura la quantità di lavoro complessivo, che una certa economia aveva impiegato nella produzione, e la quantità di capitale, che complessivamente anch’essa era entrata nel processo di produzione del reddito, spiegavano il risultato finale, cioè appunto il prodotto interno lordo. Anche in questo caso per spiegare un risultato che era maggiore di quello atteso a partire dalle quantità di capitale e di lavoro entrate nel complessivo processo di produzione, era necessario introdurre una epsilon: il simbolo del cosiddetto fattore della produzione residuo. Tale fattore aveva il pregio di far quadrare in termini matematici il calcolo della funzione, ma aveva anche lo svantaggio di non spiegare quali erano le componenti che aveva393 no la capacità di contribuire alla generazione di un risultato che era solo in parte spiegato dal capitale e dal lavoro. L’interesse e le motivazioni dei ricercatori di volta in volta assegnavano un peso rilevante, che si cercava fra l’altro in quegli anni di misurare, all’istruzione, alla ricerca scientifica, agli assetti istituzionali, in generale ai fattori di macro-organizzazione sociale compresi i servizi offerti e prodotti dalle istituzioni pubbliche. Non è qui il caso di cacciarsi in questo genere di questioni che fra l’altro hanno smesso di interessare gli studiosi di economia, ma l’evocazione di questo tema pare particolarmente significativa. Riassumendo: sia che si formuli in modo molto generale la proposizione sopra richiamata, cioè che l’azienda tramite il processo produttivo genera degli output che hanno valore superiore agli input immessi in tale processo, sia che si dica che la funzione di produzione non è completamente spiegata dal lavoro e dal capitale introdotti nel calcolo se non si aggiunge un ulteriore fattore, detto residuale appunto perché spiega la differenza residua fra il risultato ottenuto e quello che ci si aspetterebbe di trovare qualora i fattori della produzione fossero solo capitale e lavoro, è possibile affermare che alcuni ingredienti del processo produttivo si acquistano ed altri no. Si acquistano le materie prime, le tecnologie, mediante la promessa della remunerazione futura si acquistano i capitali, le conoscenze, le informazioni (come diceva un pescecane impersonato da Michael Douglas in un film americano: “le informazioni sono l’unica commodity che io compro”) e molte altre cose ancora. Ci sono poi cose che entrano nel processo produttivo e non si acquistano, ma vengono prodotte dall’imprenditore (l’idea produttiva, cioè il fattore strategico decisivo) e dal management mediante le buone regole della gestione: e qui si va dall’organizzazione del processo produttivo (e dalla sua continua implementazione, verifica, monitoraggio, innovazione, ecc.) alla motivazione e alla cultura dei propri collaboratori (quelli che sul piano dell’input chiamiamo forze lavoro e che, in termini puramente contrattuali, sono tenuti a dare la disponibilità delle proprie capacità per un numero determinato di ore). Le motivazioni (la disponibilità, l’atteggiamento partecipe, la condivisione degli obiettivi, la lealtà verso l’azienda, il senso di identità 394 con la propria azienda) dei collaboratori entrano nel processo produttivo, ma non vengono offerti né dal mercato, né dalle banche, né dagli azionisti. Devono essere prodotte dal management; come pure deve essere prodotto dal management il clima aziendale, uno di quei fattori della produzione dei quali si scopre l’esistenza solo quando vengono a mancare e che non si possono comperare né sul mercato, né farsene finanziare l’acquisto dalle banche, né ottenere dagli azionisti. Come concludeva la relazione della ricerca ASCAI: “La presente relazione non può non constatare come gli intervistati abbiano espresso in modo molto esplicito una consapevolezza diffusa del proprio ruolo in genere e della propria responsabilità come produttori di risorse insostituibili e preziose per il successo della propria azienda. Si potrebbe obiettare che è difficile pensare che un buon armamentario della comunicazione interna, usato con intelligenza e professionalità abbia tanti e decisivi pregi”. L’obiezione non va trascurata ed ha un suo fondamento, quanto meno induce ad un maggior senso di realtà e alla prudenza, ma di sicuro può essere superata quando ci si ricolleghi alle conclusioni cui si è pervenuti riflettendo sulle risposte che i top manager hanno dato circa l’uso degli strumenti della comunicazione. “In realtà, come si è potuto vedere, gli strumenti più importanti di comunicazione si identificano e al tempo stesso sono il frutto di criteri di gestione, di modelli di comportamento, in una parola di stili di leadership che caratterizzano un esercizio alto del compito manageriale”. Il top management rappresenta inevitabilmente un punto di riferimento decisivo per la vita dell’azienda e, in modi più o meno diretti, su di lui convergono i sistemi di responsabilità che caratterizzano un’organizzazione produttiva; senza dubbio ottimizza l’uso delle risorse, e in particolare quelle più preziose; è un decisore che riduce l’incertezza per i suoi collaboratori; è uno stratega ed altro ancora. Non riuscirà, però, a condurre l’azienda verso nessun traguardo se non sarà capace di comunicare gli obiettivi prescelti, di renderli credibili, di ottenere l’adesione dei propri collaboratori sulle prospettive che ad essi propone e sui significati di quel lavoro che ad essi chiede. Si può allora concludere (con ASCAI, 1997) che “La responsabilità e la forza del top manager si misurano non solo, ma certo inevitabilmente, anche sul terreno della sua capacità di comunicare”. 395 5. LA LEADERSHIP DELLA COMUNICAZIONE D’IMPRESA IN DUE AREE FIN QUI TRASCURATE Nell’illustrare il tema oggetto di questa parte del primo Rapporto sulla comunicazione d’impresa in Italia, si è proceduto facendo ricorso, in modo quasi inevitabile, ai non molti lavori di ricerca disponibili; si è voluto infatti limitare il pericolo o magari la tentazione di sovrapporre i personali punti di vista, gli schemi intellettuali soggettivi sia su una realtà come quella della comunicazione d’impresa che vive una forte dinamica evolutiva, sia su assetti organizzativi preposti alla comunicazione d’impresa, variegati e con ogni probabilità destinati a rimanere tali; così come è ed è destinata a rimanere evolutivamente dinamica e variegata la vita delle imprese al cui interno i suddetti assetti sono destinati a vivere e ad operare. Esplicitare l’obiettivo di voler evitare il pericolo di una soggettiva lettura della realtà vuol dire anche, al tempo stesso, rendere esplicita l’inevitabilità di una mediazione soggettiva nella descrizione della realtà e nella presentazione delle riflessioni che ne conseguono. Esiste però un’altra distorsione della realtà che non dipende dalla soggettività di chi, pur dopo letture e dibattiti, in ultima istanza redige o contribuisce a scrivere una relazione o una sua parte. Si vuole alludere alla distorsione che deriva dal costatare che i materiali conoscitivi disponibili - per definizione i più diffusi, i più elaborati ed i più affidabili - non sempre coprono adeguatamente tutta la realtà. Allora il discorso non può fermarsi sul confine delle nostre cono396 scenze meno precarie: non sarebbe del tutto corretto segnalare un metaforico hic sunt leones ed arrestarsi sul limitare di tale confine. Il modo di procedere dovrà essere molto più cauto; per uscire dalla metafora non si potrà essere né tanto né poco assertivi o prescrittivi; e anche nel formulare ipotesi occorrerà essere assai modesti e pronti a segnalare la loro gracilità. Certamente, però, soprattutto se ci si mette nell’ottica di un lavoro in progress - cioè di un primo Rapporto, quasi un numero zero, cui ne succederanno degli altri - non si potrà non indicare alcune delle aree desertiche e meno esplorate, per segnalare al tempo stesso campi di possibile e forse doverosa (il forse attenua la pretesa prescrittiva) esplorazione. Sembra infatti opportuno completare o arricchire le comuni conoscenze su aree di cui si percepisce sia l’esistenza, sia la rilevanza, ma di cui si ignorano dati di fatto, modalità operative, patrimoni di conoscenze, probabili saperi professionali e soprattutto protagonisti. In definitiva non ci si potrà esimere dal segnalare una lacuna da colmare e domandarsi “chi e come esercita la leadership” in alcune realtà meno note o cui si è dedicata minor attenzione. Si intende cominciare segnalando due aree poco esplorate, ma anche di enorme rilievo: la piccola impresa e il sistema delle imprese come soggetto collettivo. 5.1 Leadership e comunicazione aziendale nelle imprese piccole e medio piccole La parte introduttiva del Rapporto di ricerca su “Leadership e comunicazione d’impresa” chiudeva con la seguente considerazione: “In Italia le vere differenze nella cultura manageriale andrebbero indagate lungo la variabile piccola/grande impresa. Laddove la dimensione oltre che fatto oggettivo diventa anche fatto esplicativo consentendo quella differenziazione dei compiti e delle responsabilità gestionali, su cui può costruirsi un articolato sistema manageriale con le sue elaborazioni professionali e più in generale culturali che ne conseguono”. Come emerge dalla parte dedicata ad una presentazione delle ricerche empiriche svolte ad illustrare il tema della comunicazione d’im397 presa, proprio in questi ultimi anni si è cominciato ad indagare il fenomeno, ma fra i temi che le prime ricerche non hanno indagato vi è quello relativo a chi competa la comunicazione nella piccola impresa. Si è avuto modo di citare la prima e parziale risposta alla questione offerta da una recente indagine (Nelli, 1998a) sul ruolo della comunicazione nell’evoluzione della piccola e media impresa veneta. La dimensione media delle imprese oggetto dell’indagine (50 miliardi di fatturato e 100 addetti), però, “taglia” troppo in alto l’universo e perciò induce a non estendere senza precauzioni, i pur significativi risultati dell’indagine e la ricchezza delle suggestioni offerte ad un mondo di imprese che, per restare a quello veneto, è caratterizzato (nel settore manufatturiero) da circa 10 addetti per impresa (9,76). E’ in questo senso che si può parlare, senza sminuire il valore del lavoro, di parziale risposta. E’ pertanto lecito soffermarsi sulla questione di chi, nella piccola impresa, abbia la prerogativa di comunicare. La questione può apparire ingenua e può quindi trovare una risposta apparentemente agevole. Nella piccola impresa la comunicazione, soprattutto se si pone l’accento sulla comunicazione interna - e a maggior ragione nella sua accezione assai diffusa di comunicazione organizzativa - è certamente in mano all’imprenditore. La piccola dimensione che inevitabilmente impone rapporti interpersonali frequenti, per non dire costanti, rende al tempo stesso pervasiva ed informale - e con ogni probabilità proprio perciò assai efficace la comunicazione interna: persino al di là della consapevolezza che l’imprenditore possa avere di questa sua funzione. In casi come questi risulta inevitabile evocare l’immortale battuta che Moliere mette in bocca al borghese gentiluomo il quale esprimeva la propria compiaciuta meraviglia nello scoprire che parlava in prosa senza saperlo. In effetti è del tutto plausibile parlare del ruolo, implicito e magari talvolta inconsapevole, di comunicatore che (fra gli altri ruoli) compete al titolare di una piccola impresa. Come infatti è stato di recente sostenuto (Nelli, 1998b), in riferimento alle piccole e medie imprese, è opportuno distinguere dall’ambito della comunicazione commerciale “quello della comunicazione implicitamente, e spesso inconsapevolmente, posta in essere attraverso l’ordi398 nario agire dell’impresa. Le forme e le modalità della comunicazione implicita sono molteplici: i comportamenti quotidiani (le attività normalmente poste in essere), le relazioni intrattenute con i fornitori oltre che con i clienti (forme di cooperazione e di relazione all’interno della filiera produttiva), le qualità dei processi e dei prodotti, la valorizzazione dei prodotti con un articolato insieme di servizi, la capacità di innovazione, la coesione e la motivazione del personale”. Resta in ogni caso interessante domandarsi se esiste una qualche correlazione significativa fra successo della piccola impresa e doti di comunicatore possedute dal suo titolare: implicite o esplicite, naturali o acquisite che tali doti risultino. O ci si può all’opposto domandare, data l’enorme base di reclutamento a partire dalla quale risultano selezionate imprese e imprenditori di successo - dalla più grande alla più piccola, dalle imprese agricole a quelle manifatturiere o di servizi sono poco meno di 5.000.000 le imprese italiane attive - se il successo delle imprese non sia il risultato di fattori casuali variamente interagenti, tanto che risulti impossibile trovare quale di essi abbia una qualche capacità predittiva del successo nel caso della sua presenza (o di insuccesso, nel caso opposto). Senza, però, ricorrere necessariamente a queste ipotesi “scolastiche”, resta il fatto che la risposta risulta senza dubbio meno agevole se la domanda sulla coincidenza nella piccola impresa di leadership e comunicazione aziendale fa riferimento anche alla componente esterna e istituzionale della comunicazione. In questo secondo caso, soprattutto se si fa riferimento agli insiemi di piccole e medie imprese che compongono i distretti industriali italiani o i sistemi territoriali di imprese o (per usare il termine più direttamente carico di significati socio-culturali che usa il Censis) i localismi; se, cioè, si fa riferimento alla parte più significativa dell’universo costituito dalle piccole e medie imprese, per non dire alla parte più peculiare e al tempo stesso più vitale dell’economia italiana e del suo assetto imprenditoriale, la domanda non risulta più ingenua e la risposta si fa quantomeno problematica. Il successo dei distretti industriali o dei sistemi territoriali d’impresa o dei localismi - come li si voglia chiamare - è indubbio, nonostante 399 che la traiettoria di questo successo abbia conosciuto e conosca pause o momenti di crisi e nonostante che queste realtà abbiano conosciuto e continuino a conoscere fasi di evoluzione che non avevano, come non hanno, un destino deterministicamente segnato e ricco di soddisfazioni. Anche se si può affermare che finora la capacità di adattamento basato su risposte mediamente efficaci agli stimoli e alle sfide proposte dall’ambiente esterno è stata efficace e vincente, il successo non può essere il risultato della natura, quasi parlassimo di un organismo biologico o di qualità innate, in qualche modo iscritte nel codice genetico delle realtà territoriali ed economiche cui si sta facendo riferimento. Gli insiemi di piccole e medie imprese di cui si sta parlando ci mettono di fronte, a partire dall’oggettivo successo da queste registrato, alla questione di dove sia dislocata veramente la leadership e di quali siano le modalità e gli strumenti utilizzati per le attività di comunicazione. Per chiarire ulteriormente i termini della questione si può affermare che quando si è in presenza del successo di un’impresa, o di una rete di imprese o di un sistema territoriale di imprese per quanto gli elementi casuali possano aver concorso a tale risultato, si è sempre in presenza di un esercizio della leadership e, come si è visto all’inizio, la comunicazione - quanto meno le politiche e le strategie di comunicazione - sono una tipica prerogativa della leadership. Tutto ciò chiarito e premesso, la questione non è banale e può articolarsi in modo meno ingenuo di quanto si sia fatto sopra. Allora, ferma la legittimità della domanda “a chi compete la comunicazione nella piccola impresa”, se la domanda si allarga e diventa “a chi compete la comunicazione nei sistemi territoriali di piccola impresa” si può cominciare a riflettere se nel caso si possa continuare ad ipotizzare un Rapporto assai stringente fra i termini della sequenza: successo-leadershipcomunicazione. E subito dopo domandarsi a chi appartenga il successo, chi eserciti la leadership e chi, come conseguenza, definisca obiettivi, contenuti e modalità della comunicazione. Qualora il Rapporto venga giudicato stringente la risposta può essere data (non che sia necessario) a partire dall’ultimo termine della sequenza: il soggetto individuale o collettivo che guida i processi della comunicazione di fatto esercita la leadership e a lui può essere attribuito (in misura da definirsi) il successo. 400 In assenza di indagini empiriche mirate si rischia di fare considerazioni astratte e alla fine oziose. Non mancano però indizi in grado di suggerire, se non qualche risposta, almeno qualche ragionamento ipotetico e non del tutto infondato. Se infatti ci si colloca nella prospettiva indicata, allargando il discorso dalla comunicazione aziendale in senso stretto ai processi di relazione (e quindi per definizione comunicativi) che intercorrono fra le imprese in generale, ma in modo del tutto peculiare ai processi reticolati di relazione che legano le imprese dei diversi sistemi imprenditoriali locali, sarà possibile cogliere più di un indizio e formulare qualche ipotesi significativa. Rapidi ed estremamente sintetici accenni al lavoro di ricerca condotto sui distretti italiani ci danno le conferme che stiamo cercando. Non appena si è venuto approfondendo lo studio e la riflessione sui sistemi locali di piccole e medie imprese, gli studiosi, non solo italiani, hanno richiamato la prima concettualizzazione di Marshall (1920) sui distretti, sottolineando come egli, nel mettere in luce i fattori agglomerativi che potevano spiegare il fenomeno, fosse interessato ai fattori informativi legati alla spontanea circolazione dell’innovazione e delle conoscenze produttive. Più di recente, con opportuni approfondimenti (Brusco, Paba, 1991), è stato richiamato il modello di Hirshman (1958) che, anziché legare i processi di sviluppo alla concezione neoclassica circa il ruolo della scarsità di capitale e della abbondanza di lavoro li legava alla esistenza di fattori di connessione (linkages). Tra i vari fattori di connessione individuati da Hirshman è apparso chiaro, e dotato di notevole valore esplicativo, il ruolo svolto dalle connessioni di produzione che intercorrono tra imprese che forniscono input al processo produttivo di altre imprese o, che è la stessa cosa, fra imprese che utilizzano output di altre imprese per il proprio processo produttivo. Nel bisogno di “provare” la solidità concettuale del proprio lavoro nel pensiero dei “classici” si è trovato - per tradurre le cose nei termini della presente relazione - che fattori informativi (Marshall) e fattori di connessione (Hirshman) - che è come dire: modalità di comunicazione fra imprese, formalizzate o implicite, mediate in modo consapevole da 401 agenti ed istituzioni o mediate in altri modi dalle reti di relazioni locali (vale a dire anche dalle caratteristiche del tessuto sociale) - hanno giocato un ruolo non secondario nei processi di sviluppo in genere e in quelli dei sistemi locali di impresa in modo del tutto particolare. Non farà meraviglia, allora, trovare che uno fra i primi a concettualizzare il modello dell’impresa-rete abbia sostenuto (Dioguardi, 1986) che, quantomeno nel caso dei sistemi locali di impresa, l’interazione fra le imprese del distretto riveste un’importanza maggiore di quella che viene spontaneo attribuire all’organizzazione interna delle imprese stesse. Lungo questa linea la riflessione sui distretti industriali ha ormai acquisito la convinzione che la sopravvivenza dei sistemi di impresa, il loro adattamento alle sempre nuove sfide che provengono dall’ambiente esterno e il loro sviluppo sono sempre più strettamente legati alla capacità di captare l’innovazione e di implementarla a propria volta; sono legati, inoltre, alla connessa capacità di apprendere nuove competenze, nuovi processi produttivi, ridefinendo e ricombinando le vecchie competenze. Sono queste attitudini che consentono alle imprese di cogliere sempre nuove opportunità o di generare nuovi modi per trarre maggior profitto dalle opportunità già disponibili. Come è stato scritto ultimamente (Lipparini, Lorenzoni, 1996) proprio mettendo al centro dell’analisi uno dei tipici risultati dei processi di apprendimento, formali o informali che siano: “l’apprendimento non si sviluppa soltanto tramite una logica di learning by doing, di apprendimento contestuale: la riorganizzazione in chiave reticolare e la multipolarità del processo innovativo interagendo (learning by interacting), utilizzando le proprie abilità relazionali per diventare più veloci, efficienti ed in grado di differenziarsi rispetto ai concorrenti”. Contemporaneamente a questo genere di acquisizione, è stato messo in luce (Esposito, Lanzara, 1996) che, affinché possa affermarsi un processo intensivo di apprendimento o perché si possano articolare reti imprenditoriali con forti attitudini all’apprendimento “è necessario che tra le organizzazioni che addivengono allo scambio di conoscenza (il più delle volte tacita e con forte carattere di criticità e riservatezza per i singoli processi aziendali) vi sia un forte clima di fiducia e di lealtà e quindi una attitudine ad instaurare rapporti cooperativi”. 402 Come risulterà chiaro si sta parlando di comunicazione di impresa e fra imprese anche se non ci si addentra nel tema del rapporto fra comunicazione e leadership. Rispetto alle cose fin qui dette la ricerca ha portato anche delle prove a contrario soprattutto quando ha affrontato la questione di come mai il Meridione non abbia conosciuto - al di là di qualche esempio, che pure esiste - la ricchezza dello sviluppo che l’Italia centro-nord orientale ha conosciuto attraverso lo strumento dei distretti. Secondo Bruni e Mazzola (1997) “la debolezza della struttura produttiva dell’area meridionale è legata alla carenza di stabili relazioni fra le imprese, quali quelle offerte, ad esempio, dai rapporti di subfornitura. Non a caso la letteratura ha richiamato più volte questo aspetto ricordando come il successo del modello delle regioni del nord-est e centro Italia si basi sulle sinergie e sulle connessioni produttive che si sono stabilite fra le aziende”. E proprio questa premessa che fa trarre agli autori una significativa conclusione come risultato della loro osservazione: “La povertà di iniziative imprenditoriali nelle aree arretrate spinge piuttosto le poche aziende esistenti a seguire uno sviluppo integrato e a concentrare le diverse fasi della produzione all’interno della singola azienda”. Che è in buona sostanza la conclusione cui erano pervenuti nell’anno precedente Ciaccio e Chiri (1997) nello studiare un gruppo di imprese manifatturiere di successo della Sicilia. In ambedue i casi i due studiosi sopra citati avevano constatato che in ragione proprio del modesto tessuto di relazioni che le aziende analizzate intrattenevano con l’ambiente esterno in genere, compreso quello economico produttivo, si finiva per trovarsi di fronte ad una situazione in cui non si innescava alcun processo di diffusione dei modelli imprenditoriali anche quando questi erano modelli di successo. Come è facile vedere sia con gli esempi in positivo sia con quelli in negativo emerge con chiarezza il ruolo che la comunicazione d’impresa ha nel favorire il successo dei sistemi di piccola e media impresa. Resta peraltro sospesa la questione di chi sia il titolare della leadership in queste situazioni, cioè quali siano i soggetti e quali le loro effettive modalità d’azione; in definitiva di chi sia la leadership dei processi di comunicazione. 403 Di recente uno studio sulle strategie di internazionalizzazione dei sistemi di piccole e medie imprese, affrontando per altre ragioni e quindi indirettamente il tema della leadership di tali sistemi, affermava, nel procedere alle conclusioni: “la tesi forte che sosteniamo è quella secondo la quale l’evoluzione di un intero sistema locale è determinato da un gruppo più o meno grande di imprese eccellenti (riconosciute in qualche modo come campione di riferimento)”. (Balloni, Cucculelli, 1998). La tesi forte appena citata indica i soggetti che detengono la leadership ed è una buona ipotesi nella prospettiva del presente testo, ma ci si può domandare se tale ipotesi sia vera in assoluto o se sia vera solo nella fase attuale di evoluzione di alcuni sistemi d’impresa. Se però si riflette sull’arco complessivo di tempo che va dal momento in cui si comincia a percepire (primi anni ‘60) e poi a studiare (seconda metà degli anni ‘60) il fenomeno dei distretti industriali, alla fase attuale, in cui tale realtà è sempre meglio studiata, conosciuta e letteralmente monitorata, diventa spontaneo porsi domande su chi inizialmente abbia svolto una funzione di leadership, sul come siano emerse le varie forme di leadership (perché è certo che non c’è stato un solo modello), sul come sia stata esercitata la leadership in particolare sul piano della comunicazione d’impresa. Le risposte a domande quali quelle esemplificate sono tutte da costruire, ma almeno una ipotesi in molti casi dovrà essere vagliata. Quella cioè relativa al ruolo che i soggetti collettivi o istituzionali - e quindi non strettamente imprenditoriali e proprietari - hanno svolto. E’ assai probabile che un forte ruolo iniziale, soprattutto di tipo comunicativo (e quindi sempre legato alla capacità e al ruolo di leadership) sia stato svolto, spesso certo non sempre (basti pensare al caso di Carpi) da figure particolarmente illuminate e innovative operanti nelle associazioni imprenditoriali, nelle associazioni di categoria, nelle Camere di commercio, negli Enti locali. Questa ipotesi si basa più ancora che su qualche esperienza diretta, sul ruolo svolto dagli studi e dalle ricerche relativi ai sistemi locali d’impresa: studi che hanno avuto proprio il genere di committenti sopra evocato. L’innovazione più decisiva, sul piano della comunicazione, è stata quella iniziale che ha consentito i primi studi e le prime ricerche; poi sulla strada aperta da questa prima innovazione si è assistito ad un fiori404 re di ricerche, saggi e in generale pubblicistica di ottimo livello scientifico teorico che fa onore a larghe frange della cultura sociale ed economica dell’Università italiana. Ebbene si può formulare l’ipotesi che tale innovazione sul piano della comunicazione sia stata decisiva in più di un caso, perché proprio gli studi e le ricerche hanno contribuito a dare una nuova definizione della realtà economica e sociale. Studi e ricerche non hanno cambiato la realtà, ma hanno ridefinito il modo di leggerla, e avendo dato nuova identità ai soggetti economici che in essa freneticamente operavano, non solo hanno assegnato un significato meta-aziendale ai soggetti imprenditoriali, hanno anche conferito un ruolo e una dimensione visibile da protagonisti a una miriade di individui dotati di enorme vitalità economica, ma privi di sufficiente apprezzamento sociale e di riconoscimento pubblico. Si può ritenere che questa grande operazione di comunicazione non solo sia il risultato dell’esercizio effettivo della capacità di leadership, ma abbia anche contribuito - si badi bene contribuito - ad assicurare una modificazione dell’ambiente sociale, culturale e politico che ha giocato in senso favorevole al successo economico. Senza dubbio c’è molto da lavorare nell’area appena indicata, senza doversi arrestare all’avvertimento: hic sunt leones. 5.2 La comunicazione del sistema imprenditoriale come soggetto collettivo Proprio le considerazioni sviluppate con riferimento alla piccola impresa e in particolare ai sistemi territoriali di piccola e media impresa (che tanta importanza rivestono per l’economia e per lo stesso assetto sociale del Paese), aiutano ad introdurre il discorso sulla seconda area di comunicazione di impresa, tanto rilevante quanto poco esplorata sul piano della ricerca empirica: l’area della comunicazione messa in essere dal sistema imprenditoriale visto come un grande soggetto collettivo, o almeno come un insieme di grandi soggetti collettivi. Nel caso della piccola e media impresa, si può avere un’impressione, certamente sbagliata, di afonia e il vero problema, come si è visto, è 405 capire chi e come comunica, per lo meno quando la comunicazione circola nel sistema reticolare delle imprese o quando è rivolta all’ambiente sociale, culturale, economico e politico circostante e chi verso tale ambiente - decisivo per l’affermazione della piccola e media impresa - assume il ruolo di leader. Nel caso invece della impresa come soggetto collettivo dalle dimensioni e dalla rilevanza nazionali, si ha l’impressione opposta di un soggetto che comunica molto spesso, di frequente in modo stentoreo e con una pluralità di voci e di accenti. Apparentemente, in questo secondo caso, risulta con chiarezza chi sta comunicando e che cosa sta comunicando; e resta però l’incertezza se si sia in presenza di un vero esercizio della prerogativa di comunicare, propria di chi ha la leadership. Sta di fatto, in ogni caso, che manca una riflessione sui processi di comunicazione messi in essere in nome e per conto dei grandi soggetti collettivi: le grandi confederazioni, le associazioni delle grandi categorie produttive. Quando si dice che manca una riflessione si vuol dire che manca una rilevazione sistematica dei processi, dei contenuti, degli obiettivi, degli strumenti e dei soggetti; sicché si può procedere solo per impressioni ed ipotesi. Per evitare che il presente paragrafo sottolineando la mancanza delle analisi che impediscono la costruzione di un discorso a tutto tondo sulla comunicazione d’impresa - a tutto tondo, tale cioè che veda sia le singole imprese, sia il sistema nazionale delle imprese - assuma il tono di un lamento, peraltro rivolto a destinatari imprecisati, si cercherà di procedere come nel paragrafo precedente lungo la formulazione di prime, prudenti ipotesi interpretative. La prima da prendere in considerazione può essere formulata nei seguenti termini: nella misura in cui i processi di comunicazione, che attraverso i grandi soggetti collettivi emanano dal mondo dell’impresa, sono del tutto evidenti, notevolmente numerosi e talvolta addirittura massicci, c’è da domandarsi se la questione di chi abbia la leadership e quindi eserciti la prerogativa di definire le politiche e le strategie della comunicazione, non debba essere risolta spostando l’attenzione non tanto su “chi si prende la parola”, ma su chi risulta essere in grado di 406 determinare l’agenda dei temi in discussione, dei temi cioè su cui poi si articola in concreto la comunicazione. Qualora si accetti di percorrere questa ipotesi, si vede come ne derivino due significative conseguenze. Da un lato lo studio dei temi su cui si sviluppano i processi di comunicazione diventa un momento conseguente e successivo che serve soprattutto per capire quale cultura esprimano i grandi soggetti collettivi e come (e se) tale cultura interpreta, e in modo efficace, gli interessi del mondo produttivo; piuttosto che per capire chi è che sta esercitando la leadership. Dall’altro lato si percepisce subito che la leadership è più articolata e che, come in parte si è potuto vedere nel caso della piccola e media impresa, in qualche misura, di sicuro non marginale, fuoriesce dalle imprese. Se infatti, si accetta l’ipotesi che - quanto meno a livello dell’ambiente esterno delle imprese - la leadership emerge nella misura in cui si è in grado di determinare l’agenda dei temi della comunicazione, si vedrà subito che tale agenda è determinata dal complesso gioco relazionale che si svolge fra soggetti istituzionali - non solo nazionali - e soggetti che agiscono come esponenti del mondo delle imprese, quale che sia il modo in cui è definita la loro rappresentatività. Più in particolare si potrà costatare che l’agenda è determinata da soggetti e da fatti istituzionali, oltre che da soggetti espressi dal mondo dell’impresa. Nel procedere occorrerà tener presente che l’interazione fra i soggetti e i fatti citati è di tipo circolare e che quindi più che dell’ordine con cui se ne parlerà (in qualche misura soggettivo e casuale) sarà significativo, anche se incompleto, l’elenco che ne scaturirà. Si può cominciare in ogni caso ricordando che, fermo restando l’oggetto e cioè la comunicazione d’impresa e i suoi contenuti, le forze politiche sono fra i soggetti che riescono a dare un contributo non trascurabile alla definizione dell’agenda: più in particolare occorre tener conto delle complesse relazioni che intercorrono fra Governo, partiti politici di maggioranza o di opposizione, gruppi parlamentari. Quanto ai fatti istituzionali basterà citarne due: le competizioni elettorali e gli accordi internazionali, con particolare riferimento in questi nostri anni ai processi di costruzione europea e in particolare agli accordi che hanno portato alla costruzione della moneta unica. Parlare di fatti istituzio407 nali è una notevole semplificazione del discorso perché a tutti è evidente che si tratta di fatti messi in essere e prima ancora inseriti in agenda (per stare all’espressione scelta) da statisti e da forze politiche: questo per chiarire, ancora più marcatamente, che stiamo parlando di fatti che hanno una chiara origine soggettiva, anche se i soggetti hanno rilevanza e spesso natura collettiva, non stiamo invece parlando di terremoti o di maree, cioè di fatti oggettivamente indiscutibili e non influenzati né determinati dall’uomo e dalle sue organizzazioni. E’ infine pacifico che alla definizione dell’agenda concorrano le grandi organizzazioni economiche: dalle grandi imprese - spesso capaci di comunicare in proprio anche a livello dei processi comunicativi qui evocati - alle grandi confederazioni d’impresa o alle grandi organizzazioni professionali o di categoria. Sarebbe infine un errore dimenticare le grandi associazioni o addirittura i movimenti che mutuano la loro forza dai grandi mutamenti culturali delle moderne società e dalla capacità con la quale se ne fanno portatori, anche al di là dei meccanismi collaudati e tradizionali di rappresentanza. Basterà, anche qui a titolo di esempio, ricordare le associazioni e i movimenti ambientalisti o le associazioni e i movimenti femministi. Forse inutile ricordare l’impatto della cultura ambientalista sui problemi dell’economia e delle imprese in particolare, mentre sono certamente da sottolineare i problemi destinati a crescere, che la nuova cultura sul ruolo sociale della donna finirà col porre al mondo dell’impresa e della produzione; a tal proposito il tema delle pari opportunità è da considerarsi solo un preavviso, anche se per ora non sembra preoccupare l’impresa e l’economia. Imporre l’agenda o in altri termini mettere all’ordine del giorno i temi in discussione è già un momento forte della comunicazione e un modo per affermare la propria leadership. Se, al livello di riflessione proposto, questo modo di guardare e valutare i processi di comunicazione d’impresa sembra spostare “in alto” e in qualche misura “fuori” dal mondo aziendale leadership e ruolo del comunicatore, ciò non vuol dire che una volta determinata l’agenda (quale che sia il soggetto che più e meglio ha saputo imporre i temi della discussione), comunicazione e leadership diventano compiti di secondo ordine: si può subire l’agenda e le priorità imposte da altri, ma 408 resta aperto tutto lo spazio legato alla discussione dei temi all’ordine del giorno e, in tale fase, le capacità di comunicazione, di analisi, di argomentazione, di proposta, di negoziazione, cammineranno tutte sulle gambe di chi avrà capacità di leadership. I pochi e solo evocativi accenni ai soggetti e ai fatti che hanno la capacità di determinare l’agenda della comunicazione economica in generale e di impresa - in particolare, se ci si pone dal punto di vista di chi fa economia producendo beni e servizi - consentirebbero di definire immediatamente nuovi campi e temi su cui avviare quella riflessione che è preliminare alla redazione di un Rapporto quale il presente. Manca è vero una serie di sistematiche rivelazioni empiriche che consentano di evitare di procedere in modo impressionistico o puramente soggettivo. Un Rapporto in senso proprio sugli aspetti di cui si è sottolineato lo scarso approfondimento e la carenza di rilevazioni e studi sistematici dovrà attendere, ma forse si può uscire dal vago esemplificando temi su cui sarebbe interessante attirare l’attenzione sia per la loro rilevanza, sia per la loro inspiegabile latenza. Sarebbe interessante, ad esempio, riflettere su come i temi e i tempi messi all’ordine del giorno dagli accordi di Maastricht siano stati fatti propri dal Governo, da una larga parte delle forze politiche e da una larga parte del mondo delle imprese, al punto di diventare un elemento di gerarchizzazione delle decisioni, dei comportamenti e dei temi del dibattito. Se ci si ferma alle apparenze e si ragiona in base allo schema post hoc ergo propter hoc Maastricht perde il suo significato politico istituzionale per divenire una sorta di a priori indiscusso e imperscrutabile. Maastricht in realtà è un esito di scelte politiche e al tempo stesso il passaggio obbligato per raggiungere un traguardo politico, economico e istituzionale che ha dell’incredibile: tale essendo la volontaria e consapevole dismissione - a vantaggio di una nuova e ancora non sperimentata istituzione - di una porzione di sovranità nazionale: quella afferente alla moneta, alla politica monetaria e per tal via, anche se in modo indiretto, alla politica economica tout court. E’ stata la scelta di un obiettivo politico di così enorme rilievo - un fatto storico senza precedenti - a far sì che sia divenuto del tutto ovvio definire e al tempo stesso accettare politiche di convergenza sul piano 409 dei conti pubblici: cioè di quei conti che, in caso diverso, avrebbero potuto far nascere una moneta unica, gracile e, quindi, senza serie prospettive. Studiare se e come la comunicazione d’impresa ha valutato, accompagnato, valorizzato l’obiettivo della moneta unica è una cosa che merita di essere fatta; come merita di essere fatta una seria e documentata valutazione del ruolo di chi ha promosso o posto in essere tale obiettivo. Si tratta infatti di capire le ragioni ideali e pratiche e, ancor prima, il clima culturale e politico che hanno ispirato tali ragioni e che hanno imposto tale obiettivo; dato che questi sono i fattori che hanno reso vittorioso l’obiettivo indicato e, per certi versi, l’hanno reso invincibile. Se è vero, come è vero almeno in Italia, che le mobilitazioni, che pur contro tale obiettivo ci sono state, hanno dovuto elaborare una retorica accattivante (la priorità dello sviluppo nazionale, dell’occupazione e simili) e comunque non hanno avuto seguito e sono scivolate come acqua sul vetro, anche quando sono scesi in campo leader di impresa di non scarso peso. Al di là dell’emergere di posizioni diverse, si può affermare, anche se mancano apporti empirici raccolti in modo ordinato e quindi idonei a confortare quanto si dirà, che la comunicazione d’impresa abbia accettato l’agenda, condiviso l’obiettivo e ne abbia rafforzato la validità e la condivisibilità, nella misura in cui lo ha usato, come lo ha usato, per sollecitare il Governo e le forze politiche a comportamenti congruenti con tale obiettivo. Nel suo complesso, quindi, il mondo dell’impresa può non aver avuto un peso decisivo nel determinare l’agenda, ma è poi stato notevolmente determinante nel contribuire al successo dei processi politici, economici, organizzativi e comunicativi che derivavano dall’aver posto all’ordine del giorno il tema della moneta unica. Ci si è voluti soffermare sul principale tema - e su quello che più incisivamente ha generato effetti di grande rilievo per il mondo delle imprese - fra quelli che hanno chiamato in causa leadership e capacità di comunicazione a tutti i livelli dei soggetti istituzionali, politici, economici ed amministrativi. Sarebbe a questo punto poco utile evocare altri temi e soprattutto trattarli in modo generico e soggettivo, visto lo scarso (e forse inevita410 bilmente scarso) lavoro di documentazione, rilevazione empirica e riflessione che su di essi è stata operata: non sui temi in sé - è il caso di ricordarlo -, ma sul modo in cui tali temi hanno mobilitato processi e soggetti della comunicazione d’impresa. Dal tema dell’imposizione fiscale ai temi del mercato del lavoro la capacità di comunicazione che il mondo delle imprese ha messo in campo è stata tanto significativa, quanto poco fatta oggetto di studio e riflessione. Merita però una segnalazione il modesto impegno della comunicazione su due temi fra loro connessi che hanno scosso il mondo dell’economia (il primo) o che rappresentano una permanente minaccia sia per la vita delle singole imprese come per lo sviluppo del complessivo apparato produttivo del Paese. Non si andrà oltre qualche sintetica indicazione, ma può risultare persino preoccupante percepire certe latenze, soprattutto se riflettendo sulla comunicazione d’impresa si riflette inevitabilmente anche sul modo in cui tale comunicazione è funzionale agli obiettivi di lungo termine dell’impresa e degli imprenditori, dell’economia produttiva e del suo sviluppo. E’ indubbio che dal ‘92 sia stato posto all’ordine del giorno il tema dei rapporti fra economia e politica; proprio perché è emerso che spesso tali rapporti abbiano finito per inquinare ambedue i soggetti tra i quali intercorrevano. Non c’è da menar scandalo per il fatto che (né per il modo in cui) il tema sia stato messo in discussione. E’ però preoccupante che sia emersa una così scarsa capacità di leadership nel determinare l’agenda e nello specificare i temi e tempi dei processi di comunicazione: il mondo dell’impresa per parte sua è sembrato afono come se il tema non chiamasse in causa problemi relativi alla capacità di regolazione - nel senso letterale di generazione di regole e non di decisioni discrezionali o addirittura occulte - dello Stato, alla trasparenza del mercato e alla distorsione della concorrenza; tutti temi non certo indifferenti per la vita quotidiana delle imprese. E’ altrettanto indubbio che la criminalità organizzata è tema da tempo in discussione; non mancano purtroppo episodi criminosi, ma anche studi in materia che continuano a ricordarci questa triste realtà. Per la verità non mancano neppure numerose e relativamente diffuse 411 prese di posizione di vari esponenti del mondo dell’impresa, così come non mancano prese di posizione di politici nazionali e locali in materia. Si ha però l’impressione che il problema venga posto secondo i collaudati canoni interpretativi e operativi della sicurezza delle persone e delle cose, della tutela dell’ordine pubblico, della repressione di polizia, dell’impegno della magistratura. Quello che crea stupore, sempre ragionando in termini di comunicazione d’impresa, è che non venga definita una diversa agenda e un diverso ordine di temi. Imprese e imprenditori quando, come spesso avviene, si trovano di fronte a certe situazioni - dal racket estorsivo all’imposizione di fornitori; dall’intimidazione propedeutica all’esproprio della titolarità dell’impresa, all’imposizione di personale “di fiducia”; dalla surrogazione del mercato inteso almeno come indicatore dei prezzi, alla “offerta” di sicurezza e/o di mediazione - non si trovano di fronte ad episodi di criminalità sia pure organizzata; si trovano davanti a un secondo Stato che impone le sue regole, il suo ordine, le sue tasse e i suoi servizi. Imprese e imprenditori non mancano di lamentarsi per le regole, le tasse e i servizi dello Stato italiano; fondate o meno che siano queste lamentele è certo che non possono letteralmente sopravvivere se devono accettare anche le regole, i servizi e le tasse di un secondo Stato, certamente meno accomodante del primo. L’impressione è che lo sforzo di adattamento e la ricerca delle linee di minor resistenza sia, ai livelli individuali, diffuso e forse preminente. E’ questo un caso in cui una leadership capace di parole e di gesti che ridefiniscano la situazione e che conferiscano un nuovo e più corretto significato ai fatti, porrebbe le premesse indispensabili per avviare il superamento della situazione. E la leadership è sempre di chi la esercita. E’ facile vedere come una riflessione sulla comunicazione d’impresa che non sia centrata esclusivamente sulla contemplazione del proprio ombelico - l’azienda e i processi organizzativi e comunicativi che avvengono al suo interno - ha un ampio spazio per lo studio, l’analisi e l’interpretazione della realtà economica e sociale, restando pur sempre legata a ciò che le è proprio: chi comunica, che cosa comunica, con chi comunica, con quali mezzi, in vista di quali obiettivi, e con quali risultati. 412 CAPITOLO VII ANALISI SETTORIALE LA COMUNICAZIONE NELLE BANCHE ITALIANE 413 Forse mai come in questi anni Novanta il sistema bancario ha dovuto misurarsi con la ineluttabile esigenza di gestire flussi di informazioni, da e verso l’azienda, in costanza di grandi cambiamenti istituzionali e organizzativi. Le ragioni risiedono in una lunga catena di eventi che ha prodotto, e continuerà a produrre, anche negli anni a venire, effetti rilevanti sui meccanismi e sulle procedure di una nuova comunicazione d’impresa che, per la verità, non è ancora uscita del tutto dalla sua fase di rodaggio: • la legge Amato (1990), che ha dato forma al nuovo capitolo delle privatizzazioni; • l’appuntamento comunitario, che ha spalancato le porte alla liberalizzazione dei mercati finanziari europei (1993) e alla più recente adozione di una moneta unica; • le complesse trasformazioni aziendali legate ai processi di fusione, incorporazione e acquisizione; • la conseguente ricerca di un sano equilibrio dei costi operativi, primo tra tutti quello del personale, con necessità di gestirne opportunamente quelle eccedenze che limitano, non meno di altri fattori, le capacità competitive aziendali. A fronte di questo autentico “maremoto” del sistema creditizio, sarebbe azzardato attendersi che una realtà imprenditoriale, pur se impeccabile sul piano organizzativo, possa avere vita facile nel conciliare strategie operative - non sempre preventivabili per tempo, quindi sperimentali con la gestione di informazioni che, per ragioni culturali e di tradizione, sono state invece sempre considerate ermetico patrimonio aziendale. 415 Proprio nel momento in cui il necessario cambiamento strutturale delle imprese bancarie ha iniziato a dispiegare i propri effetti su un elemento portante dell’azienda bancaria, qual è la risorsa umana, si è registrato lo scatenarsi di una grande corsa alla salvaguardia e alla salutare valorizzazione del dialogo con i dipendenti. E non lo testimonia soltanto la forte ripresa dell’editoria interna, di cui si dirà più avanti. A segnare l’inversione di tendenza, anche se in forma indotta, si è mossa una serie indefinita di iniziative comunicazionali basate su scelte innovative, che vanno dallo sviluppo di un marketing interno che privilegiasse le relazioni interpersonali all’utilizzo di più moderni sistemi informativi (posta elettronica, giornale telefonico, Intranet), secondo modalità sempre più ispirate ad un modello di “comunicazione organizzativa”. Importate ormai in buona parte delle aziende bancarie di maggiori dimensioni, le nuove teorie di una comunicazione più sensibile alle esigenze di riorganizzazione sembrano essere risultate per il settore creditizio-finanziario la formula vincente o, quantomeno, quella più apprezzata in termini di risultati immediati. Era stato del resto il mutamento di regole dei mercati interno e internazionale a fornire con largo anticipo una serie di suggerimenti al Sistema, in una prospettiva di inevitabile concorrenzialità, ponendo al primo posto in assoluto il bisogno di maggiore interazione tra i dipendenti, affinché venissero abituati a comunicare e a lavorare in “situazioni di gruppo”. Il nuovo orientamento sembrerebbe quindi legato ad uno sviluppo “lungimirante” della cosiddetta learning organization, imperniata appunto sulla costruzione di una realtà aziendale animata al suo interno da processi “organizzati” di apprendimento, basati su un concetto di cambiamento, anche autonomo, del modus operandi di ciascun dipendente. E’ in effetti proprio questa flessibilità operativa dei singoli, sostenuta da una giusta esaltazione del loro “potenziale creativo”, che può, soprattutto oggi, “fare la differenza” con il passato, proprio in quanto si è in presenza di una delicata fase di riposizionamento in termini di organizzazione e di produzione di servizi. Senza dover scendere in questa sede nell’analisi di singoli casi aziendali, è bene sottolineare che alcune grandi realtà del comparto han416 no più che compreso come una pianificazione tempestiva e coerente degli obiettivi di comunicazione interna, del tipo ora delineato, contribuisca a rendere meno conflittuale il superamento di emergenze di stati di crisi che derivino da riassetti societari o da riorganizzazioni e ridimensionamenti aziendali. Ma il raggiungimento dell’eccellenza è sicuramente ancora lontano. Per ottenere risultati apprezzabili, la grande maggioranza delle piccole-medio imprese bancarie vive ancora una fase di scoperta del nuovo stile di comunicazione. Stenta ancora a decollare il convincimento che occorre far leva sull’elemento partecipativo, fondato sulla disponibilità ad un dialogo costruttivo, non solo di facciata, tra Capo e collaboratori e tra questi ultimi, moltiplicando le occasioni di confronto interpersonale, che sono poi quelle che esaltano le qualità professionali e agevolano quindi qualsiasi processo di problem solving. E’ del resto innegabile che il mondo della finanza - come è avvenuto per quello industriale molto tempo prima - si stia progressivamente abituando alla necessità di rimuovere l’antico principio tayloristico di una rigida divisione del lavoro, dove c’è chi predispone, che vigila e tanti che eseguono. La domanda di flessibilità organizzativa imposta dal mercato e dalla concorrenza presuppone infatti che ogni persona, a qualunque livello gerarchico appartenga, si faccia portatrice di un reale valore aggiunto, eliminando nel contempo una serie di passaggi operativi che, alla distanza, si sono rivelati superflui e persino diseconomici. Un effettivo rilancio delle relazioni interpersonali nel Sistema del credito deve però ancora sciogliere un nodo importante; al di là delle modalità e degli strumenti di comunicazione utilizzabili, la partita si sta ancora giocando sul ruolo e sulle capacità di chi è investito della funzione di comunicazione interna, sia che si tratti del vertice rispetto all’impresa o del manager nei confronti dei propri collaboratori. Sia che si faccia più frequente ricorso ai “rapporti tra le persone” (confronti one to one, riunioni collegiali d’area, convention), o che si continui a privilegiare la “comunicazione scritta” (house organ, newsletter, circolari, ecc.) - comunque rispettando il valore sinergico delle due soluzioni - l’attenzione deve essere più costantemente focalizzata sulla verifica dei modelli comportamentali del comunicatore. E, in que417 sta direzione, proprio l’ASCAI ha prodotto una significativa ricerca focalizzando il delicato tema dei rapporti tra leadership e comunicazione interna, coinvolgendo anche moltissimi rappresentanti del mondo bancario e finanziario. Le imprese che appartengono a questo mondo e che intendono avviare o migliorare i processi comunicazionali interni, più che sulle modalità e sugli strumenti di esercizio, sono quindi invitate oggi a riflettere sulle qualità soggettive del comunicatore. Da una loro continua verifica dipenderà una più efficace risposta alle esigenze dell’utenza bancaria, la cui soddisfazione resta sempre e comunque l’obiettivo di fondo da raggiungere. Non si tratta di abbandonare o rinnegare completamente le strategie del passato. E’ ancora lontano il pensionamento dei giornali aziendali e delle newsletter. Ma è essenziale che i loro contenuti diventino il vero specchio di un confronto aperto e partecipativo, che ha nell’elemento umano il protagonista assoluto. Non si può negare che il ritardo di crescita complessiva in termini comunicazionali esiste e che è ancora sensibile il divario rispetto ad altre realtà produttive. Tra le ragioni di fondo emerge senz’altro il lento cambiamento culturale, che vuole una gran parte di quanti vivono nell’impresa bancaria ancora poco propensi ad abbandonare comportamenti consolidati da molti anni di certezze, e alimentati da un tessuto organizzativo rigido e gerarchico-dipendente. La strada è insomma ostacolata da logiche piramidali difficili da smantellare, dove il flusso dei messaggi è regolato ancora da un andamento top-down, di carattere dispositivo anziché informativo o di scambio, in ragione dell’obiettivo primario dell’efficienza della struttura. Non c’è dubbio che la sfida della comunicazione interna, pur offrendo il vantaggio di creare un circolo virtuoso di una realtà imprenditoriale altamente esposta alla concorrenza, pena il suo facile ridimensionamento, ha bisogno di un binomio “persone-processi” che la rendano effettivamente operante, al punto di adottarla come leva manageriale, nell’interesse dell’azienda e di quanti vi lavorano. In questa visuale, è bene però avere chiaro il panorama di un Sistema che per i forti mutamenti che lo contraddistinguono, cui si accenna418 va, si diversifica molto al suo interno, in ragione delle diverse esposizioni al mercato di riferimento. In un recente studio promosso dall’Associazione Bancaria Italiana1 è stata ipotizzata una più che attendibile tripartizione delle banche italiane, in funzione delle scelte operative adottate, in aziende istituzionali, marketing oriented e customer oriented. Ne è emerso in particolare che il movimento verso l’alto della classifica degli istituti di credito ha premiato negli ultimi due anni chi ha realizzato organizzazioni più vicine al cliente, ovvero nelle operazioni di front line, dove atteggiamenti, comportamenti e comunicazione hanno il punto di maggiore criticità organizzativa. Il confine tra comunicazione interna ed esterna ha determinato negli operatori delle banche un vissuto che ha condizionato inevitabilmente il loro modo di porgere, proporre o promuovere i servizi e i prodotti al pubblico. Allo stesso tempo ha favorito in loro lo sviluppo della comprensione tra atteggiamento privato/imprenditoriale di mercato e pubblico/burocratico/istituzionale, in un mondo dove le privatizzazioni possono addirittura trasformare i clienti in azionisti e la corretta percezione dell’immagine della banca diventa sempre più determinante e complessa da comunicare: anche perché deve avvenire attraverso canali sempre più numerosi e sempre meno formalizzati e prevedibili. In modo diffuso, nelle banche si fa quindi strada la comprensione che la difficoltà ad integrare la comunicazione esterna e quella interna si basa su una variabile fondamentale, legata al codice linguistico adottato e non alla funzione. In altri termini, finché non esiste percezione ed uso consapevole di un codice non è possibile individuare un confine chiaro tra interno ed esterno. La ricerca di questo codice si muove però intorno ad un binomio ricorrente nel Sistema e, naturalmente, non solo per ciò che riguarda il tema della comunicazione interna: la Banca istituzionale, ovvero il genotipo in via di superamento di un organismo che “opera in quanto esiste”, senza bisogno di giustificazioni; la Banca impresa, cui è invece richiesto di operare per continuare ad esserci. ________ 1. Associazione Bancaria Italiana, Il flusso della comunicazione interna nelle banche, Ed. Bancaria Editrice. Roma 1997. 419 Sembra che la tendenza verso questo secondo modello, legato ad evoluzioni legislative e di mercato, sia confortato anche da una analisi dei prodotti di comunicazione interna. Uno sguardo d’insieme offerto dallo studio ABI evidenzia come questa sia cambiata negli ultimi anni, probabilmente in senso radicale rispetto ad aziende di altri comparti. Le banche dimostrano infatti di aver acquisito la capacità di utilizzare mezzi di comunicazione diversi per raggiungere obiettivi diversi. Tanto per fare un esempio che approfondiremo in seguito, il ricorso alla tipica rivista bancaria, che vuole simulare l’house organ tradizionale con intenti solo autocelebrativi e di prestigio, è in netta flessione. Dove sopravvive, lo fa con altri strumenti, in una logica di differenziazione funzionale. Nei prodotti di comunicazione interna realizzati da banche che hanno meglio assimilato il passaggio dalla connotazione istituzionale a quella imprenditoriale, sono molto evidenti alcune linee di comportamento: • impegno in direzione della motivazione del dipendente; • ricerca di un consenso convinto; • accento sulla formazione, come leva di appartenenza e di miglioramento della performance. Gli intenti descritti sono affrontati in termini e modi rigorosi, dai quali risulta uno sforzo notevole di pianificazione. Di frequente, queste banche sanno usare e usano strumenti di comunicazione differenziati, in funzione di obiettivi specifici. Si riscontra una dichiarata integrazione tra attività di comunicazione ed attività di formazione. E’ elevata l’attenzione dedicata allo sviluppo di una moderna cultura aziendale nei dipendenti e nella struttura. Si rileva, tuttavia, un eccesso di “scientificità” nei toni e nei modi adottati, che rischia di pregiudicare la naturalezza della comunicazione. Sono, infatti, piuttosto scarsi, se non veramente pochi, i casi in cui il linguaggio adottato, scritto e grafico, è fluido, accattivante, e, in ultima analisi, convincente. Tranne queste poche e felici eccezioni, si possono rilevare alcune caratteristiche ricorrenti e comuni. 420 La caratteristica più saliente e determinante è questa: il punto di vista e di partenza per qualsiasi messaggio è, invariabilmente, costituito dalla soggettività della banca: insomma, dell’io banca, che si declina in un ricorso massiccio all’uso del pronome “noi”, che ricorre frequentemente nelle testate. L’intenzione evidente dell’uso di questo “noi” è il rafforzamento dell’identità, la diffusione dell’appartenenza, dello “spirito di squadra”: il centro della comunicazione è la soggettività, della quale partecipano tutte le persone dell’organizzazione della banca-impresa. Va fatto notare che questo non è l’unico centro possibile di una comunicazione interna: esso potrebbe essere individuato nel cliente oppure nel dipendente, determinando, quindi, modi e toni diversi nell’agire comunicativo. La banca, dunque, pensa al suo sviluppo, o alla sua sopravvivenza, valuta il suo positioning, sul mercato, e agisce: crea, inventa prodotti per il cliente; crea, inventa strumenti per diffonderli. E’ lecito supporre che questa febbrile attività indirizzata al cliente sia preceduta o accompagnata da un adeguato ascolto del cliente medesimo e delle sue aspettative, cioè che preventivamente siano stati analizzati e valutati quali sono i suoi bisogni. Questa attività di studio esiste senza dubbio, ma non appare, perché non sempre, nei periodici bancari rivolti a tutti i dipendenti, ne rimangono tracce. Detto altrimenti, sono sporadici i casi in cui il cliente assume un’effettiva centralità nella comunicazione, in cui si cerca di comprendere che cosa vuole o vorrebbe davvero. Nonostante le dichiarazioni, il cliente rimane un dato socio-statistico, e quello che si trasmette è orientamento al mercato piuttosto che al cliente. In questo modo, il messaggio reale che viene trasmesso al dipendente non è la necessità o la disponibilità ad interagire con il cliente, quanto quello di vendergli prodotti, ricorrendo a tecniche di vendita aggiornate e sofisticate. A questo scopo, nulla è lasciato al caso: i toni divengono aggressivi, al dipendente vengono forniti, attraverso la comunicazione interna, tutti gli strumenti per sedurre il cliente, gli strumenti necessari, gli argomenti di vendita, le tecniche di vendita, insieme alle procedure. Allo stesso tempo, vengono fornite anche le procedure, perché questo approccio al cliente sia standardizzato, uguale, controllabile, attraverso circolari che vengono chiamate “informative”. 421 Per riassumere, in altre parole, al dipendente vengono forniti, attraverso la comunicazione interna, tutti gli strumenti necessari (argomenti di vendita, tecniche, materiali promozionali) così come le procedure da applicare per un corretto ed efficace svolgimento dell’attività: gli strumenti vengono forniti attraverso i periodici interni oppure utilizzando strumenti promozionali realizzati ad hoc: le procedure vengono comunicate attraverso circolari o “informative” precise, direttive e molto dettagliate. Da quanto detto, si ricava l’impressione di una certa polarizzazione: da un lato la “banca”, entità pensante superiore, che, talvolta si incarna nel top manager o nel presidente, dall’altro, il dipendente in prima linea, quello che deve affrontare il cliente, convincerlo e possibilmente fidelizzarlo, utilizzando, in modo corretto, cioè nel rispetto delle procedure, gli strumenti di seduzione che la banca gli mette a disposizione. La comunicazione scritta E proprio su questi - satelliti principali del pianeta della comunicazione in banca - è bene ora soffermarci per scoprire come le aziende di credito, attraverso il tradizionale strumento editoriale, hanno iniziato a vivere la nuova epoca di cambiamenti degli anni Novanta, muovendo da una tradizione editoriale piuttosto giovane, ma sempre molto presente. Il mondo - forse a torto considerato un po’ fantasma - di un’editoria bancaria fatta di riviste, house organ e newsletter, si è silenziosamente rivelato lo specchio di una sovraordinata e più complessa realtà in trasformazione. Il perché lo spiegano alcuni numeri significativi: dal 1970 la produzione editoriale delle aziende bancarie è triplicata e, rispetto alle 21 banche di allora, oggi 63 su cento possiedono un loro periodico, evidenziando un trend di crescita di tutto rispetto, che ha avuto il suo apice proprio negli anni del grande cambiamento e della crisi economica. Dal ‘90 al ‘95 hanno infatti visto la luce ventuno nuove testate. Tante quante ne contava complessivamente il settore prima degli anni Ottanta, in un’epoca buia, caratterizzata da una scarsa attenzione delle banche alla “comunicazione scritta”, soprattutto quella diretta ai dipen422 denti penalizzata dal fatto che meno di un’azienda su cento disponesse di un periodico riservato al personale. E’ evidente che in quegli anni caldi delle lotte sociali era molto più attiva nelle banche l’informazione di matrice sindacale, piuttosto che datoriale. Le cose non sono andate meglio durante gli anni Ottanta. Passati alla storia come periodo di esaltazione dell’immagine aziendale, essi testimoniano infatti la nascita di appena dieci nuove testate bancarie. Atteggiamento in controtendenza quindi rispetto ad altri comparti produttivi, ma forse dettato da una residuale forma di chiusura alle innovazioni tecnologiche e contenutistiche che stavano sconvolgendo il panorama complessivo dell’informazione. Per gli operatori della comunicazione, la più recente inversione di tendenza non può che essere presa come un segnale positivo se si pensa come la banca, ritenuta per tradizione “roccaforte tra le imprese” sia stata in grado di offrire segnali di vitalità e di apertura proprio in costanza di delicate, nuove, e non sempre positive performance: fatto che avrebbe potuto spingere i meno ottimisti a pensarla decisamente al contrario. Ma la generale crescita del mezzo editoriale in una fase di significative trasformazioni societarie e di mercato non è il solo fenomeno positivo. Tre tipologie di media La banca editrice si è progressivamente mossa nel tempo verso la creazione di una pluralità di strumenti di lettura, orientati ad una leadership interna ed esterna. E questo è senza dubbio il segnale di una concezione avanzata dell’uso del mezzo informativo, in direzione di una formula di comunicazione integrata. Primo per importanza è così risultato il periodico istituzionale, la “voce”, l’organo ufficiale dell’azienda. Che si tratti di house organ, di newsletter o di rivista patinata, rappresenta comunque ancora oggi la tipologia editoriale più diffusa, adottata dal 50% delle aziende. Esiste poi almeno un 40% di riviste cosiddette tecniche, ideate quale supporto di studio e approfondimento per gli specialisti dell’eco423 nomia e della finanza. Una scelta cui non hanno saputo rinunciare molte banche, specie quelle con tradizioni più lontane nel tempo. Al residuo 10% appartiene invece la terza tipologia di riviste, definibili d’immagine. Eleganti, gratificamente impegnative, privilegiano la trattazione di tematiche di ambiente, turismo, arte e storia e appartengono generalmente a banche di dimensione regionale. Sono concepite piuttosto come un “bene necessario”, a prescindere dai contenuti, che mai o quasi mai trattano dell’azienda in modo diretto. Come si sottolineava anche in precedenza, prevale la considerazione che questo genere di prodotto resti fine a se stesso, benché di prestigio e accattivante quanto a temi trattati e veste grafica. Le readerships Quanto ai destinatari dell’editoria bancaria, il dipendente dell’azienda ha sempre un posto in prima fila in qualità di lettore, considerato che il 50% delle pubblicazioni - comprensivo di un 36% di house organ e newsletter - raggiunge comunque il personale. Una quota molto alta è pure riservata a professionisti ed istituzioni pubbliche, nella identica misura del 38% nel primo caso, a conferma dell’alta produzione di riviste tecniche riservate alla trattazione di tematiche economico-finanziarie; nel secondo caso, a riprova di quanto sia alto il numero di banche che si propone di trasferire una buona immagine di sé alle leve del potere (Governo, Parlamento, enti pubblici) la cui azione ha pur sempre un ruolo di sostegno ed impulso per il settore. Per l’utenza si registra invece un target piu basso (28%), dato per acquisito il fatto che su questo fronte di destinatari resta l’advertising lo strumento di comunicazione più funzionale all’esigenza di fidelizzare ed accrescere il bacino della clientela. I contenuti Fermo restando l’orientamento dominante verso una readership interna all’azienda, va comunque detto che è decisamente alto il grado 424 di importanza che molte pubblicazioni aziendali riservano, nei contenuti, alle questioni riguardanti il territorio e la società nel cui contesto operano le rispettive banche editrici. Si tratta del resto di due preziosi riferimenti per l’attività creditizia, soprattutto in considerazione del marcato localismo che caratterizza l’operato di molti istituti di medio-piccole dimensioni. Più in generale, è comunque pacifico che economia e finanza rappresentino i temi trainanti che - mediamente, nove volte su dieci - compaiono in ogni numero delle pubblicazioni, in perfetta sintonia con le finalità aziendali. Decisamente in crescita negli ultimi anni risulta invece la trattazione di argomenti riguardanti il rapporto di lavoro del personale bancario; fenomeno strettamente collegato alla più recente sovraproduzione di house organ, oltre il 70% dei quali ha visto la luce negli anni Novanta. Non si può tuttavia non rilevare che al fattore lavoro viene dedicato tuttora uno spazio (40%) pari a quello che le pubblicazioni riservano all’arte, senza nulla togliere all’importanza di questa materia, cui meglio si dedicano tuttavia molte edizioni librarie di pregio realizzate proprio dalle banche. Diffusione e pubblicità Se si esaminano più da vicino le caratteristiche della diffusione, non ci resta difficile assegnare la palma del non profit all’editoria bancaria. E’ infatti molto alta (82%) la percentuale di periodici distribuiti esclusivamente in omaggio, rispetto a quelli per i quali si è preferita la formula commerciale dell’abbonamento (12%). Ancora oggi, quindi, una significativa fetta di risorse finanziarie continua ad essere destinata all’editoria bancaria, ritenuta evidentemente, sul piano delle politiche aziendali, una valida forma di investimento indiretto: sia verso l’interno della banca, per creare o consolidare una comune cultura d’impresa; sia verso l’esterno, come strumento di confronto con altre realtà produttive del Paese. E questa caratteristica del non profit viene in qualche modo confermata se ci accingiamo ad analizzare cosa accade sul fronte della raccolta pubblicitaria. 425 L’advertising vero e proprio appare piuttosto come un optional. Tant’è che vi fa ricorso appena il 2% dei periodici. Mentre forme di publicity, ovvero pubblicità istituzionale senza finalità di lucro, sono previste nella misura del 21%. Al di là di una soluzione di tipo misto, adottata nel 13% dei casi, si è notato in definitiva che alla pubblicità rinuncia in ogni caso il restante 64%, a conferma di una sostanziale autonomia delle testate rispetto ad esigenze di equilibri finanziari. Periodicità, tiratura e foliazione La maggioranza delle banche editrici opta spesso per una periodicità semestrale (38%) e bimestrale (25%), privilegiando la ragione pratica - più di quella tecnica - di assicurare continuità alle uscite di prodotti che, come vedremo in seguito, vivono spesso sulle esigue forze di corpi redazionali ridotti all’osso. Quello che non preoccupa è invece la quantità di carta stampata. Se ne produce veramente tanta, sia in termini di tirature che di foliazione. La maggior parte delle tirature oscilla infatti tra le cinquemila e le quarantamila copie a numero (complessivamente il 56%), ma non è affatto irrilevante un 11% di periodici a larga diffusione, che supera le 40 mila, spingendosi fino a limiti non certo usuali per l’editoria aziendale: anche tra le 140 mila e le 200 mila copie. Quanto alla foliazione - ovvero la media di pagine di ogni numero - si va dal quartino al sedicesimo delle newsletter interne ed esterne fino alle consolidate 64 pagine che caratterizzano generalmente l’house organ, mentre foliazioni superiori si ritrovano quasi sempre in riviste tecniche e d’immagine. Linguaggio e stile visivo Una analisi non semantica del linguaggio e dello stile visivo delle pubblicazioni bancarie lascia trasparire che, con la sola eccezione delle riviste tecniche e di studio, esiste una tendenza, o quanto meno un im426 pegno, a far uso di un linguaggio sempre meno aulico o istituzionale, grazie ad una crescente presenza di articoli che privilegiano il taglio informativo e diretto. Un fenomeno sicuramente positivo, cui non è certo estranea la crescita numerica delle riviste aziendali, le quali, per loro stessa natura, devono sforzarsi di essere più confidenziali e accattivanti. Qualche nota dolente sembra invece provenire dalla “struttura della titolazione”. Un quarto dei periodici, tra questi soprattutto gli house organ, non va oltre la formula più elementare (titolo + sottotitolo) rinunciando ad elementi di sostegno che darebbero maggiore benefici alla chiarezza dei messaggi. Queste carenze strutturali della titolazione di base trovano tuttavia conforto in una maggiore cura nella presentazione dei testi dei singoli articoli, con il frequente ricorso ai titoletti intermedi (55% dei casi analizzati) o, in misura più contenuta, alla riproduzione di box e schede di approfondimento, quasi sempre arricchite dalla presenza di soluzioni grafiche (fondini, cornici...) che rendono meno pesante la lettura. Il ricorso a strutture di titolazione “eleganti e composte” è comunque dominante, salvo rare eccezioni, nelle riviste tecniche, mentre house organ e riviste d’immagine privilegiano titolazioni d’effetto, e preferibilmente in un corpo congeniale al più classico dei tabloid. Nel rapporto tra testo e grafica, la prevalenza del primo è di tre a uno nel 46% dei periodici, mentre nel 35% dei casi si riscontra la presenza di un elemento grafico ogni quattro parti di testo. Nell’11% delle pubblicazioni il rapporto è paritario, mentre soltanto l’8% di esse non contempla la presenza di elementi grafici. Quanto alla grafica di copertina, le riviste economico-finanziarie evitano sempre la proposizione di immagini, limitandosi a vezzi geometrici, o alla riproduzione del logo dell’azienda e, in rari casi, ad una effige della sede centrale dell’istituto proprietario della testata. Completamente diversa l’impostazione per house organ e riviste d’immagine, dove domina invece il ricorso alla stampa in policromia, esaltato dalla plastificazione. E’ tuttavia singolare il fatto che queste due tipologie non presentano mai immagini di copertina che abbiano attinenza con argomenti trattati all’interno, i quali ultimi, soltanto raramente trovano il sostegno dei cosiddetti strilli, che tanta parte hanno della funzione di traino alla lettura. 427 La struttura redazionale e le collaborazioni L’assetto redazionale dei periodici delle banche privilegia la collegialità, esprimendo una tendenza propria del settore a valorizzare il lavoro d’equipe. Quasi mai viene esclusa la presenza di un comitato tecnico-scientifico o direttivo, allo scopo di conferire solennità e credibilità alla testata. L’organo collegiale è di fatto preferito dal 72% delle pubblicazioni, contro appena il 23% che accorda l’alternativa alla figura monocratica di un Coordinatore editoriale o redazionale. Del tutto fisiologica la scelta di una Segreteria di redazione, cui ricorre il 40% delle testate, non di rado con funzioni sostitutive del Coordinatore, ma necessariamente in appoggio ad un Comitato. Premesso che l’allestimento di oltre i due terzi delle pubblicazioni viene direttamente gestito dalla struttura redazionale, anche per quanto concerne l’impostazione grafica e l’impaginazione, è possibile affermare che i periodici delle aziende di credito si avvalgono di Redazioni non complesse, nelle quali lavorano generalmente non più di tre dipendenti dell’azienda. Quelle più affollate (oltre cinque redattori) sono invece una minoranza (15%) e il maggior numero di occupati è quasi sempre giustificato dall’allestimento di almeno due prodotti editoriali. Tra i bancari giornalisti, quelli a tempo pieno (43%) sono leggermente in minoranza rispetto a quanti lavorano in Redazione in via non esclusiva (57%). A loro tutti si deve comunque la realizzazione integrale del 36% dei periodici del settore: un dato molto interessante se si tiene in debito conto la specialità del ruolo di “redattore aziendale” e la difficoltà che esso incontra in termini di compatibilità ideologico-culturale rispetto alle tradizionali figure professionali esistenti in azienda. Il ricorso ad articolisti esterni è un fenomeno molto ricorrente per le riviste di alto contenuto tecnico. Sono complessivamente il 64% le testate che propongono firme di free lance, spesso autorevolissimi. Ma non mancano veri e propri esempi di decentramento, come nel caso dell’house organ di una grande banca, che si avvale della saltuaria collaborazione di propri funzionari di filiale, grazie ad una ben organizzata rete di corrispondenti. Gli apprezzabili risultati e il consolidamento della fede verso lo strumento editoriale nel settore bancario, testimoniati anche dal trend di 428 crescita del fenomeno, lasciano quindi ben sperare nel sostegno di una comunicazione comunque alle prese con grandi sfori di riposizionamento. I video Una serie di considerazioni riguarda, infine, l’utilizzazione di mezzi di comunicazione diversi dalla carta stampata per la comunicazione interna, in particolare i video, il cui uso è crescente. In questo caso, le considerazioni che emergono sono da riferirsi, più che a osservazioni in merito allo specifico bancario, al prevalere delle valutazioni circa i limiti dello strumento in sé, limiti facilmente osservabili per la generalità delle imprese; si può affermare, infatti, che, utilizzando il parlato per immagini, l’elettronico, lo strumento video, la parola risulta assolutamente più artificiosa e stucchevole di quella scritta. Come strumento di comunicazione interna, il video è molto lontano dall’avere acquisito una sua personalità. Il video, infatti, a una funzione d’uso frequentata ancora soltanto marginalmente e sporadicamente, come quella della comunicazione interna, rimane schiacciato da moduli e modelli di linguaggio propri di altre funzioni, che con esso hanno acquisito ormai ben altra confidenza, in particolare la comunicazione d’immagine, quella istituzionale, il giornalismo televisivo. Esiste, in particolare, nei destinatari, una sudditanza nei confronti del giornalismo televisivo, a causa della quale questo tipo di mezzo, se utilizzato per la comunicazione interna, non ce la fa a funzionare adeguatamente. Infatti, chi guarda tende ad attribuire una priorità al contenuto di informazione, priorità che la comunicazione interna non può avere. In concreto, si traduce nella realizzazione di prodotti di comunicazione che mimano le “news” elettroniche, con esiti, al di là della perizia tecnica con cui sono realizzati, inevitabilmente deludenti. Inoltre, la comunicazione d’immagine scivola immediatamente nella retorica, rilevabile nello speakeraggio, nel commento musicale, nell’artificiosità degli ambienti. La comunicazione interna, a prescindere da ciò che si intende dire, che potrebbe essere anche drammatico in termini di contenuti, appare 429 come un impegno della banca a mostrare che si sta facendo bella. Trasferisce, a prescindere dai contenuti che effettivamente si vogliono comunicare, un messaggio di potenza, di sicurezza sul proprio ruolo, di certezze organizzative, di gerarchie e di funzioni. Per esempio, se si propone la ripresa di una convention, nel corso della quale sono stati trattati temi anche delicati, come i conti in rosso, comunque quello che ne emerge, per via della natura specifica del mezzo usato, è la pulizia dell’ambiente, sono le luci, è il top management sul palco, seguendo le regole dell’estetica della rappresentazione. Da qui, si rileva una costante, che comunque emerge nella rappresentazione filmica, ed emerge con particolare evidenza: è la gerarchia, il rapporto tra ruoli; mentre in uno slogan scritto, oppure in un testo da leggere la gerarchia (e la sua potenza) si può mascherare, nella comunicazione filmica la gerarchia è immediatamente autoevidente. Con parole più forti, la rappresentazione filmica diventa retorica della propaganda del potere, assimilabile alla retorica della militarizzazione, e per questo non appartenente assolutamente allo specifico bancario, ma allo specifico filmico quando viene usato come mezzo di comunicazione interna. Proprio per le sue caratteristiche, questo aspetto della comunicazione video ha le sue leggi, il linguaggio per immagini è più sintetico, meno sorvegliabile rispetto al linguaggio scritto, che è più decifrabile, perché permette, tramite il processo di decodifica e di ri-lettura, una lettura e fruizione dei contenuti con un livello di filtro e critica più elevato. In definitiva, nel complesso la comunicazione interna in “vhs” analizzata appare più immatura di quella realizzata con altri mezzi più tradizionali. E non è infrequente notare come banche che producono house organ efficaci e ben fatti, di buon livello, realizzino, invece, video che non sono all’altezza della loro cultura di comunicazione. Allora emerge, dai video analizzati, molto chiaramente il modo di sentire più profondo della banca, ed è il caso di chiedersi se il modo di sentire profondo di queste banche non sia ancora fatto del senso di potenza, del verticismo, di ruoli e gerarchie. Appare più chiaro che in realtà l’essere delle banche potrebbe essere fatto di questi valori, di istituzione, di organizzazione che si basa su valori e non su obiettivi. 430 CAPITOLO VIII STUDIO DEI CASI 431 UN CASO DI “DOMANDA NASCENTE” DI COMUNICAZIONE: POSTE ITALIANE SPA 433 1. Tra le iniziative più ambiziose assunte in questi ultimi anni per migliorare la performance del sistema Italia in vista del suo ingresso nell’Unione monetaria europea si colloca sicuramente quella di assicurare al Paese un più adeguato livello di efficienza e di produttività delle sue reti infrastrutturali all’interno di una logica di liberalizzazione dei mercati e di competizione tra i diversi operatori. In tale contesto quella delle Poste costituisce, forse, la sfida più impegnativa vuoi perché il loro livello qualitativo è generalmente ritenuto tra i più deteriorati vuoi perché nella cosiddetta “amministrazione postale” si annidano sia i pochi pregi che gli enormi vizi di quella cultura burocratica che ha governato e in parte governa ancora il nostro apparato dei servizi di pubblica utilità. Un’analisi spietata della situazione viene svolta proprio nel recentissimo Piano di Impresa 1998-2002, elaborato dai nuovi amministratori della neonata Poste Italiane S.p.A., dove vengono rilevate la totale inadeguatezza dell’offerta e del servizio, la parziale inadeguatezza della qualità dei sistemi di gestione, una situazione di produttività fuori mercato con volumi generalmente in calo e costi operativi in crescita, il progressivo peggioramento dell’andamento economico, l’esistenza di una forte ulteriore pressione sui risultati dell’azienda in relazione ai trend del mercato. La trasformazione dell’Ente Poste in società per azioni, avvenuta il 28 febbraio 1998, costituisce il presupposto formale di un imponente lavoro di riorganizzazione destinato, per usare le parole dell’attuale Amministratore Delegato, “ad avviare velocemente il circolo virtuoso della crescita attraverso l’efficienza”. 435 Tale lavoro corrisponde all’adozione di un Nuovo Modello Organizzativo, i cui principi ispiratori, come si evidenzia dal prospetto che segue, vengono così sintetizzati: • garantire l’unitarietà dell’azienda specializzando al contempo la gestione; • chiarire le responsabilità a tutti i livelli; • decentrare le decisioni e rispondere meglio alle diverse realtà locali; • avvicinare l’azienda al cliente; • offrire a tutti i collaboratori più opportunità di sviluppo professionale. Un nuovo modello organizzativo per permettere di realizzare gli obiettivi del Piano di Impresa Modello organizzativo Principali svantaggi ➪ precedente ➪ Nuovo modello organizzativo Confusione di responsabilità Modello decisionale Unitarietà aziendale Chiare responsabilità di business Accentramento decisionale Lentezza decisionale Impossibilità di adeguarsi a realtà locali Scarsa imprenditorialità Regole valide per tutti Autonomia operativa nelle unità territoriali Molti livelli gerarchici e operativi Troppe funzioni di staff Lentezza decisionale Scarsa vicinanza al mercato Meno strutture intermedie tra azienda e clienti Modello funzionale 436 Per una realtà come quella delle Poste tali principi rappresentano in qualche modo una sorta di rivoluzione culturale, dal momento che la loro attuazione sconta la rapida sostituzione di un nuovo sistema di valori a quello precedente, ormai assolutamente inagibile in uno scenario di mercato che non ammette più posizioni di monopolio precostituite, ferma restando la responsabilizzazione di tutta la struttura aziendale in tema di Servizio Universale, riconfermata come una delle missioni prioritarie della società. 2. In estrema sintesi, il modello organizzativo delle Poste viene riconfigurato intorno a delle unità di business con responsabilità integrata per mercato. Tali unità sono le Divisioni articolate per le tre macroaree di business specifiche in cui operano le Poste: i Servizi Postali - a loro volta articolati in cinque segmenti di business: corrispondenza, pacchi, corriere espresso, comunicazioni elettroniche, filatelia -, i Servizi finanziari e i Servizi distributivi (la Rete territoriale). Accanto alle Divisioni, cui sono attribuite specifiche responsabilità di risultato commerciale, economico e patrimoniale, sono previste otto Direzioni centrali (Risorse umane, Strategia, pianificazione e controllo di gestione, Processi e tecnologie, Amministrazione, Finanza, Ispettorato e qualità, Acquisti, Immobiliare) con il compito di garantire l’unitarietà di indirizzo e il conseguimento delle sinergie orizzontali tra le unità di business, nonché di fornire servizi di utilità comune a tutte le unità organizzative. Questa scelta - si legge nel Piano di Impresa - tra l’altro assicura la massima comunicazione all’interno dell’azienda, ed è questa la presa di coscienza di una necessità di comunicare che condiziona l’operatività delle nuove strutture e che corrisponde a un concetto di comunicazione come risorsa trasversale a carattere integrato, tipico delle moderne realtà aziendali. Ovviamente non contrasta con tale concezione la previsione di alcuni Servizi centrali non inquadrati nelle direzioni centrali (Legale, Relazioni esterne, Relazioni internazionali, Relazioni istituzionali, Relazioni con la stampa, Segreteria organi statutari), taluni dei quali chiamati a operare anche in specifiche aree comunicazionali. 437 Resta piuttosto il fatto che alcuni dei principi-guida ispiratori del nuovo modello organizzativo - rafforzamento dei presidi relativi alle funzioni critiche per operare sul mercato quali marketing, vendita e gestione dei canali distributivi; sviluppo dei sistemi di incentivazione legati al conseguimento di obiettivi; sviluppo di opportunità di diversificazione e di crescita professionale e manageriale per il personale - si potranno inverare solo attraverso un ricorso ampio ed esteso alle opportunità offerte da una filosofia ampiamente condivisa della comunicazione proposta non più in versione burocratica, ma in chiave di interscambio partecipativo e ciò sia all’interno che verso l’esterno dell’azienda. L’espansione di tali compiti potrà successivamente richiedere ulteriori adeguamenti sul piano organizzativo - del resto il modello attuale viene proposto per una sperimentazione in chiave esplicitamente evolutiva - ma già oggi emergono profili operativi specifici riferiti, ad esempio, alla comunicazione commerciale (marketing, vendita e pubblicità), alla rilevazione della soddisfazione della clientela, alla gestione delle risorse umane, alle politiche formative. Non a caso nel già richiamato Piano di Impresa 1998-2002 pubblicità e attività promozionale vengono indicati tra i principali fattori da attivare per la crescita dei ricavi operativi. 3. Rispetto alle imponenti potenzialità di sviluppo che le Poste manifestano sul piano della comunicazione il gap con il concreto patrimonio di esperienze realizzate può apparire enorme, mentre assai limitati sono gli strumenti finora posti in essere: in primo luogo un house organ mensile, il Gabbiano, giunto al suo ottavo anno di vita, avendo peraltro già fatto registrare in questo relativamente breve arco di tempo significative trasformazioni, con le quali da generico strumento di immagine muta nella direzione di uno strumento mirato verso il pubblico interno nell’ottica di sollecitare identificazione, partecipazione e scambio interattivo, con un’evoluzione presumibilmente destinata a proseguire (sulla falsariga di quanto avviene in molte grandi aziende, eventualmente con una parte specialistica tarata sulla fascia professionale, sull’area territoriale e quant’altro). Sul piano della comunicazione interna si fa inoltre ricorso ai meeting periodici a livello di top management e di direzione allargata; mol438 te speranze vengono fondate sul progetto di integrazione telematica degli uffici di cui è previsto l’integrale collegamento in rete, il quale porterà vantaggi rilevanti non solo sul piano dell’efficienza dell’organizzazione e dei servizi, ma anche sotto il profilo comunicazionale. Per quanto concerne la comunicazione esterna, a parte l’uso dei mass media per l’informazione sugli eventi più significativi dell’azienda (ad esempio la recente presentazione del Piano d’Impresa 1998-2002) per la prima volta nel luglio ‘98 le Poste si sono avvalse di una campagna pubblicitaria su radio e riviste per il lancio del servizio Pensionati e Accreditati. Le ragioni del ritardo comunicazionale stanno proprio nella filosofia che ispirava il servizio in passato: una filosofia in cui l’utente era di fatto subordinato ai prestatori del servizio, dove l’informazione era una prassi burocratica, dove su tutto prevaleva il rispetto delle procedure con qualche temperamento di segno paternalistico. In un contesto siffatto poteva esserci spazio per l’innovazione a carattere tecnologico, ma non certo per l’innovazione di prodotto, e questo rendeva superfluo il ricorso a strumenti di pubblicizzazione diversi dalla affissione di un avviso negli uffici postali. Ovvio, pertanto, che la scelta, d’altronde obbligata, del mercato scuota l’edificio dalle fondamenta e imponga di pensare a modalità e strumenti appropriati per un rapporto positivo dell’azienda con tutti i suoi clienti, quelli interni e quelli esterni. 4. In verità le Poste sotto questo profilo dispongono di atout formidabili riconducibili alla Rete territoriale degli sportelli e degli addetti al recapito, i quali sono quasi per definizione degli operatori della comunicazione dotati di forti capacità interattive. E’ questo un dato della struttura, che occorre mettere in grado di funzionare al meglio, intervenendo in modo appropriato sulla formazione e sulla motivazione. Su questa base si andranno ad aggiungere software più sofisticati, sempre orientati alla personalizzazione del rapporto con il cliente. E’ un fatto che il miglioramento dell’immagine del sistema postale andrà di pari passo con il miglioramento dell’efficienza delle prestazio439 ni e con la riconosciuta qualità dei servizi, cui non potrà non corrispondere un risultato economico positivo. Ciò non toglie che si possa e si debba lavorare anche in termini di politica dell’immagine con iniziative assunte sia a livello centrale sia a livello territoriale, tanto più che il radicamento sul territorio rappresenta storicamente il tratto più qualificante del sistema postale. Per comunicare efficacemente all’esterno non è sufficiente disporre di capacità tecniche e di contenuti validi da veicolare; occorre altresì da parte di chi comunica un forte grado di identificazione con l’azienda. Le precedenti logiche di identificazione burocratica avevano anche qualche merito nell’alimentare una cultura dignitosa del servizio pubblico. Ma, al di là delle degenerazioni che hanno finito col prevalere, quelle logiche non sono più in sintonia con la missione proposta all’azienda Poste. Sempre il Piano di Impresa 1998-2002 indica tra le Nuove Regole quella dell’aziendalizzazione dei comportamenti interni, passando, tra l’altro, da un modello in cui l’informazione era concepita come potere e la comunicazione era prevalentemente a carattere verticale a un altro radicalmente diverso in cui l’informazione è strumento di integrazione e la comunicazione ha soprattutto carattere orizzontale e diagonale. Ciò significa costruire un nuovo quadro concettuale cui far riferimento a tutti i livelli - dirigenziali, tecnici e operativi - e per tale scopo l’attività di formazione appare lo strumento di maggior rilievo. C’è da far crescere un clima aziendale orientato al coinvolgimento e alla cooperazione, non solo per le situazioni di emergenza come l’attuale, ma ancor più per la situazione a regime. 5. Si tratta di una questione che attiene alla più generale politica di gestione delle risorse umane con cui l’azienda si relaziona con i suoi clienti interni; e per ben relazionarsi la comunicazione deve ben funzionare su entrambi i versanti, assicurando uno scambio significativo e non meramente formale e di facciata. In una situazione che presenta le dimensioni e la complessità dell’azienda Poste, dove il processo di costruzione di una nuova identità 440 aziendale è in fase nascente, si dovrà probabilmente far ricorso a modalità di micro-marketing interno, espressione con la quale si definisce l’azione svolta da una struttura di persone, tendenzialmente stabile, formale o informale, distinta dalla struttura gerarchica e in qualche modo trasversale rispetto a questa, incaricata di veicolare iniziative specifiche mediante il dialogo con piccoli gruppi di colleghi e con singoli individui su temi che coinvolgono i valori su cui l’azienda si muove (v. A. Di Raco, Modelli di comunicazione interna in Fiat Auto). Si viene in tal modo a disporre di una rete di diffusori-comunicatori, formata da persone che continuano ad avere un proprio ruolo lavorativo, che alimentano i processi di comunicazione interna attraverso un rapporto “faccia a faccia”, capace di veicolare comportamenti attesi e valori di riferimento in modo più efficace di quanto non si potrebbe ottenere con il ricorso ai soli media interni di comunicazione di diversa natura (cartacea, elettronica, audiovisiva) la cui incisività finisce per trarre vantaggio proprio da un’attività di questo tipo. Poiché ogni azienda è un caso a sé, le Poste sapranno certamente implementare una strategia di comunicazione integrata appropriata rispetto agli obiettivi che si propongono. La condizione di transizione che le caratterizza costituisce una sfida senza dubbio difficile, ma al tempo stesso consente di individuare la via migliore per una trasformazione idonea ad assicurare con successo il perseguimento della nuova missione aziendale. In tale contesto le politiche della comunicazione non sono il rimedio a tutti i mali né il surrogato di quanto si dovrà realizzare nei diversi piani in cui si articola il nuovo progetto aziendale: possono però risultare preziose per ricompattare l’azienda al suo interno e per costruire un rapporto positivo con il pubblico esterno. 441 LE POLITICHE COMUNICAZIONALI DELL’INAIL 443 1. Nell’ambito delle Amministrazioni Pubbliche l’INAIL ha sviluppato una strategia della comunicazione che, muovendo da elementi consolidati nel corso della ormai più che centenaria storia dell’Istituto, fa registrare una significativa espansione negli anni più recenti, non a caso contraddistinti da rilevanti innovazioni nell’impianto normativo (D. lgs. N. 626/94 e n. 242/96). A tali innovazioni ha corrisposto un incisivo processo di riorganizzazione che, nel momento in cui si correla a una vera e propria mutazione attesa sia nel sistema di valori sia nei comportamenti operativi, ha preso coscienza del ruolo strategico che la comunicazione assolve vuoi in rapporto al successo del cambiamento organizzativo vuoi nell’ottica delle relazioni fra l’Ente e i suoi clienti, interni ed esterni. In tale contesto l’Istituto si è dotato dal ‘95 di una Direzione centrale per la comunicazione e le relazioni esterne, la cui attività si commisura su un vero e proprio Piano annuale della comunicazione ispirato ad alcuni principi fondamentali: • facilitazione delle interrelazioni fra dirigenti e personale; • coinvolgimento responsabile delle persone nei processi lavorativi ai fini della condivisione degli obiettivi strategici; • incremento del senso di appartenenza; • rafforzamento dell’orientamento al cliente interno ed esterno. Su questa filosofia di fondo, dalla quale traspare la consapevolezza delle strette connessioni fra comunicazione esterna e interna ai fini di una strategia integrata, viene fondato il piano degli obiettivi assegnati distintamente ai singoli ambiti. 445 2. In termini di comunicazione interna gli obiettivi attribuiti sono rivolti alla ottimizzazione dei flussi comunicazionali interni e al miglioramento del servizio offerto. Per il 1999 tali finalità verranno perseguite con le seguenti operazioni: • indagine sui flussi comunicazionali interni a seguito della emanazione della nuova Carta dei Servizi; • potenziamento del marketing verso il cliente interno ai fini di condivisione degli obiettivi e sottolineatura della validità e delle potenzialità degli strumenti operativi di volta in volta forniti; • adeguamento delle modalità di comunicazione alla nuova rete Intranet; • inserimento tra gli indicatori di qualità delle attività delle Direzioni regionali e delle Sedi di criteri di valutazione dei percorsi comunicazionali pianificati dalle medesime strutture; • completamento della attivazione degli UU.RR.PP. (Uffici Regionali per i rapporti con il pubblico); • iniziative di comunicazione a supporto dell’aggiornamento degli operatori sull’introduzione della moneta unica europea; • sostegno comunicazionale agli operatori interni in relazione agli sviluppi del progetto ESAW, che prevede l’acquisizione di informazioni più approfondite sulle modalità di accadimento degli infortuni ai fini della comparabilità in ambito europeo; • acquisizione progetto definitivo per l’attivazione della biblioteca. Per quanto attiene alla comunicazione esterna, ai fini del miglioramento del servizio e dell’incremento della visibilità dell’attività dell’Istituto sono previste: • attività di marketing per i prodotti prevenzionali; • sostegno comunicazionale in relazione agli sviluppi del succitato progetto ESAW con riferimento ai clienti esterni; • incremento delle attività relative alla comunicazione destinata all’utente esterno sull’avvio della moneta unica europea; • avvio marketing e sinergie con Enti esterni per l’attivazione della biblioteca; 446 • attività di monitoraggio per valutare il grado di soddisfazione del cliente esterno sulla qualità del servizio (un’indagine sulla “customer satisfaction” è stata già realizzata da una società esterna specializzata, sulla base di quanto previsto nella Carta dei Servizi di cui l’Ente si è dotato); • attività di telemarketing per il contatto personalizzato con utenti selezionati per la fornitura di informazioni di particolare rilievo; • governo e coordinamento degli aspetti di comunicazione esterna a sostegno del completamento del progetto UU.RR.PP.; • informatizzazione su CD ROM di Giurisprudenza e Rivista Infortuni. Sembra, ad una visione d’insieme degli obiettivi proposti su entrambi i versanti comunicazionali, di individuare quanto meno due significative connotazioni della politica dell’Istituto: • la prima, già richiamata ma ora ancor più evidente, che la comunicazione costituisce una risorsa di tipo orizzontale in grado di coinvolgere tanto i clienti interni quanto i clienti esterni e che pertanto viene trattata con un approccio politico unitario; • la seconda, che la comunicazione non è solo una funzione demandata a strutture dedicate, ma evolve fino a caratterizzarsi come un vero e proprio asset aziendale, a forte potenzialità di sviluppo, il cui consolidamento rappresenta una sorta di passaggio obbligato per la realizzazione delle finalità istituzionali, particolarmente per strutture di servizio collocate nell’ambito della P.A. 3. Passando a una ricognizione, sia pure sommaria, degli strumenti comunicazionali utilizzati dall’Istituto, va premesso che le innovazioni introdotte nell’ultimo periodo si sono inserite nel solco di una tradizione non priva di esperienze significative, specialmente sul piano delle pubblicazioni a carattere scientifico e tecnico-specialistico. Ciò vale in modo particolare per la Rivista degli Infortuni e delle Malattie professionali, VI serie della Rassegna della Previdenza Sociale, giunta all’85esimo anno di vita, indirizzata a un pubblico qualificato (medici, avvocati, esperti, ecc.) con una distribuzione in abbonamento di circa 3.000 copie. Oltre a una prima parte, concernente questioni tecnico-giuridiche, mediche e di ordine legislativo, la Rivista dedica una seconda parte agli 447 aspetti della Giurisprudenza; inoltre, viene pubblicata come supplemento una Collana di monografie sulle malattie professionali, articolata in due gruppi concernenti, rispettivamente, gli aspetti di medicina del lavoro e quelli più propriamente tecnici. Il periodico cura anche una serie di Quaderni, i quali, di norma, raccolgono gli Atti di Convegni in tema di assicurazione infortuni sul lavoro e malattie professionali promossi dall’INAIL. Del pari indirizzato a un pubblico specialistico è il Notiziario Statistico, pubblicazione trimestrale a cura della Consulenza statisticoattuariale. Come supplemento al Notiziario statistico vengono pubblicati i volumi “Statistiche per la prevenzione” con i dati relativi agli infortuni sul lavoro nell’industria, nell’artigianato e nell’agricoltura. In ogni caso l’Istituto ha realizzato un CD ROM contenente la Banca Dati; inoltre è possibile accedere a questa attraverso il Sito Internet dell’INAIL. Sul piano delle pubblicazioni periodiche la novità di maggior rilievo è peraltro rappresentata dalla rivista mensile “IL”, un vero e proprio house organ al suo secondo anno di vita, indirizzato gratuitamente a tutti i dipendenti, oltre che a una porzione ristretta di pubblico ritenuta interessante dall’Istituto. La Rivista analizza e discute problemi concernenti il ruolo dell’INAIL, le sue dinamiche organizzative, quantità e qualità dei servizi, aspetti della partecipazione al lavoro, oltre a fornire informazioni e valutazioni, concorrendo a delineare l’immagine dell’Istituto e a dar conto della sua vita interna. Proprio per questo essa viene realizzata pressoché esclusivamente all’interno ed è aperta agli interventi del personale dell’Istituto. Merita, infine, una sottolineatura l’esistenza di una attività organizzata di ascolto dell’Istituto nei confronti del mondo della carta stampata attraverso la produzione di una Rassegna Stampa Quotidiana, che è integrata da un Supplemento sulla stampa estera a cadenza quindicinale. L’attività di comunicazione dell’INAIL si traduce inoltre in una serie di prodotti funzionali alle attività istituzionali, con particolare ri448 guardo alla prevenzione degli infortuni, sulla base di quanto previsto nel D. lgs. N. 242/96. Per rispondere alle esigenze del nuovo quadro normativo l’INAIL ha istituito un Centro Studi e Servizi per la Prevenzione e una serie di Nuclei Regionali per la Prevenzione, con i quali, oltre che svolgere attività di assistenza e consulenza, organizza corsi di formazione e seminari e produce opuscoli, filmati e audiovisivi in materia di sicurezza e igiene sul lavoro; è poi disponibile per gli utenti un filo diretto per la prevenzione e la sicurezza, gestito insieme con l’ISPESL, mentre iniziative ad hoc sono assunte verso settori più a rischio (edilizia, artigianato, ecc.). Nell’ambito dei servizi prestati l’Istituto, attraverso i propri uffici relazioni con il pubblico presenti in ogni sede, mette a disposizione la modulistica necessaria, opportunamente revisionata ai fini di una fruizione più comprensibile ed efficace; inoltre è possibile disporre di una Guida completa, anche su floppy disk, per l’autoliquidazione del premio e la denuncia nominativa degli assicurati. E’ questo un campo che assorbe oltre un miliardo di spese, volume di risorse il cui impegno è motivato dall’importanza del risultato perseguito ai fini della vita dell’Istituto, tenuto conto altresì del fatto che circa i due terzi delle posizioni assicurative INAIL sono intermediate da associazioni di categoria, consulenti del lavoro, ecc., il che richiede anche iniziative mirate. L’INAIL partecipa, spesso con un proprio stand, a mostre e fiere specializzate (Forum P.A., SMAU, ecc.), oltre a organizzare convegni a rilievo nazionale e internazionale (per tutte queste attività il budget ‘99 prevede circa 3,1 miliardi di spese). A questo complesso e articolato impegno sul piano comunicazionale corrisponde un impegno significativo sul piano finanziario: oltre ai 3 miliardi succitati per l’attività di presenza esterna attraverso mostre, fiere, convegni ecc., circa 2 miliardi vengono assorbiti dalle pubblicazioni e circa 5 miliardi sono il budget pubblicitario (di cui 2,3, peraltro, impegnati dalla pubblicizzazione delle gare d’appalto). I diversi elementi, qui richiamati soltanto sommariamente, danno la misura non solo dell’impegno dell’Istituto sul piano della comunica449 zione, ma soprattutto configurano quest’ultima come il vettore di una parte assolutamente essenziale dell’attività istituzionale, che ha con il pubblico esterno relazioni numerosissime e di segno assai diverso. In questo senso si può dire che l’Istituto vive e raggiunge i suoi obiettivi intanto in quanto è capace di comunicare con il cliente esterno: il che significa che larga parte del personale dell’Istituto deve acquisire le competenze e le abilità tipiche della comunicazione, intesa come risorsa strategica per il successo della missione dell’Ente. 4. All’interno delle politiche comunicazionali di un Ente/Azienda, e specialmente con riferimento alle problematiche della comunicazione interna, le politiche formative assumono un rilievo di particolare spessore; ciò è tanto più vero quando la comunicazione ha, come nel caso dell’INAIL, una centralità determinante ai fini del raggiungimento degli scopi istituzionali, come l’analisi fin qui svolta ha posto in evidenza. E’ difficile in situazioni di questo tipo che si possa efficacemente comunicare con l’esterno, se non ci si muove in un contesto valido di comunicazione all’interno; non si possono trasferire all’esterno i valori nuovi assegnati all’Ente se questi non vengono assimilati all’interno dell’Ente medesimo. C’è da precisare che non si tratta di una questione di precedenza su cosa viene prima e cosa viene dopo; è questione, invece, di innescare processi a carattere interattivo da cui discendono i cambiamenti attesi. Nella impostazione della propria politica formativa l’INAIL ha definito il 1996 come l’anno del “decollo della trasformazione” e il 1997 come l’anno della “svolta culturale”; il 1998 viene proposto come l’anno del “consolidamento e della qualità”. Il consolidamento attiene ai progetti concernenti: • l’accrescimento delle capacità dei dirigenti e dei quadri di agire in autonomia nelle sfere di competenza loro assegnate; • il potenziamento delle competenze di dirigenti, quadri e operatori relative al sistema assicurativo tradizionale e di prospettiva; • l’aggiornamento continuo dei “professionisti” (circa 2.000 addetti su 12 mila complessivi) nelle materie specialistiche loro propizie; 450 • la professionalizzazione informatica del personale. La Qualità, intesa nel concetto avanzato di corrispondenza dei servizi resi alle attese dei clienti interni ed esterni, secondo criteri e modalità predefinite e “certificabili”, è previsto debba riguardare: • i soggetti che operano nel campo della programmazione e degli sviluppi organizzativi complessivi mirati ad affrontare la competizione nei servizi; • le famiglie professionali che agiranno come “progettisti, comunicatori e formatori” in tale campo d’azione; • i professionisti, particolarmente quanti operano nel campo sanitario e della prevenzione, in quanto incidono profondamente nei rapporti dell’Istituto con la clientela esterna. Più in generale, con riferimento alle tematiche comunicazionali, dei circa 7,5 miliardi che l’INAIL destina alla formazione circa 1/3, nella valutazione espressa dagli uffici, sono dedicati alla comunicazione. In coerenza con le caratteristiche diffusive che una comunicazione efficace esige, l’Istituto persegue sul piano delle politiche formative una logica di decentramento che consente l’attribuzione a livello delle Direzioni regionali di risorse fino al 15% del già citato budget formativo (allo stato si è pervenuti a un impegno a livello decentrato di circa 700 milioni). All’interno del Piano nazionale della formazione, spetta alle Direzioni regionali elaborare Piani formativi che tengano conto delle diverse dinamiche della composizione e dell’articolazione del personale sul territorio, nonché delle condizioni di mercato del bacino di riferimento. Aspetto particolarmente significativo, anche nell’ottica di una comunicazione interna interattiva, è l’attenzione posta alla definizione di modelli di valutazione fondamentali per la rilevazione dei ritorni delle attività formative poste in essere. Non a caso, analizzando i risultati relativi all’attività formativa svolta nel ‘96, sono emersi rilievi circa l’insufficiente qualità delle comunicazioni interne, cui si è dato riscontro nei programmi degli anni successivi. Va tenuto in considerazione, sul piano quantitativo, che nella sola Scuola di Firenze, la struttura di formazione a livello centrale, le pre451 senze sono valutate intorno a 4-5 mila all’anno (l’Ente dispone inoltre di un’altra unità formativa, di ridotte dimensioni ma fortemente qualificata sul piano tecnico, il Centro Protesi di Vigorso di Budizio). Altro aspetto rilevante è che circa il 50% degli interventi formativi vengono forniti direttamente dall’Ente, il quale dispone di un nucleo di circa 60 formatori. 5. In una visione d’insieme le attività comunicazionali dell’INAIL appaiono supportate da un disegno strategico, volto ad assicurare la più ampia sinergia fra quanto è rivolto all’interno e quanto all’esterno, con una sorta di rimbalzo di effetti fra un campo e l’altro. Si tratta ovviamente di un disegno che necessita di ulteriori implementazioni, ma che al tempo stesso evidenzia la natura processuale dei fatti comunicazionali e le interrelazioni che li legano al di là delle soluzioni adottate sul piano organizzativo. Emerge, infine, con chiarezza la natura “culturale” delle condizioni che presiedono all’allargamento degli spazi della comunicazione nella vita aziendale. Il fatto che tale conclusione discenda da un test effettuato su un organismo facente parte della P.A. dà la misura delle profonde trasformazioni che sono in corso. 452 CAPITOLO IX I SOGGETTI DELLA COMUNICAZIONE D’IMPRESA 453 LE ASSOCIAZIONI DELLA COMUNICAZIONE 455 LE ASSOCIAZIONI CHE ADERISCONO COMUNICAZIONE D’IMPRESA): ALL’ICI (INTERASSOCIAZIONE DELLA ACPI (Assoc. Consulenti Pubblicitari Italiani) ADCI (Art Directors Club Italiano) AIAP (Assoc. Italiana Progettazione per la Comunicazione Visiva) AICAP (Assoc. Aziende Italiane Cartelli e Arredi Pubblicitari) AICUN (Associazione Italiana Comunicatori d’Università) AISM (Assoc. Italiana per gli Studi di Marketing) ANSWER (Associazione Italiana Sponsorizzazioni) ASCAI (Associazione per lo Sviluppo delle Comunicazioni Aziendali in Italia) COMUNICAZIONE PUBBLICA E ISTITUZIONALE (Assoc. della) ERREPI STUDENTI (Associazione Italiana Studenti Universitari di Relazioni Pubbliche) FEDERPUBBLICITA’ (Federazione Italiana Operatori di Pubblicità) FERPI (Feder. Relazioni Pubbliche Italiana) IAA (International Advertising Association) INTERACTA (Associazione Italiana della Comunicazione Interattiva) TP (Assoc. Italiana Pubblicitari Professionisti) 457 LE ASSOCIAZIONI CHE ADERISCONO ALLA DELLA FEDERAZIONE ITALIANA COMUNICAZIONE D’IMPRESA: AIPAS (Associazione Italiana Imprese di Comunicazione) ANASP (Associazione Nazionale Agenzie di Servizi di Marketing Operativo) ASP (Associazione Italiana Agenzie di Promozione) AssAP (Associazione Italiana Agenzie di Promozione) ASSIRM (Associazione tra Istituti di Ricerche di Mercato, Sondaggi di Opinione, Ricerca sociale) ASSODIRECT (Associazione delle Agenzie di Direct Marketing a servizio completo) ASSOMEDIA (Associazione dei Centri Media) ASSOREL (Associazione delle Agenzie di Relazioni Pubbliche a servizio completo) OTEP (Associazione Imprese Italiane di Pubblicità e Comunicazione) 458 ALTRE ASSOCIAZIONI DELLA COMUNICAZIONE: AAPI (Associazione Aziende Pubblicitarie Italiane) ACP (Associazione Concessionarie di Pubblicità) ADICO (Associazione Italiana Direttori Commerciali e Marketing Managers) ADS (Accertamenti Diffusione Stampa) AIDM (Associazione Italiana per il Direct Marketing) AIM C/O SYNTAGMA (Associazione Italiana Meeting Planners) AISSCOM (Assoc. Italiana Società e Studi della Comunicazione) AITEM (Assoc. delle Società di Telemarketing) ANES (Assoc. Nazionale Editoria Periodica Specializzata) ASSOPROM (Associaz. Italiana Produttori e Distributori Articoli Pubblicitari e Promozionali) AUDIPRESS AUDIRADIO AUDITEL CLUB DELLA COMUNICAZIONE D’IMPRESA COMITATO TUTELA DEL RUOLO DELLE IMPRESE DI COMUNICAZIONE FEDERAZIONE CONCESSIONARIE PUBBLICITA’ FIEG (Federazione Italiana Editori Giornali) FISPE (Federazione Italiana Sviluppo Pubblicità Esterna) FLAI (Free Lance Associazione Italiana) FNSI (Federazione Nazionale della Stampa Italiana) GUS (Gruppo Giornalisti Ufficio Stampa) 459 ITALCONGRESSI (Assoc. Italiana Relazioni Internazionali Congressuali) MPI (Meeting Professional International) ONG (Ordine Nazionale Giornalisti) PCO Italia (Associazione Italiana Imprese di Organizzazione Congressuale) PUBBLICITA’ PROGRESSO UPA (Utenti Pubblicità Associati) USPI (Unione Stampa Periodica Italiana) 460 RIVISTE SPECIALIZZATE 461 ELENCO DELLE RIVISTE ATTIVE ADV Trimestrale di cultura della comunicazione Anno di fondazione: 1995 Periodicità: trimestrale Tiratura: 1.000 Direttore: Anna Pelucchi Editore: Soluzione Group Indirizzo: 25100 Brescia, Viale S. Eufemia 36/A Tel.: 030/3366213 Advertiser L’Utente di pubblicità Anno di fondazione: 1957 Periodicità: mensile Tiratura: 12.000 Direttore: Paolo Bellavista Editore: Finedit Indirizzo: 20131 Milano, Via Desiderio 3/9 Tel.: 02/2367197 Abbonamento: L. 85.000 463 Business Communications Trimestrale di marketing e comunicazione d’impresa Anno di fondazione: 1992 Periodicità: trimestrale Tiratura: 4.000 Direttore: Giorgio Mameli Editore: Partners in Business Communications Indirizzo: 20121 Milano, Via Sella 4 Tel.: 02/725031 CM Comunicazione & Management Rassegna semestrale di cultura della comunicazione d’impresa Anno di fondazione: 1991 Periodicità: semestrale Tiratura: 17.000 Direttore: Umberto Frugiuele Editore: Solofim Indirizzo: 20129 Milano, Via Compagnoni 30 Tel.: 02/76110426 Abbonamento biennale: L. 24.000 http://www.ecostampa.it/cm Comunicazione Idee & fatti per trasferire l’esperienza Anno di fondazione: 1979 Periodicità: semestrale Tiratura: 5.000 Direttore: Enrico Cogno Editore: Cogno & Associati Indirizzo: 00153 Roma, Via dell’Arco dei Tolomei 26/C Tel.: 06/5881600 Comunicazione pubblica Mensile dell’Associazione italiana della comunicazione pubblica e istituzionale Anno di fondazione: 1992 464 Periodicità: mensile Tiratura: 4.000 Direttore: Gerardo Mombelli Editore: Associazione italiana della comunicazione pubblica e istituzionale Indirizzo: 20121 Milano, Piazza Cavour 2 Tel.: 02/795592 Comunicazioni Sociali Anno di fondazione: 1973 Periodicità: trimestrale Tiratura: 1.150 Direttore: Gianfranco Bettetini Redazione: Università Cattolica del Sacro Cuore Editore: Vita e Pensiero Indirizzo: 20123 Milano, Largo Gemelli 1 Tel.: 02/72342335 Abbonamento: L. 61.000 Comunico Anno di fondazione: 1996 Periodicità: bimestrale Tiratura: 15.000 Direttore: Claudio Maffei Editore: Laser Grafica Polver Indirizzo: 20123 Milano, Via Leopardi 2 Tel.: 0331/963111 Abbonamento: L. 40.000 Dati e tariffe pubblicitarie Prontuario dei mezzi pubblicitari italiani Anno di fondazione: 1963 Periodicità: bimestrale Direttore: Adolfo Galleazzi Editore: Strategia Editoriale Indirizzo: 20123 Milano, Piazzale Cantore 12 465 Tel.: 02/671511 Abbonamento: L. 1.000.000 Desk Rivista di cultura della comunicazione Anno di fondazione: 1994 Periodicità: trimestrale Direttore: Paolo Scandaletti Editore: Unione Cattolica Stampa Italiana Indirizzo: 00186 Roma, Via in Lucina 16/A Tel.: 06/68802874 DM&C Direct Marketing & Comunicazione d’impresa Anno di fondazione: 1991 Periodicità: mensile Tiratura: 6.000 Direttore: Ugo Canonici Editore: Deus Indirizzo: 20139 Milano, Via Breno 1 Tel.: 02/57402781 Abbonamento: L. 60.000 Diritto dell’informazione e dell’informatica (Il) Anno di fondazione: 1985 Periodicità: bimestrale Tiratura: 1.200 Direttore: Luca Boneschi Editore: Giuffré Indirizzo: 20151 Milano, Via Busto Arsizio 40 Tel.: 02/38089200 Abbonamento: L. 150.000 http://www.giuffre.it Editore (L’) Mensile di informazione e documentazione Anno di fondazione: 1977 466 Periodicità: mensile Direttore: Giovanni Giovannini Editore: Gutemberg 2000 Indirizzo: 10126 Torino, Corso D’Azeglio 60 Tel.: 011/6504430 Abbonamento: L. 60.000 Fax. Impresa & Comunicazione Rivista di economia, marketing, entipologia, comunicazione Anno di fondazione: 1996 Periodicità: aperiodico Direttore: Piergiorgio Scoffone Editore: Neos. Tipolito Subalpina Indirizzo: 10142 Torino, Via Chambery 93/115 Tel.: 011/7709033 Global Anno di fondazione: 1988 Periodicità: trimestrale Tiratura: 9.500 Direttore: Roberto Albano Editore: Media Key Indirizzo: 20139 Milano, Via Arcivescovo Romilli 20/8 Tel.: 02/55210264 Gulliver Mensile politico sulle comunicazioni di massa Anno di fondazione: 1991 Periodicità: mensile Direttore: Stefania Brai Editore: Associazione Gulliver Indirizzo: 00191 Roma, Viale Tor di Quinto 19/B Tel.: 06/3331718 Abbonamento: L. 50.000 467 Impressioni Periodico mensile di informazione e comunicazione Anno di fondazione: 1993 Periodicità: mensile Direttore: Emilia Blanchetti Editore: Pres Indirizzo: 10098 Rivoli (TO), Corso Susa 242 Tel.: 011/9535231 Abbonamento: L. 68.000 http://www.pres.it Interactive Multimedia Magazine Bimestrale di cultura e applicazioni multimediali Anno di fondazione: 1994 Periodicità: bimestrale Direttore: Enzo Perilli Editore: Publitarget Indirizzo: 00196 Roma, Via Calderini 68 Tel.: 06/3233180 Abbonamento: L. 150.000 http://www.vol.it/IT/IT/EDICOLA/INTMMEDIA/ Ikon Ricerche sulle comunicazioni. Rivista dell’Istituto A. Gemelli e C. Musatti Anno di fondazione: 1947 Periodicità: semestrale Direttore: Gianfranco Bettetini Redazione: Istituto A. Gemelli e C. Musatti Editore: Franco Angeli Indirizzo: 20127 Milano, Viale Monza 106 Tel.: 02/2895762 Abbonamento: L. 68.000 http://francoangeli.it/frames1.htm Impresa & Comunicazione Intraprenditori in movimento Anno di fondazione: 1993 468 Periodicità: bimestrale Direttore resp.: Alberto Crementi Direttore edit.: Alessandro Nardi Editore: D&D Editori Indirizzo: 63100 Ascoli Piceno, Zona industriale Marino del Tronto Tel.: 0861/816095 Lineagrafica Rivista internazionale di grafica e comunicazione visiva Anno di fondazione: 1946 Periodicità: bimestrale Tiratura: 13.000 Direttore: Giovanni Baule Editore: Progetto Editrice Indirizzo: 20121 Milano, Corso Garibaldi 64 Tel.: 02/6575351 Abbonamento: L. 115.000 http://www.lineagrafica.progetto-ed.it/ Media Duemila Mensile di comunicazione e informazione elettronica Anno di fondazione: 1983 Periodicità: mensile Direttore: Giovanni Giovannini Editore: Gutemberg 2000 Indirizzo: 10126 Torino, Corso D’Azeglio 60 Tel.: 011/6504430 Abbonamento: L. 60.000 http://www.crs4.it/˜zip/media_duemila.html Media Forum News magazine. Dalla comunicazione globale al mercato media Anno di fondazione: 1970 Periodicità: mensile Tiratura: 6.000 Direttore: Enrico Robbiati 469 Editore: Ediforum Indirizzo: 20135 Milano, Via Trebbia 5 Tel.: 02/58300548 Abbonamento: L. 160.000 http://www.ediforum.it/mforum.htm Media Key Mensile professionale di comunicazione, media e marketing Anno di fondazione: 1982 Periodicità: mensile Tiratura: 11.000 Direttore: Roberto Albano Editore: Media Key Indirizzo: 20139 Milano, Via Arcivescovo Romilli 20/8 Tel.: 02/70638348 Abbonamento: L. 200.000 Media Philosophy Studi sui nuovi linguaggi della comunicazione Anno di fondazione: 1996 Periodicità: semestrale Direttore: Stefano Cristante Redazione: Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Cattedra di Sociologia delle comunicazioni di massa Editore: Costa & Nolan Indirizzo: 16122 Genova, Via Felice Romani 8 Tel.: 06/49918450 http://shiva.soc.uniroma1.it/mediaphi/media.htm Mediabook Italia La prima rivista dei media e del media planning Anno di fondazione: 1982 Periodicità: semestrale Tiratura: 4.000 Direttore: Lillo Perri Editore: Business Publishing Services 470 Indirizzo: 20129 Milano, Via Stradella 3 Tel.: 02/29400554 Abbonamento: L. 300.000 Mediaplusnews Mensile di informazione, cultura e attualità tecnologiche Anno di fondazione: 1987 Periodicità: mensile Tiratura: 12.000 Direttore: Franco Marelli Coppola Editore: Media Plus Indirizzo: 20123 Milano, Via Ansonio 5 Tel.: 02/8322832 Abbonamento: L. 50.000 Metis Ricerche di sociologia, psicologia e antropologia della comunicazione Anno di fondazione: 1994 Periodicità: annuale Direttore: Sandro Carpanese Redazione: Università di Padova. Dipartimento di Psicologia Generale Editore: Cleup Indirizzo: 35122 Padova, Via Prati 19 Tel.: 049/650261 Micro & Macro Marketing Quadrimestrale di studi di marketing e comunicazione Anno di fondazione: 1992 Periodicità: quadrimestrale Direttore: Dario Romano Editore: Il Mulino Indirizzo: 40125 Bologna, Strada Maggiore 37 Tel.: 051/256011 Abbonamento: L. 74.000 http://www.mulino.it/frame2.htm 471 Millecanali Televisione, radio, comunicazione, spettacolo Anno di fondazione: 1974 Periodicità: mensile Tiratura: 11.000 Direttore: Jacopo Castelfranchi Editore: Gruppo editoriale JCE Indirizzo: 20092 Cinisello Balsamo (MI), Via Ferri 6 Tel.: 02/660251 Abbonamento: L. 93.000 http://www.jce.it/COMUNIC/MILLECANALI/MILLECANALI.HTM Multimedia Comunicazione, formazione e tecnologie Anno di fondazione: 1991 Periodicità: semestrale Tiratura: 5.000 Direttore: Luciano Galliani Editore: Sonda Indirizzo: 10149 Torino, Via Ciamarella 23/3 Tel.: 011/211442 Abbonamento: L. 50.000 Nordest Business Anno di fondazione: 1998 Periodicità: mensile Tiratura: 12.000 http://www.fullstopagency.it/neb/nordest.htm Prima Comunicazione Mensile di informazione editoriale Anno di fondazione: 1973 Periodicità: mensile Tiratura: 21.000 Direttore: Umberto Brunetti Editore: Genesis Editoriale 472 Indirizzo: 20123 Milano, Via Saffi 12 Tel.: 02/48194401 Abbonamento: L. 150.000 Problemi dell’informazione Trimestrale di media e comunicazione Anno di fondazione: 1976 Periodicità: trimestrale Tiratura: 3.000 Direttore: Paolo Murialdi Editore: Il Mulino Indirizzo: 40125 Bologna, Strada Maggiore 37 Tel.: 051/256011 Abbonamento: L. 80.000 http://www.mulino.it/frame2.htm Proiezioni Anno di fondazione: 1994 Periodicità: quadrimestrale Tiratura: 100.000 Direttore: Gabriele Zerbi Editore: Argomenta Indirizzo: 20148 Milano, Via Meloria 22 Tel.: 02/33002875 Pubblicità domani La logica del marketing. L’emozione dei messaggi Anno di fondazione: 1972 Periodicità: bimestrale Tiratura: 12.500 Direttore: Loriano Martinoli Editore: Nim Indirizzo: 20121 Milano, Via Lovanio 6 Tel.: 02/878317 Abbonamento: L. 54.000 473 Pubblicità Italia Il primo giornale della pubblicità, del marketing e dei media Anno di fondazione: 1989 Periodicità: settimanale Tiratura: 8.370 Direttore: Lillo Perri e Salvatore Sagone Editore: Marketing Finanza Italia Indirizzo: 20139 Milano, Via Stradella 3 Tel.: 02/29400554 Abbonamento: L. 350.000 Pubblico Il primo settimanale di pubblicità, marketing e comunicazione integrata Anno di fondazione: 1979 Periodicità: settimanale Tiratura: 10.000 Direttore: Loriano Martinoli Editore: Nim Indirizzo: 20121 Milano, Via Lovanio 6 Tel.: 02/8055215 Abbonamento: L. 260.000 Publitransport Rivista di comunicazione, advertising, media Anno di fondazione: 1961 Periodicità: semestrale Tiratura: 4.300 Direttore resp.: Giorgio Faggioni Direttore edit.: Luisella Nicastri Editore: Impresa Generale Pubblicità Indirizzo: 20121 Milano, Piazza Cavour 1 Tel.: 02/654651 Abbonamento: gratuito Responsabilità comunicazione impresa Anno di fondazione: 1996 474 Periodicità: trimestrale Direttore: Ugo Ruffolo Editore: Giuffré Indirizzo: 20151 Milano, Via Busto Arsizio 40 Tel.: 02/38089200 Abbonamento: L. 100.000 http://www.giuffre.it Sociologia della comunicazione Anno di fondazione: 1982 Periodicità: semestrale Direttore: Enrico Mascilli Migliorini Redazione: Università di Urbino. Istituto di Scienze dello spettacolo e Sociologia della comunicazione Editore: Franco Angeli Indirizzo: 20127 Milano, Viale Monza 106 Tel.: 02/2895762 Abbonamento: L. 68.000 http://www.francoangeli.it/frames1.htm Strategia Mensile italiano della comunicazione pubblicitaria Anno di fondazione: 1973 Periodicità: mensile Tiratura: 9.120 Direttore: Ivana Pasian Editore: Strategia Editoriale Indirizzo: 20123 Milano, Piazzale Cantore 12 Tel.: 02/671511 Abbonamento: L. 154.000 Telèma Attualità e futuro della società multimediale Anno di fondazione: 1995 Periodicità: trimestrale Tiratura: 10.000 475 Direttore resp.: Ignazio Contu Direttore edit.: Angelo Picano Editore: Fondazione Bordoni Indirizzo: 00142 Roma, Via Castiglione 59 Tel.: 06/54801 Abbonamento: L. 50.000 http://www.fub.it/telema/ TV Key Mensile professionale di comunicazione televisiva Anno di fondazione: 1987 Periodicità: mensile Tiratura: 10.500 Direttore: Roberto Albano Editore: Media Key Indirizzo: 20133 Milano, Via Lippi 33/C Tel.: 02/2367891 Vita italiana. Istituzioni e comunicazione Anno di fondazione: 1987 Periodicità: trimestrale Tiratura: 100 Direttore: Stefano Rolando Editore: Presidenza del Consiglio dei Ministri. Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato Indirizzo: 00198 Roma, Piazza Verdi 10 Redazione: 00198 Roma, Via Po 14/16A Tel.: 06/85082175 Abbonamento: L. 55.000 476 ANNUARI, GUIDE E SUPPLEMENTI ANNUALI Agenzie Annual di Strategia Periodicità: annuale Direttore: Ivana Pasian Editore: Strategia Editoriale Indirizzo: 20123 Milano, Piazzale Cantore 12 Tel.: 02/671511 Agenzie & Clienti Periodicità: semestrale Direttore: Ivana Pasian Editore: Strategia Editoriale Indirizzo: 20123 Milano, Piazzale Cantore 12 Tel.: 02/671511 Case di produzione Periodicità: annuale Direttore: Ivana Pasian Editore: Strategia Editoriale Indirizzo: 20123 Milano, Piazzale Cantore 12 Tel.: 02/671511 477 Chi è della pubblicità e della comunicazione Periodicità: annuale Tiratura: 5.000 Direttore: Lillo Perri Editore: Business Publishing Services Indirizzo: 20129 Milano, Via Stradella 3 Tel.: 02/29400554 Creativi & Fornitori Guida professionale ai fornitori di creatività e servizi per la pubblicità Periodicità: annuale Tiratura: 3.500 Direttore: Lillo Perri Editore: Business Publishing Services Indirizzo: 20129 Milano, Via Stradella 3 Tel.: 02/29400554 Grande libro della stampa italiana Periodicità: annuale (supplemento a Prima Comunicazione) Direttore: Umberto Brunetti Editore: Genesis Editoriale Indirizzo: 20123 Milano, Via Saffi 12 Tel.: 02/48194401 Guida Agenzie La guida di riferimento per chi investe in pubblicità Periodicità: annuale Tiratura: 5.000 Direttore: Lillo Perri Editore: Business Publishing Services Indirizzo: 20129 Milano, Via Stradella 3 Tel.: 02/29400554 Guida Marketing La prima guida di riferimento per gli specialisti del marketing Periodicità: annuale 478 Tiratura: 5.000 Direttore: Lillo Perri Editore: Business Publishing Services Indirizzo: 20129 Milano, Via Stradella 3 Tel.: 02/29400554 Guida MI Il mercato dell’informazione dalle basi di dati ai CD-ROM Anno di fondazione: 1990 Periodicità: annuale Tiratura: 100 Direttore: Giovanni Tomei Editore: Medianet Indirizzo: 00161 Roma, Via Piazza 24 Tel.: 06/44243666 Abbonamento: L. 220.000 Guida Packaging La prima guida di riferimento per gli specialisti del packaging e design Periodicità: annuale Tiratura: 5.000 Direttore: Lillo Perri Editore: Business Publishing Services Indirizzo: 20129 Milano, Via Stradella 3 Tel.: 02/29400554 Italia dei mezzi locali (L’) Periodicità: annuale Direttore: Ivana Pasian Editore: Strategia Editoriale Indirizzo: 20123 Milano, Piazzale Cantore 12 Tel.: 02/671511 Mediabook Specializzati La prima guida completa per pianificare su mezzi specifici e di categoria Anno di fondazione: 1985 479 Periodicità: annuale Tiratura: 4.000 Direttore: Lillo Perri Editore: Business Publishing Services Indirizzo: 20129 Milano, Via Stradella 3 Tel.: 02/29400554 Abbonamento: L. 300.000 Millecanali. Annuario delle radio italiane Anno di fondazione: 1994 Periodicità: annuale Tiratura: 30.000 Direttore: Jacopo Castelfranchi Editore: Gruppo editoriale JCE Indirizzo: 20092 Cinisello Balsamo (MI), Via Ferri 6 Tel.: 02/660251 Abbonamento: L. 93.000 Millecanali. Annuario delle TV italiane Anno di fondazione: 1994 Periodicità: annuale Tiratura: 30.000 Direttore: Jacopo Castelfranchi Editore: Gruppo editoriale JCE Indirizzo: 20092 Cinisello Balsamo (MI), Via Ferri 6 Tel.: 02/660251 Abbonamento: L. 93.000 Protagonisti (I) Nomi, indirizzi e informazioni degli operatori di marketing e comunicazione d’impresa Periodicità: annuale (supplemento a DM&C) Tiratura: 6.000 Direttore: Ugo Canonici Editore: Deus Indirizzo: 20139 Milano, Via Breno 1 Tel.: 02/57402781 480 Pubblicità & Successo Anno di fondazione: 1984 Periodicità: annuale (supplemento a Pubblico) Direttore: Loriano Martinoli Editore: Nim Indirizzo: 20121 Milano, Via Lovanio 6 Tel.: 02/29005329 Sulla carta nel 2000 Periodicità: annuale Direttore: Ivana Pasian Editore: Strategia Editoriale Indirizzo: 20123 Milano, Piazzale Cantore 12 Tel.: 02/671511 Uomini Comunicazione Periodicità: annuale (supplemento a Prima Comunicazione) Direttore: Umberto Brunetti Editore: Genesis Editoriale Indirizzo: 20123 Milano, Via Saffi 12 Tel.: 02/48194401 481 ELENCO DELLE RIVISTE CESSATE Advertising & News Dorland Trimestrale d’informazione su pubblicità e marketing Periodicità: trimestrale Direttore: Alberto Guastini Editore: Ghold Indirizzo: 20144 Milano, Via Cimarosa 12/5 Tel.: 02/4690614 Campagne Cultura della comunicazione Anno di fondazione: 1981 Periodicità: bimestrale Direttore: Giuseppe Roggero Editore: Summa Indirizzo: 20123 Milano, Via Monti 15 Tel.: 02/4983264 Comunicare La rivista della pubblicità, della comunicazione, delle strategie e analisi di mercato Anno di fondazione: 1986 Cessato: 1990 Periodicità: mensile 482 Direttore: Oliviero Beha Editore: Editoriale Comunicare Indirizzo: 20123 Milano, Via Caradosso 18 Tel.: 02/4396976 Comunicazione di massa Anno di fondazione: 1980 Cessato: 1987 Periodicità: quadrimestrale Direttore: Furio Colombo Editore: SugarCo Indirizzo: 20124 Milano, Viale Tunisia 41 Comunicazioni di massa Anno di fondazione: 1963 Periodicità: trimestrale Redazione: Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Istituto di Pedagogia. Centro di Sociologia e delle Comunicazioni di massa DM Direct Marketing Strategie e tecniche di comunicazione e vendita Anno di fondazione: 1987 Cessato: 1991 Periodicità: mensile Direttore editoriale: Ugo Canonici Direttore responsabile: Marco Bindi Editore: Alfa Linea Indirizzo: 20124 Milano, Viale Sondrio 5 Tel.: 02/66987575 Electronic mass media age Mensile di informazione per media-people di agenzie e utenti Anno di fondazione: 1984 Periodicità: mensile Direttore editoriale: Francesco Siliato Direttore responsabile: Michele Di Pisa Editore: Systems Indirizzo: 20090 Opera Milano, Via Mosè 22 Tel.: 02/57606310 483 Icom Istituzioni e comunicazione Anno di fondazione: 1988 Cessato: 1995 Periodicità: mensile Tiratura: 7.000 Direttore: Stefano Rolando Editore: Presidenza del Consiglio dei Ministri. Dipartimento per l’informazione e l’editoria Indirizzo: 00187 Roma, Via Boncompagni 15 Tel.: 06/48797721 Abbonamento: gratuito Marketing Espansione Trimestrale di marketing e comunicazione in collaborazione con l’Adico Anno di fondazione: 1980 Cessato: 1992 Periodicità: trimestrale Direttore: Marco Borsa Editore: Mondadori Indirizzo: 20090 Segrate Milano, Via Mondadori Mass media Rivista bimestrale della comunicazione Anno di fondazione: 1982 Cessato: 1995 Periodicità: bimestrale Direttore: Gino Agnese Editore: Capone Indirizzo: 00186 Roma, Via Tribuna di Tor de’ Specchi 18/A Tel.: 06/6794268 Mediario Annuario italiano dei media. La comunicazione verso l’editoria multimediale Anno di fondazione: 1995 Cessato: 1997 Periodicità: annuale Tiratura: 3.000 484 Direttore: Mario Dalmaviva Editore: Viva Indirizzo: 10146 Torino, Via Invorio 24/A Tel.: 011/7720401 Abbonamento: L. 45.000 Millimetro (Il) Periodico di comunicazione multimediale Anno di fondazione: 1964 Cessato: 1995 Periodicità: trimestrale Tiratura: 6.000 Direttore: Leonardo Zega Editore: St. Paul International Indirizzo: 20145 Milano, Via Duccio di Boninsegna 10 Tel.: 02/48008838 Mix Rivista periodica semestrale di immagine e comunicazione Anno di fondazione: 1987 Editore: Media Control Nuovo Comunicazione e immagine Anno di fondazione: 1981 Cessato: 1990 Periodicità: trimestrale Direttore: Renata Andrea Prevost Editore: Ediforum Indirizzo: 20122 Milano, Viale d’Este 37 Tel.: 02/58300548 Parete Anno di fondazione: 1952 Periodicità: quadrimestrale Direttore: Susanna Merzek Editore: Igap Indirizzo: 20123 Milano, Via Giulini 2 Tel.: 02/8690151 485 Pubblicità domani Quindicinale della pubblicità e della comunicazione Anno di fondazione: 1972 Cessato: 1973 Periodicità: quindicinale Editore: Associazione Giovani Pubblicitari (YAIA) Stato & Comunicazione Comunicazione degli enti e delle aziende pubbliche Anno di fondazione: 1982 Cessato: 1987 Periodicità: bimestrale Direttore: Giancarlo Buzi Editore: Pola Indirizzo: 20123 Milano, Via Borromei 9 Tel.: 02/875570 Target Marketing, comunicazione, ricerca sociale Anno di fondazione: 1985 Cessato: 1991 Periodicità: bimestrale Direttore editoriale: Enrico Robbiati Direttore responsabile: Alessandro Sciorilli Editore: Ediforum Indirizzo: 20135 Milano, Via Trebbia 5 Tel.: 02/58300548 486 HOUSE ORGAN CENSITI IN ITALIA 487 L’elenco qui presentato, pur redatto con la migliore diligenza, è ricavato da notizie e informazioni raccolte dall’Ascai direttamente o attraverso spontanee segnalazioni, che purtroppo non sempre sono tempestive e spesso giungono con ritardo. Ci scusiamo, dunque, per eventuali carenze o inesattezze e ringraziamo in anticipo chi, a conoscenza di altre informazioni che completino questo elenco o correggano involontari errori, vorrà cortesemente darne notizia. ABI - BANCARIA EDITRICE S.p.A. “Banca & Lavoro” - 00186 Roma - Piazza del Gesù 49 Tel. 06-6767 584 - Fax 06-6767 435 - Resp. Dott. Giuseppe Capo Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post. “Bancaforte” (stesso indirizzo del precedente) Tel. 06-6767 392/3/4 - Fax 06-6767 397 - Resp. Vincenzo Macchia Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post. “Bancaria” (stesso indirizzo del precedente) Tel. 06-6767 392/3/4 - Fax 06-6767 397 - Resp. Tancredi Bianchi Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post. 489 “Lettera Marketing” (stesso indirizzo del precedente) Tel. 06-6767 392/3/4 - Fax 06-6767 397 - Resp. Bruno Maineri Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post. “Circolari ABI” (stesso indirizzo del precedente) Tel. 06-6767 392/3/4 - Fax 06-6767 397 - Resp. Tancredi Bianchi Frm. fogli mobili - Period. settimanale - Distr. abb.post. “Pareri ABI” (stesso indirizzo del precedente) Tel. 06-6767 392/3/4 - Fax 06-6767 397 - Resp. Enrico Granata Frm. libro - Period. quadrimestrale - Distr. abb.post. “Notiziario di giurisprudenza del lavoro” (stesso indirizzo del precedente) Tel. 06-6767 392/3/4 - Fax 06-6767 397 - Resp. Giuseppe Capo Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post. (*) ACEA - AZIENDA COMUNALE ENERGIA ED AMBIENTE DI ROMA “Aceacittà” - 00154 Roma - Piazzale Ostiense 2 Tel. 06-57993718 - Fax 06-57993726 Resp. Dott. Willy Pocino - Dir. Ed. Dott. Mario Diaco Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post. ACI 116 - Servizio Soccorso Stradale “116 Notizie” - 00185 Roma - Via Solferino 32 Tel. 06-44595.111- Fax 06-4441.060 - Resp. Dott. Corrado Pagnani Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post. ACRI - Associazione fra le Casse di Risparmio Italiane - Area Relazioni Esterne “Sistema Casse” - 00198 Roma - Viale di Villa Grazioli 23 490 Tel. 06-8556.2247 - Fax 06-8540.192 Dirett. Dott. Pier Giulio Cottini - Resp. Dott. Antonio Cremonesi Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post. AEROPORTI DI ROMA “Aeroporto” - 00050 Roma Aeroporto - Viale dell’Aeroporto di Fiumicino Casella Postale 68 - Tel. 06-6595.3950 - Fax 06-6595.5929 Dirett. Dott. Patrizio Prato - Resp. Dott. Alessandro Mochi Sismondi Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post. (*) AEROPORTO G. MARCONI DI BOLOGNA S.p.A. “BLQui” - 40132 Bologna - Via Triumvirato 84 Tel. 051-647.9683 - Fax 051-647.9719 - Resp. Dott. Umberto Chinni Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. AGAC - Servizi Energetici ed Ambientali “Interno” - 42100 Reggio Emilia - Via Gastinelli 30 Tel. 0522-297491 - Fax 0522-297429 Dirett. Dott. Uris Cantarelli - Dir. Ed. Dott. Vincenzo Delmonte Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post. “Dentrocasa” (stesso indirizzo del precedente) Dirett. Dott. Uris Cantarelli - Dir. Ed. Dott. Vincenzo Delmonte Frm. tabloid - Period. trimestrale - Distr. abb.post. AGIP S.p.A. - Comunicazione e Relazioni Interne “NIA - Notiziario Interno Agip” - 20097 S. Donato Milanese (MI) Via Emilia 1 (Cas. Post. 12069 - 20120 Milano) Tel. 02-520.61161 - Fax 02-520.61838 Dirett. Ing. Giorgio Ruffoni - Resp. Dott. Marco Minghetti Frm. rivista (bilingue) - Period. bimestrale - Distr. abb.post. AgipPetroli - Rapp. con l’Esterno e Coordin. Immagine “Synchron” - 00142 Roma - Via Laurentina 449 491 Tel. 06-59881 - Fax 06-5988.6611 Resp. Dott. Mario Padovani - Dir. Ed. Dott. Umberto Esposito Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post. “AgipPetroli News” (supplemento del precedente) (*) ALCAN ALLUMINIO S.p.A. “Notizie ALCAN” - 20090 Pieve Emanuele (MI) - Via B.Buozzi 12 Tel. 02-907.441 - Fax 02-907.82155 - Resp. Dott. Mauro Dodi Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post. ALCATEL ITALIA - Direzione Relazioni Esterne “Viva Voce” - 20059 Vimercate (MI) - Via Trento 30 Tel. 039-686 3412 - Fax 039-6293 3759 - Resp. Dott. Sergio Veneziani Frm. tabloid - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro (*) ALENIA S.p.A. “Icaro” - 00197 Roma - Viale Maresciallo Pilsudski 92 Tel. 06-8077.8043 - Fax 06-8077.2215 - Resp. Dott. Gerry Vaientini Frm. uni - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro ALITALIA - Centro Direzionale “Cronache AZ” - 00148 Roma - Viale Alessandro Marchetti 111 Tel. 06-6562.4863 - Fax 06-6562.4676 - Resp. Dott. Maurizio Bocci Frm. uni - Period. settimanale - Distr. posto di lavoro “AZ Bulletin” - Edizione in lingua inglese (stesso indirizzo del precedente) Resp. Dott. Maurizio Bocci Frm. uni - Period. mensile - Distr. posto di lavoro “Alitaliaoggi” (stesso indirizzo del precedente) Resp. Dott. Maurizio Bocci - Dir. Ed. Marco Zanichelli Frm. tabloid - Period. mensile - Distr. posto di lavoro 492 ALLEANZA ASSICURAZIONI S.p.A. “Vita dell’Alleanza” - 20154 Milano - Viale L. Sturzo 35 Tel. 02-6296.441 - Fax 02-653718 - Resp. Dott. Ugo Perugini Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post. “Tony e Clint” (supplemento del precedente) ANSALDO S.p.A. - Direzione Relazioni Esterne “Ansaldo Informazioni” - 16128 Genova - Piazza Carignano 2 Tel. 010-6554.227 - Fax 010-6554.101 - Resp. Dott. Luigi Giraldi Frm. rivista (bilingue) - Period. bimestrale - Distr. abb.post. ASSICURAZIONI GENERALI S.p.A. - Servizio Comunicazione “Il Bollettino - Rivista delle Assicurazioni Generali” 34132 Trieste - Piazza Duca degli Abruzzi 2 Tel. 040-671.121 - Fax 040-671.123 - Resp. Dott. Armando Zimolo Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. “Dossier Assicurazione” (supplemento del precedente) Frm. rivista - Period. annuale “TecNews” (supplemento del precedente) Frm. rivista - Period. annuale “Le Generali nel 1997” (supplemento del precedente) Frm. rivista - Period. annuale “Il premio letterario Carlo Ulcigrai” (supplemento del precedente) Frm. rivista - Period. annuale 493 AUTOSTRADE S.p.A. “Autostrade Cronache” - 00159 Roma - Via Bergamini 50 Tel. 06-4363.2822 - Fax 06-4363.2817 - Resp. Dott. Giancarlo Elia Valori Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post. “Autostrade” (stesso indirizzo del precedente) Resp. Dott. Giancarlo Elia Valori Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. AZIENDA ACQUEDOTTO MUNICIPALE DI TORINO “Aquae” - 10152 Torino - Corso XI Febbraio 14 Tel. 011-46451 - Fax 011-4365.575 - Resp. Dott.ssa Marisa Di Lauro Frm. rivista - Period. quadrimestrale - Distr. abb.post. AZIENDA COMUNALE AUTOFILOVIARIA DI PADOVA “ACAP Notizie” - 35131 Padova - Via Rismondo 28 Tel. 049-662.055 - Fax 049-779.011 - Resp. Dott. Sergio D’Orazio Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. AZIENDA ENERGETICA MUNICIPALE DI MILANO “Aem Oggi” - 20122 Milano - Corso di Porta Vittoria 4 Tel. 02-7720.3434 - Fax 02-7720.3894 - Dirett. Dott. Biagio Longo Frm. 45 x 42 - Period. mensile - Distr. abb.post. AZIENDA ENERGETICA METROPOLITANA DI TORINO S.p.A. “Informa” - 10122 Torino - Via Bertola 48 Tel. 011-5549.234 - Fax 011-538313 - Resp. Dott. Fedele Bertorello Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post. AZIENDA MOBILITA’ E TRASPORTI “Omnibus” - 16137 Genova - Via L. Montaldo 2 Tel. 010-5997.479 - Fax 010-5997.492 - Resp. Dott. Celestino Santomauro Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. 494 AZIENDA MUNICIPALIZZATA DEL COMUNE DI MODENA Ufficio Comunicazione e Immagine “Not AM” - 41100 Modena - Via Razzaboni 80 Tel. 059-407.209 - Fax 059-407.040 - Dirett. Ing. Paolo Barozzi Frm. tabloid - Period. bimestrale - Distr. abb.post. AZIENDA SERVIZI MUNICIPALIZZATI DI BRESCIA - Serv. Marketing “Voi e Noi” - 25124 Brescia - Via Lamarmora 230 Tel. 030-3500.214 - Fax 030-3500.204 - Resp. Dott. Iginio Meraviglia Frm. rivista - Period. quadrimestrale - Distr. abb.post. “Voi e Noi flash” (stesso indirizzo del precedente) Resp. Dott. Iginio Meraviglia Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post. e porta a porta AZIENDA TRASPORTI AREA FIORENTINA - ATAF “Nonsolobus” - 50131 Firenze - Viale dei Mille 115 Tel. 055-5650.240/241 - Fax 055-5650.209 - Resp. Dott. Marco Talluri Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post. BANCA CARIGE S.p.A. “La Casana” - 16123 Genova - Via Cassa di Risparmio 15 Tel. 010-5792.255 - Fax 010-5792.731 - Resp. Dott. Nino Gotta Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. BANCA DI CREDITO COOPER. DI CASSANO DELLE MURGE (BARI) “Soldi” - 70020 Cassano delle Murge (Bari) - Via V. Veneto 9 Tel. 080-763.155 - Fax 080-776.369 - Dirett. Dott. Lorenzo Fiore Frm. rivista - Period. quadrimestrale - Distr. posto di lavoro BANCA D’ITALIA - Serv. Organizzazione “Notiziario - Periodico di Informazione Aziendale” 00184 Roma - Via Nazionale 91 - Tel. 06-47921 - Resp. Dott. Sergio Marzano Frm. rivista - Period. quadrimestrale - Distr. abb.post. 495 “ennebi - notiziebankitalia” Serv. Pers. - Gest. Risorse - Divis. Form. Addestr. e Comunic. 00187 Roma - Via Sallustiana 62 - Tel. 06-4792 3202 - Fax 064746.013 Responsabile: Settore Comun. Interna - Dott. Giovanni Alunni Frm. rivista - Period. mensile - Distr. posto di lavoro BANCA DI ROMA S.p.A. “Il Villaggio” - 00186 Roma - Via Marco Minghetti 17 Tel. 06-67071 - Resp. Avv. Alberto Giordano Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post. “risparmio oggi” (stesso indirizzo del precedente) Resp. Dott. Stefano Vespa Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post. “Affare Fatto” (stesso indirizzo del precedente) Tel. 06-6700.8969 - Fax 06-6700.8931 - Resp. Dott. Giacomo Carioti Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post. “Mercati Esteri” (stesso indirizzo del precedente) Resp. Dott. Giacomo Carioti Frm. rivista - Period. quindicinale - Distr. abb.post. “Bancatel” Giornale televisivo, telefonico, telematico (stesso indirizzo del precedente) Resp. Dott. Giacomo Carioti Period. settimanale “Pronto Bankinforma” Giornale telefonico (stesso indirizzo del precedente) Resp. Dott. Giacomo Carioti Period. quotidiana (diffuso tramite serv. rere Audiotel-Telecom) 496 “Bankinforma” (stesso indirizzo del precedente) Resp. Dott. Giacomo Carioti Period. mensile (diffuso tramite rete interna e scali aeroportuali) BANCA FIDEURAM S.p.A. - Direzione Marketing “Performance” - 00143 Roma - Piazzale Douhet 31 Tel. 06-5902.2690 - Fax 06-5902.2148 - Resp. Dott. Gianluca Liguori Frm. rivista - Period. variabile - Distr. posto di lavoro BANCA NAZIONALE DEL LAVORO - Servizio Personale e Sviluppo Organizzazione “BNL Noi insieme” - 00187 Roma - Via Lombardia 31 Tel. 06-4702.5635 - Fax 06-4702.5638 Resp. Dott. Alberto Mucci - Dir. Ed. Avv. Gianfranco Verzaro Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. BANCA POPOLARE DELL’EMILIA ROMAGNA “Banca popolare dell’Emilia Romagna” - 41100 Modena - Via San Carlo 8/20 Tel. 059-202.111 - Fax 059-202.151- Resp. Dott. Giovanni De Carlo Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. BANCA POPOLARE DELL’ETRURIA E DEL LAZIO - Serv. Segret. Gener. “Etruria Oggi” - 52100 Arezzo - Corso Italia 179 Tel. 0575-307368 - Fax 0575-26801 - Resp. Dott. Paolo Schiatti Frm. rivista - Period. quadrimestrale - Distr. abb.post. “Etruria informa” (supplemento del precedente) BANCA POPOLARE DI CROTONE “Pitagora” - 88074 Crotone (CZ) - Via Panella Tel. 0962-933.371 - Resp. Fulvio Mazza Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. 497 BANCA POPOLARE DI MILANO - Direz. Relazioni Esterne “Noi Bipiemme” - 20121 Milano - Piazza F. Meda 4 Tel. 02-7700.2598 - Fax 02-7700.2650 - Resp. Dott. Giovanni Bianchini Frm. uni - Period. mensile - Distr. posto di lavoro BANCA POPOLARE DI SONDRIO “Notiziario della Banca Popolare di Sondrio” - 23100 Sondrio - Piazza Garibaldi 16 Tel. 0342-528.111 - Fax 0342-528.484 - Resp. Dott. Luciano Giacomelli Frm. rivista - Period. quadrimestrale - Distr. abb.post. BANCA POPOLARE DI VERONA - BANCO S. GEMINIANO E S. PROSPERO S.p.A. “Notiziario” - 37121 Verona - Piazza Nogara 2 Tel. 045-8675.111 - Fax 045-8675.425 Dirett. Dott. Tarcisio Marchesini - Resp. Dott. Giuseppe Brugnoli Frm. rivista - Period. quadrimestrale - Distr. abb.post. “Prospettive” (stesso indirizzo del precedente) a cura Servizio Studi e Relazioni Esterne Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro BANCA REGIONALE EUROPEA “Rassegna” - 12100 Cuneo - Via Roma 13 Tel. 0171-4461 - Fax 0171-446.098 - Resp. Dott. Carlo Benigni Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. BANCA SELLA - Servizio Studi “Dialoghi” - 13051 Biella (VC) - Via Italia 2 Tel. 015-3501.438 - Fax 015-351.767 - Resp. Dott.ssa Erika Pozzo Frm. uni - Period. bimestrale - Distr. posto di lavoro BANCO DI SICILIA - Servizio Affari Generali e Studi Economici “Lettere & Numeri” - 90141 Palermo - Via G. Magliocco 1 498 Tel. 091-608.5121 - Fax 091-608.8589 - Resp. Dott. Salvatore Butera Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post. (*) BTICINO S.p.A. “bt” - 20154 Milano - Via Messina 38 Tel. 02-3480.11 - Fax 02-3480.422 - Resp. Dott.ssa Anna Bonometto Frm. rivista - Period. semestrale - Distr. abb.post. BULL HN INFORMATION SYSTEMS ITALIA “Conoscere Bull” - 20147 Milano - Via Pirelli 32 Tel. 02-6779.11 - Fax 02-6779.2330 - Resp. Dott.ssa Nella Brancaccio Frm. rivista - Period. semestrale - Distr. abb.post. (*) CALAMO “nodi” - 00198 Roma - Via Nizza 53 Tel. 06-854 8710 - Fax 06-8548745 - Resp. Dott. Gianfranco Valleriani Frm. 16 x 30 - Period. trimestrale - Distr. abb.post. CARIPUGLIA S.p.A. - Area Relaz. Esterne e Comunicazione “Caripuglia Magazine” - 70121 Bari - Via Calefati 112 Tel. 080-578.2426 - Fax 080-578.2425 - Resp. Dott. Tommaso Basso Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post. CARITAS DIOCESANA DI ROMA “XY” - 00184 Roma - Via delle Sette Sale 30/30 B Tel. 06-487.2237 - Resp. Dott.ssa Agata Liotta Frm. uni - Period. bimestrale - Distr. posto di lavoro CASSA DI RISPARMIO DI BOLZANO S.p.A. “Note” - 39100 Bolzano - Via Cassa di Risparmio 12 b Tel. 0471-231317 - Fax 0471-231300 - Resp. Dott. Hugo Daniel Stoffella Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post. CASSA DI RISPARMIO DELLE PROVINCIE LOMBARDE (Servizio Studi e Pianificazione) “Cà de sass” - 20121 Milano - Via Monte di Pietà 8 499 Tel. 02-88665807 - Fax 02-8866.5225 - Resp. Dott. Massimo Lanza Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. (*) CASSA DI RISPARMIO DI BRA “CRB Notizie” - 12042 Bra (CN) - Via Principi di Piemonte 12 Tel. 0172-4351 - Fax 0172-421.721 - Resp. Dott. Francesco Guida Frm. rivista - Period. quadrimestrale - Distr. abb.post. CASSA DI RISPARMIO DI CESENA - Serv. Affari Generali “CRC Informa” - 47023 Cesena (FO) - Corso Garibaldi 18 Tel. 0547-358.111 - Resp. Dott. Dionigio Dionigi Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. CASSA DI RISPARMIO DI FERMO S.p.A. - Ufficio Relazioni Esterne “Cierreeffe” - 63023 Fermo (AP) - Via Don Ricci 1 Tel. 0734-2861 - Fax 0734-286.287 - Resp. Dott. Giovanni Martinelli Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. CASSA DI RISPARMIO DI PERUGIA - Ufficio Relaz. Esterne “Grifo Banca” - 06121 Perugia - Corso Vannucci 39 Tel. 075-5693134 - Fax 075-569.3160 - Resp. Dott. Umberto Mancini Frm. rivista - Period. quadrimestrale - Distr. abb.post. CASSA DI RISPARMIO DI VERONA VICENZA BELLUNO E ANCONA “IC” - 37121 Verona - Via Garibaldi Tel. 045-8081.111 - Fax 045-594.905 - Resp. Dott. Renzo Cocco Frm. uni - Period. bimestrale - Distr. abb.post. CFR COFAR - Soc. Coop. a r.l. “COFAR Informa” - 96100 Siracusa - Viale Scala Greca 67/C Tel. 0931-492.029 - Resp. Dott. Carmelo Miduri Frm. tabloid - Period. trimestrale - Distr. abb.post. CIBA-GEIGY S.p.A. - Relaz. Esterne e Comunic. Interna “Ciba Journal” - 21040 Origgio (VA) - S.S. 233 km 20,5 500 Tel. 02-96543260 - Fax 02-9670.1090 - Resp. Dott. Terry Tyzack Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. “Ciba Flash” (stesso indirizzo del precedente) Resp. Dott. Terry Tyzack Frm. uni - Period. mensile - Distr. posto di lavoro CISE - Servizio per la Promozione Commerciale “Azienda CISE” - 20090 Segrate (MI) - Via Reggio Emilia 39 Tel. 02-2167.2446 - Fax 02-2167.2116 - Resp. Dott. Paolo Civardi Frm. tabloid - Period. semestrale - Distr. abb.post. CONFINDUSTRIA “Qualeimpresa” - 00144 Roma - V.le dell’Astronomia 30 Tel. 06-5903 498 - Fax 06-5914 529 - Resp. Dott. Paolo Mazzanti Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post. COOPERATIVA MURATORI & CEMENTISTI C.M.C. “La Betoniera” - 48100 Ravenna - Via Trieste 76 Tel. 0544-428.111 - Fax 0544-428.554 - Resp. Dott. Giampietro Saviotti Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post. CREDITO EMILIANO “Banca Notizie” - 42100 Reggio Emilia - Via Emilia S. Pietro 4 Tel. 0522-450371 - Fax 0522-433.969 Dirett. Prof. Matteo Mattei Gentili - Resp. Dott. Corrado Rabotti Frm. uni - Period. quadrimestrale - Distr. abb.post. CREDITO ITALIANO S.p.A. - Relazioni Esterne e Segreteria “Nuovo Cordusio” - 20123 Milano - Piazza Cordusio Tel. 02-88623308 - Fax 02-88623034 - Resp. Dott. Vittorio Borelli Frm. tabloid - Period. bimestrale - Distr. abb.post. e posto di lavoro CSELT - Centro Studi e Laboratori Telecomunicazioni (Rel. Est.) “CSELT News” - 10148 Torino - Via Reiss Romoli 274 501 Tel. 011-2285.111- Fax - 011-2285.520 - Resp. Dott.ssa Michela Billotti Frm. uni - Period. mensile - Distr. posto di lavoro CYANAMID ITALIA S.p.A. “Noi Cyanamid Italia” - 95030 Catania - Via Franco Gorgone - Zona Industriale Tel. 095-598.233 - Fax 095-598.561 - Resp. Avv. Salvatore Aldisio Frm. rivista - Period. quadrimestrale - Distr. abb.post. e posto di lavoro DE PRETTO ESCHER WYSS S.r.l. “Il punto DP-EW” - 36015 Schio (VI) - Via D. Manin 16/18 Tel. 0445-691.511 - Fax 0445-511.138 - Resp. Ing. Maurizio Pini Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. DEROMA S.p.A. “il coccio” - 36034 Malo (VI) - Via Pasubio 17 Tel. 0445-595311 - Fax 0445-595.322 - Resp. Dott. Prando Prandi Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. e posto di lavoro DIOGUARDI - Servizio Comunicazione “Dioguardi notizie” - 20124 Milano - Piazza Repubblica 30 Tel. 02-6599.857 - Fax 02-6575074 - Resp. Maria Cristina Venanzi Frm. rivista - Period. semestrale - Distr. abb.post. DOW ITALIA S.p.A. - Gruppo Lepetit S.p.A. “Around Dow” - 20159 Milano - Via Murat 23 Tel. 02-4822.4481 - Fax 02-4822.4110 - Resp. Dott.ssa Albertina Tubercoli Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro DU PONT DE NEMOURS ITALIANA S.p.A. - Relazioni Esterne “Oggi e Domani” - 20093 Cologno Monzese (MI) - Via Volta 16 Tel. 02-25302.1 - Fax 02-254.7765 - Resp. Dott.ssa Renata Mazzelli Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro 502 ENEA - Ente per le Nuove Tecnologie, l’Energia e l’Ambiente “ENEA Informazioni” - 00196 Roma - Lungotevere Thaon di Revel 76 Tel. 06-3627.2453 - Resp. Dott. Andrea Colombino Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post. ENEL Società per azioni “Illustrazione ENEL” - 00198 Roma - Via G.B. Martini 3 Tel. 06-8509.2339 - Fax 06-8509.7644 - Resp. Dott. Alessandro Bastoni Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post. ENI S.p.A. - 00144 Roma - Piazzale E. Mattei 1 “Ecos” - 00143 Roma - Via Paolo di Dono 3A (Sogedit) Tel. 06-5982.2428 - Fax 06-5982.2636 Resp. Dott. Marzio Bellacci Dir. Ed. Dott. Paolo Andreocci Frm. rivista (bilingue) - Period. bimestrale - Distr. abb.post. ENICHEM S.p.A. “Periodici interni di stabilimento” - 20138 Milano - Via Medici del Vascello 40/C Tel. 02-52039107 - Fax 02-520.39115 - a cura della Unità Comunicazione Interna Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro (*) ENIDATA “Enidata oggi” - 20138 Milano - Via Medici del Vascello 26 Tel. 02-5202.9319 - Fax 02-5202.5175 - Resp. Dott. Walter Lattuada Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. ESSO ITALIANA S.p.A. - Direz. Relaz. Esterne/Direz. del Personale “Noi Esso” - 00148 Roma - V.le Castello della Magliana 25 - Parco dei Medici Tel. 06-5995.2469 - Fax 06-5995.2779 - Resp. Dott. Carlo Pellicciari Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post. “Argomenti Esso” Direzione Relazioni Esterne/Stampa e Informazione 503 (stesso indirizzo del precedente) Tel. 06-5995.2230/2469 - Fax 06-5995.2779 - Resp. Dott. Carlo Angelo Guareschi Frm. rivista - Period. variabile - Distr. abb.post. FAT - CISL - Federazione Alimentazione e Tabacco “Fuoripasto” - 00185 Roma - Via Milazzo 23 Tel. 06-4941303 - Fax 06-4469.750 - Resp. Dott. Paolo Giammarroni Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post. FERROVIE DELLO STATO S.p.A. “Linea diretta” - 00161 Roma - Piazza Croce Rossa 1 Tel. 06-8490 5272/3151 Resp. Dott. Gian Franco Lepore Dubois - Dir. Ed. Lorenzo Gallico Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post. “Amico Treno” 20123 Milano - Corso Magenta 24 Tel. 02-7243.9269 - Fax 02-7243.9464 - Resp. Dott. Carlo Pino Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post. FIAT S.p.A. - 10126 Torino - Via Nizza 250 “Illustrato” - 10126 Torino - Corso Dante 103 (Satiz S.p.A.) Tel. 011-686.5648 - Fax 011-686.5626 - Resp. Dott. Ettore Gregoriani Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post. “Fiat Quadri” - 10126 Torino - Corso Dante 103 (Satiz S.p.A.) Tel. 011-686.5756 - Fax 011-686.5760 - Resp. Dott. Pier Giorgio Lazzarin Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. posto di lavoro FIAT AUTO S.p.A. “Fiat Auto Quadri” - 10135 Torino - Corso Agnelli 200 Tel. 011-683.7788 - Fax 011-683.8079 - Resp. Dott. Simone Migliarino Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. posto di lavoro 504 FIAT AVIO S.p.A. “Fiat Avio Quadri” - 10127 Torino - Via Nizza 326 Tel. 011-685.9831 - Resp. Dott.ssa Silvia Maoli Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro COMAU S.p.A. “Comau News” - 10095 Grugliasco (TO) - Via Rivalta 30 Tel. 011-684.9411 - Fax 011-684.9687 - Resp. Dott. Francesco Novo Frm. rivista - Period. quadrimestrale - Distr. posto di lavoro ISVOR-FIAT S.p.A. “Isvor Notizie” - 10126 Torino - Corso Dante 103 Tel. 011-686.5624 - Fax 011-686.5406 - Resp. Dunia Astrologo Frm. uni - Period. quadrimestrale - Distr. abb. “Isvor flash” (supplemento del precedente) Altre testate: “News letter” - “Materiali Isvor” IVECO S.p.A. “Iveco Quadri” - 10156 Torino - Via Puglia 35 Tel. 011-687.2215 - Fax 011-687.4024 - Resp. Dott. Carlo Bramardo Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro “Iveco Plus” (stesso indirizzo del precedente) Tel. 011-687.4539 - Dirett. Ernst Ulrich Kuhlenschmidt Frm. tabloid - Period. variabile - Distr. abb.post. MAGNETI MARELLI S.p.A. “Magneti Marelli News” - 20011 Corbetta (MI) - V.le A. Borletti 61/63 Tel. 02-97200.531 - Fax 02/97200551 - Resp. Dott. Paolo Berruti Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro 505 NEW HOLLAND “The World of New Holland” 950 Great West Road - Brenptford Middlesex TW8 9ES (Gran Bretagna) Tel. + + 0181.4798800 - Resp. Louis Csoka TEKSID S.p.A. “Teksid Quadri” -10151 Torino - Via Pianezza 123 Tel. 011-685.4545 - Fax 011-685.4600 - Resp. Dott. Francesco Novo Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro altre testate del Gruppo: “In Diretta” - “In Diretta Straordinaria” - “In Diretta International” “M & T Mobilità e Traffico” - “Qualitas” - “Notiziario dell’autoriparatore” FINMECCANICA “finmeccanica notizie” - 00195 Roma - Piazza Monte Grappa 4 Tel. 06-324.731- Resp. Dott. Antonio Marinello Frm. uni - Period. mensile - Distr. abb.post. (*) “Finmeccanica Formazione” (stesso indirizzo del precedente) Tel. 06-3247.3202 - Fax 06-3265.7253 - Resp. Dott. Claudio Gobbi Frm. 22 x 22 - Period. bimestrale - Distr. abb.post. FINSIEL - Direzione Relazioni Pubbliche “Finsiel informa” - 00198 Roma - Via Isonzo 21 b Tel. 06-84315483 - Fax 06-84315276 - Resp. Dott.ssa M. Cristina Sollohub Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post. FONDAZIONE DELLA CASSA DI RISPARMIO DI FERRARA “Ferrara - Voci di una Città” - 44100 Ferrara - Via Cairoli 13 Pal. Muzzarelli di Crema - Tel. 0532-205.091 - Fax 0532-205.171 506 Resp. Dott. Alfredo Santini Frm. rivista (bilingue) - Period. semestrale - Distr. abb.post. GAN ITALIA S.p.A. “Voilà” - 00197 Roma - Via Guidobaldo Del Monte 45 Tel. 06-80974.1 - Fax 06-80974394 - Resp. Dott. Carlo Cicolani Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. (*) GESTIONE GOVERNATIVA DELLA CIRCUMVESUVIANA “Circumvesuviana Informazioni” - 80142 Napoli - Corso Garibaldi 387 Tel. 081-7792.111 - Fax 081-7792.450 - Resp. Dott. Fernando Origo Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post. GRUPPO DEUTSCHE BANK S.p.A. - Servizio Personale “Per il personale del Gruppo Deutsche Bank - Forum” 20122 Milano - Via Borgogna 8 - Tel. 02-7795.2452 - Fax 02-7795.2478 Resp. Dott. Nerio Nannini Frm. rivista - Period. quadrimestrale - Distr. abb.post. GRUPPO GS S.p.A. - Direz. del Personale “Il Carrello” - 20153 Milano - Via Caldera 21 Tel. 02-48251 - Fax 02-40910.117 - Resp. Dott. Federico Sartor Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro GRUPPO MEIE ASSICURAZIONI “Meie Notizie” - 20122 Milano - Corso di Porta Vigentina 9 Tel. 02-5992.2417 - Fax 02-5992.2561 - Resp. Dott. Martino Radaelli Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro GRUPPO RAS - Direzione Relazioni Esterne “La rassegna” - 20122 Milano - Corso Italia 23 Tel. 02-72161 - Fax 02-7216.3420 - Resp. Dott. Furio Reggente Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post. GRUPPO TESSILE MIROGLIO S.p.A. “gtm notizie” - 12051 Alba (CN) - Via S. Margherita 23 507 Tel. 0173-299.835 - Fax 0173-299.231 - Resp. Dott. Giovanni Coccodrilli Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. GRUPPO 3M ITALIA S.p.A. - Comunicazioni Istituzionali “3M Innovazione” - 20090 Segrate (MI) - Via San Bovio 3 - loc. S. Felice Tel. 02-7035.2574 - Fax 02-7035.2520 - Resp. Dott. Antonio Pinna Berchet Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post. GRUPPO ZURIGO ITALIA - Ufficio Stampa “Zeta Notizie” - 20129 Milano - Piazza C. Erba 6 Tel. 02-5966.2280 - Fax 02-5966.2603 - Resp. Dott.ssa Cecilia Bettale Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. e posto di lavoro “Grandangolo” (supplemento del precedente) I B M SEMEA - Dir. Relaz. Stampa e Attività Editoriali “Read.me” - 20090 Segrate (MI) - Via Circonvallazione Idroscalo Tel. 02-5962.5460/4550 - Fax 02-5962.5937 - Resp. Dott.ssa Alessandra Apicella Frm. 24 x 33,5 - Period. bimestrale - Distr. posto di lavoro (*) ILVA LAMINATI PIANI - 16128 Genova - Via Corsica 4 “ILP Informazioni” - 74100 Taranto - Via Appia km 648 Tel. 099-481.2283 - Fax 099-481.3906 - Resp. Dott. Ciro Petrarulo Frm. uni - Period. mensile - Distr. posto di lavoro INTERSIND Associazione Sindacale “Industria e Sindacato” - 00147 Roma - Via C. Colombo 98 Tel. 06-5175.244 - Fax 06-5175.329 Resp. Dott. Agostino Paci - Coord. Dott. Enrico Vitiello Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post. “Panorama Sindacale” (supplemento del precedente) 508 ISTAT - Istituto Nazionale di Statistica “Istat informa’’ - 00184 Roma - Via Cesare Balbo 16 Tel. 06-4673.2293 - Fax 06-4673.2273 - Resp. Paolo Garonna Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post. ISTITUTO BANCARIO SANPAOLO DI TORINO “Sanpaolo magazine” - 10124 Torino - Via Lagrange 24 Tel. 011-555 6204 - Resp. Dott. Giorgio Agagliati Frm. rivista - Period. quadrimestrale - Distr. posto di lavoro “Sanpaolo Zoom” (supplemento del precedente) ITALIANA PETROLI S.p.A. - Direzione Marketing “Notizie IP” - 16121 Genova - Piazza della Vittoria 1 Tel. 010-5773.664 - Fax 010-5773.996 - Resp. Dott. Giovanni Ferrari Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post. ITALTEL - Direzione Relazioni Esterne “Notizie Italtel” - 20154 Milano - Via A. di Tocqueville 13 Tel. 02-4388.5388 - Fax 02-43885435 - Resp. Dott. Filippo Nosengo Frm. tabloid - Period. bimestrale - Distr. abb.post. “Nets” (supplemento del precedente) “Quaderni Italtel” (stesso indirizzo del precedente) Resp. Dott. Filippo Nosengo Frm. rivista - Period. semestrale - Distr. abb.post. “Notizie Flash Italtel” (stesso indirizzo del precedente) Resp. Dott. Filippo Nosengo Frm. uni - Period. quindicinale - Distr. abb.post. 509 “Manager News’’ (stesso indirizzo del precedente) Resp. Dott. Filippo Nosengo Frm. uni - Period. bimestrale - Distr. posto di lavoro “Notiziario Nuove Tecnologie” (stesso indirizzo del precedente) Resp. Dott. Filippo Nosengo Frm. uni - Period. semestrale - Distr. posto di lavoro “Notiziario Italtel Telesis” (stesso indirizzo del precedente) Resp. Dott. Filippo Nosengo Frm. uni - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro KUWAIT PETROLEUM ITALIA S.p.A. “Insieme in Q8” - 00144 Roma - Via dell’Oceano Indiano 13 Tel. 06-5208.8328 - Fax 06-5208.8729 - Resp. Ing. Massimo Boccia Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro LA FONDIARIA ASSICURAZIONI “Il nuovo notiziario” - 50129 Firenze - Piazza della Libertà 6 Tel. 055-479 4425 - Fax 055-479 4637 Resp. Dott. Pier Luigi Berdondini - Dir. Ed. Claudio Giambastiani Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro LLOYD ADRIATICO S.p.A. - Direzione Relazioni Esterne “inLloyd” - 34143 Trieste - Via U. Irneri 1 - Tel. 040-77811 Resp. Dott. Claudio Saccari - Dir. Ed. Dott. Gianfranco Viatori Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. “tabLloyd” (stesso indirizzo del precedente) Resp. Dott. Claudio Saccari Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post. 510 “assiLloyd” (supplemento del precedente) “quaderniLloyd” (supplemento del precedente) LUCCHINI SIDERURGICA S.p.A. “Lucchini magazine” - 25128 Brescia - Via Oberdan 1/A Tel. 030-39921 - Fax 030-300669 - Resp. Camillo Facchini Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. MARZOTTO S.p.A. “FiloDiretto” - 36078 Valdagno (VI) - Largo S. Margherita 1 Tel. 0445-429.835 - Fax 0445-410.778 - Resp. Dott. Domenico Genito Frm. tabloid - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro MICHELIN ITALIANA S.p.A. “Orizzonti” - 10144 Torino - Via Livorno 57 Tel. 011-484.645 - Fax 011-4730.749 - Resp. Dott. Ugo Graglia Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. MILANO ASSICURAZIONI S.p.A. “Noi della Milano” - 20121 Milano - Via Broletto 44 Tel. 02-8840.3806 - Fax 02-8840.3356 - Resp. Dott. Paolo Fiorencis Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro MONTE DEI PASCHI DI SIENA “Filo diretto” - 53100 Siena - Via Banchi di Sotto 46 Tel. 0577-294.214 - Resp. Dott. Marco Antonio Bulletti Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. “Montepaschi News” (stesso indirizzo del precedente) Resp. Dott. Marco Antonio Bulletti Frm. uni - Period. mensile - Distr. posto di lavoro 511 (*) NRG ITALIA S.p.A. “Nashuatec Notizie” - 20139 Milano - Via Caviglia 11 Tel. 02-5356.1 - Fax 02-5356.613 - Direz. Ed. Dott. Daniele Carraro Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post. Ing. C. OLIVETTI & C. S.p.A. - Direz. Relazioni Esterne “Notizie Olivetti” - 10015 Ivrea (TO) - Via G. Jervis 77 Tel. 0125-522.035 - Fax 0125-522.916 - Resp. Dott. Andrea Grammatico Frm. 16 x 28 - Period. trimestrale - Distr. abb.post. Edizione nelle lingue: inglese - portoghese PIAGGIO VEICOLI EUROPEI S.p.A. - Relaz. Esterne e Comunic. “Piaggiornale” - 56025 Pontedera (PI) - Viale Rinaldo Piaggio 23 Tel. 0587-272576 - Fax 0587-290.906 Resp. Dott. Roberto M. Zerbi - Dir. Ed. Dott. Alessandro Pinelli Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post. PIRELLI S.p.A. “Fatti e Notizie” - 20126 Milano - Viale Sarca 222 Tel. 02-6442.3645 - Fax 02-6442.3733 - Resp. Dott. Andrea Kerbaker Dir. Ed. Dott. Giancarlo Rocco di Torrepadula Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. “Pirelli flash” (stesso indirizzo del precedente) Resp. Dott. Andrea Kerbaker Frm. uni - Period. mensile - Distr. posto di lavoro “World” (in lingua inglese) (stesso indirizzo del precedente) Resp. Dott. Andrea Kerbaker Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. PROCTER & GAMBLE S.p.A. - Direzione Relazioni Esterne “P&G Moonbeams” - 00144 Roma Eur - Viale C. Pavese 385 Tel. 06-50090.650 - Fax 06-50090.955/06-5011.881 512 Resp. Dott. Alessandro Magnoni Frm. 43,2 x 28 - Period. trimestrale - Distr. abb.post. REALE MUTUA DI ASSICURAZIONI S.p.A. “Notizie Reale” - 10122 Torino - Via Corte d’Appello 11 Tel. 011-4312.707 - Fax 011-4350.970 a cura del Serv. Marketing in collaboraz. con l’Uff. Relaz. Est. Frm. rivista - Period. mensile - Distr. posto di lavoro RENAULT ITALIA S.p.A. - Direz. della Comunicazione “Qui Renault” - 00156 Roma - Via Tiburtina 1159 Tel. 06-4156.361 - Fax 06-411.5384 - Resp. Dott. Fabio Ravaioli Frm. tabloid - Period. bimestrale - Distr. abb.post. “Qui Renault News” (stesso indirizzo del precedente) Resp. Dott. Fabio Ravaioli Frm. uni - Period. quindicinale - Distr. posto di lavoro SAI - SOCIETA’ ASSICURATRICE INDUSTRIALE S.p.A. “La forza del Gruppo” - 10126 Torino - Corso G. Galilei 12 Tel. 011-6657.347 - Fax 011-6657.564 - Resp. Dott. Roberto Romanesco Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post. SAIPEM “Orizzonti Saipem” - 20097 S. Donato Milanese (Ml) - Via Martiri di Cefalonia 67 Tel. 02-5201 - Fax 02-520.32928 - Resp. Dott. Carlo Mampria Dir. Ed. Dott. Fabrizio Barbieri Frm. rivista (bilingue) - Period. trimestrale - Distr. abb.post. SGS-THOMSON MICROELECTRONICS - Direz. Relaz. con il Person. “World Class” - 20041 Agrate Brianza (MI) - Via Olivetti 2 Tel. 039-6035.215 - Fax 039-6035.300 - Resp. Dott. Pierantonio Palerma Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. posto di lavoro 513 “Micromega News” (supplemento del precedente) Resp. Dott. Ferdinando Nisco Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. posto di lavoro SIEMENS S.p.A. “Siemens in Italia” - 20124 Milano - Via Fabio Filzi 29 Tel. 02-6676 4352 - Fax 02-6676 4333 - Resp. Vitaliano Vitale Frm. tabloid - Period. trimestrale - Distr. abb.post. SIEMENS NIXDORF INFORMATICA S.p.A. “data time” - 20060 Cassina de’ Pecchi (MI) - Centro Direz. Lombardo Via Roma 108 - Tel. 02-95121.694 - Fax 02-95121.699 Resp. Dott. Leonardo V. Gilardi Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. SKF INDUSTRIE S.p.A. “SKF Notizie” - 10098 Rivoli (TO) - Corso Francia 155 Tel. 011-95771 - Fax 011-9577.333 - Resp. Dott. Mario Ostengo Frm. rivista - Period. semestrale - Distr. abb.post. SNAM “tracciatisnam” - 20097 San Donato Milanese (MI) - Piazza Vanoni 1 Tel. 02-520.4679 - Fax 02-520.33904 - Resp. Dott. Pietro Dragoni Frm. tabloid - Period. bimestrale - Distr. abb.post. SOCIETA’ ITALIANA PER IL GAS S.p.A. - Relazioni Esterne “Rivista del Gruppo Italgas” - 10121 Torino - Via XX Settembre 41 Tel. 011-23941 - Fax 011-2394.851 Dirett. Dott. Giovanni Bernareggi - Resp. Dott.ssa Luciana Santaroni Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. SOLVAY S.p.A. - 20121 Milano - Via Turati 12 “Solvay notizie” - 20144 Milano - Via Sant’Eusebio 26 (Noesis S.r.l.) Tel. 02-433.094 - Fax 02-437.631 - Resp. Dott. Renzo Grosso Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. 514 SONY ITALIA S.p.A. “Sony Informa” - 20092 Cinisello Balsamo (MI) - Via F.lli Gracchi 30 Tel. 02-61838.863 - Fax 02- 61838.802 - Resp. Dott. Giuseppe Addezio Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro STANDA S.p.A. - Relazioni Esterne “Notizie Standa” - Milanofiori - 20089 Rozzano (MI) Tel. 02-8921.2571 - Fax 02-8921.2059 - Resp. Dott. Andrea Marini Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro “Standa Television” (stesso indirizzo del precedente) Resp. Dott. Andrea Marini - Coord. Ed. Dott. Tiziano Marelli Period. mensile (diffuso tramite videocassette presso tutti i magazzini e supermercati con due puntate distinte e dedicate) STREAM S.p.A. “upstream” - 00138 Roma - Via Salaria 1021 Tel. 06-88 66 34 52 - Resp. Gianfranco Valleriani Frm. rivista - Period. mensile - Distr. posto di lavoro TELECOM ITALIA S.p.A. “Pianeta Telecom Italia’’ - 00196 Roma - Via Flaminia 189 Tel. 06-3688.2373 - Fax 06-322 4520 - Resp. Dott. Diego Zandel Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post. “Dialogo” (stesso indirizzo del precedente) Resp. Dott. Diego Zandel Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. “Net & Work” (stesso indirizzo del precedente) Resp. Dott. Diego Zandel Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. 515 “Soluzioni Telecom Italia” (stesso indirizzo del precedente) Resp. Dott. Diego Zandel Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. “in” (stesso indirizzo del precedente) Resp. Dott. Diego Zandel Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post. “What’s on in Telecom Italia” (stesso indirizzo del precedente) Resp. Dott. Diego Zandel Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post. “Linea” (stesso indirizzo del precedente) Resp. Dott. Diego Zandel Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. “Notiziario Tecnico” 00166 Roma - Via di Val Cannuta 250 Tel. 06-36881- Resp. Dott. Rocco Casale Frm. rivista - Period. quadrimestrale - Distr. posto di lavoro “Notiziario del Lavoro” Area Pers. Organizzazione - 00148 Roma - Viale Parco De’ Medici 61 Tel. 06-36881- Resp. Dott. Diego Zandel Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. posto di lavoro TEXAS INSTRUMENTS ITALIA S.p.A. “il notiziere” - 81031 Aversa (CE) - Via Kennedy 141 Tel. 081-8151.111 - Fax 081-8151.324 Resp. Dott. Roberto Del Gaudio - Redatt. Dott.ssa Carmela Russo Frm. rivista - Period. semestrale - Distr. posto di lavoro 516 TEXAS INSTRUMENTS ITALIA S.p.A. “TQC News” - 67051 Avezzano (AQ) - Via Pacinotti 5 Tel. 0863-4231 - Fax 0863-412.763 - Resp. Dott. Tiberio Indiani Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro (*) TRIMANI s.r.l. (Editoriale Emmeti s.r.l.) “Trimani Notizie” - 00185 Roma - Via Goito 24 Tel. 06-4469.661 - Fax 06-4468.351 - Dirett. Dott. Marco Trimani Frm. rivista - Period. quadrimestrale - Distr. abb.post. UNISIS ITALIA S.p.A. “Notizie” - 20159 Milano - Via B. Crespi 57 Tel. 02-6985.449 - Fax 02-6985.588 - Resp. Dott. Francesco Valdevies Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post. UNIVERSITA’ CATTOLICA DEL SACRO CUORE “Comunicare” - 00168 Roma - Largo Francesco Vito 1 Tel. 06-3015 4013/5129 - Resp. Lino Pasi Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post. VORWERK FOLLETTO s.r.l. - Direz. Vend. Immag. e Comunic. “Momenti di incontro: idee, prospettive, flash” - 20146 Milano - Via G. Frua 26 Tel. 02-480.451 - Fax 02-481.6948 - Resp. Dott. Luigi Nadalini Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post. WELLA ITALIA LABOCOS S.p.A. - Uff. Serv. Relaz. Pubbliche “Wella report” - 46043 Castiglione delle Stiviere (MN) - Via Don Barzizza 37 Tel. 0376-633.322 - Fax 0376-633.209 - Resp. Dott.ssa Cinzia Vesentini Frm. 24 x 33 - Period. bimestrale - Distr. posto di lavoro ________ (*) L’asterisco accanto ai singoli nomi indica che la pubblicazione è stata momentaneamente sospesa. 517 518 IL VOCABOLARIO DELLA COMUNICAZIONE D’IMPRESA 519 Above the line Sono convenzionalmente collocate “above the line” (ovvero “nell’area piccola”) le attività di comunicazione pubblicitaria che impiegano i media classici. Accounting Attività mediante la quale un centro media mantiene ed ottimizza il rapporto con un utente, al fine di interpretarne le esigenze e gli obiettivi di comunicazione, per poterli correttamente trasmettere ai reparti interni responsabili delle altre funzioni. Acutezza sensoriale Capacità di incamerare informazione tramite i sensi. Advertising Termine generico, di derivazione anglosassone, che identifica la pubblicità effettuata sui grandi mezzi. Cfr. Pubblicità. Advertorial Sintesi di “advertising” e “editorial”, in inglese corrispondente al nostro “publiredazionale”. Affidabilità Capacità di un prodotto o servizio di mantenere nel tempo le proprie prestazioni al miglior livello. Affissione Specie del genere pubblicità esterna, basata su manifesti, poster o cartelli collocati in spazi a loro riservati. 521 Agenda setting Secondo gli studi di B.C. Cohen (1963) e McCombs e Shaw (1972), i mass media non hanno tanto il potere di indurre la gente ad avere una specifica opinione sui fatti quanto, invece, di aiutarla a scegliere e a focalizzare i temi di interesse generale, appunto come si può fare in “un’agenda per la messa a punto”. Agenzia di pubblicità Struttura che provvede a pubblicizzare un prodotto per conto di un utente. Storicamente i primi protagonisti del settore erano strutturati come studi professionali, che si trasformarono poi in agenzie a servizio completo. Esse espletavano tutte le funzioni relative alla comunicazione pubblicitaria (da quella creativa a quella di pianificazione a quella gestionale). I primi centri media si enuclearono da tali agenzie, a causa della specificità e della complessità delle loro attribuzioni. Cfr. Centro Media. Aggiornamento Operazione periodica che si esegue sulle liste allo scopo di inserire variazioni (inserimenti, cambiamenti, cessazioni). Aim E’ l’obiettivo di una campagna pubblicitaria. Allestimento Insieme dell’arredamento, dei supporti mobili, visivi e dei mezzi audiovisivi che contribuiscono a definire la spazialità di un evento gestito da un’organizzazione. 522 Ambiente Complesso delle dinamiche sociali, demografiche, politiche ed economiche all’interno delle quali si svolge un’attività di comunicazione. Analisi dell’ambiente Descrizione qualitativa dell’ambiente in cui opera l’organizzazione con lo scopo di attivare una comunicazione efficace. Annual report Relazione annuale pubblicata dall’organizzazione e rivolta ai pubblici esterni ed interni. Fornisce informazioni sul bilancio e sui risultati aziendali. Art director E’ il capo dei grafici di un’agenzia pubblicitaria. Ascolto dinamico Tecnica di ascolto empatico fatta riconoscendo i problemi di chi parla. Audience Insieme di tutti coloro che vengono raggiunti da un mezzo pubblicitario o da uno strumento di comunicazione. Badge Distintivo usato dai partecipanti come lasciapassare durante convegni o manifestazioni. Ballon d’essai E’ la “notizia civetta”, che viene fatta filtrare per saggiare la reazione dei mass media e dell’opinione pubblica in generale, di fronte a un provvedimento o a una presa di posizione. Banca dati Complesso di notizie organizzato in modo tale da rendere agevole l’accesso all’operatore. 523 Below the line Forme di comunicazione diverse dall’advertising. Convenzionalmente sono collocate “below the line” le attività di comunicazione realizzate al di fuori dei media classici: sponsorizzazioni, promozione, pr, direct marketing, etc. Benefit Vantaggio, beneficio. E’ usato sia per identificare i vantaggi da proporre al consumatore sia per indicare i vantaggi ottenuti o ottenibili dall’impresa mediante una determinata azione di marketing. Blind test Test “cieco”: a potenziali consumatori vengono sottoposti i prodotti in forma anonima, cioè privi dell’indicazione della marca. Brainstorming Metodo decisionale consistente in incontri tra gruppi di persone con l’obiettivo di stimolare proposte e identificare la soluzione migliore. Brand Marca. Il nome che individua un prodotto o un’azienda (anche caratterizzato da un disegno o segno grafico). Serve a differenziare il prodotto o l’azienda, sintetizzandone l’immagine e le valenze di fatto e psicologiche. Brand royalty Fedeltà a una marca da parte del consumatore. Breve/medio/lungo periodo Dimensione temporale di un’attività di comunicazione o definizione del tempo necessario per il raggiungimento degli obiettivi di comunicazione. 524 Brief Documento che riassume gli obiettivi di una campagna pubblicitaria o di una ricerca di marketing, le caratteristiche del mercato potenziale ed eventualmente altre informazioni ritenute necessarie per definire in termini più precisi un’iniziativa. Briefing Passaggio delle informazioni e delle istruzioni necessarie per l’ideazione di un progetto di comunicazione. Consiste nella messa a punto del brief. Brochure Opuscolo informativo riguardante l’organizzazione o un singolo progetto. Budget Letteralmente, bilancio preventivo. Risorsa necessaria per lo svolgimento di un’attività di comunicazione. Viene definito in sede di pianificazione strategica e verificato durante lo svolgimento delle azioni. Business to business Attività di comunicazione aziendale rivolta non al consumatore finale ma ad un’altra azienda. Campagna pubblicitaria L’insieme organico e programmato di messaggi pubblicitari veicolati strategicamente mediante i mezzi di comunicazione di massa per il conseguimento di vantaggi competitivi in termini di marketing. Campagna istituzionale Finalizzata a pubblicizzare non tanto un prodotto quanto l’azienda nel suo complesso. 525 Campagna collettiva Promossa da un’associazione o da un gruppo di aziende operanti nello stesso settore. Cfr. Umbrella Advertising. Campagna d’immagine Finalizzata non tanto ad incrementare le vendite di un prodotto, quanto ad imporre l’immagine di una marca. Campagna multisoggetto Volta a pubblicizzare lo stesso prodotto in situazioni o con testimoni diversi. Canale di comunicazione Mette in relazione l’emittente e il ricevente. Centro media Struttura specialista in comunicazione che programma, per conto di un utente, la veicolazione di messaggi pubblicitari. Di norma un centro media offre agli utenti i seguenti servizi: strategia media e accounting, pianificazione e research, buyng e supporto, gestione e controllo. Check list Lista di controllo. Elenco delle operazioni che una persona deve fare in sequenza per effettuare correttamente un determinato lavoro o programma. Cenestesico Persona che si basa in modo dominante su sensazioni, odori, sapori per prendere le proprie decisioni. Claim Enumerazione dei vantaggi che il prodotto reclamizzato arrecherà all’acquirente. Cluster analysis Indica i possibili raggruppamenti degli atteggiamenti del pubblico sulla base della tendenza all’accordo e serve per 526 classificare e suddividere gli atteggiamenti che differiscono tra loro soltanto di poco. E’ un concetto impiegato nelle ricerche di marketing. Comunicato stampa Comunicazione scritta inviata alle agenzie stampa o direttamente ai giornalisti capace di veicolare un messaggio e offrire una notizia. Comunicazione di crisi Area dell’attività di comunicazione il cui obiettivo è il controllo degli effetti di una situazione di emergenza sull’organizzazione. La comunicazione di crisi è rivolta, in primo luogo, ai mass media e agli ambienti decisionali. Commercial Sinonimo di spot. Concessionaria di pubblicità Azienda cui viene concesso in esclusiva la vendita su un mezzo (o più mezzi) degli spazi o tempi pubblicitari. Opera come intermediario tra i mezzi stessi e i centri media (o le agenzie di pubblicità o gli utenti). Conferenza stampa Incontro con i mass media promosso dall’organizzazione. L’obiettivo della conferenza è comunicare messaggi di interesse per i media stessi. Congresso o convegno Manifestazione ufficiale o riunione di carattere periodico dedicata a un tema di interesse specifico. Connotativo/denotativo Due livelli di “lettura” (di significazione) di un messaggio, il primo dei quali è costi527 tuito dalla denotazione, il secondo (la connotazione) è costituito dall’insieme di sensazioni evocate nella mente di colui che riceve il messaggio, al di là dello stretto significato logico/letterale del testo. Contatti E’ il numero di persone raggiunte da un dato messaggio pubblicitario moltiplicato per il numero delle volte che esse sono state raggiunte. Costo contatto Costo necessario per raggiungere un singolo destinatario con un messaggio diffuso attraverso un determinato mezzo di comunicazione. Convention Incontro eccezionale o periodico per festeggiare una ricorrenza, celebrare un risultato positivo, galvanizzare le forze vendita. Core business E’ il nocciolo duro dell’attività di un’azienda, la ragione solida della sua esistenza sul mercato. Coupon Una parte di annuncio promozionale creata per essere compilata o dal richiedente o dal cliente e rispedita all’inserzionista. Customer satisfaction Soddisfazione del cliente. Si misura con appositi metodi. Data base Archivio o insieme di archivi. Decisori Persone che determinano il potere di decisione, formale e sostanziale, in un’organizzazione. 528 Dèpliant Pieghevole informativo a più ante. Direct mail E’ una delle leve del direct marketing, una forma di comunicazione pubblicitaria diretta, veicolata per posta e rivolta ad un preciso target. Direct marketing Filo diretto con il mercato, dall’analisi (segmentazione di indirizzari) alla comunicazione (mailing o marketing telefonico) alla distribuzione (porta a porta o spedizione contro assegno). Domanda a risposta aperta Domanda che porta l’intervistato a rispondere con parole proprie. Editoria istituzionale Area di attività della funzione relazioni esterne volta alla realizzazione di pubblicazioni edite dall’organizzazione. Di norma si distinguono quattro categorie principali di pubblicazioni: periodico d’informazione, monografia, newsletter e pubblicazioni di prestigio. Effetto alone Influenza positiva esercitata dall’immagine di una azione o di un comportamento su altre azioni o previsioni di comportamento. Effetto boomerang E’ un effetto, non voluto e solitamente negativo, che in termini di reazione dell’audience si esplica in modo opposto a quello atteso. Empatia Sentimento di disponibilità e apertura nei confronti di altre persone. 529 Feed back Flusso di informazioni di ritorno. L’analisi del feed back rende possibile l’interpretazione degli atteggiamenti e la valutazione dell’impatto ottenuto da un messaggio. Fidelizzazione Azione finalizzata a ottenere dal consumatore la continuità nella scelta di un prodotto o di una marca. Una diffusa fedeltà di marca consente maggior sicurezza nelle previsioni e nella pianificazione. Fiera Luogo organizzato per l’esposizione di prodotti/servizi o per la presentazione delle attività dell’organizzazione. La fiera è un’occasione privilegiata di incontro fra operatori di uno stesso settore di attività. Focus group Sistema di rilevamento opinioni che consiste nel formare un gruppo rappresentativo di persone, nel sottoporle a un certo messaggio e nel farle conversare fra di loro per osservare come reagiscono al messaggio. Folder Pieghevole. Follw up Seguito di una campagna pubblicitaria che mette in evidenza nuovi aspetti della comunicazione rafforzandola. Può essere usato per qualsiasi azione di marketing che ne rafforzi una precedente. Free lance Termine usato per indicare il giornalista indipendente e, per estensione, un libero professionista. 530 Fringe benefit Regali e facilitazioni fuori busta, come sistemi di retribuzione discrezionali. Front line Il personale di prima linea: l’impiegato di sportello, il commesso di negozio, la persona che risponde al telefono etc. Gadget Oggetto dato in regalo all’acquirente di un prodotto, a scopo di promozione delle vendite. Gerarchia E’ il principale canale di comunicazione all’interno dell’organizzazione. Può essere top/down o a due vie in base all’atteggiamento dei responsabili rispetto al flusso delle informazioni in azienda. Ghost writer Scrittore/trice ombra. Nelle imprese, l’estensore dei discorsi per il top management. Gruppo di interesse Gruppo di soggetti che hanno un interesse comune. In certi casi può configurarsi come gruppo di pressione e dare luogo all’attività di lobby. Headline “Riga di testa”. E’ il momento testuale introduttivo di un annuncio pubblicitario. House organ Periodico realizzato e distribuito da un’azienda con finalità principale di valorizzare la propria immagine e di instaurare un rapporto continuativo con i propri clienti e/o dipendenti. 531 Hut Homes Using Television. Indica la percentuale di famiglie che guardano la tv ad una determinata ora. Icona Rappresentazione simbolica di un oggetto. Immagine aziendale L’insieme di tutti i messaggi, visivi e non, emessi da un’azienda che concorrono a formare l’atteggiamento dei pubblici, interni e esterni, verso di essa. Immagine coordinata E’ l’immagine che un’organizzazione trasmette attraverso gli elementi estetici che la caratterizzano: dall’arredamento all’ambiente, dalla grafica all’imballaggio, al design dei prodotti, alla segnaletica, alle carte da lettere etc. Incentivazione Sistema di premi e gratificazioni inserito in una campagna volta a migliorare le prestazioni di squadre, gruppi, forze vendita. Indagine demoscopica Ricerca statistica realizzata con la finalità di accertare le opinioni, gli orientamenti e le caratteristiche di un determinato universo. Indice di ricordo Esprime il grado di ricordo di un messaggio pubblicitario. Il ricordo può essere spontaneo, quando l’intervistato cita un elenco di prodotti senza alcun aiuto, oppure aiutato quando l’intervistato ottiene qualche informazione in più. 532 Indoor Iniziativa promozionale condotta al domicilio del consumatore. Infotainment Information+entertainment. Informazione spettacolarizzata, soprattutto televisiva. Internal marketing Utilizzazione delle tecniche del marketing per affrontare i problemi di gestione e comunicazione col personale. Intervista non strutturata Basata su un questionario caratterizzato dall’utilizzo di domande a risposta aperta. Intervista strutturata Basata sull’uso di un questionario a risposte chiuse. Questo tipo di intervista suggerisce una risposta precodificata. Jingle Il breve brano musicale che integra un messaggio pubblicitario radiofonico o televisivo. Just in time Organizzazione di processo, logistica e informatica che permette di produrre e spedire solo quello che serve, risparmiando il più possibile scorte e giacenze in magazzino. Kiss, Regola del - Formula che raccomanda, nella composizione di testi, di attenersi a criteri di brevità e semplicità (Keep it short and simple). Layout Bozzetto di un annuncio pubblicitario, contenente testi e illustrazioni, che viene sottoposto all’utente affinché possa farsi un’idea della versione difinitiva. Cfr. Rough. 533 Lead Attacco di un articolo o di una nota di agenzia stampa. Leader Uomo guida, responsabile, capo. La comunicazione collegata alla leadership, cioè svolta in una situazione di relazione interpersonale gerarchica (capo-collaboratore), è una componente fondamentale per promuovere, arricchire e finalizzare la comunicazione interna alle grandi aziende. Leaflet Volantino pubblicitario usato soprattutto nella distribuzione porta a porta. Lettera aperta Articolo giornalistico polemico redatto in forma di lettera. Invece di essere inviata al destinatario, la lettera viene pubblicata su un giornale, in modo da aprire o stimolare un dibattito su un determinato tema. Lettera circolare Comunicazione scritta rivolta a più interlocutori all’interno di un’organizzazione. Lettering Serie alfanumerica completa realizzata con un carattere tipografico elaborato appositamente per un’organizzazione. Insieme al Logo, al Marchio, e ai colori istituzionali concorre all’identificazione dell’organizzazione. Licensing Cessione temporanea a pagamento del diritto all’uso pubblicitario di un nome, di un Logo o di un Marchio. 534 Livello di persuasione Capacità del Messaggio di incidere sulle opinioni, sugli atteggiamenti e sui comportamenti dei destinatari. E’ un parametro di valutazione dell’efficacia dell’azione di comunicazione. Lobbying Attività di informazione e di pressione, conveniente ai propri interessi, svolta da una organizzazione o da un gruppo di persone nei confronti di ambienti decisionali istituzionali e politici. Logo O logotipo. Particolare espressione grafica che, utilizzando il Lettering appositamente elaborato, identifica il nome o la sigla di una organizzazione, divenendone il simbolo. Mailing Operazione di comunicazione pubblicitaria veicolata tramite la posta. Mailing list Elenco di nominativi a cui inviare materiale informativo selezionati secondo precisi criteri con riferimento agli obiettivi prefissati. Marchio Segno grafico di proprietà esclusiva che contraddistingue un’azienda, un prodotto, una linea di prodotti, un servizio. Marketing Insieme delle procedure mediante le quali viene analizzata e prevista la domanda di un prodotto, e delle azioni volte a stimolarla e soddisfarla. Le operazioni di marketing intervengono nelle fasi di progettazione, produzione, distri535 buzione e comunicazione del prodotto stesso, con l’obiettivo di incoraggiare il flusso dei beni e dei servizi dal produttore al consumatore finale Cfr. Marketing mix. Marketing mix Combinazione degli elementi di un piano di marketing che influiscono sul successo commerciale di un prodotto. Gli elementi del marketing mix sono sintetizzati dalla “teoria delle sei P”: Product (caratteristiche relative al prodotto: qualità, prestazioni, confezione, garanzia, assistenza); Prize (prezzo del prodotto: prezzo base, sconti, offerte, modalità di pagamento); Place (canali di distribuzione: grande distribuzione, distribuzione tradizionale, copertura geografica); Promotion (comunicazione pubblicitaria, promozione); Power (gruppi di pressione e istituzioni); Public Relation (relazioni esterne, comunicazione verso pubblici specifici). Mass media Mezzi di comunicazione di massa, capaci cioè di raggiungere in modo indifferenziato il più vasto pubblico (stampa, televisione, radio, ecc.). Media planning Cfr. Pianificazione dei mezzi. Media training Addestramento da parte dell’Ufficio stampa dei dirigenti di un’azienda a confrontarsi con i mezzi di comunicazione di massa. 536 Merchandising Attività di promozione delle vendite attuata dopo che il prodotto ha raggiunto il punto vendita (ad es.: fornitura ai rivenditori di materiale pubblicitario, ecc). Messaggio Contenuto della comunicazione, definito in fase di progettazione delle strategie di comunicazione di una organizzazione. Mission Missione. I valori e gli obiettivi di un’azienda, il suo core business, i vantaggi competitivi che intende mantenere, consolidare o raggiungere, la sua funzione all’interno della società, nonché le politiche aziendali che intende adottare per conseguire gli obiettivi che essa si è posti. Mostra Area di attività della funzione Relazioni esterne consistente nella organizzazione o partecipazione di un’azienda a una mostra o fiera di livello nazionale o internazionale, con scopi di promozione e qualificazione all’interno di uno specifico contesto produttivo e culturale. Newsletter Foglio notizie. Bollettino di informazione con periodicità variabile inviato da una organizzazione ad uno specifico pubblico (ad es.: dipendenti di un’azienda, clienti, membri di un’associazione, ecc.). Notiziabilità Idoneità di un evento ad essere trasformato in notizia, in base a un insieme di criteri di rilevanza, e in relazione alla cultura professionale dei giornalisti e all’organizzazione del lavoro negli apparati informativi. 537 Obiettivo di comunicazione Risultato che una organizzazione intende raggiungere mediante l’attività di comunicazione. One-time rate Tariffa pubblicitaria speciale applicata ad un messaggio pubblicato o trasmesso una sola volta. Opinion leader Persona che influenza le opinioni di un pubblico indifferenziato grazie alla posizione che ricopre all’interno della società. Opinione collettiva Opinione di un gruppo di persone che presenta, in base ad un interesse di riferimento, comuni percezioni, atteggiamenti e reazioni. Opinione pubblica Opinione omogenea e indifferenziata prevalente nella società in un determinato momento storico. Nella dinamica che produce la formazione dell’opinione pubblica, il risultato finale deriva dalla rete di interazioni che lega i Mass-media, gli Opinion leader e il contesto delle relazioni sociali in cui i media operano. Organigramma Rappresentazione grafica che descrive sinteticamente i ruoli, le funzioni, i compiti, le responsabilità e i rapporti gerarchici esistenti nell’ambito di una determinata struttura organizzativa. Orientamento al cliente Propensione della politica di marketing di un’azienda a dare la priorità, nella costruzione della propria strategia, ai bisogni dei consumatori finali dei prodotti/servizi da essa offerti. 538 Pacing and leading Prendere il ritmo dell’interlocutore e poi condurre l’interazione. Packaging Confezione, incarto. E’ la veste con cui il prodotto viene presentato al consumatore finale. Panel Nelle ricerche empiriche e nelle indagini di mercato, il panel è il campione di persone utilizzato per la rilevazione statistica dei comportamenti. Pay off Frase di chiusura di un messaggio pubblicitario. Penetrazione Rapporto tra la totalità del pubblico e la parte di esso che ha notato o accolto un annuncio pubblicitario o un prodotto. Pianificazione dei mezzi Ripartizione degli investimenti pubblicitari tra i diversi veicoli di comunicazione (stampa, radio, televisione, ecc.), con l’obiettivo di ottimizzare il numero delle esposizioni al messaggio pubblicitario da parte del maggior numero possibile di individui facenti parte del Target di riferimento. Piano di comunicazione Modello per impostare l’attività di comunicazione di una organizzazione e realizzare la pianificazione strategica degli interventi chiarendo obiettivi, politica, strategia, azioni, ecc. del progetto di comunicazione. 539 Politica di comunicazione Fase del Piano di comunicazione in cui si definiscono le scelte principali sulle quali impostare l’attività di comunicazione di una organizzazione. Posizionamento Rilevamento della collocazione di un’azienda o di un prodotto nella percezione dei pubblici di riferimento rispetto alle imprese o prodotti concorrenti. Il posizionamento viene rilevato sia sulla base di dati oggettivi (fatturato, quote di mercato, vantaggi competitivi, ecc.), sia rispetto all’immagine (notorietà, atteggiamento positivo o negativo verso di essa, ecc.). Press-tour Consiste nella organizzazione di un viaggio, al quale vengono invitati rappresentanti della stampa, in occasione del quale evidenziare i messaggi dell’organizzazione e affrontare temi di suo interesse. Problem solving Tecnica di focalizzazione su modalità da attuare per la soluzione di uno specifico problema. Product orientation Propensione della politica gestionale di un’azienda a dare la priorità, nella costruzione della propria strategia, alla produzione, senza focalizzare l’attenzione sulle attitudini e sui bisogni del cliente. Pubblicità Attività di comunicazione realizzata da un’azienda nei confronti del Pubblico, di alcuni segmenti di esso (Segmentazione), attraverso l’acquisizione a paga- 540 mento di spazi pubblicitari sui mezzi di comunicazione, al fine di ottenere la preferenza dei propri prodotti/servizi. Pubblicità esterna Attività e mezzi della pubblicità effettuata in spazi aperti (affissione, installazione, ecc.). Pubblicità istituzionale Area di attività della funzione Relazioni esterne. Si distingue dalla pubblicità di prodotti/servizi per il fatto di riferirsi all’organizzazione in quanto tale. Pubblicità redazionale Pubblicità redatta sotto forma di notizia o servizio di informazione giornalistica che compare a pagamento su quotidiani e riviste, contraddistinta ed evidenziata da opportuna impaginazione e grafica. Pubblicità sul luogo di vendita Situata nella catena comunicativa proprio sul luogo di vendita, mira a influenzare e determinare l’atto di acquisto (il 50% degli acquisti in grandi superfici di vendita non sono previsti dal consumatore sin dall’inizio). Pubblico Gruppo di persone con caratteristiche comuni verso il quale viene indirizzata un’azione di comunicazione. Public affair Attività di comunicazione riferita alla gestione di istanze politico-sociali. Rapporti con la stampa Area di attività della funzione Relazione esterne. All’interno di una struttura organizzata, la gestione dei rapporti con la 541 stampa e i mezzi di informazione è affidata all’Ufficio stampa. Rapporti istituzionali Rapporti di comunicazione con le istituzioni di vertice (Governo, Parlamento, ecc.). Per estensione, essi includono le relazioni con le forze politiche e le organizzazioni di persone (partiti, sindacati, associazioni, movimenti, ecc.). Recall Ricordo. Indice del successo di una campagna pubblicitaria a distanza di tempo. Redemption Risultato, in termini assoluti o percentuali, di una operazione promozionale o di vendita. Relazioni interpersonali Fattore di rilevanza strategica nell’ambito dell’attività di comunicazione interna, che permette di comunicare in maniera non mediata, adeguando il Messaggio all’interlocutore e acquisendo da questo informazioni in modo diretto. Relazioni pubbliche (PR) Funzione aziendale di comunicazione che ha lo scopo di promuovere immagini favorevoli e positive di persone o dell’azienda presso il grande pubblico, per migliorarne la notorietà, mediante l’utilizzo di appropriati Strumenti di comunicazione ad es.: Pubblicità istituzionale comunicati stampa, filmati, eventi, ecc. Rip-off Spot composto da spezzoni di film famosi. 542 Risultato Indice di valutazione dell’attività di comunicazione in termini di consenso ottenuto e modificazione delle opinioni, atteggiamenti e comportamenti dei pubblici rilevanti per l’organizzazione. Rough Bozzetto iniziale di un annuncio pubblicitario utile a dare un’idea di massima dell’impostazione. Cfr. Layout. Segmentazione Con riferimento all’attività di comunicazione, indica il frazionamento del Pubblico in sottoinsiemi particolari, individuati in base a parametri sociodemografici o ad altri criteri. Società dell’informazione Fase della società nell’era industriale in cui l’informazione è diventata il principale e più significativo prodotto di base e insieme risorsa fondamentale. Sondaggio d’opinione Indagine esplorativa dell’Opinione pubblica corrente rispetto a una tematica specifica, consistente nell’analisi delle risposte fornite da un campione di persone a una serie di domande prefissate. Sponsoring Sponsorizzazione. Area di attività della funzione Relazioni esterne. Consiste nel sostenere finanziariamente una manifestazione culturale, sportiva o di spettacolo con l’obiettivo di ricavarne prestigio e notorietà. Stakeholders Soggetti o gruppi di persone portatori di interessi nei confronti di una organizzazione. 543 Strategia di comunicazione Fase del Piano di comunicazione in cui si individuano i criteri di scelta delle azioni di comunicazione, correlate logicamente e qualitativamente, con riferimento all’area di attività, agli Obiettivi di comunicazione e agli Strumenti di comunicazione. Strumenti di comunicazione Mezzi che permettono di realizzare le azioni di comunicazione, adeguati alle diverse possibilità operative relative al Pubblico di riferimento e alle aree di attività. Target Gruppo di persone che presentano caratteristiche omogenee definite generalmente in termini sociodemografici, di abitudini, ecc., a cui è indirizzato un Messaggio. Terziarizzazione Strategia aziendale in base alla quale si demandano e acquistano all’esterno (da terzi) uno o più servizi, decentrandoli così dalla struttura aziendale (outsourcing). Testimonial Personaggio noto che conferisce garanzia pubblicitaria ad un prodotto. Top-down, Comunicazione Processo comunicativo di natura esclusivamente informativa, istruttiva e prescrittiva, che fluisce lungo una sola via, verticale e discendente, da una posizione preminente a una subordinata, senza tener conto dell’azione di feedback da parte del destinatario. 544 Ufficio stampa Ufficio con la competenza specifica di ottimizzare il rapporto tra organizzazione e società mediante specifici Strumenti di comunicazione. Umbrella advertising Pubblicità relativa a un’associazione di categoria o a un gruppo di aziende, e non a un singolo soggetto o prodotto. Valutazione dei risultati Fase finale del Piano di comunicazione in cui viene eseguita un’analisi di efficacia dell’attività di comunicazione valutando i risultati ottenuti (Risultato), e si procede a una verifica delle modalità future di comunicazione. Vision Visione. Espressione sintetica e capace di colpire emotivamente che illustra le mete prefissate dall’impresa, la cultura di cui è permeata, la sua visione del futuro, ecc. Who, Where, When, What, Why Chi, dove, quando, che cosa, perché. Formula utilizzata per realizzare in modo sintetico ed esauriente un pezzo giornalistico, o per verificare il grado di chiarezza di un documento o di un comunicato stampa. 545 BIBLIOGRAFIA 547 AA.VV. 1996 AA.VV. 1995 Trade Mark & Store Design, Milano, Lupetti Editori di Comunicazione Comunicare nella metropoli, Torino, UTET ABRUZZESE, A. Analfabeti di tutto il mondo uniamoci, Roma, Costa & Nolan 1996 ALESSANDRINI, G. Comunicare organizzando. 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