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DOCUMENTI
CNEL
1° Rapporto
sulla comunicazione d’impresa - 1998
realizzato da ASCAI Servizi
ROMA 1998
Questo 1° Rapporto sulla comunicazione d’impresa in Italia, realizzato da
ASCAI Servizi, è stato reso possibile dal contributo offerto da un insieme di
soggetti e di persone che condividono interessi e competenze sulle tematiche
comunicazionali:
In particolare si desidera ringraziare:
• Banca Nazionale del Lavoro
BNL
Banca Nazionale del Lavoro
• INAIL
• Poste Italiane
Poste
Italiane
La redazione del Rapporto è opera di un gruppo di lavoro coordinato da
Massimo Maria Scalise e composto da:
Franco Amicucci (Cap. I)
Serena Arcangeli (Cap. II, par. 1)
Enrico Auteri (Cap. V, par. 2)
Alberto Beonio Brocchieri (Cap. I)
Mario Brutti (Cap. VIII)
Maurizio Incletolli (Cap. VII)
Patrizia Mattei (Cap. II, par. 2; Cap. V, par. 1)
Dalila Nobili (Cap. II, par. 2; Cap. V, par. 1)
Umberto Paniccia (Cap. VI)
Pierluigi Pauletti (Cap. IV, par. 1)
Marco Polidori (Cap. IV, par. 1)
Valeria Quaglione (Cap. III)
Massimiliano Valerii (Cap. III; Cap. II, par. 3)
Marco Vergeat (Cap. IV, par. 2)
Hanno inoltre collaborato:
Luisella Erlicher
Michele Giannasi
Manuela Mazzucco
Paola Motta
Sandra Muzzi
Silvia Santucci
Il Comitato scientifico, costituito presso il CNEL, per sovrintendere alla
realizzazione del Rapporto è stato presieduto da Giuseppe Capo e composto da:
Franco Amicucci
Alberto Beonio Brocchieri
Mario Brutti
Paolo Giannaroni
Massimo Gibelli
Maurizio Incletolli
Mario Martino
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Paolo Mazzanti
Paolo Nizza
Umberto Paniccia
Pierluigi Pauletti
Massimo Scalise
Stefano Trombetta
CAPITOLO I
RIFLESSIONE SULLO STATO
DELLA COMUNICAZIONE D’IMPRESA
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PREMESSA
Comunicazione. Forse la parola maggiormente emblematica di
questo ultimo scorcio di “secolo breve”, così definito da Eric J. Hobslawm per l’accelerazione che gli eventi della storia e le trasformazioni
sulla vita degli uomini hanno assunto ad un ritmo sempre più vertiginoso.
E c’è da aggiungere implacabilmente vertiginoso. Può infatti accadere di provare persino sgomento di fronte all’incalzare degli eventi e alla
rapidissima evoluzione che scienza e tecnologia stanno determinando negli stili di vita, nei comportamenti, nei modi di organizzare l’esistenza
singola ed associata delle persone, di intenderne il significato ed i valori.
E’ peraltro fuor di dubbio che in questo cambiamento palingenetico abbia giocato e giochi un ruolo fondamentale la comunicazione, vero e proprio fulcro di ogni attività pensante, come già sul finire degli
anni ‘50 aveva intuito Gillo Dorfles, aiutandoci a prendere consapevolezza di quanto i processi comunicazionali intervengano e condizionino
profondamente quelli operativi: dalla produzione ai servizi, dalla amministrazione della cosa pubblica allo sviluppo delle economie e dei
mercati.
Scienza e tecnologia, nell’intreccio con la comunicazione, configurano il potere in una delle sue più delicate espressioni.
Siamo cioè di fronte al moderno modo di proporsi della figura dell’“Imperatore”, per cui non deve sembrare stravagante ricordare a proposito di questa laica trinità l’antico motto sapienziale:
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“Il mondo intero regola i suoi passi sul passo dell’imperatore”.
Sarà bene riflettere sulla etimologia della parola comunicazione.
Essa significa rendere comune; far partecipe altri di qualcosa; conferire, infondere, trasfondere, distribuire fra i più beni, ricchezza, concetti, cultura.
Una parola dunque densa di significati e di contenuti profondi che
vanno ben al di là della pura circolazione delle informazioni.
Si pensi, per esempio, che uno degli aspetti fondamentali della comunicazione è il dono.
Comunicazione, infatti, è anche essenza e sinonimo di comunità
(cum-munus, con dono) e comporta fecondità di scambi, reciprocità positive come ha ben percepito ed espresso Borges.
Se è vero che sul piano umano ognuno di noi è contemporaneamente monaco e frate, la comunicazione si pone come il punto di incontro e di collegamento tra questi due aspetti che albergano non soltanto
in ciascuna persona, ma, sia pure con pesi diversi, anche nei soggetti
collettivi (nelle aziende, come vedremo), nella società.
Riprendendo la metafora del potere dobbiamo avere consapevolezza piena che, a differenza di quanto è accaduto nelle precedenti epoche
storiche quando la volontà dell’imperatore era sacra e incontestabile,
noi oggi abbiamo la possibilità di utilizzare scienza, tecnologia, comunicazione come leve per indirizzare e gestire lo sviluppo nella sua dimensione di progresso civile, di crescita qualitativa.
Qualità che riguarda i beni prodotti, ma anche e forse soprattutto
le idee, i comportamenti, gli stili di vita. E riesce ad elevare il livello
della convivenza collettiva attribuendo senso pieno alla esistenza di ognuno e di tutti.
Questa possibilità è indubbiamente alla portata dell’uomo, ma la
realtà - ad una osservazione attenta - si presenta in modo tutt’altro che
limpido.
Anche nell’ambito del sistema della comunicazione prevalgono le
contraddizioni, le tensioni, gli egoismi, finanche gli scontri.
La stessa comunità degli operatori è disomogenea, spesso lacerata
al suo interno, non riesce a proporsi come un gruppo forte. Ciò ritenia8
mo sia dovuto certo alla esistenza di interessi divergenti, ma soprattutto
alla carenza di saldi legami culturali, alla mancanza di esercizio al confronto sistematico, allo scambio di saperi e di esperienze, al gusto di fare ricerca insieme e, per dirla fino in fondo, alla debole comunicazione,
intesa nella accezione alta e piena richiamata.
Questo Rapporto sulla Comunicazione d’Impresa in Italia, che si
ripromette di avere cadenza annuale, è stato ideato e voluto proprio come risposta alla necessità che tutti avvertiamo di una riflessione unitaria, di una sede e di una occasione capace di delineare scenari, fare sintesi e monitorare esperienze, sensibilità, atteggiamenti, comportamenti
ed il loro inverarsi nelle specifiche realtà territoriali, settoriali, di dimensione di impresa, mettendole a confronto, esplicitando modelli, linee di tendenza, spunti innovativi.
Una sede che sappia dar conto e documentare lo stato dell’arte, i
problemi aperti che chiedono di essere affrontati e risolti, le prospettive
che vengono profilandosi attraverso, in particolare, la rappresentazione
delle diverse esperienze, soprattutto quando siano portatrici di innovazione, di stimoli utili a rimettere in discussione vecchi stereotipi, modelli e comportamenti. Essi infatti contrastano o quanto meno ritardano
l’affermarsi di modalità e di stili di lavoro idonei a rafforzare la capacità combinatoria, la integrazione fra le varie funzioni aziendali per sviluppare processi di comunicazione ricchi di professionalità, di qualità,
di elevato valore umano; generatori di identità, di progettualità; suscitatori di atteggiamenti positivi, di entusiasmo, di gusto al lavoro e al successo.
In questo lavoro, che abbiamo realizzato attraverso una ampia
consultazione dei soggetti che operano nel vasto e variegato mondo
della comunicazione aziendale, ci siamo proposti ed abbiamo proposto
ai nostri interlocutori di operare insieme con “umiltà”. Umiltà intesa
nella sua accezione etimologica di “humus” che alimenta, fortifica, fa
crescere.
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DALL’ORALITÀ, ALLA SCRITTURA, ALLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE
“Le lettere cagionano smemoramento nelle anime di coloro che le
hanno apprese, perocché più non curano della memoria, come quelli
che, fidando della scrittura, per virtù di strani segni di fuori si rammentano delle cose, non per virtù di dentro e da se medesimi. Dunque trovato hai la medicina, non per accrescere la memoria, sibbene per rivocare
le cose alla memoria. E quanto a sapienza, tu procuri ai discepoli l’apparenza sua, non la verità”.
E’ questa una delle obiezioni che nel Fedro, il Socrate di Platone
muove alla scrittura. Apre così il libro di Walter J. Ong, Oralità e scrittura, il Mulino. Ma, per farsi paladino dell’oralità, il filosofo greco scrive il suo pensiero che rimane nella storia proprio grazie alla scrittura.
Oggi, analogamente, si rivolgono da più parti inviti alla prudenza,
si esprimono riserve, si lanciano allarmi per un possibile abbandono
della lettura, per un crescente disamore al libro, con nefaste conseguenze per il livello culturale di intere generazioni.
Rivivendo il paradosso del grande filosofo greco, per veicolare
queste critiche si utilizzano le tecnologie della scrittura informatica e le
reti informative per darne rapida e capillare diffusione.
Peraltro è vero che, grazie alle nuove tecnologie dell’informazione, in nessun periodo della storia umana si sono pubblicati tanti libri come in questi ultimi anni.
Per comprendere la profondità dei cambiamenti che sono attualmente in corso e dell’autentica rivoluzione che stiamo vivendo può
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essere utile ripercorrere, in forma sintetica, alcuni passaggi della nostra storia, aiutandoci, in questo, con le descrizioni che ci ha lasciato
Ong.
L’homo sapiens esiste sulla terra da circa 50.000 anni. Il più antico
sistema di scrittura risale solo a 3.500-4.000 anni fa, mentre lo sviluppo
dell’alfabeto greco avviene attorno al 720-700 a.C..
“I Greci fecero qualcosa di grandissima importanza quando svilupparono il primo alfabeto completo, comprendente anche le vocali
...L’alfabeto greco era democratico, poiché facile per tutti era impararlo, internazionalista, potendo essere usato anche per le lingue straniere” (Ong, op.cit.).
La scrittura non si diffonde rapidamente e, soprattutto, agli inizi,
rimane strumento utilizzato da un numero ristrettissimo di persone,
strumento di potere magico e segreto.
Con la scrittura si ha una forte accelerazione dello sviluppo delle
varie civiltà perché la trasmissione della conoscenza non avviene più
solo attraverso la cultura dell’oralità primaria, ma attraverso il documento scritto che permette l’accumulazione della conoscenza, sviluppa
l’astrazione ed il pensiero analitico, comincia a superare i vincoli di
tempo e di spazio tipici della trasmissione orale.
L’altro grande passaggio che incide profondamente nello sviluppo
delle civiltà è l’invenzione della stampa con caratteri alfabetici mobili
permettendo al libro di essere stampato con un processo che ha rappresentato la prima vera catena di montaggio, perché ha consentito di ottenere un elevato numero di copie dello stesso libro. La parola entra così
nel processo industriale e diventa essa stessa prodotto.
Con la stampa si ampliano gli effetti della scrittura e si apre un
nuovo e profondo processo che rivoluziona la cultura e lo sviluppo umano; la conoscenza veicolata attraverso la scrittura diventa un prodotto disponibile non solo per un numero ristretto di persone, ma per larghi
strati di popolazione.
Anche in questo la conseguenza è quella di una forte accelerazione
dello sviluppo della civiltà, perché la conoscenza si diffonde, si attivano
con più intensità scambi culturali e nuove invenzioni, si creano le condizioni per la successiva fase dell’industrializzazione.
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Dalla scrittura che permette il deposito della memoria nel testo a
disposizione di un ristrettissimo numero di persone, alla stampa che
permette la diffusione della conoscenza a livello di massa, passiamo
con la Società dell’Informazione, alla creazione, produzione, utilizzazione della conoscenza senza più vincoli di tempo e di spazio, con una
massa enorme di informazioni disponibile contestualmente per milioni
di persone nello stesso istante.
Nuovi problemi, anche di natura etica, si pongono, ma è certamente vero che mai l’uomo è stato di fronte a tante opportunità.
Il primo problema che quotidianamente si presenta alle persone,
alle organizzazioni, alle imprese, è quello di adeguarsi ad un carattere
assolutamente nuovo e specifico della Società dell’Informazione: quello della velocità dei cambiamenti che non ha precedenti nella storia umana e richiede continuamente rapidi adattamenti culturali ed organizzativi.
Calvino, nelle sue Lezioni Americane, dedica una lezione proprio
alla rapidità, individuandone una delle chiavi di lettura del passaggio di
millennio.
Ama citare Leopardi quando scriveva nelle note del suo Zibaldone: “La velocità, per esempio, de’ cavalli o veduta, o sperimentata,
cioè quando essi vi trasportano (...) è piacevolissima per sé sola, cioè
per la velocità, l’energia, la forza, la vita di tal sensazione. Essa desta
realmente una quasi idea dell’infinito, sebbene l’anima, la fortifica...”
(27 ottobre 1821).
La società dell’informazione sta riscoprendo il valore della oralità.
Il telefono, la radio, ed ora la videoconferenza riattivano forme di
comunicazione orale, che, pur diverse dalla fase pre-scrittura, quella
dell’oralità primaria, riattiva la comunicazione diretta, alimenta l’introversione, ripristina simultaneità temporale nel dialogo.
Un ritorno dell’oralità è anche una caratteristica dell’impresa-rete,
della fabbrica segmentata ormai spazialmente, ma fortemente integrata
dai sistemi informativi.
Mentre nella fase industriale, nella produzione standardizzata e di
massa la quotidianità del lavoro tendeva all’estroversione - l’operaio alla catena o lo stesso operaio di mestiere stretti nel rapporto con il pro12
prio lavoro e prodotto, con forme di comunicazione prevalentemente
gerarchiche o, per attivare momenti di comunicazione collettiva, rituali
e simboliche, come le grandi assemblee operaie -, nell’impresa-rete il
lavoro è prevalentemente assorbito da macchinari ad alto contenuto tecnologico e buona parte del trattamento delle informazioni viene automatizzato con le nuove tecnologie di informazione, riattivando una fitta
rete di relazioni interpersonali necessaria per il governo della rete, che
richiede continuo adattamento, flessibilità, rapidità nelle decisioni e nei
cambiamenti.
Forme queste, tipiche della mente umana.
E’ allora necessario ridefinire il concetto stesso di comunicazione
interna.
La comunicazione interna non può essere circoscritta spazialmente
all’interno degli uffici e degli stabilimenti: comprende i processi di comunicazione che si sviluppano nella rete, non più delimitata da confini
spaziali, ma disegnata dai fili, più o meno intensi, dagli snodi dove si
deposita per poi ripartire e diffondersi nella rete.
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OBIETTIVI, LIMITI, METODOLOGIA DEL RAPPORTO
La “Comunicazione di Impresa” coinvolge numerose categorie di
operatori e dunque di logiche e di interessi.
Anzitutto, ovviamente, le imprese stesse, che ricorrono alla comunicazione come strumento del mix gestionale, non soltanto con una crescente intensità ma, soprattutto, con crescente consapevolezza. E’ infatti utile
ricordare come, secondo il ‘principio di completa comunicazione’, esplicitato da Carlo Antonio Ricciardi nella sua premessa a Il sistema comunicazione, la pressione competitiva induca gli operatori a elevare progressivamente il livello di comunicazione che essi dirigono verso il mercato, giacché la ’non comunicazione’ equivale a posizionarsi automaticamente al
più basso livello medio di qualità del servizio percepita dal mercato.
In secondo luogo i tanti e diversi pubblici con cui l’impresa ‘scambia comunicazione’.
In terzo luogo ci sono gli operatori della comunicazione: tutti coloro che, a diverso titolo e secondo diverse modalità, sviluppano attività
comunicazionali coerenti e funzionali agli obiettivi delle imprese.
E poi il vasto mondo degli studiosi che, in funzione delle proprie
specializzazioni disciplinari, affrontano il rapporto “ComunicazioneImpresa” vuoi dal punto di vista della comunicazione, vuoi da quello
dell’Impresa, cercando di costruire analisi sistemiche che approfondiscano le interazioni dei due termini.
Non può, infine, essere trascurato il mondo della formazione che,
proprio in questi anni, sta sviluppando un filone dedicato alla prepara14
zione di professionisti della comunicazione, contemplando in modo
specifico la disciplina della Comunicazione di Impresa.
La Comunicazione di Impresa si configura, dunque, per la pluralità di attori che coinvolge, come un vasto territorio o, se si preferisce,
come un crocevia ove saperi e prassi, obiettivi e metodologie, tecniche
e strumenti che provengono da diverse origini e da diverse elaborazioni
si mescolano e si compongono in una nuova disciplina. Un territorio in
grande fermento, cui dedica attenzione l’intera galassia dell’informazione, dai quotidiani alle collane editoriali e alle riviste specializzate,
dal cinema alla saggistica di costume.
Ma la definizione “disciplina” può già apparire come una valutazione arrischiata: si potrebbe, anzi, affermare che uno degli interrogativi impliciti che stanno al fondo di questo Rapporto sia proprio se la Comunicazione di Impresa possa essere considerata, ed eventualmente in
quale senso, una disciplina compiutamente definita e definibile.
Se per disciplina si intende un insieme di fondamenti teorici, di
prassi operative, di tecniche e di strumenti che interagiscono in un “sistema” ordinato, secondo linee di forza identificabili - e diffusamente
accettate -, allora si deve ammettere che la definizione non si attaglia
ancora pienamente alla Comunicazione di Impresa. Si deve convenire
che, sebbene molte delle tantissime riflessioni dedicate a questo argomento negli ultimi anni (quaranta-cinquanta, se pensiamo agli Stati Uniti, venti-trenta se pensiamo all’Italia) siano state proprio indirizzate
alla ricerca dei “presupposti teorici” della Comunicazione di Impresa, il
lavoro di fondazione è ancora lungi dall’aver fornito un corpus dottrinale e pratico stabile e condiviso.
La spia più semplice - ma di disarmante evidenza - di questo stato
di cose sta nella indisponibilità di una base semantica formalizzata. Espressioni come “Identità di Impresa”, “Immagine di Impresa” o addirittura “Comunicazione Interna” “Comunicazione Istituzionale” o
“Marketing Communications” più che richiamare contenuti concettuali
ed esperienziali sedimentati e condivisi sembrano alludere a magmatiche sfere di possibili significati: tanto che gli autori metodologicamente
più avvertiti sentono il bisogno di esplicitare il proprio vocabolario prima di entrare nelle specifiche trattazioni. E anche la stessa espressione
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“Comunicazione - di - Impresa” si presta ad un inquietante ventaglio di
interpretazioni.
Questa difficoltà a definire e a perimetrare l’oggetto di indagine risulta del tutto comprensibile alla luce di due considerazioni.
Anzitutto, il concetto stesso di Comunicazione di Impresa, nell’accezione di un insieme di attività continuative, organizzate e pianificate
(dunque, sistemiche), è molto recente. Fatta eccezione per la pubblicità
che nelle sue manifestazioni elementari compare nelle gazzette settecentesche, le imprese hanno sviluppato una consapevolezza dello strumento comunicazionale in tempi assai vicini: spesso si dimentica che
l’informazione economica - oggi uno dei pilastri della nostra Comunicazione di Impresa - si è sviluppata in Italia solo a partire dagli anni
‘70, e che la diffusione della comunicazione come primario strumento
di marketing è soprattutto figlia della televisione e, in particolare modo,
della proliferazione di televisioni commerciali. E’ lecito, dunque, dire
che la Comunicazione di Impresa è oggi in una fase di stato nascente,
come la sociologia a metà del secolo scorso.
Secondariamente, essa si colloca in uno spazio cartesianamente
definito dagli assi “Comunicazione” e “Impresa” che, ciascuno per sé,
presentano una straordinaria ricchezza morfologica e che, ciascuno per
sé, sono “entità” fortemente interdisciplinari, che compendiano saperi e
prassi di lontana e diversa provenienza.
La piena consapevolezza di ciò sta alla base di tre scelte metodologiche che sono state poste a fondamento del presente lavoro.
Anzitutto, come già accennato, esso non si propone né va considerato come un’opera “chiusa”. Il Rapporto 1998 è il momento di avvio di un processo di monitoraggio, di indagine e di riflessione che si
vuole proiettare nel tempo, secondo il concetto dell’opera aperta, che
si fa e si compie attraverso il suo stesso procedere ed evolvere. Questa
prima edizione si configura quale punto di partenza di un itinerario: in
questo senso ha anche il valore di una “proposta” lanciata verso il vasto mondo degli uomini d’azienda, degli operatori della comunicazione, degli studiosi e degli analisti, degli operatori culturali per attivarne
il contributo in termini di collaborazione all’orientamento delle edizioni future.
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Secondariamente, e in coerenza con quanto detto sopra, il Rapporto si prefigge un duplice scopo: da un lato offrire un ventaglio di informazioni, di dati e di aggiornamenti che consentano di capire meglio che
cosa sia, oggi, la Comunicazione di Impresa nel nostro Paese; dall’altro
essere stimolo per una rinnovata discussione, per riflessioni allargate attorno al ruolo che la Comunicazione di Impresa ha, potrebbe o dovrebbe avere nella promozione della crescita culturale, economica e sociale;
attorno agli snodi che ne possono rallentare lo sviluppo o alle questioni
che è opportuno affrontare e discutere. In questo senso il Rapporto vuole essere, oltre che un prodotto editoriale, un catalizzatore di energie, un
attivatore di riflessioni, un’occasione di confronto fra quanti credono
nel ruolo dell’Impresa come forza di sviluppo civile e nella funzione
della Comunicazione come propellente della macchina-Impresa.
In terzo luogo si è scelto di impostare il lavoro come una “perlustrazione” di quanto avviene nel territorio della Comunicazione di Impresa, per cogliere le posizioni, le mosse e i reciproci ruoli degli attori,
protagonisti o comprimari. E quindi, mentre si ritiene essenziale dar
conto della produzione di interpretazioni teoriche e dei più diffusi orientamenti operativi relativi al fenomeno, dei parametri economici e
organizzativi che lo descrivono, delle tecniche e degli strumenti - soprattutto innovativi - che si riscontrano sul campo, nonché di alcune aree di esperienza specifica, non si è voluto orientare il lavoro nella direzione di un autonomo e nuovo contributo alla elaborazione teoretica attorno al tema.
Questo primo Rapporto nasce dunque con l’obiettivo di proporre
una lettura ragionata della “Comunicazione di Impresa”, si potrebbe dire “una guida” per orientarsi attraverso la molteplicità dei temi e dei
problemi che stanno all’interno di questo contenitore, per cogliere certe
linee di tendenza, per pesare il valore delle sue componenti fondamentali. Ma proprio la dimensione del fenomeno, cui abbiamo fatto cenno,
il suo polimorfismo e anche, su una scala culturale, la sua novità, rendono nei fatti imperseguibile qualsiasi obiettivo di compiutezza, e assai
difficile e fragile ogni tentativo di sistematizzazione. Anche perché non
è ovviamente possibile dare contemporaneamente spazio, in un unico
volume, ad una ricognizione a 360 gradi del panorama: in questo senso
ogni anno il Rapporto si focalizzerà su aspetti e contenuti diversi, se17
condo un piano diacronico finalizzato a costruire nel tempo una mappa
ragionata, anche proprio sulla scorta del dibattito che questa iniziale esperienza potrà attivare.
Naturalmente, la scelta del punto prospettico di lettura, il taglio
contenutistico, le priorità adottate nella selezione degli argomenti e dei
casi costituiscono di fatto “una presa di posizione” non neutra nei confronti del materiale su cui si opera. Nessun lavoro di questo genere può
ragionevolmente proclamarsi “neutro” rispetto alle diverse valenze interpretative. Ma si è cercato di ancorare tutta l’indagine ad un criterio
descrittivo, secondo l’obiettivo di offrire agli operatori strumenti e
spunti per addentrarsi criticamente nel campo piuttosto che suggerire
specifiche chiavi interpretative. La struttura “aperta” cui si faceva cenno rimanda naturalmente, d’altro canto, ad approfondimenti specifici
nelle future edizioni.
Poiché l’obiettivo del lavoro non è sviluppare una indagine teoretica sulla comunicazione e neppure, almeno in prima battuta, suggerire
modelli ideali di interpretazione, è opportuno assumere come dato di
partenza la “fluidità e l’indeterminatezza” del fenomeno che si cerca di
descrivere, per cercare di estrarre dai dati e dai reperti dell’indagine
proprio una indicazione, se non altro di valore statistico, su come la Comunicazione venga, nei fatti, vissuta ed agita nel o nei contesti imprenditoriali italiani e nella produzione pubblicistica.
In altri termini, si assegna a questo lavoro, quale obiettivo rilevante, proprio quello di tracciare una mappa di come il mondo imprenditoriale “usi” la Comunicazione, se e come la inserisca fra le leve del management, quale ruolo le riconosca e le assegni, quali risorse impegni
su questo versante.
Ma, per una lettura corretta dei materiali presentati, è importante
sottolineare e tenere sempre presente la molteplicità di riferimenti teorici e di contenuti esperienziali che si cela dietro l’apparente unità della
definizione “Comunicazione di Impresa”.
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L’EVOLUZIONE DELLA COMUNICAZIONE DI IMPRESA IN ITALIA
La distinzione fra Comunicazione Interna e Comunicazione Esterna appare oggi sostanzialmente superata, in quanto tutti i processi comunicazionali delle Aziende sono assoggettati a metodologie e a professionalità che condividono il medesimo orizzonte e perseguono finalità integrate nella prospettiva dello sviluppo imprenditoriale.
Ma questa convergenza è il risultato di un processo lungo e spesso
tortuoso, che coincide con lo sviluppo della auto-consapevolezza dell’Impresa di essere oltre, e forse prima, che soggetto economico, soggetto
sociale, nel senso più ampio del termine. In questo processo la Comunicazione Interna e quella Esterna hanno disegnato itinerari diversi che, pur
sfociando in un esito comune, hanno subito in tempi diversi l’influenza di
molteplici fattori.
Alcuni meritano di essere rapidamente ricordati per mettere a fuoco
con maggior compiutezza il senso attuale della Comunicazione di Impresa.
a. Dal “giornalino” all’Internal Communications
La Comunicazione Interna nasce, ovviamente, con l’Impresa stessa, dove in realtà si è sempre comunicato qualche cosa in qualche modo
(se non altro attraverso circolari interne e ordini di servizio).
Ma l’Internal Communications, come la intendiamo oggi, quale
complesso integrato e sistemico di relazioni che legano i dipendenti
all’impresa, è il frutto dell’evoluzione delle organizzazioni e della cultura aziendale.
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Nel primo ventennio del dopoguerra, il giornale aziendale è lo
strumento fondamentale per lo svolgimento dell’attività di comunicazione con i dipendenti.
L’impostazione è rigorosamente topdown, i contenuti enfatizzano
l’attività e i successi dell’impresa. Emerge un certo protagonismo e un
certo paternalismo da parte di imprenditori e manager che peraltro, proprio negli anni del dopoguerra, sono stati gli artefici dell’industrializzazione del Paese: la stampa interna, spesso in una forma agiografica, ha
emblematizzato questo apporto, sicuramente determinante al successivo
sviluppo della nostra economia. Dall’analisi del menabò dei diversi giornali aziendali si può osservare quale spazio e quale risalto siano dati alle
cronache delle attività di tipo ricreativo e assistenziale per i dipendenti.
Inserito in un sistema gerarchico tradizionale, l’house organ rappresenta comunque un’iniziativa innovativa, nonostante il taglio e certi
aspetti un po’ naif.
L’attenzione degli specialisti e la loro riflessione si appunta sull’organizzazione necessaria per realizzare il giornale e il dibattito riguarda tecniche di preparazione, organizzazione della redazione, scelta
(non ancora analisi) della tipologia dei lettori di riferimento.
La crescita della strumentazione professionale richiesta a chi produce il giornale interno fu dovuta principalmente a due fattori. Anzitutto, il boom economico che fornì alle aziende maggiori mezzi per realizzare e curare le attività di informazione. Secondariamente, i profondi,
talvolta turbolenti, cambiamenti socio-politici che caratterizzarono quegli anni, e si riflettevano anche sui giornali aziendali, dove compaiono
temi che richiedono trattazioni di più ampio respiro. Il nuovo ruolo
dell’Impresa nel contesto sociale allargò gli orizzonti dell’house organ
oltre i confini dell’Impresa stessa e dei rapporti sindacali, aprendo il dibattito a temi come l’Europa, la famiglia, la donna e le problematiche
ambientali.
Trasformandosi così da ‘bollettino’ dell’azienda a strumento di informazione destinato soprattutto ai capi, il “Giornale Interno” diventa
strumento di ricerca di un nuovo ruolo e di una nuova legittimazione
per la struttura gerarchica, messa a dura prova dal periodo dei conflitti
sindacali.
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In quegli anni Settanta iniziano dibattiti professionali su temi che
ancora oggi, dopo più di 20 anni, non trovano ovunque risposte univoche: per esempio, “Una unica pubblicazione rivolta sia all’interno che
all’esterno oppure due o più pubblicazioni distinte?”; “Pubblicazioni
che segmentino orizzontalmente i pubblici interni (secondo i livelli gerarchici) oppure che si indirizzino a popolazioni verticali omogenee per
tipologia di attività?”.
Gli anni Ottanta segnano un punto di svolta, che si può leggere come il passaggio alla Comunicazione Interna in senso moderno. Archiviato il periodo dello scontro frontale con il sindacato, l’Impresa si è
riappropriata più consapevolmente un rapporto diretto con i suoi dipendenti, che va oltre la valenza della mera informazione che aveva caratterizzato il decennio precedente. Non limitata all’house organ, la Comunicazione Interna diventa qualcosa di più, strumento di un dialogo
più aperto e continuo, uno “scambio”, che vede il suo fulcro nel rapporto tra capo e collaboratore.
L’evoluzione prende avvio da due fattori tipici degli anni Ottanta:
la stagione delle relazioni interne, che ha caratterizzato le politiche di
rapporto con il personale nel primo quinquennio, e la rivoluzione della
qualità totale, che ha segnato la seconda metà. Tra questi due fenomeni
c’è un rapporto di continuità, il cui sbocco naturale sarà poi la riscoperta della centralità dell’individuo negli anni Novanta. C’è anche, in nuce,
il ruolo più completo ed evoluto cui è chiamata la struttura gerarchica,
tenuta a motivare e incentivare l’impegno delle persone, anche garantendo l’informazione su policy, obiettivi e andamenti gestionali dell’azienda e a fornire una “personalizzazione” di tali dati in relazione alla
specifica realtà operativa.
Il capo è, infatti, il referente più adatto per fornire quella che possiamo definire l’“interpretazione autentica” del messaggio: ha l’investitura ufficiale dell’azienda e la conoscenza approfondita della realtà cui
si rivolge. E’ inoltre l’unico che, in strutture grandi e decentrate, può
raccogliere quel feedback professionale che costituisce l’essenza stessa
della moderna visione di comunicazione interna a due vie. E’ chiaro
che, a questo punto, emergono due aspetti da tenere ben presenti: da un
lato, la necessità di una formazione di base, estesa a tutti i capi con re21
sponsabilità gestionali, su come comunicare in modo efficace; dall’altro, il controllo e la successiva valutazione di come effettivamente è stata svolta questa attività.
Gli anni Novanta si aprono con quella crisi che costringe le aziende a un profondo ripensamento delle strutture organizzative e operative.
Per riuscire ad avere la flessibilità e la velocità di risposta richieste dai
continui mutamenti del mercato, i meccanismi di funzionamento devono diventare più veloci e meno burocratici. Ogni singola persona e ogni
livello gerarchico devono apportare un reale valore aggiunto al prodotto
finale. Messo in crisi il principio tayloristico di una rigida divisione del
lavoro, e superato l’ormai ridondante (e costoso) schema impostarecontrollare-eseguire, in azienda c’è più spazio per chi imposta e per chi
migliora: il primo dà gli obiettivi e stabilisce il come e il quando realizzarli, il secondo appronta gli interventi necessari e fornisce un continuo
feedback dal campo.
Nascono nuove forme organizzative (azienda corta, snella, azienda-rete), che si alimentano di un naturale circolo virtuoso che rompe i
confini delle funzioni e chiama le persone a una partecipazione più diretta, responsabile e gratificante. Ecco ritornare il concetto, già visto, di
“scambio”, che si arricchisce ora del connotato di “organizzativo”: la
comunicazione diventa strumento operativo, l’unico utilizzabile da
gruppi di persone che operano in diversi settori aziendali, con conoscenze, professionalità e culture diverse, per mettere in comune, in parallelo e non più in sequenza, know-how e conoscenze specifiche (organizzazione per processi, per piattaforme, per team).
Si aprono prospettive nuove, in parte già anticipate nel decennio
precedente: le relazioni interne mirano a ribadire l’importanza del fattore umano all’indomani della profonda rivoluzione tecnologica, mentre
le metodologie della total quality altro non sono, almeno nella maggioranza dei casi, che l’applicazione costante e rigorosa di metodo, attenzione, cura e buon senso. Tutte cose che necessitano dell’intervento interpretativo e responsabile delle persone.
Sotto il profilo della Comunicazione, questo si traduce in maggior
coinvolgimento e maggiore attenzione ai destinatari, non più considerati soltanto come dipendenti, ma anche come clienti interni.
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Il parallelismo tra cliente esterno e interno è un filone di pensiero,
una filosofia che mutua dal marketing logiche, e in parte strumenti, per
meglio esplicitare quello che era già stato messo in evidenza dalla dottrina dell’organizzazione e del comportamento organizzativo: l’equilibrio costante tra la soddisfazione del cliente che acquista e del dipendente che lavora è un elemento chiave per il successo dell’impresa. Se,
infatti, le aziende si sono sempre date come obiettivo la fidelizzazione
del cliente esterno, oggi diventa altrettanto importante stabilire un nuovo accordo con il cliente interno, che dall’azienda “acquista” il suo posto di lavoro e il ruolo organizzativo, dando in cambio la sua prestazione professionale. Si arricchisce il rapporto tra azienda e dipendente: a
quanto previsto dal contratto di lavoro e dalle norme di legge (“il dipendente va organizzato, disciplinato, controllato”), si aggiunge un altro
statement, che prevede che il dipendente debba anche essere “capito,
motivato, orientato”. Solo così si realizza, infatti, il passaggio da lavoratore subordinato che “ha l’obbligo di lavorare” a dipendente-cliente
che “gradisce lavorare” ed è più disponibile a dare il suo apporto professionale, a collaborare alla realizzazione degli obiettivi aziendali, ad
essere ‘fidelizzato’ al sistema in cui è inserito. E fidelizzare non significa certo (né sarebbe comunque fattibile) “trattenerlo” in azienda, ma
motivarlo a un più maturo e completo contributo professionale, proficuo per l’impresa e gratificante per lui. Significa cioè creare le condizioni per un continuo e consapevole “rinnovo” della scelta fatta al momento dell’assunzione, dando per scontato che la non-riconferma da
parte del dipendente stesso può costituire un grave danno per l’azienda,
assai più grave della perdita di un cliente. Attuare una gestione del personale “di qualità”, in ottica di marketing interno, significa allora applicare concretamente tutte quelle metodologie di analisi utilizzate per studiare il mercato esterno dei consumatori: conoscere la domanda, segmentare i clienti, misurare i risultati.
Nella loro prima metà, gli anni Novanta hanno dunque segnato la
riscoperta della centralità della persona, e hanno dato inizio a una sorta
di neo-Rinascimento in cui la scelta manageriale vincente è (e soprattutto sarà in prospettiva) un miglior utilizzo della capacità intellettiva di
tutte le persone che operano in azienda e, di conseguenza, una maggior
attenzione alla motivazione al lavoro.
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Tutto questo, con l’assillante pungolo di una competitività su cui
si sprecano gli aggettivi (internazionale, globale, spietata, sempre crescente), produce un indubbio arricchimento di idee, proposte e contributi, provenienti anche dal basso, da quelle fasce di popolazione, cioè,
tradizionalmente meno coinvolte in attività “creative”. Di qui il concetto di learning organization, l’organizzazione che apprende, che sviluppa
professionalità ed è naturalmente spinta al miglioramento, tesa a superare gli standard, in un’ottica di contributi attesi e non più di compiti
prefissati. Un’organizzazione che si autoalimenta nello scambio, nella
pluridirezionalità (top-down, bottom-up, laterale), nell’obiettivo di acquisire sempre nuove competenze; e qui, davvero, la comunicazione è
elemento costitutivo della struttura e, nello stesso tempo, motore propulsore del continuo cambiamento e garanzia della “tenuta” del sistema, in termini di trasmissione di valori, principi, responsabilizzazione e
autoregolazione.
Da questa nuova visione, legata da un rapporto di causa-effetto alla rivoluzione delle strutture aziendali tradizionali, è derivata la necessità di ripensare la Comunicazione Interna: non più soltanto sapere professionale specifico degli “addetti ai lavori” del settore, ma anche expertise diffuso, skill professionale richiesto a ogni livello manageriale,
nonché requisito indispensabile per chi è chiamato a lavorare nei team
interfunzionali.
b. Dalla ‘reclame’ alla immagine integrata
Durante gli anni della grande ricostruzione postbellica la Comunicazione Esterna non occupava certamente una posizione di rilievo nel
mix delle attività gestionali delle imprese italiane e gli orizzonti comunicazionali erano sostanzialmente limitati a due aree di intervento: la
promozione dei prodotti, per lo più attraverso quotidiani e periodici, e
la divulgazione della “carta di identità” dell’impresa, affidata solitamente alle pagine patinate delle brochure aziendali.
Solo poche grandi aziende contavano su strutture professionali interne e pochissime sviluppavano una vera strategia di rapporto con i
propri diversi pubblici e di costruzione di una “visibilità” funzionale agli obiettivi di business.
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Il primo importante cambiamento di passo fu sostanzialmente frutto della bufera di valori innescata dalla stagione sessantottesca. I duri
confronti sociali di quegli anni non fecero soltanto maturare - come abbiamo visto - una nuova cultura della comunicazione verso i dipendenti,
nell’ottica delle relazioni industriali: obbligarono le imprese a riconsiderare globalmente la propria funzione. E posero, sia pure in modi assai
diversi nei diversi comparti merceologici, il problema della legittimazione dell’impresa come soggetto sociale oltreché come attore economico. Anche sulla spinta della cultura comunicazionale d’oltre Atlantico, veicolata soprattutto dalle grandi multinazionali, cominciarono a
farsi strada i concetti di “bilancio sociale”, cioè di una lettura degli impatti delle Imprese sui diversi segmenti della società: i dipendenti e i
clienti anzitutto, ma anche le forze sociali, le organizzazioni di categoria, le comunità locali e l’insieme della macchina economica nazionale
cui l’impresa doveva contribuire col proprio valore aggiunto di ricerca,
di sviluppo, di creazione di occupazione e di contribuzione fiscale. Nasce in quegli anni l’attenzione alla comunicazione istituzionale, spesso
ingenuamente dedicata a magnificare le proprie virtù, ma positivamente
ispirata dalla presa di coscienza che la responsabilità dell’Impresa non
s’arresta ai cancelli della fabbrica.
Al di là delle accese dialettiche che caratterizzarono le relazioni
sindacali di larga parte degli anni Settanta, si fa strada la consapevolezza che il profitto è condizione necessaria, ma non sufficiente dell’essere
Impresa.
Il mondo dei media comincia ad essere considerato non solo come
veicolo di promozione commerciale, ma anche come strumento di dialogo tra Impresa e Società.
Il Comunicare richiama un’attenzione specifica; non ancora strategica, forse, ma certo importante se si vuole “posizionare” correttamente
l’Impresa nel proprio contesto, per richiamare una espressione che i
pubblicitari cominciano ad utilizzare a proposito dei prodotti.
Ci sono due fattori che in quegli anni influenzano significativamente l’evoluzione della Comunicazione Esterna.
Il primo, strutturale, è il peso della mano pubblica nell’economia
del Paese. Il mondo politico, centrale e locale, nella doppia dimensione
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delle istituzioni e dei partiti, è un interlocutore primario ed inevitabile
per le Imprese, che si devono attrezzare per lanciare in quella direzione
nuovi ponti relazionali e per apprendere lessici e logiche assai diversi
da quelle aziendali. Questa esigenza sta alla base di quello sviluppo delle attività di lobby che ha condotto, da un lato, alla positiva diffusione
delle Agenzie di Relazioni Pubbliche e, dall’altro, al fiorire di figure di
intermediazione purtroppo non sempre o non sufficientemente professionali, innescando una parabola i cui esiti negativi si sarebbero palesati
vent’anni più tardi.
Il secondo è lo sviluppo dell’informazione economica che, uscendo dalle strette dello specialismo, si conquista nuovi spazi sui quotidiani e determina una fioritura di iniziative editoriali mirate.
L’azione combinata di questi fattori porta effetti significativi.
Anzitutto, le Agenzie di Relazioni Pubbliche e di Comunicazione,
spesso animate da professionisti di ottima cultura comunicazionale nutrita dalle esperienze anglosassoni, portano nelle imprese un bagaglio di
conoscenze e di metodologie sicuramente apprezzabile, che amplia gli
orizzonti degli operatori interni oltre le pure logiche pubblicitarie. Poi,
il contatto che l’informazione economica postula con i giornalisti fa penetrare all’interno delle aziende una nuova sensibilità agli interessi dei
lettori e alle esigenze dell’informazione.
Il bisogno di “professionalizzare” la Comunicazione di Impresa si
afferma in questo periodo.
Ma vi è un’altra conseguenza, altrettanto importante. Se l’Impresa
comincia ad articolare un ventaglio di comunicazioni che, utilizzando
diverse tecniche e diversi mezzi, si rivolgono a pubblici differenti, allora diventa essenziale “coordinare” queste molte voci, orchestrando una
strategia ampia e coerente nel tempo. Ecco, dunque, prendere corpo il
concetto di pianificazione integrata della Comunicazione, concetto che
comprende le comunicazioni rivolte verso l’interno e quelle dirette all’esterno.
Pur con tutta la prudenza opportuna nelle generalizzazioni e nelle
partizioni cronologiche, possiamo far risalire perciò a quegli anni Settanta il primo tentativo di sistematizzazione della Comunicazione di
Impresa come area rilevante del management.
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Nel decennio successivo questo quadro si arricchisce di altri elementi importanti, tra loro fortemente legati.
Anzitutto, sulla spinta della internazionalizzazione dei mercati e
della evoluzione verso il mondo dei servizi, il Marketing si afferma come momento cruciale della gestione dell’Impresa. Contemporaneamente l’esplosione della televisione commerciale apre le frontiere della
pubblicità di massa, quella appunto televisiva, anche a imprese di dimensioni non primarie: la Comunicazione diventa dunque fattore di primo piano nella logica del Marketing.
Secondariamente, la nuova attenzione al tema della qualità globale
postula un forte ricorso alla Comunicazione: non solo verso i pubblici
interni, come abbiamo ricordato, ma anche verso tutti i partner che
l’impresa ha lungo la filiera che va dai fornitori ai clienti finali.
In terzo luogo, la crescente importanza dei mercati e delle logiche
finanziarie, puntualmente riflessa e a volte anche amplificata dal mondo
dei media, impone alle Imprese una nuova attenzione nei confronti
dell’“apparire” come condizione di acquisizione prima e di mantenimento poi del favore degli investitori. L’immagine vincente dell’Impresa-insè, prima ancora che dei suoi prodotti/servizi, diventa un “must”, a volte
anche coltivato con eccessive vanità personalistiche, da sostenere con
crescenti investimenti pubblicitari, con cospicue attività di sponsorizzazione, con accorte strategie di relazione verso i media, con la presenza attiva nelle mille occasioni che la evoluzione sociale va offrendo.
Il boom economico degli anni Ottanta, ancora inconsapevole della
propria fragilità, alimenta la crescita della Comunicazione come momento forte della gestione dell’Impresa. Negli organigrammi il Responsabile della Comunicazione sale sempre più spesso al rango di primo riporto del top. L’idea che un’Impresa abbia bisogno di una chiara e forte
strategia di Comunicazione si radica stabilmente, almeno come affermazione teorica, nella disciplina del management.
Le vicende della prima metà degli anni Novanta, crisi economica,
crisi politica, crisi di valori sociali e di etica imprenditoriale, hanno costretto ad una rilettura critica del boom comunicazionale degli anni Ottanta. L’apparire - è poi sembrato - si era divorato l’essere; il far sapere
aveva soppiantato il fare.
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Non è ovviamente nella economia di queste pagine addentrarci in
tale argomento, né arrischiare giudizi. E’ tuttavia utile sottolineare come quel decennio abbia fortemente contribuito, nel nostro Paese, ad accelerare la maturazione della Comunicazione quale momento specificamente individuato e importante nel mix delle attività di gestione dell’impresa. Ne è testimonianza la vivacità di dibattito che ha attraversato
gli ambienti della comunicazione e che ha contribuito ad innalzare significativamente la consapevolezza professionale dei comunicatori d’azienda. Ed è importante ricordare come nella seconda metà degli anni
Ottanta si affermi la necessità di un impegno formativo nel campo della
Comunicazione di Impresa, si avvii una ricca produzione pubblicistica
e si attivi quella riflessione che ha poi trovato esito nella istituzione, da
parte di numerose Università e Scuole, di facoltà, di corsi di laurea o di
master in Scienze dell’Informazione, con specifica attenzione alla componente della Comunicazione di Impresa.
Tuttavia in quegli anni la centralità della Comunicazione si afferma e si invera quasi esclusivamente nelle Imprese di grande e media dimensione, proiettate su mercati extranazionali. Limitazioni budgettarie
da un lato e resistenze culturali dall’altro sembrano ancora bloccare la
piccola-media impresa sulla soglia di un uso professionale e strategico
della Comunicazione, sia sul versante esterno che su quello interno.
Con gli anni Novanta questa situazione cambia. Le spinte vengono
da diversi agenti.
La globalizzazione dei mercati proietta anche le piccole e medie
imprese su palcoscenici internazionali, che bisogna conoscere e dove
bisogna farsi conoscere.
La crescente complessità delle tecniche di marketing, figlia della
progressiva customizzazione di prodotti/servizi e delle nuove consapevolezze del consumatore, impone strumenti relazionali più raffinati e
dialogici con la clientela.
L’affermazione dei sistemi d’Impresa a rete postula un fitto e continuo scambio di informazioni lungo tutta la catena della creazione del
valore, indipendentemente dalle collocazioni geografiche e relega in
soffitta - come abbiamo già notato - le vecchie e scolastiche distinzioni
fra interlocutori interni ed esterni.
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La trasformazione morfologica della concorrenza (coo-petition invece che competition, come sintetizza la formula anglosassone) richiede una disponibilità di informazioni, una rapidità di condivisione e una
velocità di reazione che solo evoluti sistemi comunicazionali possono
garantire.
Le Imprese, questa volta tutte, devono fare i conti con la propria
capacità di Comunicare a 360 gradi, efficacemente ed economicamente.
c. L’Impresa e l’Information Communication Technology
Forza a un tempo catalizzatrice e abilitante di questo cambiamento
è quella grande rivoluzione che si usa sintetizzare con il nome di ICT e
che trova il suo riferimento simbolico-paradigmatico nel mondo di Internet e dei suoi derivati.
A Internet è dedicata attenzione in altra parte del Rapporto. Qui importa sottolineare che Internet è, certamente, un nuovo medium, ma è soprattutto un nuovo “spazio comunicazionale” che propone logiche nuove.
Volendo ricorrere a paragoni banalizzanti potremmo dire che Internet sta
agli altri media non come l’automobile sta alla carrozza a cavalli o alla
bicicletta, bensì come l’aeroplano ai trasporti terrestri. Modifica completamente i parametri economici, sociali e logici della Comunicazione.
Si è già molto dibattuto della “democraticità” di Internet. A questa
espressione si possono dare molte interpretazioni e molti valori. E’ certo, comunque, che la Grande Rete proietta sul palcoscenico mondiale
della comunicazione anche quelle Imprese che per le ridotte dimensioni
ne erano - o si ritenevano - fino ad ieri escluse. Ed è altrettanto certo
che essa pone un nuovo tassello al concetto di Comunicazione Integrata. Non soltanto perché il “portante” Rete tende ad unificare i diversi
pubblici prima raggiunti da media diversi e perché l’intero sistema della
comunicazione si unifica in un “qui ed ora” che fonde gli universi spazio-temporali, ma anche perché la progressiva “numerizzazione” delle
informazioni e il loro fluire fra tutti i nodi di una rete globale tende a
cancellare le differenze fra produttori e consumatori di comunicazione,
fra soggetti attivi e passivi.
Si realizza, nel mondo Internet, una dimensione comunicazionale
che avvolge i diversi Sistemi-Impresa come un Meta-Sistema (si torne29
rà più avanti su questo concetto) in cui tutto entra in risonanza con tutto. Gestire la Comunicazione di Impresa diventa, in questa nuova realtà,
attività di altissimo significato strategico e di elevata complessità e postula forti preparazioni professionali.
Dunque, opportunità straordinarie e altrettanto straordinaria sfida
che il nostro “secolo breve”, sembra consegnare al nuovo millennio.
Nell’ottica di questo Rapporto si pone, però, una questione: l’apparato teoretico che attorno alla Comunicazione di Impresa si è venuto
sin qui sviluppando; la consapevolezza manageriale e la preparazione
professionale che ne guidano l’applicazione concreta; in sintesi, la cultura della Comunicazione come strumento di gestione dell’Impresa nella nostra società, cultura che abbiamo visto crescere e modificarsi
nell’arco di quasi cinquant’anni, è pronta ad affrontare il banco di prova
della Società globale della Comunicazione?
Oggi la cultura di Impresa pare incerta se affidare la piena responsabilità di gestire strategicamente il tessuto ed i comportamenti relazionali
dell’Impresa agli operatori della Comunicazione - professionisti interni o
consulenti esterni - o se riservare questo spazio al top management, affidando al Comunicatore-professionista la mera gestione degli strumenti.
O, ancora, se puntare su una riqualificazione dei top manager in direzione
comunicazionale, così come sul finire degli anni Settanta accadde per le
competenze di natura finanziaria che divennero parte integrante del bagaglio formativo ed esperienziale degli aspiranti numeri uno.
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QUALE COMUNICAZIONE, IN QUALE IMPRESA
“Ancora nel 1941 - notava Volli nell’introduzione al Libro della
comunicazione, del 1994 - il dizionario italiano Zingarelli definiva ‘comunicare’ solamente nei termini di ‘fare partecipe, rendere comune ad
altri, dividere insieme’... Solo nel dopoguerra si impose l’idea della comunicazione nel senso ampio e immateriale in cui oggi la intendiamo, e
inizialmente essa fu intesa soprattutto come passaggio dell’informazione, secondo un modello ingegneristico...”.
La realtà ci appare oggi ben più complessa: lo stesso Volli ricorda
sei diversi modi di intendere la comunicazione, sei differenti modi, dunque, di leggerne il senso e le logiche, spaziando dal concetto di informazione a quello di scambio.
Dunque, quando si parla di Comunicazione di Impresa, a che cosa
ci si riferisce?
La questione è rilevante, con riferimento non soltanto alle caratteristiche intrinseche e alle basi teoretiche del ‘comunicare’ in logica di
Impresa, ma anche al terreno di applicazione della comunicazione stessa, al ruolo che l’Impresa le ha attribuito negli anni e le attribuisce ora.
L’inflazionato avvertimento: “Qui c’è un problema di comunicazione”, cilicio di tutti gli operatori del settore, ha, probabilmente, pieno
diritto di cittadinanza in qualsivoglia momento della vita: ma quando si
materializza nel quotidiano di un’Impresa, esso può diventare sia una
luce che accende nuove prospettive manageriali, sia una cellula divoratrice del tessuto gestionale. Dipende dal senso che le si riconosce, dal
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valore e dai limiti che si assegnano alla Comunicazione. Uno dei rischi
insiti nell’enfasi che l’attuale pubblicistica dedica alla Comunicazione
in generale, e alla Comunicazione di Impresa in particolare, è quello di
dilatarne il senso e la portata sino a farle perdere ogni definibile significato ed ogni funzione utilmente operabile.
Il problema è maiuscolo e non a caso attira l’impegno di studiosi e
di operatori di diversa matrice.
In estrema sintesi possiamo ricordare che l’elaborazione teoretica
sulla Comunicazione si sta sviluppando lungo le diverse traiettorie che
scaturiscono dalla sua stessa interdisciplinarità: troviamo allora la Comunicazione “vista dal semiologo”, “vista dal fisico o dal chimico”,
“vista dall’informatico o dall’ingegnere di telecomunicazioni”, “vista
dal teorico dei sistemi complessi”, “vista dal sociologo”, “vista dallo
psicologo” e così via. In linea di massima, ciascuno di questi operatori
segmenta il magma “Comunicazione” secondo un proprio angolo di visuale, con una operazione di tomografia, interpretandolo secondo il bagaglio della propria disciplina. E’ ovvio, ad esempio, che la Comunicazione di cui parla l’ingegnere è un insieme di definizioni, di leggi e di
eventi altamente formalizzati, matematicamente definibili.
Ma, che cosa è la Comunicazione “vista dall’impresa”?
Se un ingegnere considera la Comunicazione solo in quanto essa
può essere espressa in termini di trasmissione, di flussi, di portanti, di
ridondanza e così via; se il semiologo la considera come insieme di segni, di simboli, di significati, di interpretazioni, quali sono le categorie
descrittive ed interpretative, le funzioni che le attribuisce l’operatore di
Impresa?
In altri termini, quali ruoli l’operatore di Impresa attribuisce alla
Comunicazione? Quali obiettivi le assegna, nel mix della attività di gestione aziendale? E ancora, quali fini si prefigge di raggiungere, attivandola? Esiste una interpretazione della Comunicazione specificamente pertinente al sistema Impresa? E quali ne sono i fondamenti?
La questione non è rilevante solo sotto un profilo teorico: essa rimanda, infatti, alla difficoltà - concreta ed operativa - di individuare un
“proprium” della Comunicazione di Impresa, di assegnarle uno spazio
preciso di intervento, di definirne obiettivi e limiti, di inquadrarla in co32
stanti semantiche. La Comunicazione di Impresa, in altre parole, fatica
a costituirsi in “disciplina”, schiacciata come è fra l’onnicomprensiva
pervasività del concetto di comunicazione e le mille diverse concretezze quotidiane, per lo più inesorabilmente tattiche, della vita dell’Impresa.
Non a caso la letteratura sulla Comunicazione di Impresa registra
una polarizzazione piuttosto netta. Da un lato ci sono le analisi che vogliono essere fondative della disciplina: lavorano necessariamente su
categorie ad amplissimo spettro, applicabili a fattispecie molto diverse
e che possono individuare “leggi” comuni a molti spazi empirici. Ma
spesso il momento della “applicazione” di tali leggi alla esperienza concreta (e dunque della loro verifica) scivola di fatto in secondo piano o
viene solo abbozzato.
Per contro, gli operatori, quelli che “fanno” quotidianamente Comunicazione di Impresa e concretamente “producono” eventi comunicazionali inseriti in una logica di impresa, muovono da esperienze concrete, dal “qui e ora”, saltando o comprimendo la fase teoretica. Danno
per scontato che il margine di scollamento interpretativo sui fondamenti
e sulle definizioni non sia mai tale da compromettere la corretta comprensione delle esperienze che essi desiderano trasmettere: in realtà accade frequentemente che proprio la indeterminatezza semantica e la povertà di processo astrattivo impoveriscano i loro apporti, riducendoli al
livello di semplici “istruzioni d’uso” che occultano la profondità e l’articolazione sistemica dei problemi che vorrebbero affrontare.
Insomma, questi due approcci metodologici faticano a trovare
punti di sintesi. Tra prassi e teoria manca un ponte solido e percorribile.
Sicché, come Gianfranco Bettettini ricordava opportunamente già nel
1993, la letteratura relativa alla Comunicazione di Impresa è “sempre a
mezza strada fra l’induzione di normative generali da un’analisi di casi
concreti e il tentativo di elaborare modelli destinati a una verifica empirica”.
Questo stato di cose è alla radice di problemi non indifferenti che
afferiscono alla professionalità degli operatori e alla loro formazione, al
“reale” ruolo della Comunicazione nelle Imprese “reali”, alla cultura
manageriale, alle scienze gestionali: problemi, in sintesi, che vanno a
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toccare alcuni gangli vitali della nostra organizzazione economico sociale.
Sull’altro asse cartesiano, quello delle Imprese, le cose non sono
più semplici: tra una megastruttura multinazionale, articolata in centinaia di aziende diffuse in tutto il globo e connesse da una fittissima rete
relazionale (in IBM si scambiano quattro milioni di messaggi E-Mail al
giorno) e una piccola cooperativa locale le differenze sono abissali. Si
potrebbe legittimamente dubitare che sia utile e significativo designare
realtà tanto diverse ricorrendo ad una unica categoria. Probabilmente la
Comunicazione di Impresa, per Fiat, IBM o Unilver è morfologicamente e funzionalmente altra cosa che per la premiata ditta Brambilla e Figli. E ancor più, proprio se ragioniamo in termini di Comunicazione, i
consumi di Comunicazione differiscono tra un’impresa basata sull’innovazione e sulla cross fertilization delle competenze e una fondata sulla reiterazione di processi fortemente consolidati.
Dunque, se è vero che, in teoria, l’apparato mediatico è lo stesso
per l’Impresa grande, media o piccola, nella realtà dei fatti ragioni di
costo, di livelli culturali, di strutture professionali e naturalmente di
mercato fan sì che la Comunicazione di una piccola-media impresa sia,
nella concretezza del vissuto, altra cosa da quella di un’Impresa mediogrande. Le differenze quantitative finiscono per costituire differenze
qualitative. In sintesi i problemi e le soluzioni comunicazionali sono
profondamente diversi.
Sicché, quando si parla di Comunicazione di Impresa è naturale,
ma forse anche necessario, chiedersi non solo di quale Comunicazione
si stia parlando, ma anche di quale Impresa.
In effetti, molti lavori sulla Comunicazione di Impresa ritengono
oggi più produttivo dedicare ampi spazi alla disamina di casi concretamente riferiti a questa o quella realtà, piuttosto che inseguire teorizzazioni con pretese validità universali. Resta, tuttavia, la convinzione (o
l’illusione? o il pregiudizio?) che il comune denominatore “fare Comunicazione” abbia una sua sostanziale concretezza, riscontrabile in comuni fondamenti teoretici, tecnici e strumentali.
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DIVERSE INTERPRETAZIONI DELLA COMUNICAZIONE DI IMPRESA
Supponiamo di affermare che la Comunicazione, in una determinata Impresa, è buona. Quale può essere il senso di tale giudizio? Si potrebbe intendere che il responsabile del reparto Comunicazioni e il suo
staff sono esperti professionisti del settore, hanno formazione teorica ed
esperienza specifica e producono lavori di qualità. O che l’Impresa attiva flussi comunicazionali molto ricchi. Oppure che il Capo Azienda è
sensibile alla rilevanza che la Comunicazione riveste per l’Impresa, indipendentemente da chi e come “produce” la Comunicazione. O, ancora, che i manager prestano attenzione e impegno ad essere buoni comunicatori, verso i propri collaboratori; o verso i clienti; o verso le terze
parti. O che l’Impresa sa ascoltare gli stimoli e i segnali che pervengono dall’interno; o dal mondo esterno.
Ma si potrebbe parimenti intendere che nel corpo dell’Impresa le
Comunicazioni fluiscono a dovere, facilitando il lavoro quotidiano.
O alcune di queste cose assieme; o tutte queste cose assieme.
In parte questa ambiguità è riconducibile alla semplice polivalenza
semantica del termine Comunicazione, che può indicare sia il prodotto
di una specifica struttura organizzativa, sia un insieme di accadimenti
comunicazionali che hanno luogo nell’Impresa e attorno ad essa, sia i
flussi o addirittura la rete che li veicola, sia l’amalgama di queste cose.
E spesso la pubblicistica, e non solo quella frettolosamente divulgativa,
tratta della Comunicazione di Impresa senza troppo soffermarsi a definire gli ambiti di riferimento.
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Ma vi è anche un motivo più profondo e significativo che vale la
pena di considerare.
Secondo una lettura oggi largamente diffusa, l’Impresa è un sistema complesso che si articola in sottosistemi (la produzione, la finanza,
il marketing...) e si interfaccia con sistemi esterni (il mercato, gli operatori economici, il territorio, la Pubblica Amministrazione, il corpus normativo, eccetera). Tanto più il Sistema-Impresa sviluppa una morfologia atta ad “aderire” ai sistemi esterni e ad attivare funzioni di reciproco
feed back, tanto più validamente esso può operare.
In questa, volutamente semplificata, visione strutturalista che cosa
è e dove si colloca la Comunicazione di Impresa?
Per un verso, considerata come specifica unità organizzativa preposta a produrre determinati output, essa è uno dei sottosistemi dell’Impresa, a sua volta sempre più spesso articolato in sotto-sottosistemi che
interfacciano l’insieme dei sottosistemi interni - si parla allora di Comunicazione Interna - o l’insieme dei sottosistemi esterni - appunto,
Comunicazione Esterna -. (Che questo sotto-sistema risieda all’interno
all’Impresa, oppure sia parzialmente o completamente esternalizzato fatto per sé di estremo interesse - non è rilevante in questo contesto).
Interpretata, invece, come l’insieme dei canali e dei flussi comunicazionali che percorrono l’intero Sistema-Impresa essa appare come un
“Servo-Sistema” (una specie di placenta connettiva dell’intero SistemaImpresa) che in qualche modo congloba e raccorda tutti i sotto-sistemi
aziendali.
Se poi, in coerenza con i caratteri di globalità, di pervasività e di
interferenza riconosciuti oggi alla Comunicazione (veicolata dalle reti
multimediali in un continuo presente spazio-temporale) la si legge come un sistema relazionale, comprensivo di eventi e processi comunicativi interni ed esterni all’Impresa, attivi e passivi, formalizzati e non,
essa si pone di fatto, rispetto ai sistemi fin qui considerati, come un
“Meta-Sistema” (addirittura in buona parte sottratto ai singoli tentativi
di orientarne flussi e contenuti) che tende a ramificarsi, con intensità
decrescente, ben oltre i confini ultimi dell’Impresa stessa.
Si profila, allora, un possibile chiarimento della ambiguità semantica fin qui denunciata nell’espressione “Comunicazione di Impresa”.
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Vi si celerebbero infatti, contemporaneamente, i tre diversi significati
sopra ricordati.
Una riflessione compiuta su obiettivi, metodologie, strumenti, responsabilità di ciascuna di queste “aree” esula dagli obiettivi di questa
introduzione. Vale, però, la pena di accennare sinteticamente a qualche
considerazione attorno alle conseguenze connesse a queste tre interpretazioni che, di fatto, si sovrappongono in ogni riflessione sulla Comunicazione di Impresa, tanto a livello teorico quanto negli indirizzi
operativi.
a. Comunicazione di Impresa come sotto-sistema organizzativo
E’ l’interpretazione tradizionale della Comunicazione di Impresa,
la più “vecchia” e riduttiva. Adottare questo punto di vista significa di
fatto assegnarle compiti di attuazione delle direttive strategiche che
vengono elaborate dal vertice aziendale (Capo Azienda o sinedrio manageriale). Il Responsabile della Comunicazione di Impresa risulta essere uno specialista operativo, che sa come porre in essere una serie di
atti comunicazionali in funzione di input che gli provengono da altri attori dell’Impresa, aggiungendovi - al più - il valore delle verifiche di
congruità e di integrazione; questa interpretazione configura la convinzione che il Comunicatore sia colui che ha responsabilità di “recapitare” correttamente ai destinatari un oggetto, “la Comunicazione”, i cui
contenuti sono stati definiti da altri operatori. La Comunicazione è intesa come “cinghia di trasmissione”.
E’ ben vero che, sotto la spinta dell’esplosione del momento comunicazionale nelle società economicamente avanzate, ormai da diversi anni, in molte realtà di Impresa il Comunicatore stesso appartiene al vertice
manageriale ed è dunque coinvolto nei processi strategici. Ciò ha migliorato la situazione di fatto, creando però strane e pericolose ambiguità. Per
un verso, infatti, la Comunicazione resta confinata nella dimensione di
sotto-sistema, con tutti i limiti operativi connessi (poteri, responsabilità,
deleghe, risorse). Per un altro il Responsabile è chiamato a svolgere un
ruolo mazzariniano, di consigliere del principe, invadendo territori aziendali pertinenti ad altri sotto-sistemi, in nome di una non ben definita né
formalizzata trasversalità della Comunicazione. In questo equivoco ruolo
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il Comunicatore si trova a giocare come battitore libero, in certi casi addirittura alter-ego del Capo Azienda. Ma poiché questa funzione postula una forte e ampia esperienza manageriale, una conoscenza delle diverse logiche di Impresa, e anche un riconosciuto carisma personale, accade che
il ruolo di Responsabile della Comunicazione sia assegnato non tanto a
professionisti della Comunicazione quanto a manager di lungo corso aziendale. Ne nasce una pericolosa dicotomia fra i vasti compiti assegnatigli, spesso informalmente, ad personam, e i limitati spazi strutturalmente
pertinenti al sotto-sistema organizzativo “Comunicazione”.
In questo primo caso, insomma, la Comunicazione di Impresa pare
condannata ad oscillare fra due estremi parimenti sospetti: ridursi alla
somma delle sue espressioni tecnico-strumentali, oppure dilatarsi sino a
confondersi, nei fatti, con l’esplicazione dell’attività direzionale al suo
massimo livello.
b. Comunicazione di Impresa come Servo-Sistema del Sistema-Impresa
Questa lettura muove dalla considerazione che l’Impresa è, prima
di tutto e nella sua totalità, un sistema di relazioni, e che intelligenze
manageriali, valori professionali e risorse economiche a nulla valgono
se il Sistema-Impresa non attiva al proprio interno forti, continui e coerenti flussi comunicazionali. E’ evidente che questa interpretazione allarga il senso della Comunicazione ben oltre i tradizionali confini legati
al ruolo del sotto-sistema. Essa appare in questa logica come il sistema
nervoso che permette all’Impresa di funzionare e di vivere. L’aspetto
infra-strutturale della Comunicazione, il suo essere rete che trasporta
segnali diventa almeno tanto importante quanto quello contenutistico.
Negli ultimi anni la riflessione teorica si è arricchita di analisi importanti condotte in direzione della Comunicazione Organizzativa: si è
opportunamente ancorata la Comunicazione di Impresa alle logiche
dell’impianto organizzativo. In questa visione, la Comunicazione viene
di fatto concepita come un sistema circolatorio che vivifica l’impianto
organizzativo trasportando ossigeno in tutto il corpo aziendale. L’organizzazione, disegnata e continuamente ri-disegnata per consentire il più
efficace e corretto dispiegarsi dei processi, diventa il modello strutturale, l’hardware, di cui la Comunicazione è il software.
38
Alla base di questa impostazione si trovano due assunti: anzitutto
che il sistema organizzativo sia nei fatti lo strumento principe di cui l’azienda dispone per orientarsi al raggiungimento dei fini prescelti; secondariamente che, in un contesto organizzativamente corretto, il fluire
di una ricca Comunicazione sia, comunque, un fatto positivo per il sistema Impresa.
Il grande merito del Dibattito sulla Comunicazione organizzativa,
per rifarci al titolo di un lavoro curato nel 1994 da Gabrielli e Invernizzi, è stato quello di sottrarre la riflessione sulla Comunicazione di
Impresa all’influenza dominante delle elaborazioni di derivazione mass-mediologica da un lato e degli specialismi pubblicitari dall’altro. In
questo senso la scuola della Comunicazione Organizzativa ha voluto
“ri-fondare” la Comunicazione di Impresa partendo dalle logiche “interne”, originali dell’Impresa stessa. Essa tende a privilegiare gli aspetti
strutturali e processivi della Comunicazione, in un’ottica fortemente influenzata da esperienze di gestione delle risorse umane, nel contesto
della trasformazione dell’organizzazione aziendale verso modelli “a rete” e “piatti”. In questa prospettiva l’attenzione si focalizza sulla Comunicazione Interna. Si deve, infatti, in larga misura alle riflessioni attivate in questo ambito il superamento del tradizionale concetto di Comunicazione Interna come semplice - e quasi sempre unidirezionale - diffusione di materiali recanti “la voce del padrone”, solitamente materializzata nelle più o meno patinate pagine della Rivista Aziendale o House
Organ.
All’apporto teoretico della Comunicazione Organizzativa va anche
fatto risalire il forte impulso verso un concetto integrato della Comunicazione, verso la valorizzazione del rapporto diretto Capo-Collaboratore e del doppio vettore “Comunicazione verticale-Comunicazione orizzontale”, valorizzato dall’attenzione all’ascolto.
Questa interpretazione della Comunicazione come servo-sistema
del Sistema-Impresa non offre modelli interpretativi altrettanto specifici
per quanto concerne la Comunicazione Esterna. Ne deriva una tendenza a spaccare la Comunicazione di Impresa in due filoni fortemente autonomi: da un lato la Comunicazione Interna, frequentemente inserita
nella Direzione del Personale, accanto ai sotto-sottosistemi Organizza39
zione e Formazione; dall’altro la Comunicazione Esterna. Poiché le logiche, gli obiettivi e i tempi dell’una e dell’altra possono divaricare sensibilmente, il vertice aziendale è di fatto continuamente chiamato a mediare fra le due prospettive: con un forte elemento di positività perché
la Comunicazione è costantemente discussa al più alto livello strategico
e perché la dialettica che si instaura conduce a continue verifiche; ma
con costi di rapidità, con creazione di conflittualità interna e con problemi di coerenza e integrazione. In questo modello interpretativo la
Comunicazione Esterna è spesso fortemente subordinata alle logiche
del marketing.
c. Comunicazione di Impresa come Meta-Sistema
Quest’ultima interpretazione, apparentemente molto “forzante”
nella sua dimensione estensiva ed onnicomprensiva, muove dalla considerazione che, non solo l’Impresa è incessantemente percorsa da flussi
informativi polidirezionali, formali ed informali; non solo i flussi informali sono spesso altrettanto o addirittura più importanti di quelli consapevolmente attuati e finalizzati; ma anche che l’isolare la Comunicazione di Impresa dal contesto comunicazionale (relazionale) in cui essa è
immersa è operazione artificiosamente riduttiva, che impedisce di cogliere la realtà dell’Impresa come agente sociale a tutto tondo.
Si apre allora la strada ad una prospettiva decisamente interessante. Se tutto nell’Impresa conduce in ultima analisi ad una fattispecie comunicazionale, tale condizionante pervasività deve essere accettata come dato di fatto. Ne consegue, semplicemente, che la capacità di comunicare (intesa qui come abilità professionale) deve essere ugualmente
patrimonio di tutti coloro che in Impresa operano, proprio come il saper
parlare, leggere, scrivere, condurre una riunione.
Ed è molto importante notare che, proprio nei fatti, le Imprese
stanno investendo sempre più per promuovere all’interno una diffusa e
capillare sensibilità alla Comunicazione, fornendo a quadri, dirigenti e
operatori strumenti interpretativi e conoscenze base di Comunicazione.
A solo titolo di esempio, meritano di essere citati lo sforzo operato in
tal senso recentemente da INPS che ha attuato un impegnativo programma di “alfabetizzazione comunicazionale” a larghissima diffusio40
ne; e, sul versante delle piccole e piccolissime realtà imprenditoriali,
l’impulso che la Società per l’Imprenditoria Giovanile sta dando proprio alla sensibilizzazione dei giovani imprenditori alla Comunicazione
come strumento di affermazione dell’Impresa.
Questi segnali starebbero a rivelare che l’Impresa sta accogliendo
l’idea che la Comunicazione è, certamente, una funzione specialistica;
ma è anche una consapevolezza diffusa, una forma mentis, un know
how che deve permeare il vissuto aziendale in ogni sua espressione.
In questa prospettiva il Capo Azienda, momento di sintesi del Sistema-Impresa, diventa il necessario punto di riferimento, non solo nel consueto senso della responsabilità ultima e globale, ma proprio perché, attraverso la leva organizzativa e formativa da un lato e l’“agenda setting”
dall’altro, è nella posizione di pilotare, amalgamare e monitorare l’interfacciamento dei molti sotto-sistemi interni (Comunicazione, Personale,
Produzione, Marketing, Finanza, ecc.) con i corrispondenti sistemi esterni (mercato, mondo finanziario ecc.).
Attraverso la gestione delle sue molte interfacce relazionali l’Impresa agisce nel Meta-Sistema Comunicazionale di cui essa stessa è parte, vi
assume cittadinanza, esplica il suo essere nel sociale (qui assunto nel senso più ampio del termine).
Tuttavia, la complessità del Meta-Sistema rende velleitario l’obiettivo di controllarlo o determinarlo: il Meta-Sistema può essere “capito”,
opportunisticamente “sfruttato”, ma non “controllato” o “condizionato”
dalla singola Impresa.
Il Responsabile della Comunicazione assume in questo caso una
molteplice funzione: anzitutto la gestione integrata e coerente di tutte le
comunicazioni formalizzate (cioè non casuali e informali, bensì dirette
ad un obiettivo dichiarato e consapevole) che l’Impresa mette in essere
al proprio interno e verso l’esterno, (ruoli, questi, attinenti alla conduzione del sotto-sistema Comunicazione) organizzando adeguatamente i
propri sotto-sottosistemi.
In secondo luogo fornire assistenza professionale (consulenza interna) alla gestione del Servo-Sistema.
In terzo luogo monitorare e “interpretare” le evoluzioni del MetaSistema comunicazionale nell’ottica dell’Impresa.
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Ma gli pertiene una nuova e forse maggiore responsabilità: quella
di validare gli “atti”, i “gesti”, le “manifestazioni” dell’Impresa secondo
i parametri comunicazionali: in quanto, cioè, quegli atti, quei gesti,
quelle manifestazioni siano percepiti da qualcuno come messaggi. Se il
Comunicatore dispone, infatti, del bagaglio professionale necessario per
immaginare come diversi pubblici potranno decodificare le diverse espressioni dell’Impresa, se ogni atto dell’Impresa può e deve essere letto (oltre che per la sua specificità) come un “momento di Comunicazione”, a lui compete di svelarne o di illuminarne le valenze comunicazionali che travalicano la logica operativa. L’apertura di una fabbrica, un
aumento di prezzi, il lancio di un nuovo prodotto appaiono in questa luce portatori di un doppio significato: per un verso sono risposte alle
specifiche esigenze della Produzione o del Marketing (competenza dei
sotto-sistemi a ciò preposti), per l’altro sono messaggi (certamente non
solo verbali o iconici) che l’Impresa lancia nel Meta-Sistema.
In questa luce il concetto di “Comunicazione Integrata”, del quale la
pubblicistica abusa spesso, giocandolo come una specie di jolly salvatutto
per cortocircuitare la complessità del problema, diventa più concreto, ma
anche di difficilissima attuazione: l’integrazione non è tanto coerenza
nell’attivare un complesso programma di Comunicazione, quanto lettura
dell’intero manifestarsi dell’Impresa come somma (più esattamente, moltiplicazione) di “segni”, portatori di valenze comunicazionali.
Su questa strada il cammino pare ancora lungo e difficile. Essa
conduce, di fatto, ad una inevitabile ipertrofia della Comunicazione: ogni strategia, ogni decisione dovrebbe, infatti, essere in ultima analisi
vagliata in funzione dei vantaggi, dei rischi, delle probabilità di successo, “dal punto di vista della Comunicazione”. Questa visione espande il
ruolo del Comunicatore verso funzioni che travalicano ampiamente la
gestione del sotto-sistema Comunicazione o la manutenzione del servosistema, e gli attribuisce una responsabilità tanto ampia da diventare
difficilmente sostenibile. Con tutti i problemi che ciò comporta, ad esempio, in termini di ridistribuzione dei poteri aziendali.
E tuttavia, se è vero quanto è ormai ovvio affermare, che la nostra
è la società dell’informazione e della Comunicazione, tale empowerment non dovrebbe stupire.
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Non sono però molte le Imprese veramente avviate in questa direzione.
Ma si sta lentamente sviluppando una tendenza che può aprire a una prospettiva di straordinario interesse: se ampliare compiti e responsabilità del Comunicatore fino a farlo essere una sorta di arbitro finale
presenta problemi non indifferenti, la soluzione può essere che il Capo
Azienda assuma coscientemente su di sé tali responsabilità.
Ovviamente questo implica che il Capo Azienda sia un Comunicatore. Non nel senso del “Comunicatore naturale”, del buon parlatore,
bensì del conoscitore vero, profondo, delle logiche della Comunicazione, dei suoi meccanismi, delle regole e degli strumenti. Proprio come
avviene oggi per le logiche finanziarie che nessun Capo Azienda si sognerebbe di non conoscere e di trascurare, considerandole dominio specifico del sotto-sistema “Finanza e Controllo”.
La Comunicazione “dal punto di vista dell’Impresa” (per abbozzare una risposta alla domanda avanzata precedentemente) diverrebbe, in
questa terza prospettiva, la valutazione degli impatti dei comportamenti
dell’Impresa, in funzione del fatto che viviamo in un ‘universo comunicazionale’. O meglio, leggendola al positivo, la valutazione di come trasformare in opportunità per l’Impresa il fatto di agire in un universo comunicazionale.
La Comunicazione d’Impresa diventa così un “continuum” trasversale, che coinvolge e responsabilizza ogni singolo attore della vita
aziendale, dove il Comunicatore è il punto di riferimento comune (operatore e consulente interno) e dove al Vertice spetta il compito di assicurare la “sintesi strategica” più alta. Secondo un modello che per certi
aspetti è già stato attuato dalle aziende per quanto riguarda la “Qualità”.
Una interpretazione siffatta non è certamente consolidata. Alcune
aziende, come abbiamo detto, stanno tuttavia attuando programmi che
vanno in questa direzione.
Le tre letture della Comunicazione d’Impresa che abbiamo sintetizzato sono compresenti nell’esperienza attuale: le prime due in modo più consapevole e stabilizzato, la terza più come aspirazione, come idea-guida che
come reale prassi gestionale. Ovviamente, ogni Impresa tende ad attuare
l’una o l’altra in funzione della sua situazione concreta, del mondo in cui opera, dei problemi che si trova ad affrontare e del proprio profilo culturale.
43
UN SALTO DI CULTURA
Ne L’Impresa simbolica, 1997, Di Raco avanza “il sospetto che,
in fondo, la vera ed ultima attività di un’Impresa sia quella di mettere
insieme un certo numero di persone perché interagiscano e parlino fra
di loro”. Questa ipotesi, probabilmente assai meno divertitamente provocatoria di quanto si possa pensare, rovescia gli usuali termini della
questione: la Comunicazione non sarebbe più uno strumento che
l’Impresa utilizza per il raggiungimento dei propri fini, bensì il fine ultimo che legittima la sua esistenza. E partendo da qui Di Raco svolge
una lettura simbolico-mitica della vita e delle liturgie comunicazionali
dell’azienda.
La prospettiva di Di Raco è interessante perché, condotta alle estreme conseguenze, riassumerebbe in una logica circolare ed autoreferenziale il rapporto fra Impresa e Comunicazione: l’Impresa sarebbe un
sistema inconsciamente finalizzato a perpetuare uno stato di Comunicazione; la Comunicazione sarebbe a sua volta lo strumento che aiuta
l’Impresa ad operare con successo, dunque assicurando il perdurare dello stato comunicativo. Il fine della Comunicazione di Impresa sarebbe
quello di auto-perpetuarsi.
Non è questa la sede per addentrarci in questa pur molto interessante disamina. Importa qui sottolineare come uno studioso di Comunicazione che ha maturato profonda esperienza sul campo senta il bisogno di affrontare esplicitamente il tema dell’obiettivo finale della Impresa e, implicitamente, quello degli obiettivi della Comunicazione.
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Nelle esperienze concrete, gli obiettivi di Comunicazione vengono
ancora quasi sempre espressi in termini di “supporto” o di “coronamento” ad altri momenti della vita dell’Impresa. Nel suo versante pubblicitario/promozionale la Comunicazione è vista come completamento del
marketing; nel suo esplicarsi all’interno della Impresa è molto spesso
soggetta alle logiche della gestione delle risorse umane; nel suo indirizzarsi alle istituzioni o alla comunità la si accorda alle strategie del vertice, cui essa presta la propria “voce”.
In questo senso l’attuale cultura della Comunicazione richiede un
forte salto di qualità. Un’Impresa non chiede ai suoi venditori di “vendere il più possibile”: assegna quote, attraverso un processo di contrattazione dell’obiettivo. Non chiede ad una fabbrica (da quando la cultura
della qualità ha fatto un vero passo avanti) di “migliorare un po’ la qualità”: fissa percentuali di scarto o di gradimento da parte dei clienti.
Non chiede alla gestione delle risorse umane “qualche economia sulla
spesa salariale”: pone obiettivi percentuali di contenimento. Alla
Comunicazione di Impresa, al contrario, ancora troppo spesso si chiede
di “migliorare l’immagine”, “favorire la conoscenza”, “diffondere la
cultura”, “accrescere la notorietà del marchio” o “la conoscenza del
prodotto”. Dove la debolezza, si badi, non sta tanto nella carenza di parametri quantitativi, ma nella ancillarità degli obiettivi che le vengono
assegnati.
La pubblicità, proprio perché implica investimenti cospicui, rappresenta la punta avanzata del processo di maturazione metodologica: si
pongono obiettivi quantitativamente misurabili, si perimetrano le attese
del target, si misurano la decodifica dei messaggi, la dinamica del ricordo, le variazioni di notorietà. E’ tuttavia raro che un responsabile della
Comunicazione assuma, nei confronti di un responsabile marketing (o
vendite) un atteggiamento di autonomia strategica e di verifica di fattibilità. Nei fatti, si preferisce non definire un “vero obiettivo proprio della Comunicazione” bensì farlo dipendere da (e confonderlo con) quelli
di marketing.
In questo modo l’Impresa perde l’occasione per sviluppare nei
propri processi decisionali una forte e positiva dialettica, nella quale il
Comunicatore spinga fino in fondo la forza della propria prospettiva.
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Questo problema nasce dalla difficoltà di definire un obiettivo in
termini tali che esso sia di “specifica pertinenza” della Comunicazione.
E cioè è vero tanto per gli obiettivi attinente al “fare-Comunicazione”
(con riferimento prevalente al sotto-sistema), quanto al far-fare Comunicazione (con riferimento al servo-sistema) o, ancora di più, alla dimensione integrata del meta-sistema.
La letteratura sulla Comunicazione di Impresa ha ampiamente analizzato e chiarito il rapporto fra Comunicazioni formali e Comunicazioni informali: le prime figlie di consapevole e definita programmazione, attuate con strumenti espliciti; le seconde “accadimenti” spontanei
innescati spesso, ma non solo, da Comunicazioni formali. (Questa distinzione non va confusa con quella fra Comunicazione segnica - verbale, iconica o multimediale - e Comunicazione simbolico-comportamentale).
Sebbene la Comunicazione informale sia di estrema importanza
per l’Impresa (basti pensare alla sua influenza sui climi interni, o ai
tam-tam che possono costruire o distruggere la reputazione di un Capo
Azienda) la definizione di un “obiettivo di Comunicazione” è possibile
solo per la Comunicazione formale. (Naturalmente, obiettivo della
Comunicazione formale può ben essere quello di modificare il flusso
delle Comunicazioni informali).
Una analisi esauriente su come la Comunicazione di Impresa possa essere gestita in funzione di obiettivi specifici e propri esula dai limiti di queste note. Tuttavia, proprio per la rilevanza pratica della questione e per le incertezze che si riscontrano a tal proposito sul campo, vale
la pena di dedicarvi alcuni cenni.
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QUALI OBIETTIVI PER LA COMUNICAZIONE DI IMPRESA
Una riflessione sugli obiettivi che la Comunicazione di Impresa
può darsi in modo “proprio”, deve muovere dalla considerazione che
l’Impresa è un attore economico. Ciò non significa che il profitto ne sia
unico ed ultimo scopo; significa che ogni sua attività deve essere sottoposta ad un vaglio di congruità economica. Ogni sua attività deve cioè
contribuire, in ultimissima analisi, a garantirne la migliore permanenza
sul mercato e quindi la perpetuazione come organizzazione.
La Comunicazione non deve sfuggire a questa logica: essa dovrebbe, allora, essere vista come:
“l’insieme delle attività che concorrono allo sviluppo, alla definizione, alla produzione e alla veicolazione di messaggi (non importa di quale
natura, purché consapevoli e formalizzati) che abbiano la massima efficacia possibile, in coerenza dinamica con il ‘Sistema-Impresa’, per indurre
un ‘pubblico-target’ (interno o esterno che sia) i cui comportamenti possono influire significativamente sul successo dell’Impresa, a porre in essere, nell’ambito di un ventaglio di possibilità, comportamenti pre-individuati come positivi ed auspicabili per l’Impresa stessa”.
Questa formulazione abbozza una seconda risposta - questa volta
operativa - alla questione che abbiamo avanzato in precedenza: “Che
cosa è la Comunicazione dal punto di vista dell’Impresa” e ci consente
di mettere in risalto alcuni concetti importanti.
Anzitutto essa pone in primo piano il criterio di “significatività del
target e delle sue scelte” rispetto ai fini dell’Impresa. Va rimarcato qui
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un fatto centrale. Fissare l’obiettivo di Comunicazione di Impresa in funzione dei comportamenti che si desidera indurre nel target introduce una
chiave di lettura innovativa. Si sottolinea infatti come la attività di
Comunicazione di Impresa non debba essere finalizzata semplicemente a
far conoscere, informare, orientare, persuadere, bensì - direttamente e
concretamente - a far fare qualcosa a qualcuno. La Comunicazione di
Impresa è veramente funzionale solo quando sappia (e, anzitutto, possa)
determinare nei target prescelti certi comportamenti individuati come positivi per il futuro dell’Impresa. Poiché per indurre un target a certi comportamenti la Comunicazione deve lavorare con dati oggettivi (assetti societari, profilo economico finanziario, prezzi, concorrenza, caratteristiche
dei prodotti, distribuzione, qualità del servizio post vendita, eccetera), la
questione preliminare del Comunicatore tende ad essere: “Con i dati oggettivi a mia disposizione, posso ragionevolmente assumere quale mio obiettivo l’induzione di certi comportamenti in quei determinati target?”.
Rispondere a questa domanda configura una responsabilità molto
alta per il Comunicatore di Impresa che, come sottolineato in altra parte
di queste note, deve valutare se l’Impresa ha, globalmente, le carte in
regola per “chiedere” ai suoi pubblici certi comportamenti. Se la sua
valutazione è positiva, il Comunicatore si impegna, attraverso la propria
strategia e l’esplicazione delle attività coordinate di Comunicazione, ad
indurre effettivamente quei comportamenti. Questo punto risulta centrale alla comprensione della Comunicazione di Impresa come disciplina
di management e pone ad essa uno “specifico” - appunto l’efficacia ad
indurre comportamenti - che in altre forme del comunicare non è necessariamente presente (si pensi, ad esempio, a tutta l’area della Comunicazione-spettacolo o della Comunicazione-arte).
Un classico guru della pubblicità statunitense diceva, negli anni
Sessanta, che le sue campagne pubblicitarie erano sempre perfettamente
riuscite: che poi i clienti comperassero o meno i prodotti pubblicizzati
dipendeva da molti fattori fuori dal suo controllo (costi, distribuzione,
ecc.). Nell’ottica della definizione che abbiamo appena abbozzato questa affermazione (meno paradossale nei fatti di quanto appaia!) non ha
più cittadinanza. La massima responsabilità del Comunicatore di Impresa, interno o esterno, sarà infatti proprio quella di giudicare se, alla
luce dei fatti-dati che l’Impresa pone a sua disposizione per dispiegare
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la strategia comunicazionale, ritiene raggiungibile l’obiettivo di indurre
quegli specifici target a quello specifico comportamento. Se sì, potrà
impegnare risorse dell’Impresa per sviluppare la propria azione; se no,
dovrà chiarire che ogni azione di Comunicazione deve essere preceduta
da un opportuno cambiamento dei fatti, dei dati, dei parametri oggettivi.
In questa visione la corretta definizione di un obiettivo pertinente
in modo specifico alla Comunicazione diviene il momento primo e centrale, il perno che sorregge e verifica ogni successiva strategia. Il valore
professionale del Comunicatore sta nella creatività con cui immaginerà
la strategia migliore per valorizzare i dati in suo possesso. Il suo valore
manageriale sta nella lucidità e nella chiarezza con cui sa valutare la
raggiungibilità dell’obiettivo “qui e ora”.
Inoltre, prescindendo da riferimenti che, pur connessi al momento
comunicazionale, ne travalicano l’ambito e sono risultato di molti fattori (... “costruire e difendere l’immagine di Impresa”... “promuovere la
motivazione del personale”...supportare il riposizionamento di un prodotto...) essa permette di isolare la Comunicazione dall’insieme delle
diverse attività e discipline che incontriamo nei processi di Impresa.
Non per farne una realtà artificialmente separata dal continuum dell’Impresa, bensì per caricarla di una compiuta e misurabile funzione.
Questa lettura, inoltre, supera la separazione fra Comunicazione
Interna e Comunicazione Esterna, fra Comunicazione e Relazioni Pubbliche; tutte queste diverse “forme” della Comunicazione di Impresa si
muovono nello stesso ambito metodologico e si nutrono dello stesso bagaglio professionale.
Essa colloca i termini fondamentali del comunicare - emittente,
medium-messaggio e target - in un contesto sistemico e dinamico (le logiche dell’Impresa che si sviluppano nel tempo) e in una relazione finalizzata ad un obiettivo definibile e misurabile: l’induzione ad un comportamento positivo per l’Impresa, all’interno di opzioni date. Se si
considera quale difficoltà la Comunicazione di Impresa incontri sempre
nel “misurarsi” e dunque nell’esplicitare i ritorni sull’investimento, un
approccio che identifichi obiettivi autonomi, la cui raggiungibilità è
“nelle mani” del Comunicatore, può rappresentare un passo avanti decisamente apprezzabile.
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Ci permette, poi, di definire quali atti, quali strumenti e quali risorse vadano considerate specifiche della Comunicazione di Impresa. Infatti “tutto quanto concorre a sviluppare, definire, veicolare nel modo
più efficace il messaggio...” include ovviamente:
• la conoscenza approfondita del target (valori, informazione, atteggiamenti, esposizione passiva ad altri messaggi che incidano sullo stesso
ambito di scelta, ecc.) e del suo ambiente;
• l’analisi delle diverse opzioni tra le quali il target si troverà a scegliere;
• l’acquisizione dei fatti che devono “sostenere” i messaggi e le verifiche di congruità tra questi e quelli;
• la definizione dei messaggi e del loro interagire;
• le ipotesi, prima, e i controlli, poi, relativi ai processi di codifica e decodifica dei messaggi;
• la consapevolezza del significato strategico-dinamico delle azioni comunicazionali che si stanno per intraprendere (loro influenza su futuri
comportamenti del target o sulle future relazioni target-impresa);
• la padronanza delle tecniche e degli strumenti che rendono possibile il
trasferimento dei messaggi al target prescelto realizzando il miglior
rapporto costo-efficacia;
• infine, come già detto, si dà per evidente che il Comunicatore, come
ogni stratega, debba valutare le realtà fattuali entro cui la sua azione
dovrebbe esplicarsi e i materiali a sua disposizione, insomma il terreno di scontro e le armi di cui dispone, prima di “accettare” come perseguibile l’obiettivo di “indurre un determinato target ad una certa
scelta comportamentale”.
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L’“EVENTO-MESSAGGIO”: L’IMPRESA NELLA SOCIETÀ DELLA COMUNICAZIONE
La definizione testé proposta può dimostrarsi valido strumento per
meglio inquadrare, gestire e misurare l’apporto della Comunicazione al
mix gestionale, soprattutto se la interpretiamo nell’ottica del Sottosistema-Comunicazione.
Tuttavia, una riflessione sulla Comunicazione di Impresa che voglia essere coerente con la attuale realtà socio-economico-tecnologica
della Società della Comunicazione, non può ignorare la questione, di estrema rilevanza, che attiene all’ampiezza e dunque alle valenze del
concetto stesso di messaggio.
Se, come abbiamo prima ricordato, l’Impresa è immersa in un meta-sistema comunicazionale, dove ogni evento è letto, interpretato, rilanciato nella rete mediatica globale come in un gioco infinito di specchi deformanti, allora l’apertura di uno stabilimento (per fare un esempio) è un messaggio che l’Impresa lancia nel meta-sistema comunicazionale (comunità locale, sindacati, personale, media, analisti finanziari, politici eccetera), non diversamente dal comunicato stampa con cui
l’evento stesso viene annunciato.
E sarebbe messaggio, va da sé, anche se nessun comunicato lo annunciasse.
Ma di questo “Evento-Messaggio”, il Comunicatore (in quanto
specialista delle tecniche) non è “autore ed arbitro”; questo “EventoMessaggio” risponde a logiche d’Impresa più ampie di quelle meramente comunicazionali.
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Ovviamente, come si è accennato in altra parte di queste riflessioni
introduttive, questo complica molto il rapporto, all’interno dell’Impresa, fra la Comunicazione e la gestione globale e soprattutto fra la figura
del Comunicatore (per definizione responsabile ultimo dell’immagine
aziendale) e le scelte che, pur condizionando pesantemente quella immagine, non sono sotto il suo controllo.
Questa contraddizione è probabilmente alla base della profonda
difficoltà che il Management di Impresa incontra oggi nel “servirsi correttamente” della leva comunicazionale, e del disagio che i Comunicatori avvertono, dal canto loro, nell’espletare compiutamente la propria
missione.
Certamente, questa è la nuova sfida che il mondo dell’Impresa è
costretto ad affrontare a causa dei profondi mutamenti di scenario: vivere consapevolmente nella Società della Comunicazione significa accettare che ogni nostro atto visibile è, anche, messaggio per qualcuno; per
uno o per molti stakholders.
E non si può sottostimare il velleitarismo e i rischi insiti nell’illusione che il “messaggio comunicato stampa” possa profondamente alterare o addirittura ribaltare gli effetti - sui medesimi target - del “messaggio apertura dello stabilimento”.
E’ chiaro che questa lettura della Comunicazione di Impresa evidenzia la dialettica che, all’interno del Sistema-Impresa, può contrapporre anche drammaticamente la prospettiva comunicazionale ad altre
prospettive (produzione, finanza e via dicendo).
Nella logica di questo Rapporto si vuole sottolineare che tale dialettica, anziché essere considerata con sospetto ed essere sopita od aggirata, dovrebbe essere esaltata, sviscerata fino alle ultime implicazioni.
Solo così il top management avrebbe, infatti, la vera opportunità di operare le proprie scelte strategiche con la consapevolezza, non teorica ma
concreta, di pilotare consapevolmente la sua Impresa nel difficile mare
di un universo mediatico.
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CONCLUSIONI
Gli approcci sopra delineati non sono ancora adottati dalle Imprese
in modo generalizzato: manca una forte “consapevolezza”, e mancano
adeguati strumenti di processo sul piano operativo.
Di fatto, alcune aziende culturalmente all’avanguardia intendono
la Comunicazione di Impresa in termini “grosso modo” analoghi a
quelli sopra descritti, ma pochissime ne hanno introiettato la metodologia fino al punto da distinguere con chiarezza le logiche della Comunicazione all’interno delle tante logiche che si fronteggiano nel Sistema
Impresa, e di definirne gli obiettivi con quella lucidità che consente poi
la misurazione dei risultati e che, soprattutto, consente di valorizzare
completamente l’apporto del punto di vista comunicazionale quale cartina tornasole per verificare le scelte aziendali.
Sotto questo aspetto il rapidissimo affermarsi di un universo comunicazionale in rete, che abbraccia in unità di tempo e spazio la maggior parte del mondo industrializzato, pone un’urgenza vera. Il primato
della Comunicazione, più volte evocato nel corso degli ultimi decenni,
si sta concretando a ritmi vertiginosi (è inevitabile ricordare il valore
non solo simbolico della pubblicazione su Internet delle vicende Clinton-Lewinsky). Esporsi ai riflettori della scena comunicazionale senza
il supporto di forti elaborazioni concettuali, di chiarezze metodologiche, di consapevolezze imprenditoriali e - ovviamente - di prassi processuali e di conoscenze tecniche, è un rischio che le Imprese non potranno più permettersi di correre.
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In difetto di uno sforzo di analisi puntuale c’è, infatti, il pericolo di
trasformare la Comunicazione in una sorta di attore tuttofare, sempre e
comunque coinvolto e coinvolgibile (deus ex machina o capro espiatorio, non importa) che, dovendo interpretare in commedia una parte non
definita, finisce per aggirarsi sul proscenio senza realmente incidere
nell’intreccio.
Come abbiamo più volte sottolineato non è compito di questo lavoro addentrarsi in disamine specifiche. Ci pare, tuttavia, importante
sottolineare ancora una volta in conclusione, proprio per una migliore
comprensione dei materiali che il Rapporto propone, quanto la Comunicazione di Impresa debba essere considerata oggi come disciplina in
divenire, alla ricerca di una collocazione più chiara nel mix delle attività di cui si nutre l’Impresa moderna; e quanto tale ricerca sia articolata
e difficile.
In questo senso crediamo corretto sottolineare come la maturazione di una vera e forte cultura del Comunicare costituisca, al di là delle
espressioni convenzionali circa la sua centralità, una delle sfide più significative per le Imprese, quale che ne sia la dimensione e il campo di
attività.
E questo primo Rapporto si propone di stimolare, assieme a tante
altre voci e forze, una precisa riflessione in proposito, anche attraverso
un invito alla collaborazione lanciato tanto ai professionisti del comunicare quanto ai vertici delle aziende e a quanti su queste tematiche vanno
riflettendo da tempo.
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CAPITOLO II
LA RICERCA E IL DIBATTITO
SULLA COMUNICAZIONE D’IMPRESA
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LE RICERCHE EMPIRICHE
“L’ascolto, l’attenzione al quotidiano,
costituiscono una priorità assoluta in
qualsiasi tentativo di mobilitazione delle risorse umane o di modernizzazione
dell’impresa.... Il vero ascolto è quello
della vita di relazione di tutti i giorni.
Le ricerche qualitative, che descrivono
il modo in cui questa vita è vissuta, ce
ne rivelano l’importanza e ce ne danno
le chiavi di lettura”.
(Michel Crozier)
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PREMESSA
La complessità del fenomeno comunicazione, la sua natura immateriale, e quasi sfuggente, possono rendere a volte inadeguato l’apparato
teorico e analitico con cui si cerca di “misurarlo”. Non solo. Il numero
di variabili che generano rapporti causali è sempre più elevato. Causa
ed effetto si intrecciano. Così, la verifica empirica di questi rapporti diventa difficile. E tuttavia non così difficile da non poter cogliere gli “indizi del cambiamento”, interpretandoli costruendo un filo rosso che
porta ad una visione plausibile dell’evoluzione e delle trasformazioni in
atto.
Attraverso l’analisi di alcune ricerche empiriche si cercherà di seguire l’evoluzione che la comunicazione aziendale ha percorso nel corso degli ultimi anni, dal punto di vista degli obiettivi, delle forme organizzative e degli strumenti utilizzati.
Con una premessa: la prospettiva di analisi che abbiamo scelto,
quella appunto delle ricerche, rende sicuramente incompleto lo scenario
delineato, proprio perché legato alle scelte operate “a monte” dai ricercatori, alle aree tematiche che questi ultimi hanno sentito l’esigenza di
esplorare. L’aver concentrato l’attenzione sulla comunicazione interna,
rispetto ad altre forme di comunicazione aziendale, non è stata una scelta casuale. La comunicazione interna, infatti, che ha trovato una sua
formalizzazione in azienda solo in anni molto recenti, è stata tuttavia
oggetto di indagini particolarmente approfondite e strutturate, che in
questa sede ne giustificano in parte l’approfondimento tematico.
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Le ricerche in questione, inoltre, hanno avuto come campo di applicazione privilegiato, se non esclusivo, l’universo delle aziende di
maggiori dimensioni. Solo in relazione a questa precisa realtà imprenditoriale è possibile oggi ripercorrere le tappe storiche del cammino della
comunicazione, fare comparazioni. Insomma, ragionare sul “dove siamo arrivati”.
Le piccole e medie aziende molto raramente sono state oggetto di
indagine in relazione al tema specifico della comunicazione d’impresa.
La letteratura non ha mai dedicato ad esse un’attenzione sufficiente a
delinearne il ruolo e i caratteri peculiari e distintivi rispetto alle altre tipologie di aziende. I risultati emersi dagli studi che le riguardano, frutto
comunque di un interesse crescente, saranno riportati nel paragrafo finale di questo capitolo.
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LE RICERCHE ESAMINATE
Nelle pagine che seguono riportiamo, in ordine cronologico, gli
abstract delle ricerche analizzate, condotte in Italia a partire dalla fine
degli anni ‘80. Per ciascuna di esse è stato indicato il titolo del testo da
cui sono state tratte, gli obiettivi che le hanno mosse, le ipotesi di partenza (quando erano esplicitate), la metodologia utilizzata e, infine, una
breve sintesi dei risultati emersi.
• Bandiera, Carlo (a cura di), Le politiche delle Relazioni esterne nella strategia
delle aziende, IFAP, Roma, 1988.
La ricerca ha indagato sull’esistenza di connessioni e di coerenze tra le politiche
di relazioni esterne e le strategie aziendali. I temi analizzati sono stati le strutture
organizzative, le funzioni e gli obiettivi delle relazioni esterne, le politiche di comunicazione, l’integrazione fra comunicazione esterna e interna, la pianificazione, fattori e tendenze di evoluzione.
L’indagine, svolta tra il 1987 e il 1988, ha previsto l’analisi della letteratura esistente sul tema delle relazioni esterne e lo studio di sette casi aziendali (Ansaldo;
Banco di Roma; Barilla; Enichem; Esso Italiana; Ente Ferrovie dello Stato; Sip).
Sono state inoltre effettuate interviste semistrutturate al top management, al responsabile della direzione relazioni esterne e ad alcuni addetti della stessa direzione. Sono stati intervistati anche i destinatari delle iniziative di comunicazione
e analizzati i documenti aziendali.
Le relazioni esterne e le relazioni interne emergono come due aspetti non ancora
integrati dalla cultura d’impresa. Infatti il flusso comunicativo verso l’interno è
gestito dall’ufficio del Personale, mentre la stampa aziendale è di competenza
delle Relazioni Esterne.
• Amigoni, Franco, “La comunicazione interna come strumento di management”,
in La comunicazione: strumento di management per le imprese complesse, CESAD, Milano, Egea, 1991.
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Il testo riporta i risultati di una ricerca condotta nel 1990 su un gruppo di 8 aziende di dimensioni medio-grandi, italiane e filiali italiane di imprese estere avanzate dal punto di vista organizzativo e gestionale. L’indagine era volta a comprendere in che misura la comunicazione interna stesse diventando un’attività “istituzionalizzata”, ovvero una pratica gestionale consolidata nelle imprese. Il metodo
di ricerca adottato è stato l’analisi di esperienze aziendali condotta attraverso interviste semistrutturate al responsabile della comunicazione interna e in alcuni
casi ai responsabili di line.
Nell’esperienza di quasi tutte le imprese è stato possibile individuare un sentiero
di sviluppo che passa attraverso alcune fasi tipiche (appartenenti ad epoche anche molto diverse). La maggior parte delle imprese studiate stava cominciando
allora ad accumulare competenze specialistiche; a mettere a punto, a sperimentare e a consolidare metodologie e tecniche di gestione della comunicazione interna come la segmentazione dei pubblici, i sondaggi sull’immagine interna, le indagini sull’efficacia degli strumenti. Si trattava di pratiche di recentissima adozione, ancora solo episodiche e dunque non consolidate.
Dall’indagine è inoltre emersa una mancanza di sintonia tra le tipologie di strumenti impiegati dalle aziende a scopo prevalentemente informativo (stampa aziendale, avvisi in bacheca, ecc.) e le opinioni manifestate dal personale circa le
modalità preferite di comunicazione (scambi verbali con il proprio superiore, riunioni). Ciò dimostra, tra l’altro, come la predisposizione di messaggi scritti non
assicuri, né promuova necessariamente il dialogo. Così come, d’altra parte, anche la creazione e l’istituzionalizzazione di momenti di incontro non basti di per
sé a garantire lo sviluppo delle capacità di ascolto dell’azienda.
• Confindustria-Methodos, Comunicazione interna: una sfida per le imprese, Roma, Sipi, 1992.
La ricerca promossa da Confindustria, e condotta dalla società Methodos tra il
1991 e il 1992, è centrata anch’essa sul tema della comunicazione interna come leva di management. L’indagine ha avuto come obiettivo principale quello di comprendere come e in che misura la comunicazione interna contribuisca alla gestione
strategica dell’impresa. Non solo. Lo sforzo è andato nella direzione di costruire una mappa di metodologie, tecniche e strumenti eccellenti di comunicazione interna; esaminando al contempo i livelli di integrazione con gli altri settori della comunicazione d’impresa. Si è cercato infine di analizzare la comunicazione in rapporto
alla gestione delle risorse umane e ai mutamenti nella cultura d’impresa.
L’indagine è composta di due parti. La prima ha coinvolto, tramite interviste in
profondità, 38 testimoni-esperti, scelti all’interno delle diverse categorie professionali (professionisti in relazioni pubbliche, consulenti in comunicazione interna, pubblicitari, sindacalisti, opinion leaders, direttori di associazioni industriali).
La seconda parte illustra la tipologia delle politiche di comunicazione interna applicate in alcuni contesti aziendali.
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La ricerca ha messo in luce come, agli inizi degli anni ‘90, la comunicazione interna venisse considerata ancora allo “stato nascente”, e fosse quindi sprovvista di un
proprio “statuto”, di identità consolidata, ma anche di una propria storia “ufficiale”.
Tuttavia è risultato ugualmente evidente come l’attenzione e l’attesa che in quegli
anni si stava creando intorno a questa nuova disciplina cominciassero ad avere le
loro basi in motivazioni profonde, radicate nella necessità di far fronte a una realtà
in forte cambiamento, sempre più incerta, complessa e difficile.
• Quaglino, Gian Piero (a cura di), Azienda e comunicazione interna, ASCAI, Torino, 1992.
La terza ricerca considerata ha coinvolto, nel 1992, un gruppo di 115 aziende associate ASCAI (Associazione per lo Sviluppo delle Comunicazioni Aziendali in
Italia) attraverso la somministrazione di un questionario volto a rilevare la situazione della comunicazione interna con riferimento alla formulazione della relativa politica, all’organizzazione della stessa, agli strumenti adottati e al ruolo assunto dalla comunicazione interpersonale. Oggetto di analisi sono state le aziende di più grandi dimensioni, quelle in cui si presuppone che la necessità di attuare una precisa politica di comunicazione interna sia maggiormente sentita.
Nell’85% dei casi complessivamente analizzati le aziende dimostrano di procedere ad una formalizzazione di specifiche politiche di comunicazione, sia interna
che esterna (anche se è solo nel 75% dei casi che essa si traduce poi in un preciso
piano). Alla comunicazione le aziende indubbiamente mostrano di dedicare una
progressiva e crescente attenzione. Diffuso e chiaro risulta il modo di considerarla come una vera e propria leva strategica connessa ai processi di cambiamento e
sviluppo. Rimane tuttavia ancora prevalente l’immagine di una comunicazione
che opera più nella prospettiva dell’informazione e dell’immagine che non in
quella dello scambio e del dialogo (a due vie). Ed è altrettanto prevalente l’orientamento dei processi di comunicazione verso l’esterno.
Il management aziendale rappresenta, nella maggior parte dei casi, il destinatario
privilegiato di tutto il sistema di comunicazione interna. Mentre, in riferimento
alla comunicazione interpersonale, il rapporto capo-collaboratore appare in genere ancora legato alla comunicazione di tipo gerarchico, pur nell’evidente emergenza di nuovi modi di gestire tale rapporto.
• Romano, D.F.; Felicioli, R.P., Comunicazione interna e processo organizzativo,
Milano, Cortina Editore, 1992.
Sostanzialmente in sintonia con i risultati della ricerca promossa dalla ASCAI,
anche questa indagine ha messo in evidenza come alla comunicazione interna
venga affidato sostanzialmente il compito di difendere e garantire l’identità storica dell’azienda, in un’ottica più di autoconservazione che di sviluppo.
63
Allo scopo di verificare la consapevolezza, da parte delle imprese, di questa circostanza non ottimale per il futuro del sistema aziendale, è stato chiesto ad un
gruppo di intervistati (i responsabili della comunicazione interna appartenenti a
un campione di 100 grandi aziende con più di 1.000 addetti) di esprimere il proprio grado di soddisfazione circa l’attuale stato della comunicazione interna nella
loro azienda. Significativo, a riguardo, è il fatto che nel 36% dei casi siano stati
manifestati motivi di insoddisfazione, relativi non tanto alla mancanza di strumenti di comunicazione utilizzabili, quanto alla necessità di formulare, o di riformulare, una strategia complessiva di comunicazione interna.
• Fiocca, Renato; Ostillio, Maria Carmela, Il communication manager nelle imprese italiane, in “Economia & Management”, n. 5/1993.
In questo testo vengono sintetizzati i risultati di una ricerca empirica condotta
dalla Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Bocconi nel periodo settembre 1992-marzo 1993. La ricerca ha analizzato le condizioni del ruolo del communication manager nelle imprese italiane e le prospettive di sviluppo di questa
professione.
L’indagine è stata svolta intervistando (direttamente o con il supporto di un questionario postale semistrutturato) un campione di 50 “addetti alla comunicazione” di aziende piccole e grandi appartenenti a diversi settori del mercato italiano
(prevalentemente del Centro-Nord).
Viene evidenziata la necessità di decidere e compiere ogni attività di comunicazione avendo ben presente che l’estrema articolazione degli strumenti utilizzati e
l’interconnessione degli effetti della comunicazione sui vari pubblici rendono necessaria una visione unitaria e complessiva della stessa; una visione, per l’appunto, “integrata”.
I risultati della ricerca hanno dimostrato come l’attività di comunicazione delle
aziende spesso sia svolta all’interno di forze contrastanti: alcune che spingono
verso la specializzazione, altre che suggeriscono di adottare una visione d’insieme.
• Attemi, Attilio; Santini, Giuseppe, L’azienda presa in parola, Roma, Sipi, 1993.
Rapporto finale di una ricerca sullo stato della comunicazione aziendale in Italia
indagata attraverso l’analisi di uno dei suoi più diffusi prodotti: il periodico aziendale (“I periodici aziendali - viene sottolineato - soddisfano finalità comuni a
tutti gli altri strumenti di comunicazione interna: trasmettono cioè non solo informazioni sui fatti aziendali, ma soprattutto l’interpretazione aziendale dei medesimi e comunicazioni finalizzate a incidere sui comportamenti”).
L’indagine, effettuata nel 1992, ha interessato 27 aziende associate ad ASCAI
delineando un quadro di tendenze caratteristiche per poter definire le coordinate
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e i generi dei periodici aziendali, attraverso il confronto tra elementi formali e di
contenuto. Vengono evidenziati i punti di forza e di debolezza degli “houseorgan”.
• Fiocca, Renato (a cura di), La comunicazione integrata nelle aziende, Milano, Egea, 1994.
La ricerca ha analizzato le modalità con cui le imprese italiane, in dieci settori di
beni di largo consumo e di consumo durevole, di servizi e non profit, realizzano
una gestione integrata della comunicazione pur salvaguardando un opportuno
grado di specializzazione delle sue diverse aree. Dall’analisi emerge come il grado di integrazione necessario tra i diversi flussi di comunicazione non sia definibile in modo universale ma vari a seconda delle caratteristiche dell’impresa (dimensioni, tasso di sviluppo, articolazione geografica della struttura produttiva e
commerciale, varietà dei profili professionali interni, pluralità di culture) e del
settore in cui essa opera (numerosità ed articolazione dei pubblici di riferimento
o degli strumenti di comunicazione utilizzati dall’impresa, vantaggio competitivo
e reddituale derivante dall’attività di comunicazione dell’impresa). Indipendentemente dagli specifici ambiti di attività, le imprese eccellenti si caratterizzano per
una gestione integrata delle diverse attività di comunicazione e per la progettazione di strutture ed organi dedicati a tale compito.
• Valdani, E.; Busacca, B.; Costabile M., La soddisfazione del cliente. Un’indagine
empirica sulle imprese italiane, Milano, Egea, 1994.
Le tendenze evolutive del rapporto domanda/offerta nelle economie avanzate rendono la capacità di soddisfare il consumatore più critico sotto il profilo concorrenziale. Affinché l’impresa sia in grado di perseguire con successo finalità di profitto
e di crescita nel lungo periodo è infatti necessario che la sua offerta soddisfi pienamente le attese e le esigenze della domanda. Questo comportamento, nelle imprese
di successo, appare sempre più caratterizzato da un approccio innovativo alla gestione della complessità dei mercati: la totale integrazione fra le azioni di marketing e le capacità organizzative, finalizzata alla concentrazione delle risorse intangibili e tangibili sulla soddisfazione dei bisogni dei clienti. L’idea di realizzare una
ricerca sulla customer satisfaction nasce proprio con lo scopo di comprendere i
contenuti innovativi di questo comportamento di successo osservato.
L’indagine è stata realizzata attraverso interviste in profondità su un campione
composto da 42 imprese italiane, di primaria rilevanza nei rispettivi settori di appartenenza. Obiettivo della ricerca era rilevare, all’interno delle aziende, i sistemi
di misurazione e miglioramento della soddisfazione dei clienti. A tale scopo, sono stati analizzati i programmi di customer satisfaction, i metodi utilizzati nella
fase di raccolta delle informazioni, le azioni che ne conseguono e le modalità con
le quali vengono valutati i ritorni di tali attività.
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E’ emerso come, coerentemente con le ipotesi di partenza, l’orientamento alla
soddisfazione del cliente sia ancora ad uno “stadio embrionale”, nonostante l’elevata sensibilità dimostrata dal management verso la tematica in oggetto. La ricerca ha inoltre registrato una sostanziale difficoltà, da parte delle imprese, nel cogliere le implicazioni dell’orientamento al cliente in termini di gestione delle risorse umane, e dunque anche in termini di comunicazione interna.
• Minghetti, Marco; Del Mare, Giorgio, Le cose e le parole, Milano, Sperling &
Kupfer Editori, 1995.
Non si tratta di un consueto rapporto di ricerca, quanto piuttosto di uno strumento di benchmarking. Il testo raccoglie infatti le case-histories di eccellenti esperienze di comunicazione d’impresa, cercando di dimostrare come le tre parole
chiave, comunicazione, cambiamento, persone, tra le più usate dagli studiosi di
management di tutto il mondo, vengano interpretate da alcune imprese che si segnalano per la qualità delle soluzioni tecniche, organizzative e gestionali al fine
di vincere le sfide competitive nei rispettivi settori di business. La scelta delle aziende, sette italiane e nove straniere, ha seguito criteri non solo di significatività
per il progetto di benchmarking ma anche di novità (il fatto cioè che il caso non
fosse già stato pubblicato o preso in esame da precedenti ricerche).
• Artemis Management Consulting (a cura di), Risorse Umane 2000. Le previsioni
di cambiamento nelle grandi aziende italiane, Rapporto di ricerca, dattiloscritto,
1994.
L’indagine ha cercato di tracciare una ricostruzione delle scelte operate negli ultimi anni dalle grandi imprese in materia di gestione del personale, di capire in
quale scenario tali scelte siano state elaborate e di analizzare la strumentazione
tecnico-metodologica che le direzioni del personale hanno utilizzato per rendere
efficaci tali scelte.
Particolarmente significativi i risultati della ricerca relativi al problema, sempre
più avvertito dalle aziende, di ottenere livelli più elevati di partecipazione, coinvolgimento e responsabilizzazione di tutto il personale, per poter combattere la
sfida della qualità.
Da un punto di vista metodologico, l’indagine si è basata sulla predisposizione di
un questionario semistrutturato a cui hanno risposto 152 grandi aziende italiane
(sia pubbliche che private) con un totale complessivo di circa 1.300.000 dipendenti. Si tratta della base di indagine più ampia tra quelle realizzate da ricerche analoghe condotte in Italia negli ultimi anni.
I risultati hanno messo in luce i cambiamenti avvenuti all’interno delle aziende
nel periodo 1990-1992, presentando stime e previsioni relative ai due anni
successivi.
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• Mascilli Migliorini, Enrico; Mazzoli, Graziella; Valenti, Otello, Le voci di dentro.
Analisi delle strutture comunicative nei processi di produzione industriale, Milano, F. Angeli, 1995.
Si tratta di una delle prime pubblicazioni curate dai ricercatori del LaRiCa (Laboratorio di Ricerca della Comunicazione Aziendale), istituito presso la Facoltà
di Sociologia dell’Università di Urbino. Il volume riporta i risultati di un interessante lavoro sperimentale, svolto in uno stabilimento del Nord-Est Italia, che ha
permesso di evidenziare come, attraverso lo studio della comunicazione interna,
sia possibile potenziare natura e valori delle imprese e una comunicazione che
veda a tutti i livelli partecipazione e coinvolgimento, nonché possibilità di flussi
comunicativi in tutte le direzioni.
Gli ambiti fondamentali, curati in modo sistematico all’interno di questo lavoro
sperimentale, si riferiscono all’allestimento di un laboratorio della comunicazione, inteso come strumento operativo privilegiato per supportare il cambiamento
organizzativo e comunicativo all’interno dell’azienda, attraverso iniziative mirate e strumenti adeguati di formazione costruiti ad hoc.
• Invernizzi, Emanuele, La comunicazione organizzativa nel governo dell’impresa,
Milano, Giuffrè Editore, 1996.
Il testo riporta i risultati di una approfondita ricerca empirica che ha avuto come
mittenti Assolombarda e Istituto RSO. Obiettivo dell’indagine era quello di individuare come nelle grandi imprese italiane la comunicazione venga concretamente
impiegata per aumentare l’efficacia e l’efficienza delle loro potenzialità di successo. L’indagine è stata condotta utilizzando un questionario strutturato inviato da
Assolombarda ai responsabili della comunicazione interna delle maggiori imprese
italiane, pubbliche e private, ed è stata inoltre completata da alcuni studi di caso.
I risultati della ricerca sono stati utilizzati per valutare la consistenza e la forza di
due tesi: quella della diffusione generalizzata della comunicazione interna e
quella dell’affermarsi del nuovo paradigma della comunicazione organizzativa.
Viene messo in evidenza come - da un punto di vista teorico e concettuale - le esigenze della comunicazione si siano evolute gradualmente e in stretta corrispondenza con l’evolvere della complessità dei modelli organizzativi e, inoltre, come
sul piano operativo le diverse modalità gestionali e organizzative necessitino di
un supporto comunicazionale specifico e corrispondente.
Le conclusioni esposte sugli sviluppi dei contenuti della comunicazione organizzativa vengono definite giustamente “provvisorie” (a causa della crescente evoluzione che interessa il mondo della comunicazione) ma sostanzialmente in linea
con le ipotesi di partenza.
• Collesei, Umberto (a cura di), La comunicazione nelle aziende europee, UPA Ca’ Foscari, 1996.
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La ricerca è stata realizzata nel periodo fine 1994-inizio 1995 con un’indagine
mediante questionario su un campione di 313 imprese di dimensioni medio grandi, appartenenti a diversi settori produttivi e a sei Paesi europei: Belgio, Francia,
Germania, Regno Unito, Italia e Spagna. Più della numerosità dei casi, la composizione del campione garantisce una sufficiente copertura e varietà di situazioni
relative sia ai singoli Paesi, sia a imprese particolarmente significative all’interno
dei propri settori produttivi, con strutture e impianti organizzativi diversi (holding, divisionalizzate, funzionali). L’indagine ha cercato di indagare sui caratteri
significativi delle attività di comunicazione svolte dalle imprese: l’uso degli strumenti, la dimensione del budget, il ricorso ai diversi media, la consistenza numerica e la tipologia degli addetti all’attività di comunicazione, il grado di accentramento o di autonomia decisionale, l’utilizzo di servizi esterni.
Un’altra finalità della ricerca ha riguardato la verifica dell’esistenza di differenze
nell’organizzazione e/o nelle attività di comunicazione in rapporto ai diversi settori produttivi e ai diversi Paesi.
I risultati dell’indagine hanno confermato la tendenza all’evoluzione della comunicazione da comunicazione di prodotto a comunicazione d’impresa e il suo carattere diffuso, nel senso che il suo svolgimento non fa capo solo a posizioni ad
essa “dedicate”.
Inoltre, le diverse attività di comunicazione risultano, nel complesso, collegate
fra loro, pur nella molteplicità di assetti organizzativi possibili, confermando l’ipotesi di fondo, accolta nell’indagine, che la gestione della comunicazione richieda comunque un forte coordinamento in azienda.
• ASCAI, Leadership e comunicazione d’impresa, Roma, Sipi, 1997.
La ricerca condotta da ASCAI è una delle poche che in Italia ha esplorato il tema
del delicato rapporto tra leadership e comunicazione d’impresa. L’indagine ha analizzato il ruolo che i leaders di azienda hanno nel promuovere e sostenere i
processi di comunicazione - specie interna - presidiandone sia i momenti chiave,
sia il generale funzionamento del sistema comunicazionale.
Un questionario (volutamente molto breve) è stato compilato da 113 top manager, appartenenti a grandi imprese, sia pubbliche che private, in prevalenza capi
azienda, amministratori delegati o direttori generali.
La ricerca è nata dal presupposto che la comunicazione diventa strumento veramente efficace di gestione dell’impresa allorché sia fondata su un autentico commitment del leader stesso. Il sospetto, tuttavia, era che alle dichiarazioni solenni
che frequentemente si reiterano circa l’importanza dei fenomeni comunicativi,
non sempre corrisponda un coerente impegno personale ed aziendale da parte dei
leader dell’impresa. I risultati emersi hanno in gran parte confermato questa ipotesi di partenza.
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• Nelli, Roberto P., La comunicazione nello sviluppo della piccola e media impresa: ruolo strategico e prospettive di sviluppo, in “Problemi di gestione dell’impresa”, 24, Milano, Vita e Pensiero, 1998.
E’ una delle prime ricerche che ha analizzato il ruolo della comunicazione nelle
piccole e medie imprese. La scelta di concentrare l’attenzione sul “modello veneto” in particolare, è stata dettata dalla opportunità, che questo modello offriva, di
indagare il ruolo svolto dalla comunicazione nell’ambito del percorso evolutivo
dell’impresa nella sua transizione da una economia tradizionale a un sistema di
produzione più articolato e complesso, comune peraltro a molte altre realtà imprenditoriali. Più precisamente, due sono stati gli obiettivi della ricerca: comprendere il ruolo che la comunicazione ha assunto nel tempo, in quanto fonte di
risorse strategiche e di vantaggi competitivi nella piccola e media impresa; spiegare tale ruolo in relazione ai caratteri peculiari e all’evoluzione dell’impresa
stessa.
Dal punto di vista metodologico, l’indagine ha preso in considerazione un campione statisticamente significativo di imprese operanti nelle provincie di Padova,
Vicenza e Treviso, appartenenti al settore industriale, analizzate in un arco temporale che va dagli anni ’60 ad oggi. Ad ogni impresa del campione è stato inviato - tra la fine del 1996 e i primi mesi del 1997 - un questionario articolato in domande a risposta chiusa.
E’ emerso, in estrema sintesi, come l’immagine aziendale stia velocemente accrescendo la rilevanza del proprio ruolo all’interno delle imprese venete, costituendo attualmente, insieme all’immagine di prodotto, una risorsa strategica di
prioritaria importanza.
• Demoskopea, La comunicazione nelle piccole e medie imprese venete, 1997,
dattiloscritto.
La ricerca sulla comunicazione delle piccole e medie imprese in Veneto è stata
realizzata da Demoskopea per conto delle Associazioni Industriali e della Federazione dell’Industria del Veneto.
L’indagine è stata condotta con interviste personali realizzate con un questionario semistrutturato su un campione di 62 piccole medie imprese venete. In particolare, si voleva conoscere il ruolo attribuito dagli imprenditori alla comunicazione ai fini degli obiettivi aziendali, le forme di comunicazione utilizzate, gli ostacoli, oggettivi o soggettivi, ad un suo maggior utilizzo, lo stato dei rapporti
con le agenzie e con i consulenti di comunicazione.
Il ruolo della comunicazione, nel creare e mantenere un vantaggio competitivo, è
apparso ancora marginale nel campione di aziende esaminato. Tale elemento di
differenziazione assume rilevanza solo in poche imprese, prevalentemente appartenenti al settore alimentare, che assegnano al marketing un’importanza strategi-
69
ca nelle politiche aziendali. L’importanza del ruolo assegnato alla comunicazione è comunque funzione di una serie di fattori: oltre alla struttura del settore, la
tipologia della clientela, il prodotto, la presenza di un marchio aziendale. Ma anche la personalità, le competenze, la sensibilità dell’imprenditore nei confronti
della comunicazione possono influenzarne l’utilizzo. In aziende molto simili, che
operano nello stesso settore, sono state infatti riscontrate culture e pratiche di comunicazione estremamente diverse.
• Mazzoli, Graziella (a cura di), Carta d’identità delle piccole imprese marchigiane, LaRica, 1996, dattiloscritto.
L’indagine ha valutato il grado di sensibilità del sistema produttivo marchigiano
verso i problemi della comunicazione, con uno sguardo all’organizzazione interna e alle tecniche adottate dalle imprese per lo scambio di informazioni con la
realtà esterna.
Un campione di 133 piccole aziende, in rappresentanza dei tre settori maggiormente rappresentativi della regione (legno, meccanico e calzature), ha risposto
ad un questionario articolato in sezioni volte ad indagare: la percezione/concezione del proprio ruolo da parte dell’imprenditore, le sue modalità comunicative,
le modalità comunicative dell’azienda, i valori aziendali, l’innovazione tecnologica, la concorrenza e, infine, la conoscenza di alcuni strumenti telematici. I dati
sono stati elaborati utilizzando un’analisi quali/quantitativa.
E’ emersa una sorta di carta d’identità delle piccole imprese marchigiane, che risultano caratterizzate da un’attività media ventennale, da un’alta presenza di imprenditori di prima generazione, ma inevitabilmente proiettate verso il ricambio
generazionale e, presumibilmente, verso un cambiamento che riguarderà gli stili
direzionali dell’impresa, meno ancorato a modelli familisti e più ispirato a quelli
manageriali.
70
UN’ANALISI COMPARATA DELL’ULTIMO DECENNIO
La comunicazione interna prende le mosse da qualcosa che è sempre esistito, in ogni luogo o circostanza nelle quali più persone abbiano
affrontato il compito di lavorare insieme, di far convergere il loro operato verso realizzazioni comuni, condividendo lo stesso luogo, lo stesso
spazio, gli stessi compiti o progetti. In azienda si è sempre, cioè, “comunicato all’interno”1.
La nascita della comunicazione interna propriamente detta, invece,
si può far risalire solo alla seconda metà degli anni Ottanta. L’elemento
di novità nelle esperienze osservate in azienda, a partire da quegli anni,
è l’istituzionalizzazione dei processi di comunicazione interna e del loro
presidio organizzativo.
________
1. “E’ possibile ricostruire almeno tre forme del ‘comunicare all’interno’ che vengono tutte prima della comunicazione interna e che di essa costituiscono gli ‘antecedenti’, o i ‘progenitori’:
• il comunicare all’interno come ‘strumento per la guida’ dell’azienda, utilizzato
personalmente dall’imprenditore in modo spontaneo, strumento non ‘specializzato’, ancora indistinto dall’attività stessa di lavoro del leader a contatto diretto con i suoi uomini;
• il comunicare all’interno come ‘vox populi’, intesa come spontaneo, diffuso,
informale e continuativo commento di tutti (del ‘popolo aziendale’) su ciò che
avviene nell’impresa, anche attraverso pettegolezzi o ‘rumors’;
• il comunicare all’interno come scansione (quasi ‘liturgica’) della vita d’azienda attraverso momenti di incontro e comportamenti comuni, poveri forse di significato funzionale, ma spesso carichi di significato simbolico e sociale”
(Confindustria/Methodos, ‘92).
71
Intendiamo per istituzionalizzazione il fatto che una certa area del
management non è lasciata alla libera iniziativa del singolo, che gestisce i suoi processi di apprendimento e sceglie, in funzione di essi, i
comportamenti che ritiene appropriati, ma è invece trasformata da fatto
individuale a fatto aziendale. La razionalizzazione che ne consegue non
è più patrimonio privato, destinato fatalmente a perdersi, ma diventa
cultura di tutti.
Questo fenomeno non è certo casuale. Con l’organizzazione posttaylorista del lavoro, che dal manufacturing si estende a tutta la struttura dell’impresa, dando luogo a modelli lean, a rete, con meccanismi interfunzionali e processivi, cambia anche il rapporto fra organizzazione e
comunicazione interna.
Si aprono così più ampi e complessi orizzonti nel processo generale di comunicazione. I dipendenti non sono più un “apparato burocratico” da amministrare solo con i contratti e le normative, ma divengono
un “campo di forza” da conquistare: come “clienti”, da motivare, da
rendere partecipi e anzi costruttori del futuro dell’azienda. La comunicazione interna supera in tal modo il concetto funzionalistico, che la
considera come elemento fluidificante dei meccanismi organizzativi
(“oliare”, fluidificare l’organizzazione), per divenire elemento strutturale, e anzi identificarsi con la struttura organizzativa. Diviene, in definitiva, la variabile connotatrice dell’identità culturale dell’impresa e
delle persone che vi fanno parte.
Il primo passo in questa direzione è costituito dalla nascita della
comunicazione interna intesa come “funzione”, come specifica “area
professionale”, fino a diventare, almeno nei casi più esemplari, vera e
propria leva strategica di gestione dell’impresa. Oggi sicuramente una
delle leve più scrutate, esaminate, dibattute2.
________
2. Mentre altre forme di comunicazione aziendale rivolte verso l’esterno hanno avuto, sin dall’inizio della seconda guerra mondiale, uno sviluppo notevole sotto
il profilo sia teorico che tecnico, la comunicazione interna - in modo specifico in
Italia - è sempre rimasta, salvo rare eccezioni, ad un livello di modesta artigianalità, spesso legata al buon senso dell’imprenditore o di qualche manager particolarmente sensibile ai problemi della comunicazione interpersonale (Nelli, ‘94,
pag. 49).
72
Parliamo di tendenze, certo, di processi evolutivi che le aziende
hanno affrontato, ed affrontano, con ritmi e modalità anche molto differenti. E che tuttavia nel complesso possiamo dire siano avvenuti in tempi relativamente brevi.
Con i dati delle ricerche in nostro possesso è stato possibile verificare come la formalizzazione di specifiche politiche di comunicazione
interna sia già ampiamente diffusa agli inizi degli anni Novanta nelle
maggiori imprese italiane (Quaglino ’92). Essa risulta presente, infatti,
nell’85% dei casi esaminati (anche se solo nel 75,6% delle aziende essa
si traduce poi in un preciso piano di comunicazione interna).
Nel 1994 nell’87% delle maggiori organizzazioni viene svolta
un’attività di comunicazione interna. Per quanto l’entità e le forme della comunicazione differiscano notevolmente da un’organizzazione a
un’altra, si tratta di una percentuale elevata, proprio perché riferita ad una funzione “giovane”. Nel complesso delle imprese che oggi hanno al
loro interno un’unità di comunicazione, nel 52% dei casi essa è stata istituita nei cinque anni compresi tra il 1990 e il 1994. Nel 39% nel decennio precedente, mentre solo nell’8% del totale l’unità di comunicazione interna è stata istituita negli anni ’70 (Invernizzi, ’96)3.
Certo, le prime indagini hanno colto la comunicazione interna, intesa appunto come “funzione”, ancora allo stadio embrionale, come realtà
emergente nel campo delle discipline che si rivolgono all’impresa.
Un autorevole gruppo di intervistati (uomini di azienda e opinion
leaders) la considera in quegli anni ancora allo “stato nascente” e quindi
sprovvista di un proprio “statuto”, di identità consolidata, ma anche di
una propria storia “ufficiale” (Confindustria/Methodos, ’92).
Diverse ricerche mettono in evidenza, inoltre, che le dimensioni aziendali sono senza dubbio il fattore strutturale che più pesantemente ha
_______
3. “Spesso l’attività svolta non è ancora radicata e sviluppata se è vero che, fatto
cento il numero di aziende nelle quali la comunicazione è presente, solo nel
52.5% dei casi analizzati l’attività è sviluppata in un’unità organizzativa specifica. Ciò non significa che nella metà rimanente delle organizzazioni la comunicazione erogata sia insignificante. Vuol solo dire che essa viene svolta all’interno
di altre unità organizzative come Personale e Organizzazione (31% dei casi), come Relazioni Esterne (14%) o come Commerciale e Marketing (1.6%)” (Invernizzi, ‘96, pag. 186).
73
influito, e influisce, sullo sviluppo delle diverse forme di comunicazione e sulla presenza di unità ad essa dedicate (Quaglino,’92; Romano e
Felicioli, ’92; Invernizzi, ’96, Ascai ’97) confermando come in Italia le
vere differenze nella cultura manageriale debbano essere indagate proprio lungo la variabile piccola/grande azienda4.
Già nei primi anni ’90, particolarmente significativa è l’alta percentuale dei casi (60%) in cui il vertice aziendale - in modo specifico
l’Amministratore Delegato e il Direttore Generale - dimostra di partecipare alla formulazione della politica di comunicazione (Quaglino, ’92),
indice questo di un segnale di utilizzo della comunicazione a supporto
della realizzazione della strategia dell’impresa, o almeno come indicazione della tendenza a inserire la definizione della politica di comunicazione nel quadro della strategia aziendale.
Occorre tuttavia sottolineare come i flussi della comunicazione si
dimostrino soprattutto discendenti, con pochi o inesistenti raccordi tra le
diverse funzioni. Le prime ricerche mettono in luce come la comunicazione avvenga prevalentemente per vie gerarchiche verticali, e fanno emergere una mancanza di sintonia tra le tipologie di strumenti impiegati
dalle aziende a scopo prevalentemente informativo (stampa aziendale,
avvisi in bacheca ecc.) e le opinioni manifestate dal personale circa le
modalità preferite di comunicazione (scambi verbali con il proprio superiore, sia individualmente che durante apposite riunioni) (Amigoni, ’92).
Emerge, in generale, una disabitudine diffusa a pensare alla comunicazione come un fenomeno “a due vie” e uno scarso peso attribuito
dai vertici ai contenuti che vengono dal basso, proprio perché vengono
dal basso (in quanto non sufficientemente “qualificati”, “autorevoli”,
“credibili”, degni insomma di effettiva attenzione) (Confindustria/Methodos, ’92). Il vertice dell’azienda nella maggior parte dei casi comunica direttamente solo con la struttura gerarchico burocratica. Con il resto della popolazione interna la comunicazione è per lo più “mediata”.
_________
4. Come risulta dalla ricerca di Invernizzi, la presenza di una unità di comunicazione interna passa oggi da una percentuale di 22.9% nelle aziende fino a 1.500 dipendenti, a 53.2% nelle aziende con un numero di dipendenti compreso tra 1.500
e 5.000, per raggiungere la percentuale di 70% nelle imprese con un numero superiore di addetti (Invernizzi, ‘96, pag. 189).
74
Alto risulta comunque il grado di consapevolezza, da parte delle aziende, circa i limiti di questo sistema di comunicazione, soprattutto per
la sua inefficacia rispetto alle sfide del cambiamento tecnologico e organizzativo. E’ indicativo, a questo proposito, il fatto che il 61% di un
campione di aziende intervistate avesse già posto in programma interventi volti a modificare l’assetto della comunicazione interna (Romano,
Felicioli, ’92). Ed è interessante notare come i cambiamenti previsti
non riguardassero tanto l’aggiunta di nuovi strumenti, quanto più in generale la ricerca di nuove strategie e di una diversa qualità nei rapporti
(Romano, Felicioli, ’92).
In anni più recenti, un gruppo di top manager di fronte alla domanda “con chi ritiene sia più importante comunicare”, nel 40% dei casi risponde “con tutto il personale”, dimostrando, tra l’altro, come la comunicazione lentamente si riconduca al significato di rapporto orale fra le
persone o di scambio diretto di informazioni e messaggi (Ascai, ’97).
In un’ottica organizzativa in cui coinvolgimento e partecipazione
sono sinonimi di qualità e successo, la comunicazione mano a mano si
svincola dai suoi significati tradizionali, per diventare espressione d’intesa, possibilità di creare circostanze adatte alla nascita e allo sviluppo
di impegni precisi, espressione di condivisione di rischi, responsabilità,
valori. In relazione a questo significato mutano anche gli obiettivi delle
politiche di comunicazione, che si conformano al piano di cambiamento
e alle strategie di sviluppo.
Dalle prime rilevazioni emerge come l’obiettivo della comunicazione sia soprattutto quello di migliorare la conoscenza e rafforzare
l’immagine dell’azienda (Quaglino, ’92). Alla comunicazione viene affidato soprattutto il compito di garantire e difendere l’identità storica
dell’impresa, di curare il suo clima interno. In altre parole, un compito
che è molto improntato a obiettivi di autoconservazione e a un certo ripiegamento dell’organizzazione su se stessa (Romano, Felicioli, ’92).
In alcuni casi è addirittura diffusa la convinzione che “sia sempre possibile ottenere coesione anche senza fare ricorso alla comunicazione interna”, e inoltre che “le informazioni circolino ugualmente anche in sua
assenza” (Confindustria/Methodos, ’92).
Col tempo assumono sempre maggiore importanza, tra le finalità
riconosciute alla comunicazione interna, proprio lo sviluppo del coin75
volgimento delle persone, il senso di appartenenza e i valori strategici
condivisi. Anche se sono soprattutto le organizzazioni più innovative e
con una strategia di tipo proattivo quelle più sensibili all’impiego dei
valori guida e più disponibili a utilizzare la comunicazione per diffonderli e renderli operativi (Invernizzi, ’96).
Il ruolo della comunicazione interna diventa sempre più una componente della gestione del personale. Le linee del cambiamento sono evidenti: tra il 1990 e il 1992 la comunicazione viene utilizzata come leva
strategica di gestione del personale dal 15% delle maggiori aziende italiane (pubbliche e private). Nelle previsioni espresse dalle medesime aziende per l’immediato futuro la comunicazione raggiunge un importante
33%, la percentuale più alta di cambiamento in relazione a tutte le altre
leve di gestione di cui era stato previsto a breve un maggior utilizzo (tra
queste leve ricordiamo, in ordine decrescente, la flessibilità organizzativa,
la formazione, i sistemi retributivi) (Artemis Management Consulting,
‘94). E’ interessante notare, tra l’altro, come i dati della ricerca condotta
da Artemis contribuiscano a rafforzare l’idea che una gestione innovativa
del personale produca dei risultati positivi non solo in relazione al clima e
al coinvolgimento, ma anche nel rapporto fra impresa e clienti esterni: la
presenza di iniziative di comunicazione interna porta infatti il dato medio
di miglioramento, relativo a questo rapporto, al 58%.
Per quanto riguarda il piano operativo di comunicazione aziendale, è interessante notare come i dati delle ricerche non si discostino molto nel corso degli anni. La ricerca della Ascai (Ascai, ’92) rileva la presenza di un piano di comunicazione interna nel 75% delle aziende intervistate. La stessa percentuale risulta più tardi dai dati dell’indagine
svolta da Invernizzi (Invernizzi, ’96), da cui si ricava, anche in questo
caso, una forte correlazione positiva tra l’esistenza di pianificazione
delle attività di comunicazione e il grado di innovazione organizzativa,
a dimostrazione del fatto che le imprese più innovative sono quelle che
evidenziano, anche attraverso l’impiego di queste tecniche manageriali,
di attribuire più importanza alla comunicazione.
Il Personale è sempre stata la collocazione storica dell’ente di comunicazione interna, in larga misura responsabile del suo piano operativo. Tutte le ricerche indicano che, in assenza di un ente specificamente
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dedicato alla comunicazione, tale funzione viene svolta prevalentemente all’interno di questa struttura organizzativa, seguita dalle Relazioni
Esterne e dal Commerciale e Marketing.
Uno dei dati di maggior interesse riguarda comunque la diffusa
consapevolezza (emersa in tutte le ricerche considerate) dell’importanza di forme di integrazione tra comunicazione interna ed esterna. Anche se, nei casi esaminati, solo molto raramente questa consapevolezza
si traduce in meccanismi concreti di integrazione adottati, sia pure con
significative differenze relative agli ultimi dati disponibili: dal 29% di
casi in cui è stato possibile riscontrare la presenza di un unico ente di
comunicazione (Quaglino, ’92), si passa infatti al 52.4% in tempi più
recenti (Invernizzi, ’96)5.
Il dibattito sui ruoli e sulla modalità di integrazione della comunicazione ha seguito numerosi e differenziati itinerari. Poiché non esiste
un modello unico di integrazione e non è possibile stabilire, secondo
schemi di validità generale, quali siano i compiti specifici degli organi
ad essa preposti, la definizione delle funzioni di integrazione deve essere strettamente collegata alle caratteristiche dell’impresa e alle condizioni settoriali che ne determinano la criticità da un punto di vista concorrenziale e reddituale6.
La questione è comunque di grande rilevanza. L’ambiente sempre
più competitivo in cui le aziende si trovano ad agire, caratterizzato da
interdipendenza tra i numerosi e mutevoli attori, impone infatti una
sempre maggiore coerenza tra i messaggi indirizzati ai diversi interlocutori. “Esistono buone ragioni - nota Invernizzi - per integrare le diverse attività di comunicazione. In primo luogo perché sempre più gli
strumenti di comunicazione esterna sono rivolti a pubblici interni e viceversa. In secondo luogo, perché oramai pressoché tutte le comunicazioni esterne devono considerare gli effetti che provocano all’interno.
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5. Nel recente mini-sondaggio effettuato dalla Ascai su un gruppo di top manager è
emerso che 67 intervistati su 113 (il 59%) considerano l’attività di comunicazione nell’azienda come un fatto unitario non solo in termini concettuali, ma anche
organizzativi (Ascai, ‘97).
6. Fiocca, Ostillio, ‘93.
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Infine, perché tutte le più significative attività di comunicazione
interna hanno effetti sull’esterno sia per le informazioni che gli interni
danno sull’impresa e sui prodotti e servizi, sia per la qualità del rapporto che essi instaurano con gli interlocutori esterni”7.
Recenti indagini empiriche sulla Customer Satisfaction hanno convalidato la tesi dell’integrazione funzionale, dimostrando come le imprese di maggior successo siano proprio quelle che, prescindendo da
variabili dimensionali, settoriali o geopolitiche, appaiono caratterizzate
da un approccio innovativo alla gestione della complessità dei mercati:
la massima integrazione di tutte le componenti funzionali tradizionalmente intese. Si delinea, in quest’ottica, la nascita di un nuovo modello
di impresa, incentrato sullo sviluppo del patrimonio di risorse immateriali; sviluppo perseguito mediante la mobilitazione di tutte le energie
organizzative verso la creazione di valore per il cliente. Il risultato è la
generazione di una visione unitaria, stimolata da una grande innovazione nei processi di comunicazione e di gestione delle risorse umane.
Benché tali osservazioni siano ampiamente condivise e risultino
intuibili, paradossalmente molte imprese ancora oggi definiscono le caratteristiche d’uso e di immagine dell’offerta prescindendo dalla ricerca
di una sintonia tra la soddisfazione desiderata dai consumatori e la soddisfazione pianificata dal management. Il risultato è un “gap di coinvolgimento” del personale aziendale, che viene indicato come uno degli ostacoli sicuramente più critici per la diffusione dei valori connessi all’orientamento al cliente (Valdani, ’94).
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7. Invernizzi, ‘94, pag. 28.
7. La comunicazione integrata è stata oggetto di analisi mirata in una ricerca svolta
da due docenti dell’Università Bocconi. Dall’indagine è emerso come la prevalenza tra orientamento verso l’esterno e verso l’interno risulti condizionato dalle
caratteristiche settoriali dell’impresa. In particolare, l’interesse verso le dinamiche esterne è prevalente nei settori in cui si attribuisce una forte rilevanza alla
politica di prodotto: industriali, di consumo durevole; verso l’interno nei settori
caratterizzati da elevata complessità tecnologica e complessità di mercato (settori in forte evoluzione, altamente internazionalizzati). La forte resistenza al cambiamento e la “cristallizzazione” della cultura risultano essere gli ostacoli maggiori all’applicazione in azienda di forme integrate di comunicazione (Fiocca, Ostillio, ‘93).
78
Ma torniamo ai dati delle ricerche sulla comunicazione, questa
volta per capire se, e in quale misura, si sia affermata nel tempo una gestione manageriale di questa funzione. Oltre alla presenza di un piano
preciso di comunicazione, la verifica dell’impiego di tecniche manageriali avviene anche attraverso altri indicatori, come le indagini sui bisogni di comunicazione (la predisposizione all’ascolto) e l’impiego di forme di monitoraggio per la misurazione dei risultati.
La carenza di questi strumenti di controllo, registrata nel corso degli anni attraverso tutte le ricerche, è sicuramente indicativa di un’attività gestita in modo troppo approssimativo. Sul terreno della gestione manageriale le imprese stanno muovendo solo adesso i primi passi. Ancora
oggi, per esempio, pur considerando l’ascolto un’attività importante (il
59% di un campione intervistato) non sempre fanno seguire a questa
consapevolezza un’attività corrispondente, come un’indagine sui bisogni
di comunicazione interna (svolte dal 46% del medesimo campione) o
forme di monitoraggio delle attività svolte (59%) (Invernizzi, ’96).
Più interessanti appaiono invece le informazioni che è possibile ricavare sul grado di discontinuità dell’attività di comunicazione in relazione ai periodi di crisi, indice questo di una rilevanza più o meno strategica ad essa attribuita. L’atteggiamento iniziale delle aziende è piuttosto chiaro: le fasi di recessione implicano inevitabilmente tagli alle spese in comunicazione, soprattutto interna (Confindustria/Methodos, ’92).
In anni successivi vengono riscontrate discontinuità considerevoli,
negli investimenti in comunicazione, solo nel 10% delle grandi imprese
e degli enti italiani (nel 58% degli stessi casi, nei periodi di crisi essi risultano stabili o addirittura aumentano) (Invernizzi, ’96).
Infine, uno sguardo agli strumenti. I primi sondaggi offrono un panorama degli strumenti di comunicazione certamente ricco e differenziato, ma in larga misura concentrato su iniziative di stampa aziendale a
carattere periodico e di taglio “giornalistico”. I flussi della comunicazione interna sono soprattutto discendenti e non consentono la necessaria raccolta di feed-back. Elevato si dimostra ancora il numero di aziende che comunica con il personale attraverso canali e media che fanno
parte di quello che viene definito “sistema tradizionale” della comunicazione interna. Sistema, cioè, che risponde soprattutto a obiettivi “po79
litici”, di governo della macchina organizzativa, attraverso l’esercizio
di funzioni specificamente orientate in questo senso, come quelle di omologare, uniformare, controllare, stimolare sentimenti di appartenenza
(tra gli strumenti più comunemente utilizzati: le bacheche, gli house organ, le grandi riunioni, i family day. Si tratta di mezzi che non consentono una grande densità e ricchezza di informazioni, pur avendo una
forte validità espressiva) (Romano, Felicioli, ’92).
Nell’arco di pochissimi anni, tuttavia, il cambiamento del contesto
socioculturale (che sotto la spinta dell’innovazione tecnologica e dell’accresciuta competitività ha reso necessaria l’elaborazione di nuovi
valori e di nuovi criteri di gestione delle risorse umane) ha messo in evidenza i limiti e le carenze di questo modello aziendale e dei corrispettivi strumenti di comunicazione.
Dovendo parlare a persone sempre più coinvolte nel rapido sviluppo dei mass media, anche la comunicazione aziendale si adegua alle
nuove tendenze: come forma adotta un linguaggio più semplice e meno
“codice interno”; sul piano dei contenuti, fornisce informazioni più
complete e trasparenti.
All’interno del nuovo quadro organizzativo l’omologazione della
cultura e dei comportamenti ha ancora un ruolo importante, anche se è
cambiato, per così dire, il suo orientamento. L’uniformità e la coerenza
delle azioni, delle idee, dei criteri, nascono dalla necessità di operare in
modo coordinato per il raggiungimento degli obiettivi.
L’azienda tende a rompersi in tanti nuclei relativamente autonomi,
tenuti insieme dalla fragile ragnatela del coordinamento e della comunicazione. Una situazione che può far emergere le spinte centrifughe tendenti alla definitiva disgregazione di tutto il sistema. Stimolare il senso
di appartenenza è quindi, anche nella nuova azienda, un obiettivo fondamentale. Paradossalmente, proprio in questi ultimi anni, si assiste al
recupero di forme e strumenti della comunicazione che hanno caratterizzato la prima fase del processo di industrializzazione, prima che la
crescita dimensionale delle imprese rendesse necessario l’ampio ricorso
alle forme mediate di comunicazione8.
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8. Ascai Servizi, ‘97.
80
Nasce da qui l’enfasi posta oggi sulla comunicazione interpersonale, sull’importanza della relazione capi-collaboratori e degli incontri
tra leader aziendali con i capi. In una delle ultime indagini svolte, alla
domanda che cercava di indagare sul relativo declino e il relativo sviluppo dei principali strumenti di comunicazione interna, le risposte più
positive si sono concentrate proprio sugli strumenti di comunicazione
interpersonale, mentre hanno registrato le valutazioni più basse quelli
tradizionali di comunicazione scritta e, più in generale, mediata.
In particolare, il 71% degli intervistati ha indicato che tende ad aumentare in misura consistente le “riunioni a cascata tra capi e collaboratori”; il 66.7% la “formazione sulla comunicazione interpersonale”, il
54.1% le “convention aziendali” (Invernizzi, ’96).
Questo aspetto risulta particolarmente interessante perché non denota un ritorno a politiche aziendali tipiche degli anni ’50, in particolare delle scuole di “human relation”, ma una caratteristica delle organizzazioni moderne e tecnologicamente avanzate, dove, proprio per la pervasività delle tecnologie, dei sistemi automatizzati, della cultura della
flessibilità e dell’innovazione continua, le reti di relazioni interne, gli
stili di leadership e la qualità delle relazioni interpersonali, rappresentano il primo fattore del sistema di qualità aziendale.
81
UN CASO ESEMPLARE: “IL LABORATORIO DELLA COMUNICAZIONE”
La tendenza generale è sicuramente verso un maggior utilizzo della comunicazione interna. A confermarlo sono anche i dati di una recente ricerca che ha analizzato lo “stato dell’arte” della comunicazione
d’impresa in Europa: il 70% di un campione di aziende analizzate, appartenenti a sei Paesi europei (Belgio, Francia, Germania, Regno Unito,
Spagna, Italia) ha indicato gli strumenti di comunicazione interna tra
quelli di cui è previsto a breve un maggior utilizzo (assieme al direct response e alla promozione vendite) (Collesei,’96).
Contemporaneamente all’emergere di una maggiore attenzione
verso i percorsi comunicativi interni, si assiste alla diffusione di un altro fenomeno: lo svuotamento e la conseguente perdita di contenuto
proprio degli uffici aziendali delegati a gestire i percorsi di comunicazione. Il comunicare cessa cioè di configurarsi come circoscritta responsabilità di staff poiché, in quanto expertise richiesta ad ogni dipendente, diviene responsabilità diffusa a diversi livelli aziendali (Ascai
Servizi, ’97).
La comunicazione sempre meno si identifica nel corpus di tecniche, strumenti e competenze dei tecnici ad essa preposti, per coincidere
col sistema organizzativo stesso. “Organizzare” e “comunicare” vengono indicati come momenti complementari del corso di decisioni e azioni nel quale la vita aziendale si concreta.
Il ragionamento può essere esteso, in parte a riprova di quanto affermato. Le modifiche a livello organizzativo, infatti, non sono in grado
82
di innescare reali processi di cambiamento all’interno delle aziende se
non sono accompagnate da contemporanee modifiche del sistema comunicativo. Partendo dal presupposto di considerare intervento organizzativo solo quello operato sulle strutture, è stato possibile constatare che interventi che riducono i livelli gerarchici, che creano nuove strutture cancellandone altre, modificano la struttura formale di un’organizzazione ma
non possono cambiare la distribuzione delle competenze acquisite dalle
persone e dalle unità organizzative preesistenti9. In sintesi, la lean organization non è un modello studiato a tavolino che può essere trasferito alle
imprese in maniera meccanica, ma presuppone l’istituzione di figure, di
ruoli e di professionalità che abbiano la responsabilità di rendere più efficienti i collegamenti, le comunicazioni e le connessioni tra i gruppi.
Anche all’interno di alcune imprese particolarmente sottoposte agli imperativi del cambiamento e più dotate di risorse e di capacità particolari, i modelli reticolari di comunicazione non si diffondono in maniera automatica in relazione all’utilizzo di nuovi modelli organizzativi.
Una serie di ostacoli di fatto si frappongono allo sviluppo in azienda di
una cultura della comunicazione.
La verifica empirica di questo fenomeno è stata resa possibile grazie all’analisi del concreto sistema di comunicazione di un grosso gruppo italiano operante nel campo dell’industria metalmeccanica, che nel
1991 ha intrapreso la strada della riorganizzazione secondo le direttrici
dettate dai modelli di organizzazione snella e di Qualità Totale10.
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09. Mazzoli, ‘96a.
10. Nello specifico, i livelli gerarchici della struttura organizzativa sono stati dimezzati e sono state costituite tre Celle integrate di produzione (Cip), una relativa alle
aree tecnologiche, una al pre-assemblaggio, una all’assemblaggio finale. “Le Cip
rappresentano la più forte applicazione dei concetti legati alla organizzazione di
fabbrica e alla Qualità totale. E’ diretta da un responsabile (Capo-Cip) che dipende direttamente dal Direttore, in modo da realizzare processi comunicativi e informativi bottom-up, che permettono di proporre e attivare con la massima rapidità le azioni necessarie per il miglioramento continuo della qualità, del servizio al
cliente, del conto economico, nonché delle relazioni comunicative e informative
tra i soggetti appartenenti. In questo senso, la struttura per Cip prevede un recupero della soggettività nello spazio lavorativo e uno sforzo di collegare la qualità
tecnica dei prodotti con la qualità del lavoro e della vita all’interno degli stabilimenti” (Mazzoli, ‘95, pag. 135).
83
La ricerca è stata condotta da un gruppo di ricercatori del LaRica
(Laboratorio di Ricerca della Comunicazione Aziendale) dell’Università di Urbino, attraverso una metodologia qualitativa, molto elastica e
duttile, che ha permesso di far emergere tutti gli elementi legati ai comportamenti, agli atteggiamenti e alle opinioni degli intervistati. Il percorso di verifica si è svolto su diversi livelli, tenuti distinti da un punto
di vista espositivo, ma che sono strettamente intrecciati dal punto di vista concettuale e operativo:
• l’analisi di sfondo relativa al sistema organizzativo;
• lo studio e la definizione dei sistemi di comunicazione che costituiscono tale sistema organizzativo;
• la verifica del funzionamento dei sistemi di comunicazione tramite
l’analisi di uno specifico “messaggio aziendale”;
• la sperimentazione di soluzioni originali attraverso l’attivazione di un
Laboratorio della Comunicazione.
Dall’analisi dei primi due punti (effettuata attraverso una serie di
indagini preliminari con dirigenti e quadri e interviste semistrutturate a
diverse figure professionali operanti nel settore produzione11) è stato
possibile verificare l’esistenza nella fabbrica di due mondi distinti, di
cui uno piuttosto integrato e coerente, che fa riferimento a pezzi da produrre, operazioni tecniche da svolgere. L’altro, meno accentuato, è la
fabbrica invisibile, fatta di relazioni comunicative ancora troppo deboli,
di rapporti troppo spesso strumentali e freddi.
In termini più specifici, per ciò che riguarda i capi, è stata registrata una non completa padronanza dei concreti strumenti messi a disposizione dalla nuova organizzazione per gestire la delega in termini di gestione delle risorse umane. La figura del capo intermedio (capolinea),
su cui si è concentrata la ricerca in quanto operatore centrale nei processi di comunicazione dell’azienda, ha un ruolo informativo-comunicativo ancora troppo debole e incerto, che spesso non lo aiuta ad essere
protagonista a tutto campo dei nuovi processi aziendali.
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11. Gli autori della ricerca fanno notare che la scelta dell’area produttiva si giustifica col fatto che essa riveste un ruolo strategico dal punto di vista delle dinamiche comunicative. Inoltre, è proprio all’interno di quest’area che l’azienda in
questione ha deciso di concentrare maggiormente gli sforzi di innovazione organizzativa, come gli interventi e le azioni di qualità.
84
Per quanto riguarda gli operai, è stato messo in luce un problema a
monte di conoscenza dei cambiamenti e delle nuove configurazioni organizzative.
Si rendeva quindi necessario, da un lato rivedere le informazioni
loro rivolte, per centrarle su contenuti del “mondo di vita e di relazione”; dall’altro, attuare un’azione di pedagogia diffusa sulla nuova semantica aziendale con l’obiettivo di migliorare l’informazione sui cambiamenti e ottenere dei feedback sull’efficacia di questa operazione.
Per ricavare ulteriori informazioni utili alla conoscenza delle specificità culturali del caso esaminato, l’attenzione dei ricercatori si è poi
focalizzata sullo studio di un particolare messaggio aziendale, volto a
diffondere a tutti i membri dell’organizzazione i concetti e le nozioni
principali della Qualità Totale, a iniziare una discussione interna sui
comportamenti organizzativi necessari per rendere efficaci le nuove
strutture organizzative12. Attraverso una serie di colloqui di valutazione, condotti con i soggetti che avevano partecipato all’iniziativa, i ricercatori hanno voluto analizzare l’efficacia del messaggio trasmesso, verificare le modalità di traduzione dello stesso da parte dei riceventi e, inoltre, valutare la congruenza tra obiettivi aziendali e aspettative dei
partecipanti.
Uno degli aspetti più significativi emersi è sicuramente il rapporto
intergenerazionale all’interno dello stabilimento. Le discrepanze più significative, in termini di apprendimento e di rapporti relazionali, sono
emerse proprio fra “anziani” e “giovani”, e sono state interpretate sulla
base di due diverse culture aziendali: una pragmatica, basata prevalentemente sull’esperienza concreta che connota i primi. L’altra scientifica,
tipica dei “giovani”, cioè di persone che possiedono un grado di istruzione scolastica abbastanza elevato e che per questo affrontano in modo
più razionale le situazioni di lavoro, facendo leva su un bagaglio conoscitivo astratto, acquisito con la formazione.
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12. Da un punto di vista metodologico, questa iniziativa è stata strutturata dall’azienda come un modulo di due ore d’aula, in cui alcuni filmati erano alternati a
interventi diretti di capi intermedi.
85
In sintesi, l’esistenza di due culture sembra aver portato ad una
comprensione di tipo diverso del messaggio trasmesso, portando all’identificazione di due concetti diversi di qualità che accentuano aspetti
tra loro differenti. Gli “anziani” hanno cioè privilegiato soprattutto una
qualità di prodotto, legata alle necessità produttive alle quali si trovano
di fronte durante il loro lavoro. I “giovani”, invece, si sono soffermati
sugli aspetti più vicini alle tematiche organizzative e relazionali sostenendo e privilegiando un’accezione di qualità come comunicazione, identificandosi come la classe di età che ha assimilato la parte più innovativa del pensiero aziendale.
Per chi opera in azienda, l’insegnamento che è possibile trarre da
questo tipo di indagine è che occorre sempre porsi il problema di ridefinire le reti comunicative e informative in modo da coinvolgere nei processi di comunicazione tutti i gruppi presenti nell’organizzazione. L’analisi qualitativa di questo specifico messaggio ha portato ad ipotizzare
che l’iniziativa avesse comunque privilegiato modalità comunicative
più consone agli “anziani”. L’osservazione di questo fenomeno ha indotto i ricercatori a fare una considerazione di carattere generale: all’evoluzione storica e organizzativa delle aziende non si è ancora legato
un adeguato sviluppo di nuove reti di comunicazione.
L’ultima parte della ricerca è stata indirizzata verso la sperimentazione concreta di alcuni interventi nell’ottica del miglioramento dei
processi comunicativi e relazionali, sulla base dei problemi emersi attraverso le indagini preliminari.
Per approfondire le problematiche comunicazionali, i ricercatori
hanno sentito l’esigenza di utilizzare una metodologia di ricerca non usuale, che permettesse “un’integrazione tra scopi dell’indagine, attività
di sperimentazione sul campo, continuo confronto con i differenti ruoli
coinvolti nell’attività, interdipendenza tra ipotesi conoscitive, ipotesi operative e obiettivi del mutamento sistemico13”. A tale scopo, è stato ritenuto utile l’utilizzo di uno strumento come il Laboratorio della Comunicazione, che implica la costituzione di gruppi di progetto composti
_______
13. Mazzoli, ‘96a, pag. 132.
86
da personale dell’azienda e da ricercatori universitari, che insieme definiscono obiettivi e procedure con cui orientare le proprie azioni. Si tratta di uno studio sistematico in uno specifico contesto, orientato verso il
cambiamento concreto del modello organizzativo; caratterizzato dall’azione in quanto esso implica in larga parte interventi di formazione e
sperimentazione sotto il controllo della comunità scientifica e della direzione dell’azienda. In sintesi, “un processo di conoscenza durante il
quale avviene un mutamento”.
Nello specifico caso aziendale analizzato, il Laboratorio ha avuto
la funzione di sperimentare azioni in grado di coinvolgere maggiormente i dipendenti all’interno delle reti di comunicazione, con un’attenzione particolare per il ruolo di perno di collegamento svolto dai capi intermedi (capilinea). L’appiattimento della struttura organizzativa sta infatti provocando una ridefinizione dei ruoli collegati a queste figure
professionali che devono ridisegnare le rispettive aree di responsabilità
ma faticano a trovare un momento di integrazione stabile e definito.
Depurata da alcuni elementi propriamente locali, l’esperienza fatta
può essere vista come un tipo ideale dei percorsi di cambiamento organizzativo che da anni stanno caratterizzando le grandi imprese.
Non solo. Iniziative di questo tipo sono utili per creare tra Accademia e Impresa linguaggi comuni e condivisi. La prima si sforza infatti
di riconoscere “dignità” all’agire pratico all’interno dell’impresa, alla
ricerca applicata, alla formazione “su problemi” e non solo su teorie astratte. L’Impresa, dal canto suo, apre i cancelli, si lascia osservare, offre la sua cultura - intesa come corpo di conoscenze consolidatesi nella
pratica gestionale, produttiva, organizzativa - alle istituzioni accademiche e agli organi demandati alla ricerca scientifica. Solo questa collaborazione reciproca, del resto, rende possibile la verifica empirica di un
fenomeno - la comunicazione - che chiama in causa valori, atteggiamenti, comportamenti, motivazioni delle persone. Tutto quello che viene comunemente definito come cultura d’impresa.
87
L’APERTURA DELLA RICERCA ALLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE
Nonostante sia oramai risaputo che l’economia italiana poggia
quasi interamente sulle capacità di sviluppo e di innovazione del sistema delle piccole e medie imprese, tale realtà è stata per lungo tempo
oggetto di scarsa attenzione e interesse.
Le ricerche prodotte hanno contribuito a tratteggiare un quadro generale e complessivo di questo mondo, ma nella maggior parte dei casi
si sono fermate ai confini dell’impresa, e non hanno saputo svelarne i
meccanismi di funzionamento, i modi specifici di apprendimento e
sviluppo.
Nell’ambito specifico della comunicazione d’impresa, il “gap” esistente in letteratura trova probabilmente una ragione in alcune supposizioni di carattere generale:
• la prevalenza, all’interno della piccola e media impresa, di una prassi
comunicativa informale, facilitata dalle ridotte dimensioni;
• la possibilità di una percezione più immediata degli aspetti fondamentali attinenti alla gestione d’azienda;
• una conoscenza diretta dell’evoluzione della vita aziendale da parte
dei partecipanti.
Molte indagini hanno rilevato dati di fatto in tal senso, evidenziandoli come punti di forza dello small business, nei termini soprattutto di
una maggiore flessibilità gestionale e di migliori relazioni con i dipendenti. Negli anni ’90, tuttavia, i cambiamenti del mercato internazionale, le nuove scoperte tecnologiche, l’avvento delle tecnologie informati88
che, la crescita del grado di formazione, sono tutti fenomeni che hanno
fatto emergere l’esigenza di una politica di comunicazione anche per le
piccole e medie imprese, che superi lo stadio dello spontaneismo e delle
casualità in favore di una scelta più lucida e consapevole, a partire dal
motore dell’azienda, cioè dall’imprenditore.
Il mutato scenario socio economico, infatti, caratterizzato dalla progressiva caduta delle barriere territoriali, settoriali e comunicative, se da
un lato ha aumentato gli spazi potenziali di crescita della piccola e media
impresa, dall’altro lato ha reso sempre più necessario lo sviluppo di risorse che aumentano la sua velocità di reazione (investimenti immateriali in
conoscenza, relazioni, sperimentazioni) e che facilitano la costruzione di
reti (sistemi logistici, comunicativi e di garanzia). In questo contesto diventa essenziale che l’impresa disponga di una capacità relazionale e comunicativa maggiore rispetto a quella richiesta nel passato, allo scopo di
rapportarsi con un numero molto più ampio di interlocutori strategici.
Ma è proprio su questo terreno che il ritardo culturale delle Pmi
sta diventando critico.
Le poche ricerche sull’argomento, che hanno analizzato i processi
di comunicazione di piccole imprese in diversi contesti territoriali, hanno messo in evidenza l’esistenza al loro interno di un orientamento alla
comunicazione, ma hanno anche rilevato come questo orientamento,
nella generalità dei casi analizzati, risulti poco diffuso e costituisca un
punto di debolezza, specialmente quando se ne osservano i conseguenti
riflessi operativi.
Un importante contributo, in tal senso, è stato offerto da una ricerca che ha analizzato la complessa interazione tra cultura, sistema produttivo e territorio, focalizzando l’attenzione sugli aspetti comunicativi
e relazionali delle piccole e medie imprese marchigiane, particolarmente rilevanti non solo nella loro gestione interna, ma anche nell’organizzazione sistemica interaziendale propria del distretto (Mazzoli, ’96b).
Obiettivo della ricerca era quello di disegnare una sorta di carta d’identità della piccola impresa marchigiana, facendo emergere elementi riguardanti la sua struttura, i suoi imprenditori, le caratteristiche della comunicazione, interna e esterna, la percezione dell’innovazione e della
concorrenza.
89
Relativamente alla figura dell’imprenditore è stato possibile rilevare una contraddizione di fondo nella sua politica di gestione aziendale, legata alla mancata corrispondenza tra l’importanza generalmente attribuita a valori come la responsabilità, la professionalità, la creatività,
il lavoro di gruppo, e la quasi totale assenza di un’effettiva pianificazione ed esplicitazione della mission aziendale. E questo mancato intervento, come sottolineato dagli autori della ricerca, comincia ad essere
percepito come problematico, soprattutto nelle aziende di maggiori dimensioni, dove l’importanza intuitivamente attribuita a questi valori è
molto rilevante, ma questa consapevolezza stenta a dar vita a comportamenti organizzativi veri e propri all’interno dell’azienda.
L’imprenditore confida sull’intensità delle relazioni quotidiane con
i propri dipendenti e sull’esempio, in ciò trasferendo l’ottica familistica
nella direzione dell’azienda. I meccanismi di funzionamento dell’impresa e i suoi processi di comunicazione risultano in questo modo fortemente condizionati dalla cultura, dalla personalità, dalle motivazioni
del suo imprenditore, dalla sovrapposizione tra i ruoli di proprietario,
manager e spesso di lavoratore esecutivo. Nel 60% dei casi analizzati,
infatti, l’industriale gestisce personalmente la funzione comunicativa,
dando vita ad un’interazione che si caratterizza come individuale (61%)
e informale (76%). Ciononostante, la definizione di comunicazione che
l’imprenditore fornisce è quella di “atto informativo” (66%), unidirezionale, quindi, che non prevede relazionalità tra le parti coinvolte. A
ciò fa seguito la richiesta di una maggiore capacità ricettiva da parte dei
propri collaboratori, percepiti come scarsamente coinvolti e interessati.
L’imprenditore ritiene comunque di poter impostare la comunicazione in azienda senza particolari problemi, potendo fare ricorso alle
sue capacità comunicative innate, che fanno parte del suo stile direzionale. La denuncia di serie difficoltà di interazione riguarda esclusivamente i rapporti intrattenuti con enti e istituzioni in genere, la cui burocrazia viene riconosciuta come uno dei maggiori ostacoli all’attività imprenditoriale. Tuttavia, l’abitudine all’informalità, che solitamente caratterizza i rapporti e quindi il linguaggio dell’imprenditore, costituisce
un forte limite nell’intrecciare relazioni che richiedono una maggiore
formalità e quindi l’utilizzo di un diverso codice.
90
L’anima tradizionalista di queste imprese emerge, inoltre, in una
serie di altri fattori, legati alla prevalenza della cultura del prodotto, che
rispecchia il passato professionale artigianale e pragmatico, alla concezione prevalente di innovazione, che fa riferimento quasi esclusivamente all’ambito tecnico-produttivo, senza dare la dovuta importanza agli
aspetti soft dell’impresa, alla sua infrastruttura immateriale, l’unica in
grado di conferirle continuità nel suo progressivo processo di cambiamento.
E infine, particolarmente problematico appare l’aspetto dei collegamenti con altre imprese, ostacolato dalla scarsa penetrazione degli
strumenti telematici (il 62% delle aziende non possiede alcun collegamento) e dalla necessità di diffondere una cultura dell’informazione. Il
generale atteggiamento positivo e di attesa dimostrato nei confronti delle nuove tecnologie di informazione e di comunicazione, si scontra di
fatto con la scarsa conoscenza delle potenzialità di questi strumenti,
componenti fondamentali nello sviluppo di nuovi modelli di gestione
delle imprese.
Anche le piccole e medie imprese venete sono state oggetto di indagine in relazione al tema specifico della comunicazione d’impresa.
Una ricerca svolta presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (Nelli, ’98) ha cercato di esaminare in quale misura, nelle cellule
produttive del laborioso Nord Est, si sia oggi affermata un’ottica di gestione all’interno della quale venga posta una particolare attenzione alla
comunicazione d’azienda, non tanto, o non solo, nelle sue forme prettamente commerciali, ma in quanto fonte di risorse immateriali di rilevanza strategica. E’ solo in quest’ottica, infatti, che la comunicazione
assume la prioritaria funzione di trasmettere i caratteri distintivi che costituiscono l’impresa, necessari per ottenere, nei confronti degli interlocutori, un’immagine positiva.
La ricerca intendeva individuare i principali caratteri delle piccole
e medie imprese venete che meglio hanno compreso la rilevanza strategica della comunicazione e cogliere gli elementi fondamentali che hanno reso possibile tale assunzione di consapevolezza.
E’ emerso, in estrema sintesi, come l’immagine aziendale stia velocemente accrescendo la rilevanza del proprio ruolo all’interno delle
91
imprese venete, costituendo, attualmente, insieme all’immagine di prodotto, una risorsa strategica di prioritaria importanza.
Coerentemente allo svilupparsi di questa nuova ottica aziendale,
stanno accrescendo la loro importanza anche la comunicazione di marketing, l’obiettivo comunicazionale relativo all’affermazione dell’immagine e, tra gli altri strumenti della comunicazione esterna, non solo
quelli tradizionalmente utilizzati dalle imprese venete, quali il personale
di vendita, le fiere, i cataloghi, ma anche la pubblicità di prodotto e le
relazioni pubbliche.
Per quanto riguarda i pubblici della comunicazione, si riscontra uno sforzo nell’ampliare la tipologia degli interlocutori a cui riferire le
proprie attività di comunicazione. In particolare, ha assunto un’importanza crescente il pubblico dei dipendenti, al quale vengono rivolte soprattutto riunioni, colloqui informali e corsi di formazione.
Con riferimento agli aspetti organizzativi, la ricerca ha rilevato la
scarsa presenza, presso le imprese esaminate, di un responsabile specifico della comunicazione e soprattutto il suo ridotto coinvolgimento
nella definizione della politica di comunicazione, la cui realizzazione operativa viene per lo più affidata, nella maggior parte dei casi (71%) a
un gruppo di lavoro interno, molto raramente ad agenzie di comunicazione (8%) o a un collaboratore esterno (10%).
Nel discriminare l’atteggiamento delle imprese in relazione alla
politica di comunicazione, la variabile “dimensione aziendale” non ha
offerto risultati di grande rilievo (fatta eccezione per la maggiore importanza attribuita dalle imprese più grandi alla comunicazione di marketing, quale fattore di successo competitivo). Maggiori elementi di differenziazione sono emersi dall’analisi degli aspetti più propriamente “esterni” all’impresa, come l’autonomia di mercato e la propensione
all’esportazione: le imprese che operano con un numero ristretto di
clienti ritengono infatti la comunicazione di marketing poco importante,
mentre quelle che hanno elevate percentuali di fatturato estero attribuiscono maggiore importanza alla comunicazione, all’immagine e alle relazioni commerciali.
In ogni caso, le imprese che oggi appaiono più mature sotto il profilo comunicazionale sono quelle che hanno percorso un preciso sentie92
ro evolutivo, in un arco di tempo relativamente lungo, durante il quale
esse hanno subìto variazioni nelle dimensioni, nell’assetto organizzativo, hanno effettuato cambiamenti, realizzato progetti.
In altre parole, si sono rivelate aziende vitali, dinamiche, oltre tutto operanti all’interno di “spazi di collaborazione” con altre imprese
sempre più ampi.
Quest’ultimo aspetto è stato giudicato particolarmente interessante,
poiché la cosiddetta impresa-rete, che può assumere la duplice forma di
alleanze orizzontali (tra imprese indipendenti sotto il profilo della fornitura e della produzione) e/o di alleanze lineari14 (lungo la catena del valore) consentirà di fatto al modello italiano di piccola e media impresa di
affermarsi e di svilupparsi ulteriormente sulla scena economica mondiale. Tale struttura renderà infatti complementari le capacità imprenditoriali e favorirà convivenze sinergiche tra imprese piccole e grandi, tra le
imprese e i loro clienti, tra il management e le forze sociali.
Risultati in parte analoghi sono emersi da un’indagine realizzata,
sempre in Veneto, da Demoskopea, per conto delle Associazioni Industriali della Provincia di Vicenza, volta soprattutto a fornire uno strumento operativo ai professionisti del settore per migliorare il loro approccio alle Pmi.
_______
14. “A questo proposito diventa rilevante, per l’affermazione di una cultura della
comunicazione nella Pmi, individuare il ruolo che essa svolge nel sostenere la
formazione e lo sviluppo di relazioni reticolari all’interno della filiera produttiva... Affiancando all’ottica della comunicazione per il controllo del mercato
di sbocco, quella della comunicazione per il controllo della filiera produttiva,
probabilmente le Pmi potrebbero comprendere in modo molto più vicino alla
loro realtà il contributo che può offrire la comunicazione nell’affinare le loro
potenzialità, rispondendo a esigenze molto concrete” (intervento di Roberto
Nelli al Convegno “Settimana della Comunicazione d’Impresa”, Teatro Manzoni, Milano, 10-11 giugno 1998. Nell’ambito del convegno l’autore ha reso
noti i risultati di una seconda ricerca, svolta nel 1997, che ha analizzato la comunicazione delle piccole e medie imprese nel distretto del mobile della Brianza. Il tessuto produttivo fortemente integrato di questo distretto e il suo sviluppo equilibrato hanno consentito la realizzazione di una fitta rete di relazioni tra
i soggetti della filiera, evidenziando il ruolo essenziale che la comunicazione
svolge al suo interno).
93
Le differenze che sono emerse, tra le imprese di questo diverso campione, risultano variare prevalentemente in funzione del contesto in cui
esse operano, e quindi in funzione di alcuni fattori, quali la struttura del
settore, la tipologia di clientela, il prodotto, la presenza di un marchio aziendale. Ma si rilevano importanti anche molti altri fattori, legati soprattutto alla personalità dell’imprenditore, alla sua felice intuizione, che ha
consentito all’azienda di differenziarsi dai concorrenti, introducendo nuove logiche competitive nel settore e acquistando posizioni di primato in
tempi brevi. E’ stato così possibile individuare, in aziende anche molto
simili, culture e pratiche di comunicazione estremamente diverse.
E’ degno di nota il fatto che più della metà delle aziende intervistate abbia dichiarato che intende investire di più in comunicazione
(mentre nessuna prevede di ridurre tali spese). Alcune imprese, inoltre,
dichiarano che in futuro presteranno particolare attenzione alla comunicazione istituzionale e alla comunicazione interna, in quest’ultimo caso
“per motivare il personale, ma anche per migliorare l’immagine esterna
e creare più sintonia nel perseguimento degli obiettivi aziendali”.
Da quanto emerge, si coglie una conferma del ruolo centrale dell’imprenditore nella gestione della comunicazione aziendale, mentre il
supporto dei consulenti esterni e delle agenzie (di cui si lamenta talvolta una generale mancanza di competenza e di professionalità) risulta limitato alle fasi operative.
Tra le varie forme di comunicazione, la pubblicità è indubbiamente
quella di maggior rilievo, sia in termini di importanza che le viene riconosciuta (è giudicata fondamentale dal 45% degli intervistati), che di concreto investimento economico (pari, in media, a 323 milioni di lire)15. Si
coglie tuttavia un approccio riduttivo a questo strumento, che rileva una
limitata consapevolezza delle sue potenzialità e dei suoi valori strategici.
L’obiettivo assegnato alla pubblicità è molto semplice ed è uguale per tutti: far conoscere l’azienda, il marchio, i prodotti. Nessuna delle aziende
intervistate fa riferimento alla necessità di costruirsi un’immagine presentando l’azienda e i prodotti con i valori che li sostengono.
_______
15. Subito dopo la pubblicità, il mezzo di comunicazione ritenuto più importante è
la fiera (44%). Seguono in ordine le PR (34%), la comunicazione interna (34%)
e, infine, le sponsorizzazioni (5%).
94
Nella ripartizione dell’investimento la quasi totalità viene assegnata alla pubblicità di prodotto, mentre a quella istituzionale non tocca più
del 10% della spesa. In pochissimi casi le decisioni relative agli investimenti pubblicitari sono il risultato di un’accurata pianificazione, nel
corso della quale si assegnano obiettivi ben precisi in termini di fatturato da raggiungere. L’entità del budget viene per lo più decisa in base alla necessità di investire “almeno quanto la concorrenza, alla necessità di
garantire una presenza minima su alcuni media, alle disponibilità economiche e finanziarie...”.
Anche la valutazione dei costi/benefici raramente viene effettuata
con criteri rigorosi, in quanto si affida prevalentemente all’intuito e alla
filosofia personale dell’imprenditore, che mai, o quasi mai, ha competenze specifiche in materia.
Infine, è interessante osservare come, in generale, la scelta delle
forme e dei mezzi pubblicitari, sia giudicata “facile”. Tale valutazione
si basa però prevalentemente su considerazioni quali l’esperienza pregressa, la conoscenza approfondita del proprio mercato e del proprio
target di riferimento, la “necessità” di investire solo su determinati mezzi, più che su considerazioni relative alla loro efficacia.
Come giustamente è stato fatto osservare, la presenza di una cultura della comunicazione nella piccola e media impresa, al di là delle singole iniziative di comunicazione intraprese dipende dall’inserimento
dell’azienda stessa in un quadro coerente di costruzione del posizionamento di mercato. (Nelli, ’98). Tuttavia, è proprio lungo questa direzione che le imprese dimostrano di incontrare le maggiori difficoltà, sia
pure con differenze anche rilevanti legate al settore e alla diversa realtà
territoriale.
Esiste ancora, per esempio, una forte concentrazione sul prodotto e
un’attenzione talvolta molto bassa alla gestione dell’immagine dell’impresa, meglio ancora della sua identità sociale.
E’ certamente vero che, l’elevata frammentazione della produzione e della distribuzione, i ridotti fatturati medi, la modesta politica di
marca, sono caratteristiche tali da non richiedere politiche di comunicazione particolarmente “aggressive”. Ciò non toglie che uno sforzo maggiore possa essere fatto proprio sul lato della valorizzazione delle risor95
se immateriali, la cui importanza è enormemente cresciuta nel passaggio dall’industria alla post-industria.
Non si tratta, con questo, di concentrare i propri sforzi in via prioritaria sugli aspetti di comunicazione e di simbolizzazione (è chiaro che
l’immagine deve poggiare sulla sostanza, e non viceversa), ma di arricchire il prodotto, e l’azienda, con ulteriori elementi distintivi che consentano di allontanarsi da una condizione di subalternità rispetto alla
domanda e di sostenere, sulla base di vantaggi competitivi, robusti processi di crescita.
96
LA PRODUZIONE EDITORIALE
97
INTRODUZIONE
L’esigenza di una riflessione unitaria sulla Comunicazione d’Impresa ha interessato naturalmente anche il versante dell’offerta editoriale.
Il testo scritto, il libro - grazie anche alla sua capacità di caratterizzarsi come oggetto di riflessione, fruibile nelle circostanze più svariate
del quotidiano - continua ad essere, nell’era della multimedialità, lo
strumento essenziale per la trasmissione delle conoscenze e per la diffusione delle idee; obiettivi, questi ultimi, che la tecnologia al servizio
della cultura consente di potenziare e di dilatare, ma non di sostituire.
Un’analisi dovuta dunque, ma anche voluta, dal momento che, dall’indagine del panorama editoriale emergono spunti, riflessioni e tendenze in merito ai temi e ai problemi della Comunicazione d’Impresa.
99
I. NOTA METODOLOGICA
Il primo passo è stato quello della consultazione di pubblicazioni
specialistiche.
Tra le fonti, numerose e diverse, si è rivelata preziosa la rivista trimestrale L’informazione bibliografica edita da il Mulino. La sua consultazione ha consentito di individuare la maggior parte delle ottantadue
case editrici che hanno rappresentato il primo indispensabile nucleo di
indagine, anche sotto il profilo della dislocazione territoriale.
Il criterio della scelta, ad eccezione dei nomi più noti e consolidati
nel campo editoriale, è stato quello della pertinenza dei titoli con le tematiche proprie o vicine alla comunicazione in generale e in particolare
alla Comunicazione d’Impresa.
Circa settanta di queste case editrici hanno dichiarato, attraverso
colloqui telefonici, di pubblicare o di aver pubblicato testi in materia di
comunicazione.
Delineato così in maniera più mirata il campo d’indagine, si è proceduto con l’approfondimento.
Dall’esame dei cataloghi inviati dalle Case editrici è stato possibile rilevare i titoli e, talvolta, l’anno di pubblicazione e la collana di appartenenza.
L’acquisizione di questi dati ha consentito di focalizzare la ricerca
su cinquanta Case editrici, per un totale di 236 testi, pubblicati nell’arco
temporale che va dal 1990 al 1998.
100
La letteratura individuata, grazie anche ai testi inviati da diverse
Case editrici, è stata analizzata in relazione alle sue finalità, teoriche e
pratico-didattiche; suddivisa per macroaree e ulteriormente ripartita in
relazione agli obiettivi e in relazione agli argomenti; infine, i testi ritenuti più significativi per la specificità, per l’attualità, per l’esemplarità e
per la classicità sono stati oggetto di particolare attenzione.
Nell’approfondimento dell’analisi si è infatti ritenuto opportuno
inserire, nel presente lavoro, dei testi solo apparentemente anomali rispetto all’oggetto di indagine, nella convinzione che un’informazione
di contesto sia comunque utile e per gli addetti ai lavori e per quanti si
avvicinano, per la prima volta, alle problematiche della comunicazione
e della Comunicazione d’Impresa.
Questa convinzione dà ragione della presenza, all’interno di una
bibliografia specifica, di testi come Linguaggio e informazione di Harris Zellig o di Metodi di decisione di Gianfranco Gambarelli e Giorgio
Pederzoli.
Dalla lettura di questi e di altri libri, per un totale di quaranta, sono
stati redatti gli abstract ed evidenziati alcuni brani scelti.
I testi adottati a livello universitario nell’ambito dei corsi di laurea
in Scienze della Comunicazione non sono stati analizzati in questa parte
del Rapporto in considerazione della loro specificità.
101
II. LE CASE EDITRICI
La dislocazione territoriale delle ottantadue Case editrici contattate
per la ricerca evidenzia la concentrazione più alta nel Nord-Ovest con il
57,3%; segue il Centro con il 23,2%; il Nord-Est con il 13,4%; il Sud
con il 6,1%.
Area territoriale
v.a.
%
47
11
19
5
82
57,3
13,4
23,2
6,1
100
Nord-Ovest
Nord-Est
Centro
Sud
Totale
Dislocazione territoriale
6%
23%
Nord-Ovest
Nord-Est
58%
Centro
Sud
13%
102
L’analisi relativa alle cinquanta Case editrici che pubblicano testi in
tema di comunicazione, e che sono oggetto specifico dell’indagine, attenua
la distanza tra Nord Ovest e Centro nella misura del 50% e colloca in 1 a 3
il rapporto tra Sud e Nord Est. In particolare, la dislocazione territoriale vede, in questo caso, il 56% delle Case editrici nel Nord Ovest (v.a. 28); il
28% al Centro (v.a. 14); il 12% nel Nord Est (v.a. 6); il 4% al Sud (v.a. 2).
II. 1. LE CASE EDITRICI - RIPARTIZIONE TERRITORIALE
NORD OVEST 57,3% (V.A. 47)
Adelphi Milano
Angeli Milano
Apogeo Milano
Baldini & Castoldi Milano
Bollati Boringhieri Torino
Città Studi Torino
Cortina Raffaello Milano
De Agostini Novara
De Vecchi Milano
Editrice Bibliografica Milano
Egea Milano
Einaudi Torino
Feltrinelli Milano
Garzanti Milano
Giappichelli Torino
Giuffrè Milano
Guerini e Associati Milano
Hoepli Milano
Isedi Torino
Itaca Milano
Jaca Book Milano
Jackson Milano
Liviana Torino
Longanesi Milano
Lupetti Editori Milano
Lybra Immagine Milano
Mondadori Milano
Mursia Milano
Netbook Milano
Nuova Italia Milano
Paoline Eidotirale Milano
Peruzzo Milano
Rizzoli Milano
Rusconi Milano
S.E.I. Torino
Saggiatore (il) Milano
Sintagma Torino
Sole 24 Ore Milano
Sperling & Kupfer Milano
Strategia d’immagine
Tea Milano
Tecniche Nuove Milano
103
TTS Torino (prov.)
Unicopli Milano
Universo Milano
UTET Torino
Vita e Pensiero Milano
CENTRO 23,2% (V.A. 19)
Aracne Roma
Armando Roma
Bancaria Editrice Roma
Bulzoni Roma
Carocci (già NIS) Roma
Castelvecchi Roma
Costa & Nolan Roma
Editori Riuniti Roma
ERI Edizioni RAI Roma
Giunti Firenze
Le Monnier Firenze
Logica Roma
Meltemi Roma
Montefeltro Urbino
Newton Compton Roma
Nuova Arnica Roma
Seam Roma
Sipi Roma
Theoria Roma
NORD EST 13,4% (V.A. 11)
Baskerville Bologna
Campanotto Udine
Cedam Padova
Clueb Bologna
Demetra Verona (prov.)
Marsilio Venezia
Mulino (il) Bologna
Muzzio Padova
Pitagora Bologna
Scarabeo Bologna
Zanichelli Bologna
SUD 6,1% (V.A. 5)
Cuen Napoli
Laterza Bari
Liguori Napoli
104
Orlando Palermo
Tecnodid Napoli
III. ANALISI DELL’OFFERTA EDITORIALE
L’analisi dell’offerta editoriale in tema di Comunicazione d’Impresa rivela un panorama molto articolato e sicuramente complesso.
L’esigenza di inquadrare la specificità della Comunicazione d’Impresa in ambiti più vasti, fa sì che spesso il tema sia affrontato secondo
prospettive diverse, che possono essere legate, oltre che alla comunicazione in generale, all’organizzazione, alla gestione delle risorse umane,
alla psicologia, alla sociologia, al marketing, alla multimedialità e alla
qualità:
“Comunicazione interna e processo organizzativo di D.F. Romano
e R. Felicioli; Le relazioni interne. Nuove forme di gestione del personale di P. Iacci; Capire chi ci sta di fronte di C.C. Cucchi e M. Grassi;
La Comunicazione d’Impresa. Percorsi e testi di sociologia, linguistica,
psicologia ed economia di Maddalena della Volpe; Lettere vincenti. Come utilizzare alcuni segreti del direct marketing di Gianni Lombardi; E
Dio creò Internet di Christian Huitema; La rivoluzione manageriale.
Ripensare la qualità totale di Alberto Galgano”.
In altre pubblicazioni il criterio guida è quello teorico, proprio dei testi problematici, di ampio respiro, che analizzano il processo della globalizzazione e della storicizzazione; che si interrogano sul significato, sull’evoluzione e sul ruolo sia della comunicazione che della Comunicazione
d’Impresa in relazione alla prepotente emersione delle nuove tecnologie:
“Le rivoluzioni della comunicazione. Tecnologie di comunicazione
e strutture sociali di Nino Damascelli; La comunicazione mondo di Ar105
mand Mattelart; Multimedia a cura di John Waterworth; Dall’alfabeto alle reti. Per una storia evolutiva della comunicazione di Antonio Pilati”.
III. 1. LE COLLANE
La pervasività, in qualche modo fisiologica, del termine comunicazione, si riscontra anche nella collocazione dell’argomento nell’ambito di specifiche collane.
Si trovano produzioni particolarmente mirate, all’interno delle
quali la comunicazione è “frantumata” in relazione alla destinazione
d’uso; è il caso delle guide e dei manuali, che sembrano destinati ad acquisire, come si vedrà meglio più avanti, una posizione di crescente rilievo all’interno dell’offerta editoriale:
“Parlare insieme di F. Shultz von Thun e L’arte di concludere una
vendita di James W. Pickens, nella collana Comunicazione della casa editrice TEA Pratica. L’a b c del saper trattare di Gavin Kennedy nella
collana “E & M” Economia e Management di Sperling & Kupfer. Come
presentare al meglio se stessi e le proprie idee di Michael Stevens e Come capire e valutare chi ci sta di fronte di D. Mackenzie Davey, nella
Biblioteca di autoformazione Winner (ed. De Agostini - FrancoAngeli).
La comunicazione come strumento dell’impresa di R. Dardalet, Far
parlare di sé sulla stampa di D. Le Dû, Valorizzate l’immagine della
vostra impresa di A. Chevalier Beaumel, tutti nella collana Le guide
verdi per il management (ed. Itaca). Pubblicità sull’Internet di Alberto
De Martini e Come parlare in pubblico con travolgente insuccesso di
Giacomina Lapenna, nella collana Tascabili triangoli (ed. Lupetti). I documenti aziendali. Schemi, principi di word processing e stili grafici
per creare opuscoli, memorandum, relazioni o lettere d’offerta chiari,
efficaci e persuasivi di Garrett Soden e La comunicazione aziendale.
Vademecum per il manager di Peter C. Jackson, nella collana Formazione permanente (ed. FrancoAngeli). I segreti della comunicazione di
Emilio Bonicelli e Adolfo M. Comari, nella collana Task e Le tecniche
per comunicare di Giovanni Olivero, nella collana Le guide, entrambi
editi da Il Sole 24 Ore”.
106
Nell’area più propriamente teorica si trovano:
“La Comunicazione politica di Gianpietro Mazzoleni, nella collana Le vie della civiltà (ed. il Mulino); La Comunicazione nella II Repubblica di Federico Spantigati e La scuola italiana della comunicazione a cura di P. Trupia nella collana Politica della Comunicazione (ed.
Bulzoni); La Comunicazione politica di F. Amoretti nella collana Studi
superiori (ed. NIS ora Carocci); Comunicare politica nel sistema dei
media a cura di Sara Bentivegna nella collana Universitaria (ed. Costa
& Nolan)”.
Queste tipologie di proposte editoriali - il manuale e la guida del tipo “fai da te” da un lato e il testo problematico dall’altro - non sono che
gli estremi di una produzione talmente vasta e articolata che sfugge, per
la sua complessità, che è poi la sua ricchezza, a tentativi di classificazione che abbiano l’ambizione di essere rigidamente tali e cioè precisi.
Lo stesso criterio del raggruppamento per collane - che normalmente facilita l’individuazione del tema - diventa talvolta problematico
dal momento che non è inusuale imbattersi in testi “sparsi”, che reclamano attenzione non tanto in relazione a particolari collocazioni all’interno di una linea editoriale, quanto in virtù del loro essere comunque
attuali.
In ogni caso, l’ubiquità della Comunicazione d’Impresa è ulteriormente confermata dalla molteplicità delle collane che la trattano.
Tra le Case editrici considerate, trentaquattro articolano la letteratura sulla comunicazione in collane, per un totale di 78, con una polarizzazione che va da 1 a 12.
In particolare, quattordici Case editrici dedicano ciascuna una collana all’argomento, otto articolano l’offerta in 2 collane, quattro in 3,
tre in 4, altre tre in 5, una in 6 e, infine, una in 12.
Adelphi
Biblioteca Scientifica
FrancoAngeli
Formazione Permanente
107
Impresa, comunicazione, mercato
ISSO - Risorse umane e marketing interno
Azienda moderna
Trend - Le guide in un mondo che cambia
Sociologia del lavoro e organizzazioni
Bancaria Editrice
Strumenti
Funzioni
CittàStudi
Caleidoscopio
Baskerville
Biblioteca di Scienze della Comunicazione
Strumenti
Bulzoni
Politica della comunicazione
Carocci (già NIS)
Studi Superiori
Il servizio sociale
Clueb
Heuresis
Raffaello Cortina
Individuo gruppo organizzazione
Editori Riuniti
I media
Castelvecchi
In rete
108
Costa & Nolan
Riscontri media
Pre.testi
Universitaria
Logica
Biblioteca di informatica
Manuali
Notizie dalle reti
ERI - Edizioni RAI
Comunicazione
Sgrt (giornalismo radio televisivo)
Giuffré
Economia e gestione delle imprese
Egea
Biblioteca dell’economia d’azienda
Impresa e Valore
Impresa e professionisti
Le collane della SDA - Scuola di Direzione Aziendale dell’Università
Bocconi
Le collane dei Centri di Ricerca dell’Università Bocconi
Collana CESAD (Centro Studi di Amministrazione e Direzione Aziendale)
Guerini & Associati
Collana ISTUD, in collaborazione con l’Istituto Studi Direzionali
Competenza, cultura, riflessioni d’impresa
Network
Network strumenti
Network frase
Itaca
Impariamo l’impresa
109
Total Quality Management
Risorse umane e management
Le guide verdi per il management
Jaca Book
EDO - Un’Enciclopedia D’Orientamento
Edizioni Universitarie Jaca
Casagrande/Testimoni allo specchio
Liguori
Arcadia
Sociologia dei media
Lybra Immagine
Architettura e Design
Lupetti - Editore di comunicazione
Tascabili I Triangoli
Comunicazione e media
Libri teoria
Manuali per saper fare
Design e comunicazione
Meltemi
Semiosfera
il Mulino
Contemporanea
Strumenti
Studi e ricerche
Farsi un’idea
Franco Muzzio
Biblioteca
Nuovo Millennio
110
Orlando
ISIDA
Pitagora
Scienze della Comunicazione
Il Saggiatore (Marco Tropea Editore, Pratiche Editrice, Est)
La Cultura Discussioni (il Saggiatore)
Due Punti (il Saggiatore)
Est Quality Paperback (Est)
Strumenti per scrivere e comunicare (Pratiche)
Sperling & Kupfer
Target. Le guide di base per imprenditori, manager, professionisti, consulenti e studenti
“E & M” Economia & Management
Sipi
Impresa e Comunicazione
Il Sole 24 Ore
Ricerche in progress
Task
Economica
L’Impresa
Le guide de Il Sole 24 Ore
Professione Impresa
Management e Impresa
Studi
Mondo Economico
I manuali de Il Sole 24 Ore
Le guide per l’azienda
Organizzazione
Seam
Mediastudies
111
Informazione e comunicazione
Ricerche
Unicopli
AIF Associazione Italiana Formatori
Leggerescrivere
UTET
Mediamorfosi
Offerta editoriale
Ripartizione per collane
112
III. 2. LE RIPARTIZIONI
Una prima grande ripartizione dei 236 testi riguarda le finalità dell’offerta, che sono individuabili nelle due grandi aree dell’editoria teorica e dell’editoria pratico-didattica, incentrate rispettivamente l’una sul
“sapere”, con 105 testi, l’altra sul “saper fare” con 131.
Offerta editoriale
Ripartizione per finalità
La prevalenza che si registra nell’area pratico-didattica va considerata tra virgolette. Esistono indubbiamente testi esclusivamente e
completamente tecnici, ma la grande maggioranza degli stessi manuali
e guide operative tende a caratterizzarsi per la compresenza di capitoli
specifici o di riflessioni teoriche, volte a inquadrare in ambiti più generali i temi affrontati.
Sta probabilmente emergendo un nuovo tipo di testo “il manuale
di seconda generazione” che si differenzia dal precedente modello prettamente operativo per la valenza teorica che ne costituisce il valore
aggiunto.
La tendenza sembrerebbe infatti quella che vede il “sapere” come
condizione necessaria del “saper fare”.
E’ il caso di testi quali: Il manuale della comunicazione interna di
Alberto Di Raco e Gaetano M. Santoro e di L’Ufficio stampa di Mauro
De Vincentiis.
Una diversa angolazione consente di articolare la stessa offerta editoriale per argomenti.
113
Sono state individuate al riguardo due macroaree, una sulla comunicazione, l’altra sui media e le nuove tecnologie.
La prima comprende i testi specifici sulla Comunicazione d’Impresa e quelli che trattano problematiche strettamente attinenti; la seconda riguarda gli strumenti e le tecnologie della comunicazione.
Offerta editoriale
Ripartizione per argomenti
I testi che hanno per argomento la comunicazione sono 169, quelli
sui media e le nuove tecnologie 67.
Anche la ripartizione per argomenti, al pari di quella per finalità, è
meno rigida di quanto le cifre possano suggerire e va pertanto considerata in termini indicativi.
L’obiettivo di fotografare una bipartizione dell’offerta editoriale in
grado di evidenziare tematiche eventualmente dominanti può considerarsi raggiunto: i testi sulla Comunicazione d’Impresa sono più del doppio (2,52) di quelli relativi ai media e alle nuove tecnologie ma, in molti
casi, è una prevalenza di accento più che di argomento.
I testi sulla Comunicazione d’Impresa non prescindono infatti da
rinvii e riferimenti alla comunicazione multimediale e quest’ultima è
molto spesso analizzata in relazione alla sua funzione all’interno della
Comunicazione d’Impresa.
114
Non c’è, in altre parole, la Comunicazione d’Impresa da un lato e
la multimedialità dall’altro, ma, piuttosto, un modo di essere vincenti.
Di fatto, i contenuti dell’offerta editoriale globalmente intesa, concorrono all’affermazione di un concetto unitario di comunicazione. In particolare, l’unitarietà è rafforzata dal ricorso alla multimedialità per la capacità, di quest’ultima, di potenziare e dilatare gli obiettivi dell’impresa
nei confronti di entrambi i pubblici di riferimento, rispettivamente oggetto della comunicazione diretta verso l’interno e della comunicazione
diretta verso l’esterno.
L’analisi delle singole macroaree, in relazione alle finalità, fornisce ulteriori indicazioni.
La macroarea comunicazione fa registrare 104 testi nell’area pratico-didattica del “saper fare” e 65 in quella teorica del “sapere”.
Comunicazione
Ripartizione per finalità
38%
62%
Saper fare
Sapere
La macroarea media e nuove tecnologie indica un’inversione di
tendenza: i testi sul sapere prevalgono su quelli del saper fare: sono rispettivamente 40 a fronte di 27.
115
Media e Nuove Tecnologie
Ripartizione per finalità
Una lettura comparata di questi dati consente di ipotizzare che la
prevalenza dell’offerta editoriale nell’ambito pratico-didattico sia variabile dipendente di una maggiore diffusione e consapevolezza degli aspetti teorici che ne sono alla base.
Come dire che le problematiche della comunicazione e della Comunicazione d’Impresa sono sufficientemente conosciute o date comunque per note, per cui la produzione si incentra sul momento successivo e cioè sulle modalità operative proprie dell’ambito pratico didattico.
Questa ipotesi consente di spiegare anche quel che si registra
nell’altra grande macroarea presa in esame.
La scomposizione dei testi al suo interno indica infatti che la letteratura prevalente, addirittura più del doppio, riguarda Internet, con 47
testi rispetto ai 20 relativi ai media.
116
Media e Nuove Tecnologie
Ripartizione per argomenti
50
47
45
40
35
30
25
20
20
15
10
5
0
Internet
Media
La produzione editoriale è dunque maggiore nel settore delle novità, al cui interno non si possono collocare i media, la cui analisi è affrontata prevalentemente sotto il profilo dell’impatto sociale.
Altra ipotesi interpretativa, che non demolisce la precedente, è che
il ritmo di innovazione che caratterizza le nuove tecnologie condiziona
l’offerta editoriale nella diffusione di novità che hanno cicli di vita
quanto mai brevi.
Sarebbe insomma anche l’obsolescenza precoce dei progressi a influire sulla diffusione del loro continuo avanzamento o superamento.
Se la relativamente recente emersione del “settimo continente”,
per dirla con una metafora cara ai navigatori di Internet, esige un’ampia diffusione della conoscenza del sistema e delle sue potenzialità,
questo non si traduce tuttavia in una prevalenza di testi sul sapere rispetto a quelli sul saper fare: la valenza direttamente applicativa del sistema è in questo caso determinante e l’articolazione dei testi relativi a
Internet indica una tendenza all’equilibrio e, anzi, una leggera prevalenza dell’area pratico-didattica che raggruppa 25 testi davanti ai 21 di
quella teorica.
117
Internet
Ripartizione per finalità
Nella produzione relativa alle nuove tecnologie - nell’ambito del
“saper fare” - si trovano testi come Fare marketing con Internet. Mettere un’azienda su Internet, crearne una nuova e comunicare online di
Greewold e Dettori; Internet e la comunicazione globale di Massimo
Penco; Internet e Comunicazione. Per capire come cambia il modo di
comunicare l’impresa con Internet di Enrico Guidotti e Elserino Piol.
Quanto all’area dei media, i testi che li analizzano vanno da Storia
sociale del telefono di Claude S. Fischer a Mezzi di comunicazione e
modernità. Una teoria sociale dei media di John B. Thompson del
1998.
Tra i testi teorici si annoverano La pelle della cultura. Un’indagine sulla nuova realtà elettronica di Derrick de Kerckhove; L’inganno
multimediale di Vincenzo Vita; La fine della comunicazione di massa.
Dal villaggio globale alla nuova Babele elettronica di Bino Olivi e
Bruno Somalvico.
Ricorrono e si sovrappongono, anche all’interno dei media e delle
nuove tecnologie, le tre accezioni più diffuse del termine comunicazione, da quella che pone l’accento sulla dotazione tecnica e strumentale a
quella che identifica la comunicazione con l’informazione, a quella, infine, che si incentra sulla circostanza di “mettere in comune”.
118
Altra curiosità: così come è normale, parlando di comunicazione,
far riferimento al modello classico dell’emittente, del messaggio e del
ricevente, parlando di media è normale accennare ai poli estremi degli
ottimisti e dei catastrofisti, sempre pronti, davanti a ogni nuovo medium, gli uni a salutare il progresso apportatore di benessere, gli altri a
inveire contro la causa di ulteriori squilibri.
119
IV. LA LETTERATURA DELLA COMUNICAZIONE D’IMPRESA
Coinvolgimento, motivazione, partecipazione, identità, coerenza,
visibilità.
Sono queste le parole d’ordine che ricorrono con maggiore frequenza.
La produzione in qualche modo prismatica di saggi, guide, manuali che ruota intorno alla Comunicazione d’Impresa ha, come riferimento, questi concetti.
Il ruolo della comunicazione si rivela sempre più determinante per
il successo delle attività imprenditoriali.
La stessa contrapposizione storica tra comunicazione interna e comunicazione esterna, che ha animato lunghi dibattiti, sembra significante esclusivamente in relazione ai pubblici di riferimento, grazie all’affermazione crescente di un concetto unitario di comunicazione volto
a caratterizzare l’impresa in tutte le sue attività e occasioni di relazione.
La diffusa consapevolezza che l’ambito di operatività dell’impresa
è costituito da scambi continui e incessanti di informazioni, di immagini e di valori, rende incerti i confini tra interno ed esterno e, contemporaneamente, evidenzia la valenza strategica della comunicazione quale
insostituibile fattore di sviluppo.
Esistono delle correlazioni tra tipologia d’impresa e comunicazione. Caratteristiche quali la complessità e l’articolazione aziendale rafforzano l’esigenza di comportamenti unitari e premono in favore di
un’adozione ante litteram di strategie di comunicazione.
120
Questo spiegherebbe la collocazione iniziale del dibattito nelle imprese industriali e successivamente nei servizi, al cui interno il settore
del credito si dimostra particolarmente sensibile alle problematiche della Comunicazione d’Impresa:
“Immagine e strategie di comunicazione nelle banche di Maurizio
Irti (ed. Cedam); Conoscere il cliente. Il customer data base nel marketing della banca del futuro di M. Bertucci e Dalla banca al cliente. Professionalità nella vendita di G. Modonesi, entrambi nella collana Strumenti della Edibank; Competitività e gestione delle risorse umane in
banca a cura di U. Capucci nella collana Funzioni (Tesi-Edibank). Le
parole della banca - La ricerca della qualità nell’informazione su prodotti e servizi per la clientela ‘retail’ di Paola Gianotti, nella collana
Ricerche in progress (Il Sole 24 Ore); Le comunicazioni interne nella
banca-impresa. Metodi e strumenti per lo sviluppo e la gestione della
comunicazione interna di Giorgio Tomassetti, Pietro Rutelli e Renzo
Canal (ed. FrancoAngeli)”.
La Comunicazione d’Impresa, sia che si preferisca individuarla come
comunicazione organizzativa (La comunicazione organizzativa nel governo dell’impresa di E. Invernizzi nella collana Economia e gestione delle
imprese ed. Giuffré), o come comunicazione gestionale e infine integrata
(La comunicazione integrata nelle aziende a cura di Renato Fiocca nella
collana Quaderni ed. SDA Bocconi - Egea), coinvolge l’intera azienda
nell’espressione di una identità comune, ne esalta la cultura, è tarata sulla
sua specificità, è, contemporaneamente, investimento e sviluppo.
La valenza strategica della Comunicazione d’Impresa è fuori discussione; è perseguibile grazie all’adozione di criteri, metodi e atteggiamenti; è un traguardo sempre in progress.
Sistema aperto, l’impresa che la sottende è vista soprattutto come
una rete di relazioni; emittente e ricevente; dotata di capacità di ascolto;
organismo permeabile, in grado di essere influenzato e di influenzare
l’ambiente nel quale opera. Al suo interno la formazione è permanente,
anzi, è l’impresa tutta che apprende, nella sua tensione all’efficienza e
alla qualità globale.
Questa impresa, in prospettiva, è piatta, a rete, destrutturata, tale
da consentire l’esplicazione delle migliori competenze e abilità delle ri121
sorse umane che la compongono; è l’impresa dove vige il gioco di
squadra; dove il successo di uno è il successo di tutti.
Chi lavora in questa impresa è un cliente interno, prima individuo
e poi professionista; ed è da questa considerazione che è possibile impostare una comunicazione efficace.
Non a caso la filosofia della Comunicazione d’Impresa non è estranea alla riscoperta del valore dell’individuo come dell’elemento
che, a parità di ogni altra condizione, è l’unico in grado di “fare la
differenza”.
E poiché tutto ciò che consente all’impresa di mettersi in relazione
con l’ambiente fa capo alla comunicazione, è possibile documentarsi
per far bene di tutto: dalla composizione grafica di un documento all’emissione di un comunicato stampa; dalla partecipazione a una riunione
all’organizzazione di una convention; dall’analisi del clima aziendale
alla costruzione del piano di comunicazione globale; dalla pubblicità, al
marketing, alla partecipazione a una fiera.
ASCAI Servizi ringrazia le Case Editrici che hanno collaborato alla realizzazione di questa ricerca e, in particolare:
Adelphi Milano
Bancaria Editrice Roma
Bulzoni Roma
Carocci (NIS) Roma
Clueb Bologna
De Vecchi Milano
Egea Milano
Hoepli Milano
Il Mulino Bologna
Il Saggiatore Milano
Il Sole 24 Ore Milano
Isedi Torino
122
Lo Scarabeo Bologna
Lybra Immagine Milano
Muzzio Padova
Orlando Palermo
Seam Roma
Sintagma Torino
Sperling & Kupfer Milano
Strategia d’immagine Milano
Tea Milano
TTS Torino (prov.)
UTET Torino
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Dal 6 al 15 maggio 1996 l’Istituto Superiore per Imprenditori e Dirigenti di Azienda - ISIDA - ha organizzato a Palermo, nell’ambito di un
147
progetto ASFOR-FORMEZ, il Seminario su “Segno, linguaggio e pubblicità”. Il testo ne pubblica gli atti e leggendolo ci si rende conto di
quanto sarebbe stato interessante partecipare.
Diviso in tre parti, il Seminario ha affrontato, nella prima, il tema “Significazione, Valori e Società”; nella seconda “Consumi e Impresa” e, nella
terza, “Spettacolo e Forme espositive”. Ad introdurre Francesco Alberoni, con un intervento sulla pubblicità; a concludere Leoluca Orlando, con
“Comunicare Palermo” e, in mezzo, altri undici studiosi, le cui specifiche
estrazioni scientifiche concorrono a fornire una esauriente panoramica
della complessità del tema e della molteplicità degli approcci.
Gli interventi iniziali toccano i grandi temi che costituiscono il contesto
della comunicazione: dalla cultura, all’inconscio, alla sociosemiotica e
si concludono con la trattazione/esercitazione sul ruolo e sul significato
della comunicazione non verbale.
La parte centrale affronta invece specificamente il tema della comunicazione d’impresa, con interventi di Edoardo T. Brioschi, Vanni Codeluppi, Gabriele Morello e Giorgio Fiaschi. Particolarmente interessante
la relazione, a cura di G. Morello, su “La comunicazione in un grande
ente di servizi”, che illustra un’esperienza di consulenza incentrata sulla
revisione del sistema di comunicazione.
Dal modello generale di studio, ai criteri adottati nella definizione dei
questionari, all’analisi dei risultati, la relazione si caratterizza per una
spiccata valenza didattica ed evidenzia la funzionalità degli approcci
improntati ai criteri del marketing interno, il cui principio è quello che
“non si può vendere all’esterno quello che non si riesce a vendere
all’interno di un’azienda”.
Brano scelto
Nelle parole di un intervistato particolarmente critico: “Non esistendo
regole di comunicazione, vengono meno anche quelle di deontologia
professionale. La mancanza di chiarezza nella comunicazione deresponsabilizza. Essendo difficile l’individuazione di responsabilità, questa tende a disperdersi nei meandri dell’organizzazione”.
Una carenza siffatta nella comunicazione può creare senso di emargina148
zione, strumentalizzazione dell’informazione e disinteresse, soprattutto
quando gli ordini non sono accompagnati da spiegazioni o si rivelano
poco chiari e talvolta contraddittori, nel senso che la decisione presa
viene mutata successivamente o non è in linea con altre posizioni assunte precedentemente (pag. 188).
Amoretti Francesco, La comunicazione politica. Un’introduzione, Roma, La Nuova Italia Scientifica 1997, pp. 193 ISBN 88-430-1000-X
Le esperienze di comunicazione, rese possibili dallo sviluppo delle nuove
tecnologie, possono davvero definirsi in termini di democrazia elettronica? Quando lo Stato-nazione, nell’ambiguità delle pressioni contrapposte,
esercitate rispettivamente dalla globalizzazione e dai localismi emergenti,
stenta a individuare una precisa collocazione e il “partito organizzato di
massa” si trova a dover fare i conti con un dilagante sentimento antipolitico, sarà la videocrazia la fonte di riferimento dei valori?
Strutturato in maniera rigorosa, il testo di Francesco Amoretti affronta i
cinque argomenti degli Approcci teorici alla comunicazione politica,
del Linguaggio e politica, dei Media e istituzioni di governo, dei Partiti
ed elezioni e dell’Opinione pubblica inquadrandoli ognuno prima nella
specifica dimensione problematica, quindi in relazione alle origini e, infine, con riferimento agli attuali orientamenti di ricerca.
La bibliografia di oltre ottocento titoli, che chiude il libro destinato agli
studenti del Corso di laurea in Scienze della comunicazione, e non solo,
la dice lunga su un testo che, attraverso riferimenti a una mole cospicua
di ricerche sul campo, evidenzia e analizza le specificità della tradizione americana e di quelle, meno omogenee, dell’Europa.
Se il nuovo ruolo dei media a stampa sembra individuato nella capacità
di far scaturire o di “(ri)generare” il senso di appartenenza ad un contesto economico sociale e culturale attraverso la discussione pubblica dei
problemi che lo riguardano, per i nuovi media gli interrogativi rimangono aperti: “Piazze telematiche, spazi virtuali, reti interattive: che cosa
hanno in comune con l’agorà ateniese? Nulla.”
149
Al di là degli schieramenti estremi degli ottimisti e dei catastrofisti, le
trasformazioni in atto appaiono talmente radicali da non consentire l’individuazione delle logiche che ne scaturiranno.
Brano scelto
(...) è vero solo in teoria che le nuove fonti di informazione, come Internet, siano accessibili a tutti i cittadini. Allo stato attuale, solo chi dispone di risorse finanziarie adeguate e di un livello superiore di istruzione
può in pratica farne uso. Né per il prossimo futuro sono prevedibili
cambiamenti consistenti nella struttura socio-economica dei Paesi avanzati.
E’ molto più probabile invece che con l’innovazione tecnologica si approfondisca il gap tra questi gruppi privilegiati e la stragrande maggioranza della popolazione impossibilitata a fruirne. Solo un astratto determinismo tecnologico può alimentare l’illusione di un nuovo ordine societario fondato sul superamento delle ineguaglianze e sulla ridistribuzione della ricchezza (pag. 152).
Baldi Benedetta, Borello Enrico, Borello Laura, Il cambio di canale. I
non giornali e le comunicazioni di massa, Torino, Sintagma Editrice
1996, pp. 126 ISBN 88-85174-31-0
La tesi di fondo è che le nuove tecnologie informatiche non sostituiranno i media a stampa.
La sussistenza di questi media è infatti garantita dalla capacità di confezionare messaggi in grado di soddisfare le esigenze di ben precisi pubblici di riferimento.
Lo dimostra il successo di alcuni “non giornali” in senso classico, quali
i periodici di inserzioni gratuite e i bollettini religiosi.
“Il cambio di canale” ovvero “I non giornali e le comunicazioni di massa”
si incentra sull’analisi di questi due fenomeni dopo un’ampia panoramica
sul significato e sulle modalità del “consumo della comunicazione”.
Quel che è certo è che all’apparire di ogni nuovo mezzo di comunica150
zione l’esplosione di dibattiti e polemiche è praticamente automatica e,
in qualche modo, scontata.
Dai libri in edizione economica, alla radio, ai fumetti, alla televisione, a
Internet, sempre e comunque, ciascun medium è stato ritenuto responsabile di nefandezze dallo schieramento dei catastrofisti e apportatore di
sviluppo dallo schieramento opposto.
Se anche questo sia uno dei casi nei quali la verità sta in mezzo è difficile dirlo; i risultati delle ricerche sull’influenza esercitata dalle comunicazioni di massa non hanno fornito prove convincenti in favore
dell’una o dell’altra tesi; intanto i giornali di inserzioni gratuite e i bollettini religiosi navigano a gonfie vele.
Brano scelto
I giornali di inserzioni gratuite rappresentano un cambiamento del rapporto tradizionale tra autore e pubblico, spesso fuorviato dagli interessi di
un mercato editoriale in grado di condizionare le scelte, superando la barriera che divide il produttore dal consumatore sancendo una sorta di alleanza tra autori e pubblico, ossia tra le due categorie che concorrono alla
produzione e al consumo. Ogni persona assume infatti una doppia valenza essendo contemporaneamente redattore e lettore del giornale: spesso
infatti chi è lettore è stato o sarà inserzionista e viceversa (pag. 32).
Bertucci Massimiliano, Conoscere il cliente. Il Customer data base nel
marketing della banca del futuro, Roma, Bancaria Editrice 1997, pp.
138, ISBN 88-449-0015-7
Il Customer data base - CDB - è molto di più di un archivio di dati relativi alla clientela; il problema consiste nel saperlo organizzare. Lo stesso vale per la segmentazione, che è sicuramente la divisione della clientela in gruppi omogenei per l’individuazione delle specifiche esigenze e
la proposizione di specifiche soluzioni. Se poi questi due strumenti di
marketing, piuttosto che essere visti separatamente, come di solito succede, sono affrontati e gestiti in un’ottica unitaria, il potenziamento del151
la capacità di risposta della banca alle attese della clientela diventa, da
obiettivo, traguardo.
Conoscere il cliente, di Massimiliano Bertucci, persegue l’obiettivo di
favorire l’assunzione di decisioni sulla base del maggior numero di informazioni possibili e queste informazioni, latenti nelle miriadi di dati
catalogati sotto voci diverse, aspettano soltanto di emergere grazie
all’uso integrato delle metodologie statistiche.
L’approccio al cliente, bene primario dell’impresa bancaria, e non solo,
costituisce l’orientamento guida del volume, che ha un taglio decisamente operativo.
Si parte dalle modalità di organizzazione e conduzione del progetto del
Customer data base per arrivare, dopo l’analisi dei dati - dal concetto di
cliente, ai dati comportamentali, a quelli di supporto - alla creazione di
nuove variabili.
Il Customer data base è poi analizzato nelle sue forme d’uso basilari, in
quelle legate alla segmentazione e in altre possibili, che riguardano gli
obiettivi commerciali, gli studi sulla qualità del rapporto banca-cliente
e la comunicazione.
Infine, l’analisi del quadro organizzativo a regime per la manutenzione
del sistema.
Il libro si conclude, dopo un ampio riferimento ai contenuti e alle implicazioni della legge sul trattamento dei dati personali, con un glossario di 95 voci.
Brano scelto
Si supponga dunque di aver percorso tutto l’iter costruendo e arricchendo
il CDB, estraendo liste mirate per vecchi e nuovi prodotti e pacchetti, e
valutando la redditività delle singole azioni in relazione alla numerosità e
alle caratteristiche del target. Si sarà fatto moltissimo, ma i clienti non avranno ancora comprato nulla. Occorre fargli conoscere le proposte.
L’analisi del CDB può dare indicazioni sul sistema da utilizzare per i
contatti, in funzione della reattività del target (percentuali di adesione a
precedenti proposte) e della prevista redditività delle iniziative. Ma, a
parità di sistema, occorrerà formulare la proposta cercando di utilizzare
messaggi tarati sulla psicografia del target (pag. 106).
152
Borello Enrico, Petrolino Anna, Vezzani Adrio (a cura di), Miti, consumi e sogni tra comunicazione di massa e marketing, Atti dei corsi di
perfezionamento in Scienze delle Comunicazioni, Torino, Sintagma Editrice 1998, pp. 224 ISBN 88-85174-35-3
Dalla comunicazione, nel senso più generale del termine, alla comunicazione organizzativa; dalle testimonianze sulle strategie di comunicazione e marketing alle modalità proprie della pubblicità e delle comunicazioni di massa, fino al giornalismo, alla televisione paneuropea, ai
mittenti invisibili.
C’è questo, e non solo, nel testo Miti, consumi e sogni che è la raccolta
dei contributi più significativi emersi nei quattro anni di svolgimento
del Corso di perfezionamento “Linguaggio e comunicazione” attivato
dal Dipartimento di Linguistica dell’Università di Firenze.
Nel perseguire l’obiettivo di formare figure professionali destinate ad operare nel settore della comunicazione, all’interno di aziende pubbliche e private, il corso ha favorito l’alternanza di docenti, di esperti e di professionisti.
Questo spiega la diversità di angolazioni dalle quali è analizzato il fenomeno della comunicazione, già fisiologicamente interdisciplinare. Ne emerge un quadro d’insieme che dà misura della complessità del fenomeno, della sua rilevanza e delle probabili linee di tendenza.
Arrivati alla fine si ha voglia di saperne di più, magari in ordine al rapporto fra istruzione e microlinguistica o sulla particolarità di un prodotto “che non si lascia raccontare ma si esprime in prima persona”.
Brano scelto
Il ruolo è la risposta fornita da una persona, in termini di comportamenti, ad attese più o meno specificate e chiarite dall’azienda. Rappresenta
quindi un risultato di una interazione tra le attese del soggetto sulla base
delle proprie caratteristiche personali e professionali, da un lato, e le attese dell’organizzazione sulla base delle caratteristiche della posizione
organizzativa da ricoprire, dall’altro. Il grado di congruenza che si genera da questo incontro dà forma al ruolo, che non è semplicemente la
somma delle mansioni e dei compiti che il soggetto deve svolgere, bensì il significato che quest’ultimo attribuisce alla propria attività in termini funzionali e relazionali (pag. 52).
153
Borello Enrico, Vezzani Adrio, Il messaggio trasformato. Informazione
e comunicazione tra testo e contesto, Chieri (TO), TTS 1995, pp. 207 ISBN 88-86665-00-8
L’interesse del mondo del lavoro nei confronti della comunicazione ha
contribuito a stimolare dibattiti e studi. Approcci disciplinari diversi, di
derivazione linguistica o psicologica, sociologica o organizzativa, nuotano nel mare magnum della comunicazione arrivando, ognuno per la
propria rotta, ad approdi diversi.
Con Il messaggio trasformato gli Autori si pongono l’obiettivo di individuare, anche attraverso una sia pur sintetica disamina storica, delle ipotesi di lavoro che costituiscano un terreno comune per le diverse
discipline.
La parte del leone la fa l’area centrale, dedicata alla “Pubblicità e comunicazione d’impresa” che analizza, specificamente, la comunicazione nella pubblicità; la comunicazione pubblicitaria e le strategie d’impresa; l’impresa come apparato di comunicazione e la comunicazione
nei modelli organizzativi.
La parte iniziale affronta il fenomeno comunicazione in quanto tale, dal
modello di Jakobson ai teoremi di Shannon allo schema di Schmidt e
rappresenta l’indispensabile base di partenza per affrontare un qualunque dibattito sul tema.
La parte finale si incentra invece sul rapporto tra le nuove tecnologie e
la comunicazione di massa.
I nuovi media, con la loro capacità di produrre ambiti di conoscenze inimmaginabili, operano nella direzione della costruzione della comunicazione, oltre che in quella della sua trasmissione.
L’efficacia di alcuni modelli di comunicazione didattica coinvolgerà quasi un destino - anche gli adulti, soprattutto in ambito aziendale; il
problema sarà quello di conciliare i tempi della formazione con quelli
del lavoro.
Non ci sono alternative e gli Autori non hanno dubbi: “la formazione
diventerà indispensabile per la sopravvivenza dell’impresa”.
Accompagnato da una articolata bibliografia e da un glossario, Il messaggio trasformato si rivolge agli studenti di precisi corsi di laurea, si
154
consiglia a quanti operano nella comunicazione d’impresa e si segnala a
chi, in generale, è interessato a approfondire l’argomento.
Brano scelto
L’attenzione ai processi di comunicazione va considerata elemento
prioritario dell’analisi organizzativa, tenendo presente alcuni elementi
di riflessione che sono allo stesso tempo premesse teoriche e strumenti
operativi:
• l’informazione nelle organizzazioni fluisce indipendentemente dai canali ufficiali (ordini di servizio, circolari, comunicati, ecc.); esistono
momenti non ufficiali e situazioni di alta comunicazione tra i membri
delle organizzazioni (se potessero parlare e riferire quante cose direbbero le macchine automatiche del caffè nei corridoi aziendali!);
• l’informazione informale è incontrollabile nei contenuti e nelle modalità di trasmissione (pag. 114).
Breton Philippe, L’utopia della comunicazione. Il mito del “villaggio
planetario”, Torino, Utet 1995, pp. 161 ISBN 88-7750-339-4
Problematico e affascinante il libro di Philippe Breton ripercorre le fasi
che hanno portato all’affermazione dell’ideologia della comunicazione,
a partire dagli studi, effettuati negli anni ‘40, da Norbert Wiener, padre
della cibernetica.
Quella che etimologicamente è tradotta come “arte del pilota” fu definita,
da Wiener, “la scienza del controllo e della comunicazione”, dove il termine controllo va inteso soprattutto nel senso di comando, di direzione.
Obiettivo della cibernetica l’individuazione delle leggi generali dello
scambio di informazioni, che interessano sia i fenomeni naturali che quelli artificiali, le macchine, la società, gli uomini, i minerali, i vegetali.
E’ lo scambio di informazioni, che poi sarà definito dallo stesso Wiener
comunicazione, che costituisce i fenomeni. I quali non sono considerati
nella loro manifestazione apparente, minerale o animale, ma in funzione delle loro relazioni.
155
L’esserci deriva dal partecipare ad un generale processo di scambio.
Dire che “tutto è comunicazione” significa allora abolire le barriere
classiche di separazione tra ciò che è naturale e ciò che è artificiale. Significa debiologizzare la mente.
La comprensione dei fenomeni sociali è possibile solo attraverso lo studio dei messaggi e dei loro relativi mezzi di comunicazione.
Queste teorie o, più in generale, l’idea di una Società della Comunicazione, si affacciano nel mondo scientifico in un momento drammatico
della storia, quando le atrocità dei campi di sterminio e della bomba atomica stanno a indicare il naufragio della società.
La carica utopica dell’ideologia ne esce, per contrasto, rafforzata. Si
profila l’affermazione della comunicazione come valore; una nuova definizione antropologica, quella dell’Homo communicans; una società ideale, regno della razionalità delle macchine, dell’intelligenza. Che è
tale, non importa se artificiale o naturale.
E oggi, quando tantissimi elementi di quell’utopia sono diventati quotidianità, cosa succede? Il sociologo francese, nella terza parte del libro, si sofferma sulle ambiguità della comunicazione, sulla confusione tra informazione e conoscenza, esasperata dai media, e sul nuovo individualismo generato dalla società dell’informazione. Non c’è dubbio che la democrazia
sia profondamente connessa alla possibilità di esprimersi, di comunicare.
Ma un eccesso di comunicazione rischia di compromettere la stessa
democrazia.
Brano scelto
Ci viene presentato come il fine dei fini il fatto di poter restare a casa
per lavorare, di sbrigare le commissioni in un supermercato “virtuale”,
di disporre sullo schermo di tutti i divertimenti del mondo, di dialogare
con i vicini o con altri e, infine, di dedicarsi al “sesso virtuale”. Quell’uomo moderno non ha più bisogno di alcun partner fisico, è il single
per eccellenza (pag. 146).
Comari Adolfo Maria, Bonicelli Emilio, I segreti della comunicazione.
I cinque strumenti per avere successo nei rapporti, convincere gli altri,
156
ottenere il massimo dai collaboratori, promuovere l’immagine dell’azienda, Milano, Il Sole 24 Ore 1995, pp. 132 ISBN 88-7187-661-X
C’è modo e modo di dire le cose. Comari e Bonicelli hanno scelto la
metafora della torcia, del compasso, del martello, del pennello e della
rete per illustrare i cinque strumenti della comunicazione.
La prima analisi si incentra sulla comunicazione personale e, dopo
un’introduzione in chiave psicologica, sulla timidezza e sugli accorgimenti per superarla, affronta il problema della gestione dei colloqui,
della comunicazione telefonica, dell’arte della negoziazione, delle tecniche di miglioramento della comunicazione scritta, e dell’importanza
della compilazione di un curriculum.
Segue la trattazione della comunicazione in pubblico, ricca di suggerimenti sulle tecniche per dominare l’ansia, sull’uso dei gesti e della voce, sul comportamento da adottare davanti a una telecamera.
Dei test di verifica consentono al lettore di individuare il proprio stile di
comunicazione all’interno delle quattro tipologie del realizzatore,
dell’organizzatore, del creativo e del collaboratore; di valutare se è in
grado, e in che misura, di parlare in pubblico e, infine, se possiede le
competenze e le qualità per dirigere un gruppo.
Il titolo “Meno riunioni più salute”, che apre il capitolo sulla comunicazione di gruppo, non lascia dubbi sul pensiero degli Autori nei confronti di questo strumento.
Tuttavia, poiché qualche volta non se ne può fare a meno, ecco una serie di considerazioni sui criteri di scelta dei partecipanti, sull’allestimento della sala e sulla soluzione di possibili conflitti.
Sintetica, ma non per questo meno interessante, la parte finale relativa
alla comunicazione d’impresa.
Le analisi volte a mettere in luce il grado di soddisfazione/insoddisfazione dei collaboratori; l’esplicitazione della mission, la definizione di
un codice etico scritto; gli strumenti del team briefing, del family day,
della newsletter e le indicazioni volte a favorire l’instaurazione di buoni
rapporti con la stampa fanno, di questo volumetto, un gradevole punto
di riferimento e di riflessione.
157
Brano scelto
Se è vero che non si può vivere senza riunioni è altrettanto vero che
gran parte delle riunioni di cui si vive sono inutili.
Prima di avviare un gruppo di lavoro è bene accendere la torcia e rispondere ad alcune domande. La prima è se la riunione è realmente indispensabile. Esistono altri modi meno dispendiosi per raggiungere lo
stesso obiettivo? Non si deve mai dimenticare che un gruppo di lavoro
ha dei costi direttamente proporzionali al numero di persone che vi partecipano tralasciando altre utili occupazioni (pag. 90).
Contaldo Alfonso, Mazzatosta Teresa Maria (a cura di), Il lavoro sul
settimo continente. Percorsi di formazione professionale su Internet,
Roma, SEAM 1998, pp. 303 ISBN 88-8179-082-3
Circa la metà della popolazione mondiale non ha accesso a un telefono
pubblico, di conseguenza, definire globale la Società dell’informazione
suscita qualche perplessità. L’osservazione, che si trova nel Rapporto
Building The European Information Society to Us All, il cui primo capitolo è parzialmente riportato nell’appendice de Il lavoro sul settimo
continente, esprime con efficacia la preoccupazione che il progresso
delle tecnologie informatiche aggiunga, a quella del Sud geografico,
l’emarginazione di un nuovo Sud, quello digitale, rovescio della medaglia della super osannata Società dell’informazione.
Normalmente non si parte dalla fine per fornire l’idea del contenuto di
un libro, in questo caso, tuttavia, la preoccupazione - solo formalmente
collocata in conclusione - serpeggia qua e là all’interno di un lavoro
collettivo che racchiude i punti di vista di Autori diversi, su problematiche diverse ma comunque collegate ad Internet.
E’ Internet infatti il settimo continente, naturalmente virtuale, dove si
naviga per lo più a vista, con il rischio di essere sommersi da montagne
di informazioni che l’individuo, singolarmente, non è in grado di gestire. La sindrome è ormai nota e va sotto il nome di “Lost in Hyperspace” e si caratterizza per un generale senso di smarrimento all’interno di
158
qualcosa che non si riesce a definire per la mancanza di confini: in altre
parole ci si perde nell’Iperspazio.
Alla meraviglia, per le possibilità note e per le potenzialità ignote del
progresso tecnologico, si accompagna la consapevolezza di un futuro
sempre meno immaginabile, il quale, paradossalmente, si profila vicino,
per la rapidità dello sviluppo e lontano per le connotazioni che potrà assumere. Le nuove professioni informatiche, il problema della sicurezza
dei dati, le frontiere della formazione nell’era digitale, l’impresa virtuale, la pubblicità su Internet, l’utopia di una democrazia senza deleghe,
l’arte e l’estetica virtuale, sono solo alcuni dei temi affrontati in un testo
che ha, tra tanti, il merito di far toccare con mano il senso del cambiamento che, volenti o nolenti, si sta verificando nelle società avanzate.
Brano scelto
Il messaggio pubblicitario interattivo elimina la barriera fra trasmittente, con ruolo attivo, e ricevente, fruitore passivo, insita nella comunicazione classica, poiché consente di esporre i propri prodotti e/o servizi e
contemporaneamente sottoporre il prodotto ed il messaggio al feedback
del visitatore. L’utente di Internet si muove liberamente dentro la Rete
ed ha il potere di decidere se diventare audience reale di un sito, visitando la videata, oppure rimanere audience potenziale, cioè spettatore
generico, evitando di vedere le pagine ritenute non interessanti. Il cybermarketing opera su bacini di clienti indefiniti, i milioni di navigatori
della Rete sparsi per il Mondo, e ciò si traduce in un radicale cambiamento della struttura della campagna pubblicitaria (pag. 105).
Damascelli Nino, Le rivoluzioni della comunicazione. Tecnologie di comunicazione e strutture sociali, Milano, Franco Angeli 1998, pp. 144 ISBN 88-464-0529-3
La Scuola canadese di studi sulla comunicazione, fondata da Harold A.
Innis, propone una lettura della storia come storia delle tecnologie della
comunicazione.
159
Nino Damascelli, ricollegandosi all’approccio di questa Scuola, alla
quale appartenne anche Marshall McLuhan, si sofferma su cinque momenti storici che definisce “le cinque rivoluzioni della comunicazione”.
L’alfabeto, la stampa, l’applicazione dell’elettricità alla comunicazione
e le Nuove tecnologie di comunicazione - Ntc - hanno prodotto cambiamenti rilevantissimi nel sistema economico, politico e sociale.
L’Autore si domanda se, dall’analisi dei cambiamenti prodotti dall’evoluzione delle tecnologie della comunicazione, sia possibile trarre qualche indicazione circa il nostro futuro.
Ben sapendo che, per quanto il futuro abbia un cuore antico, la velocità e
la profondità del cambiamento che caratterizzano la nostra epoca non ci
consentono di fare affidamento su ricette già sperimentate come valide.
Ogni volta, per dirla con R.D. Stacey, occorre capire cosa fare e come
farlo, utilizzando le analogie con quanto si è verificato in passato e si
avvicina a quello che sta succedendo ora.
Il rifiuto del nuovo, caro a quanti hanno interesse a mantenere lo status
quo, non paga.
Le analogie con la Cina, che rifiuta l’alfabeto, e con l’impero ottomano,
che blocca la stampa per trecento anni, con le conseguenze che si sanno, la dice lunga sul rischio di un’Europa che ancora stenta ad adeguarsi alle Nuove tecnologie di comunicazione.
Brano scelto
A differenza di quanto è avvenuto nella storia passata, il processo rivoluzionario attualmente in corso non si identifica, tanto, con una nuova
particolare tecnologia (come l’alfabeto o il telegrafo, la radio o la televisione), quanto, piuttosto, con il perfezionamento e l’impiego unificato, sinergico e integrato di molteplici e diverse tecnologie, di recente e
meno recente invenzione (come il computer, il satellite per telecomunicazioni, il telefono, la radio, la televisione, il compact disc). L’uso integrato di queste tecnologie porterà, in pochi anni, a una profonda trasformazione del preesistente panorama nel campo della comunicazione e,
di conseguenza, nelle strutture e nei processi sociali (pag. 80).
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De Vincentiis Mauro, L’Ufficio Stampa. Chi, come, dove, quando, perché, Milano, Lupetti Editori di Comunicazione 1997, pp. 112 ISBN 8886302-54-1
Negli ultimi vent’anni le imprese hanno privilegiato la comunicazione
legata all’area del marketing e della promozione pubblicitaria, con la
conseguenza che l’opinione pubblica ha recepito una serie di immagini
eccessivamente enfatizzate e, talvolta, distorte,
L’attuale fase di rilancio dell’economia impone alle imprese di rivedere
le proprie strategie di comunicazione, soprattutto nei rapporti con i
mass-media.
Perseguire il rilancio degli uffici stampa significa perseguire l’obiettivo
dell’autorevolezza della fonte d’informazione.
E’ questo il motivo conduttore dell’ultimo lavoro di Mauro De Vincentiis.
Il suo libro è molto più di un manuale, se per manuale si intende un insieme organico di informazioni di pronto uso.
Più probabilmente siamo in presenza di un manuale di seconda generazione se, per seconda generazione o generazione comunque successiva,
si intende un miglioramento ed un arricchimento di un modello consolidato preesistente.
“L’Ufficio Stampa” inquadra il come fare che cosa nel contesto storico
e teorico della sua evoluzione, lo esemplifica con il ricorso a case history sulla comunicazione di crisi, sulla comunicazione innovativa e su
quella finanziaria e mette a disposizione un glossario di 204 voci tra
termini ed espressioni ricorrenti nel mondo della comunicazione.
Il confronto tra le regole etiche e deontologiche che informano i rapporti
con i media negli Stati Uniti e nei principali Paesi europei dà ragione di
certi modi di essere della stampa: non è casuale che in Germania vi siano
giornali che in cinquant’anni non hanno dovuto rettificare una sola notizia
Brano scelto
L’impresa non è un organismo impermeabile. Tutti coloro che vi operano
trasferiscono verso l’esterno messaggi che, in qualche misura, concorro161
no alla formazione della sua immagine. In caso di gestione di eventi critici, non si può lasciare che il messaggio ufficiale dell’impresa venga veicolato in modo disomogeneo e distorto da atteggiamenti, opinioni e motivazioni negative dei pubblici interni, e cioè dei dipendenti o dei dirigenti
che, comunque, sono degli interlocutori del sociale. Occorre così preoccuparsi dell’effetto indotto della comunicazione di operatori esterni
all’impresa, sulla motivazione dei pubblici interni e viceversa.
La missione di una comunicazione di impresa mirata verso gli stake-holders deve garantire e sviluppare, nell’ambito delle politiche aziendali e degli orientamenti strategici dell’esecutivo, i rapporti con i pubblici dell’azienda, interni ed esterni, assicurando una corretta comunicazione dei fatti
e degli interessi. Si tratta di un rapporto privilegiato che attribuisce al pubblico la costruzione e la fruizione dell’offerta, con caratteri di attenzione,
intenzionalità, controllo, sconosciuti precedentemente (pag. 20).
Di Nicola Patrizio (a cura di), Il manuale del telelavoro, Formello
(RM), SEAM 1997, pp. 251 ISBN 88- 8179-105-6
Se ne parlava già attorno alla fine degli anni ‘60, soprattutto da parte
dei futurologi, ma occorre arrivare al 1973, al primo grande shock petrolifero, perché Governi e imprese inizino a guardare con attenzione al
telelavoro come a una modalità di contenimento e di riduzione dei consumi di carburante: invece di far spostare le persone, fisicamente, dalla
loro abitazione al posto di lavoro, appariva più conveniente spostare il
lavoro presso le rispettive abitazioni.
Nasce così, anche se poi si arricchisce di tante motivazioni differenti,
dalla compatibilità con le esigenze familiari alla diffusione di una coscienza ecologica, una modalità di prestazione lavorativa sulla cui definizione la disputa non è affatto sopita.
Con Il manuale del telelavoro, Patrizio Di Nicola, in collaborazione con
altri esperti, ha realizzato una guida molto articolata, fruibile anche in maniera non sequenziale. Gran parte delle informazioni scaturiscono dal testo
sacro in materia che è The Telework Handbook, elaborato dalle Associazioni inglesi e irlandesi di Telelavoro e Telecottage per i propri membri.
162
A queste si aggiungono le testimonianze mirate sulla realtà italiana, dalle esperienze realizzate, agli accordi contrattuali, alla normativa previdenziale vigente.
Equilibrato nella sua analisi dei vantaggi e degli svantaggi, il testo si
sofferma sull’individuazione delle attività idonee al telelavoro e fornisce una serie di indicazioni precise sulla autopromozione del telelavoratore, attraverso la definizione degli obiettivi, la ricerca di mercato, il
business plan e le fonti di finanziamento, compresi i programmi dell’Unione Europea sul telelavoro.
Particolarmente stimolante, infine, la panoramica delle esperienze realizzate a livello mondiale in tema di telecentri e telecottage.
Brano scelto
Se la velocità del cambiamento è altissima, anche quella di risposta dovrà esserlo. Sarà un’operazione molto costosa ma indispensabile: tra
pochi anni il modo attuale di lavorare, con il computer sulla scrivania e
i programmi per la produttività individuale, sarà scomparso (...). Il telelavoro - o come decideremo di chiamarlo in quell’epoca futura - ci verrà in aiuto e ci permetterà di resistere in un mondo della produzione che
si reinventerà giorno dopo giorno (pp. 35-36).
Di Raco Alberto, L’impresa simbolica, Milano, Sperling & Kupfer
1997, pp. 142 ISBN 88-200-2556-6
Solo in apparenza la grande impresa è costituita da edifici, uffici, computer e macchinari.
In realtà è qualcosa di molto più labile e sfumato.
La grande impresa è vista da Di Raco come una rete di relazioni tra individui, il cui obiettivo vero è quello di disporre di un ambiente nel
quale intrattenere relazioni sociali ed esercitare l’emotività.
Da queste considerazioni, che a detta dell’Autore possono sembrare paradossali o provocatorie, è possibile evidenziare la complessità delle relazioni che si sviluppano in un’impresa. La comunicazione interna è a163
nalizzata con particolare riferimento al suo livello informale, e l’accento cade sulla rappresentazione scenica e sulla ritualità che permea alcuni significativi momenti della vita di un’impresa.
Il punto di riferimento obbligato è sicuramente Goffman; il punto di riferimento scelto è l’Erasmo da Rotterdam dell’Elogio della pazzia “per
la capacità di osservare dall’alto, quasi da un palco teatrale” figure che
sono, contemporaneamente, anonime e individuate: lo Stratega, il Tecnico, il Tenace, l’Allucinato intelligente, l’Intellettuale.
“L’impresa simbolica” è la lettura della tensione della grande impresa nella ricerca della sua identità e della sua immagine, a partire dalla comunicazione intesa come coinvolgimento, motivazione e attivazione di relazioni.
Gli stessi incontri, riunioni e convention, sono analizzati nella loro funzione latente, come occasioni di socializzazione e di raffronto dei valori
condivisi sui quali si fonda la cultura aziendale.
Proprio attraverso questi riti, di sacralità laica, la grande impresa arriva
a travalicare i suoi obiettivi classici, non importa se collegati al suo essere una organizzazione profit o non profit.
Brano scelto
I riti aziendali sono delle vere e proprie sacre rappresentazioni, in cui
vengono evocati i principali nemici dell’azienda: i concorrenti sempre
pronti ad abbattere i loro prezzi pur di non perdere posizioni; le quote di
mercato, una sorta di “giudizio di Dio” sulla efficacia ed efficienza
dell’azienda, prova della sua tenuta, della sua vitalità, del suo futuro; i
costi globali, altro terribile dragone che sputa fuoco e fiamme, sempre
pronto, dopo che gli si tagliano le unghie, le braccia, la coda, la testa, a
sfuggire dai controlli e a riprodursi di nuovo minaccioso minacciando il
Bene Finale, l’Utile Netto (pag. 63).
Di Raco Alberto, Organizzare una convention. Guida pratica alla comunicazione aziendale, Milano, Editoriale Itaca 1997, pp. 96 ISBN 887206-093-1
Il manuale, destinato inizialmente alla comunicazione interna di una
164
grande impresa industriale, è una sistematizzazione delle esperienze
connesse all’organizzazione di convention.
Riflessioni teoriche e modalità pratiche si alternano nella descrizione
del processo che accompagna la progettazione e l’allestimento di questa
importante occasione di comunicazione la quale, lungi dall’esaurirsi
con la conclusione dei lavori, continua a produrre una serie di effetti
che meritano di essere gestiti.
L’organizzazione di una convention, in quanto occasione di approfondimento delle strategie, di accentuazione della partecipazione e del senso
di appartenenza, di rassicurazione e di spinta motivazionale, non è qualcosa da lasciare all’improvvisazione.
Perché se è vero che ogni comunicazione efficace si rivolge sia alla sfera razionale che a quella emozionale dell’individuo, la comunicazione
trasmessa attraverso la convention amplifica i suoi effetti in relazione
alla spettacolarità dell’evento. Quello che ne deriva è comunque grande. Sul piano del successo. E sul piano dell’insuccesso.
La guida si divide in due parti. La prima, relativa all’impostazione e
all’organizzazione, analizza il tema e i temi di una convention, facendo
distinzione tra messaggi espliciti e messaggi simbolici e indiretti; si sofferma sullo stile della manifestazione, sui protagonisti e sulla fase operativa che si conclude con il post-convention.
La seconda parte, tecnica, fornisce una serie di indicazioni sui supporti
grafici e sulle relative modalità di realizzazione, mentre l’Appendice
conclusiva illustra un caso di progettazione innovativa di una convention aziendale.
Brano scelto
La sequenza dei discorsi dei vari oratori, oltre a rispettare il principio
che gli interventi più autorevoli aprono e chiudono i lavori, deve creare
e mantenere un clima di interesse, alternando gli interventi in modo da
mantenere viva l’attenzione dell’uditorio.
Bisogna infatti tenere presente che la capacità di mantenere alto il livello di interesse delle persone è un requisito che i relatori possono più o
meno avere, in funzione delle loro caratteristiche personali e della loro
165
abilità nella comunicazione. Parlare agli altri è prima di tutto una sfida
verso se stessi, in quanto l’organizzazione del discorso implica un processo di autochiarimento su che cosa si vuole dire e su come si vuole
dirlo (pag. 19).
Di Raco Alberto, Santoro Gaetano M., Il manuale della comunicazione
interna, Milano, Guerini e Associati 1996, pp. 229 ISBN 88-7802-647-6
Fase 1 - Analisi delle esigenze di comunicazione.
Fase 2 - Piano di comunicazione.
Fase 3 - Realizzazione delle azioni comunicative.
Fase 4 - Controllo degli effetti.
La regia manageriale della comunicazione interna si esplica attraverso
queste quattro fasi ed il Manuale, il primo del genere, ne illustra i percorsi di realizzazione, nella consapevolezza che “duo cum faciunt idem,
non est idem”.
Come dire che le strategie di comunicazione interna devono fare i conti, anch’esse, con il contesto nel quale si esplicano.
Redatto come strumento di lavoro, a sostegno delle scelte operative degli uomini di azienda che già operano nel settore della comunicazione,
il Manuale, accanto all’analisi di metodi, tecniche, strumenti e apparati,
illustra casi aziendali di settori produttivi diversi e mette a confronto le
alternative gestionali alla soluzione dei problemi comprese le luci e le
ombre delle diverse scelte.
Il sistema di comunicazione interna, che trova i suoi riferimenti disciplinari nella sociologia della comunicazione e dell’organizzazione, nella ricerca comunicativa e nelle tecniche di direzione del personale, viene analizzato in relazione al processo che va dal passaggio di informazioni all’apprendimento organizzativo.
Ogni capitolo è accompagnato dalla bibliografia e il libro si conclude
con un’Appendice che illustra un’esperienza di formazione di responsabili del personale sul tema della comunicazione interna.
166
Brano scelto
La formulazione degli obiettivi di comunicazione è una decisione politica che comporta un salto di qualità dalla dimensione tecnica della ricerca a quella strategica, del governo d’impresa. Per essere realistica
non può non tenere conto che gli obiettivi riguardano il compimento di
scambi sociali, e che vanno definiti considerando le ragioni e i meccanismi concreti per cui le persone accettano di impegnarsi nell’interazione. Deve essere contestualizzata nell’insieme delle informazioni e dei
“rumori”, comunque originati, che circolano in azienda.
Il fattore critico di un’efficace regia della comunicazione interna non è
tanto la capacità del management di comprendere i rapporti tra gli scopi
perseguiti, le informazioni disponibili e gli apparati comunicativi utilizzabili, ma quella di modulare una regolazione degli scambi, nel moltiplicarsi, incrociarsi e rapportarsi fra loro di messaggi concorrenti (pag. 76).
Gambarelli Gianfranco, Pederzoli Giorgio, Metodi di decisione. Introduzione alla teoria dei giochi e delle decisioni con applicazione a problemi manageriali di natura industriale, commerciale, assicurativa,
medica, politica, finanziaria, Milano, Hoepli 1992, pp. 272, ISBN 88203-1973-X.
L’abilità di analizzare le proprie preferenze e operare scelte conseguenti
è una caratteristica tipica dell’individuo.
Decidere comporta la scelta tra alternative diverse che, a loro volta,
producono conseguenze diverse. La stessa indecisione è una scelta:
quella di lasciare le cose come stanno.
A decidere non sono solo gli individui; lo fanno i gruppi, le imprese, le
organizzazioni.
Ed è proprio in relazione alle scelte effettuate dal gruppo, sia esso amicale, economico, politico, e all’esigenza di valutarne le relative implicazioni, che si deve, in gran parte, lo sviluppo analitico della teoria delle decisioni.
167
Il libro di Gianfranco Gambarelli e Giorgio Pederzoli si occupa dell’aspetto normativo delle decisioni; analizza cioè, ricorrendo a criteri matematici, il modo nel quale affrontare un problema decisionale tenendo
conto delle informazioni disponibili e dei criteri derivanti da imprescindibili assiomi.
I fattori che giocano in favore dell’adozione di un modello matematico
per l’assunzione di decisioni sono diversi e vanno dalla necessità di descrivere il problema in maniera chiara e precisa, favorendone la massima consapevolezza, fino alla sua rigorosa rappresentazione, in grado di
rendere possibile, attraverso le tecniche matematiche, una soluzione esplicita, diversamente raggiungibile per altre vie.
L’applicazione dei metodi di decisione a problemi manageriali, in ambito finanziario, politico, industriale e commerciale, dà ragione della funzionalità dell’approccio.
Dopo l’analisi dei contesti delle decisioni, che possono essere assunte
in condizioni di certezza, o di incertezza, in situazioni di rischio, o di
conflitto, il testo affronta, nella seconda parte, la teoria dell’utilità,
quindi i modelli di probabilità, l’informazione sugli stati di natura e, infine, la teoria dei giochi.
Brano scelto
(...) spesso le conseguenze di un’azione qualsiasi possono consistere in
diversi risultati che si realizzano simultaneamente. Si pensi alla scelta
di un dato volo aereo di linea. La conseguenza può comportare non solo
la durata del viaggio, ma anche il prezzo del biglietto e la possibilità di
partire e di arrivare in orario. Quando si intende acquistare un’automobile nuova, la conseguenza può riguardare diversi aspetti come il prezzo, la cilindrata, il numero delle porte, il colore. In altri casi le conseguenze possono essere così complesse da richiedere una descrizione
lunga e dettagliata (pag. 42).
Golfetto Francesca, Comunicazione e comportamenti comunicativi. Una questione di coerenza per l’impresa, Milano, EGEA 1993, pp. 155 ISBN 88-238-0229-6
168
Ha ancora senso parlare separatamente di comunicazione interna e comunicazione esterna? Francesca Golfetto, nel saggio Comunicazione e
comportamenti comunicativi dimostra quanto sia preferibile, e più funzionale, superare questo falso problema attraverso il riferimento agli obiettivi. E lo fa seguendo un’impostazione rigorosa, che ricostruisce
storicamente le fasi che hanno caratterizzato l’evoluzione della comunicazione d’impresa, i modelli teorici di riferimento, le influenze disciplinari, il ruolo degli eventi.
Sarà il primo shock petrolifero degli anni ‘70, con le sue gravissime ripercussioni sugli equilibri economici, politici e sociali, a far sì che alla
comunicazione aziendale venga riconosciuto e assegnato, negli Stati Uniti, un ruolo strategico.
Da allora ad oggi passi in avanti ne sono stati fatti tanti. Tuttavia, gli orientamenti che caratterizzano attualmente il dibattito sulla comunicazione d’impresa stentano a trovare applicazione per la persistenza di sistemi organizzativi poco coerenti, se non dissonanti, con l’obiettivo di
una comunicazione strategica.
Non a caso, ciò che non esiste nei comportamenti non si può trasmettere con la comunicazione. E, ancora, la coerenza della comunicazione è
strettamente connessa alla coerenza delle strategie.
Secondo l’Autrice sono due gli elementi che denotano l’attuale fase di
stallo. Il primo è quello dei flussi e degli strumenti di comunicazione.
La persistenza della concezione gerarchica dell’impresa, che si esprime
nella contrapposizione tra “comunicazione formale e informale, ascendente, discendente e verticale”, in quanto statica non è idonea ad esprimere la ricchezza e la vitalità della comunicazione. Quanto agli strumenti, il ricorso a circolari, news letter e riunioni, denota la prevalenza
di una comunicazione top-down fisiologicamente incompatibile con lo
sviluppo della creatività.
Il secondo elemento di ritardo, anch’esso riconducibile alla irriducibilità della concezione gerarchica, è ravvisato nella ricerca, che l’Autrice
definisce affannosa, della funzione alla quale attribuire la responsabilità
della comunicazione all’interno dell’azienda.
Chi è interessato a districarsi troverà, in questo bel libro, analisi, ipotesi
e suggerimenti. Risposte no. Quelle vanno costruite su misura.
169
Brano scelto
Si potrebbe avere così un responsabile della comunicazione commerciale, uno della comunicazione organizzativa, uno della comunicazione
finalizzata al reperimento di risorse e infine uno della comunicazione
finalizzata alla legittimazione dell’impresa nell’ambiente: in definitiva
un responsabile per ciascuna delle aree di comunicazione dell’impresa
che operi in collegamento con le diverse funzioni aziendali e in staff
all’alta direzione (pag. 150).
Harris Zellig, Linguaggio e informazione, Milano, Adelphi 1995, pp.
148 ISBN 88-459-1158-6
Compendio delle idee di un grande maestro della linguistica americana,
Linguaggio e informazione presenta questa disciplina come uno dei presupposti della comunicazione.
Nel testo è sviluppata una teoria formale del linguaggio, i cui elementi,
piuttosto che in base alle proprietà fonetiche o semantiche, sono definiti
in relazione alla loro frequenza.
La correttezza e il senso di una frase sono il risultato di un ordinamento
gerarchico e cioè di una struttura matematica.
Sintassi e semantica hanno un identico peso; partendo da questa considerazione l’Autore arriva ad evidenziare quel che di paradossale vi è
nel linguaggio: una struttura come la sintassi, che è altamente formale,
consente la manifestazione dei significati, che sfuggono ad ogni caratterizzazione formale.
Partendo dal primo stadio di formazione della frase, quello elementare,
composto di soggetto e predicato, è possibile formulare la grammatica attraverso i due tipi di relazione dell’inclusione e dell’espansione tra più frasi.
Dai principi generali della grammatica, che costituiscono la base di ogni teoria linguistica, si passa all’analisi dei metalinguaggi e dei sottolinguaggi, ma è ancora l’aspetto paradossale del linguaggio che sta a
cuore all’Autore e così l’indagine si incentra sul rapporto tra struttura
del linguaggio e informazione.
170
Un simile rapporto, che va oltre l’ambito di analisi classica della linguistica, apre la strada al più vasto orizzonte delle scienze cognitive: l’informazione veicolata da una frase o da un discorso non viene introdotta ad
un certo momento, come fattore a sé stante e separato, ma è prodotta dalla scelta delle parole e dalle condizioni che influiscono su questa scelta.
Brano scelto
Naturalmente non si può giungere a dire che a ogni elemento di contenuto che si voglia esprimere corrisponda un’apposita forma sintattica. I
sentimenti non possono essere espressi direttamente con la sintassi. Se
ne può parlare, utilizzando le strutture grammaticali ordinarie; oppure
possono essere espressi nel linguaggio da espedienti non grammaticali
come le intonazioni non sintattiche (per esempio usando non l’intonazione interrogativa, ma quella dell’ira). Persino se consideriamo solo
l’informazione si riscontrano nel linguaggio certe lacune nella correlazione forma-contenuto. Le espressioni idiomatiche non ricadono in
questo fenomeno. Esse sono invece casi estremi della condizione generale che il significato di una parola può variare quando questa occorre
con operatori o argomenti diversi (pag. 99).
Huitema Christian, E Dio creò Internet, Padova, Aries-Franco Muzzio
1997, pp. 154 ISBN 88-7021-749-3
L’uso dell’automobile dovrebbe essere consentito solo alla polizia; consentire l’uso dell’automobile ai criminali significherebbe infatti favorirne la fuga.
E’ solo una delle tante provocazioni con le quali Christian Huitema, uno dei maggiori esperti mondiali di Internet, si diverte a sdrammatizzare i catastrofismi di chi vede nella “rete di tutte le reti” il flagello prossimo venturo.
E Dio creò Internet è la descrizione, e la difesa, appassionata, di un sistema che è, soprattutto e prima di tutto, libertà di comunicazione.
171
Che poi possa essere adoperato per finalità perverse, quali il traffico di organi o la pornografia, non riguarda il sistema in sé, ma l’uso che se ne fa.
E la responsabilità, scaricata sullo strumento, torna, come sempre,
all’uomo, insostituibile artefice di ciò che è bene e ciò che è male.
Il progetto, semplice e grandioso che è oggi alla base di Internet, è quello
di collegare, attraverso tutti i computer del mondo, i loro utilizzatori.
Nata per collegare dei centri di ricerca, a seguito degli studi avviati nel
1969 dal Dipartimento Progetti Avanzati dell’Esercito americano, Internet vede le sue possibilità di crescita garantite dalla solidità di costruzione della sua rete, all’interno della quale non esiste, volutamente, un
punto centrale, un “cervellone” individuabile e, quindi, potenzialmente
annientabile.
I punti centrali sono tanti quanti sono i nodi di interconnessione delle
reti, ognuno in grado di controllare i propri collegamenti e quelli più
prossimi; in caso di interruzione di un collegamento, se ne rendono disponibili altri.
Dalla posta elettronica, ai problemi di sicurezza, al commercio su scala
planetaria, tutto si incentra sulla portata rivoluzionaria di un sistema che
consente, a chiunque lo voglia, di essere, contemporaneamente, consumatore e fonte di informazione.
E il libro si rivela pienamente rispondente all’obiettivo dell’Autore, che
è quello di opporre, alle approssimazioni, le descrizioni precise e, alle
paure, il sogno.
Brano scelto
Internet non è “un’unica rete” con un punto centrale, controllato da
qualche multinazionale. E’ un’interconnessione tra reti molto diverse.
Al suo interno si trovano dei clienti e dei fornitori di servizi sia grandi
che piccoli. Alcuni amministrano una rete locale, limitata a una città o a
una regione, altri offrono servizi su ampia scala, e hanno connessioni
che attraversano frontiere e oceani. Per far parte di Internet tutti devono
interconnettersi. La connessione planetaria costituisce la forza della rete. Un fornitore, anche importante, non connettendosi agli altri, priva i
propri clienti dell’accesso a tanti altri server remoti. Di conseguenza
quella rete diventa meno interessante e, nel giro di poco tempo, i clienti
si orientano verso fornitori meno limitati (pag. 40).
172
Kennedy Gavin, L’a b c del saper trattare, Milano, Sperling & Kupfer
1991, pp. 366 ISBN 88-200-1128-X
Un manuale sul negoziato, anzi, un glossario dilatato, letteralmente dalla a di “abbandono” alla zeta di “zitti”, dove le singole voci sono illustrate in poche righe o in molte pagine, in relazione alla complessità relativa o al loro peso specifico all’interno del negoziato.
L’attività concorrenziale delle aziende costituisce lo scenario prevalente
delle analisi e dei suggerimenti dell’Autore per la miglior conduzione
delle trattative, ma non mancano riferimenti a situazioni diverse, nelle
quali il negoziato è determinante.
Dalla diplomazia alle relazioni industriali ai conflitti parentali, L’a b c del
saper trattare è una summa di riflessioni, valutazioni e aneddoti scritta in
maniera brillante, punteggiata di ironia, sempre e comunque pragmatica.
Il lettore ideale di questo manuale è il manager dell’area vendite ed è a
lui, prevalentemente, che l’Autore si rivolge suggerendo, attraverso varie tattiche, cosa fare e cosa non fare nelle situazioni più disparate.
Tuttavia, poiché non tutti vanno a cavallo o si dilettano di filatelia ma
tutti negoziano, il libro si presta ad essere letto da un pubblico trasversale: i messaggi trasmessi sono, molto spesso, l’esplicitazione di eventi
che, sia pure in contesti diversi, ricorrono nell’esperienza di ognuno.
Accanto ad essi l’Autore fornisce una serie di informazioni tecniche su
termini come cash flow, forfettizzazione, tassi d’interesse e la disposizione in ordine alfabetico consente la massima libertà di scelta. Il testo
può infatti essere letto come un libro o consultato come un dizionario,
con l’avvertenza - in quest’ultimo caso - che i termini da cercare devono avere, in ogni caso, attinenza con il negoziato.
Brano scelto
Decisione d’autorità. Quando un team negoziale non riesce a mettersi
d’accordo sulla tattica adeguata alle circostanze o a concordare i contenuti
di un’offerta, e non c’è tempo per demandare la questione a un’autorità superiore, il negoziatore più importante prende una decisione d’autorità, valida unicamente in virtù della sua carica.
173
Come avviene in campo militare, la decisione ha una sua legittimità e il
team dovrebbe adeguarsi. Le decisioni d’autorità non sono necessariamente corrette, ma spesso è meglio prendere la decisione sbagliata che non
prenderne affatto (pag. 101).
Lehman Enrico R., Spot & Bit. Imprese, media e pubblicità nell’era digitale, Milano, Il Sole 24 Ore 1996, pp. 134 ISBN 88-7187- 641-5
La chiave di lettura di Spot & Bit è nella dedica. Per esprimere i conflitti e le contraddizioni che stanno interessando la comunicazione d’impresa, intesa nella specificità di comunicazione commerciale, pubblicitaria, l’Autore si rivolge ad Hans di Schnookeloch, personaggio di una
canzone popolare alsaziana, simbolo della dualità di un territorio in perenne conflitto tra l’attaccamento alla Francia o alla Germania.
“Hans ha tutto ciò che vuole, ma ciò che ha non lo vuole e ciò che vuole non lo ha”.
Di piccolo, in questo libro, c’è solo il formato.
L’ampiezza degli scenari e la chiarezza delle loro analisi testimoniano
un approccio rigoroso alla lettura del cambiamento che caratterizza l’epoca attuale.
Per Enrico Lehman sono quattro i macrofenomeni che interessano l’impresa: la crisi generale dei modelli sociopolitici; l’emergere dell’individualità e di nuovi fattori di aggregazione sociale; la trasformazione
strutturale del mercato e l’introduzione delle nuove tecnologie di comunicazione.
La possibilità, per l’impresa, di rinnovarsi all’interno di un contesto così complesso è connessa alla ricerca di una maggiore efficienza e all’adozione di un nuovo modello organizzativo, perseguibile nella trasformazione dello schema competitivo. Dalla guerra di posizione si passa
alla guerra di movimento; dal marketing oriented al business oriented.
La forza di penetrazione di un messaggio sarà sempre più collegata alla
sua sintonia con le esigenze del singolo ricevente e alla sua capacità di
articolarsi su livelli diversi di informazione.
174
Il tempo dei messaggi ad ampio raggio, indirizzati a vasti gruppi segmentati su parametri “larghi”, come quelli sociodemografici, è praticamente concluso. Il ruolo interattivo, che le nuove tecnologie assegnano
all’individuo, preme nella logica della personalizzazione e della profondità del messaggio.
Il libro si conclude con le opinioni di Giancarlo Salina sui fattori determinanti per il successo delle imprese di domani; di Franco Tatò sul rapporto tra rivoluzione tecnologica e rivoluzione individuale e di Alberto
Contri, secondo il quale, una volta sbollito l’entusiasmo per le nuove
tecnologie, a trionfare sarà il contenuto.
Brano scelto
Il cambiamento non è puramente estetico o di terminologia. E’ di sostanza. Poniamo il caso che per un’impresa il problema principale sia la difesa della quota di mercato dagli attacchi di un concorrente. Il marketing
tradizionale agirebbe rinforzando i suoi strumenti: una ricalibratura del
prezzo, un packaging nuovo e accattivante, incentivi al trade, un’aumentata pressione pubblicitaria, una vigorosa azione promozionale.
Per un’impresa business oriented tutte queste sono variabili di secondo
livello. Prima di decidere se investire risorse negli strumenti di marketing, ci si chiederà innanzitutto se, in termini economici, valga la pena
di difendere la quota di mercato o se, ad esempio, non sia di maggior
beneficio per l’impresa diversificare l’offerta, entrando in un nuovo settore di mercato (pag. 57).
Majello Carlo, L’arte di parlare in pubblico. Guida pratica per esprimersi
meglio e capirsi di più, Milano, Paoline 1997, pp. 280 ISBN 88-315-1369-9
I generi letterari della Bibbia sono così diversi tra loro perché rispondono ai criteri retorici propri dei diversi periodi nei quali i libri si sono
formati e lo sviluppo delle scuole di oratoria sacra dimostra quanto fosse avvertita l’esigenza di utilizzare metodologie rispondenti all’evolversi delle culture, al fine di realizzare l’obiettivo della comunicazione e,
cioè, farsi capire.
175
Il problema della comunicazione si è posto e si pone, dunque, anche nei
confronti dei fedeli e il pulpito, a seconda dell’impostazione, dei contenuti, delle modalità e della lunghezza della predica, può rivelarsi più o
meno idoneo alla trasmissione di certi valori.
Partendo da queste considerazioni Carlo Majello analizza, in maniera
chiara e discorsiva, ricca di aneddoti e riferimenti, cosa occorre fare per
esprimersi meglio e capirsi di più.
Ma se la comunicazione legata alla trasmissione di valori religiosi è alla base del testo, tuttavia L’Arte di parlare in pubblico non si rivolge esclusivamente agli uomini di chiesa ma a quanti, manager, docenti, politici, conferenzieri, si trovino a dover dire qualcosa, in un determinato contesto, ad un
gruppo composito di persone, genericamente etichettato come pubblico.
La conoscenza dell’argomento da sviluppare rappresenta una condizione
necessaria ma non sufficiente per il successo della comunicazione; ad essa va aggiunta la conoscenza dei destinatari: solo un messaggio mirato
sulle esigenze del pubblico è in grado di soddisfarne le aspettative.
Dal pensiero di Seneca alle tattiche proprie del dibattito televisivo; dagli esercizi per una corretta modulazione della voce alla elaborazione
delle mappe mentali; dalle citazioni di Dostoevskij, Gandhi, Padre Mariano e Pavarotti fino agli orientamenti attuali dell’Accademia della
Crusca, questa guida pratica offre una grande quantità di spunti e di
suggerimenti e, per finire, un decalogo. Quello del buon oratore.
Brano scelto
Una delle tecniche che ho sperimentato soprattutto come giornalista è
quella denominata “della piramide”: stabiliti quali sono gli argomenti
più importanti che vogliamo illustrare, disegniamo mentalmente o sulla
carta una piramide, dividendola in tanti blocchi quanti sono i fattori essenziali che descriveremo.
Diamo ad essi un certo ordine: mettiamo siano quattro. Al vertice piazzeremo il fatto principale e, a mano a mano che scendiamo verso la base, sistemeremo gli altri tre blocchi contenenti le restanti informazioni.
Il motivo per cui collochiamo al vertice il fatto più importante è il seguente: in ogni ascoltatore la curva dell’attenzione si abbassa con facilità, dopo un primo sforzo iniziale (pag. 143).
176
Malizia Pierfranco, Parola e Sistema, Roma, Bulzoni 1993, pp. 157
ISBN 88-7119-547-7
Un saggio sulla comunicazione e sull’organizzazione, che parte in sordina, con il garbo dell’approccio didattico e divulgativo nei confronti di
un fenomeno complesso e che, strada facendo, illustra e analizza, sempre più dettagliatamente, ruolo, significato e modalità della comunicazione d’impresa.
Il tema è affrontato all’interno di specifici contesti. Sociologia, antropologia culturale, semiologia, psicologia, psicolinguistica, teoria dei giochi e pedagogia sono le prospettive di inquadramento che danno ragione della pervasività e della complessità della comunicazione. Seguono
poi le diverse tipologie di analisi: transazionale, sociometrica, relazionale e categoriale. Si arriva così all’organizzazione come sistema e, infine, alla comunicazione e organizzazione, la cui trattazione interessa
più della metà del testo.
Le tipologie della comunicazione organizzativa, gli stili direzionali, la
leadership, l’analisi degli scenari delle comunicazioni interne sono affrontati con ricchezza di riferimenti e i rinvii e le citazioni, da E. Auteri
a P. Del Castillo a P.L. Amietta, consentono di inquadrare il dibattito
all’interno di un panorama che, se a detta dell’Autore, non ha pretese di
esaustività, si presenta indubbiamente vasto e stimolante.
Dalle oscillazioni etimologiche del “cum moenia” e “communis agere”,
che inducono ad individuare nella definizione iniziale del termine comunicazione il “processo sociale condiviso in un insieme sociale definito”, al questionario sulla comunicazione nelle organizzazioni, Parola e
Sistema di P. Malizia si presta ad essere definito un testo base e, contemporaneamente, un testo avanzato.
Brano scelto
Concludiamo questo sintetico iter della comunicazione organizzativa con
D. Romano e R. Felicioli i quali in un loro recente saggio affermano che
“La comunicazione interna (ma a questo punto sembra più opportuno
parlare di comunicazione tout court) non è quindi un aspetto marginale
della vita organizzativa, né un semplice supporto all’attività di governo
177
dell’azienda, ma assume il rilievo e la centralità di una risorsa strategica”. Una risorsa il cui ruolo è quello di garantire al sistema aziendale l’equilibrio fra le tensioni del cambiamento e l’esigenza della stabilità.
La comunicazione aziendale è sempre e comunque inducting, risponde
cioè a precisi obiettivi di manipolazione e cambiamento degli atteggiamenti, delle idee, dei criteri di valutazione, dei comportamenti dei gruppi
sociali (interni o esterni all’azienda stessa) ai quali è diretta (pag. 98).
Marziantonio Roberto, Comunicazione & processi di miglioramento.
La cultura d’impresa come processo di scambio, Milano, G&M Strategia d’Immagine 1997, pp. 170
Comunicazione come possibilità di guidare il progresso in una direzione positiva.
Solo mettendo in comune le conoscenze in favore della collettività sarà
possibile superare la dissonanza tipica del mondo moderno, dove l’individuo, singolarmente, subisce il peso di un sapere che va oltre le sue capacità di elaborazione e di acquisizione.
Queste considerazioni, che sono di carattere generale, consentono, se applicate alla comunicazione d’impresa, il perseguimento dell’eccellenza.
Comunicazione & processi di miglioramento è l’argomentazione, chiara
e articolata, del ruolo, del significato e delle potenzialità della comunicazione d’impresa. E’, soprattutto, il riconoscimento della centralità
dell’individuo e della sua valenza strategica. E’, anche, l’illustrazione
di esperienze, quali il progetto pilota di “Comunicazione Responsabile
con il Territorio” - CO.RE - che ha fatto, della comunicazione, il punto
focale dell’impostazione e della realizzazione di un programma rilevante per il territorio come quello dell’emergenza dei rifiuti solidi urbani.
Altre indicazioni significative scaturiscono dalla ricerca condotta in tre
Paesi europei considerati all’avanguardia sul piano della comunicazione
bancaria.
I modelli tedesco, francese e inglese, ognuno nella propria specificità,
esprimono sostanziali convergenze a livello di comunicazione.
178
Alle testimonianze l’Autore aggiunge, infine, le proposte: quella del
Progetto di miglioramento della comunicazione, delineato negli obiettivi, negli strumenti e nelle modalità operative e quella del Bilancio sociale, indispensabile per ogni impresa interessata a verificare le proprie
assunzioni di responsabilità sociale.
In Appendice “Il modo nuovo di comunicare la qualità globale della
cultura d’impresa”, modello di Bilancio sociale elaborato da Strategia
d’Immagine per conto dell’Istituto Europeo per il Bilancio sociale.
Brano scelto
Ci sono, ovviamente, delle criticità. Molteplici, gravi, a più livelli. A livello culturale la più macroscopica: è carente la cultura del confronto,
della messa in comune dell’informazione per farne oggetto di scambio,
di conoscenza, di rendiconto e di arricchimento insieme.
C’è - come è naturale e comune in gran parte di un management formatosi
su modelli di erogazione unidirezionali, prescrittivi e autoritari - la confusione tra informazione, promozione, propaganda e comunicazione (pag. 47).
Marzocchi Gian Luca, Strategia d’impresa e tecnologie dell’informazione, Bologna, Clueb 1991, pp. 233
Quando il ricorso alle tecnologie dell’informazione consente di modificare il prodotto di un’impresa, o le sue modalità di competizione, si è in
presenza di un utilizzo strategico del Sistema Informativo. A differenza
del Sistema Informativo tradizionale, la cui adozione è legata alla soluzione di problemi strettamente operativi, quella del Sistema Informativo Strategico comporta l’individuazione di uno stretto collegamento tra
le politiche globali dell’impresa e la gestione delle risorse proprie del
Sistema Informativo. A questo approdo si è giunti attraverso quelle che
l’Autore definisce vere e proprie ere:
• la prima, “Accounting”, risale agli anni ‘50-’60. L’automatizzazione
riguarda le attività amministrative della contabilità generale, delle paghe, della gestione delle fatture;
179
• anni ‘60-’70, era dell’“Operation”. La disponibilità di elaboratori capaci di operare in tempo reale consente l’accesso a informazioni determinanti per il ciclo produttivo. La gestione delle scorte e la raccolta e l’elaborazione degli ordini rendono evidente la necessità di coinvolgere il management nella lettura e nell’utilizzazione delle informazioni acquisite;
• anni ‘70-‘80, o era dell’“Information”. Il reperimento di dati e informazioni, facilitato dallo sviluppo di strumenti hardware e software, accentua l’esigenza manifestatasi nell’era dell’Operation. E’ la dimensione
decisionale dell’utilizzo delle informazioni che fa la differenza;
• fase attuale o “Wired Society”. Il Sistema Informativo continua a
svolgere quelle funzioni di supporto che ne hanno caratterizzato le origini, ma compie, contemporaneamente, un salto di qualità. Diventa
infatti strumento di realizzazione di nuove strategie d’impresa.
La possibilità di esprimere appieno queste potenzialità trova il suo maggiore ostacolo nella difficoltà del top management di riconoscere alle risorse informatiche un ruolo che non sia esclusivamente operativo. La
mancanza di familiarità con le tecnologie di informazione e la minimizzazione del loro ruolo, a difesa e affermazione della propria specifica
professionalità è l’atteggiamento più diffuso, come dimostrano le tante
ricerche condotte.
Per uscire dall’impasse occorre favorire una serie di mutamenti culturali attraverso la rifocalizzazione, la fertilizzazione e la riqualificazione. Il
futuro è nell’affermazione e nello sviluppo di una doppia cultura, insieme tecnica e gestionale e, quindi, ibrida.
Brano scelto
(...) i mutamenti culturali atti a favorire l’emergere di una nuova concezione del ruolo aziendale dell’IT non possono che in misura parziale essere affidati ad un approccio formativo basato su strumenti tradizionali
quali corsi e seminari.(...) Le due figure chiave di ibrido e di leader, in
particolare, possono compiutamente svilupparsi solo al termine di un
percorso di apprendimento pluriennale non legato a logiche formative
classiche, quanto invece ad una esperienza di campo vissuta in modo
diretto e continuato (pag. 215).
180
Mattelart Armand, La comunicazione mondo, Milano, Il SaggiatoreEditore 1997, pp. 416 ISBN 88-428-0576-9
E se la globalità fosse un prét à porter ideologico? E’ un rischio che Armand Mattelart non vuole correre, per questo intitola il suo libro La comunicazione mondo.
Il concetto di mondo evoca diversità, varietà, complessità; tutti aspetti
esclusi, sorvolati o comunque non considerati dal concetto di globalità,
di per sé unificante, onnicomprensivo e totalizzante.
E il titolo diventa così la chiave di lettura di un’opera complessa e affascinante nella sua problematicità.
La comunicazione è un modo di organizzazione del mondo, è fatta di
“rapporti di forza simbolici e materiali” che si esplicano a ogni livello e
tra livelli diversi, con diversi effetti e diverse modalità.
Ne consegue, più che l’esigenza, la necessità di rimettere in discussione
il concetto di comunicazione legato ai mass media, oscillante tra chi attribuisce ai media un potere mitico e chi si sforza di relativizzarne il potere fino a dissolverlo nel principio della sovranità assoluta del consumatore, capace di autodeterminazione nelle scelte.
Una carrellata storica e tematica, ricca di stralci e citazioni, affronta il
problema dell’origine della comunicazione internazionale e la individua
nelle interconnessioni che si sono prodotte tra la guerra, il progresso e
la cultura, nello sviluppo delle loro manifestazioni successive, nei loro
flussi e nei riflussi. Nel passaggio dalle “miserie della conquista” ai
“benefici della pace”.
C’è poi l’analisi delle soluzioni tecniche: telegrafo, cavo sottomarino,
telefono, ferrovia, fino al satellite, nell’ottica della loro partecipazione,
passata e presente, alla comunicazione internazionale.
E c’è il susseguirsi delle teorie: informazione, propaganda, guerra psicologica, disinformazione, modernizzazione, interdipendenza, globalizzazione, per non citarne che alcune.
Quel che preme all’Autore è sollecitare la riflessione sul contesto storico e sociale che è all’origine delle diverse teorie e sugli effetti che queste teorie hanno prodotto e producono.
181
Alla base sta la convinzione che solo la riabilitazione delle “reti sociali”
potrà rendere possibile un utilizzo delle “reti tecniche” in grado di affrontare i grandi temi esclusi dal mito egualitario della globalizzazione:
dalla droga, al razzismo, al debito estero, all’agricoltura sostenibile.
Brano scelto
(...) il lettore o l’autore di una storia internazionale possono sfuggire agli etnocentrismi di ogni genere che li insidiano? Che equivale a chiedersi: partendo da quale territorio socialmente e storicamente dato si
può parlare del fenomeno all’alba del terzo millennio? Difficile schivare la domanda in un periodo in cui taluni celebrano il quinto centenario
della “scoperta” dell’America da parte di Cristoforo Colombo o l’“incontro di due mondi”, mentre altri, a proposito dello stesso evento,
commemorano il quinto centenario della “nascita di un sistema storico
di ingiustizia” e rendono omaggio alla memoria delle vittime di “uno
dei più grandi genocidi e dei più sistematici saccheggi della storia umana” (pag. 381).
Montironi Marina, Coppari Matteo, Capitale umano e imprese di servizi.
Empowerment e valorizzazione delle persone come fattore chiave per il
successo, Milano, Il Sole 24 Ore 1997, pp. 104 ISBN 88-7187-825-6
L’adozione di tecnologie sofisticate non è, di per sé, motivo sufficiente
a decretare il successo di un’impresa.
Sono le persone l’unica, vera e insostituibile variabile strategica. Persone, e non risorse umane, connotazione strumentale ancora molto diffusa
che considera gli individui alla stregua di altre risorse, tecniche, organizzative o finanziarie. Persone, e non personale, che annulla, nella sua
genericità, l’unicità dell’individuo.
Solo mettendo le persone in condizione di esprimere le proprie capacità, autonomia decisionale e creatività un’impresa può risolvere i problemi che si trova ad affrontare.
E questo vale per l’impresa in generale, indipendentemente dalla natura
182
della sua produzione, anche se è nelle imprese di servizi che la centralità delle persone si manifesta in tutta la sua evidenza.
Sono le persone, infatti, che realizzano il servizio attraverso il contatto
con il cliente, dando vita a quello che Richard Normann ha felicemente
definito il momento della verità.
Il punto di partenza di Capitale umano e imprese di servizi è che “il
successo e la qualità del servizio siano intimamente legati all’appropriatezza dei modelli di comportamento e di relazione che si stabiliscono
tra cliente e fornitore”.
Si afferma così, ancora una volta, il ruolo della comunicazione, intesa
specificamente come processo di esplicitazione dei modelli attesi al fine
di favorire indispensabili processi di identificazione.
Dopo una panoramica sul dibattito in materia di servizi e l’illustrazione
degli elementi caratterizzanti, individuati nel 1977 da Shostack nell’intangibilità, inseparabilità, eterogeneità e peribilità, il testo si sofferma
sulla rilevanza del front-office nel processo di servizio; analizza il rapporto tra qualità di servizio e comunicazione e le interrelazioni/interferenze tra qualità tecnica, organizzativa e relazionale. Si vedrà, in seguito, come sia proprio quest’ultima ad attivare le dimensioni tecnica ed
organizzativa.
Le argomentazioni teoriche sono quindi suffragate dalle esperienze di
alcune grandi aziende, italiane e statunitensi, alcune pubbliche altre private, operanti ognuna in settori differenti ma accomunate dal filo rosso
di una strategia volta ad esaltare la centralità delle persone.
Brano scelto
Se si vuole essere efficaci, bisogna produrre servizi che incontrino il più
possibile le necessità di ogni singolo cliente. Se, invece, si vuole essere
efficienti bisogna produrre servizi che siano confacenti a tutti i clienti.
La progettazione del front office dovrà tener conto dell’equilibrio tra
standardizzazione delle operazioni e aspettative individuali del cliente.
Il diverso modo di disegnare il sistema ha certamente degli effetti diretti sulla gestione delle persone all’interno dell’impresa di servizi
(pag. 21).
183
Murialdi Paolo, Il giornale, Bologna, il Mulino 1998, pp. 116 ISBN 8815-06388-9
Sopravviverà? Con questa domanda, quanto mai in medias res, Paolo
Murialdi introduce il lettore nel mondo della carta stampata. Un mondo
complesso, anzi, turbolento, per la vastità e diversità di interessi che
coinvolge, all’interno del quale il giornale affronta “quotidianamente”,
nel senso letterale del termine, battaglie su battaglie.
Salutato come strumento di libertà, destinato indiscutibilmente ad entrare in ogni famiglia, il quotidiano fu inserito, per questo suo scontato futuro di progresso, nel paniere dei beni di largo e generale consumo per
il calcolo della scala mobile. Nel ‘97, con 105 copie ogni mille abitanti,
l’Italia si colloca al terz’ultimo posto nella graduatoria europea, seguita
dalla Grecia e dal Portogallo.
Questa scarsa predisposizione alla lettura, che è comunque cronica, oggi è ulteriormente minacciata, all’interno della Società dell’informazione, dal proliferare delle nuove tecnologie di informazione e di comunicazione, le cui prime vittime, in termini di lettori perduti dai quotidiani,
sono - a livello mondiale - i giovani fino a 24 anni. Tradotto in percentuale il dato è impressionante; supera infatti l’11% del totale. Ma cos’è
un giornale? Lo specchio della realtà? Con riserva, avverte l’Autore, e
ne ripercorre l’evoluzione, dalle prime formulazioni alle caratterizzazioni attuali, compreso il fenomeno delle promozioni, volte a interessare i lettori sul piano del marketing piuttosto che su quello dell’informazione. Ma c’è ancora molto in questo piccolo libro. C’è l’analisi del
quotidiano d’informazione e di quello di tendenza; una panoramica sulla proprietà e sulle catene, i quotidiani sono 106, le aziende che li detengono molte di meno; c’è, anche, il salto in redazione, anzi in due; il
confronto di alcune testate in uno stesso periodo e tanti punti interrogativi, sulla professione giornalistica, sull’obiettività, sulla deontologia. E
una risposta. A quel “sopravviverà” dell’inizio.
Brano scelto
Sotto le spinte della crisi, di fronte a un futuro pieno di incertezze, la
mappa dei quotidiani italiani è cambiata e cambierà ancora. Non tanto
184
per numero di testate - almeno fino alla fine del 1997 - quanto nei tratti
qualificanti. I grandi quotidiani diventano più grossi, seguendo tendenze da supermarket, gli intermedi cercano di tenere il passo dopo aver
perduto più copie degli altri (fino all’8% nel 1995) Tra i locali, alcuni
appaiono ben radicati nella loro zona ma non pochi sono in difficoltà
perché frutto di iniziative avventurose (pag. 29).
Olivi Bino, Somalvico Bruno, La fine della comunicazione di massa.
Dal villaggio globale alla nuova Babele elettronica, Bologna, il Mulino
1997, pp. 446 ISBN 88-15-05754-4
Il concetto di internazionalizzazione è collegato al ruolo, o meglio, al
peso, formale e materiale, dei confini geografici e politici. Il concetto di
globalizzazione va oltre, fagocita le frontiere e crea, nel contempo, ulteriori sbarramenti, destinati a ghettizzare le fasce economicamente e culturalmente marginali che pure sono presenti all’interno delle società avanzate e quelle che, complessivamente, rappresentano un terzo dell’intero pianeta: i poveri.
La sfida della comunicazione globale arriverà a rappresentare una rivoluzione sconvolgente per l’umanità perché, per dirla con le parole del
primo Ministro francese Balladur, “le ramificazioni delle telecomunicazioni costituiscono ormai il sistema nervoso delle nostre società”.
La fine della comunicazione di massa è l’analisi, spietata perché puntuale, di quello che significa ma, soprattutto, di quello che può significare la rivoluzione digitale, che si fonda sulla trasformazione dei segnali in numeri e sulla loro compressione, che ne aumenta la capacità di
trasmissione.
Le aree attualmente separate dell’editoria, della radio, della televisione,
del telefono e del computer convergeranno. E il servizio televisivo, da
generalizzato diventerà individuale, su misura, o per piccoli gruppi di
utenti, accomunati da identici interessi.
La comunicazione di massa, prima tra tutte quella televisiva, è destinata
a scomparire. La televisione a pagamento sta già introducendo nuove
185
disuguaglianze, favorendo gruppi economicamente privilegiati, con la
fornitura di servizi di intrattenimento e di informazione. Cosa succederà in un futuro che è già alle porte?
C’è ancora spazio per il servizio televisivo pubblico?
Quando le nuove tecnologie incidono profondamente sull’organizzazione del lavoro, quando la parola d’ordine è flessibilità - e di conseguenza
il lavoro dipendente ha davanti a sé solo la prospettiva della contrazione
crescente - c’è ancora spazio per la sicurezza sociale?
La sensazione è che si sta andando, ma non si capisce dove.
La rilevanza degli argomenti, la ricchezza delle informazioni e il peso
degli interrogativi sollevati da Bino Olivi e Bruno Somalvico non sopportano di essere costretti in un abstract.
Un grande libro. Per tutti coloro che sono interessati a domandarsi dove
stiamo andando. E per tutti coloro che possono influire su questa
direzione.
Brano scelto
Solo di una cosa vi è ormai perfetta certezza, e cioè appunto della violenza che il progresso tecnologico inarrestabile sta producendo nella vita sociale dei Paesi più avanzati, sconvolgendo altresì le ipotesi e le teorie dello sviluppo di gran parte del mondo arretrato. Perciò è corretto
parlare ormai di globalità dei mutamenti in corso, perché ormai il mondo intero è coinvolto, anche perché la natura stessa delle tecnologie della comunicazione pretende un’applicazione planetaria delle innovazioni, che in modo più o meno intenso o profondo hanno conseguenze che
non risparmiano nessuna parte del globo (pag. 420).
Pasquale Lucio, Caro cliente. Comunicazione diretta con la clientela,
Bologna, Lo Scarabeo 1993, pp. 192
Tante piccole tessere che formano, tutte insieme, un mosaico.
Caro cliente è costruito così. Il tono colloquiale e il frequente ricorso a
episodi, vissuti dall’Autore nella sua lunga esperienza di consulente e
186
formatore, rendono gradevole la lettura di un testo teso a oggettivare situazioni, comportamenti e modi di fare che, in quanto abitudinari, tendono a non essere analizzati.
Gli spunti di riflessione sono davvero tanti: dopo una panoramica sul significato e sulle modalità della comunicazione e sulla sua evoluzione,
chi è interessato all’arte della vendita trova in questo libro un vero e
proprio vademecum.
Ma il libro è destinato a tutti perché, spiega l’Autore, ognuno di noi,
quando comunica, “vende” le proprie idee, la propria immagine, la propria credibilità.
Ed è destinato a tutti anche per un altro motivo: perché tutti siamo
clienti. E, nei panni del cliente, è divertente riflettere su messaggi del tipo “è severamente vietato sedersi” che fanno bella mostra di sé sui divani di un mobiliere.
E’ arduo acquistare un divano senza provarlo; e anche il “severamente”
cosa vorrà dire? Che saremo picchiati, maltrattati, multati? Tanto varrebbe scrivere “vietato comprare”.
Brano scelto
Le regole tecniche e psicologiche di un processo comunicativo convergono nell’obiettivo primario di coinvolgere e persuadere gli altri. Essendo delle vere e proprie armi possono essere utilizzate con fini positivi o negativi.
Fino ad oggi la comunicazione commerciale aveva l’unico scopo di vendere il prodotto.
Nella filosofia del marketing, che accomuna gli interessi del cliente e
quelli del venditore, lo scopo resta pur sempre la vendita, ma solo se si
ha il prodotto in grado di soddisfare le esigenze del cliente. Come dire
che, se non si dispone del prodotto in grado di assolvere a questo compito, occorre anche saper rinunciare alla vendita (...).
(...) anche l’azione persuasiva della comunicazione deve perseguire gli
stessi obiettivi di conquista permanente e di mantenimento del cliente,
non della vendita fine a se stessa (pag. 81).
187
Pasquale Lucio, Imago. Codice d’immagine personale e aziendale, Bologna, Editrice Lo Scarabeo 1996, pp. 167
Un manuale di comportamento aziendale, quasi un galateo, che analizza, nella prima parte, gli elementi che concorrono a formare l’immagine
personale e, nella seconda, l’immagine aziendale.
Situazioni lavorative di tutti i giorni - il rapporto con i colleghi, con i superiori, con i clienti - sono esaminate con la lente d’ingrandimento dei valori
che ne sono o potrebbero esserne alla base per produrre effetti positivi.
Si avverte la tensione “etica” dell’autore, che diventa indignazione, nei
casi in cui vengono meno la correttezza, l’educazione, o il rispetto per
gli altri.
Sotto questo profilo Imago non risparmia nessuno; ce n’è per i dipendenti - è il caso dell’analisi sull’abuso delle telefonate personali - e ce
n’è per i vertici, quando, magari a parole, sono fautori del coinvolgimento e della partecipazione e poi dimenticano di motivare perché una
proposta non è stata accolta, tingendo di frustrazione un tentativo di
collaborazione.
Ma non mancano, e non potrebbero mancare in un testo che ha valenza
educativa, i modelli di riferimento positivi.
L’idea di fondo che permea Imago è che “le grandi cose sono fatte di
piccole cose ben fatte”.
Brano scelto
Un alto dirigente dovrebbe avere la non facile qualità di essere al di sopra
delle parti, così da decidere in tutta serenità ed obiettività pensando solo a
ciò che è più utile all’azienda nella sua complessità. I suoi veri e più diretti clienti sono i dirigenti e i quadri intermedi e come tali egli deve gestirli, ascoltarli, capirli, guidarli verso la soluzione ottimale per tutti.
Gli Americani hanno calcolato che un dirigente passa mediamente il
sessanta per cento del suo tempo lavorativo ad ascoltare e ciò significa
che più della metà della sua sostanziosa retribuzione è finalizzata alla
sua capacità di ascolto.
Quando, dunque, un capo si mostra stizzito perché troppe persone gli
188
rubano del tempo, dovrebbe ricordare che è pagato anche, o sarebbe il
caso di dire soprattutto, per questo (pag. 89).
Penco Massimo F., Internet e la comunicazione globale, Padova, AriesFranco Muzzio Editore 1997, pp. 168 ISBN 88-7021-805-8
Telefonare con Internet? Niente più che la dimensione sonora nell’ambito della normale corrispondenza con un altro utente provvisto di un
indirizzo E-mail.
Ma questo solo per il momento. Presto, informa l’Autore, si potrà parlare attraverso Internet, anche con chi, invece del collegamento con la rete, dispone semplicemente di un telefono e magari non possiede nemmeno un personal computer.
Prodigio della tecnologia? No. Tappa, tra tante, dell’inarrestabile e
scontato cammino di successo intrapreso dalle telecomunicazioni.
Internet e la comunicazione globale inizia mettendo in discussione
l’opportunità, nell’epoca della telefonia cellulare, di continuare ad ancorare le tariffe telefoniche al criterio della distanza quando l’adozione
del criterio costo-consumo-tempo rappresenterebbe un parametro molto
più vicino alla realtà attuale.
Dopo un’analisi dei possibili sviluppi della politica dell’intermediazione telefonica e un accenno alle origini della “rete per eccellenza”, il libro si incentra sulle applicazioni più avanzate di Internet; è il caso della
cartolina cybernetica che contiene tutto e tutto insieme: suoni, disegni,
musica, testo e costa non più di un francobollo.
Oltre a schemi, grafici, immagini, indirizzi e glossario, c’è anche, in allegato, un CD-ROM con oltre 20 programmi Explorer 3.02 e Net Meeting in italiano, con relative istruzioni d’uso.
In appendice le modalità di accesso e l’invito ad entrare nella Free World Communications - FWC - il sito predisposto dall’Autore per realizzare “un luogo di incontro per tutti quelli che credono nello sviluppo
pacifico di Internet”.
189
Brano scelto
Il fenomeno delle reti locali nelle medie e grandi aziende e la loro sempre più massiva espansione, il collegamento e la creazione di siti Internet aziendali, sia per uso commerciale, che per l’immagine stessa dell’azienda, avrà come logica evoluzione anche l’uso del telefono, della
video-conferenza e del fax con Internet.
Il telefono con Internet sarà anche in Europa un’ovvia evoluzione, non
solo per abbattere i costi della bolletta telefonica, che già sarebbe sufficiente a giustificare questa scelta, ma anche per un uso più che necessario, vista la disparità dei servizi che la comunicazione telefonica, videotelefonica e fax con Internet può offrire.
Intranet è già una realtà presente in molte aziende, da qui a collegarsi
anche telefonicamente il passo è breve (pag. 53).
Regouby Christian, La comunicazione globale. Come costruire il capitale d’immagine dell’impresa, Torino, ISEDI 1992, pp. 160
Scritto da uno dei più grandi consulenti francesi degli ultimi dieci anni,
con l’obiettivo di chiarire alcuni equivoci, primo fra tutti quello che identifica ed esaurisce la comunicazione d’impresa nel messaggio pubblicitario, La comunicazione globale affronta e analizza il come, il cosa,
il quando e a chi l’impresa comunica.
Il libro si apre con un excursus storico: gli anni Sessanta, propri di una
società fondata sui valori del consumo; gli anni Settanta incentrati sulla
contestazione e i valori liberatori e gli anni dall’Ottanta al Duemila, che
sono quelli di una società che si basa sui valori della comunicazione. Per
ogni periodo l’Autore illustra sinteticamente il modo di essere dell’impresa, dei consumatori e dei professionisti della comunicazione, nell’ordine
che ognuna di queste realtà ha rivestito e riveste nei diversi periodi.
La seconda parte, che ha per titolo “La comunicazione globale: una rivoluzione culturale”, entra nel cuore del problema, analizzando le nuove relazioni che si impongono alle imprese; relazioni la cui novità non
consiste tanto nel loro manifestarsi recente quanto, piuttosto, nella strategicità che recentemente si riconosce al loro ruolo. In un’impresa tutto
190
comunica, di conseguenza ogni espressione dell’impresa è elemento determinante della sua identità.
L’approccio in termini di comunicazione globale richiede che la strategia dell’impresa si articoli costantemente in una prospettiva di coerenza
e sinergia nel contenuto, nella forma, nel tempo e nello spazio.
La sua adozione comporta, per l’impresa, una scelta culturale, dal momento che abbraccia il suo stesso modo di essere, e una scelta politica, perché
determina le direttrici del suo sviluppo; per il consumatore è fonte di referenze, perché l’immagine dell’impresa è identificabile con chiarezza, e
quindi è “accessibile”; per i professionisti della comunicazione è l’assunzione di un impegno etico e la definizione di una nuova professionalità.
Brano scelto
Per esistere e svilupparsi durevolmente, l’impresa deve finalizzare tutti
i suoi messaggi alla costruzione di un vero territorio d’identità e di personalità. Le fondamenta di questo territorio affondano le loro radici nella cultura del gruppo umano che la compone, garante di una memoria
collettiva e di una formidabile energia ancora inutilizzata, o, comunque,
quasi sempre mal utilizzata.
E’ proprio questo, oggi, il vero motore di sviluppo e di conquista per
l’azienda. Attraverso il gruppo umano, la cultura dell’impresa si proietta verso il futuro. I concetti di marca e di prodotto possono in seguito
declinarsi con forza e coerenza (pag. 31).
Richard Storey, L’arte della comunicazione efficace e persuasiva. Le
parole, le frasi, i concetti che convincono, Milano, De Vecchi 1998, pp.
190 ISBN 88-412-5967-1
Persuadere gli altri del valore della propria persona e delle proprie idee.
E’ questa la chiave del successo. E poiché, per fortuna, persuasori si diventa, anche se c’è chi ci nasce, ecco a disposizione una serie articolata
di tecniche, metodi e argomentazioni in grado di consentire, ad ognuno,
di influenzare gli altri.
191
L’arte della comunicazione efficace e persuasiva, scritto da quel guru
della comunicazione che è Richard Storey, è dedicato a “coloro che vogliono lasciare un segno in un contesto competitivo, ottenere una promozione, convincere il proprio capo, la propria famiglia o gli amici, o
guadagnare nuovi clienti”.
Chiaro, brillante, ricco di aneddoti e di test da autosomministrare, il manuale affronta gli aspetti psicologici delle relazioni interpersonali collegandosi alla ricerca junghiana e, in particolare, alle quattro coppie di personalità individuate dallo psicanalista. Da questa analisi e dalla possibilità, per il lettore, di identificarsi in uno specifico tipo psicologico attraverso i test proposti, si arriva alla determinazione degli stili e degli approcci
più idonei alla persuasione. Con l’avvertenza che non c’è un modo, e uno
solo, di realizzare i propri obiettivi; i modi sono tanti e diversi, così come
lo sono gli individui nella loro unicità. Quel che esiste, di comune, è invece una soglia, chiaramente identificata e identificabile, di quel che non è
opportuno fare quando si voglia convincere qualcuno.
Dopo l’individuazione e l’illustrazione degli otto stili di influenza e delle sette fasi del processo decisionale, l’attenzione si sposta ai gruppi e
alle modalità per influenzarli.
L’analisi della comunicazione persuasiva al telefono e le regole per
scrivere in modo vincente concludono il testo che, in appendice, riassume i criteri di scelta dei modelli di influenza in base all’approccio sistematico, morbido o deciso.
Brano scelto
Il rapporto è il lubrificante di tutte le forme di comunicazione. E’ l’abilità d’influenza per eccellenza, più importante ancora della conoscenza
del settore, della consapevolezza del mercato e delle capacità di persuasione.
Una buona relazione olia i meccanismi delle infinite comunicazioni che
abbiamo con altri esseri umani. Dal momento in cui lascia il suo letto a
quello in cui vi fa ritorno, ciascuno di noi è in contatto quasi continuo
con altre persone. E senza un rapporto che spiani l’interfaccia delle comunicazioni quotidiane, si rischia di perdere numerose possibilità d’influenza (pag. 63).
192
Santucci Umberto, Multimedia e Comunicazione d’impresa, Milano,
Sperling & Kupfer Editori 1997, pp. 242 ISBN 88-200-2425-X
Ogni manuale che si rispetti deve fornire istruzioni per l’uso. Le istruzioni devono essere chiare, altrimenti non istruiscono; e di diretta applicazione, altrimenti non servono.
Multimedia e comunicazione d’impresa risponde pienamente a questi
requisiti e, anzi, li travalica. Infatti, a fine lettura, l’impressione generale, tanto per restare nei termini, è quella di possedere una vera e propria
chiave di accesso.
Con questo libro Umberto Santucci consegna una password: l’esplorazione del fenomeno multimediale, delle sue applicazioni e dei possibili
sviluppi, e la rilevanza del processo comunicativo di un’impresa che, al
pari degli individui “non può non comunicare”, si collocano come punti
di riferimento e di arrivo di un inscindibile cammino di sviluppo. Non
c’è la multimedialità da una parte e la comunicazione d’impresa dall’altra: c’è un modo di essere vincenti.
E l’esistenza di zone d’ombra, che certo non mancano, deve, prima di
tutto, ricordarci che l’ombra c’è in quanto c’è la luce.
Diviso in due parti, una più breve, relativa ai problemi generali, l’altra agli aspetti pratici, il libro è fruibile in base alle esigenze. Tanto che l’Autore invita chi non ha molto tempo e vuole subito utilizzare le indicazioni
operative, ad andare direttamente alla seconda parte del manuale.
Gli strumenti di lavoro ci sono tutti, e per tutte le situazioni; ad esempio,
per la comunicazione esterna, il testo illustra lo schema di pianificazione
strategica, il project management al computer, il time table o diagramma
di Gantt, le caratteristiche del medium, la tabella costo-contatto e costorisultato e la tabella di analisi dei costi della comunicazione.
Infine, per saperne di più, l’Appendice n. 1 affronta le problematiche
connesse al riconoscimento giuridico delle professioni legate alla comunicazione e fornisce un elenco delle relative associazioni, mentre
l’Appendice n. 2, incentrata sulla formazione alla comunicazione, indica le scuole e le università che operano in quest’area.
Il testo si conclude con un glossario.
193
Brano scelto
Le organizzazioni aziendali o burocratiche sono strutturate come una piramide o come una serie di alberi che da livelli bassi man mano salgono
a livelli alti, fino a convergere nella direzione generale. Le nuove tecnologie dell’informazione rompono questi schemi e li trasformano in una
struttura a rete, dove ogni nodo, rappresentato da una persona, da un ufficio, da un nucleo produttivo è collegato con altri nodi a formare una
griglia complessa e mutevole a seconda delle esigenze del momento.
Nella piramide sono importanti i vertici. Nella rete sono importanti i nodi.
(...) Nella piramide, o nell’albero, la struttura è rigida e a essa si devono
adattare le persone che vanno a occupare certi posti. Nella rete la struttura è fluida e dipende dalla capacità personale di attivare collegamenti
con altri nodi significativi (pag. 62).
Schulz von Thun Friedmann, Parlare insieme. La psicologia della comunicazione, Milano, Tea Pratica 1997, pag. 244 ISBN 88-7818-079-3
La comunicazione ha assunto, ormai da anni, una notevole importanza
in ambito psicologico e psicoanalitico, ponendo l’accento sull’importanza, per l’individuo, di essere sempre e comunque all’altezza nel comunicare con gli altri.
Spesso, infatti, se non sempre, ogni equivoco, ogni malinteso della vita
quotidiana in ambito lavorativo, familiare o affettivo dipende dalle nostre difficoltà nell’approccio con gli altri.
Questi “corto circuiti” comunicazionali possono trovare la loro origine
nell’infanzia, o più generalmente nel background di ognuno e fondamentale è risolverli per una migliore qualità delle relazioni interpersonali.
L’analisi e la comprensione del significato pieno del messaggio come elemento che racchiude in sé non soltanto l’appello oggettivo che si rivolge ad una o più persone, ma anche la rivelazione di sé e la relazione,
ovvero la modalità del rapporto che ci lega alla persona a cui ci rivolgiamo, è fondamentale per riuscire a comprendere dove andare a cercare il “circolo vizioso” di un’errata comunicazione.
194
L’Autore, prendendo in esame le teorie dei più grandi studiosi della materia, Adler, Rogers, Cohn, Mandel, parla di circolarità del processo comunicativo. In altre parole non è da ricercare il colpevole e la vittima di
un’errata comunicazione perché ognuno degli attori è allo stesso tempo
“colpevole” e “vittima”. Operazione di capitale importanza che ogni individuo dovrebbe svolgere è quella, antica e proverbiale, del “conosci
te stesso” come leva fondamentale per conoscere e poter comunicare
con gli altri.
La soluzione è costituita dalla metacomunicazione, ovvero dalla possibilità che ogni individuo ha in sé di affinare la capacità di discutere e di
analizzare con l’interlocutore i motivi del fallimento comunicativo.
Il testo fornisce la possibilità di un approccio semplificato e piacevole a
questo tipo di tematiche, presentando anche esercizi da eseguire in
gruppo, in coppia o semplicemente da soli. L’Autore, infatti, non prescinde dall’analisi, se pur breve, della fondamentale teoria della Gestalt.
Brano scelto
La visione della teoria sistemica, che dedica maggiore attenzione alla
relazione tra gli elementi che alle caratteristiche degli elementi stessi,
approda infine alla circolarità, ovvero all’affermazione di un’influenza
reciproca, nella quale non c’è inizio, ma soltanto una preferenza arbitraria per un’interpunzione. Di conseguenza viene a cadere la visione moralistica della ragione o del torto (pag. 74).
Si dimostrerà come l’appello “Sii te stesso” può essere ascoltato soltanto
se il mittente riesce innanzitutto a rivelarsi davanti a se stesso. In altre parole: per consentire agli altri un accesso verso di me, devo prima trovare
io l’accesso a me stesso e imparare a farlo una volta per tutte (pag. 83).
Spencer Lyle M. Jr., Il reengineering delle risorse umane. Riorganizzare la direzione del personale, Milano, Il Sole 24 Ore 1997, pp. 312 ISBN 88-7187-797-7
L’opera di Spencer, del quale Il reengineering delle risorse umane rappresenta l’edizione italiana, è l’argomentazione, convinta e appassiona195
ta, di un nuovo modello di organizzazione del lavoro che, soprattutto
negli Stati Uniti, ma non solo, punta al superamento del modello gerarchizzato tipico della fase industriale della società.
Il contesto culturale è quello dell’era della responsabilizzazione o empowerment age, che rifiuta, demonizzandolo, tutto ciò che sa di burocrazia, controllo ossessivo, mansionismo e funzioni.
L’era della responsabilizzazione contempla spazi di autonomia, di progettazione, di creatività, di varietà, di complessità (e anche molti licenziamenti).
Ma cos’è il reengineering o ri-ingegnerizzazione? Un ripensamento radicale, una reimpostazione drastica del processo di business, in grado di
consentire il raggiungimento di risultati incredibili sul piano dei costi,
della qualità e del servizio, grazie all’adozione di tecnologie informatiche d’avanguardia.
Sono queste tecnologie, infatti, a rendere possibile il miracolo.
Del resto, è noto che per aumentare le entrate esistono sostanzialmente
due metodi: il primo è quello della riduzione dei costi, il secondo consiste nell’aumentare i ricavi, ed è un po’ più complesso.
La riduzione dei costi, propria del reengineering, secondo uno studio
relativo a un campione di aziende statunitensi pubblicato dal Personnel
Journal del luglio ‘94, consente, ma in media, un risparmio del 58%
con una riduzione di organico del 67%.
Il libro anticipa le meravigliose opportunità che saranno offerte dall’inarrestabile progresso delle tecnologie informatiche e illustra, passo per
passo, quello che sta succedendo e quello che occorre fare per realizzare traguardi economici rilevanti. Certo, c’è un problema: quale sarà la
fine dei dipendenti licenziati in seguito al reengineering?
L’amministrazione Clinton attualmente (1995) sta attivando un’ampia iniziativa di ricollocamento dei lavoratori, grazie al ricorso a tecnologie
informatiche d’avanguardia.
Brano scelto
Il prezzo del progresso
Il reengineering dà alle aziende una nuova efficienza e toglie l’impiego
ai lavoratori.
196
Secondo alcune stime, il reengineering porterà all’eliminazione di 25
milioni di posti di lavoro sui 90 milioni circa di posti attualmente esistenti nel settore pubblico...
Il reengineering del lavoro potrebbe rivelarsi un fenomeno esteso e
sconvolgente quanto la Rivoluzione industriale.
“Wall Street Journal”, 16 marzo 1993 (pag. 283).
Volli Ugo, Il libro della comunicazione, Milano, Il Saggiatore 1994, pp.
312 ISBN 88-428-0215-8
Indipendentemente dalle etichette e dalle definizioni, la comunicazione
sembra, oggi, l’unico modo di essere.
Esiste solo chi o ciò che comunica. Non comunicare significa, praticamente, non esistere. E questo vale anche nei confronti di chi o di ciò di
cui non si parla.
Ne consegue che chi o ciò che è in grado di comunicare con forza e precisione esiste più degli altri; prevale.
La comunicazione, a differenza di quanto emerge dal modello jakobsoniano, è qualcosa di molto complesso e per niente lineare. Non a caso
questa impostazione, che ha costituito il punto di partenza di tanti studi,
appare a dir poco semplicistica già in relazione a quanto ognuno di noi
sperimenta quotidianamente.
La comunicazione, intanto e fuor di dubbio, è “l’ambito in cui diventa
possibile la menzogna”. Non c’è comunicazione che sia indipendente
dalla possibilità di manipolazione.
Lanciato l’avvertimento, Il libro della comunicazione smonta, con sistematicità, lo schema di Jakobson attraverso l’enunciazione di sei differenti concetti di comunicazione. E va avanti, alla stregua di un inventario enciclopedico, con l’analisi delle idee, dei metodi, delle teorie, delle
aspettative e dei problemi, sorti negli ambiti disciplinari più diversi, attorno alla comunicazione.
Non vi è, in quest’opera, una ricostruzione storica, né un ordinamento
lineare dello sviluppo della comunicazione, ma, piuttosto, un’esposizio197
ne volta a privilegiare l’aspetto strumentale della comunicazione e il
suo carattere “non neutro, non empirico, non banale, non pacifico”.
Riferimento costante il Trattato di semiotica generale di Umberto Eco,
il libro di Volli è, in qualche modo, spettacolare, sia per la vastità delle
angolazioni dalle quali affronta l’argomento, sia per la chiarezza con la
quale rende conto della sua complessità.
Brano scelto
Sul piano informativo e politico, è ora di abbandonare il dilemma tra demonizzazione dello strumento consumistico e manipolatore ed esaltazione della sua capacità di integrazione. Si tratta di capire che la manipolazione fa parte del gioco, e che il problema è la capacità strategica dello
spettatore, o piuttosto del cittadino. Sul piano politico-sociale, bisogna
rendersi conto che la capacità di coinvolgimento del gioco è immensamente superiore a quella propagandistica dell’informazione (pag. 221).
Volpi Sergio, Il Marketing fieristico - Fair Marketing, Milano, Lybra
Immagine 1996, pp. 138
Un libro a vocazione internazionale, scritto, come è, nella doppia versione italiano-inglese, che nasce casualmente da una prima dispensa, si
arricchisce con studi successivi e prende forma grazie alla documentazione degli archivi Eurostands.
Il Marketing fieristico rappresenta un vero e proprio salto di qualità nei
confronti dell’atteggiamento dominante che considera la fiera alla stregua di un evento; la fiera “in realtà è un media potente e diretto, solo atipico” da inserire strategicamente nella comunicazione integrata d’impresa.
La fiera fa vedere, fa udire, fa annusare, fa assaggiare e fa toccare.
L’udito, da solo, consente una memorizzazione del 25%; udito e vista
insieme aggiungono un altro 30%; lo stand fieristico, grazie alle sinergie di percezione di tutti e cinque i sensi, consente di memorizzare un
ulteriore 35%.
198
Questa capacità di stimolare globalmente il sistema percettivo fa della
fiera un sistema di comunicazione multimediale, tra i cui effetti spiccano l’istituzionalizzazione del contatto, la concretizzazione di una relazione, l’impostazione di una transazione commerciale.
Il libro si articola in cinque parti. Inizialmente affronta gli aspetti fondamentali della comunicazione e della percezione e li esamina nello specifico contesto fieristico; da corollario a questo approccio introduttivo
c’è l’esposizione dei sistemi di comunicazione interattiva e di marketing propri della fiera. La terza parte, guardando allo stand in termini di
marketing communication, illustra metodologie e strumenti volti al duplice obiettivo di successo, sul piano dell’immagine e su quello della
vendita; segue l’esame degli elementi tattici, indispensabili alla elaborazione delle strategie, una volta individuati gli obiettivi e, infine, l’analisi degli aspetti tecnici e operativi dell’allestimento, dai materiali alla
struttura dello stand.
Ricco di dati, prospetti e immagini, Il Marketing fieristico rappresenta
un testo fondamentale per gli addetti ai lavori e una tappa significativa
nella cultura della comunicazione fieristica.
Brano scelto
Una cosa è certa. Per fare affari è necessario informare la controparte
sulla promessa e sui vantaggi che vengono proposti. Tentare di fare affari senza comunicare e senza contatti con la controparte è come tentare
di far viaggiare un treno senza locomotore. L’affare è un atto di comunicazione che va preordinato, considerando che oggi il consumatore
cerca il valore di differenziazione tra prodotti, nell’immagine e nei simboli legati al proprio stile di vita.
L’immagine d’impresa è un patrimonio soggetto a deteriorarsi. Investire
in comunicazione significa investire in manutenzione dell’immagine,
con un vantaggio rispetto alla manutenzione degli impianti: questi comunque continuano a indebolirsi strutturalmente e tecnicamente, mentre l’immagine curata con professionalità si potenzia e acquista valore
(pag. 88).
199
Waterworth John A. (a cura di), Multimedia, Padova, Franco Muzzio Editore 1992, pp. 220 ISBN 88-7021-628-4
Il modo di scrivere e di pensare sarà rivoluzionato dall’ipermedialità,
che rappresenta l’estensione, in qualche modo naturale, del concetto di
ipertesto, inteso, quest’ultimo, quale lettura e scrittura non sequenziale
di un unico documento.
Molto più di un sistema capace di utilizzare dati di diversa origine, la
multimedialità dell’ultima generazione trova il suo valore aggiunto nella capacità di combinare fonti diverse di informazione nella generazione di un sistema di riproduzione globale coerente.
Il suo elemento chiave è l’interattività, all’interno della quale è possibile interrompere il processo o esserne interrotti, il che va oltre la tradizionale procedura di interazione uomo-macchina.
Multimedia, destinato a chi deve comprendere, insegnare, impiegare e
sviluppare la multimedialità, è un testo rigorosamente scientifico che
raccoglie i contributi dei ricercatori dell’ISS - Institute of Systems
Science - dell’Università nazionale di Singapore.
La sfida, nota come Intelligent Global Metropolis, è quella di raggiungere
un livello di tecnologia in grado di presiedere e gestire ogni attività economica, dalla produzione al trasporto, alla comunicazione, al terziario.
L’esposizione degli argomenti è strutturata nel pieno rispetto dei principi classici della retorica e ogni capitolo è accompagnato dalla specifica
bibliografia.
Diviso in tre sezioni, il libro fornisce una panoramica delle tecnologie
fondamentali per lo sviluppo della multimedialità; evidenzia quindi
strumenti e ambienti appropriati al loro sviluppo, dalla ottimizzazione
dell’interfaccia utente alla interazione in ambiente virtuale e si conclude
con l’analisi delle applicazioni.
Oltre a considerare i modelli necessari all’utilizzo dei sistemi multimediali interattivi, sono approfondite le possibilità di gestione ottimale dei
contenuti che sono, al di là della sofisticazione degli strumenti, l’unica
cosa veramente importante.
E’ la negazione, esplicita, dell’assunto di McLuhan che vede, nel mezzo utilizzato, il messaggio.
Ma non finisce qui. La seconda parte di Multimedia è già in preparazione.
200
Brano scelto
La realtà virtuale, o realtà artificiale (termine, questo, che in sé è un
ossimoro) è diversa dalle applicazioni precedentemente descritte (progettazione industriale, istruzione) poiché, in questo caso, l’utente ha,
tramite opportuni sensori, un ruolo integralmente partecipativo all’interno del mondo simulato (Krueger, 1990).
(...) Le realtà virtuali hanno un vasto campo di possibili applicazioni;
un esempio è la sovrapposizione delle immagini generate dal computer
con quelle provenienti dal mondo reale per consentire raffronti, progetti
e generazione di linee guida. Un architetto potrà visualizzare l’edificio
che sta progettando tramite uno schermo semitrasparente posto sul capo; un chirurgo potrà ricevere le necessarie informazioni mentre sta operando grazie alla sovrapposizione e alla vista particolareggiata di parti anatomiche su cui sta intervenendo (p. 79).
201
LE RIVISTE SPECIALIZZATE
203
1. LE
RIVISTE DELLA COMUNICAZIONE.
LO
STATO DELL’ARTE DELL’EDITO-
RIA PERIODICA SPECIALIZZATA
Secondo i dati più attendibili, nel 1998 risultano attive in Italia 45
riviste periodiche specializzate nei temi della comunicazione. Una cifra
più che ragguardevole, indice del forte interesse per le attività di comunicazione dell’azienda vivo anche nel settore maggiormente deputato,
in virtù della sua flessibilità, alla diffusione dell’informazione, all’aggiornamento e allo scambio di saperi ed esperienze.
L’individuazione delle testate che si occupano di comunicazione,
all’interno dell’ampio panorama dell’editoria periodica italiana, è complicata dal fatto che il concetto di comunicazione soffre di indeterminatezza in ragione della polivalenza o ambiguità semantica connessa al
termine, e a causa della diversità di intenzioni e di valori attribuiti dai
soggetti che lo utilizzano. Le riviste sono state così selezionate secondo
ambiti di pertinenza pure diversi, ma contigui e complementari. Tali
ambiti comprendono tutti i temi della comunicazione, da quelli specifici
della comunicazione d’azienda - interna ed esterna - e della promozione
aziendale - in tutte le sue accezioni e attività di supporto, dalle relazioni
pubbliche al marketing, dalle ricerche di mercato allo sponsoring, dalla
pubblicità intesa in senso classico a tutte le altre forme della moderna
comunicazione delle imprese -, a quelli della comunicazione pubblica,
della ricerca sociologica sui mass media e la comunicazione di massa,
delle innovazioni tecnologiche nel settore dell’informazione e della comunicazione, eccetera. Nelle testate selezionate, questi contenuti figurano in modo determinante o sono comunque prevalenti, tali da caratte205
rizzare significativamente l’ambito di interesse e la specialità della rivista. Sono perciò state escluse tutte quelle testate - in gran numero, per la
verità - che, occupandosi della vita dell’impresa, del management e, più
in generale, degli argomenti dell’economia e del lavoro, riservano saltuariamente nelle loro pagine uno spazio variabile alla comunicazione1.
Il dato quantitativo - parziale relativamente al numero delle riviste
cessate, ma attendibile per ricavare indicazioni - evidenzia dunque un
saldo attivo delle riviste attualmente diffuse pari a 45 testate. Un forte
incremento di nuove testate si registra soprattutto negli anni Ottanta e
Novanta. In particolare, nel 1994 si segnala un aumento di quasi il 10%
rispetto ai periodici specializzati preesistenti (tabb. 1 e 2).
_______
1. Delle precisazioni ulteriori circa i criteri di questa selezione si rendono necessarie.
Va in tal senso menzionato un numero di riviste che hanno in passato destinato
spazio e che correntemente ospitano saggi e interventi di grande rilevanza dedicati
alla comunicazione d’impresa, ma che allo stesso tempo non possono definirsi
pubblicazioni specializzate in comunicazione. Esse attestano in maniera indubitabile la crescente attenzione che la cultura manageriale rivolge alla comunicazione.
Si tratta delle seguenti testate: Economia & Management. La rivista di direzione aziendale (Sda Bocconi, Etas); Finanza Marketing e Produzione. Rivista di economia d’impresa dell’Università Bocconi (Egea, Giuffré; cfr. ad esempio i nn. 1/90,
1/96, 4/96); L’Impresa. Rivista italiana di management (Il Sole 24 Ore; cfr. ad esempio i nn. 3/93, 3/96, 3/97); Industria e Sindacato (Intersind; cfr. ad esempio i
nn. 10-11/92, 1/95); Notiziario del lavoro. Rivista di organizzazione e cultura
d’impresa a cura dell’area Personale Organizzazione Telecom Italia (Telecom Italia; cfr. ad esempio i nn. 59/93, 74/95, 76/95); Personale e Lavoro. Rivista di
cultura delle risorse umane (Isper); Sviluppo e Organizzazione (Croa Bocconi, Este); eccetera. Caso parzialmente diverso è quello delle riviste che si interessano di
una forma talmente specifica di comunicazione da costituire un ambito di pertinenza indipendente e distinto da quello preso in esame dalla presente analisi. E’ il caso
della comunicazione congressuale. Per una diversa ragione, dunque, una pari sorte
ha riguardato le seguenti due testate: Business Congress (BC Editrice) e Convegni
Incentive Comunicazione (Convegni), entrambe escluse dal presente studio. Ragioni analoghe hanno motivato l’esclusione dall’elenco delle riviste prese in rassegna di altri due periodici: OG Informazione (Ordine Nazionale dei Giornalisti) e
Tribuna Stampa. Organo nazionale d’informazione dei giornalisti (Tribuna Stampa). Infatti, la loro inclusione avrebbe comportato un eccessivo allargamento del
valore semantico del concetto di “comunicazione” qui considerato. Nell’elenco
delle riviste selezionate non sono comprese, infine, le guide, gli annuari e i supplementi di argomento pertinente: di essi si dà conto in appendice. In ultimo appare
opportuno segnalare che un considerevole numero di altre riviste e alcuni quotidiani (ad esempio, Il Sole 24 Ore, Il Corriere della Sera, la Repubblica), seppure si
tratta di pubblicazioni evidentemente non specializzate, hanno cominciato a riservare nelle loro pagine uno spazio vieppiù maggiore alla comunicazione. Ciò è
senz’altro indice del forte interesse culturale che negli ultimi anni sempre più sta
crescendo intorno al tema.
206
Tab. 1 - Riviste attive dal 1950 ad oggi.
Anni
Prima 1950
1950-1959
1960-1969
1970-1979
1980-1989
1990-1998
Nate (v.a.)
Cessate (v.a.)*
Totale attive (v.a.)
2
2
4
11
22
21
0
0
0
1
2
9
2
4
8
18
38
*45
* I dati non fanno riferimento a 5 testate, nate rispettivamente nel 1952,
1963, 1981, 1984 e 1987, per le quali non è stato possibile stabilire
l’anno di cessazione.
Tab. 2 - La crescita nell’ultimo decennio. Variazione annuale delle riviste attive dal 1990 ad oggi.
Anni
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
Nate (v.a.) Cessate (v.a.)* Totale attive (v.a.) Variazione (%)
0
4
3
2
4
3
4
0
1
2
2
1
0
0
3
0
1
0
36
38
40
42
46
46
50
49
*45
+5,5
+5,2
+5,0
+9,5
0,0
+8,7
+8,7
* I dati non fanno riferimento a 5 testate, nate rispettivamente nel 1952,
1963, 1981, 1984 e 1987, per le quali non è stato possibile stabilire
l’anno di cessazione.
Non è facile stabilire la durata media delle riviste cessate, in quanto il periodo di attività è molto variabile, oscillando da un minimo di
pochi numeri distribuiti nell’arco di circa un biennio, ad un massimo di
207
31 anni di attività de Il Millimetro (tab. 3). Le altre testate più antiche
sono Lineagrafica, fondata nel 1946, Ikon (1947) e Advertiser (1957).
Tab. 3 - Durata delle riviste cessate.
Anni
1-3 anni
4-6 anni
7-10 anni
10-13 anni
oltre 13 anni
n.d.*
Totale
v.a.
%
2
3
3
2
2
5
17
11,8
17,6
17,6
11,8
11,8
29,4
100,0
* I dati non fanno riferimento a 5 testate, nate rispettivamente nel 1952,
1963, 1981,1984 e 1987, per le quali non è stato possibile stabilire
l’anno di cessazione.
Per quanto riguarda la distribuzione territoriale, va rilevato che le
riviste sono concentrate in massima parte nel Nord Italia (84,5%), ed esclusivamente nelle grandi città (100%). In particolare, a Milano si trova il 58% delle redazioni e degli editori, a Roma il 13% e a Torino il
9%. A questo quadro corrisponde la totale assenza di sedi dislocate
nell’Italia meridionale, riflesso dell’atavica arretratezza del Mezzogiorno rispetto alle aree più sviluppate del Centro-Nord (tab. 4).
Tab. 4 - La dislocazione. Ripartizione delle riviste per aree geografiche.
Aree
Nord
Centro
Sud
Totale
208
Città
v.a.
%
38
7
0
45
84,5
15,5
0,0
100,0
Piccoli centri
v.a.
%
0
0
0
0
0,0
0,0
0,0
0,0
Totale
v.a.
%
38
7
0
45
84,5
15,5
0,0
100,0
Grafico 1 - La dislocazione. Ripartizione delle riviste per aree geografiche.
100
90
80
Piccoli centri
70
Città
60
50
40
30
20
10
0
Nord
Centro
Sud
La periodicità delle riviste varia da settimanale ad annuale, con una
prevalenza delle testate mensili (33,3%), trimestrali (20%), semestrali
(17,9%) e bimestrali (15,6%). I settimanali sono soltanto 2 (4,4%), e trattano prevalentemente di pubblicità. Le testate annuali (2,2%, quota che
non comprende però le guide, gli annuari e i supplementi annuali) sono
rappresentate da vademecum per la documentazione sui valori di fruizione dei media, la tipologia dell’audience e le tariffe, che costituiscono un
utile osservatorio per orientare gli investimenti pubblicitari (tab. 5).
Tab. 5 - Ripartizione delle riviste per periodicità.
Periodicità
Settimanale
Mensile
Bimestrale
Trimestrale
Quadrimestrale
Semestrale
Annuale
Aperiodica
Totale
v.a.
%
2
15
7
9
2
8
1
1
45
4,4
33,3
15,6
20,0
4,4
17,9
2,2
2,2
100,0
209
Grafico 2 - La periodicità. Ripartizione delle riviste per periodicità.
settimanale
mensile
bimestrale
trimestrale
quadrimestrale
semestrale
annuale
aperiodica
La maggior parte delle testate fa capo a piccoli editori e ad agenzie
attive nel settore. Solo poche case editrici medio-grandi pubblicano più
di una testata (tab. 6).
Tab. 6 - Editori che pubblicano più di una rivista.
Editore
Media Key
Il Mulino
Franco Angeli
Giuffré
Gutemberg 2000
Strategia Editoriale
Nim
210
Numero di riviste
3
2
2
2
2
2
2
Il mercato dei periodici specializzati in comunicazione è stimabile
complessivamente in oltre 3,5 milioni di copie stampate all’anno. Poiché le pubblicazioni sono rivolte ad un pubblico specializzato, le tirature sono, in genere, contenute. Solo in pochi casi si supera la decina di
migliaia di copie al mese (tab. 7). Si segnalano come eccezioni: Proiezioni, con 100.000 copie per quadrimestre, Prima Comunicazione, con
21.000 copie al mese, e i due settimanali specializzati in pubblicità,
Pubblico e Pubblicità Italia, di cui si stampano rispettivamente 10.000
e circa 8.400 copie alla settimana - rispettivamente, 480.000 e 400.000
copie all’anno.
I dati sulla reale diffusione delle singole testate non sono disponibili, perché queste riviste non sono sottoposte all’accertamento ADS
come i grandi quotidiani e i periodici a più larga diffusione.
Tab. 7 - Ripartizione delle riviste per tiratura (numero di copie/anno).
Tiratura
Fino 5.000 copie
5.001-10.000
10.001-50.000
50.001-100.000
oltre 100.000
n.d.*
Totale
v.a.
%
3
5
7
4
11
15
45
6,7
11,1
13,3
8,9
24,4
35,6
100,0
* I dati non fanno riferimento a 15 testate di cui non è stato possibile
stabilire la tiratura.
Un dato molto significativo riguarda la tipologia della distribuzione delle riviste. Alla maggior parte di esse è riservata solo la distribuzione per abbonamento postale (71%), in accordo con quanto generalmente accade per gran parte delle riviste molto specializzate, che rispondono a nicchie e segmenti della domanda editoriale. Questo sistema distributivo, seppure permette agli editori di aggirare i gravi costi
211
delle tirature eccessive e delle rese, d’altra parte comporta per le riviste
un elevato rischio di scarsa visibilità. L’accesso alla libreria (22,3%) è
limitato generalmente alle testate che fanno capo alle case editrici più
grandi (Il Mulino, Franco Angeli, Giuffré), dotate di un sistema distributivo più articolato e sperimentato. La vendita nelle librerie, comunque, non abbassa di molto il rischio di scarsa visibilità delle riviste, in
quanto il numero dei punti vendita librari che trattano anche i periodici,
oltre che i libri, è molto ridotto. Infine, la distribuzione nelle edicole più o meno capillare - è una pregevole eccezione che riguarda solo un
numero esiguo di riviste: tre in tutto (6,7%) (tab. 8).
Tab. 8 - Ripartizione delle riviste per tipologia di distribuzione.
Distribuzione
v.a.
norm. grat.
Solo
abbonamento
31
%
riserv. totale norm.
1
0
32
68,8
grat. riserv. totale
2,2
0,0
Abbonamento +
Libreria
10
22,3
Abb. + Libreria +
Edicola
3
6,7
Totale
45
100,0
212
71,0
2. IL FORMATO EDITORIALE
Un numero considerevole di riviste - quelle che si occupano di
pubblicità intesa nel senso classico - appare più dinamico e corrispondente al formato del magazine. La veste grafica è a colori, le pagine
sono arricchite da tabelle, grafici, illustrazioni e fotografie. Rispetto alle riviste di carattere prevalentemente accademico-scientifico, queste
mostrano una precisa scelta circa l’output editoriale maggiormente
conforme al formato tipico dei rotocalchi a più larga diffusione, e il
budget di cui dispongono per i costi di stampa è evidentemente più
consistente grazie agli introiti provenienti dalla vendita degli spazi
pubblicitari.
Il formato editoriale della maggior parte delle riviste esaminate è
strutturato prevalentemente in articoli informativi e analitici sui temi della comunicazione e in aggiornamenti brevi e concisi (news) sugli avvenimenti che riguardano il mondo della comunicazione (convegni, premi, eventi, poltrone, eccetera). Questi formati ricorrono rispettivamente nel
77,7% e nel 75,5% delle riviste. In poco più della metà delle testate vengono pubblicate interviste ad esperti del settore (53,3%). Figurano, inoltre, rubriche specifiche ricorrenti in ogni numero (40% del totale delle riviste), vengono fornite le raccolte di dati utili per gli investimenti pubblicitari (diffusione della stampa, audience radiotelevisiva, big spender, tariffe, eccetera) (31%) e recensioni della letteratura specializzata (28,8%).
I saggi di approfondimento ricorrono in una porzione minore di riviste
(24,4%), quelle di taglio accademico-scientifico. Infine, le monografie
dedicate a temi specifici e la pubblicazione dei risultati di indagini e ri213
cerche sperimentali ricorrono in una percentuale di testate ancora inferiore, rispettivamente il 17,7% e il 13,3% del totale (tab. 9).
Al settembre 1998, un apprezzabile numero di riviste (16 su 45,
poco più di un terzo del totale) ha allestito una versione on line, consultabile presso un apposito sito web, presso cui generalmente viene riprodotta la copertina, i dati informativi della testata, le modalità di abbonamento, l’indice di alcuni numeri, gli autori e talvolta articoli o abstract.
Tab. 9 - Ripartizione delle riviste per tipologia del testo.
punti 100 = tipo più frequente
Tipologia
Articoli
News
Interviste
Rubriche
Dati
Recensioni
Saggi
Monografie
Ricerche
Posta dei lettori
indice
v.a.
%
100
97
68
51
40
37
31
22
17
0
35
34
24
18
14
13
11
8
6
0
77,7
75,5
53,3
40,0
31,1
28,8
24,4
17,7
13,3
0,0
Grafico 3 - La tipologia del testo. Ripartizione delle riviste per tipologia del testo.
40
monografie
35
saggi
30
ricerche
25
dati
articoli
20
interviste
15
10
5
0
214
news
rubriche
recensioni
posta dei lettori
3. REDAZIONE E TARGET
La redazione è curata per il maggior numero di riviste da professionisti e operatori del settore: pubblicitari, communication manager, esperti
(88,8%). Abbastanza frequenti sono gli interventi diretti dei dirigenti e
consulenti d’azienda (45%) che ricoprono incarichi diversi, ma pertinenti
ai processi comunicativi, all’interno delle imprese. Un ruolo significativo, infine, è svolto dai ricercatori scientifici, docenti universitari, studiosi
e intellettuali (22,2%), e dalle Università - come la Bocconi - e gli Istituti
di ricerca - come l’Istituto di ricerca sulla comunicazione A. Gemelli e C.
Musatti -, quando essi stessi si fanno direttamente promotori ed editori
della testata (11,1%) (tab. 10). Questi ultimi due generi di redattori costituiscono la punta avanzata della speculazione teorica e del dibattito accademico veicolato dalle pubblicazioni periodiche.
Tab. 10 - Ripartizione delle riviste per tipologia di redazione.
punti 100 = redattore più frequente
Redazione
Profession./Operatori di sett.
Dirigenti/Consul. d’azienda
Giornalisti
Ricercatori scientifici
Istituti di ricerca/Università
indice
v.a.
%
100
45
40
25
12
40
18
16
10
5
88,8
45,0
35,5
22,2
11,1
215
Per quanto riguarda il target di riferimento, più numerose sono
quelle riviste che si rivolgono ai professionisti, operatori del settore e
imprenditori (90% circa), con un taglio meno accademico e più pragmatico. Agli uomini d’azienda - dirigenti e consulenti - si indirizza circa la metà delle riviste (48,8%). Secondario, seppure apprezzabile, lo
spazio destinato al dibattito teorico-scientifico: ai ricercatori scientifici
e agli studenti si rivolge il 22% delle testate (tab. 11).
Coerentemente, le finalità principalmente perseguite dalle riviste
sono: l’informazione (88,8%), la promozione dei mezzi e delle agenzie
di comunicazione (55,5%), il dibattito scientifico-specialistico (22%),
la divulgazione delle tematiche (22%) e la fornitura di una documentazione utile attraverso un osservatorio continuo per orientare gli investimenti pubblicitari (17,7%) (tab. 12). L’ambiente più dinamico si riconferma, dunque, quello degli operatori di marketing e pubblicità.
Questi ultimi dati vanno letti in un quadro più generale. La tabella
9, riepilogativa delle tipologie dei formati editoriali più frequenti nei
periodici analizzati, indica che dal complesso delle riviste viene concesso meno spazio a ricerche e studi scientifici, e che invece numerose pagine sono riservate agli articoli generalmente brevi, alle news, ai dati utili e alle interviste - tutti formati, questi, capaci di rendere immediatamente chiari i concetti e di trasferire le esperienze altrui al lettore. D’altra parte, la tabella 10, riassuntiva del genere di redazioni più frequenti,
mostra che gli autori di approfondimenti teorico-scientifici ricoprono
un posto secondario nel panorama collettivo delle testate analizzate.
Questa constatazione stimola la riflessione e il dubbio se poi, dopo fiumi d’inchiostro, la teoria entri effettivamente dentro i cancelli delle
aziende.
I due dati vanno decifrati congiuntamente a quelli forniti dalla tabella 11, significativa delle frequenze con le quali le riviste si rivolgono
ai diversi destinatari. Tutti insieme, essi ci forniscono l’indicazione che,
in genere, al mondo dell’editoria specializzata in comunicazione - composto dagli autori ed editori, ma anche dai lettori - tutto sommato sembra interessare di meno la speculazione teorica, mentre molto di più
stanno a cuore le notizie, i dati di fruizione dei media, i casi di eccellenza, le nuove possibilità pratiche per un’azienda di “fare comunicazio216
ne”. Insomma, le riviste costituiscono principalmente un veicolo di trasmissione di esperienze concrete da operatori a operatori.
Tab. 11 - Ripartizione delle riviste per tipologia dei destinatari.
punti 100 = destinatario più frequente
Destinatari
Profes./Operat./Imprend.
Dirigenti/Consul. d’azienda
Ricercatori scientifici
Studenti
indice
v.a.
%
100
55
25
25
40
22
10
10
88,8
48,8
22,2
22,2
indice
v.a.
%
100
62
25
25
20
12
40
25
10
10
8
5
88,8
55,5
22,2
22,2
17,7
11,1
Tab. 12 - Ripartizione delle riviste per finalità.
punti 100 = finalità più frequente
Finalità
Informazione
Promozione
Dibattito specia./scient.
Divulgazione
Documentazione
Formazione
217
4. ANALISI DEI CONTENUTI. LA NUOVA STAGIONE DELLA COMUNICAZIONE
Tab. 13 - Ripartizione delle riviste per contenuti determinanti o prevalenti.
punti 100 = contenuto più frequente
Contenuti
indice
v.a.
%
Comunicazione esterna
100
Pubblicità/Sponsoring
84
Marketing
75
Comunicazione interna
69
Mass media
69
Cultura d’impresa/Management
51
Tecnologie/Multimedialità
36
Politici/Sociali/Culturali
33
Comunicazione integrata
27
Comunicazione organizzativa
27
PR/Ufficio stampa
27
Economia/Lavoro/Finanza
27
Formazione
27
Sociologici/Antropol./Psicol./Semiolog. 24
Giornalismo
18
Organizzazione e Personale
12
Comunicazione pubblica
12
Comunicazione politica
9
Sindacali
9
Giurisprudenza del settore
6
33
28
25
23
23
17
12
11
9
9
9
9
9
8
6
4
4
3
3
2
73,3
62,2
55,5
51,1
51,1
37,7
26,6
24,4
20,0
20,0
20,0
20,0
20,0
17,7
13,3
8,8
8,8
6,6
6,6
4,4
218
Da un’analisi complessiva delle riviste emerge, coerentemente con
i dati illustrati precedentemente, che i contenuti trattati sono in prevalenza: la comunicazione esterna (73,3% delle riviste), la pubblicità in
senso classico (62%) e il marketing (55,5%). Seguono: la comunicazione interna (51%), lo studio dei mass media (51%), le nuove tecnologie
della comunicazione e dell’informazione e la multimedialità (26,6%), i
risvolti politico-sociologici connessi ai processi di comunicazione
(24,4%), i temi relativi ai nuovi concetti di comunicazione integrata e di
comunicazione organizzativa (20%) (tab. 13).
Grafico 4 - I contenuti. Ripartizione delle riviste per contenuti più
frequenti.
pubblicità/sponsoring
comunicazione esterna
comunicazione interna
comunicazione integrata
economia/lavoro/finanza
mass media
giornalismo
sindacali
organizzazione e personale
comunicazione pubblica
marketing
politici/sociali/culturali
cultura d'impresa/management
comunicazione organizzativa
PR/ufficio stampa
tecnologie/multimedialità
giurisprudenza
formazione
comunicazione politica
sociologici/antrop./psicol./semiol.
219
Tuttavia, un raggruppamento delle testate per categorie omogenee
effettuato in relazione ai contenuti determinanti la qualità complessiva
della testata, o comunque prevalenti, sia pure soggetto ad imperfezioni,
permette di analizzare più approfonditamente alcune recenti tendenze.
Nel valutare tali inferenze, bisogna tenere conto che il settore dei periodici è soggetto per sua natura più di altri a repentini mutamenti - innovazioni del formato e anche variazioni significative nella presentazione
dei contenuti -, tali che potrebbero rendere inutile il tentativo di classificare prodotti in certi casi tanto variabili. L’analisi ha perciò valore esemplificativo, più che esaustivo, di alcuni dei trend rilevabili.
Le riviste possono essere aggregate per contenuti prevalenti e determinanti, secondo i criteri enunciati, in 4 gruppi complessivamente
rappresentativi di tutti i temi identificati, secondo la seguente suddivisione:
A
Cultura della
comunicazione
B
Pubblicità/
Marketing
C
Sociologici/
Mass media
D
Tecnologie/
Multimed.
Comunicaz. esterna
Pubblicità/
Sponsoring
Comunicazione
politica
Politici/Sociali/
Culturali
Sociologici/
Antropologi
Psicologici/
Semiologici
Giornalismo
Mass media
Tecnologie/
Multimed.
Comunicaz. interna
Comunicaz. integrata
Comunicaz. organiz.
Comunicaz. pubblica
PR/Ufficio Stampa
Organiz. e Personale
Formazione
Cultura d’impresa/
manag.
Giurisprudenza del settore
Economia/Lavoro/
Finanza
Sindacali
220
Il trend della natalità delle riviste fa registrare negli anni Novanta
l’aumento più considerevole tra le testate ascrivibili al gruppo A (cultura della comunicazione), in cui i temi della comunicazione hanno subito
nel dibattito teorico, seppure non ancora nella pratica comune all’interno delle aziende, una transizione verso la prevalenza del concetto di comunicazione intesa come leva strategica a disposizione del management e potenziale aggiunto per i processi organizzativi. Nel corso
dell’ultimo decennio si segnala, inoltre, una stasi delle nascite delle riviste che trattano di pubblicità pura (gruppo B), e una crescita di quelle
che tematizzano principalmente i mezzi e i processi dell’innovazione
tecnologica connessa alla comunicazione e all’informazione (gruppo D)
(tabb. 14-15). Le testate di quest’ultimo gruppo e quelle del gruppo A
rappresentano le punte avanzate dell’editoria specializzata degli anni
Novanta.
Se il grado di attenzione per un argomento si misura dalla proliferazione degli interventi ad esso dedicati, e dall’aumento delle testate
che su di esso maggiormente si concentrano, allora è giusto porre la
cultura della comunicazione aziendale tra gli argomenti che hanno riscosso maggiore interesse negli ultimi anni. I cambiamenti quantitativi
e qualitativi avvenuti nella stampa specializzata riflettono evidentemente le profonde trasformazioni in atto, che hanno caratterizzato e continuano sempre più a qualificare la recente evoluzione degli obiettivi e
dei mezzi della comunicazione d’impresa. Gli anni Novanta sembrano
essere contraddistinti, infatti, da un aumento del numero di testate specificamente dedicate alla comunicazione aziendale percepita secondo la
nuova concezione per cui essa, da un ruolo marginale, passa a ricoprirne uno strategico da radicare nella cultura d’impresa. Superata l’identificazione tout court della comunicazione aziendale con la comunicazione pubblicitaria relativa al prodotto dell’azienda, si assiste ora ad una evoluzione verso la consapevolezza dei nuovi strumenti, obiettivi, pubblici e contenuti della progettualità comunicativa. La visibilità dell’impresa non sembra più essere affidata esclusivamente ai mezzi dell’advertising tradizionale presso la più vasta audience - concetto che ha avuto un grande risalto nelle riviste durante gli anni Settanta e Ottanta.
Un nesso significativo si è stabilito tra comunicazione, pubblico interno
all’azienda, stato di salute dell’impresa, formazione, funzionalità della
221
comunicazione rispetto all’organizzazione e, più in generale, rispetto al
rapporto tra impresa e società. La comunicazione diventa, dunque, funzione strategica intorno a cui si impegna il sistema informativo e il dibattito specialistico-scientifico nelle riviste, unitamente al crescente interesse per le innovazioni tecnologiche e per il rinnovamento della cultura e competenza del management.
Tab. 14 - Ripartizione delle riviste (aggregate per contenuti prevalenti)
per anno di fondazione, 1970-1998.
Cultura della
comunicazione
v.a.
%
Anni
Prima 1970
’70
’80
’90
Totale
0
3
2
10
15
0,0
6,7
4,4
22,2
33,3
Pubblicità/
Marketing
v.a.
%
4 8,9
6 13,3
4 8,9
4 8,9
18 40,0
Sociologici/
Mass media
v.a.
%
1
1
2
3
7
Tecnologie/
Multimedialità Totale
v.a.
% v.a.
%
2,2
2,2
4,4
6,7
15,5
0
0
2
3
5
0,0
0,0
4,4
6,7
11,1
5
10
10
20
45
11,1
22,2
22,2
44,5
100,0
Grafico 5 - Ripartizione delle riviste (aggregate per contenuti prevalenti) per anno di fondazione.
0
‘9
ni
an
0
‘8
ni
an
0
‘7
ni
an
0
222
5
10
15
cultura comunicaz.
pubbl./mark.
sociol./mass media
tecnol./multim.
20
25
Tab. 15 - Ripartizione delle riviste (aggregate per contenuti prevalenti)
per finalità principale.
Contenuti
Cultura della
comunicazione
v.a.
%
Informazione
8
Promozione
1
Dibat. spec./sc. 5
Divulgazione
1
Documentaz.
0
Formazione
0
15
Totale
17,8
2,2
11,1
2,2
0,0
0,0
33,3
Pubblicità/
Marketing
v.a.
%
Sociologici/
Mass media
v.a.
%
5 11,1
7 15,7
0 0,0
1 2,2
4 8,9
1 2,2
18 40,1
2
0
5
0
0
0
7
Tecnologie/
Multimedialità Totale
v.a.
% v.a.
%
4,4
0,0
11,1
0,0
0,0
0,0
15,5
4
0
0
0
0
1
5
8,9
0,0
0,0
0,0
0,0
2,2
11,1
19
8
10
2
4
2
-45
42,2
17,9
22,2
4,4
8,9
4,4
100,0
Grafico 6 - Ripartizione delle riviste (aggregate per contenuti prevalenti) per finalità principale.
20
18
16
14
12
10
8
6
4
2
0
ra
ltu
cu
.
az
ic
un
m
co
k.
ar
./m
l
bb
pu
s
as
m
l./
o
ci
so
informazione
ia
ed
m
.
tim
ul
m
./
ol
cn
te
promozione
dibat. special./scient.
divulgazione
documentazione
formazione
223
CAPITOLO III
LA DOMANDA E L’OFFERTA
DI COMUNICAZIONE D’IMPRESA
225
1. GLI INVESTIMENTI IN PUBBLICITÀ
Un Rapporto che si propone di “fotografare” l’attuale situazione di
sviluppo delle comunicazioni d’impresa in Italia non può sottrarsi
all’obbligo di predisporre anche un esame del mondo della pubblicità porzione della comunicazione su cui in maniera più cospicua si indirizzano tradizionalmente gli investimenti aziendali -; né può evitare di
suggerire una valutazione delle sue più recenti inclinazioni innovative,
nel tentativo di ricostruire un quadro il più fedele possibile delle tendenze e fornire indicazioni sugli sviluppi prevedibili.
L’indagine adotta metodologie quali-quantitative - dalla desk-research sui dati e le informazioni provenienti da ricerche e analisi dei bilanci, agli approfondimenti dei focus group tenuti con i professionisti
del settore, esperti e operatori1 - al fine di ricavare degli “indizi” validi
per delineare il contesto attuale e gli scenari inediti che si prospettano
all’orizzonte della comunicazione nelle sue interazioni con la dimensione economico-produttiva e, più in generale, con le dinamiche sociali.
Uno strumento essenziale allo scopo è il Rapporto 1998 dell’Upa
basato sull’indagine curata da InterMatrix e Astra, per quel che concerne
gli investimenti in comunicazione commerciale, e da ACNielsen, per l’analisi della domanda e del mercato di pubblicità. Tale Rapporto, dal 1982
_______
1. Le testimonianze dei professionisti della comunicazione d’impresa sono state recepite in occasione del focus group organizzato da Ascai Servizi a Roma, presso
il Cnel, il 14 maggio 1998.
227
affianca alle rilevazioni, misurazioni e classificazioni relative ai mezzi e
alle forme di pubblicità la ricerca predittiva sugli anni a venire2.
Esso presenta quest’anno dei toni positivi circa l’andamento
dell’anno 1997, la chiusura del 1998 e le previsioni per il 1999. In particolare, il 1997 appare contraddistinguere una delle fasi più positive della storia della comunicazione pubblicitaria degli ultimi vent’anni. Ma,
allo stesso tempo, le rilevazioni lasciano scorgere tra le righe una certa
inquietudine nel mondo dei pubblicitari, e offrono interessanti spunti
per la nostra riflessione, dal momento che l’elemento nuovo emerso
dall’indagine è il divario considerevole tra i tassi di crescita degli investimenti pubblicitari e l’andamento del mercato e dei consumi - quindi,
delle vendite. Il dato suscita perplessità e forse qualche preoccupazione.
E’ comunque un indice di sicura significatività che va considerato
nelle più generali implicazioni di tendenza della cultura della comunicazione.
L’analisi dei dati porta innanzitutto a stabilire l’ammontare complessivo degli investimenti pubblicitari del 1997 in 22.897 miliardi di
lire, con un ragguardevole incremento rispetto all’anno precedente, pari
al 7,4% nominale (+8,8% l’aumento del totale degli investimenti sui
mezzi classici). Il tasso nominale di crescita cumulativo ‘97/‘95 corrisponde ad un lusinghiero +14,4% (+16,2% solo nell’area classica)
(tabb. 1 e 2).
Va precisato che la crescita del mercato pubblicitario è da imputare maggiormente ad un incremento del numero di annunci (+5,8%),
piuttosto che all’aumento del prezzo medio per annuncio (+2,8%)3.
_______
2. Dalle rilevazioni presentate nel Rapporto annuale dell’Upa (marzo 1998) rimangono escluse le seguenti forme di investimento, la cui rilevazione risulta incerta:
gli annunci a pagamento inseriti in pubblicazioni gratuite, la pubblicità su annuari e repertori, le sponsorizzazioni cinematografiche, il packaging, il bartering, la pubblicità veicolata da Televideo e tramite Internet. Per una maggiore
completezza delle informazioni e dei dati, e per maggiori approfondimenti, si rimanda direttamente al Rapporto Upa.
3. Tuttavia non è il caso, questo, della pubblicità televisiva. Qui la grande domanda
e la limitazione dell’offerta disponibile hanno fatto sì che il prezzo medio per
singolo annuncio lievitasse, mentre è cresciuto molto meno il numero totale di
spot emessi.
228
All’interno del quadro generale senza dubbio positivo per quel che
riguarda gli investimenti, risulta interessante prendere in considerazione
la ripartizione in ordine ai diversi settori, principalmente: stampa, televisione, radio, cinema, pubblicità esterna. Dal Rapporto Upa emerge
che il maggior contributo alla crescita del mercato della pubblicità proviene proprio dai mezzi classici (+8,8% nominale; +7,0% al netto
dell’inflazione). In particolare, la radio aumenta nell’insieme la raccolta
dell’11,0%; la pubblicità esterna del 10,1%; i quotidiani del 9,9%; la televisione complessivamente del 9,4%. Il rendimento meno vistoso si è
fatto registrare negli investimenti indirizzati all’insieme dei periodici
(+4,2%), sebbene si segnala un aumento nei magazine di ben il 35,5%.
Sul versante degli investimenti rivolti alle forme di comunicazione
commerciale comprese nella cosiddetta “area allargata”, si è rivelata una tendenza di crescita inferiore a quella degli investimenti sui mezzi
classici: +5,9% nell’insieme, e in particolare +6,5% nel caso delle relazioni pubbliche; +6,2% il direct response; +6,2% le promozioni; e, infine, +3,8% le sponsorizzazioni.
Il peso maggiore nelle market share dei mezzi classici è esercitato
dalla televisione, la cui quota di assorbimento degli investimenti sale
dal 54,1% del 1995 al 54,6%. La stampa cala complessivamente dal
37,3% del 1995 al 36,5% (tab. 3). Inoltre, la quota degli investimenti
volti alle iniziative di comunicazione (direct response, promozioni, relazioni pubbliche e sponsorizzazioni) scende a favore del complesso
della media advertising dal 53,3% del 1995 al 52,5% (tab. 4).
I nuovi media non costituiscono un vettore alternativo di sviluppo
per la pubblicità, né erodono spazi ai mezzi classici. Non sembrano, infatti, in grado di produrre, per ora, effetti di qualche rilievo sul mercato
della comunicazione commerciale. La diffusione della Tv digitale a pagamento, via satellite o via cavo (pay per view, video on demand, eccetera), sembra essere avversata dai costi, mentre l’utilizzo dei servizi on line, come Internet, seppure soggetto a sviluppi vertiginosi, è ancora limitato dalla scarsa diffusione dell’hardware necessario presso le famiglie.
Le previsioni di chiusura del 1998 indicano un ulteriore rialzo nominale del 6,1%. Nel periodo gennaio-agosto 1998 gli investimenti netti sono arrivati a quasi 7.000 miliardi, con un incremento dell’11,1% ri229
spetto allo stesso intervallo del ‘97. In questo periodo la stampa è salita
complessivamente del 9,1% a 2.532 miliardi (quotidiani: +7,9%; periodici: +10,7%). La televisione ha conseguito un incremento pari all’11,2% sfiorando la soglia dei 4.000 miliardi. Il comparto radiofonico,
la cui quota pesa ancora in maniera ridotta sugli investimenti complessivi, ha raccolto nei primi 8 mesi dell’anno in corso 277 miliardi in tutto, consolidando un incremento notevole: +24,5%. In particolare, le emittenti private aumentano l’assorbimento degli annunci del 35,2%.
Soddisfacente, infine, la raccolta delle affissioni che, nel periodo esaminato, segnano un incremento del 19,9% (185 miliardi) (tab. 5).
Per il 1999, infine, l’investimento complessivo è stimato in 25.620
miliardi (+5,5%). Se le stime venissero confermate, il tasso nominale di
crescita accumulato dal ‘95 al ‘99 attesterebbe un +28,0% (+16,3% reale).
I dati sono ancora più significativi se si pensa ai recenti anni di crisi della pubblicità, caratterizzati da ripetuti scostamenti negativi (1993
= -2,4%; 1994 = -0,2%), cessati con il primo aumento reale verificatosi
nel 1995 (+6,1%): anno topico, che ha rappresentato il momento terminale di un periodo di flessione e quello iniziale di una progressiva ripresa degli investimenti pubblicitari.
La vitalità del settore viene confermata dal confronto dei dati con
gli indicatori macroeconomici, innanzitutto considerando l’incidenza
degli investimenti pubblicitari rispetto al prodotto interno lordo nazionale. Il rapporto tra la spesa pubblicitaria complessiva e il PIL a fine
‘97 è dell’1,18% (nel 1995 era dell’1,13%) (tab. 6).
Sul versante della domanda va sottolineato che, se gli investimenti
sono cresciuti in maniera notevole nel 1997 e nell’anno in corso, l’incremento del mercato pubblicitario è dipeso di fatto dall’aumento dell’investimento unitario per singola azienda (+8,1%), mentre, a differenza degli
anni precedenti, non si è registrato un incremento di qualche rilievo del
numero degli investitori (13.945 in totale nel 1997: +0,5%).
Il 78% degli investimenti complessivi è sostenuto dalle stesse aziende del 1988, e una fetta pari al 30,6% dalle stesse marche di 10 anni fa.
Gli investimenti dei primi 3 big spender nel periodo ottobre 1996-marzo
1997, infine, oscillano intorno a cifre record, tra i 200 e i 300 miliardi di
lire (tab. 7).
230
Tab. 1 - Gli investimenti in pubblicità, 1995-1999 (valori in miliardi di
lire correnti)*.
Mezzi e iniziative
1995
1996
1997
1998
1999
Stampa
Televisione
Radio
Cinema
Esterna
Costi di produzione
Totale mezzi classici
3.646
5.290
413
32
402
951
10.734
3.881
5.682
455
35
425
992
11.470
4.161
6.215
505
39
468
1.088
12.476
4.323
6.638
543
43
505
1.150
13.202
4.494
6.948
576
47
540
1.198
13.803
Direct response
Promozioni
Relazioni pubbliche
Sponsorizzazioni
Totale iniziative di
comunicazione
2.920
5.299
2.157
1.862
3.113
5.659
2.286
1.940
3.306
6.010
2.435
2.013
3.531
6.388
2.593
2.118
3.775
6.765
2.761
2.234
12.238
12.998
13.764
14.630
15.535
Totale generale†
20.012
21.0316
22.897
24.294
25.620
* Al netto di sconti e omaggi, comprendenti le commissioni di agenzia.
† Al netto degli investimenti conteggiati più volte.
Fonte: elaborazione Ascai Servizi su dati Upa.
Tab. 2 - Gli investimenti in pubblicità, 1995-1999 (tassi % annui di crescita nominali e reali).
Mezzi e
iniziative
1995
nom. reale
1996
nom. reale
1997
nom. reale
1998
nom. reale
1999
nom. reale
Stampa
Televisione
Radio
Cinema
Esterna
Costi di produzione
Totale mezzi classici
4,2
5,6
16,3
6,7
1,8
4,2
5,2
-1,2
0,2
10,4
1,2
-3,4
-1,1
-0,2
6,4
7,4
10,2
9,4
5,7
4,3
6,9
2,4
3,4
6,0
5,3
1,8
0,4
2,8
7,2
9,4
11,0
11,4
10,1
9,7
8,8
5,4
7,6
9,1
9,6
8,3
7,8
7,0
3,9
6,8
7,5
10,3
7,9
5,7
5,8
1,9
4,7
5,4
8,1
5,8
3,6
3,7
4,0
4,7
6,1
9,3
6,9
4,2
4,6
1,8
2,5
3,9
7,1
4,7
2,0
2,4
Direct response
Promozioni
Relazioni pubbliche
Sponsorizzazioni
Totale iniziative di
comunicazione
8,4
8,7
5,7
4,9
2,8
3,1
0,3
-0,5
6,6
6,8
6,0
4,2
2,6
2,8
2,0
0,3
6,2
6,2
6,5
3,8
4,4
4,4
4,7
2,0
6,8
6,3
6,5
5,2
4,7
4,2
4,4
3,2
6,9
5,9
6,5
5,5
4,7
3,7
4,3
3,3
7,5
2,0
6,2
2,2
5,9
4,1
6,3
4,2
6,2
4,0
Totale generale*
6,1
0,6
6,5
2,5
7,4
5,6
6,1
4,0
5,5
3,3
* Al netto degli investimenti conteggiati più volte.
Fonte: elaborazione Ascai Servizi su dati Upa.
231
Tab. 3 - Composizioni dei mezzi per area, 1995-1999 (valori %).
Mezzi e iniziative
1995
1996
1997
1998
1999
Stampa
Televisione
Radio
Cinema
Esterna
Totale mezzi classici
37,3
54,1
4,2
0,3
4,1
100,0
37,0
54,2
4,3
0,3
4,1
100,0
36,5
54,6
4,4
0,3
4,1
100,0
35,9
55,1
4,5
0,4
4,2
100,0
35,7
55,1
4,6
0,4
4,3
100,0
Direct response
Promozioni
Relazioni pubbliche
Sponsorizzazioni
Totale iniziative di
comunicazione
23,9
43,3
17,6
15,2
23,9
43,5
17,6
14,9
24,0
43,7
17,7
14,6
24,1
43,7
17,7
14,5
24,3
43,5
17,8
14,4
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Fonte: elaborazione Ascai Servizi su dati Upa.
Tab. 4 - Composizioni degli investimenti per area, 1995-1999 (valori %).
Mezzi e iniziative
1995
1996
1997
1998
1999
Mezzi classici
Iniziative di comunicaz.
Totale generale*
46,7
53,3
100,0
46,9
53,1
100,0
47,5
52,5
100,0
47,4
52,6
100,0
47,0
53,0
100,0
* Al lordo degli investimenti conteggiati più volte.
Fonte: elaborazione Ascai Servizi su dati Upa.
Tab. 5 - Gli investimenti netti in pubblicità, gennaio-agosto 1998 (valori in milioni di lire correnti).
Mezzi
gen.-ago. 1997
gen.-ago. 1998
var. %
Quotidiani
Periodici
Totale stampa
1.351.716
969.368
2.321.084
1.458.985
1.073.124
2.532.109
7,9
10,7
9,1
TV Rai
TV Mediaset
TV TMC
Totale TV
1.264.063
2.229.630
80.070
3.573.763
1.381.113
2.501.595
91.697
3.974.405
9,3
12,2
14,5
11,2
Radio Rai
Radio private
Totale radio
Esterna
Totale generale
99.693
123.264
222.957
154.617
6.272.421
110.934
166.618
277.552
185.372
6.969.438
11,3
35,2
24,5
19,9
11,1
Fonte: elaborazione Ascai Servizi su dati ACNielsen.
232
Tab. 6 - Tassi di crescita degli investimenti e indicatori macroeconomici, 1995-1999 (valori %).
Investimenti e indicatori
1995
1996
1997
1998
1999
Investimenti (tassi nom.)
Inflazione
Investimenti (tassi reali)
PIL
Consumi privati
Investimenti/PIL
6,1
5,4
0,6
3,0
1,7
1,13
6,5
3,9
2,5
0,7
0,7
1,14
7,4
1,7
5,6
1,5
1,9
1,18
6,1
2,0
4,0
2,2
2,2
1,20
5,5
2,1
3,3
2,6
2,4
1,21
Fonte: elaborazione Ascai Servizi su dati Upa.
Grafico 1 - Investimenti pubblicitari/PIL, 1995-1999 (valori %).
Grafico 2 - Tassi di crescita degli investimenti e indicatori macroeconomici, 1995-1999 (valori %).
233
Tab. 7 - I primi 20 investitori pubblicitari (big spender), ottobre 1996marzo 1997 (valori in milioni di lire correnti).
Investitori
11 Ferrero
22 Project
28 & Gamble
23 Fiat Auto
24 Barilla Dolciaria
25 Autogerma
26 Renault Italia
27 Nestlè Italia
28 Unilever Div.
28 Sagit
29 Mondadori
10 Saipo
11 Ford Italia
12 Spec. Località
13 La Repubblica
14 Fiat Alfa
15 Telecom Italia
16 Omnitel
17 TIM
18 RCS Libri
19 Perfetti
20 Telepiù
Totale
Stampa
TV
Radio
Esterna
294.087
14.637
265.002
12.199
2.249
207.069
191.119
175.372
165.967
126.680
122.885
25159
78.049
12.345
52.751
47.314
24.418
177.099
88.840
153.786
76.513
57.475
81.893
4.603
16.913
9.241
29.226
14.929
11.037
202
7.317
0
7.477
6.962
5.537
111.188
110.936
97.443
96.803
95.484
92.836
92.335
87.794
83.484
83.469
78.113
71.773
68.141
7.583
34.693
29.656
34.314
95.464
70.241
59.360
64.827
24.235
34.130
32.031
1.123
40.564
101.444
54.766
67.787
59.649
0
10.674
29.275
19.639
52.287
36.305
39.957
62.337
17.603
2.101
18.234
0
2.689
0
17.771
3.696
6.814
2.241
11.516
6.075
8.223
7.746
60
3.243
0
151
0
0
2
4.997
4.721
9.188
50
0
2.228
Fonte: elaborazione Ascai Servizi su dati ACNielsen.
234
2. LO SCENARIO ECONOMICO E SOCIALE DI RIFERIMENTO
I principali fattori che, secondo il Rapporto Upa, hanno determinato il trend positivo degli investimenti in comunicazione commerciale
del 1997 sono individuabili nella convergenza di diverse componenti:
• la disponibilità di risorse finanziarie da parte delle imprese. Nel 1997
si sono resi disponibili i frutti del processo di ricostituzione e di accumulo dei margini economici d’impresa avviato, a seguito della crisi economica, tra il 1995 e il 1996. A ciò sono stati funzionali le politiche
di taglio dei costi, la sostanziale stabilità del costo dei fattori di produzione - dalle materie prime al lavoro -, nonché il calo del costo del denaro, che ha segnato una riduzione del prime rate pari a quasi 3 punti
percentuali tra la metà del 1996 e la fine del 1997;
• una cultura della competitività diffusa, ulteriormente incoraggiata
dall’imposizione a livello continentale di modelli sociali e politici imperniati su paradigmi di competizione intesa a garanzia e tutela dei
consumatori - si considerino, ad esempio, le direttive comunitarie volte all’apertura alla concorrenza nei Paesi membri di mercati tradizionalmente protetti o regolamentati; o all’orientamento delle politiche
nazionali di privatizzazione e di smobilitazione di tradizionali concessioni monopolistiche. L’inasprimento della concorrenza ha riguardato
non solo i mercati più consolidati, dunque, come quello alimentare e
dei larghi consumi, ma anche settori emergenti come quello delle telecomunicazioni e dei servizi a valore aggiunto;
235
• le aspettative positive e la fiducia nel futuro nutrita da manager e imprenditori, che hanno soppiantato la visione pessimistica grazie alle
prospettive di maggiore stabilità politica e al superamento della fase
più acuta delle politiche restrittive fiscali;
• l’allontanamento dello spettro di una grave recessione innescata da un
possibile crollo dei consumi a seguito della crescente disoccupazione
e della indisponibilità finanziaria delle famiglie;
• una maturazione dei consumatori, sempre più attenti e meno propensi
alla “fedeltà” ad un prodotto, che impone il ricorso strategico alla comunicazione da parte dell’offerta di mercato;
• il recupero del valore della marca, in una fase in cui il crescente peso
della rete distributiva richiama l’obbligo, per evitare la spirale del ribasso dei prezzi, di giustificare il differenziale di prezzo attraverso la
valorizzazione, mediante la pubblicità, dei plus di prodotto e dell’immagine dei marchi.
La convergenza di questi principali fattori - finanziari, culturali, di
contesto - ha fatto sì che in questa fase l’interesse delle imprese si ponesse sull’acquisizione di quote di mercato e la realizzazione di vantaggi competitivi, anche in vista dell’apertura di nuovi mercati e dell’ingresso imminente dei concorrenti stranieri, facendo convergere così rilevanti investimenti sulla pubblicità.
Per citare solo un caso di particolare interesse, va detto che un settore che si è segnalato, in questa fase, per la sua innovativa vivacità nel
campo degli investimenti pubblicitari è quello bancario. I processi di
privatizzazione e i collocamenti azionari, da un lato, l’inasprimento della concorrenza, dall’altro, e il recente boom dell’interesse per il risparmio gestito - su cui si sono riversati i piccoli risparmiatori in conseguenza della drastica riduzione dei tassi di rendimento dei titoli di Stato
- hanno accostato le banche alla comunicazione pubblicitaria per rilanciare l’immagine e favorire l’offerta di nuovi servizi e prodotti.
Fra tutti, rimane come mercato trainante il settore dell’information technology. Gli investimenti pubblicitari provenienti dal mercato della telefonia mobile (servizi e hardware) hanno raggiunto livelli record nel periodo
‘97-‘98, e l’apporto concorrenziale derivante dall’ingresso del terzo gestore
(Wind) stimolerà ulteriormente gli investimenti in pubblicità. D’altra parte,
ci si attende ora una performance analoga anche nel settore della telefonia
fissa, a seguito della liberalizzazione del servizio (Infostrada).
236
3. LE PREVISIONI PER IL FUTURO PROSSIMO
Nel corso del 1998, ai successi nazionali collezionati sul piano
delle politiche di compressione dell’inflazione, di contenimento del deficit e di riequilibrio dei conti dello Stato senza ricorso a manovre
straordinarie di finanza pubblica, e al successo rappresentato poi - anche in termini di immagine - dall’ingresso dell’Italia tra i Paesi capifila
dell’unione monetaria, si sono accompagnate le turbolenze economiche
dei mercati globali (la crisi asiatica, il rischio di recessione giapponese,
la svalutazione del rublo, la flessione delle Borse internazionali, la crisi
dell’amministrazione Clinton), nonché l’improvvisa messa in discussione degli assetti politici nazionali.
Dal punto di vista economico, la fiducia riposta in un quadro tutto
sommato positivo deve invariabilmente fare i conti con le dolenti note
di una grave situazione sul piano occupazionale, le insufficienti misure
adottate per lo sviluppo del Mezzogiorno, l’eccessiva pressione fiscale
e contributiva sulle imprese, la timida ripresa dei consumi finali e la sostanziale stazionarietà della propensione al consumo (reddito disponibile reale, al netto delle tasse, allocato ai consumi).
Le tendenze previste per il prossimo futuro confermano, quindi, il
trend positivo del mercato, ma ne riducono la portata espansiva. Il 1998 si
chiuderà, infatti, con un aumento degli investimenti complessivi pari al
6,1% nominale (+4,0% al netto dell’inflazione, contro il +5,6% del 1997).
Per il 1999 si profila un miglioramento della situazione generale,
delineando uno scenario in cui il tasso di crescita dei consumi salirà al
237
2,4%, il PIL al 2,6% e l’inflazione rimarrà contenuta al 2,1%. L’andamento degli investimenti pubblicitari si prevede assestato su un +5,5%
nominale (+3,3% in lire costanti). Il rapporto investimenti/PIL passerà,
quindi, dall’1,18% di fine ‘97 all’1,21% di fine ‘99 (tab. 6).
Stando alle opinioni prevalenti, il mercato della pubblicità potrà inoltre trarre slancio dall’ingresso di nuovi utenti, grazie all’impulso
delle privatizzazioni e del processo di deregolamentazione, che dovrebbero accrescere la domanda attraverso l’introduzione della concorrenza
in settori che ne erano privi e attirare così nuovi operatori.
Una seconda considerazione, per una corretta previsione dei comportamenti di consumo degli italiani, riguarda il progressivo spostamento verso i cosiddetti “nuovi consumi” (turismo, cultura, sanità privata,
tempo libero, servizi, eccetera). In questi settori sono in corso processi
di consolidamento e di professionalizzazione, fino ad esprimere nuove
e più articolate esigenze di una comunicazione consapevole e mirata.
Proprio da questi nuovi investitori il mercato pubblicitario può attendersi un contributo alla crescita per i prossimi anni, in previsione del progressivo orientamento verso tipologie di consumo che avvicinano l’Italia ai Paesi più maturi - dai beni primari a beni a forte contenuto di
servizio.
Né peraltro può essere sottovalutato l’orientamento che sembra
delinearsi nel segmento delle piccole-medie imprese - parte tutt’altro
che indifferente nella realtà imprenditoriale italiana - di ricercare proprie specifiche modalità di affermazione e di comunicazione.
Il settore del non-profit, oltre al resto, è destinato ad una sempre
maggiore attenzione da parte degli individui e dei soggetti organizzati,
ed ha ormai raggiunto una prima cornice di riferimento normativo che
consente di dispiegare azioni di comunicazione per attirare risorse umane e finanziarie. Si apre, dunque, una nuova frontiera per la comunicazione.
In linee generali, il mercato della comunicazione pubblicitaria si
riafferma tra le leve competitive indispensabili per il management, e
quindi tra i fattori produttivi al servizio dell’azienda. Ma il Rapporto
dell’Upa avverte: “Risulta sempre più fortemente radicata come valoreguida la cultura del risultato (...). Se da un lato, dunque, vengono con238
fermate l’interpretazione della comunicazione (pubblicitaria) in chiave
di investimento e la sua acquisizione fra le prioritarie destinazioni delle
risorse aziendali, dall’altro la prosecuzione delle attuali politiche espansive sembra fortemente condizionata dalla verifica della loro efficacia e
dunque dei risultati” (Upa 1998, p. 25).
Risulta chiaro, in altri termini, che una prosecuzione della fase di
espansione del mercato della pubblicità nel prossimo futuro è strettamente vincolata al riallineamento del tasso di crescita degli investimenti
con quello relativo ai consumi - e ai fatturati delle imprese, quindi - che
in questa fase, come già detto, sono risultati fortemente divergenti. Tanto più che la congiuntura degli eventi favorevoli del 1997 non potrà replicarsi. Per fare solo un esempio, si sta esaurendo l’impatto positivo esercitato sui conti economici delle imprese e sugli investimenti in pubblicità dal processo di accumulo successivo alla crisi.
239
4. CRISI DELLA PUBBLICITÀ O NUOVO CORSO DELLA COMUNICAZIONE?
Il rapporto della spesa pubblicitaria con il PIL e quello con i consumi finali interni delle famiglie, cui sopra abbiamo accennato, rappresentano il riferimento più indicativo di cui si dispone.
Se viene posta l’attenzione sul rapporto esistente tra il ritmo di sviluppo dell’economia e quello del mercato della comunicazione commerciale, si scopre che il rapporto tra l’incremento percentuale degli investimenti e quello del PIL nel biennio ‘96-‘97 è pari a 3,8 volte. Depurato il dato dell’effetto inflattivo, in modo da confrontare dati omogenei, si trova essere persino superiore a quello registrato nel biennio d’oro ‘88-‘89 di un decennio fa, in cui il tasso di incremento degli investimenti rispetto agli anni precedenti era superiore a quello attuale, ma il
rapporto con l’incremento del PIL era pari “solo” a 1,6 volte.
A ciò si aggiunge l’ampio divario stabilitosi tra il tasso di crescita
degli investimenti (complessivamente +5,6% al netto dell’inflazione, e
+7,0% per quanto riguarda le forme di pubblicità “classica”) e quello
relativo ai consumi privati (+1,9%).
La profonda divergenza riferita tra la crescita degli investimenti
pubblicitari e i fondamentali dell’economia, ravvisabile nello scenario
socio-economico italiano presente rispetto alle serie storiche degli indici di correlazione, implica tacitamente una constatazione: che alla ripresa degli investimenti in pubblicità non ha corrisposto un pari progresso
delle vendite e dei margini d’impresa.
240
Sebbene gli attuali tassi di crescita al netto dell’inflazione ricordino i tassi degli anni Ottanta, lo scenario è profondamente mutato. La
crisi dell’incidenza pubblicitaria - ovvero il rapporto percentuale tra investimenti pubblicitari e vendite - indica chiaramente che è entrato in
crisi il paradigma pubblicitario di quegli anni. La tradizionale funzione
della pubblicità intesa come stimolo, traino e moltiplicatore dei consumi e delle vendite ha perso di efficacia: aumentano, sì, i margini investiti, ma non crescono di pari passo i risultati in termini di sell-out e di
conseguimento effettivo degli obiettivi.
Cade la “mitica” proporzionalità diretta tra pressione pubblicitaria
e consumi. Una simile osservazione comporta un’analisi esplicativa altamente complessa e chiama in causa, per la sua soluzione, l’intervento
dei fattori molteplici e interrelati che agiscono sul comportamento dei
consumatori. Non è questa la sede per dirimere la questione, che va
spiegata ricercando le cause nell’evoluzione dei cicli del mercato, tuttavia si vuole cogliere lo spunto offerto da questo dato assai significativo
per scorgere una linea di tendenza evolutiva della cultura della comunicazione.
In base alle più accreditate opinioni espresse dagli esperti del settore, il paradigma della pubblicità è cambiato. L’affermazione merita di
essere sostenuta con una ricognizione più ampia delle recenti innovazioni.
Oggi la distribuzione incide in maniera significativa sull’intero
processo aziendale. Il peso esercitato dal destinatario, il cliente, influisce in modo crescente sullo sviluppo aziendale. Permangono, certo, i
problemi legati alla produzione e alla ricerca di nuovi mercati, ma essi
sono legati sempre di più a doppio filo alla capacità di capire e comunicare con il cliente, e di fornirgli un servizio adeguato. Dato il continuo
confronto/scontro dei produttori con la distribuzione, il vantaggio si
colloca allora nella capacità di conquistare la cosiddetta share of mind
del consumatore finale. E’ evidente che queste nuove necessità sono
tutte inerenti alla funzione di comunicazione. Il dialogo con il consumatore attraverso la comunicazione della marca è dunque diventato lo
strumento fondamentale della politica delle aziende in questo scorcio di
secolo.
241
In una concezione siffatta, che considera la leva comunicazionale
d’impresa in termini molto più articolati rispetto a quelli riduttivi del
passato, l’utilizzo della comunicazione diviene fattore sempre di più
strategico, “elemento basilare della costruzione del prodotto e di quel
particolare rapporto tra quest’ultimo e il consumatore che è riassunto
dal concetto di marca” (Upa 1998, p. 143), anche quando la spesa pubblicitaria non abbia effetto immediatamente propulsivo sulle quote di
mercato, né tempestivi benefici sui risultati di vendita. “La pubblicità
manifesta, pertanto, una minore capacità di fare reagire le vendite nel
breve periodo, ma emerge come uno degli elementi fondamentali per la
costruzione e il sostegno della marca e quindi delle vendite nel medio
periodo” (Upa 1998, p. 142).
Questa spiegazione dei profondi cambiamenti avvenuti nel modo e
nel senso di “fare pubblicità” si adatta correttamente al nostro attuale
contesto socio-economico e produttivo. Eppure deve essere valutata con
cautela. Questa interpretazione dell’inversione di tendenza del rapporto
tra l’incremento della spesa pubblicitaria e quello dei consumi, pur contenendo argomenti validi e utili, rischia di apparire indebolita dal punto
di vista speculativo da una sorta di petizione di principio: viene cioè utilizzata in funzione di premessa esplicativa la tesi che si deve invece
dimostrare. I dati empirici vengono letti a posteriori come rinvianti a
qualcos’altro in realtà già presupposto.
Al di là di tale interpolazione proveniente dal mondo dei pubblicitari,
il dato di scostamento della crescita della spesa pubblicitaria da quella dei
consumi finali lascia intravedere una ulteriore ipotesi di interpretazione
delle più recenti tendenze della comunicazione d’impresa rispetto al sistema aziendale e al corpo sociale nel suo complesso, entrambi collocati
all’interno dei grandi cambiamenti in cui oggi ci troviamo immersi.
Va prima di tutto sottolineato che il sistema aziendale è scosso fortemente e rapidamente nella sua funzione e gestione dai mutamenti
strutturali e istituzionali associati all’ondata delle innovazioni tecnologiche che stanno penetrando in maniera pervasiva nel complesso economico e sociale del Paese.
In secondo luogo, i processi di globalizzazione dei mercati, di liberalizzazione, deregolamentazione e privatizzazione dell’economia, e
242
l’unificazione politica e monetaria europea hanno determinato una fase
di radicale trasformazione dell’assetto organizzativo delle imprese e
delle relazioni di comunicazione delle stesse. Le motivazioni che stanno dietro l’orientamento politico mondiale verso la deregolamentazione, la liberalizzazione dei mercati e la privatizzazione delle utilities e
dei servizi pubblici risiedono nella convinzione radicatasi ormai ai diversi livelli che l’aumento - o, in taluni casi, l’introduzione - della concorrenza tra le imprese nei molteplici settori determinerà insieme l’aumento della loro redditività, il miglioramento del servizio e la riduzione
dei costi per l’utenza finale.
Nel nuovo contesto delineato diventa assolutamente imprescindibile per l’impresa arrivare a una concezione dei prodotti e dei servizi in
linea con le esigenze della clientela, esterna ed interna, attraverso l’instaurazione di nuove relazioni con gli utenti, i dipendenti, i soggetti collettivi (associazioni dei consumatori, gruppi di interesse, enti locali, eccetera) e la società in generale, e attraverso il monitoraggio organizzato
delle esigenze della domanda. Tale rete di relazioni ha lo scopo di costruire un meccanismo sistematico di misura del clima aziendale e della
customer satisfaction - essenziale, quest’ultima, per costruire piani di
offerta e di comunicazione verso la clientela, ma soprattutto per definire
la concezione dei nuovi prodotti e servizi sulla base delle reali esigenze
del mercato, non più mediate da una interpretazione soggettiva da parte
dell’azienda.
Siamo convinti che “i fenomeni comunicativi sono strettamente e
intimamente legati a quelli consumistici, dato che senza rapida comunicazione e quindi senza possibilità di quasi immediata trasmissione di un
prodotto, di un pensiero, di una immagine non si verificherebbe neppure un altrettanto rapido e incessante consenso e la necessità di apprestare nuovi condizionamenti visivi, auditivi, immaginativi che valgano a
soddisfare la nostra smania, e anzi il nostro bisogno, di «novità»” (Scalise 1984, p. 140). Tuttavia, e proprio in ragione di ciò, i vantaggi competitivi si ottengono oggi sfruttando altri strumenti e approcci comunicativi accanto alla tradizionale comunicazione pubblicitaria.
Superata l’identificazione immediata della comunicazione aziendale con la pubblicità commerciale dei prodotti d’impresa, si assiste og243
gi ad una evoluzione degli strumenti, degli obiettivi, dei contenuti e degli approcci della comunicazione, imposti dalla competizione globale e
dalle turbolenze degli scenari socio-economici internazionali, nonché
dall’evoluzione delle reti e dall’innovazione tecnologica nella gestione
delle informazioni.
La comunicazione agisce sempre di più all’interno delle diverse reti di relazione che costituiscono le organizzazioni, coinvolgendo al tempo stesso i clienti esterni ed interni. Va dunque senza dubbio rivalutata
l’importanza del cliente interno: non si può sostenere la promozione
pubblicitaria del prodotto o servizio dell’azienda ed essere incapaci al
contempo di gestire in maniera adeguata e soddisfacente le relazioni
all’interno dell’organizzazione. E’ emblematico, a questo proposito, il
caso delle Ferrovie dello Stato che, qualche tempo fa, lanciarono una costosa campagna pubblicitaria la quale, sfruttando l’immagine di un famoso testimonial, focalizzava l’interesse sulla qualità del servizio (efficienza dei treni, comfort, velocità e sicurezza). A tale iniziativa non corrispose però un reale investimento nell’innovazione e un miglioramento
effettivo, né tantomeno un investimento nella strategia di comunicazione
interna. Il risultato fu un messaggio dal contenuto fortemente contraddittorio e, in definitiva, una operazione di comunicazione inefficace.
244
5. IL NUOVO PARADIGMA DELLA COMUNICAZIONE
Non si può comprendere il nuovo paradigma della comunicazione
d’impresa, né i tratti essenziali con cui si modifica l’offerta di comunicazione, se non si predispone un’analisi strettamente integrata con l’individuazione dei soggetti, interni ed esterni, che contribuiscono alle
scelte di politica di comunicazione - quindi, alla domanda di comunicazione d’impresa.
Come prima impostazione metodologica, dunque, c’è la rinuncia
al tentativo di un’analisi separata tra:
• soggetti che contribuiscono alla definizione della domanda di comunicazione d’impresa;
• soggetti che rappresentano l’offerta di comunicazione d’impresa.
L’impresa che comunica lo fa in quanto immersa nella società comunicativa, fondata sulla interdipendenza tra soggetti, saperi, competenze, finalità, modalità di azione, relazioni. Le riflessioni su “cos’è comunicazione” convincono a non poter valutare separatamente l’analisi
dei soggetti che costituiscono l’offerta di comunicazione da quella che
riguarda i soggetti che contribuiscono alla definizione delle scelte di
politica di comunicazione delle imprese. Inoltre, gli aspetti - o, più propriamente, gli “indizi” - concernenti l’evoluzione della domanda di comunicazione, raccolti e ordinati durante l’attività di analisi e di interpretazione delle testimonianze provenienti dal mondo dei professionisti
della comunicazione, incoraggiano fortemente l’ipotesi di lavoro indirizzata a delineare lo scenario dei soggetti che costituiscono l’offerta di
245
comunicazione alle imprese. L’intuizione che sorregge questo quadro si
basa, dunque, sulla interdipendenza tra i soggetti dell’offerta e i soggetti
della domanda.
Stabilito questo punto di partenza, l’analisi proposta è strutturata
in tre “luoghi” di riflessione:
• analisi introduttiva su “cos’è comunicazione”;
• soggetti che contribuiscono alla definizione della domanda di comunicazione d’impresa;
• soggetti che rappresentano l’offerta di comunicazione alle imprese.
5.1 La comunicazione è scelta di comportamento
Una prima, fondamentale, premessa teorica è la differenza tra comunicazione e informazione. Nel processo comunicativo si stabilisce una relazione tra il soggetto che comunica (la fonte, l’emittente) e l’obiettivo che si vuole raggiungere. Ciò che interessa non è quanto si trasferisce dell’informazione dall’emittente al ricevente attraverso un
mezzo o uno strumento, ma quale influenza la fonte ha la capacità di esercitare per il raggiungimento dell’obiettivo. E’ la risposta di comportamento dell’“altro” (il destinatario, il ricevente) che conclude il processo comunicativo, e non il trasferimento di una informazione. Dunque, la comunicazione si basa sull’ascolto dell’altro e sull’analisi della
sua risposta in termini di comportamento; fuori da questa ipotesi tutto è
informazione.
Il soggetto-altro è assiomaticamente diverso dal soggetto-fonte.
Non si può, per questo, comunicare senza aver prima ascoltato. E non si
può comunicare, dopo aver ascoltato, senza modificare i propri comportamenti. Comunicazione è, quindi, scelta di comportamento. E scegliere
quei comportamenti che abbiano una immediata efficacia nella comunicazione permette di ottenere una risposta che non può essere solo formale, ma deve essere di sostanziale modifica di comportamento da parte dell’altro interesse. La comunicazione reale è, dunque, comunicazione di ascolto e di comportamento, modalità di disponibilità al cambiamento anche da parte di chi comunica.
246
Se comunicazione è scelta di comportamento, allora i soggetti della comunicazione d’impresa da individuare sono coloro che contribuiscono alle scelte di comportamento delle imprese. Domanda e offerta di
comunicazione attengono in definitiva alle modalità di scelta di comportamento delle imprese.
5.2 La società è comunicativa
Quest’ultima affermazione è supportata dalla configurazione generale che la società di questi anni è venuta sempre più assumendo. L’attuale società è stata da più parti definita “comunicativa”. Secondo l’interpretazione che interessa al nostro percorso di analisi, società comunicativa è la società in cui la comunicazione non è scissa dagli obiettivi istituzionali o aziendali.
Nella società comunicativa, la comunicazione non è successiva o
strumentale alle decisioni strategiche, ma è, all’opposto, modalità di determinazione degli obiettivi - e dei comportamenti - e principale leva
strategica della loro realizzabilità.
Nella società comunicativa non agisce una volontà aziendale che
pone l’obiettivo e chiede alla comunicazione un contributo per il suo
raggiungimento. Agisce, all’inverso, una comunicazione dell’impresa
che partecipa, e risulta utile, alla definizione dell’obiettivo.
Chi ha ruolo nella società comunicativa per la definizione dell’obiettivo? Per molti anni si è erroneamente ritenuto che il sistema della
comunicazione fosse soprattutto un processo industriale, dove la comunicazione si consuma quasi come un prodotto. Tutto ciò non è adeguato
a una società interdipendente e pluralista come quella in cui viviamo.
La comunicazione, intesa nella visione della società comunicativa, è la
comunicazione che dà consapevolezza, in particolare delle interdipendenze e delle interconnessioni che sono l’aspetto fondamentale della
nostra società. In essa, tutte le categorie di rappresentanza degli interessi partecipano alla definizione dell’obiettivo, influenzando la domanda
di comunicazione d’impresa. In linea di principio, le categorie dei giuristi, dei filosofi, degli economisti, degli ambientalisti, eccetera sono u247
gualmente coinvolte nel processo di definizione dell’obiettivo aziendale. Le comunicazioni di tutte queste categorie possono influenzare e agire sui quadri dell’industria della comunicazione e contribuire alla
qualità dell’offerta di comunicazione alle imprese. Anche le scelte e le
decisioni di comportamento possono essere influenzate, quindi, dalla
comunicazione espressa dalla società comunicativa.
5.3 Il paradigma della comunicazione è cambiato
L’altro aspetto che sostiene la tesi che domanda e offerta di comunicazione attengono alle modalità di scelta di comportamento delle imprese riguarda la constatazione che è cambiato - ma non solo sul mercato
italiano - il paradigma di base della comunicazione d’impresa. Anche se
non ancora definitivamente percepibili in Italia, emergono i segnali che:
• la comunicazione svolge il ruolo di pilastro portante di quella società
della conoscenza che permea di sé il nostro futuro prossimo;
• l’economia della convergenza tecnologica pone la comunicazione come suo fondamento e impatta trasversalmente ogni organizzazione,
sotto l’aspetto sia culturale che di processo;
• i percorsi di disintermediazione in atto sui mercati impongono alla comunicazione d’impresa un cambiamento culturale.
Le implicazioni di questo cambiamento di paradigma sono già riconoscibili nel:
• chi comunica - i soggetti della comunicazione d’impresa sono cambiati: dal consumatore/azionista/dipendente si è passati agli stakeholders/gruppi di interesse;
• come si comunica - i processi sono cambiati, anche se gli strumenti usuali rimangono a fianco dei nuovi;
• perché si comunica - la relazione e il comportamento prevalgono sulla
immagine e sulla visibilità.
Si è dunque avviata una fase di mutazione che conduce a riconoscere alla comunicazione un ruolo centrale nella definizione dei comportamenti delle imprese. Il modello generale della comunicazione
248
d’impresa attiene al rapporto tra i comportamenti aziendali e gli stili e
la qualità di vita delle persone. Il cambiamento di paradigma della comunicazione si fonda, infatti, sulla crescente consapevolezza che la comunicazione di comportamenti da parte delle imprese socialmente responsabili determina un significativo valore aggiunto nelle relazioni
con i gruppi di interesse. In tal senso, la comunicazione non va vista unicamente come un dato di efficienza dell’organizzazione, ma anche
come possibilità di sviluppo dell’azienda stessa e, in fondo, dell’economia di produzione.
5.4 La partecipazione degli interessi esterni e interni nella definizione
della domanda di comunicazione d’impresa
Nello scenario attuale l’attenzione si sposta sulla comunicazione
di ascolto e di comportamento. E’ su questa base che poggia l’intuizione di non poter svolgere un’analisi separata tra domanda e offerta di comunicazione, in quanto entrambe attengono alle modalità di scelta dei
comportamenti dell’impresa. Mentre domanda, l’azienda offre comunicazione. E, viceversa, i soggetti esterni, che tradizionalmente costituiscono l’offerta, influenzano la definizione della domanda partecipando
così alle scelte strategiche dell’impresa.
Questo modello dell’inter-soggettività tra domanda e offerta di comunicazione si fonda sulla convinzione che non c’è comunicazione
d’impresa reale e fondata sull’ascolto se non c’è la partecipazione dei
gruppi di interesse - esterni e interni - alla definizione dei processi decisionali dell’organizzazione.
Nell’attuale configurazione pluralista della nostra società, lo schema di riferimento delle organizzazioni complesse è proprio quello che
si fonda sulla mediazione e sulla loro capacità di ricezione dell’assetto
degli interessi. Secondo questo schema, la domanda/offerta di comunicazione - o meglio, la scelta di comportamento - proviene dall’organizzazione e dall’equilibrio degli interessi - esterni e interni - nella loro
soddisfazione di fatto. La centralità del ruolo di ricezione è importante
per riconfermare che in una società comunicativa e pluralista domanda
249
e offerta di comunicazione interagiscono e si influenzano reciprocamente.
Nel contesto del pluralismo, dunque, gli interessi diversi contribuiscono, attraverso un processo di comunicazione, alle scelte di comportamento del soggetto-fonte. In concreto, esiste la possibilità che interessi esterni all’impresa contribuiscano alla definizione della domanda di
comunicazione.
Perseguire l’individuazione di quali soggetti contribuiscono alla
domanda di comunicazione d’impresa presuppone una domanda: qual
è l’interesse da ascoltare? Ovvero: se comunicazione è ascolto e conseguente scelta di comportamento, allora quali interessi orientano le azioni - e la comunicazione come modalità di cambiamento - dell’impresa?
L’interesse al quale le organizzazioni devono fare riferimento non
è, in condizioni di pluralismo, l’interesse prefissato o fissato unicamente dal confronto al vertice dell’azienda. Alla probabile scomparsa della
predeterminazione corrisponde così la necessità di soddisfare l’interesse risultante dall’ascolto delle categorie che rappresentano gli interessi
esterni/interni all’impresa.
La comunicazione dell’impresa non può, oggi, non basarsi sull’ascolto. L’impresa deve connettersi con l’esterno/interno, attivare la partecipazione dei suoi stakeholders e comprendere il contenuto dell’interesse risultante dalle loro azioni, cioè la somma di diversi interessi soggettivi da ascoltare e da soddisfare. L’obiettivo è l’adeguamento delle azioni dell’impresa all’equilibrio degli interessi esterni/interni.
La domanda di comunicazione da parte dell’impresa si compone
oggi seguendo questo schema basato sull’ascolto e sulla scelta di comportamenti orientati all’equilibrio degli interessi. Ai processi di definizione del contenuto della domanda partecipano, in modo diretto o indiretto, tutte le diverse categorie di rappresentanza di interessi che compongono la società. Questo fattore incide qualitativamente sulla composizione della domanda, la quale risulta essere più matura rispetto agli
anni appena trascorsi e più orientata a riconoscere alla comunicazione il
ruolo reale di contributo alla scelta dei comportamenti. L’obiettivo è,
infine, l’adeguamento delle azioni dell’impresa all’equilibrio degli inte250
ressi esterni. Lo stesso processo avviene all’interno dell’impresa, dove
le azioni sono orientate a recepire l’assetto degli interessi interni.
5.5 Il decisore nei processi di definizione delle politiche di comunicazione
E’ così definita la struttura teorica attraverso la quale viene oggi
influenzata la domanda di comunicazione: la partecipazione degli interessi esterni e interni. In altre parole, di fronte alla presenza di una pluralità di interessi, l’impresa non può basarsi solo sui propri contenuti.
Essa deve individuare l’interesse risultante dal confronto con le opinioni collettive esterne e interne, e caratterizzare conseguentemente la sua
azione: che è domanda/offerta di comunicazione attraverso una scelta di
comportamento da parte dell’azienda.
A fronte di questa analisi di scenario c’è poi il tema di chi, all’interno dell’impresa, ha la responsabilità finale in termini di scelta di politica di comunicazione. La responsabilità delle decisioni strategiche in
materia di comunicazione risulta attenere, nella maggior parte dei casi,
al Capo azienda: Presidente, Direttore generale o Amministratore delegato. La comunicazione compete al Capo azienda non perché sia il capo
dell’azienda, ma perché egli, recepito l’assetto degli interessi esterni e
interni, ha la responsabilità degli obiettivi e della strategia, e la comunicazione rientra tra le scelte strategiche che una impresa deve compiere.
Con la diffusa tendenza a riconoscere all’impresa una sempre più
qualificata competenza nella definizione strategica delle politiche di comunicazione, si ritiene che il vertice aziendale sia oggi, più che in passato, supportato nei processi decisionali da risorse professionali interne
sempre più selezionate dal punto di vista qualitativo.
5.6 Come cambia la domanda di comunicazione d’impresa (dal punto
di vista del mercato)
All’analisi indirizzata a rilevare i soggetti che contribuiscono alla
definizione della domanda di comunicazione si affianca una riflessione
proveniente dall’osservazione del mercato di comunicazione.
251
La crisi economica aveva interrotto un decennio di forte crescita
degli investimenti in comunicazione commerciale, caratterizzato significativamente da uno squilibrio tra domanda e offerta. Era l’offerta che decideva prodotti e servizi, ed era sempre l’offerta a determinare i prezzi.
La crisi ha invece prodotto una maggiore attenzione delle imprese ai
costi. Non appena sono emersi i primi segnali di ripresa degli investimenti in
comunicazione commerciale, inoltre, le imprese si sono dotate di risorse
professionali interne più qualificate, ponendo così fine alla fase di sostanziale delega all’esterno della responsabilità delle strategie di comunicazione.
Oggi si osserva una domanda che, rispetto agli anni passati, si è evoluta o, almeno, parzialmente evoluta. E’ la domanda a imporsi sull’offerta, determinando i costi, ma soprattutto proponendo comportamenti e contenuti attraverso cui comunicare.
Oltre a questo, dalle imprese arriva una crescente richiesta di modalità e strumenti per la misurazione dell’efficacia della comunicazione.
Nel mondo della pubblicità, in particolare, sono rimasti irrisolti problemi e inadeguatezze da tempo denunciati dagli utenti dei mezzi, in primo
luogo il miglioramento dei sistemi di misurazione in termini di sicurezza delle rilevazioni e di arricchimento qualitativo dei dati. In questo
ambito l’offerta di comunicazione ha un ruolo propositivo ancora da
spendere. La misurazione del risultato, infatti, non deve essere una misurazione percentuale del grado di comprensione del messaggio. Misurare i risultati significa definire il piano di comunicazione e verificare,
in ogni fase di esso, la direzione d’azione dei comportamenti.
La misurazione dell’efficacia della comunicazione va essenzialmente eseguita in senso qualitativo, ossia in termini di influenza sulle
diverse categorie degli interessi. Risulta illogico, infatti, valutare le azioni di comunicazione solo dal punto di vista quantitativo: i budget
vengono spesi non per la comunicazione in sé, ma per il risultato in termini di risposta di comportamento che si vuole raggiungere.
5.7 Soggetti che rappresentano l’offerta di comunicazione alle imprese
L’interdipendenza tra domanda e offerta di comunicazione, che abbiamo provato a spiegare in termini di partecipazione degli interessi e
252
di influenza esercitata da questi sulla definizione della domanda/offerta
di comunicazione, rende valide le considerazioni proposte con riferimento alla domanda anche per l’offerta di comunicazione alle imprese.
Sulla tipologia dei soggetti che costituiscono l’offerta di comunicazione alle imprese possiamo aggiungere qualche considerazione. In
particolare, riteniamo di poter distinguere tra:
• gruppi di interesse che, suggerendo all’impresa comportamenti socialmente responsabili, contribuiscono alle sue scelte di politica di comunicazione;
• soggetti che rappresentano il mercato dell’offerta.
Il ruolo dei comunicatori d’impresa si gioca sempre di più, infatti,
nell’arena delle relazioni tra l’azienda e i soggetti pubblici, istituzionali,
associativi, eccetera. L’obiettivo principale è dare concretezza alla prospettiva di una reale collaborazione, o partnership, tra l’impresa e i
gruppi di interesse esterni e interni.
Da questo punto di vista si fa strada la convinzione che le categorie di rappresentanza di interessi, portando all’interno delle imprese riflessioni e suggerimenti in termini di comportamenti da adottare, contribuiscono a diversificare qualitativamente l’offerta di comunicazione
alle imprese.
Gli “accordi di collaborazione” o i “protocolli d’intesa” sono scelte di comportamento sempre più frequentemente adottate dalle aziende
in partnership con altri gruppi di interesse. Tali modalità di comunicazione producono un forte valore aggiunto nelle relazioni tra l’impresa e
la sua arena di influenzamento e aprono nuove possibilità di sviluppo
delle comunicazioni.
5.8 Come cambia l’offerta di comunicazione alle imprese (dal punto di
vista del mercato)
Raccogliamo, infine, qualche riflessione sui soggetti che rappresentano il mercato dell’offerta. Come già affermato, c’è la diffusa sensazione che la domanda di comunicazione d’impresa sia migliorata ne253
gli ultimi anni. L’offerta, analizzata dal punto di vista dei soggetti che
ne costituiscono il mercato, è rimasta invece ferma, o meglio ha dovuto
arretrare rispetto alle posizioni conquistate.
L’offerta non sembra seguire il passo della domanda di comunicazione. Dal 1993 in poi, le agenzie o società di consulenza di comunicazione hanno cominciato a percepire la crisi e l’arrivo di un forte arresto
della domanda di comunicazione in termini di investimenti. La prima e
più rilevante conseguenza è stata sull’occupazione che è al tempo stesso diminuita e cambiata.
L’occupazione è diminuita perché sono fuoriusciti dal settore della comunicazione almeno 2.000 addetti tra il 1993 e il 19974. Inoltre, l’occupazione è cambiata qualitativamente perché all’evoluzione della professionalità di comunicazione interna alle imprese è corrisposto un riposizionamento delle risorse umane del settore verso funzioni più tattiche e operative.
L’effetto sull’offerta di comunicazione è probabilmente negativo,
soprattutto perché oggi prevale la capacità delle imprese - presso le
quali rimane salda, contrariamente al passato, la decisione delle strategie in campo di comunicazione - di orientare i soggetti che costituiscono il mercato dell’offerta di comunicazione. Ciò sta creando una competitività tra i professionisti della domanda e dell’offerta di comunicazione, i quali, invece di individuare percorsi di crescita complementari,
stanno assumendo reciproche posizioni di difesa e consolidamento delle
posizioni raggiunte. Questa piega è favorita, poi, dall’assenza di un terreno associativo in cui regole certe possano garantire e promuovere la
funzione della categoria.
A fronte di questo andamento, si registrano nello scenario analizzato due novità con riguardo ai soggetti che costituiscono il mercato
dell’offerta di comunicazione. Da un lato, le imprese iniziano a rivolgersi alle grandi società di consulenza e di direzione aziendale per la
definizione delle politiche di comunicazione. Dall’altro, le imprese hanno sviluppato la capacità di rivolgersi a soggetti molteplici per potersi
garantire la migliore consulenza in ogni settore.
_________
4. Per citare solo un caso, il numero degli addetti in sede Assap è sceso dal 1992 ad
oggi di oltre 1.000 unità. Da 4.700 in totale, sono passati a circa 3.600.
254
Questo secondo aspetto ha portato a superare la fase della “azienda globale” nel campo dell’offerta di comunicazione. C’è dunque da aspettarsi, e forse da augurarsi, una risposta determinata da parte delle
società di consulenza di comunicazione che sembrano adattarsi in questi anni alle esigenze delle imprese, senza però elaborare un nuovo modello per:
• supportare l’azienda nelle scelte di politica di comunicazione;
• non cedere il passo alle società di direzione aziendale.
Con probabilità, il modello di consulenza da elaborare dovrà essere sempre di più basato sulla capacità di ascolto e sulla competenza ad
elaborare piani di comunicazione, ovvero strategie basate sulla scelta
dei comportamenti. Le competenze di un comunicatore d’impresa dovranno essere orientate ai diversi elementi:
• ascolto;
• ricezione degli interessi;
• obiettivo;
• piani di comunicazione;
• identità/comportamento;
• mezzi minimi;
• risultati.
La comunicazione, infatti, è ascolto, coinvolgimento e attivazione
dell’altro interesse attraverso scelte di comportamento. Comunicazione
è comprensione del contenuto dell’altro interesse come criterio per l’individuazione delle modalità di azione.
255
6. FARE CONVERGENZA
D’IMPRESA
TRA DOMANDA E OFFERTA DI COMUNICAZIONE
La comunicazione rappresenta ormai un settore strategico per la
realtà imprenditoriale del Paese - soprattutto nel nuovo scenario della
accresciuta competizione internazionale -, e i processi comunicazionali
si pongono con forza crescente come strumenti che contribuiscono al
conseguimento degli obiettivi aziendali più rilevanti. Tuttavia, del tema
della comunicazione si fa un gran parlare, ma poi alle parole spesso non
fa seguito un cambiamento di sistema concreto e sostanziale nelle realtà
aziendali. Il problema è dunque far convergere domanda e offerta di comunicazione d’impresa.
A cominciare da questo 1° Rapporto annuale sulla comunicazione
d’impresa - che nasce con l’intenzione di consentire e promuovere una
riflessione unitaria sulla comunicazione, indicando le coordinate di riferimento, delineando gli scenari, mettendo a confronto i saperi e le esperienze e la loro materializzazione nei diseguali contesti territoriali, settoriali, di dimensione e compagine - si vuole dare al mondo imprenditoriale, manageriale, istituzionale e accademico un segnale forte in questa
direzione.
Per avviare una riflessione e lanciare una ipotesi di lavoro per il
prossimo Rapporto vogliamo porre l’attenzione su una operazione fortemente orientata e di sicura utilità: esaminare il problema della comunicazione in maniera più articolata e analitica, sondando anzitutto il bisogno di comunicazione diffuso nelle realtà organizzative italiane.
256
Svolgere, quindi, una approfondita indagine presso le aziende, raccogliere informazioni al riguardo ed elaborare dati, al fine di superare un
grave limite del dibattito corrente sulla comunicazione: il fatto cioè che
esso sia molto autoreferenziale, in gran parte o esclusivamente concentrato sui - e tra i - soggetti che sono interessati ad esercitare funzione di
comunicazione, mentre trascura la prospettiva concreta delle altre voci,
impedendo così che il discorso raggiunga più ampi profili.
Tale ipotesi di lavoro e, insieme, proposta effettiva nasce dall’esigenza di sviluppare una più matura funzione di comunicazione nei diversi settori imprenditoriali e pubblici. Questa pretesa non viene certo
evidenziata per la prima volta con i riscontri del presente Rapporto.
Tutte le opinioni raccolte dai testimoni del settore riconoscono l’urgenza e la valenza strategica alle iniziative che verranno assunte in questo
ambito. Una siffatta operazione - “culturale” e pragmatica - di convergenza si rende necessaria se si vuole impedire l’eventualità che le parole rimangano sospese al di fuori dei cancelli dell’azienda.
Il tentativo di “incrociare” i due piani della domanda e dell’offerta,
per cercare un margine di possibile congiuntura tra i due, richiede un
approccio che risponda all’esigenza di valutazione dei bisogni e che
preveda il monitoraggio dei risultati ottenuti con le iniziative di comunicazione, nonché un cambiamento di prospettiva, da quella propria degli operatori a quella dei soggetti comunicatori che necessitano di piani
di comunicazione, consapevoli ormai del fatto che senza processi di comunicazione efficaci viene fortemente intaccata e penalizzata la competitività dell’azienda.
Il progetto mira a stabilire con maggiore cognizione quante e quali
aziende private e pubbliche del Sistema Italia possiedono sistemi e attuano processi di comunicazione avanzati e compatibili con le esigenze
avvertite all’interno e all’esterno dell’organizzazione:
• valutare quanti e quali soggetti riorganizzano in maniera strategica la
funzione comunicazionale e rispondono ai criteri generali di una comunicazione d’impresa funzionale; sono quindi dotati di una struttura
e di un organigramma specificamente dedicati, un piano di comunicazione, strumenti peculiari, un sistema informativo, e sono permeati da
un grado di cultura della comunicazione progredito;
257
• valutare, in caso contrario, il rischio che, visto il ruolo che la comunicazione ricopre nella capacità di competitività, si traduce immediatamente in rischio di competitività generale dell’azienda;
• valutare, inoltre, l’atteggiamento tenuto dalle imprese nei confronti
della comunicazione. Punteranno a breve termine risorse finanziarie e
professionali sul tavolo della comunicazione?;
• valutare, d’altro canto, se esiste una offerta sufficientemente valida, in
grado di rispondere ad un mondo imprenditoriale intensamente differenziato per settori, dimensioni, localizzazione e livello di sviluppo.
Più in particolare, il progetto potrebbe essere articolato secondo i
seguenti punti principali:
• individuare “chi” sono i soggetti della domanda di comunicazione
d’impresa (questionario alle imprese e approfondimenti qualitativi);
• analizzare i loro bisogni di comunicazione;
• prendere consapevolezza dello stato delle politiche e delle operazioni
di comunicazione attuate;
• misurare l’entità degli investimenti economici delle aziende e della
Pubblica Amministrazione in materia di comunicazione;
• individuare le intenzioni d’investimento culturale e professionale sulla
comunicazione d’impresa;
• individuare “chi” sono gli attori dell’offerta sul mercato della comunicazione d’impresa (communication manager, ricercatori e formatori,
società di consulenza, agenzie, concessionarie, mezzi, creativi e grafici, eccetera);
• stimare il numero degli addetti del settore e la qualità delle loro competenze;
• analizzare i prodotti offerti e le modalità di erogazione dei servizi;
• realizzare un apprezzamento dei profitti attuali e di quelli in prospettiva;
• individuare i cambiamenti qualitativi e quantitativi del settore;
• indagare le nuove dinamiche dei mezzi;
• valutare l’impatto delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione sulla comunicazione d’impresa.
258
Il compito è di sicuro complicato dal fatto che mancano sistemi di
rilevazione e dati certi sugli investimenti in forme di comunicazione altre dalla pubblicità, per le quali non si sono sviluppati e affinati strumenti e soggetti predisposti. Per la loro natura, del resto, le informazioni sono difficili da trarre in evidenza in termini quantitativi, come è difficile rintracciare immediatamente le forme di comunicazione più o meno dissimulate tra le voci di bilancio.
L’analisi successiva, irrinunciabile, riguarda gli scenari in prospettiva. Non può, in tal senso, non essere analiticamente studiata l’offerta
di formazione esistente, riservando un’attenzione particolare ai corsi di
laurea in Scienze delle comunicazioni recentemente attivati presso diversi atenei italiani, pubblici e privati, distribuiti sull’intero territorio
nazionale5. Fino a qualche anno fa, infatti, quello del comunicatore era
un mestiere che si apprendeva tutto sul campo, quindi in maniera condizionata dal confronto con situazioni casuali e disomogenee, senza un sistematico consolidamento teorico-accademico.
La nuova situazione fornisce, al contrario, una base di omologazione che consente di parlare, nel bene o nel male, di formazione di
professionalità. Sarà interessante esaminare la fortuna, o il destino, in
termini di inserimento nel mercato del lavoro, delle prime giovani leve
licenziate dagli istituti.
Lo studio potrà essere arricchito dall’analisi di uno o più casi di
eccellenza, o case history.
L’intenzione di fondo, insomma, è di promuovere una operazione
“culturale” e pragmatica di convergenza dei due piani della domanda e
dell’offerta in una “zona” comune, una sorta di distretto della comunicazione - se non rintracciabile territorialmente, almeno fruibile culturalmente e utilizzabile come slogan di sensibilizzazione -, affinché la comunicazione d’impresa possa effettivamente collocarsi tra quei distretti
che rendono ricca e vitale l’economia italiana.
________
5. Le testimonianze di docenti e responsabili dei corsi di laurea in Scienze delle comunicazioni delle varie Università italiane sono state raccolte in occasione del
focus group organizzato da Ascai Servizi a Roma, presso il Cnel, il 28 settembre
1998.
259
CAPITOLO IV
GLI STRUMENTI
DELLA COMUNICAZIONE D’IMPRESA
261
LA STAMPA AZIENDALE
263
1. SCRIPTA MANENT... PAROLA D’AZIENDA
Nei passati decenni, come già si è detto, il giornale aziendale ha
costituito lo strumento primario della comunicazione d’impresa, tanto
da sancire una forte identificazione tra house organ e comunicazione
interna. Oggi, nel mutato scenario della modernità, esso conserva una
larga diffusione e vanta ancora un ampio credito presso le imprese. La
Feiea, Federation of European Industrial Editors Association, ha stimato l’esistenza in Europa di oltre 7.000 pubblicazioni aziendali, con una
tiratura annua complessiva superiore a 200 milioni di copie. Se si considera che la maggior parte di esse sono inviate al domicilio del lavoratore, il numero complessivo dei lettori si può ritenere almeno doppio.
Sebbene una “cultura della comunicazione” si sia fatta nel tempo
più strutturata ed evoluta - essendo maturata la consapevolezza dell’efficacia dell’azione comunicativa come leva manageriale strategica per
conseguire vantaggi competitivi -, e alla stampa si siano affiancati mezzi e modalità complementari se non alternativi, questo rilievo non desta
sospetti né perplessità. Oltre alla sua riconoscibilità storica, a mantenere
il periodico aziendale attuale e funzionale provvedono i caratteri peculiari del mezzo stampato. Per esplicitarne solo alcuni, si possono segnalare la maneggiabilità, la facilità di fruizione, la familiarità e la consuetudine dei lettori con le testate. La lettura, inoltre, non è legata a costrizioni temporali, mentre altre soluzioni - come le convention, gli audiovisivi, i mezzi telematici, eccetera - vincolano a un programma temporale ineludibile. Al contrario, chiunque può leggere quando vuole, nel
momento più adatto e pertinente con il proprio ritmo personale.
265
Oltre alle prerogative attinenti all’autonomia di tempi e modalità
di fruizione, la rivista consente il vantaggio di trattare i contenuti con
dettagliatezza e completezza. Un altro suo punto di forza risiede nel fatto che essa abbatte le distanze, potendo essere recapitata potenzialmente in ogni luogo. Non solo: la lettura può estendersi alla famiglia del destinatario, dal momento che la maggior parte delle aziende spedisce il
proprio house organ direttamente a casa. Cosicché, anche se dalla carta
stampata si è ormai aperta nelle aziende la via alle relazioni interpersonali, l’house organ ricopre un ruolo fondamentale per veicolare messaggi attraverso la parola e l’immagine, al fine di trasmettere “dentro”
l’impresa valori e strategie, e per coinvolgere tutte le risorse umane in
partecipazioni attive nei processi di crescita e di trasformazione del lavoro e della società.
Di volta in volta intesi, a seconda del grado di “cultura della comunicazione” che permea il management, come oneri gravanti sul bilancio aziendale o come perle di valore aggiunto, i periodici aziendali
rappresentano senza dubbio degli strumenti chiave di informazione e
comunicazione. Possiedono le potenzialità comunicative per trasmettere
non solo informazioni sui “fatti” aziendali, ma soprattutto l’interpretazione aziendale dei medesimi, nonché messaggi finalizzati a incidere su
opinioni e comportamenti.
Scambiare valori diretti a creare condivisione, coesione e appartenenza è oggi la principale aspettativa di ogni organizzazione avanzata
nei confronti dei suoi pubblici interni. Generalmente questa aspirazione
converge in larga misura nei periodici aziendali. D’altra parte, un giornale aziendale è, per sua natura, svincolato da logiche di acquisto e
quindi di visibilità. Un house organ deve essere credibile ma, a differenza dei media da edicola, non deve rispondere necessariamente a tutte
le esigenze del suo target. Di larghe diffusioni, o di tirature limitate, le
pubblicazioni aziendali non hanno l’impegno di compiacere il lettore
per ragioni commerciali, né ambiscono a raggiungere un pubblico più
vasto di quello costituito dai naturali destinatari. Non hanno l’obbligo
di presentare quello che il lettore vuole leggere, dunque, ma quello che
deve sapere per assolvere con dignità e competenza il ruolo che svolge
in azienda.
266
La rivista aziendale è così finalizzata ad aumentare la visibilità
dell’azienda, a facilitare la conoscenza delle persone, delle esperienze,
delle strutture organizzative e dei ruoli, a diffondere la conoscenza dei
mutamenti dovuti alle innovazioni di carattere strutturale, organizzativo
e tecnologico. Oltre a mirare alla promozione dell’immagine dell’azienda, dei prodotti e dei servizi, a far conoscere le nuove strutture di reparto e dirigenziali, le nuove sedi e gli impianti, si pone lo scopo di omogeneizzare il linguaggio e i codici espressivi utilizzati in azienda, formare ai metodi di lavoro e fornire l’aggiornamento professionale. L’interesse generale è di diffondere l’idea globale dell’impresa e del suo
percorso di marcia - la mission aziendale -, interpretare il rapporto tra
realtà esterna e interna all’impresa, comunicare le risonanze nei mass
media, rendere comuni le sfide che si pongono all’azienda, trasferire
così valori-guida, incentivando il dialogo tra azienda e dipendenti per
migliorare la comunicazione, gestire le crisi e risolvere i conflitti, influenzare il clima aziendale e determinare nei dipendenti coinvolgimento, identificazione, motivazione e orientamento al cambiamento.
Il panorama della stampa aziendale presenta tuttavia un’offerta varia e diversificata di formule e soluzioni, e una qualità ancora molto ineguale. La visione che qui ne viene proposta ha il valore di un rilevamento indicativo delle tendenze compiuto attraverso una lettura indiretta del fenomeno, e non tramite un approccio organico e sistematico. Ciò
è giustificabile in ragione della difficile reperibilità di dati certi utili
all’analisi del fenomeno, e a causa della disomogeneità di quelli disponibili. Infatti, pur nello sviluppo progressivo delle tematiche e delle forme espressive, la stampa aziendale è rimasta caratterizzata dalla propensione a non uscire dalla cinta degli interessi aziendali e dai circuiti
dell’impresa. Ciò ha contribuito a limitarne la diffusione e la conoscenza, conferendole quei connotati da mondo sommerso che la caratterizzano. Inoltre, se è cresciuta vieppiù la consapevolezza della necessità
dell’house organ e del suo valore nell’ambito delle politiche e delle
strategie aziendali, più carenti sono rimaste la valutazione degli effetti
sui destinatari e le analisi del gradimento delle testate aziendali - carenza dovuta ai limiti strutturali e operativi delle aziende nella dotazione di
strumenti adeguati a questi rilevamenti. La letteratura, poi, contiene solo informazioni descrittive e riguardanti la diffusione. Scarsa permane
267
la valutazione della fruizione e dell’efficacia, la verifica della readership, dell’interesse suscitato e del gradimento ottenuto, così come dei
risultati conseguiti. I limiti di questa ricostruzione non invalidano comunque la comprensione, la definizione e la descrizione che qui viene
presentata degli elementi positivi, di novità e di criticità della stampa
aziendale.
268
2. LA
COMUNICAZIONE DALLA CARTA STAMPATA ALL’ANIMA.
UNA
RICO-
STRUZIONE STORICA
Il giornale aziendale nasce con la seconda rivoluzione industriale,
ed è lo strumento più antico adottato dalle imprese per tessere rapporti
con i dipendenti. Anzi, è lo strumento che per tradizione, riconoscibilità
e diffusione viene considerato l’output per antonomasia della comunicazione interna.
Fin dai primi decenni del secolo si trovano riferimenti di pubblicazioni aziendali in Italia. Con probabilità il giornale della Società Idroelettrica Piemonte, edito a Torino dal 1921 al 1930, o la rivista distribuita nelle città di Piemonte e Lombardia a partire dal 1925 per far conoscere l’uso del telefono, oppure il fascicoletto che la società elettrica Edison di Milano inviava ai suoi utenti negli anni Trenta, non costituirono casi isolati, sebbene non siano rimaste altre tracce vistose, né furono
mai raccolti i nomi delle testate e una concreta documentazione esista
soltanto per il periodo successivo alla prima Guerra mondiale. All’origine della realizzazione dei primi periodici aziendali può essere stata la
necessità di comunicazione di qualche impresa con fabbriche delocalizzate, o la convenienza di alimentare un certo spirito di corpo nei dipendenti, o anche l’esigenza di pura e semplice pubblicità societaria. Il problema viene risolto con un escamotage innovativo e ingegnoso, sebbene ingenuo, viste le potenzialità rimaste allora ancora inutilizzate. La
stampa aziendale nasce dunque come iniziativa rivolta ad un pubblico
ben definito, quindi con tirature ridotte, di scarso interesse per altro genere di lettori a cui fosse capitata tra le mani. Subentrarono successiva269
mente confronti, ragioni di prestigio, la ricerca della convenienza. Inizi
diversi, insomma, e spinte non omogenee hanno costituito le originarie
motivazioni che, con il tempo, hanno perduto il loro peso e sono state
sostituite da altre. Sicché, a voler ricostruire un quadro storico degli
house organ si corre il rischio, o c’è la tentazione, di prendere le mosse
da chissà quali epoche remote.
Ma per evitare il rischio, e sfuggire alla tentazione, ci si deve riferire alle origini di una vera e propria stampa aziendale solo diversi anni
dopo, nel secondo dopoguerra, quando, a partire dagli anni Cinquanta,
ne inizia il vero e proprio sviluppo. Fra gli anni Cinquanta e Sessanta si
registra in Italia l’attività di quasi 120 testate. Alla flessione che ha caratterizzato gli anni Settanta - in concomitanza con alcune grandi concentrazioni industriali -, con una media di 80-90 testate, ha fatto seguito
nel periodo successivo una nuova significativa ripresa. Attualmente sono più di 200 le testate censite in Italia, con una tiratura annua complessiva stimata in circa 20 milioni di copie. Una cifra puramente indicativa, ma assai significativa delle dimensioni del fenomeno (tab. 1).
Un fenomeno talmente importante, e ricco di prospettive, da indurre
la costituzione nel 1954 - seppure fin dal 1950 i redattori e i rappresentanti
dei giornali aziendali avevano iniziato a riunirsi almeno una volta all’anno
- dell’Asai, Associazione della Stampa Aziendale Italiana. Molti anni dopo, nel 1989, l’assemblea delle aziende associate ne mutò il nome in Ascai, Associazione per lo Sviluppo delle Comunicazioni Aziendali in Italia, per segnalare come la comunicazione abbia ormai raggiunto uno stadio di maturità che la pone tra i fattori strategici della organizzazione e
della gestione delle imprese. Il nome appare ora più aderente agli scopi
perseguiti dall’Associazione, ovvero incoraggiare la diffusione di tutti i
mezzi, le tecniche e i processi di informazione e comunicazione che le aziende producono con specifica finalizzazione interna - ma che hanno al
tempo stesso un apprezzabile rilievo all’esterno -, con la definitiva consapevolezza che un elemento fondamentale del successo di una impresa è
rappresentato dal collegamento ottimale delle risorse umane raggiunto mediante l’attività di comunicazione svolta all’interno dell’azienda.
Oggi la presenza degli house organ ha assunto un’importanza
sempre più significativa in concomitanza con la crescita di attenzione
270
per gli aspetti complessivi di comunicazione e immagine. Questo articolato interesse, e l’esigenza di promuovere lo scambio di informazioni
ed esperienze tra i professionisti della comunicazione d’impresa operanti in Paesi diversi, ha favorito la costituzione a Copenaghen nel 1955
di un organismo transnazionale che riunisce le associazioni di giornali
aziendali e i comunicatori d’impresa dei Paesi europei. Si tratta della
già citata Feiea, Federation of European Industrial Editors Association,
di cui fanno parte attualmente Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia,
Francia, Germania, Inghilterra, Italia, Norvegia, Olanda, Portogallo,
Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera e Ungheria.
Le riviste aziendali contemporanee sono il frutto dell’evoluzione delle
organizzazioni e della cultura aziendale. Una chiave di lettura che ci permette di avviare una rapida disamina di queste trasformazioni ci è offerta
dai temi dei convegni che in mezzo secolo l’Ascai ha promosso e organizzato. I primi convegni degli anni Cinquanta, coerentemente con la denominazione originaria, erano orientati a fare il punto sulla stampa aziendale e a
fornire indicazioni per l’organizzazione di un periodico aziendale, talvolta
tentando raffronti con la realtà estera. Pure venivano già anticipati in maniera lungimirante temi importanti, come testimonia il titolo del convegno
del 1956: “Contributo del giornale aziendale alle attività del tempo libero”.
In questi anni, accanto alle pubblicazioni delle grandi aziende, caratterizzate da larghe e medie tirature, vivono anche testate dalla diffusione modestissima, dalle 300 alle 1.000 copie, prodotte con macchine duplicatrici da
ufficio in formato UNI, che in comune con la grande stampa hanno solo la
definizione tecnica e giuridica. Ma proprio esse, con i loro sforzi, costituiscono il fiore all’occhiello dell’Asai, a sostegno dell’affermazione teorica
che un’attività lavorativa di cui si ignorino all’interno gli scopi, le dimensioni e le finalità sarebbe inaccettabile e che il bisogno di comunicare internamente alle aziende non nasce dal numero dei destinatari, né dalla dislocazione o dal comparto specifico di attività, ma da motivi ben più profondi.
Tra gli anni Sessanta e Settanta, periodo contraddistinto dall’acuirsi
dei conflitti sociali e dalle lotte sindacali, i convegni Asai si allargano a
comprendere tematiche più ampie. Oltre a riguardare l’organizzazione del
giornale, le tecniche di preparazione, la formazione delle redazioni, la
scelta della tipologia dei lettori, il dibattito muta in chiave europeista, si discute sull’estensione dell’interesse del giornale alla famiglia del lavorato271
re, delle problematiche ambientali (1974: “La presentazione dei problemi
ecologici nella stampa aziendale”; 1976: “La protezione dell’ambiente
quale tema di attualità per l’impresa e il suo giornale aziendale”), sul ruolo
della donna (1975: “La donna e la stampa aziendale”). Si accende contemporaneamente anche la discussione su questioni importanti e ancora oggi
irrisolte, come la querelle decennale sull’unificazione della stampa indirizzata all’interno e all’esterno dell’azienda (1972: “Una sola pubblicazione
rivolta all’interno e all’esterno o due pubblicazioni distinte?”).
Dal 1984 scompare dai titoli dei convegni il riferimento esplicito
alla “stampa aziendale” e fa la sua comparsa la definizione di “comunicazione aziendale”. Per rimarcare che la comunicazione interna non è
più appannaggio esclusivo della stampa, e per sottolineare l’apertura a
tutti i temi e gli strumenti della comunicazione aziendale, nel 1989 la
svolta è sancita dal cambiamento del nome dell’Associazione in Ascai.
Oggi la maturità della stampa aziendale è raggiunta, ed esistono numerosi periodici che, superando largamente le decine di migliaia di copie,
comportano un impegno redazionale e tipografico cospicuo (tab. 2).
Tab. 1 - Quadro sinottico dell’evoluzione storica degli house organ.
Anni
1950
1954
1955
’60
’70
’80
1989
1997
Avvenimenti
Primo convegno dei giornali aziendali
Costituzione dell’Asai
Costituzione della Feiea
Grande sviluppo della stampa aziendale
Concentrazioni di aziende in grandi società nazionali (Enel, Sip,
ecc.) che riducono il numero delle testate, ma non quello dei
destinatari - Conflitti sociali e lotte sindacali
Prende avvio la riflessione sulla comunicazione interna - Inizia
la diversificazione della distribuzione ai pubblici interni (dirigenti,
quadri, ecc.)
L’Asai diventa Ascai
Nasce Ascai Servizi Srl
Fonte: Ascai.
272
Periodici
aziendali
15
26
˜120
˜90
˜105
145
204
Tab. 2 - Evoluzione degli iscritti Ascai e dei periodici pubblicati (anni
1990-1998).
Associati
Periodici
1990
1991
1992
1993
1994
1998*
113
145
122
148
137
181
133
187
138
183
194
204
var. %
1990-1998
+72
&@
* Successivamente al 1994 sono stati ammessi ad aderire all’Ascai anche
soci individuali.
Fonte: Ascai.
273
3. DA “VOCE DEL PADRONE” A STRUMENTO DI ASCOLTO E DIALOGO. LA RIVOLUZIONE DEGLI HOUSE ORGAN
La stampa aziendale ha conosciuto nel corso della sua evoluzione
quantitativa e qualitativa importanti trasformazioni avvenute parallelamente ai cambiamenti che hanno contraddistinto il percorso di modernizzazione delle aziende e, con esso, le mutazioni della concezione del
lavoro, del rapporto con l’azienda, della comunicazione interna.
Rispetto alle esperienze passate, la stampa aziendale si è trasformata da “voce del padrone” a strumento che favorisce il dialogo interattivo in un quadro partecipatorio, che mira all’integrazione e allo scambio delle idee e delle esperienze. Il nuovo scopo della comunicazione è
ascoltare e dialogare, creare un “patto” tra management e dipendenti.
Più che a indottrinare e persuadere, le riviste aziendali mirano a creare
modi di operare per il cambiamento e il miglioramento dell’organizzazione. Lo sforzo progressivo, quindi, è stato quello di alleggerire, attraverso un equilibrato mix di tematiche e codici espressivi, l’intenzionalità di legittimazione e consenso, di controllo.
La diffusione della logica della “qualità totale” e della concezione
di centralità delle risorse umane - per cui si considera come cliente la risorsa strategica interna -, e la nuova cultura di gestione che fa perno su
un diverso modo di intendere i rapporti intra-aziendali e le relazioni umane e sull’idea di scambio sociale tra azienda e lavoratore, infine il
concetto organizzativo della comunicazione degli anni Novanta, tutti
questi fattori hanno determinato una rivoluzione degli house organ, i
274
quali immediatamente hanno fatto da specchio alle nuove concezioni e
da veicolo operativo alle nuove intenzionalità.
Le fasi del processo di sviluppo e maturazione compiuto dalla comunicazione e dalla stampa aziendale possono essere sintetizzate in
cinque momenti, secondo quanto la letteratura generalmente concorda:
a) fase tradizionale amministrativo-disciplinare (o normativo-contrattuale);
b) fase delle relazioni umane;
c) fase della gestione delle risorse umane;
d) fase dello sviluppo delle risorse umane;
e) fase dello sviluppo organizzativo.
In alcuni casi queste fasi sono rimaste solo dei puri modelli teorici,
e non trovano di fatto riscontro nell’organizzazione dell’azienda. Ciò
può dipendere da precise scelte che si discostano dal tracciato qui indicato, o da uno slittamento cronologico leggibile come un vero e proprio
stato di arretratezza in cui versa l’impresa, la sua organizzazione e la sua
gestione. L’aderenza concreta ai modelli può quindi variare a seconda
delle caratteristiche culturali, dei bisogni, degli obiettivi e delle strategie
aziendali; elementi, questi, che attraverso la eterogeneità dei segni e dei
significati della stampa aziendale rivelano il grado di arretratezza o di avanzamento dell’impresa. La “parola” dell’azienda, infatti, rappresenta
modi, stili, vizi e virtù della comunicazione aziendale. Le categorie espressive, le famiglie dei codici dominanti nella comunicazione dell’emittente, la scelta dei contenuti, i mondi costruiti e raffigurati, i messaggi e i valori trasferiti indicano le responsabilità e le aspettative delle aziende di fronte al loro pubblico interno. Conseguentemente, l’house organ è un valido indicatore dei modelli di relazioni umane adottati e sintomo dei valori aziendali condivisi.
a) Fase tradizionale amministrativo-disciplinare (o normativocontrattuale). In questo modello il successo dell’impresa si fa dipendere da forme adeguate di pianificazione, di progettazione e attento controllo. Suona l’ora dell’orientamento al prodotto, quindi vengono considerati prioritari i bisogni della produzione. L’uomo costituisce la variabile dipendente dell’organizzazione, rappresenta la figura dell’esecuto275
re, e il suo compito è quello di adeguarsi. Dall’individuo l’azienda ricerca un comportamento conforme e passivo, che non metta in discussione né il valore dell’organizzazione, né quello della gerarchia. La società è rappresentata dai dirigenti: questi esclusivamente determinano le
tendenze. Le persone sono interlocutori non identificati con l’azienda,
ma con cui l’azienda agisce, motivandoli. La risorsa umana ha il “dovere” di lavorare e produrre, e a tal fine essa viene disciplinata e controllata dall’azienda. I dipendenti sono fedeli collaboratori da istruire e, nel
caso, gratificare. Tutto ciò che attiene alla sfera del soggettivo, del personale e dell’affettivo è ritenuto nella maggior parte dei casi scarsamente rilevante.
Coerentemente, la comunicazione interna è esclusivamente di tipo
informativo, top-down, di natura prescrittiva. Essa fluisce lungo una sola via, verticale e discendente, attraverso le istruzioni del capo agli esecutori, le opinioni personali dei quali non interessano e non vengono richieste. La comunicazione assolve la funzione di fornire ai lavoratori le
istruzioni necessarie, di mantenere il controllo manageriale, e di consentire ai manager di operare la pianificazione. Si esplicita in raccomandazioni, proibizioni e sanzioni relative al comportamento sul lavoro, e nella trasmissione di ordini di servizio o informazioni legate al ciclo produttivo.
Inserito in un sistema gerarchico tradizionale, l’house organ è il
bollettino dell’azienda: deve solo diffondere le informazioni che il management dell’impresa decide che debbano essere messe in comune con
tutti i dipendenti, e deve enfatizzare le attività e i successi dell’impresa.
La stampa aziendale di questo tipo di imprese è il megafono del padrone. Si tratta di un house organ “verticale”, in cui il punto di vista è identificato chiaramente con il capo azienda che agisce esplicitamente
per spiegare, introdurre le strategie aziendali che si vuole rendere consapevoli ai destinatari, in alcuni casi lodare e incentivare. L’azienda è il
luogo delle certezze e dell’autorità. L’house organ si rivolge dal vertice
alla base della piramide, ai dipendenti, al personale.
b) Fase delle relazioni umane. In questa fase l’uomo continua ad
essere considerato una variabile dipendente dall’organizzazione, ma
diventa oggetto di più marcata attenzione: il lavoratore è visto come
276
portatore di bisogni. L’efficienza dell’azienda viene ricercata attraverso il miglioramento dell’appartenenza dell’uomo all’organizzazione.
Si vogliono conciliare le esigenze funzionali della produzione con
quelle dei membri dell’organizzazione, come singoli e come soggetti
sociali.
La comunicazione interna mira a curare e a lubrificare il sistema
delle relazioni tra azienda e individuo, tra gerarchia e individuo, tra individui, e tra individuo e lavoro. L’obiettivo è assicurare buone relazioni con il personale, migliorare il clima aziendale, pur senza toccare le
norme. Si viene affermando il ruolo dei capi come canalizzatori dei
messaggi.
Nasce l’attenzione per la comunicazione di ritorno, il feedback, e
la comunicazione a due vie, top-down e bottom-up. L’house organ deve
innescare un processo di informazione e convincimento. Per soddisfare
le accresciute aspettative si avviano strutture operative adeguate (uffici
ad hoc, redazioni, reti di collaboratori, eccetera) e si realizzano strumenti editorialmente più ricchi.
c) Fase della gestione delle risorse umane. In questa fase si passa
chiaramente dalla stagione della product orientation a quella della market orientation, dell’attenzione ai bisogni dei clienti, interni ed esterni.
L’azienda è orientata al cliente, a cui deve fornire un servizio, così si
realizza il passaggio dalla figura del dipendente subordinato a quella
del lavoratore/cliente, il cliente interno, nei confronti del quale il management adopera le leve gestionali della comprensione, della motivazione e della gratificazione - le stesse adoperate per soddisfare il cliente esterno.
L’uomo diviene variabile indipendente. Il lavoratore è una risorsa,
un soggetto attivo che influenza e viene influenzato. I suoi bisogni non
sono più semplicemente riconducibili alla richiesta di gratificazione economica. L’obiettivo è di migliorare l’efficienza dell’azienda attraverso un miglior impiego delle risorse, ottimizzare il rendimento attraverso
la ricerca del posto giusto per l’uomo giusto. Non servono più meri esecutori, ma persone partecipi e motivate, che traggano soddisfazione dal
lavoro.
277
Il tentativo della comunicazione è di diffondere la cultura che ha ispirato le scelte aziendali per farla diventare patrimonio di tutti. Il riconoscimento del ruolo cruciale che un nuovo mercato di riferimento - il
mercato interno dell’impresa - riveste per la realizzazione delle strategie più impegnative comporta flussi orizzontali di informazione verso i
lavoratori/clienti per l’ottimizzazione dell’azienda. Qualità, flessibilità
e innovazione diffusa implicano una comunicazione trasparente ed aperta con il pubblico interno.
La stampa aziendale diventa complessivamente più importante: ad
essa si dedicano intensamente responsabili, redazioni, collaboratori esterni. Vengono realizzati house organ di tipo “orizzontale” che accanto alla presentazione dei prodotti, all’attenzione per l’evoluzione tecnologica e i problemi aziendali, mettono anche quelli individuali. Trovano
collocazione anche contenuti extra-aziendali (attività sportive, hobbies,
tempo libero, cultura generale) come conseguenza dell’attenzione per le
esigenze anche non lavorative del singolo. La voce enunciante diviene
neutrale, intermedia tra i vertici e la base dell’azienda. I dipendenti, così come i vertici, devono collaborare secondo una logica di sviluppo.
L’house organ si rivolge, dunque, all’azienda intera. La proprietà non
compare quasi più. Ciò è spiegabile anche con il fatto che le moderne
grandi aziende sono caratterizzate dalla frammentazione della proprietà
e dall’azionariato diffuso.
d) Fase dello sviluppo delle risorse umane. Emerge sempre più la
consapevolezza non solo che esiste una risorsa umana che può produrre
meglio, se meglio utilizzata, ma che essa può e deve crescere attraverso
l’organizzazione, che è lo strumento flessibile per consentire all’uomo
di svilupparsi. E’ in atto un recupero della dimensione umana. La comunicazione interna è orientata all’individuo, identificandone i bisogni,
i compiti, gli obiettivi, i risultati. Si vuole far crescere la capacità individuale e quindi arricchire, soddisfare e gratificare il lavoratore.
Conseguentemente, nella stampa aziendale si avvia un processo di
specializzazione nei confronti dei pubblici interni. Si fa strada, inoltre,
la percezione del rapporto con la comunicazione esterna, e prende inizio un processo di integrazione con essa.
278
Qualità totale
Relazioni umane
• sviluppo organizzativo
• house organ circolare
• sviluppo delle risorse umane
• house organ specializzato
• gestione delle risorse umane
• house organ orizzontale
• relazioni umane
• house organ a due vie
• fase tradizionale
• amministrativo-disciplinare
• house organ verticale
e) Fase dello sviluppo organizzativo. Il modello operante è quello
sistemico. L’organizzazione viene considerata un sistema composto da
più variabili: le strutture organizzative, le risorse umane, i meccanismi
operativi, il comportamento organizzativo, eccetera. Esse sono tutte
strettamente collegate e funzionali agli obiettivi strategici. L’immagine
dell’azienda è di una comunità, in cui ognuno trova il proprio ruolo e riconoscimento. Si intende migliorare il clima aziendale e la qualità della
vita in azienda facendo convergere coinvolgimento e responsabilità nei
processi produttivi. Il sistema, inoltre, è aperto verso l’esterno.
Tra impresa e ambiente si instaura una influenza reciproca. Ci si
rende sempre più conto della necessità di coerenza tra comunicazione
interna ed esterna. Nella comunicazione interna, infine, matura l’acquisizione di nuove tecniche e strumenti di comunicazione.
279
La comunicazione diviene pluridirezionale: top-down, bottom-up,
orizzontale e laterale per la cooperazione all’interno dei gruppi. L’house
organ è “circolare”, si pone come espressione di una collettività, quella
dei collaboratori (ormai non definiti più dipendenti), che agisce nell’animazione delle attività dell’azienda. Esso rappresenta lo strumento utilizzato per trasmettere il cambiamento, per “fare identità” d’impresa, favorire gli aspetti di integrazione e di scambio. Inoltre, la stampa comprende anche eventi esterni alla pura realtà lavorativa. C’è attenzione anche
per lo spessore psicologico delle persone, e il rapporto con i vertici è di
interazione tra addetti ai lavori che rispondono agli interrogativi della
società in maniera organica. L’house organ si rivolge al gruppo. Il modello proposto è partecipativo e di responsabilità diffusa.
280
4. T RASFORMAZIONI
MORFOLOGICHE E FISIOLOGICHE DEI PERIODICI
AZIENDALI
Cambiamenti della struttura, della forma e dei contenuti, oltre che
degli scopi, hanno caratterizzato l’evoluzione della stampa aziendale rispetto ai nuovi scenari offerti dalla modernità. La sofisticazione tecnica
degli strumenti di riproduzione e le attese del lettore hanno determinato
delle trasformazioni morfologiche delle riviste aziendali innalzandone
la qualità complessiva.
Innanzitutto, le caratteristiche formali del giornale (formato, tipo
di carta, impaginazione, tipografia e colori) - le prime spie in grado di
segnalare intenzioni e finalità - sono evolute verso una qualità generalmente migliore, garantendo alle testate una notevole leggibilità.
Sul versante dei contenuti prevale sempre più l’informazione sui
fatti piuttosto che l’esibizione di ideologie, gli inviti all’azione collaborativa anziché le suggestioni. Nonostante ciò, le riviste aziendali mostrano ancora scarsi rapporti autonomi con la realtà e gli eventi esterni
all’azienda, qualora questi non riguardino direttamente temi portanti
dell’interesse aziendale. I temi più frequenti sono le prospettive, i programmi e i propositi dell’azienda per il futuro, le rassicurazioni e le soluzioni relative alle situazioni di crisi, le figure della vita aziendale, gli
approfondimenti relativi a questioni tecnologiche e scientifiche, la famiglia, i divertimenti, la cultura. Il valore di base trasmesso è la collaborazione nell’interesse comune, la sensibilità all’innovazione, nel nome di imprese concepite in movimento, come organismi pulsanti. L’in281
tervista, ad esempio, svolge un ruolo funzionale in tal senso. Essa veicola il punto di vista del manager e le sue indicazioni, ma in un modo
mediato dall’intervistatore, per definizione neutro e garante dell’informazione, in rapporto empatico con il lettore. Rispetto all’intervento diretto, essa si presenta come mezzo evidentemente meno autoritario e
paternalista, determinando un restringimento della distanza tra vertice e
base dell’azienda.
Sempre più l’impegno condiviso è di usare una terminologia non
pretenziosa, affinché le informazioni vengano comprese a ogni livello,
e di confezionare una rivista interessante e piacevole al tempo stesso.
Le trasformazioni del repertorio linguistico, specchio della filosofia aziendale, indulgono nelle metafore del viaggio e della meta sulla strada
della qualità, alludono a un percorso destinato a concludersi con obiettivi determinati, fondato sulla condivisione, il coinvolgimento e la collaborazione, e mettono l’accento sui valori di appartenenza e pariteticità,
sulla crescita dei singoli e dell’istituzione.
Il codice grafico degli house organ comprende disegni, schemi e
fotografie (le sedi, gli impianti, i prodotti commercializzati dall’azienda, le sponsorizzazioni, la presentazione visiva dei dirigenti e le occasioni di presenza collettiva come assemblee, fiere, convegni, premiazioni, eccetera). E’ di tipo classicamente celebrativo con finalità illustrative, di enfasi o sottrazione, di focalizzazione. In ciò agisce anche l’assimilazione del lettore/lavoratore ad un potenziale cliente. Ma sono presenti anche immagini extra-aziendali quando il periodico si apre alla dimensione sociale esterna.
Insieme alle mutazioni conosciute dalla fisionomia degli house organ, tre trasformazioni fisiologiche ne hanno caratterizzato l’evoluzione:
a) segmentazione;
b) terziarizzazione;
c) destinazione all’esterno.
Il primo fenomeno è definibile come processo di segmentazione. Il
rapporto fra comunicazione e destinatari della comunicazione è cambiato: si è passati dalla massificazione alla segmentazione dei lavoratori/clienti. Il concetto di internal marketing implica la comprensione delle caratteristiche e dei bisogni specifici del pubblico interno. Le orga282
nizzazioni diventano sempre più consapevoli della necessità di dividere
in segmenti la propria audience interna, differenziata per livelli gerarchici, funzioni o ruoli, professionalità, età anagrafica, anzianità di lavoro, territorio di residenza, caratteri socio-culturali, oppure diversificata
secondo specifici progetti aziendali riguardanti solo un determinato
segmento di collaboratori, nei casi una tantum (una crisi, un evento
strategico), eccetera.
La ragione per cui si avviano processi di segmentazione dei pubblici della comunicazione interna è la ricerca di efficacia: si intende ottenere comunicazioni mirate sull’interlocutore. I lettori non sono più una massa anonima, bensì portatori di proprie esigenze, aspettative, valori, desideri e caratteristiche da servire. A tale segmentazione del lavoratore come cliente interno deve corrispondere l’offerta della stampa. La
comunicazione virtuosa, quindi, sperimenta forme e metodi che tengono conto della pluralità dei pubblici possibili, rispetto ai quali utilizzare
una pluralità di media, metodologie e itinerari in ragione degli interessi
e delle esigenze dei diversi segmenti di popolazione interna, diversificando così la tipologia dei messaggi e dei linguaggi. In pratica, sono
nate testate rivolte in modo specifico ai quadri e ai dirigenti, o supplementi e allegati indirizzati a fasce particolari di dipendenti.
Il secondo fenomeno indicato è quello della terziarizzazione. Negli
ultimi tempi le imprese tendono a demandare e acquistare all’esterno
non solo servizi a basso valore e automatizzabili, ma sempre di più anche servizi con valenza strategica, come la comunicazione. E’ iniziata
così una fase di decentramento delle redazioni degli house organ verso
agenzie e professionisti esterni all’azienda. La motivazione dell’affermazione delle strategie di outsourcing - l’apertura delle imprese a risorse esterne per sostituire quanto in precedenza veniva prodotto all’interno dell’azienda stessa - è economica, legata al contenimento dei costi e
al miglioramento della qualità del prodotto finale. Uno dei vantaggi è
che si riducono in modo sensibile i tempi di realizzazione, e la cadenza
delle uscite è maggiormente rispettata. Va però rilevato che, seppure
con i processi di terziarizzazione la responsabilità della conduzione rimane sempre all’azienda, esiste il rischio relativo ad una mancanza di
integrazione tra il prodotto confezionato all’esterno e la specifica realtà
aziendale.
283
Infine, la destinazione all’esterno. I clienti esterni e quelli interni
vengono sempre più integrati, anche se a volte essi presuppongono strumenti diversi, parlano linguaggi differenti, fanno capo ad aree decisionali e funzioni molteplici. Si è aperto il filone delle pubblicazioni promozionali dirette anche all’esterno dell’azienda. Così, in molti casi, uno
stesso giornale si rivolge al pubblico interno ed esterno contemporaneamente. Il limite di questo processo di simultaneo orientamento tanto
all’interno quanto all’esterno dell’azienda risiede, evidentemente, nel
rischio che gli interessi dei due pubblici a cui il giornale si rivolge siano
divergenti.
In ultimo, una valutazione che voglia considerare le ulteriori prospettive di sviluppo della stampa aziendale non può trascurare l’impatto
delle nuove tecnologie d’informazione e comunicazione, e gli effetti
che sempre più l’innovazione tecnologica avrà anche sui periodici
dell’azienda. Oggi l’house organ può essere pubblicato in forma elettronica ed essere destinato alla diffusione in rete aziendale o globale, indirizzato rispettivamente a un pubblico interno alla struttura - ad esempio, come sistema di comunicazione e aggiornamento periodico fra sedi
diverse, pratico e di facile consultazione - o a un pubblico più vasto, esterno. In quest’ultimo caso l’house organ, immesso nel circuito Internet ed eventualmente realizzato in lingue diverse, può rappresentare uno strumento d’informazione e comunicazione ancora più prestigioso,
potente e facilmente reperibile dagli interessati, in grado di provvedere
a diffondere le notizie e le novità legate all’assetto societario, alla produzione e alle iniziative dell’azienda.
284
5. IL POLSO DELLA STAMPA AZIENDALE. LO STATO ATTUALE DI SVILUPPO
Al fine di conoscere e di descrivere lo stato attuale di sviluppo degli house organ realizzati dalle aziende italiane è stata predisposta una
indagine ad hoc mediante la somministrazione di un questionario ad un
numero significativo di imprese appartenenti a molteplici settori merceologici e di diverse dimensioni, attive sull’intero territorio nazionale.
Il questionario, strutturato in forma semplice e breve, è stato concepito per raccogliere informazioni oggettive sui caratteri formali del
periodico aziendale (tipologia editoriale e stile grafico), sulla periodicità e la tiratura, il tipo di redazione e di distribuzione, i destinatari cui
viene indirizzato, i contenuti comunicati e le finalità perseguite secondo
le intenzioni dei responsabili, con l’intento di ricavarne un quadro essenziale ma preciso ed attendibile.
Oltre ai dati oggettivi riguardanti la testata realizzata dall’azienda, è
stato chiesto ai responsabili di esprimere una opinione circa l’impatto delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione percepito in relazione al confezionamento e alle finalità del periodico aziendale. E’ stata
richiesta, in ultimo, una previsione sul possibile effetto che l’introduzione
delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione avrà in prospettiva sul periodico e, quindi, sulla comunicazione interna delle imprese.
Sono stati inviati 246 questionari per l’analisi di altrettanti house
organ ad un numero relativamente minore di aziende, tenendo conto del
fatto che alcune - le più grandi - redigono più di un giornale aziendale.
Quelli ritenuti validi per l’analisi sono risultati essere 104: un campione
285
rappresentativo in modo soddisfacente dell’universo dei periodici aziendali italiani1.
I dati emersi dalla ricerca sono numerosi e molto differenziati, riferendosi a prodotti talvolta assai diversi fra di loro sia formalmente sia
sostanzialmente. Per questo motivo non è stato possibile in alcuni casi
fornire visioni di sintesi e si è dovuto necessariamente procedere con
approfondimenti qualitativi.
L’analisi dei dati evidenzia che gli house organ del campione fanno capo ad aziende ripartite nei vari settori merceologici come riportato
nella tab. 3, di dimensioni medio-grandi, che talvolta editano, come già
detto, più di una testata.
Tab. 3 - Ripartizione delle testate per settore merceologico dell’azienda2.
Settori
v.a.
%
Credito e Assicurazioni
Industria
Servizi (Distribuzione, Trasporti, ecc.)
Information & Communication Technology
Totale
37
35
19
13
104
35,6
33,7
18,2
12,5
100,0
Dal punto di vista del formato editoriale, la tipologia più largamente ricorrente tra i periodici aziendali esaminati è la rivista (72,1%).
Solo in minima parte vengono adottati l’opuscolo (14,4%) e il tipo quotidiano (10,6%). Trascurabile, infine, l’utilizzo del volantino (appena il
2,9% del totale) (tab. 4).
_______
1. Tuttavia, in alcuni dei questionari sono rinvenibili, come quasi sempre accade,
delle omissioni in relazione a qualcuna delle domande poste. Tali casi vengono
di volta in volta segnalati, precisando il totale in valore assoluto delle testate che
hanno risposto alla domanda in questione.
2. Coerentemente con i criteri di semplicità e di sintesi adottati nella preparazione
del questionario e nella conduzione dell’intera indagine, si è preferito servirsi di
una ripartizione sommaria in 4 macro-comparti, piuttosto che di una maggiore
disaggregazione dei settori merceologici di appartenenza delle aziende.
286
Il giornale aziendale in formato tabloid, simile ai quotidiani, trasmette messaggi di tipo informativo e non si presta ad approfondimenti
culturali. Si rivolge ad un pubblico prevalentemente interno interessato
alle notizie di cronaca della vita aziendale (eventi, premiazioni, inaugurazioni, eccetera). Le newsletter vengono realizzate a volte nella veste
di semplici volantini, in altri casi in forma di opuscolo a 4 facciate,
molto spesso sono prive di immagini, con notizie stringate e per lo più
di tipo operativo: dati e cifre sull’andamento delle vendite, o notizie relative a mutamenti del top management, o semplici comunicazioni di
servizio.
Questa tipologia viene generalmente realizzata all’interno dell’azienda, in formato Uni A4, attraverso moderni sistemi computerizzati
di editoria. La rivista, invece, è il mezzo favorito dall’azienda per comunicare all’interno e all’esterno. Realizzata in formato tipo magazine,
generalmente stampata in quadricromia, rappresenta l’immagine dell’azienda ed è perciò sempre editorialmente molto curata.
I prodotti della stampa aziendale, infatti, sono generalmente caratterizzati da una veste grafica gradevole ed accurata, funzionale ad una buona fruizione da parte del lettore. Vengono stampati per lo più a colori
(84,7%) e le pagine sono arricchite da illustrazioni e fotografie (71,4%).
Solo una minima parte è pubblicata in bianco e nero (14,3% del totale)
(tab. 5).
Tab. 4 - Ripartizione delle testate per tipologia editoriale.
Formato
v.a.
%
Rivista
Opuscolo
Tipo quotidiano
Volantino
Totale
75
15
11
3
104
72,1
14,4
10,6
2,9
100,0
287
Tab. 5 - Il formato editoriale. Ripartizione delle testate per stile editoriale.
Caratteristiche
Colore
Bianco & Nero
Disegni/Fotografie
v.a.
%
83
14
70
84,7
14,3
71,4
Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte.
Numero di ricorrenze (N) = 98.
La consistenza di ciascun numero è molto variabile in relazione alla diversità dei periodici, oscillando da un minimo di 2 ad un massimo
di 150 pagine.
La periodicità delle testate in assoluto più ricorrente è quella trimestrale (39,4%); seguono i bimestrali (25,2%), i mensili (15,2%) e i
quadrimestrali (10,1%). Sono del tutto assenti pubblicazioni quotidiane
o settimanali.
Prevalgono, dunque, le uscite con cadenze distribuite in tempi
piuttosto lunghi (tab. 6).
Per quanto riguarda la tiratura (numero di copie stampate per numero), risulta privo di significatività stabilire una tiratura media delle
testate, in ragione dell’ampia disomogeneità dei prodotti considerati.
Conviene preferire all’esplicitazione quantitativa una constatazione di
tipo qualitativo, indicando che il numero di copie stampate all’anno per
ciascuna testata oscilla dalle poche migliaia fino ai 2.400.000 nel caso
di Illustrato, uno degli house organ della Fiat.
La regolarità delle uscite dei periodici è un indice della serietà avvertita in azienda rispetto alla pubblicazione, e della cura attenta rivolta
ad essa. La cadenza dell’edizione dei periodici viene sempre rispettata
nel 70% circa dei casi.
Trascurabile, al contrario, il numero delle testate di cui non viene
mai rispettata la cadenza delle uscite (1% del totale) (tab. 7).
288
Tab. 6 - Ripartizione delle testate per periodicità.
Periodicità
Quotidiano
Settimanale
Quindicinale
Mensile
Bimestrale
Trimestrale
Quadrimestrale
Semestrale
Annuale
Totale
v.a.
%
0
0
3
15
25
39
10
7
0
99
0,0
0,0
3,0
15,2
25,2
39,4
10,1
7,1
0,0
100,0
Tab. 7 - Ripartizione delle testate per cadenza delle uscite.
Regolarità edizioni
v.a.
%
Sempre rispettata
Con slittamenti significativi
Mai rispettata
Totale
71
30
1
102
69,6
29,4
1,0
100,0
Per quanto riguarda la distribuzione del periodico aziendale, va segnalato che il 70% circa delle testate viene consegnato ai dipendenti e
ai collaboratori sul posto di lavoro, che permane la modalità di distribuzione privilegiata. Il 33% del totale delle testate viene spedito al domicilio del destinatario, esponendosi potenzialmente alla fruizione anche
da parte dei familiari. Assai significativo è che oltre la metà delle pubblicazioni (53,8%) è rivolta anche ad un pubblico esterno all’impresa, a
riconferma della crescente tendenza all’esternalizzazione - a fini promozionali e per la cura dell’immagine - della stampa aziendale (tab. 8).
289
Tab. 8 - Ripartizione delle testate per modalità di distribuzione.
Distribuzione
Interna, sul posto di lavoro
Interna, al domicilio
Esterna
v.a.
%
73
33
56
70,2
31,7
53,8
Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte.
N = 104.
I destinatari a cui il periodico si rivolge con maggiore frequenza
sono i dirigenti (90% delle testate). Seguono i quadri (86%) e gli altri
dipendenti (impiegati, tecnici, operai, eccetera: 81%) (tab. 9). Come si
vede, non sempre le riviste sono rivolte a tutte le categorie di dipendenti; piuttosto prevale un criterio di segmentazione diversamente articolato a seconda delle aziende considerate.
Risulta chiaro che il ruolo ricoperto dal corpo dei dirigenti ha un
significato diverso, rispetto agli altri gruppi di destinatari, in relazione
ai contenuti e agli obiettivi della rivista. Tale posizione di rilievo si
chiarisce in ragione della peculiarità delle funzioni manageriali. Essa si
spiega, infatti, in termini di necessaria acquisizione di conoscenza e di
funzione di controllo - come soggetto che comunica -, e anche - soprattutto in realtà aziendali complesse - come esigenza di allineamento con
le comunicazioni del vertice aziendale.
Tra i destinatari meno frequenti sono stati menzionati i pensionati
ex dipendenti (47%), la rete di vendita (29%), gli azionisti (18%), le famiglie dei dipendenti (16%) e i fornitori (16%).
I clienti e/o gli utenti, e gli altri soggetti diversi per fini promozionali, rappresentano una fetta relativamente ridotta dell’insieme dei target: ad essi fanno riferimento rispettivamente il 27% e il 23% delle testate. Infatti, sebbene i processi di esternalizzazione della stampa aziendale siano in crescita, soprattutto nel settore del credito e dei servizi,
290
tuttavia l’interesse prioritario e la finalità principale del periodico aziendale rimangono quelli di comunicare all’interno, fornendo informazione e intessendo relazioni con i diversi soggetti attivi “dentro” l’azienda.
Altro dato significativo è costituito dal riferimento esplicito del
16% delle testate ai familiari dei dipendenti. Tale indicazione fa presumere un avanzato grado di maturazione nella concezione da parte
dell’azienda di un veicolo di comunicazione rivolto ai propri soggetti
interni che non trascuri però la dimensione degli interessi di tipo extraaziendale, e che riguardi invece anche le attitudini, i comportamenti e,
più in generale, la vita del “cliente interno” nella sua complessità. Tale
valutazione dovrà essere fra breve supportata dall’esame specifico dei
contenuti trattati dai periodici aziendali.
Tab. 9 - Ripartizione delle testate per tipo di destinatario.
Destinatari
Dirigenti
Quadri
Altri dipendenti
Pensionati
Rete di vendita
Altri
Clienti / Utenti
Soggetti diversi per promozione
Azionisti
Famiglie dei dipendenti
Fornitori
v.a.
%
90
86
81
47
29
28
27
23
18
16
16
90,0
86,0
81,0
47,0
29,0
28,0
27,0
23,0
18,0
16,0
16,0
Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte.
N = 100.
Da chi vengono redatti e confezionati i prodotti editoriali dell’azienda? Se ne occupano direttamente risorse umane e apposite strutture
interne alle imprese o, al contrario, assumono un ruolo specifico reda291
zioni decentrate all’esterno? Per quanto riguarda la tipologia della redazione, l’indagine evidenzia che oltre la metà del campione delle testate
fa capo ad uno specifico ufficio o unità interni (52,9%). Ad un’agenzia
esterna specializzata ricorre l’altra metà dei periodici. Tuttavia, solo in
un numero esiguo di casi (circa l’8%) si impone la pratica della totale
terziarizzazione, con l’affidamento della redazione del periodico completamente all’esterno. Il questionario non ci permette di valutare se tale condotta sia il risultato di una consapevole strategia di outsourcing
decisa dal vertice aziendale, oppure se risponda ad altre logiche, o se eventualmente sia la conseguenza di limiti strutturali dell’azienda. Nel
rimanente 39,2% dei casi l’intervento di professionisti esterni all’azienda viene affiancato alla redazione interna, presso cui rimane la direzione e l’orientamento generale della testata (tab. 10).
Certo è che le aziende attingono risorse più qualificate dal mondo
del giornalismo e da altri settori specializzati (comunicazione e promozione, ma anche aree tecnico-scientifiche specialistiche). Come è certo
che, per evitare che la stampa aziendale non sia nulla di diverso da una
noiosa e inefficace stampa propagandistica - che finirebbe con ogni probabilità nel cestino della carta straccia prima ancora di essere tolta
dall’involucro di cellophane -, si rende necessario acquisire all’interno
il know how adeguato: il senso della notizia, il taglio accattivante
dell’informazione, l’applicazione delle tecniche redazionali per la stesura dei testi; ma anche la conoscenza dei mass media, dei meccanismi
di trasmissione dell’informazione, della comunicazione visiva (fotografie e immagini), eccetera.
Tab. 10 - Ripartizione delle testate per tipo di redazione.
Redazione
v.a.
%
Specifico Ufficio interno all’azienda
Mista (redaz. interna + collab. esterni)
Agenzia esterna
Totale
54
40
8
102
52,9
39,2
7,9
100,0
292
I contenuti più frequentemente trattati dai periodici aziendali sono:
l’azienda e la sua attività (32,2% del totale dei temi complessivamente
presentati nelle testate) e i suoi prodotti/servizi (27%). I temi extra-aziendali hanno un peso apprezzabile (11,5%). La formazione ricopre il
7,1% del totale dei contenuti trattati, mentre è trascurabile il peso dei
temi sindacali (2,1%) (tab. 11). In generale, sembra che oggi si sia notevolmente abbassato l’interesse ai temi vari proposti uniformemente
dall’azienda a favore di una informazione mirata, più legata alle specifiche realtà delle organizzazioni.
Tab. 11 - Peso % di ciascun tema sul totale dei contenuti.
Contenuti
L’azienda
I prodotti / servizi
Temi extra-aziendali
L’organizzazione
Altro
La formazione
Temi sindacali
Totale
%
32,2
27,0
11,5
10,8
9,3
7,1
2,1
100,0
N = 102.
Invitati ad esprimersi sulle 3 finalità ritenute più importanti, per le
quali viene espressamente realizzata la testata dell’impresa, gli intervistati hanno attribuito all’informazione la priorità principale (27% del
totale dei punteggi assegnati complessivamente alle diverse finalità).
Segue con il 18,7% il coinvolgimento, l’identificazione, la motivazione
e l’orientamento al cambiamento dei dipendenti. Sommata quest’ultima
quota percentuale con quella assegnata al dialogo azienda-dipendenti
(per influenzare il clima aziendale, risolvere i conflitti e migliorare le
293
relazioni interpersonali), si trova che l’orientamento all’ascolto, il dialogo e la comunicazione di comportamenti tra azienda e dipendenti rappresentano obiettivi altamente condivisi dalle imprese (30% del totale dei
punteggi assegnati complessivamente alle finalità delle testate) (tab. 12).
La promozione dell’immagine dell’azienda (15,6%) e la promozione dei prodotti e/o servizi dell’azienda (11,7%) si collocano soltanto
rispettivamente al terzo e al quarto posto nella graduatoria delle finalità
della pubblicazione periodica dell’impresa ritenute più importanti3. Il
peso della formazione delle risorse umane nel complesso delle finalità è
ritenuto di minore rilevanza (7,7%)4.
Il fatto, infine, che la diffusione delle istruzioni del vertice dirigenziale eserciti un peso sul totale dei punteggi assegnati alle finalità principali della testata pari solo al 5,5% la dice lunga sull’evoluzione che la
cultura della comunicazione d’impresa ha conosciuto negli ultimi tempi.
_______
3. Da una ricerca sulla comunicazione interna svolta dall’Ascai nel 1992 su un
campione di 82 aziende, basata su criteri parzialmente differenti da quelli adottati qui (l’alternativa prospettata dal questionario con riguardo alle finalità della
stampa aziendale era articolata in 3 item - informazione, formazione e immagine -, ma non veniva richiesto di esprimere una valutazione qualitativa), emergeva che potenziamento e visibilità del prodotto costituivano una priorità dell’house organ largamente diffusa tra le aziende (45,6% del campione), soprattutto
nelle aziende pubbliche (68,2%) e in quelle di piccole dimensioni (60,0%) (Quaglino, 1992).
Le diverse impostazioni metodologiche delle due ricerche ci inducono, comunque, a trarre eventuali conclusioni da questa constatazione solo con estrema
cautela.
4. Nella stessa ricerca citata (Quaglino, 1992) veniva evidenziato che la formazione era indicata dal 36,9% del campione come obiettivo assunto dalla testata
(50,0% nel caso delle aziende private nazionali). Per le eventuali deduzioni derivanti dal confronto con i dati attuali valgono le precisazioni riferite nella nota
precedente.
294
Tab. 12 - Peso % delle finalità principali5.
punti
punteggio
medio6
% sul tot.
punti
assegnati
Informazione
271
Coinvolgimento / identificazione /
motivazione / orientamento al
cambiamento dei dipendenti
187
Promozione dell’immagine dell’azienda 156
Promozione dei prodotti / servizi
117
Dialogo azienda-dipendenti
(per influenzare il clima aziendale,
risolvere conflitti, migliorare le
relazioni interpersonali)
111
Formazione delle risorse umane
77
Diffusione delle istruzioni della dirigenza 55
Gestione delle crisi
28
Totale
1.002
2,8
27,0
1,9
1,6
1,2
18,7
15,6
11,7
1,1
0,8
0,5
0,2
11,0
7,7
5,5
2,8
100,0
Finalità
N = 96.
________
5. Il quesito prevedeva l’assegnazione alle 3 finalità ritenute più importanti di un valore compreso tra 1 e 3 in ordine decrescente di importanza (1 = più importante).
Tuttavia, in un numero consistente di questionari (per la precisione 22 su 96, il
23% di quelli in cui è stata fornita una risposta alla domanda) il compilatore ha espresso la propria valutazione secondo una modalità alternativa non prevista, cioè
esprimendo un giudizio su ciascuna finalità prospettata dalla domanda. Con un
piccolo stratagemma funzionale al conteggio dei risultati è stato possibile recuperare anche queste risposte, ora sintetizzate in tabella. Nel primo caso i punteggi assegnati sono stati riconteggiati attribuendo i seguenti valori: 1=5, 2=3, 3=1. Nel secondo caso i punteggi assegnati sono stati così riconvertiti: 1=3, 2=2, 3=1. Ciò al
fine di non disperdere nessuna risposta e renderle tutte utilizzabili.
6. Per punteggio medio si deve intendere la media del punteggio totale assegnato a
ciascun singolo item calcolata sul numero complessivo delle risposte fornite alla
domanda (96), assegnando automaticamente il valore 0 nei casi in cui l’item in
questione non è stato prescelto dal compilatore.
295
Le ultime due domande del questionario erano intese a raccogliere
le opinioni dei responsabili degli house organ sulle applicazioni e gli
effetti stimati degli strumenti tecnologici ai fini della comunicazione interna o, più precisamente, in relazione ai giornali aziendali.
L’impatto delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione
è valutato senz’altro in termini positivi dagli intervistati. Ben 84 dei 98
questionari validi per questa domanda (l’85,7%) ravvedono con convinzione nell’uso dei nuovi strumenti un fattore utile e importante per la
realizzazione del periodico, o comunque segnalano una specifica funzionalità delle nuove tecnologie rispetto agli scopi della stampa aziendale.
In particolare è stato sottolineato il valore del ruolo della posta elettronica (49,0%), del desktop publishing (44,9%) e della rete Internet
(33,7%), e cioè dei due mezzi di comunicazione e informazione più innovativi degli ultimi tempi e di uno strumento tecnico oggi indispensabile per il confezionamento di prodotti editoriali.
Soltanto il 14,3% si è espresso in termini contrari, negando il ruolo significativo delle nuove tecnologie per la realizzazione e per il conseguimento degli obiettivi della stampa aziendale (tab. 13).
Altrettanto confortante è l’opinione espressa dagli interessati circa
l’effetto che si ritiene possa avere in prospettiva l’introduzione delle
nuove tecnologie di informazione e comunicazione sul periodico aziendale. Quasi l’80% allude ad una nuova frontiera per la stampa aziendale, e si dice convinto che si creerà integrazione tra il periodico e i nuovi
strumenti, sfruttati per migliorare sempre di più la qualità e l’efficacia
della comunicazione d’impresa. Il 15,7% degli interpellati ritiene che
l’house organ muterà, a seguito della diffusione delle nuove tecnologie,
acquistando funzioni diverse (ad esempio, approfondimento, acculturazione, eccetera).
Per l’11,8% non avverrà nessun cambiamento. Infine, solo per il
5,9% si ridurrà l’importanza del giornale aziendale e il suo peso
nell’ambito della comunicazione d’impresa, mentre nessuno si è espresso nel senso di una prevedibile scomparsa del periodico aziendale
(0,0%) (tab. 14).
296
Tab. 13 - Le nuove tecnologie di informazione e comunicazione che
hanno un impatto sugli house organ.
Ntic
Posta elettronica
Desktop publishing
Internet
Intranet
Database
Computer multimediale
Nessuna
Sistemi elettronici per la diffusione delle notizie
Audiovisivi
LAN
v.a.
%
48
44
33
28
16
14
14
13
8
6
49,0
44,9
33,7
28,5
16,3
14,3
14,3
13,2
8,2
6,1
Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte.
N = 98.
Tab. 14 - L’effetto delle Ntic sugli house organ.
Effetti
Si creerà integrazione con i nuovi strumenti
Permarrà, ma con funzioni diverse
Nessun cambiamento
Si ridurrà la sua importanza
Scomparirà
v.a.
%
80
16
12
6
0
78,4
15,7
11,8
5,9
0,0
Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte.
N = 102.
Mettendo in relazione le enunciazioni sulla funzione delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione con le finalità del giornale aziendale emergono altri rilievi di interesse (tab. 15). L’utilizzo della posta
elettronica (6,1% sul totale), di Internet (4,7%), Intranet (3,4%) e del desktop publishing (4,4%) sono indicati come i fattori più rilevanti in relazione alla funzione di informazione della rivista aziendale. La e-mail e Internet, inoltre, ricoprono un ruolo decisivo anche in relazione alla funzione
di promozione dell’immagine e dei prodotti e/o servizi dell’azienda.
297
298
5,1
6,8
16,7
6,8
17,8
12,9
2,3
23,2
5,5
Sistemi elettr. 1,4
1,8
4,4
3,4
0,6
26,3
Internet
Intranet
LAN
Posta elettr. 6,1
1,4
DTP
PC multimed. 1,8
4,7
Database
Nessuna
Totale
26,3
26,4
29,0
19,2
24,5
29,9
28,4
26,1
23,2
20,3
22,9
7,9
6,5
3,5
7,6
3,0
18,3
1,2
100
6,7
3,8 20,6
0,5
2,3 12,5
2,2 12,2
1,4
3,6 19,6
1,4
1,2
0,6
18,3
22,5
17,9
17,8
16,6
14,3
22,3
21,4
18,8
17,7
18,1
Coinvolgimento
%c
%r
c = colonna; r = riga.
100
3,1
0,8
Audiovisivi
Informazione
%c
%r
9,8
5,7
1,9
6,8
1,9
15,5
0,6
100
4,1
3,1 19,9
0,3
2,2 13,9
3,2 20,7
1,1
2,4 15,3
1,5
0,9
0,3
15,5
11,6
14,7
9,6
15,6
20,5
16,9
14,1
19,9
13,3
8,4
Prom. immag.
%c
%r
10,7
0,5
2,1
0,4
1,6
1,8
0,6
1,5
1,0
0,9
0,3
100
4,3
19,8
4,0
15,0
17,0
5,5
14,2
9,1
8,3
2,8
10,7
8,5
10,1
13,7
11,7
11,6
9,5
9,0
12,7
13,3
8,4
Prom. prodotti
%c
%r
12,6
0,7
2,4
0,7
1,8
1,7
0,5
2,1
0,9
1,2
0,6
100
5,4
19,2
5,4
14,1
13,5
4,4
16,8
7,1
9,4
4,7
12,6
12,4
11,5
21,9
12,9
10,8
8,8
12,6
11,6
17,7
16,9
Dialogo
%c
%r
7,5
0,5
1,7
0,2
1,0
0,8
0,3
1,6
0,4
0,5
0,5
8,2
6,8
7,1
5,4
4,7
9,3
5,5
7,0
100
7,5
7,3 10,1
23,0
2,8
12,9
11,2
3,9
20,8
5,6
6,2
6,2 13,3
Formazione
%c %r
Tab. 15 - Ripartizione delle testate in base alle Ntic e alle finalità (valori %).
5,7
9,3
5,0
8,6
2,9
5,9
0,3
100
5,7
1,1 17,9
0,2
1,0 17,1
0,8 12,9
0,5
0,9 15,0
0,3
0,5
0,3
5,9
6,2
5,0
5,5
7,4
4,9
8,1
5,3
4,4
8,2
8,4
Istruzioni dirig.
%c %r
9,5
5,4
4,1
2,7
5,4
3,1
0,1
100
4,1
0,8 24,3
0,2
0,6 18,9
0,4 13,5
0,1
0,4 12,2
0,3
0,2
0,1
3,1
2,3
3,6
5,5
4,3
2,7
1,4
2,3
3,9
2,5
3,6
Gestione crisi
%c %r
100,0
5,5
21,0
3,1
13,8
15,7
6,3
16,8
7,7
6,7
3,5
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
%c
%r
L’esame dei risultati letti in parallelo ci consente di approfondire
ulteriormente il quadro delineato fin qui e permette di avanzare ipotesi
interpretative in merito.
Un nodo critico riguarda la tipologia della redazione delle riviste
aziendali, come già indicato. L’affidamento ad una redazione specializzata esterna all’azienda può rappresentare per la rivista dell’impresa una scelta decisiva sotto diversi profili. Sono già stati messi in luce i pregi e i limiti in generale della scelta di terziarizzazione della redazione.
Ora può essere di una qualche utilità verificare sul campione dell’indagine come si delineano alcune significative differenziazioni riferite alla
diversa tipologia della redazione - interna, esterna o mista.
Una prima indicazione deriva dall’incrocio della tipologia della redazione con la cadenza delle uscite, per verificare se esiste una correlazione
tra i due fattori (tab. 16). La disaggregazione evidenzia che il 36,0% delle
testate rispetta sempre la cadenza delle uscite ed ha una redazione interna
all’azienda. L’altra quota maggiormente rappresentata è riferita alle testate
che hanno alle spalle una redazione mista e le cui uscite sono sempre regolari: 28,0%. L’unica testata del campione che si segnala per non rispettare
mai i termini delle uscite ha una redazione esterna (1,0%).
Tab. 16 - Ripartizione delle testate in base alla tipologia della redazione e alla regolarità delle uscite (valori %).
Sempre
Con slittamenti
%c
%r
%c
Mai
%r
%c
Totale
%r
%c
%r
Interna
36,0
52,2
67,9
17,0
56,7
32,1
0,0
0,0
0,0
53,0
100,0
Esterna
5,0
7,2
62,5
2,0
6,7
25,0
1,0
100,0
12,5
8,0
100,0
Mista
28,0
40,6
71,8
11,0
36,7
28,2
0,0
0,0
0,0
39,0
100,0
Totale
69,0
100,0
69,0
30,0
100,0
30,0
1,0
100,0
1,0
100,0
100,0
c = colonna; r = riga.
D’altra parte, la quota delle testate che fanno capo ad una redazione
mista rispetta sempre i termini nel 71,8% dei casi. Nel 67,9% ciò accade
per le testate che fanno capo ad una redazione interna, e nel 62,5% dei casi
299
per quelle che si avvalgono di un’agenzia esterna. Tutto sommato, non si
riscontra un fattore discriminante di rilievo correlato alla tipologia redazionale in stretto legame con il rispetto della cadenza delle edizioni.
La tipologia della redazione ha invece una rilevanza se messa in
relazione con i contenuti trattati dagli house organ (tab. 17). Dalla correlazione tra tipologia redazionale e contenuti comunicati emerge che il
20,2% sul totale delle testate (la quota più rilevante del campione) ha una redazione interna e tratta con priorità i temi concernenti gli eventi e
la vita dell’azienda. Una grossa differenziazione esiste tra le testate che
si rifanno ad un’agenzia esterna e quelle che dipendono da una redazione interna all’impresa con riferimento al contenuto “l’azienda”. Infatti,
se per il 62,0% tale tema è trattato in modo prioritario nelle testate con
redazione interna, è solo di un modesto 3,7% la porzione di questo contenuto veicolata dai periodici con redazione esterna.
Per quanto riguarda la trattazione dei prodotti/servizi dell’azienda, i
veicoli principali sono, per la loro prevalenza, le testate con redazione interna (49,7%). Tuttavia, il peso specifico di tale tema sulle redazioni esterne è
pari al 45,0% del totale dei contenuti comunicati (rispetto ad un peso specifico del 25,3% nelle redazioni interne e uno del 24,2% in quelle miste). Il
dato è largamente superiore alla quota media delle riviste (27% circa).
Un’altra quota rilevante dei temi trattati dalle redazioni esterne
pertiene ai temi extra-aziendali (20,0% rispetto ad un peso del 9,5%
nelle redazioni interne).
I prodotti/servizi dell’azienda e i temi extra-aziendali sono dunque
gli argomenti maggiormente comunicati dalle redazioni esterne. Questi
dati possono leggersi congiuntamente avanzando una ipotesi interpretativa. Quando l’azienda decide di comunicare i propri prodotti e servizi,
visto poi il rilievo che sempre di più le riviste aziendali hanno all’esterno dell’azienda stessa, tende ad avvalersi di professionisti qualificati reperiti al di fuori delle strutture dell’azienda medesima. L’esigenza di articolare la comunicazione d’impresa lungo canali diversi implica, infatti, la necessità di tarare le caratteristiche del giornale e di misurarle sul
target di lettori ai quali esso si rivolge. Un discorso analogo può essere
fatto per l’altro riferimento. Un’azienda che intenda valorizzare i temi
extra-aziendali nel proprio house organ si rivolge all’esterno affinché il
prodotto editoriale sia confezionato con una particolare attenzione e capacità da questo punto di vista.
300
Al contrario, il tema principale comunicato dall’azienda dal suo
interno al suo interno - senza apporti dall’esterno - è costituito dall’azienda stessa (38,8% del totale dei contenuti comunicati dalle testate
con redazione interna). La notizia dell’azienda arriva direttamente dall’azienda, riguarda l’azienda, tende alla diffusione dell’informazione,
ma anche alla valorizzazione delle attività dell’azienda medesima e al
miglioramento della propria immagine.
Queste suggestioni trovano conforto se si esaminano i dati emergenti dalla ripartizione delle testate in base alla tipologia della redazione
messa in relazione con le finalità della testata (tab. 18). La quota maggiormente rappresentata è quella costituita dalle testate con redazione interna e che danno priorità all’informazione (14,6%). L’informazione è infatti veicolata per il 53,2% dalle redazioni interne, rispetto al 6,0% attribuibile alle redazioni esterne. Il dato è coerente con quelli riepilogati nella tab. 17: informare sull’azienda è il compito principale degli house organ in generale, ma di quelli con redazione interna in particolare.
Altre specifiche funzioni della comunicazione interna sono gestite
tramite gli house organ direttamente dalle redazioni interne. Il coinvolgimento, l’identificazione, la motivazione e l’orientamento al cambiamento dei dipendenti, il dialogo azienda-dipendenti per influenzare il
clima aziendale, risolvere i conflitti, migliorare le relazioni interpersonali: queste sono le funzioni per cui è concepito il periodico aziendale
per oltre il 33% di quelli con redazione interna e per oltre il 28% di
quelli con redazione mista. Tali funzioni, invece, ricoprono un ruolo solo nel 12,6% delle testate con redazione esterna. Ciò vuol dire che queste fondamentali funzioni della comunicazione interna rimangono presidio dell’azienda stessa, e non vengono demandate all’esterno.
Discorso diverso va fatto quando si esaminano le funzioni “promozione dell’immagine dell’azienda” e “promozione dei prodotti/servizi dell’azienda”. Tali funzioni ricoprono un peso rispettivo del 23,8% e
del 13,8% nel caso delle redazioni esterne, e rispettivamente del 13,3%
e del 9,8% nel caso delle redazioni interne. Il netto scostamento è coerente con i dati riepilogati dalla tab. 17, che metteva in evidenza come il
tema maggiormente trattato dalle riviste con redazione esterna è “prodotti/servizi dell’azienda”. Ciò non stupisce, in fondo, se solo si pensa
che sembra probabile e comprensibile avvalersi di risorse specializzate
esterne all’azienda per le attività di promozione.
301
302
35,2
Mista
Totale
32,5
27,8
15,0
38,8
26,4
9,7
3,6
13,2
100
36,6
13,6
49,7
26,4
24,2
45,0
25,3
11,6
5,0
1,6
4,9
100
43,5
13,8
42,7
%c
11,6
12,6
20,0
9,5
%r
Extra-aziendali
10,9
3,4
1,1
6,4
100
31,1
9,7
59,2
%c
10,9
8,4
13,1
12,4
%r
Organizzazione
9,5
7,1
0,2
2,2
Altro
100
74,8
2,1
23,1
%c
9,5
17,8
2,5
4,2
%r
7,1
2,9
0,4
3,8
100
41,2
4,9
53,8
%c
7,1
7,3
4,4
7,3
%r
La formazione
0,0
2,1
100
0,8 36,4
0,0
1,3 63,6
%c
%r
%r
18,5 100 18,5
27,4 100 27,4
Totale
c = colonna; r = riga.
7,4 40,0 19,9
11,2 40,8 30,2
5,0 11,3
Mista
0,9
1,6 6,0 20,0
10,2 55,0 18,6
%c
Coinvolgimento
Esterna
Interna 14,6 53,2 26,6
%c
Informazione
15,2
6,0
2,0
7,3
100
39,2
12,8
48,0
%c
15,2
16,1
23,8
13,3
%r
Prom. immag.
11,4
4,9
1,1
5,3
100
43,2
9,9
46,8
%c
11,4
13,3
13,8
9,8
%r
Prom. prodotti
11,2
3,1
0,1
8,0
%r
8,3
1,3
100 11,2
27,5
0,9
71,6 14,6
%c
Dialogo
7,8
1,2
1,5
5,0
9,2
%r
100
15,8
7,8
3,3
19,7 18,8
64,5
%c
Formazione
5,6
2,2
0,6
2,9
100
38,2
10,9
50,9
%c
5,6
5,8
7,5
5,3
%r
Istruzioni dirig.
2,9
1,1
0,3
1,4
100
39,3
10,7
50,0
%c
2,9
3,0
3,8
2,6
%r
Gestione crisi
2,1
1,9
0,0
2,5
%r
Temi sindacali
Tab. 18 - Ripartizione delle testate in base alla tipologia della redazione e alle finalità (valori %).
c = colonna; r = riga.
100
3,7
34,3
1,2
11,1
Esterna
62,0
20,2
Interna
%c
%r
Prodotti/Servizi
%c
%r
L’azienda
Tab. 17 - Ripartizione delle testate in base alla tipologia della redazione e ai contenuti (valori %).
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
37,1
100,0
100,0
100,0
54,7
8,2
%r
%c
Totale
100,0
40,0
8,0
52,0
%r
100,0
Totale
%c
Anche la formazione appare una funzione principalmente affidata
alle redazioni esterne: 18,8%, rispetto al 9,2% di quelle interne e al
3,3% di quelle miste.
Questo dato, come i precedenti, sembra confermare la tendenza
delle imprese ad affidarsi a strutture professionali esterne per fare, o per
fare meglio, ciò per cui all’interno non esistono valide dotazioni in termini di risorse umane e/o di strutture adeguate.
Se fare informazione sull’azienda è un obiettivo e un compito che non
viene trasferito all’esterno dal cuore della stessa azienda - la più competente e interessata a farlo -, per altre funzioni, altri compiti e altri obiettivi, affidarsi a strutture esterne meglio dotate e qualificate sembra più opportuno,
nei casi in cui comunque i responsabili della rivista aziendale abbiano deciso che il proprio house organ deve contenere certi temi e contribuire al raggiungimento di certi obiettivi (sostanzialmente, promozione dell’immagine
e dei prodotti, e formazione delle risorse umane) (cfr. tab. 19).
In sintesi, l’identikit dell’house organ italiano “tipo” lo raffigura
come una rivista ben curata nel taglio editoriale e dal punto di vista grafico, pubblicata a colori, arricchita da fotografie e da illustrazioni, con
cadenza per lo più trimestrale o bimestrale. La rivista aziendale è distribuita prevalentemente sul posto di lavoro, ma sempre di più viene recapitata a casa e destinata a soggetti esterni all’azienda. I destinatari principali rimangono comunque i dirigenti, i quadri e tutti gli altri dipendenti, in quanto la funzione fondamentale dell’house organ è concentrata sulla comunicazione interna.
I contenuti principalmente veicolati dalla rivista aziendale sono
“l’azienda” stessa nel suo insieme, i suoi prodotti e/o servizi, ma anche
i temi extra-aziendali, che possono interessare la vita del dipendente nel
suo complesso.
Le finalità maggiormente perseguite dalla rivista sono l’informazione e la promozione dell’immagine e dei prodotti e/o servizi. Ma lo
scopo prevalente è anche di tessere relazioni e di creare un dialogo tra
azienda e dipendenti volto al coinvolgimento e all’identificazione di
questi ultimi.
303
304
1,0
22,3
Totale
c = colonna; r = riga.
100 22,3
5,8 14,3
9,9 15,4
2,4 18,2
17,1 100 17,1
1,7
2,2
9,8 31,4
Extra-azien. 2,3 10,2 20,5
0,4
2,2 22,0
Temi sind. 0,5
Altro
1,3
6,7 19,6
La formaz.1,5
7,4 16,6
2,4 13,9 20,0
Organizz. 2,3 10,2 19,1
15,8
1,4
2,4
0,3
1,0
1,4
100
8,7
15,3
1,7
6,6
9,2
28,3
30,3
3,9 22,9 14,9
4,5
6,5 37,7 19,0
L’azienda 7,7 34,6 22,7
Prod./Ser. 5,9 26,3 22,3
4,8
%c
15,8
19,7
21,8
11,7
13,5
12,2
17,0
14,1
%r
Prom. immag.
%r
%c
%c
%r
Coinvolgimento
Informazione
13,0
0,9
1,7
0,3
0,8
1,4
4,3
3,7
100
6,9
13,2
2,0
6,5
10,5
32,8
28,1
%c
13,0
13,0
15,5
11,7
11,0
11,5
16,3
10,8
%r
Prom. prodotti
12,5
0,5
0,9
0,4
1,1
1,6
2,9
5,1
%r
7,5
8,3
100 12,5
4,2
7,3
3,0 16,5
8,9 14,5
12,6 13,2
23,5 11,2
40,7 15,0
%c
Dialogo
7,9
0,3
1,0
0,2
0,8
1,2
1,8
2,5
6,9
7,4
%r
100
4,1
12,7
2,2
7,9
4,6
9,0
7,9
10,7 11,0
15,2 10,1
23,1
32,1
%c
Formazione
Tab. 19 - Ripartizione delle testate in base ai contenuti e alle finalità (valori %).
7,1
0,5
0,6
0,1
0,6
1,0
1,9
2,3
100
7,3
8,3
1,9
9,0
13,8
26,5
33,1
%c
7,1
7,4
5,3
6,1
8,3
8,2
7,1
6,9
%r
Istruzioni dirig.
4,3
0,1
0,5
0,1
0,4
0,7
1,1
1,4
100
3,4
10,9
3,1
9,7
15,6
25,6
31,6
%c
4,3
2,1
4,3
6,1
5,5
5,7
4,2
4,0
%r
Gestione crisi
100,0
7,0
11,1
2,2
7,7
11,9
26,2
33,9
%c
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
%r
Totale
La rivista dell’azienda è curata da una redazione interna, che si avvale però in maniera considerevole di risorse reperite all’esterno, specialmente con riferimento ad alcuni contenuti (i prodotti e/o servizi, i
temi extra-aziendali) e ad alcune funzioni che si esige che la testata
svolga (la promozione, la formazione). La conduzione e la responsabilità della testata rimangono saldamente all’interno.
Nel perseguire i suoi obiettivi, la rivista sempre di più si avvale
delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione, soprattutto
della posta elettronica, della rete Internet e del desktop publishing. Essa
sembra destinata ad una crescente integrazione con i nuovi strumenti,
forse variando qualche sua funzione, ma riconfermandosi oggi come uno dei mezzi principali della comunicazione d’impresa.
305
L’INNOVAZIONE TECNOLOGICA
PER LA COMUNICAZIONE D’IMPRESA
307
PREMESSA
Comprendere gli impatti delle nuove tecnologie sui processi di comunicazione d’impresa è sempre più importante per il management e
per le figure professionali che con diverse responsabilità e ruolo operano nei campi della comunicazione.
Più in generale il tema assume un interesse crescente per tutte le
persone che operano nell’impresa e sono coinvolte nei processi di cambiamento dell’organizzazione, del modo di lavorare, dell’apprendere e
del comunicare; cambiamento reso possibile e talvolta stimolato dall’innovazione tecnologica.
Nel contesto del 1° Rapporto sulla Comunicazione d’Impresa si è
voluto sviluppare il tema in oggetto perseguendo alcuni obiettivi:
• consentire un primo livello di conoscenza aggiornata delle caratteristiche di base e della funzionalità delle principali tecnologie; spesso
queste informazioni si trovano disperse in fonti e ambiti diversi e ciò
rende faticoso il loro reperimento;
• facilitare una prima comprensione del “come” le diverse tecnologie
possano trovare applicazione in alcuni processi aziendali nei quali la
dimensione della comunicazione assume particolare rilevanza;
• porre alcune basi di riferimento per realizzare successivi aggiornamenti e approfondimenti delle importanti problematiche relative agli
impatti sull’organizzazione, sui ruoli professionali e sulle persone.
309
NUOVE TECNOLOGIE PER LA COMUNICAZIONE: PRINCIPALI CARATTERISTICHE
E FUNZIONALITÀ
Le tecnologie che si intendono prendere in esame sono quelle che,
per ampiezza di diffusione e innovatività, impattano oggi in modo particolarmente significativo sulla comunicazione d’impresa. Di seguito
vengono presentate le caratteristiche funzionali e le applicazioni d’uso,
anche potenziali, di: Intranet, E-mail, Computer Conferencing, Data base on line, Business Television, Videoconferencing e Desk Top Conferencing, Multimedia interattivi.
Intranet
Intranet è una rete interna a una determinata azienda o a un pool di
aziende, accessibile solo ai dipendenti e ai pubblici autorizzati; si tratta
di uno strumento molto potente che utilizza la tecnologia Internet per
rendere disponibile l’informazione dentro e fuori l’azienda.
Secondo recenti ricerche due terzi delle grandi aziende utilizzano
Intranet per il loro business.
Dal punto di vista tecnologico, l’azienda può servirsi di una rete
locale dedicata (LAN) con propri cavi e un proprio sistema client server
uniforme per hardware e software; oppure può appoggiarsi a una rete
virtuale che utilizza cavi telefonici pubblici, ma riserva gli accessi solo
all’azienda e ai propri autorizzati; infine può utilizzare una sottorete
310
virtuale di Internet, riservata a una o più aziende, servendosi delle relative facilitazioni (browser come Netscape Navigator, Internet Explorer,
server, motori di ricerca come Altavista, ecc.).
Le principali caratteristiche di Intranet sono la facilità di navigazione, la rapidità di prototipazione, l’accessibilità da qualunque piattaforma, la possibilità di utilizzare diversi tipi di media (audio, video e
applicazioni interattive). Inoltre, con Intranet si possono realizzare reti
interne di qualunque dimensione, dal momento che si può partire da una rete piccola, che cresce in momenti successivi a seconda delle necessità di sviluppo, comportando investimenti iniziali minimi per l’installazione; Intranet risulta pertanto conveniente alle realtà organizzative medio piccole come a quelle più grandi e disperse geograficamente. Si
consideri infine che l’informazione fornita attraverso Intranet giunge
all’utente in modo estremamente più tempestivo ed economico di quella
fornita attraverso mezzi tradizionali cartacei.
Le applicazioni di Intranet in ambito aziendale sono svariate, e
comprendono ad esempio:
• trasmissione ai dipendenti di diversi tipi di informazioni, come politiche aziendali, procedure operative, descrizioni di attività e ruoli, dati
e documentazione relativi a piani di business, news aziendali, rapporti
di ricerca, progetti, ecc.;
• assistenza e supporto tecnico allo sviluppo professionale e alla formazione dei dipendenti;
• accesso a data base con facilitazioni per le operazioni di ricerca delle
informazioni;
• trasmissione di informazioni a reti di vendita, fornitori, clienti, ecc.;
• possibilità di collaborare a gruppi di lavoro: gli utenti possono accedere a documenti di progetto in modo interattivo, fornendo il loro contributo. L’Intranet di Ford ad esempio mette in connessione i progettisti di Stati Uniti, Europa e Asia, consentendo attività di lavoro congiunto (coworking);
• invio di posta elettronica.
311
Electronic mail - posta elettronica
La posta elettronica consente di inviare e di ricevere messaggi attraverso una casella postale (mailbox) che viene attivata sul computer e
tramite il collegamento alla rete telefonica, che viene generalmente effettuato da un provider specializzato.
Si può inviare un messaggio privato a un destinatario titolare di una casella postale elettronica; si possono inoltre inviare messaggi pubblici, che possono essere letti da tutti coloro che condividono una rete.
Dal punto di vista della rapidità, la e-mail è molto simile al telefono, con il quale condivide la rete; dal punto di vista dei costi, il costo unitario di un invio è inferiore a quello di una telefonata o di una lettera.
La rapidità e il basso costo dell’E-mail hanno permesso di aumentare in modo significativo gli scambi tra persone lontane fisicamente,
consentendo di mantenere contatti più stretti e regolari tra i membri di
un team di lavoro, di diffondere le informazioni all’interno e all’esterno
dell’azienda, sia a livello verticale che orizzontale, in maniera più sistematica e di lavorare in maniera più flessibile, modulando lo scambio di
messaggi tra più persone nel momento più conveniente, senza richiedere la presenza contemporanea degli interlocutori.
Indubbiamente la diffusione della comunicazione per posta elettronica ha generato un nuovo stile di comunicazione, basato sull’informalità sulla brevità dei messaggi: il testo E-mail è di solito molto succinto,
i contenuti sono espressi in modo dichiarativo, la sintassi è semplificata; spariscono - o tendono a perdere rilevanza sociale - i riferimenti alla
posizione gerarchica e al livello professionale aziendale. La natura informale della comunicazione tramite posta elettronica è stata uno dei
fattori principali del successo dell’E-mail a partire da contesti di interazione come le comunità scientifiche ed accademiche.
Lo stile informale e la brevità dei messaggi costituiscono però anche i limiti della posta elettronica quando questa diventa un mezzo di
comunicazione aziendale: i messaggi E-mail infatti, sia dal punto di vista legale che per ragioni formali, non possono sostituire tutti gli altri tipi di corrispondenza, soprattutto commerciale. Inoltre, le conversazioni
che richiedono un certo livello di negoziazione o che implicano mutui
312
aggiustamenti tra interlocutori, come la risoluzione di situazioni conflittuali, richiedono la ricchezza delle modalità espressive del linguaggio
parlato. Esse vengono perciò necessariamente condotte verbalmente nel
corso di riunioni o utilizzando il telefono.
Con la posta elettronica sorgono inoltre problemi di riservatezza
(“chi controlla/vede la mia E-mail”) ed emerge la necessità di applicare
regole condivise tra gli interlocutori per evitare l’accumulo dei messaggi e i tempi di attesa molto lunghi necessari per scaricare allegati (attachement) di dimensioni eccessive.
Conferenza elettronica (computer conferencing)
Il termine Computer Conferencing designa un insieme di tecnologie variamente integrate, che consentono di scambiare messaggi e dati e
di lavorare su un medesimo documento in tempo reale (Syncronous
Conferencing) o differito (Asyncronous Conferencing).
Generalmente le tecnologie di Computer Conferencing si dividono
in quattro categorie: servizi di posta elettronica, sistemi di Bullettin
Board (BBS), sistemi di conferenza vera e propria, servizi di ricerca e
di condivisione di informazioni.
Mentre le prime tre tecnologie rientrano nella sfera della comunicazione interpersonale e hanno lo scopo di riprodurre, attraverso la rete,
le modalità di interazione tra gli individui o tra i gruppi, la quarta categoria riguarda i sistemi che consentono di accedere a informazioni immagazzinate nei nodi della rete (basi di dati, archivi software, ecc.) e di
condividere le stesse informazioni tra i partecipanti alla comunicazione.
Questi sistemi presentano una vasta gamma di funzionalità tra cui:
organizzare la comunicazione su argomenti e temi di discussione; assegnare ruoli diversi ai partecipanti (es. tutor, moderatore); coordinare e
monitorare il lavoro delle persone.
Della conferenza elettronica si può fare un uso più o meno strutturato.
L’uso non strutturato prevede la presenza di aree di discussione libera (“chatting area” o “café”); di help-desk specializzati che possono
313
fornire risposta a domande specifiche o a interrogazioni tecniche sul
funzionamento del sistema; di aree di “contatto”, o punti di incontro,
che servono a lanciare nuovi argomenti di discussione.
L’uso strutturato prevede l’organizzazione dei processi di interazione e la definizione dei risultati che si vogliono raggiungere. Il lavoro
di team, le attività di apprendimento e di formazione on line, lo scambio di conoscenza su un argomento specifico sono esempi di uso aziendale strutturato dei sistemi di conferenza elettronica.
Un aspetto caratteristico delle tecnologie di Computer Conferencing è la notevole flessibilità dei modi di comunicazione e di scambio
tra le persone e tra i gruppi, pur all’interno di determinati vincoli tecnologici: dalle ricerche finora effettuate a livello internazionale sulle applicazioni di queste tecnologie alle organizzazioni aziendali ed alle istituzioni educative, come la scuola e l’università, si può rilevare una notevole plasticità e apertura dei sistemi di Computer Conferencing, che
sembrano adattarsi facilmente a qualsiasi tipo e forma di cooperazione.
Business Television
La Business Television è una rete protetta che utilizza un canale di
proprietà di un’azienda per la trasmissione in diretta via satellite alle sedi remote.
La qualità del segnale audio e video che offre questa tecnologia è
molto elevata; inoltre il segnale può essere criptato ed il destinatario
selezionato.
Il livello di interazione con gli utenti che offre questa tecnologia è
invece di per sé piuttosto basso, in quanto la comunicazione video è a
una sola via, mentre i siti riceventi presso le sedi remote, che non possono comunicare tra loro, possono interagire telefonicamente con l’emittente con modalità diverse: telefonate in diretta senza filtro o filtrate
da un operatore, telefonate in differita, cui si può decidere di rispondere
in diretta o successivamente; telefonate con domande preparate in anticipo, sollecitate preventivamente dal relatore. A sua volta, chi trasmette
dallo studio televisivo può effettuare chiamate casuali o preorganizzate
314
ai siti riceventi o a un esperto remoto, non fisicamente presente alla
trasmissione.
L’interazione telefonica può essere potenziata con un dispositivo elettronico, il bridge telefonico, che tiene in linea contemporaneamente più
utenti, o con l’utilizzo di tastiere elettroniche (responding machine) che
consentono agli utenti remoti di digitare risposte da inviare al relatore.
Si può ovviare alla bassa possibilità di interazione prestrutturando
le trasmissioni, inviando preventivamente materiali cartacei, prevedendo
momenti di stimolo affidati ad animazioni o all’inserimento di filmati.
Per le sue caratteristiche la Business Television è adatta a grandi
numeri di utenti dislocati in sedi diverse su un territorio anche vasto; si
presta all’erogazione di programmi di formazione, alla larga diffusione
di informazioni di interesse aziendale (il telegiornale aziendale, informazioni su nuovi prodotti, ecc.), alla trasmissione di messaggi in occasione di eventi o convention.
I costi di equipaggiamento e di trasmissione sono notevoli, pertanto la Business Television è una scelta consigliabile se si prevede un numero di postazioni remote elevato e una frequenza di trasmissione tale
da ammortizzare i costi iniziali di impianto.
Data base on line
I data base sono sistemi che immagazzinano informazioni e le organizzano in modo tale da rendere la ricerca e l’accesso efficace, semplice e tempestivo.
Esistono diversi modelli di data base che si differenziano a seconda del modo in cui organizzano le informazioni. I più diffusi attualmente sono i data base relazionali, che collegano i dati di diversi file attraverso l’uso di campi chiave. Ad esempio il campo NomeCliente presente sia nel file “clienti” che nel file “prodotti” permette di collegare il
cliente al/i prodotto/i che ha acquistato. Il cliente e qualsiasi altro dato/informazione viene descritto come una combinazione di campi che
possono essere facilmente aggiornati e arricchiti. Altri data base (object
315
oriented), oltre a contenere informazioni non solo testuali e numeriche
ma anche multimediali, consentono di effettuare alcune operazioni a
partire dalle informazioni stesse (ad esempio calcolare il fondo pensione di una persona sulla base dell’età e dei contributi versati).
I data base sono diventati un elemento importante delle tecnologie
della comunicazione da quando sono disponibili “on line”. Essi consentono l’accesso in tempo reale a una vastissima quantità di risorse di conoscenza (basi di conoscenza) e di informazione, permettendo in questo
modo di aggiungere valore ai processi di formazione a distanza, di lavoro di gruppo, di gestione della conoscenza, di supporto alle performance delle persone che operano nei diversi contesti professionali.
Videoconferenza e desk top conference
La videoconferenza, che consente un’interazione audio e video a
due vie tra due siti (point to point) e fra più siti (multipoint) a gruppi
consistenti di persone, utilizza linee di tipo ISDN (Integrated Services
Digital Network): la qualità del segnale dipende dal numero di linee attivate e attualmente non è ancora pienamente soddisfacente pur garantendo una qualità sufficiente agli scopi della comunicazione.
In campo aziendale la videoconferenza viene utilizzata per testimonianze, interventi nel corso di meeting, cicli di formazione integrati
da materiali cartacei e supportati da tutor, incontri di lavoro a distanza,
comunicazione di messaggi aziendali.
I costi di installazione e gestione sono molto inferiori a quelli della
BTV. Tra i vantaggi, sono inoltre da tenere in considerazione il notevole
abbattimento dei costi, dei tempi e dei disagi collegati al trasferimento
delle persone, la tempestività e la capillarità della diffusione dell’informazione.
La Desk Top Conference consente una trasmissione di video-conferenza tramite computer tra singoli individui o tra piccoli gruppi; ha
costi di equipaggiamento inferiori a quelli delle video-conferenze e trova applicazione nelle attività di tutoring e negli incontri di lavoro a distanza.
316
Media interattivi
La tecnologia multimediale presenta l’informazione attraverso
l’integrazione di più codici e modalità di comunicazione: testi, animazioni grafiche, filmati, musica e voce.
Un prodotto multimediale immagazzina moltissime informazioni
digitalizzate: il supporto più comune è pertanto il CD Rom (Compact
Disk Read Only Memory), un disco a memoria ottica che contiene informazioni testuali sonore e grafiche preregistrate, e che, analogamente
al Compact Disk Musicale, può solo essere letto; per leggere un CD
Rom è necessario disporre di un computer multimediale, dodato di
scheda audio.
Una prima caratteristica peculiare di questi supporti, destinati come il libro alla fruizione individuale, a differenza di una pubblicazione
tradizionale strutturata in modo sequenziale, è che essi si prestano ad
accogliere una struttura ipertestuale basata su una memoria ad albero
che consente l’accesso e la navigazione a partire da un menu oppure da
parole “chiave”.
Una seconda caratteristica importante del CD Rom è quella di
consentire all’utente una fruizione interattiva dei dati che può portare a
selezionare un percorso personale, a determinare la sequenza di fruizione e il tempo di consultazione del CD Rom.
I CD Rom trovano attualmente larga applicazione nel campo dello
stoccaggio di informazioni che non necessitano di essere aggiornate
frequentemente, come ad esempio le enciclopedie, gli archivi e altri
strumenti di consultazione interattivi.
Più pertinente al discorso della comunicazione nelle imprese è il
vasto utilizzo nel campo delle presentazioni di prodotti/servizi, della
formazione, della manualistica tecnica.
La combinazione è l’integrazione delle tecnologie
Considerata la varietà delle tecnologie descritte e le diverse modalità delle possibili applicazioni alla comunicazione d’impresa, si rende
317
utile una loro classificazione in base ad alcune tra le categorie più comunemente proposte in ambito scientifico.
Una prima classificazione si basa sulla duplice distinzione tra la dimensione temporale della comunicazione (sincrona e asincrona) da una
parte e la direzione del flusso comunicativo/informativo dall’altra (Fig. 1).
Dimensione
temporale
Sincrona
Asincrona
Unidirezionale
BTV
CD-Rom
Bidirezionale
Videoconferencing
Desk top videoconf.
Computer conferencing
E-mail
Computer conferencing
Direzione
Fig. 1
Un’altra classificazione (Fig. 2) prende in considerazione la dimensione dell’interattività.
Interattività alta
Multimediali interattivi
(CD Rom)
Corsi WEB
VDC / Desk top conferencing
e document sharing
Unidirezionale
Bidirezionale
Computer Conferencing
E-Mail
BTV
Interattività bassa
Fig. 2
318
Da questa classificazione esemplificativa emerge come la videoconferenza e la conferenza desk top consentono di ottenere il livello più
alto di interazione comunicativa in quanto sono le tecnologie che ricreano nel modo più prossimo le condizioni della comunicazione “faccia a faccia”. Sono quindi da preferire in contesti d’uso che richiedono
negoziazione, elaborazione e decisione condivise e nel caso si voglia
ottenere una comunicazione più “calda” dei messaggi.
Le tecnologie della comunicazione mediate dal computer, che si
basano sullo scambio di testi scritti e di dati, sono più adatte a contesti
che richiedano analisi, riflessione e forme di condivisione più approfondite, come quelle richieste dalle attività di apprendimento e/o di lavoro
a distanza.
Questi tipi di classificazioni sono utili per valutare le opportunità
di utilizzo delle diverse tecnologie in relazione alle esigenze collegate
ai contesti organizzativi, ai contenuti e agli obiettivi della comunicazione e alle caratteristiche delle persone.
Ulteriori considerazioni riguardano la natura aperta, dinamica e
polivalente delle tecnologie.
Queste caratteristiche per così dire “plastiche” comportano la possibilità di realizzare una vasta gamma di possibili combinazioni e integrazioni. Ciò consente l’ottimizzazione delle potenzialità funzionali e il
disegno di soluzioni sempre più raffinate e al contempo personalizzate,
rispondenti ai diversi bisogni delle aziende.
Il percorso di sviluppo delle tecnologie della comunicazione, in
seguito alla loro integrazione con le tecnologie informatiche e all’utilizzo della rete, rende evidente, come emerge da quanto detto finora, il
passaggio dalla comunicazione unidirezionale e standardizzata propria
dei mezzi di comunicazione di massa di prima generazione a una comunicazione a più vie, interattiva, flessibile, di conseguenza più adatta
alle mutevoli necessità che caratterizzano i contesti organizzativi attuali.
La combinazione delle soluzioni tecnologiche porta alla costituzione di sistemi adatti a supportare le attività sempre più complesse e
ad alta densità di interazione richieste alle persone nelle moderne organizzazioni.
319
I sistemi di groupware
I sistemi di groupware sono costituiti da un insieme di mezzi telematici e di software che consentono forme di comunicazione e di collaborazione fra persone e integrano tecnologie software (come la posta elettronica, la conferenza elettronica in tempo reale o differito e la videoconferenza) con reti di comunicazione aziendali (interne e dedicate) e/o
con reti esterne e pubbliche. Utilizzano inoltre software per la programmazione e la calendarizzazione delle riunioni, per lo scambio e la gestione comune di documenti di lavoro, per la soluzione dei problemi e
la presa di decisione condivisa.
Consentono, per realizzare i compiti citati, l’accesso a data base aziendali per l’acquisizione di informazioni, di documentazione interna
ed esterna e per l’accesso a basi di conoscenza.
Nella figura (Fig. 3) viene schematicamente rappresentato il sistema di groupware, le tecnologie e le funzionalità che lo costituiscono, i
Archivio di documenti e
di disegni
Knowledge bases
Data base di informazioni
GROUP WARE
Data base di gruppo
Gestione di documentazione
Computer
Conferencing
Desk top
Conferencing
Applicativi per
la produttività
individuale
E-mail
Messaggeria
SISTEMA OPERATIVO
INFRASTRUTTURA HARDWARE E RETI (LAM/WAN/ISDN)
STANDARD/PROTOCOLLI - SERVER LOCALI E REMOTI
Fig. 3 - L’ambiente del groupware.
320
Agenda BBS
suoi collegamenti alle fonti di informazione aziendali, l’architettura
hardware e software.
I sistemi di groupware, in sintesi, consentono a team virtuali di lavorare, supportando tutte le funzioni di comunicazione tipiche di un
gruppo di lavoro, funzioni necessarie per realizzare i compiti e gli obiettivi che gli sono assegnati. Questi aspetti saranno esaminati più dettagliatamente nell’ambito del capitolo specifico dedicato ai campi applicativi.
321
CAMPI
APPLICATIVI DELLE NUOVE TECNOLOGIE: VANTAGGI E IMPLICAZIONE
PER L’IMPRESA
Le nuove tecnologie della comunicazione nel campo della formazione
aziendale
Fra i campi applicativi più promettenti per le nuove tecnologie
della comunicazione vi è senz’altro quello della formazione e dell’addestramento aziendale.
Negli ultimi dieci anni la sperimentazione delle nuove tecnologie
nella formazione è stata ricca e articolata e oggi le ricerche nel settore
evidenziano un significativo trend di ampliamento del loro utilizzo, come illustrato nelle figure seguenti (Fig. 4 e Fig. 5).
Modalità di erogazione della formazione
0
10
20
30
40
50
60
CD-Rom
Disk
Client/Server
Intranet Web
World Wide Web
CBT
Altro
Fonte: The 1997 CBT Report, SB Communictions
Fig. 4
322
70
Dall’aula all’apprendimento on-line
0
10
20
30
40
50
60
70
80
Classroom, 1997
On-line, 1997
Classroom, 2000
On-line, 2000
Fonte: Corporate University Review
Fig. 5
Il trend è collegabile da una parte allo sviluppo delle tecnologie
stesse, sempre più accessibili, meno costose e più ricche di funzionalità,
dall’altra alla crescente rilevanza che i processi di apprendimento individuali e collettivi assumono per le aziende: le competenze, il knowhow di prodotto/servizio e di processo, la conoscenza del mercato e dei
clienti, la cultura dell’impresa sono infatti sempre più identificati come
fattori di successo fondamentali.
Alla formazione si richiede perciò di raggiungere un’efficacia elevata,
di produrre risultati di apprendimento effettivi e misurabili. D’altra parte
crescono e diventano sempre più critici per le imprese i vincoli organizzativi come la necessità di limitare l’allontanamento delle persone dal posto di
lavoro e la necessità di contenere i costi complessivi della formazione.
In questa prospettiva le nuove tecnologie della comunicazione sono in grado di offrire, all’interno dei processi organizzati di formazione
e addestramento, una serie di vantaggi ormai riconosciuti dalle aziende
che ne hanno sperimentato l’utilizzo, oltre che dagli osservatori più accreditati di questo campo di applicazione.
In sintesi, i vantaggi riconosciuti sono i seguenti:
• la possibilità di raggiungere in tempi brevi ampie popolazioni decentrate geograficamente (unità produttive, reti di distribuzione, reti di
assistenza tecnica, ecc.);
323
• la capacità di rendere più flessibile le modalità di erogazione e di fruizione fino a giungere al concetto di “any time, any place” (in qualunque momento, anche fuori orario di lavoro e in qualunque luogo,
compreso il posto di lavoro medesimo);
• la possibilità di realizzare una forte omogeneità dei contenuti oggetto
di apprendimento, laddove questo risulti necessario e sia considerato
un valore;
• la possibilità di raggiungere e di soddisfare i bisogni di apprendimento
dei singoli individui e di ottenere dati sulle attività da loro svolte e sui
risultati di apprendimento ottenuti;
• una riduzione complessiva dei costi della formazione, collegata soprattutto all’abbattimento dei costi logistici e ai costi del mancato lavoro.
La varietà e la plurifunzionalità delle nuove tecnologie disponibili
consentono di progettare e implementare un’ampia gamma di soluzioni
e di modelli per l’apprendimento. La vasta letteratura disponibile
sull’argomento affronta il tema a partire da classificazioni e descrizioni
molto articolate. I concetti di formazione a distanza (FAD), open learning (OL), autoapprendimento, rimandano a una ricca varietà di collegamenti e incroci tra le tematiche inerenti caratteristiche delle tecnologie, livelli di interattività, livelli di autonomia di chi apprende, modelli
e tipologie di apprendimento, ecc.
In questo capitolo, per motivi di chiarezza e di sinteticità, si è scelto di focalizzare l’attenzione su due aspetti, trattati necessariamente in
modo parziale e a titolo di esempio: il primo è quello delle funzioni didattiche che nei processi di formazione possono essere supportate attraverso le tecnologie; il secondo è quello delle soluzioni metodologiche
basate sulla tecnologia che possono essere messe in atto per diverse finalità di apprendimento.
Funzionalità delle tecnologie della comunicazione per i processi di
apprendimento
Tra le principali funzioni didattiche realizzabili attraverso il supporto della tecnologia ricordiamo le seguenti:
324
• La lezione a distanza. Le persone in formazione possono, da siti remoti, fruire di lezioni e partecipare a discussioni di approfondimento
con un docente esperto. La fruizione può essere collettiva o anche individuale a seconda che si utilizzino sistemi di videoconferenza o sistemi di desktop conferencing.
Questa funzione può essere realizzata (con un livello di interazione
più basso) anche attraverso collegamenti di televisione satellitare
(BTV).
Nel processo di formazione-apprendimento le tecnologie possono essere ovviamente utilizzate anche per fornire feedback, spiegazioni, o
occasioni di approfondimento a valle di attività svolte individualmente o in gruppo, quali ad esempio esercitazioni, analisi di casi, lavoro
su compiti specifici, ecc. E’ intuitivo comprendere quindi come possono essere utilizzate per gestire un processo di apprendimento più
complesso rispetto a quello che si può realizzare con una semplice attività di lezione e discussione.
• L’apprendimento autogestito in contesto stand-alone o in rete. Le persone
possono realizzare percorsi formativi, avvalendosi di supporti multimediali, senza la mediazione del docente. L’accesso e l’utilizzo dei supporti
possono avvenire da una postazione attrezzata delle tecnologie necessarie
ed autonoma (stand alone) o da una postazione collegata in rete che consente di procurarsi il materiale multimediale da archivi contenuti in un
computer remoto con funzioni di server.
Il materiale multimediale, utilizzato come risorsa per l’apprendimento,
può avere caratteristiche molto diverse e consentire tipologie e livelli di
apprendimento altrettanto diversificati. Possono essere utilizzati CD Rom
interattivi che contengono elevate quantità di informazioni e consentono
al discente di realizzare attività complesse (navigazione tra le informazioni, simulazioni, test di controllo dell’apprendimento, ecc.) così come l’accesso, se vi sono collegamenti di rete, ad archivi informatizzati.
• Tutoring on line: consiste nell’assistenza personalizzata alle persone
in formazione da parte di un tutor collegato tramite posta elettronica e
desk top conferencing.
Il tutoring on line può essere utile per ottenere informazioni lungo i
percorsi formativi, realizzare verifiche, richiedere accesso ad altre
325
fonti utili e supportare efficacemente l’attività di monitoraggio del
processo di apprendimento.
• Studio e lavoro di gruppo in rete: si tratta dell’interazione tra persone
finalizzata al lavoro di gruppo (soluzione di problemi, realizzazione
di compiti assegnati, produzione cooperativa di materiali e discussione in rete) tramite l’utilizzo prevalente di posta elettronica, computer
conferencing, lavoro comune sugli stessi file/documenti.
Soluzioni metodologiche per diverse finalità di apprendimento
Consideriamo ora le soluzioni metodologiche che possono essere
attuate per promuovere diverse finalità di apprendimento, per gli individui o per gruppi di varia dimensione.
In funzione delle diverse finalizzazioni è infatti possibile progettare e supportare diversi processi di apprendimento, di sviluppo delle conoscenze, piuttosto che di sviluppo delle capacità, che si indirizzano
all’apprendimento individuale o di gruppo (Fig. 6).
Individui
Conoscenze
Es.
Es.
• Ipermedia informativi
• CBT
• Knowledge data base
• Business simulation (su CD Rom)
• Manualistica
• (CD Rom, WEB)
• Sistemi esperti di supporto alle
performance (EPSS)
Es.
Es.
• Corsi a distanza in
videoconferenza
• Classi virtuali
• Corsi in BTV
• Alternanza di studio individuale
autogestito e workshop
Gruppi
Fig. 6
326
Skill
E’ interessante notare come, nel caso si vogliano potenziare capacità complesse a livello individuale, la metodologia appropriata può essere quella, a titolo di esempio, della Business Simulation, che consente
di cimentare il discente nella operatività e in percorsi di problem solving e presa di decisioni in funzione dei risultati da raggiungere.
Se si intendono invece sviluppare conoscenze e capacità ad un livello più collettivo, una soluzione appropriata può essere la classe virtuale: diverse persone in località diverse studiano e lavorano a distanza
per raggiungere obiettivi formativi definiti e comuni. I membri della
classe virtuale utilizzano materiale multimediale, interagiscono su specifici compiti loro assegnati, hanno il supporto di un docente-tutor e di
esperti. Vi sono appuntamenti collettivi on line a scadenze definite ed eventualmente lungo il percorso riunioni in presenza. La lista degli esempi potrebbe essere lunga. Ciò che preme sottolineare è che, in relazione alle diverse finalità, è importante saper progettare il percorso di
apprendimento, realizzando il giusto raccordo tra metodi o tecnologie.
327
I
SISTEMI INTEGRATI PER LA COMUNICAZIONE, LA FORMAZIONE E IL SUP-
PORTO ALLE PERFORMANCE
Come si è visto, le tecnologie della comunicazione possono essere
utilizzate a fini formativi e generare numerose soluzioni per la realizzazione di corsi a distanza, attività di formazione e programmi complessi,
all’interno dei quali si presenta un’alternanza e un mix di soluzioni diverse: videoconferenze, reti di BTV, multimedialità, ecc. Le soluzioni
ed i percorsi di apprendimento sono progettate dall’azienda, che pianifica forme, modalità e tempi di accesso alle attività.
Nelle realtà aziendali più avanzate nell’uso delle tecnologie della
comunicazione si assiste oggi allo sviluppo di sistemi integrati che, a
partire da architetture tecnologiche “client server”,1 sono in grado di offrire una vasta gamma di strumenti e servizi per la comunicazione, la
formazione ed il supporto alla realizzazione di specifiche performance.
Questi sistemi integrati consentono di accedere da un’unica postazione di lavoro a corsi interattivi multimediali; a servizi di informazione su seminari, workshop, eventi di comunicazione (programmati
dall’azienda o da esterni), cui è possibile iscriversi direttamente; a strumenti operativi di supporto per la realizzazione di specifici compiti professionali, a informazioni e conoscenze generate in azienda, formalizzate e disponibili in appositi data base; a fonti di conoscenza esterne tramite collegamenti in Internet o a banche dati.
________
1. Nei sistemi client-server gli utenti sono collegati tramite terminali a computer
centralizzati (server) fornitori di servizi.
328
Questi stessi sistemi possono accumulare informazioni atte a documentare ed eventualmente certificare le conoscenze acquisite, l’avvenuto utilizzo degli strumenti di supporto alle performance professionali,
la frequenza di accesso e di utilizzo dei diversi data base disponibili.
Lo sviluppo di sistemi integrati per la comunicazione, la formazione e il supporto alle performance, basati su architetture tecnologiche
client server, generano un vero e proprio salto di qualità nei processi di
comunicazione e apprendimento.
Le considerazioni su questo tema potrebbero essere molto ampie
e articolate, ma, in sintesi, sono riconducibili a quattro aspetti fondamentali:
• i sistemi integrati possono essere utilizzati da una molteplicità di utenti diversi: il personale interno, i fornitori, la rete di vendita, i clienti;
• gli utenti di questi sistemi sono indotti ad assumere la responsabilità
diretta delle scelte di fruizione delle informazioni e di formazione in
relazione ai propri bisogni. Il sistema di erogazione/distribuzione delle conoscenze (delivery system) evolve da una logica “push” verso una logica “pull”: informazioni, corsi, servizi di orientamento, strumenti sono disponibili e utilizzabili su iniziativa degli utenti (“on demand”) e non erogati su iniziativa dell’azienda in modo più indifferenziato e indipendente dall’iniziativa individuale;
• questi sistemi consentono maggiormente l’integrazione del processo
di apprendimento con i processi di lavoro: la ricerca delle informazioni utili o la scelta di praticare attività di training, sono maggiormente
collegati al flusso dell’attività operativa (“on going learning”);
• i sistemi possono essere continuamente aggiornati e manutenuti utilizzando le informazioni di feedback che immagazzinano al loro interno,
ciò favorisce la patrimonializzazione continua delle conoscenze e
l’innovazione delle soluzioni.
Queste caratteristiche dei sistemi integrati fanno sì che essi si configurino non solo come una risorsa a disposizione dei singoli individui,
ma come potenziali supporti ai processi di apprendimento dell’intera
organizzazione.
329
LE APPLICAZIONI DEL GROUPWARE ALLE ORGANIZZAZIONI AZIENDALI
Il potenziamento del lavoro in team è una delle sfide più significative per le aziende che devono dar vita a modelli di funzionamento organizzativo più flessibili, veloci in ogni realizzazione, capaci di rendere
efficienti ed efficaci i loro processi.
L’organizzazione basata sui team di lavoro costituisce una delle risposte ai problemi generati dall’organizzazione di tipo rigidamente funzionale e gerarchico, ma ripropone, fra gli altri, il tema del legame tra
tecnologia, organizzazione e lavoro di gruppo.
Esiste oggi una tipologia di sistemi software progettati specificatamente per le esigenze dei gruppi di lavoro: il groupware. I sistemi di
groupware sono nati sia sulla spinta delle nuove esigenze dell’organizzazione del lavoro, sia per superare i limiti manifestati dai software già
disponibili nel supportare alcune specifiche funzioni necessarie ai gruppi per lavorare assieme e raggiungere i loro obiettivi.
Ogni team ha una sua unicità, costituita dall’insieme peculiare dei
compiti e degli obiettivi che gli sono assegnati, dalle sue dimensioni,
dai ruoli che i suoi membri sono chiamati a svolgere in funzione delle
loro competenze ed esperienze: la tecnologia chiamata a supportare il
lavoro di team deve pertanto saper rispettare e supportare queste peculiarità ed essere quindi flessibile, capace di accogliere le procedure di
lavoro adottate dal team. La comunità scientifica, impegnata nello studio multidisciplinare dei fabbisogni tecnologici necessari a supportare il
lavoro di team, ha coniato, a proposito di questa nuova realtà che costi330
tuisce un interessante campo di indagine, il termine Computer Supported Coopeative Work (CSCW).
Il groupware (termine utilizzato per descrivere l’insieme dei prodotti software dedicati) sostiene il processo di contribuzione individuale
al team, consente di gestire la pianificazione condivisa delle attività e di
condividere nel team le informazioni in modo efficace. L’introduzione
del groupware in una organizzazione può costituire anche un’opportunità per modificare, se necessario, i processi e le procedure in uso.
I principali bisogni dei team di lavoro che la tecnologia consente
di soddisfare sono i seguenti:
• La condivisione tempestiva delle informazioni
I membri di un team necessitano di un rapido accesso alle informazioni, alle conoscenze ed alle esperienze accumulate dalla loro organizzazione e che possono essere utili allo svolgimento delle attività: biblioteche, archivi comuni, basi di conoscenza sono esempi di “magazzini di informazioni” che i membri possono utilizzare per rispondere a
due esigenze fondamentali. “Dove posso trovare ciò che mi serve?”
“Che utilità questa informazione ha per i problemi di cui ci stiamo
occupando?”.
• La comunicazione efficace all’interno del team
L’efficacia della comunicazione all’interno di un team dipende dalla
scelta del canale adeguato. Tale scelta a sua volta dipende dalla natura
delle informazioni oggetto di scambio e dal livello di interazione richiesto all’interno del gruppo.
La tecnologia sempre di più viene utilizzata come veicolo per le comunicazioni del team: posta elettronica, bacheche elettroniche, desktop conferencing sono esempi di canali (già descritti in termini di
funzionalità) volta per volta selezionabili in funzione delle esigenze di
comunicazione.
• La collaborazione produttiva (coworking)
La collaborazione produttiva è in concreto l’atto di lavorare insieme
per produrre “oggetti” sia intangibili che materiali: analisi di dati ed
elaborazione di report, sviluppo di progetti, elaborazione di proposte e
documenti per clienti, sono esempi di prodotti realizzabili in collaborazione.
331
Le tecnologie mettono a disposizione strumenti specifici (application
sharing) per il lavoro condiviso a distanza: in particolare consentono
di manipolare in modo condiviso gli stessi oggetti e di tenere memoria dell’avanzamento dei risultati e degli eventi che hanno caratterizzato il processo di lavoro.
• La realizzazione di riunioni produttive
L’attività di un team è scandita da riunioni: normalmente queste avvengono in situazioni “faccia a faccia” e sono finalizzate a risolvere
problemi e a prendere decisioni non di routine. Le tecniche di problem solving e di decision making basate sulla tecnologia (Sistemi di
Supporto alle Decisioni di Gruppo-GDSS) presentano alcuni vantaggi: rendono più organizzata la discussione di un problema, strutturano
il brainstorming, stabiliscono criteri per la valutazione delle proposte
anche in relazione ai vincoli e al modello di business. Questi strumenti aumentano l’efficacia del team in misura maggiore dei software generici, che non sono in grado di sostenere il processo realizzato dal
team e di catturare/elaborare le informazioni chiave, i risultati intermedi, ecc.
• La possibilità di pianificare, coordinare e gestire i flussi di lavoro
I prodotti groupware consentono di gestire la complessità dei flussi di
lavoro e dei programmi: la programmazione delle riunioni e delle scadenze, la definizione delle procedure operative, la diffusione delle informazioni relative allo stato di avanzamento del progetto all’interno
e all’esterno del gruppo sono esempi di funzionalità realizzabili.
Una ricognizione delle applicazioni del groupware nelle grandi organizzazioni aziendali dimostra come attualmente vengano maggiormente utilizzati per il lavoro di team gli strumenti che facilitano la comunicazione e lo scambio di informazione tra i membri del gruppo e
quelli per la pianificazione e la gestione dei flussi di lavoro; meno utilizzati sono invece gli strumenti di coworking e di supporto alle decisioni.
Le ragioni di ciò sono probabilmente collegate alla scarsa padronanza che le persone hanno dei mezzi informatici che consentono queste attività. Inoltre, sulle applicazioni dei sistemi di groupware e sul
funzionamento dei team virtuali rimangono ancora aperte alcune importanti domande.
332
Quali effetti avrà l’utilizzo del groupware per l’individuo? Si verificheranno modifiche nell’assunzione delle responsabilità personali?
I sistemi di groupware rinforzeranno la cultura del team o, al contrario, creeranno spinte verso l’individualismo?
Quali modelli di management e quali stili di leadership dovranno
essere sviluppati per gestire i gruppi virtuali?
Come dovrà essere ripensata la formazione?
A queste e ad altre domande si dovrà dare risposta: lo sviluppo rapido e pervasivo delle tecnologie di comunicazione porterà comunque, inesorabilmente, a una crescita ampia dei team e delle comunità virtuali.
333
I RIFLESSI SULLE PERSONE DERIVANTI DALLA DIFFUSIONE DELLE NUOVE TECNOLOGIE DELLA COMUNICAZIONE
Nel considerare gli impatti che le nuove tecnologie della comunicazione hanno sui processi di comunicazione nell’impresa, non ci si
può esimere dallo sviluppare alcune riflessioni sulle conseguenze per le
persone, per il loro modo di comunicare, di relazionarsi e di crescere
sul piano delle competenze all’interno delle organizzazioni.
Il tema è molto ampio e forse le domande sono più complesse e
numerose delle risposte che oggi anche la ricerca scientifica e di management è in grado di fornire.
Una prima serie di problemi riguarda la qualità della relazione comunicativa che le persone sono in grado di instaurare con i nuovi media. La
letteratura e la ricerca applicata sul tema individuano due diverse dimensioni di questo problema: la qualità delle interfacce e la qualità dell’interazione tra utente e tecnologia e fra i diversi utenti attraverso la tecnologia.
Il termine interfaccia designa tutti gli aspetti grafici, tecnici, funzionali, ed ergonomici che consentono all’utente di entrare in relazione
con i sistemi tecnologici e di fruire appieno delle opportunità che essi
sono in grado di offrire. Ma il concetto di interfaccia assume anche un
significato più allargato, in particolare per quelle tecnologie che supportano gli utenti in processi più complessi e autodiretti (per esempio un
percorso multimediale interattivo; un sistema di navigazione per ricercare informazioni; un sistema di supporto alle decisioni).
In questi casi la qualità dell’interfaccia è data dalla capacità di
mantenere elevata la motivazione dell’utente lungo tutto il processo a
334
utilizzare la tecnologia nello specifico contesto di ricerca e di lavoro.
Tale motivazione è collegata alla percezione, da parte dell’utente, del livello di congruenza esistente tra l’impegno e le operazioni a lui richieste dalla tecnologia e gli effettivi vantaggi che egli può ricavarne.
L’interfaccia utente-tecnologia deve pertanto essere progettata a
partire da una accurata analisi delle caratteristiche culturali ed esperienziali degli utenti, dei processi di lavoro in cui la tecnologia si colloca ed
anche dell’ambiente fisico e delle condizioni in cui la tecnologia viene
utilizzata.
L’evoluzione dei sistemi di interfaccia va nella direzione di una
crescente personalizzazione e di un crescente avvicinamento ai modi di
comunicazione naturali; si pensi ai dispositivi di riconoscimento della
voce o della scrittura manuale.
Relativamente alla qualità delle interazioni occorre sottolineare
come, rispetto alla comunicazione “faccia a faccia”, si verifichi l’assenza o la debolezza, secondo il tipo di tecnologia utilizzata, dei messaggi
non verbali e paraverbali. Ciò può comportare significative conseguenze sul livello di motivazione delle persone e, in certi casi, può generare
ambiguità o impoverimento degli aspetti semantici del messaggio: è infatti noto come attraverso la comunicazione non verbale e paraverbale
un messaggio possa essere qualificato in termini di significato effettivo
e al contempo venga a definirsi il tipo e la qualità della relazione tra i
comunicanti.
Relativamente a questo problema è possibile concludere che la comunicazione mediata dalle tecnologie può facilitare una più spiccata
concentrazione sui compiti da realizzare (maggiore impegno nel formalizzare/testualizzare la comunicazione, maggiore intenzionalità nel ricercare occasioni di comunicazione, ecc.), ma al contempo rischia di
deprimere quegli aspetti di coinvolgimento e di motivazione, che concorrono in modo sostanziale alla realizzazione delle performance oltre
che al benessere emotivo delle persone.
Un secondo ordine di problemi è collegato al maggior livello di responsabilizzazione, autonomia, autodisciplina e impegno che le nuove
tecnologie utilizzate per la comunicazione nell’impresa sollecitano agli
individui.
335
La formazione autogestita e autodiretta, la ricerca e l’utilizzo di informazioni per operare, casi come il semplice, ma costante ed efficace utilizzo di E-mail implicano che le persone siano capaci di lavorare con
autonomia, siano rispettose delle regole, dei tempi e delle modalità di comunicazione e scambio definite a livello dell’organizzazione e del team
di cui fanno parte, siano orientate ad assumersi maggiore responsabilità
verso i propri percorsi di apprendimento e di sviluppo professionale.
Questo tipo di problemi può trovare soluzioni se si opera nell’azienda a due livelli: il livello del sistema premiante, che deve saper promuovere e valorizzare l’impegno e la performance individuale e nel
contempo premiare tutte le forme di comunicazione e di collaborazione
basate sulla tecnologia e orientate al gruppo, e il livello dello sviluppo
delle competenze individuali e collettive, attraverso sistemi di formazione e supporto professionale adeguati.
Il tema dello sviluppo delle competenze, intese come conoscenze, abilità e capacità individuali che servono alle persone e, più in generale, all’organizzazione per utilizzare in modo diffuso e proficuo le nuove tecnologie
della comunicazione, costituisce un altro nodo critico per le imprese.
E’ necessario sviluppare le competenze tecniche necessarie per utilizzare i diversi strumenti hardware e software disponibili, ma si tratta
anche di acquisire nuove capacità per navigare e catturare le informazioni all’interno di strutture di comunicazione ipertestuale non lineare,
senza perdere tempo e senza disperdere energie; si tratta, ancora, di saper progettare con metodo processi di comunicazione, di formazione, di
lavoro con caratteristiche tali da consentire l’uso ottimale delle nuove
tecnologie della comunicazione.
Infine, ma l’elenco proposto non è certo esaustivo, è urgente sviluppare le capacità manageriali e di leadership coerenti con queste nuove forme di comunicazione e al contempo efficaci verso le persone e i
team impegnati a lavorare e a comunicare in modo diverso.
E’ evidente quindi la necessità di accompagnare l’implementazione delle nuove tecnologie con un’adeguata formazione, mirata allo sviluppo delle competenze, ma anche a stimolare e sostenere la motivazione, considerati gli impatti sulle modalità comunicative e i comportamenti richiesti alle persone, l’introduzione delle tecnologie si configura
come un vero e proprio processo di cambiamento per l’organizzazione.
336
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Quanto abbiamo finora esaminato ci mostra una grande varietà di
tecnologie, sempre più accessibili e di facile utilizzo che al contempo
presentano caratteristiche di plurifunzionalità rispetto alla comunicazione. Ad esempio con un sistema di videoconferenza si possono “far parlare” persone o gruppi tra di loro e al contempo si possono condividere
documenti sui quali lavorare.
Queste caratteristiche di plurifunzionalità portano anche a un certo
livello di sovrapposizione e ridondanza delle tecnologie rispetto ai possibili usi di comunicazione.
Il fatto che le nuove tecnologie della comunicazione siano numerose, pervasive, plurifunzionali e variamente integrabili fra loro non significa che non possano, anzi non debbano convivere con mezzi e modalità di comunicazione più tradizionali: il messaggio elettronico convive con la telefonata, il newsgroup o la conferenza elettronica con lo
scambio di materiali via fax o l’incontro tra persone, la classe virtuale
con il corso in aula, l’Intranet aziendale con l’house organ.
Oggi le organizzazioni debbono risolvere un problema di cultura che
troppo spesso oscilla fra due estremi: l’illusione che la tecnologia di per sé
sia una soluzione efficiente ed efficace per la comunicazione e la resistenza alla tecnologia in quanto portatrice di nuove difficoltà e complessità.
L’utilizzo efficace delle nuove tecnologie della comunicazione nei
diversi campi applicativi, alcuni dei quali sono stati descritti in questo
capitolo, richiede in realtà una maggiore capacità progettuale da parte
dell’impresa, oltre che una aggiornata e anche diffusa conoscenza delle
337
caratteristiche e delle funzionalità delle tecnologie medesime. Ad esempio attivare una rete di TV satellitare per comunicare con una rete distributiva richiede un’attenta progettazione non solo dell’architettura
tecnologica necessaria, ma anche dei programmi, delle modalità di accesso alle trasmissioni, dei diversi ruoli che dovranno supportare centralmente e localmente i momenti di collegamento, dei sistemi di valutazione dell’efficacia della comunicazione, ecc.
La realizzazione di un sistema di formazione on line implica un
cospicuo impegno ed un lavoro metodico di analisi approfondita delle
competenze necessarie a far funzionare i processi di lavoro, di modularizzazione delle diverse soluzioni di apprendimento oltre che, anche in
questo caso, delle scelte tecnologiche, hardware e software, degli aspetti ergonomici e motivazionali che faciliteranno la fruizione effettiva
della formazione da parte degli utenti.
Molta progettualità e metodo vanno investiti anche nella direzione
di prevedere l’integrazione efficace delle modalità e delle tecnologie di
comunicazione più innovative con quelle più tradizionali, ma pur sempre necessarie per molti scopi.
Queste ultime però nell’impresa che “sa” utilizzare le nuove tecnologie tendono a rifocalizzarsi e a riqualificarsi. Ad esempio per un
team virtuale che “sa” lavorare a distanza, sfruttando tutte le potenzialità delle reti, scegliere di fare una riunione in presenza, “faccia a faccia”,
ha significato solo se la riunione ha obiettivi chiari, è gestita al meglio e
produce risultati non ottenibili in altro modo.
Possiamo concludere sottolineando che le imprese tendono a configurarsi come luoghi in cui i processi di comunicazione e di informazione assumono la forma di complesse reti di interazioni organizzative,
di transazioni, di scambi che travalicano la dimensione interna per estendersi alle reti distributive, ai fornitori, ai clienti.
A ciò si aggiunge che i confini del lavoro e della comunicazione
sulla spinta della globalizzazione si allargano ormai fino a comprendere
l’intero pianeta.
La competitività delle imprese è sempre più legata alla capacità di
progettare e gestire il funzionamento di questi sistemi flessibili di lavoro e comunicazione integrando il ridisegno dei processi, la tecnologia e
le competenze delle persone.
338
CAPITOLO V
LA FORMAZIONE UNIVERSITARIA
339
IL CORSO DI LAUREA
IN SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE
341
GENESI E SVILUPPO
La tendenza della Comunicazione d’Impresa ad uscire, anche nel
nostro Paese, dalla fase empirica, testimoniata dall’attenzione riservata
all’argomento da parte del mondo accademico, è confermata dal moltiplicarsi - accentuato in questi ultimi anni - dell’istituzione di Corsi di
laurea in Scienze della Comunicazione.
Attivato attualmente da almeno undici Università all’interno di facoltà umanistiche diverse, quali Lettere e Filosofia, Sociologia, Scienze
della Formazione e, da ultimo, Scienze della Comunicazione e dello
Spettacolo, il Corso di laurea in Scienze della Comunicazione si affaccia per la prima volta in Italia nell’anno accademico ‘91-’92, nell’ambito della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Salerno.
Ma è la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino a
sollecitare il Ministero, già dal 1987, ad istituire un Corso di laurea di
durata quadriennale, volto a favorire l’acquisizione di professionalità
nelle aree dell’editoria, della biblioteconomia, della pubblicità, della
scrittura tecnica e dell’intelligenza artificiale (Pennacini, 1995).
La richiesta nasceva dall’esigenza di favorire una più stretta correlazione tra l’evoluzione del mercato del lavoro e il livello e i contenuti
di preparazione dei laureati in Lettere e Filosofia.
Una solida cultura umanistica, accompagnata da conoscenze e abilità professionali legate alla gestione dei processi e dei flussi di comunicazione avrebbe probabilmente costituito un bagaglio interessante per
un mercato del lavoro “variegato” e, nel contempo, unificato dal collante della comunicazione.
343
I risultati di alcune indagini, successivamente pubblicati nel testo
Professionisti della cultura. Formazione, strategie e sbocchi professionali dei laureati in Lettere e Filosofia (Milano FrancoAngeli 1987) indicavano infatti che, oltre a quelli “classici” dell’insegnamento, si aprivano nuovi spazi in settori diversi: dalla regia alle attività di sponsorizzazione, alla pubblicità.
Il processo che porterà all’emanazione del D.M. 31 ottobre 1991,
istitutivo del Corso di laurea in Scienze della Comunicazione e dei Diplomi universitari o Lauree brevi in Giornalismo e in Tecnica pubblicitaria, si fa comunque risalire ai primi anni Settanta, quando, all’interno
dei nuovi Corsi di laurea in Sociologia, si trovano i primi insegnamenti
in materia di comunicazione.
Negli anni successivi ulteriori approcci, alcuni di matrice semiologica, altri più propriamente psicologici, altri ancora storico-filosofici,
attraverso l’inserimento in piani di studio differenti di discipline incentrate sulla comunicazione, premono, sia pure indirettamente, in favore
della sistematizzazione della comunicazione in un corpo organico di
studi.
Indirettamente perché l’inserimento di discipline sulla comunicazione avveniva nella logica della loro funzionalità all’interno di ambiti
specifici e non in quella di una autonoma dignità didattica.
La sensibilità dimostrata nei confronti della comunicazione dagli
ambienti universitari legati alla sociologia, alla semiotica, alla filosofia
e alla psicologia si rifletterà, successivamente, nella composizione della
Commissione istituita dal Ministro dell’Università e della Ricerca scientifica, Ruberti, con l’incarico di progettare il nuovo Corso di laurea.
La valenza pluridisciplinare della comunicazione e la difficoltà di
pervenire ad una definizione puntuale dei relativi profili professionali,
accentuata dal ritmo di cambiamento proprio delle tecnologie di comunicazione e sottolineata dagli effetti conseguenti sulla domanda di lavoro, che si caratterizzava già allora per la rapida obsolescenza dei profili,
furono gli ostacoli con i quali la Commissione fu costretta a misurarsi.
Un primo orientamento fu quello della articolazione della Comunicazione in tre grandi aree: una relativa all’approccio logico-sperimentale, proprio delle tecnologie avanzate e dell’intelligenza artificiale;
344
un’altra, di estrazione più specificamente sociologica, incentrata sulle
comunicazioni di massa e una terza relativa alla comunicazione istituzionale, dell’Amministrazione Pubblica e dell’impresa.
L’idea che si fece strada, e che si affermò, fu quella di pervenire
alla definizione di un Corso di laurea che si caratterizzasse quale sistema aperto: un biennio di base, comune, e un triennio di indirizzi, volto
ad approfondire, rispettivamente, le comunicazioni di massa e la comunicazione istituzionale e d’impresa.
Il terzo indirizzo, previsto inizialmente per l’approfondimento logicosperimentale delle tematiche connesse alle nuove tecnologie e all’intelligenza artificiale, fu infatti abolito dal Consiglio Universitario Nazionale.
L’accesso al Corso, inizialmente aperto, avviene, ormai dal 1993, attraverso il sistema del numero chiuso o programmato adottato da tutte le
Sedi; la selezione ha luogo mediante la somministrazione di un test scritto
e il suo risultato è valutato unitamente al voto conseguito nell’esame di
maturità, il cui peso è comunque meno rilevante di quello attribuito al test.
Questa misura si rese necessaria a seguito dell’enorme interesse
manifestato dagli studenti: la gran massa di iscrizioni appariva difficilmente gestibile in rapporto alle dotazioni di organico dei nuovi Corsi.
Dal punto di vista amministrativo-organizzativo si assisteva infatti
al paradosso di corsi “consolidati”, che potevano contare su un gran numero di personale, aumentato nel tempo, ma che avevano pochi iscritti
e il nuovo corso, che disponeva di un organico ridotto, ma di un numero
enorme di iscritti (Tranfaglia, 1998).
La stessa esigenza di non inflazionare il mercato con un numero di
laureati esorbitante rispetto alle capacità di assorbimento del mondo del
lavoro giocava, del resto, in favore dell’adozione del numero programmato; tuttavia le difficoltà incontrate nella fase di avvio furono tante, e
di diversa natura.
Basti considerare che il piano di studi prevede, obbligatoriamente,
che le due prove scritte di italiano e di inglese siano superate dimostrando di saper utilizzare il Personal Computer.
Sul piano organizzativo questa previsione comporta la predisposizione di laboratori informatici in grado di consentire, a tutti gli studenti,
l’acquisizione delle abilità richieste.
345
Va anche considerato che il ritmo di evoluzione delle nuove tecnologie è quanto mai intenso e che il problema, che si poneva e si pone,
non è solo quello di laboratori adeguati, ma di laboratori aggiornati, sul
piano della dotazione tecnico-strumentale e della relativa docenza.
Lo stesso trasferimento di insegnamenti propri di facoltà tecniche
nell’ambito di facoltà umanistiche non è un passaggio del tutto indolore.
Una cosa è insegnare Informatica a studenti del Corso di laurea in
Ingegneria, altra cosa è insegnarla a studenti che, per cultura di base,
per aspirazioni, per particolari motivazioni hanno scelto di approfondire
gli studi dell’area umanistica (Bagnara, 1995).
Prima di entrare nel merito del Corso di laurea è interessante rilevare che quello in Scienze della Comunicazione è l’unico, all’interno
delle facoltà umanistiche, ad articolarsi nell’arco di cinque anni.
Questa specificità deriverebbe dall’esigenza di accentuare la vocazione professionalizzante degli indirizzi percorribili dopo il superamento del biennio.
Di fatto, il quinto anno, negli intendimenti della Commissione, avrebbe dovuto svolgere le funzioni tipiche della specializzazione, affidate, negli altri Paesi europei, al terzo livello universitario dell’approfondimento post lauream.
E’ vero che in Italia si è ancora lontani da una simile articolazione,
tuttavia è convinzione diffusa che il D.M. 31 ottobre ‘91 abbia consentito al sistema universitario di compiere un duplice passo avanti colmando significativi ritardi: uno relativo all’assenza, nel nostro ordinamento di studi, di un Corso di laurea completamente dedicato alla comunicazione; l’altro introducendo il Diploma universitario o Laurea
breve, che rappresenta, nella generalità dell’Europa, il primo livello
universitario.
346
ORDINAMENTO DEL CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE
DECRETO MINISTERIALE DEL 31 OTTOBRE 1991 (G.U. DEL 15 GIUGNO
1992)
EX
Il corso si articola, come si è detto, nell’arco di cinque anni, attraverso un biennio formativo di base ed un triennio, i cui due indirizzi
mirano ad offrire preparazioni professionali specifiche rispettivamente
nell’area delle Comunicazioni di massa e in quella della Comunicazione istituzionale e d’impresa.
Nel rispetto delle norme vigenti in materia di ordinamenti didattici
universitari, le facoltà possono proporre l’istituzione di ulteriori indirizzi.
Come si vedrà meglio più avanti, alcune facoltà, avvalendosi di
questa “apertura”, hanno attivato degli sbocchi specifici.
Nel primo biennio sono previsti dieci insegnamenti di base, da
scegliere all’interno delle aree disciplinari scientifico-tecnologica, comunicativa, economica, sociologica, semiologica, linguistica, psicologica, giuridica e storica.
Sempre nel biennio o, al più tardi entro il terzo anno, devono essere sostenute due prove scritte, una in lingua italiana, l’altra in lingua inglese, di composizione e elaborazione di testi con l’utilizzo di Personal
Computer e un colloquio volto ad accertare la conoscenza della lingua
inglese.
La possibilità di accedere al triennio, e di scegliere l’indirizzo specialistico, è subordinata al superamento degli esami del biennio.
347
Ogni indirizzo, la cui scelta può essere modificata, prevede tre insegnamenti fondamentali comuni, sette insegnamenti costitutivi dell’indirizzo e quattro insegnamenti opzionali.
Complessivamente, dunque, il Corso di laurea comporta il superamento di 24 esami, di due prove scritte e di un colloquio.
I tre insegnamenti fondamentali, comuni a entrambi gli indirizzi,
devono essere scelti ognuno all’interno di specifici raggruppamenti, riconducibili, rispettivamente, all’area linguistica (Retorica e stilistica,
Lingua straniera moderna, Grammatica italiana, Storia della lingua italiana); all’area della comunicazione visiva (Comunicazione visiva, Iconologia e iconografia, Semiologia del cinema e degli audiovisivi, Disegno industriale) e all’area sociale (Antropologia culturale, Psicologia
sociale, Scienza della politica, Sociologia dei processi culturali).
I sette insegnamenti che costituiscono ogni indirizzo sono scelti
all’interno di un elenco di nove insegnamenti.
L’indirizzo in Comunicazioni di massa è costituito da:
• Diritto dell’informazione e della comunicazione;
• Teorie e tecniche del linguaggio cinematografico;
• Teorie e tecniche del linguaggio giornalistico;
• Teorie e tecniche del linguaggio radiotelevisivo;
• Storia del giornalismo e delle comunicazioni sociali;
• Economia ed organizzazione delle imprese editoriali;
• Relazioni internazionali;
• Metodologia e tecnica della ricerca sociale;
• Teorie e tecniche dei nuovi media.
Gli insegnamenti dell’indirizzo in Comunicazione istituzionale e
d’impresa sono:
• Diritto dell’economia;
• Economia aziendale o Organizzazione aziendale;
• Marketing;
• Scienza dell’opinione pubblica o Istituzioni politiche e gruppi di pressione;
• Metodologia e tecnica della ricerca sociale;
348
• Teorie e tecniche della comunicazione pubblica;
• Teorie e tecniche della promozione di immagine;
• Tecniche della comunicazione pubblicitaria;
• Storia dell’industria o Storia economica contemporanea.
I quattro insegnamenti opzionali, comuni ad entrambi gli indirizzi
del triennio, possono essere scelti in un elenco di quarantacinque, e variano dal diritto all’economia, alla filosofia, alla letteratura, alla storia,
con una netta prevalenza degli insegnamenti di matrice umanistica.
Al posto di questi insegnamenti possono essere scelti, come complementari, quelli fondamentali che non siano stati inclusi nel piano di
studio o quelli costitutivi dell’indirizzo diverso da quello scelto.
Il Decreto dispone infine che, una volta superato il biennio, è possibile, al posto dell’accesso al triennio, l’iscrizione al terzo anno del
Corso di diploma in Giornalismo o in Tecnica pubblicitaria.
Per completezza di informazione si precisa che il Corso di diploma universitario in Giornalismo, attivato a Palermo, a Macerata, a Genova e alla Lumsa, è ormai ad esaurimento, perché sostituito dall’indirizzo in Giornalismo, sempre nell’ambito del Corso di laurea in Scienze
della Comunicazione (G.U. n. 140 del 17 giugno 1996).
L’esame di Laurea consiste nella discussione di una tesi relativa
all’indirizzo scelto.
349
LE UNIVERSITÀ
Il Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione è attivato da:
1. Università degli Studi di Bologna
Istituto di Discipline della Comunicazione
Via Toffano 2, 40125 Bologna
2. Università IULM
Facoltà di Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo
Via Filippo da Liscate 1.2, 20143 Milano
3. L.U.M.S.A.
Facoltà di Lettere e Filosofia
Via della Traspontina 21, 00195 Roma
4. Università degli Studi di Macerata
Comitato interfacoltà
Piazza dell’Università 2, 62100 Macerata
5. Università degli Studi di Padova
Facoltà di Lettere e Filosofia
Piazza Capitaniato 100, 35139 Padova
6. Università degli Studi di Palermo
Facoltà di Scienze della Formazione
Piazza Ignazio Florio 24, 90139 Palermo
350
7. Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Facoltà di Sociologia
Via Salaria 113, 00198 Roma
8. Università degli Studi di Salerno
Facoltà di Lettere e Filosofia
Via Ponte Don Melillo, 84084 Fisciano (Salerno)
9. Università degli Studi di Siena
Facoltà di Lettere e Filosofia
Via del Giglio 14, 53100 Siena
10. Università degli Studi di Torino
Facoltà di Lettere e Filosofia
Via Sant’Ottavio 20, 10124 Torino
11. Università degli Studi di Trieste
Facoltà di Scienze della Formazione
Via Tigor 22, 34124 Trieste
351
CARATTERISTICHE E SPECIFICITÀ
Le Facoltà che più delle altre hanno attivato Corsi di laurea in Scienze della Comunicazione sono quelle di Lettere e Filosofia, nelle cinque sedi della L.U.M.S.A., nonché quelle dell’Università di Padova, di Salerno,
di Siena e di Torino; seguono le due Facoltà di Scienze della Formazione,
rispettivamente di Palermo e Trieste; la Facoltà di Sociologia dell’Università di Roma “La Sapienza”; l’Istituto di Discipline della Comunicazione
di Bologna; la Facoltà di Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo
dello IULM; il Comitato interfacoltà di Macerata.
A queste diversità di “origine”, si aggiungono le particolarità dei programmi dei singoli Corsi, che testimoniano, nei fatti, non solo l’autonomia
delle singole sedi, ma la particolarità di questa laurea, che presenta
notevoli differenze negli indirizzi, nella formazione, negli sbocchi.
Il corso attivato dall’Istituto di Discipline della Comunicazione
dell’Università di Bologna si caratterizza per la presenza di un unico indirizzo, quello in Comunicazioni di massa, al cui interno spicca, quale
elemento distintivo, l’insegnamento dedicato all’economia e all’organizzazione delle imprese editoriali.
Altra specificità si riscontra nel Corso di laurea interfacoltà dell’Università di Macerata.
Gli insegnamenti di base, invece che in un biennio, si articolano in
un triennio e i tre indirizzi successivi sono, di conseguenza, biennali.
In alcune Facoltà il nome dell’indirizzo è “comunicazioni di massa”; in altre è “comunicazione di massa”.
352
Sedi
I Indirizzo
BOLOGNA
Corso unitario
I.U.L.M.
Corso unitario
L.U.M.S.A.
Comunicazione
di massa
Comunicazione
istituzionale e d’impresa
Giornalismo
MACERATA
Comunicazione
di massa
Comunicazione
istituzionale
Comunicazione
d’impresa
PADOVA
Comunicazione
di massa
Comunicazione
istituzionale e d’impresa
Giornalismo
Comunicazione
istituzionale e d’impresa
Giornalismo
PALERMO
II Indirizzo
III Indirizzo
ROMA
“La Sapienza”
Comunicazione
di massa
Comunicazione
istituzionale e d’impresa
SALERNO
Comunicazione
di massa
Comunicazione
istituzionale e d’impresa
SIENA
Comunicazione
di massa
Comunicazione
istituzionale e d’impresa
TORINO
Comunicazione
Giornalismo e
pubblica e d’impresa comunicazione di massa
Comunicazione
multimediale
TRIESTE
Comunicazione
di massa
Giornalismo
Comunicazione
istituzionale e d’impresa
Gestione delle
tecnologie per la
comunicazione
Il corso attivato dallo IULM prevede, rispetto agli altri, il superamento di due prove aggiuntive di idoneità, relative all’informatica e alla sperimentazione multimediale, come quello di Bologna è unitario e si caratterizza per la prevalenza di insegnamenti incentrati sull’impatto delle nuove
tecnologie di informazione e di comunicazione sull’editoria e la stampa.
Sotto il profilo dell’attivazione degli indirizzi risulta che sei Università - L.U.M.S.A., Macerata, Padova, Siena, Torino e Trieste - hanno
attivato tre indirizzi di specializzazione; tre Università - Palermo, Roma
e Salerno - ne hanno attivati due, Bologna e IULM uno.
353
Una lettura trasversale degli indirizzi attivati dalle Università consente di registrare una analoga diffusione per quel che concerne le aree
della Comunicazione istituzionale e d’impresa e delle Comunicazioni di
Massa. In particolare, il Corso interfacoltà dell’Università di Macerata
scinde l’area della Comunicazione istituzionale e d’impresa in due distinti indirizzi, mentre l’Università di Torino prevede l’indirizzo in Comunicazione pubblica e d’impresa.
Le Università di Palermo, di Trieste e la L.U.M.S.A. l’indirizzo in
Giornalismo; a Siena si trova “Gestione delle tecnologie per la Comunicazione”; a Torino la “Comunicazione multimediale”.
Ma come si presentano questi corsi?
Dalle Guide o, comunque, da pubblicazioni che fanno capo alle diverse Facoltà, emergono informazioni in tal senso.
A titolo esemplificativo si riportano, qui di seguito, alcuni stralci.
Obiettivo generale del Corso di laurea in Scienze della Comunicazione dell’Università IULM è formare delle figure di operatori dei processi culturali e delle reti comunicative, soprattutto nella prospettiva
delle grandi modifiche che investiranno tutto il settore della comunicazione, sotto l’impatto delle nuove tecnologie. Fin d’ora però i laureati
in Scienze della Comunicazione dovranno essere in grado di operare
con successo nell’industria culturale, editoriale, radiotelevisiva, telematica, grazie alla loro formazione di base e a un accentuato interesse
per la multimedialità e i nuovi mezzi.
I laureati in Scienze della Comunicazione dovranno essere in grado di interagire tanto con i progettisti tecnici (ingegneri delle reti e del
software ecc.) quanto col pubblico e con le società interessate, in modo
da garantire il funzionamento di processi comunicativi di massa ma
personalizzati, tanto sotto il profilo del controllo dei formati e delle interfacce, tanto da quello della produzione dei contenuti.
L’Ordine degli studi della Facoltà di Scienze della Formazione
dell’Università di Palermo recita:
Il Corso di laurea in Scienze della Comunicazione, istituito da pochi anni in alcune selezionate Università italiane, ha un obiettivo formativo molto preciso: quello di fornire a differenti figure della comuni354
cazione - giornalisti, pubblicitari, comunicatori pubblici e d’impresa,
esperti in pubbliche relazioni, operatori di radio e televisione etc. - una
preparazione professionale completa, dove l’esperienza pratica sul campo si intreccia con una preparazione teorica e culturale di base. Per tale
ragione, in questo Corso di laurea convivono e si intrecciano discipline,
aree di ricerca e esperienze pratiche che nella cultura e nel sistema formativo italiani sono sempre state tenute separate: ingegneria e letteratura, sociologia e linguistica, storia ed economia, diritto ed informatica,
psicologia e semiotica non sono infatti in questo nuovo Corso di laurea,
compartimenti stagni, senza relazioni tra loro, ma “punti di vista” diversi dai quali considerare il medesimo problema: quello, appunto, della comunicazione, non più vista come un fenomeno trasversale e tutto
sommato inessenziale, ma considerata come il luogo a partire dal quale
poter comprendere il fulcro stesso della nostra vita quotidiana e delle
grandi organizzazioni economiche, sociali e politiche.
Dal Manifesto degli Studi della Facoltà di Sociologia dell’Università di Roma “La Sapienza”:
Il Corso di laurea in Scienze della Comunicazione rappresenta un
significativo risultato del processo di cambiamento che ha coinvolto l’Università italiana nell’ultimo decennio, nella prospettiva di offrire un’adeguata veste istituzionale alle discipline comunicative. Seppure con
qualche ritardo, la garanzia universalistica e “pubblica” dell’Università
segue i mutamenti strutturali nell’industria culturale e l’emergere di specifici bisogni formativi legati alle nuove realtà professionali nel sistema
della comunicazione e dei media, che pongono l’esigenza di una preparazione completa e rigorosa. (...) Il Corso di laurea punta ad intervenire
nel mercato del lavoro e delle professioni comunicative attraverso l’offerta di un itinerario didattico aggiornato ispirato ad un approccio interdisciplinare teso alla formazione teorica ed operativa. E’ opportuno annotare in proposito che le nuove tendenze del mercato della comunicazione
promettono in prospettiva l’espansione e la diversificazione dei profili
professionali, ma è anche doveroso segnalare la particolare instabilità di
alcuni ambiti tradizionali quali il giornalismo e la pubblicità.
Ecco infine la presentazione del Corso di laurea della Facoltà di
Lettere e Filosofia dell’Università di Siena:
355
Nella società contemporanea la crescita delle possibilità e dei bisogni di comunicazione deriva dallo sviluppo tecnologico, da profondi
mutamenti culturali, dalla coesistenza di stili di vita diversi e dalla crescita di relazioni sociali non regolate in base alla tradizione.
Tuttavia, il continuo aumento e le novità delle comunicazioni trasformano le relazioni sociali e di lavoro e danno origine a nuovi problemi: tali problemi possono essere risolti solo se vengono create competenze capaci di utilizzare adeguatamente le nuove opportunità comunicative e guidare i processi di trasformazione. E’ necessario creare e
diffondere una cultura adeguata alle componenti tecnologiche della comunicazione, in modo da chiarire i significati possibili che queste aggiungono, anche implicitamente, ai modi di comunicare.
Da tutto ciò deriva una forte domanda di figure professionali, le
cui caratteristiche, però, non sono ancora del tutto definite. Tale fenomeno avviene anche in altri ambiti di lavoro, ma è tipico delle attività
relative alla comunicazione.
Per questi motivi i profili professionali dei comunicatori sono molto flessibili e possono essere ristrutturati o anche completamente modificati in brevi periodi di tempo.
Dal punto di vista delle imprese la conoscenza dei programmi e, in
generale, della formazione impartita dai Corsi di laurea in Scienze della
Comunicazione appare scarsamente diffusa, tanto da far ipotizzare una
certa “debolezza” delle politiche di marketing delle Università.
E’ quanto emerge dal rapporto relativo ai Focus group promossi
da ASCAI Servizi con i responsabili della comunicazione interna di diverse imprese, a Torino e a Milano, nel giugno del ‘97.
Emerge, dal rapporto, che le imprese non vedono ancora “quali
specificità e quindi quali vantaggi competitivi” abbia questo Corso rispetto ai percorsi tradizionali finora seguiti dai professionisti della comunicazione aziendale.
La “concorrenza” sarebbe rappresentata dai Corsi di laurea tradizionali e dai Master in comunicazione.
La Laurea in Lettere, in Scienze politiche, in Giurisprudenza, in Economia e commercio sono maggiormente gettonate, perché più consolidate, quando ci sia bisogno di preparazioni di tipo umanistico o
economico.
356
Quanto ai Master di specializzazione, è l’alto livello di inserimento nel mondo del lavoro a garantire la qualità della formazione impartita.
La collaborazione tra Università e mondo delle imprese è comunque avvertita e auspicata indistintamente, anche se i rapporti che attualmente prevalgono, fatte salve le dovute eccezioni, sembrano caratterizzarsi per episodicità o per volontarismo.
Che qualcosa non funzioni nell’auspicato dialogo tra due mondi abituati nel tempo ad ignorarsi non stupisce; e in questo contesto risuona
emblematica la dichiarazione fatta da Umberto Eco in occasione dell’inaugurazione del primo anno accademico del Corso di laurea in Scienze della Comunicazione dell’Università di Bologna.“Per quanto riguarda gli sbocchi professionali, ricordatevi che non siamo la Croce
Rossa. Non spetta a noi trovarvi un lavoro”.
Ma l’assenza di stupore non impedisce alla riforma universitaria in
atto, relativa anche al Corso di laurea in Scienze della Comunicazione,
di cercare di voltar pagina e di introdurre meccanismi volti ad inquadrare in una nuova ottica il rapporto tra Università e mondo delle imprese.
Ci si riferisce, in particolare, alla possibilità, attualmente all’esame
dell’apposita Commissione di studio del Ministero, di rendere praticabile l’alternanza di periodi di lavoro e periodi di formazione, nella logica
di un interscambio e di una flessibilità più consone al ritmo di cambiamento che caratterizza le società avanzate.
Per quel che riguarda in particolare il Corso in Scienze della Comunicazione, gli orientamenti, condivisi dal Ministero e dalla Commissione, sono quelli della sua riduzione a quattro anni, al pari della generalità delle altre Lauree di matrice umanistica; dovrebbero essere introdotti Master e scuole di specializzazione, in armonia con il terzo livello
universitario diffuso in Europa e, infine, istituiti nuovi diplomi, primo
fra tutti quello di tecnico multimediale, in risposta alle esigenze delle
imprese, pubbliche e private.
357
LE SPECIALIZZAZIONI
Oltre ai Corsi di laurea in Scienze della Comunicazione, il panorama della formazione nell’ambito della comunicazione d’impresa presenta altri tipi di titoli accademici.
Presso l’Università Cattolica di Milano è attiva la Scuola di Specializzazione in analisi e gestione della comunicazione. Il piano di studi
si articola in quattro indirizzi; specializzazione in spettacolo, in audiovisivi, in giornalismo e in comunicazione pubblica e d’impresa.
Il corso è biennale e con insegnamenti comuni nel primo anno delle quattro specializzazioni; il secondo anno è invece fortemente caratterizzato.
Ognuna delle quattro specializzazioni prevede due o più curricula
mirati a fornire competenze specifiche legate a precise aree professionali.
In particolare la specializzazione in comunicazione pubblica e
d’impresa prevede le seguenti articolazioni:
• responsabile di comunicazione aziendale;
• tecniche creative per la comunicazione pubblica e d’impresa;
• pianificazione dei mezzi per la comunicazione pubblica e d’impresa.
Alla Scuola sono ammessi i laureati delle Facoltà di Lettere e Filosofia e lauree equipollenti e si accede con un concorso pubblico che prevede
la compilazione di un elaborato scritto e un colloquio orale. Per la formulazione della graduatoria viene preso in considerazione il voto di laurea.
All’Università Ca’ Foscari di Venezia è attivo un Master in Comu358
nicazione d’Azienda post-lauream al quale sono ammessi coloro i quali
abbiano superato con esito positivo un test psicoattitudinale e colloqui
individuali. La durata è di nove mesi di cui 3 dedicati a stage.
Il Master è promosso dal comitato UPA (Utenti Pubblicità Associati) per la Formazione in Comunicazione d’Azienda in collaborazione
con il Dipartimento di Economia e Direzione Aziendale dell’Università
di Venezia.
Scopo del Master è quello di formare figure professionali che siano in grado di operare all’interno di aziende sia pubbliche che private
in tutte le attività inerenti la comunicazione: marketing, PR, ecc.
Il programma prevede sei fasi, tra le quali una dedicata all’apprendimento delle conoscenze di base relativamente alla dinamica economico-finanziaria dell’azienda, un’altra allo studio del marketing, un’altra
ancora alla comunicazione che viene affrontata in una prospettiva multidisciplinare (psicologica, sociologica, semiologica).
Presso la Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Urbino è attivato un Corso di Diploma Universitario in Marketing e Comunicazione in azienda, della durata di tre anni. I requisiti per l’ammissione sono gli stessi che la normativa prevede per i corsi di laurea.
Gli esami del primo anno corrispondono a quelli del Corso di laurea in Economia e sono rivolti a fornire allo studente le nozioni di base
di diritto, economia politica, matematica.
Il piano di studi del secondo anno: economia e gestione delle imprese, gestione informatica dei dati aziendali, marketing, statistica e un
esame a scelta tra economia e gestione delle imprese commerciali e organizzazione aziendale.
Il terzo anno prevede: economia e gestione delle imprese di servizi, una lingua straniera, management della pubblicità, marketing internazionale,
programmazione e controllo della comunicazione d’impresa, sociologia
delle comunicazioni, strategie e strumenti della comunicazione d’impresa.
La struttura del corso associa l’inquadramento teorico dei temi
trattati all’approfondimento delle applicazioni pratiche dei concetti e
delle tecniche insegnate.
Sono previste infatti 200 ore di esercitazioni che potranno essere
utilizzate anche per seminari con esperti, incontri con imprenditori e
manager e stages.
359
IL RAPPORTO TRA UNIVERSITÀ E IMPRESE
361
Che il rapporto tra mondo accademico e mondo imprenditoriale
sia caratterizzato nel nostro Paese dalla mancanza di una qualche positiva strutturalità è incontestabile, così come assidue sono le sollecitazioni
da parte di tutti gli osservatori e gli studiosi delle problematiche educative ad individuare strade e modalità che portino al superamento di una
situazione che produce grave nocumento ad entrambi questi importanti
ambiti della vita del Paese.
Situazione che peraltro ha gravi ripercussioni sull’avvenire professionale e di lavoro dei laureati.
In particolare merita di essere preso in considerazione un documento recentemente elaborato da un gruppo di lavoro della Confindustria che qui si riporta integralmente:
Una collaborazione strategica
Il livello e la complessità delle conoscenze scientifiche e il passaggio da una civiltà dei consumi a una civiltà del sapere rendono la collaborazione università-impresa davvero strategica e appare imprescindibile promuovere e consolidare i legami tra le componenti del mondo universitario e del mondo produttivo. Per converso, il rapporto tra università e impresa è caratterizzato, oggi, da una situazione opposta alla
strutturalità. Siamo di fronte a iniziative volontaristiche, disomogenee,
territorialmente squilibrate, qualitativamente non confrontabili, non sistematiche, molecolari. Il rapporto università-impresa è sovente ridotto
363
a una reciproca richiesta di dover fare e di dover essere, a una sorta di
constatazione/contestazione delle reciproche inadeguatezze.
Un rapporto strutturale
Riteniamo opportuno indicare tre linee-guida di natura strutturale
che dovranno ispirare, da oggi, il rapporto tra università e impresa e
che siamo disposti a perseguire in partenariato con l’università:
1. passare dalla frammentazione/volontarismo alla strutturalità diffusa;
2. passare dalla contestazione/richiesta allo scambio alla pari;
3. operare la scelta di applicare i principi in un ambito privilegiato e
legittimamente che è quello della formazione al mondo del lavoro.
Cosa fare insieme?
1. Riflettere congiuntamente sui trend di evoluzione del mercato del lavoro per l’alta formazione e progettare in maniera coordinata l’integrazione tra i momenti teorici ed esperienziali della formazione universitaria professionalizzante (diplomi universitari, definizione dei
curricula, long life learning);
2. promuovere la “catena della transizione” e assumersi la responsabilità di lavorare in modo congiunto per realizzare l’obiettivo di facilitare ai giovani l’inserimento nel mondo del lavoro (orientamento,
stage, borse di studio e lavori estivi);
3. aumentare le occasioni sistematiche di contatto per meglio coordinare i propri ruoli educativi e formativi (incubatori dell’autonomia, rete università-impresa, corsi di formazione comuni per operatori delle imprese e delle università);
4. attivare - in materia di ricerca scientifica e innovazione tecnologica stabili rapporti di collaborazione a livello locale tra piccole e medie
imprese e università (sezioni dedicate allo sviluppo di tecnologie per
le Pmi, sportelli sulla ricerca universitaria, co-partecipazione a programmi comunitari);
5. creare un foro di comunicazione e dibattito permanente e sistematico
tra il mondo universitario e quello imprenditoriale che consenta e
364
favorisca le iniziative di dialogo e le attività di collaborazione ad alto profilo tra industria e università (Forum, Fondazione).
Quali risorse rendere disponibili per realizzare tutto ciò?
L’impresa offre:
• autoanalisi - la più precisa possibile - dei trend dei bisogni di professionalità medio-alte ed esprime una domanda di formazione qualificata e centrata sui contenuti, sul metodo e sulle qualificazioni trasversali;
• l’apertura delle imprese al mondo dell’università - “giù i muri” - per
usare l’impresa e i suoi uomini come risorsa formativa;
• la nostra esperienza nel campo imprenditoriale, manageriale, organizzativo, formativo, di sviluppo e della qualità al servizio dell’università;
• la disponibilità delle proprie risorse scientifiche, tecniche e progettuali per moltiplicare l’efficacia e l’efficienza delle iniziative comuni
in materia di ricerca e di innovazione.
All’università chiediamo:
• autoanalisi per verificare la presenza nei curricula, dell’orientamento
al lavoro e alla professione ed esprimere un’offerta formativa centrata sui contenuti, sul metodo, sulle attività;
• l’apertura dell’università al mondo dell’impresa - “giù i muri” - per
progettare i curricula e tutte le attività formative orientate e connesse
al mondo del lavoro;
• applicazione - sia nei contenuti e programmi formativi sia nella gestione universitaria - delle risorse di managerialità offerte dalle aziende e delle conoscenze maturate dalle libere università;
• di dotarsi di strumenti efficaci per il trasferimento tecnologico alle
piccole e medie imprese degli studi e dei risultati della ricerca scientifica e tecnologica universitaria.
Come farlo.
Università e impresa hanno bisogno di parlarsi in continuità per capire il nuovo e per proporre progetti adeguati. Proponiamo di adottare un
metodo della collaborazione che si basa su cinque segreti di Don Blandin,
studioso della United States Business - Higher Education Forum:
365
• enfatizzare la qualità delle relazioni interpersonali;
• collaborare alla pari;
• essere pazienti;
• essere flessibili;
• pensare in grande.
Il testo redatto in forma sintetica e incisiva, dovrebbe costituire,
almeno nelle intenzioni degli estensori, un punto di partenza, di metodo
e di merito, per cercare di costruire tra università e imprese un’architettura idonea a sostenere un dialogo e una collaborazione finalmente “fisiologica, sistematica e diffusa” in tutto il Paese.
Può darsi che, per i non addetti ai lavori, la richiesta di un dialogo
siffatto possa apparire quasi ovvia; anzi, ci si potrebbe meravigliare che
così non sia. In realtà, gli obiettivi di un rapporto normale rappresenterebbero una grande conquista. Per i molti addetti ai lavori infatti, solo
qualche anno fa, gli obiettivi tratteggiati sarebbero apparsi ancora azzardati (si sarebbe parlato d’invadenza, di perdita di autonomia, di strumentalizzazione e anche d’impegno inutile e impossibile). Oggi, se la
necessità di un dialogo organico e strutturale è più condivisa sia da parte delle imprese sia delle università, è bene dire che, sotto l’aspetto della concretezza e dell’attenzione, lunga è ancora la strada da compiere e
incerti e contrastanti sono nei fatti i modi su come realizzare questo dialogo; infine non c’è ancora una scelta sui contenuti su cui prioritariamente confrontarsi. Per fortuna non mancano esempi eccellenti di collaborazione diffusa sul territorio e in particolare in facoltà scientifiche e
soprattutto nell’area del diploma universitario, ma queste sperimentazioni assomigliano tanto a quelle in atto nella scuola secondaria da anni; si fanno, ma rimangono confinate nell’area di riferimento; non si generalizzano, non diventano dopo un po’, nel merito e nel metodo, un
modello per tutti. In questo periodo si corre in particolare il pericolo
che l’università, nel suo complesso, scossa e pervasa dai nuovi decreti
sull’autonomia, si concentri su di sé e quasi si difenda più che aprirsi a
dialoghi nuovi e strutturali.
E allora, che cosa sta succedendo? Più autonomia e più indipendenza? Più autonomia e accresciuta auto-referenzialità. Non scegliere i
nuovi soggetti di dialogo per non far torto a nessuno e chiudersi in sé
366
per organizzarsi in proprio? La nuova autonomia, interpretata da una
vecchia cultura, ieri ideologicamente avversa, oggi disincentivata, impigrita e nel contempo costretta a reagire da un cambiamento turbolento,
può in ogni momento scivolare in una pericolosa e nuova entropia organizzativa, che rinuncia alla nuova complessità, a un nuovo dialogo alla
pari con i diversi. Dialogo strutturale con le parti sociali che deve essere
considerato la bussola, e non un ulteriore appesantimento, per orientare
e qualificare la nuova autonomia. Ecco quindi il significato del documento elaborato: un messaggio, non solo formale, per cercare di accantonare possibili tentazioni - anche per le imprese oltre che per le università - di rimandare il dialogo, perché adesso “ci sono tante cose da fare”, perché comunicare costa impegno e sacrifici che non “vengono riconosciuti”. Proprio perché la strada è lunga, occorre cominciare subito: la fiducia e la collaborazione reciproche sono piante che crescono
lentamente e quindi occorre piantarle “ieri”.
Si è parlato di nuova consapevolezza sulla necessità di un dialogo
sistematico e delle difficoltà a dargli corso.
Sul primo aspetto, un grande contributo, al di là di quanto già da
tempo era stato detto da illuminati osservatori, è venuto dal Libro bianco della Commissione delle Comunità europee su Istruzione e Formazione. Uno dei cinque obiettivi strategici della Commissione “Avvicinare la Scuola all’Impresa” è una forte legittimazione di un modo nuovo
di affrontare i percorsi educativi. La dichiarazione riguarda tutti gli Stati europei: ciò significa che, pur se da punti di partenza diversi, tutti i sistemi scolastici di vario livello hanno difficoltà a mantenere il “giusto”
collegamento con il dinamismo delle imprese tra conoscenze di base e
capacità, tra discipline e professionalità. E si tratta comunque di Paesi
che hanno già abbondantemente introdotto confronti organici e sistematici tra scuola e parti sociali e in particolare con l’università. Le ragioni
di questo problema trasversale, in termini generali, sono molteplici,
riassunte grossolanamente nell’espressione “separazione tra teoria e
pratica”, nella diversa necessità, per tempi e contenuti dei diversi soggetti, impresa e università, di rispondere al cambiamento; in definitiva
la mancanza nell’università, a differenza dell’impresa, di effettive esigenze di sopravvivenza. Se per contenere ed equilibrare queste tenden367
ze si sono sviluppati nel tempo, nei diversi Paesi europei, meccanismi
di confronto e di dialogo continuo, la situazione italiana si presenta, per
così dire originale, per scollamento e distanza. Occorre quindi, superando volontarismi encomiabili e generalizzando esperienze eccellenti,
creare gli agganci organici per procedere insieme.
Articolando per grandi fasi il processo educativo (diagnosi dei bisogni, progettazione dei percorsi educativi, loro erogazione e infine valutazione degli stessi), si constata come l’impresa e il mondo del lavoro,
direttamente o tramite le loro rappresentanze istituzionali, non siano effettivamente presenti di diritto e con modalità coerenti in alcuna fase (si
può parlare della necessità di ambiti e meccanismi di consultazione sistematica e “obbligatoria”, pur se non vincolante). La situazione attuale
è veramente pericolosa, lo è stata e lo sarà ancora di più con le sempre
più accelerate dinamiche di cambiamento che ci attendono. Senza un
dialogo convinto, l’università non incorporerà organicamente nella sua
stessa struttura la gestione del cambiamento.
Ciò che si registra in termini critici all’interno del mondo accademico trova riscontro anche nei Corsi di laurea in Scienze della Comunicazione.
La loro recente costituzione, e la loro stretta connessione con un’area indubbiamente strategica per l’impresa, inducevano e inducono a
considerare questo Corso in termini di offerta formativa flessibile, moderna, aperta al dialogo.
Per approfondire la situazione e per capire se l’interpretazione/aspettativa di tali Corsi rispondesse a realtà e se, comunque, in caso contrario, vi fossero spazi per contribuire a superare una dicotomia contraria agli interessi di tutti gli attori, ASCAI Servizi ha promosso, presso
la sede del Cnel, un seminario di riflessione con i rappresentanti dei vari Corsi di laurea.
L’incontro è stato apprezzato da tutti i partecipanti che hanno peraltro auspicato non rimanesse un evento isolato.
Ma veniamo alle indicazioni emerse.
Intanto, un solo nome. Per Corsi diversi nelle materie di studio, nelle impostazioni e negli obiettivi. Non c’è infatti, come si è visto, un Corso
di laurea in Scienze della Comunicazione che sia uguale a un altro.
368
Questo quadro riflette, in buona sostanza, la stessa complessità e
instabilità di una disciplina che probabilmente è caratterizzabile per essere permanentemente in progress.
Le testimonianze portate al seminario hanno messo in luce anche
altre peculiarità. Le più significative riguardano proprio il rapporto con
il mondo delle imprese.
Il dialogo quando c’è è positivo; quando non c’è è auspicato.
I fattori che lo rendono possibile sono diversi e risentono della natura giuridica dell’Università come del contesto di inserimento, anche
se sono sostanzialmente riconducibili all’atteggiamento culturale dei
docenti nei confronti del ruolo stesso dell’Università e dell’Impresa.
Parlare di dialogo tra queste due realtà significa, soprattutto, parlare del rapporto di collaborazione che può realizzarsi sia attraverso attività di ricerca comune e la presenza, in aula, di imprenditori e manager
che illustrano le proprie esperienze, sia attraverso la presenza, all’interno dell’impresa, di studenti che effettuano stage.
Le materie di studio, in quanto oggetto di disposizione ministeriale, non possono essere modificate in relazione ai contenuti ma, entro limiti predefiniti, diversamente accorpate all’interno dei singoli indirizzi.
Questa rigidità è vissuta dalle Università come un ostacolo alla
realizzazione di un insegnamento più vicino alle esigenze del mondo
del lavoro. E’ un dato di fatto che all’interno della tabella ministeriale
non esistano, tanto per fare un esempio, insegnamenti quali Gestione
delle risorse umane o Strategia e promozione d’immagine.
Più ampia libertà di articolazione si ha invece nella progettazione
di master di specializzazione post laurea; attualmente ne è in preparazione uno su richiesta di alcune imprese del settore industriale, interessate a realizzare, con l’Università, una formazione strettamente connessa a problematiche specifiche.
E’ a livello di specializzazione, dunque, che è possibile stabilire
insieme “cosa è effimero, cosa è degno di approfondimento, cosa di
consolidamento”.
Ne consegue, inevitabilmente, una diversa considerazione della
formazione universitaria: nella prospettiva, peraltro concreta, della for369
mazione permanente, le ambizioni formative e informative connesse al
perseguimento della laurea perdono di esaustività; e il ricorso ad un
successivo livello di specializzazione diventa, piuttosto che la conclusione, una fase del processo di apprendimento.
Allo stato delle cose è soprattutto nell’istituto dello stage che si incentra la possibilità di attualizzare, in senso letterale, la formazione
universitaria.
Un’indagine, condotta su 150 laureati, ha evidenziato un accesso
rapidissimo al mondo del lavoro per quegli studenti che avevano iniziato a fare esperienza di stage in azienda negli ultimi anni di corso.
Momento di incontro di due conoscenze diverse, quella del sapere
dello studente e del saper fare dell’impresa, lo stage consente la realizzazione, accanto a questa funzione patente, di altri obiettivi: l’opportunità di valutazione da parte dell’impresa può infatti tradursi in concrete
occasioni di lavoro, vuoi dipendente vuoi consulenziale.
Ma prima di organizzare e realizzare uno stage occorre entrare in
contatto con le imprese.
Sicuramente il contesto ha un peso non indifferente nel favorire o
nell’ostacolare le relazioni possibili: un Parco scientifico e tecnologico
rappresenta l’habitat ideale per il loro sviluppo; inoltre, per un’Università privata, le possibilità sono maggiori, come quella di nominare uomini d’azienda all’interno del proprio Consiglio di Amministrazione.
Tuttavia, anche le Facoltà delle Università pubbliche hanno delle
opportunità; una è quella di stabilire convenzioni con le imprese, e con le
Associazioni che le rappresentano, anche per lo svolgimento di ricerche
mirate; un’altra quella di coinvolgere imprenditori, manager e esperti a livello di testimoni o di docenti, come già in precedenza accennato.
La partecipazione all’attività universitaria favorisce l’instaurazione di rapporti che sfociano facilmente nell’organizzazione di esperienze
di apprendimento/lavoro.
Altra occasione di contatto può venire, in alcuni casi, dagli stessi
docenti che, nella duplice veste di consulenti d’impresa, si collocano
come ponte tra le due realtà.
Gli stage, che si articolano normalmente nell’arco di due-tre mesi,
destano tuttavia qualche preoccupazione negli studenti che, spesso, sono
370
restii ad allontanarsi dalla vita universitaria quando sono ormai prossimi
alla laurea. Può accadere così che l’offerta di stage proveniente dalle aziende rimanga inevasa anche nell’ordine del cinquanta per cento.
In altre realtà, l’approccio marcatamente esperienziale alla Comunicazione d’Impresa, realizzato attraverso un ampio ricorso alla presenza in aula di professionisti ed esperti, fa sì che lo stage sia molto richiesto dagli studenti e che, di fatto, diventi obbligatorio nella fase di elaborazione della tesi.
Su questo orientamento è emerso un consenso generalizzato.
A ben guardare, sarebbe la stessa natura ibrida del Corso, che si incentra sulla classicità della tradizione accademica e, contemporaneamente,
sulla modernità propria dell’apertura all’ingresso di professionalità, a premere nella direzione di un rapporto stabile con il mondo delle imprese.
Tuttavia, instaurare un rapporto con le imprese richiede una disponibilità di risorse che non tutte le Facoltà hanno.
Inoltre, il ricorso allo stage potrebbe anche essere percepito come
una sorta di abdicazione dell’Università al suo essere insostituibile fonte di trasmissione del sapere. In quest’ottica, piuttosto che delegare il
saper fare all’esterno e soffermarsi nel suo alveo classico del Sapere,
l’Università dovrebbe poter disporre di laboratori in grado di produrre
piuttosto che di simulare; in questo modo gli stage avrebbero luogo al
suo interno.
Questa lettura del ruolo dell’Università non ha raccolto particolari
adesioni; ad essa si è preferita, da parte della maggioranza dei presenti,
la separazione delle responsabilità e l’integrazione delle competenze:
l’Università dà ciò che non può dare l’impresa; l’impresa dà ciò che
non può dare l’Università.
Gli orientamenti della riforma universitaria in merito alla revisione
della durata del Corso, non si sa bene se nella versione di quattro anni
più uno di specializzazione, o in quella del diploma triennale o laurea
breve, con successiva specializzazione annuale o biennale, sono stati
condivisi all’unanimità.
Restano aperti, quasi a sottolinearne la specificità, i problemi connessi alla natura ibrida del Corso, in parte umanistico e in parte tecnico.
371
Il suo essere “contaminato” è fonte di problemi per i docenti di discipline tecniche, che si trovano a insegnare queste materie a studenti
con spiccata vocazione umanistica; ed è fonte di problemi per questi
studenti avere a che fare con l’informatica e la statistica.
Probabilmente siamo in presenza di una falsa preoccupazione: le
nuove frontiere della formazione dicono che il futuro è proprio nell’affermazione e nello sviluppo di una doppia cultura, insieme tecnica e gestionale e, quindi, ibrida (Marzocchi, 1991).
372
CAPITOLO VI
TEMA MONOGRAFICO
LEADERSHIP E COMUNICAZIONE
D’IMPRESA
373
1. LA COMUNICAZIONE AZIENDALE
Ancora intorno alla metà degli anni ‘80, si potevano esprimere, senza
per questo apparire provocatori, seri dubbi sulla natura e sulla validità dei
temi legati alla comunicazione d’impresa, dalla cura dell’immagine aziendale all’identità culturale dell’impresa. Per usare l’espressione rubata ad uno studioso di realtà organizzative (che l’aveva coniata per meglio sollecitare una riflessione a più voci condotta nel corso di una iniziativa formativa su questo genere di temi), c’era da domandarsi se oltre all’hardware e al
software con la comunicazione d’impresa non venisse introdotto anche il
vaporware; cioè una realtà indistinta e con ogni probabilità inconsistente.
Al di là dell’episodio, niente più che un espediente d’aula, felice
nella fattispecie per l’esito conseguito, resta vero che in generale dubbi
reali circolavano nella cultura e nella società italiana. Dubbi che non
derivavano affatto dal gusto intellettuale per la discussione, ma che erano generati da una serie di fenomeni che potrebbero essere definiti
strutturali e che in varia misura risultavano, come risultano, connessi:
uno scarso peso della grande impresa nel sistema economico nazionale;
il ritardo con cui se ne è affermata la presenza; la scarsa e tardiva elaborazione di una cultura manageriale minimamente riferita alla realtà italiana; una forte diffidenza della cultura “nazional-popolare” nei confronti dell’impresa; in definitiva una scarsa legittimazione culturale e
sociale dell’impresa (legittimazione che aveva con ogni evidenza toccato il suo livello più basso negli anni ‘70, sia pure per una equivoca e
impropria commistione fra conflitto industriale - per quanto acceso - e
rifiuto etico-politico dell’industria da parte di larghi strati della società).
375
Il quadro oggi appare radicalmente mutato.
Sono cambiati al tempo stesso imprese e modelli produttivi, istituzioni culturali e politiche, ma soprattutto si è affermata una più matura
consapevolezza del ruolo sociale dell’impresa come luogo imprescindibile per la produzione di una ricchezza da cui sola possono originare
quei processi redistributivi postulati da esigenze sia economiche, sia etiche, sia politiche; in definitiva postulati dal bisogno di livelli minimi
di partecipazione ai benefici di una comune cittadinanza.
In questo quadro nuovo, interrogarsi sulla comunicazione aziendale ha un significato forte che chiama in causa non solo il ruolo della comunicazione d’impresa in generale, ma ancor più il ruolo di chi esercita
la leadership. Una volta, infatti, che si prende sul serio la comunicazione, si finisce inevitabilmente per domandarsi - in ogni contesto, ma in
modo ancora più esplicito nel contesto aziendale - non solo chi, come e
che cosa comunica, ma soprattutto in vista di quali obiettivi. Tali domande, l’ultima poi in modo particolare, fanno emergere la questione di
chi determina gli obiettivi e quindi esercita il potere o, per usare un termine di portata più generale perché meno rigorosamente legato ai rapporti politici, chi esercita la leadership.
In altra parte del presente Rapporto si può constatare come più di
una delle ricerche in materia metta in luce quanto la comunicazione
venga impiegata per aumentare l’efficacia e l’efficienza delle imprese
(Invernizzi, 1996) o come possa essere fonte di risorse immateriali di
rilevanza strategica (Nelli, 1998). Il tema sviluppato in questa parte del
Rapporto potrebbe mettere in epigrafe due asserzioni pronunciate da
uomini d’azienda in occasione del 45° Convegno Nazionale della Stampa Aziendale Italiana e della Comunicazione d’Impresa. La prima, più
elaborata, non a caso formulata nella prefazione degli atti del convegno
(ASCAI, 1997) dal Vicepresidente della Confindustria Carlo Callieri,
afferma: “La crescente importanza della comunicazione nei processi aziendali nasce da una consapevolezza che si va facendo strada in ogni
categoria di impresa. La consapevolezza cioè che l’asse del successo aziendale si sta spostando verso le funzioni a più alto contenuto di comunicazione. Qualità, servizio al cliente, utilizzo dei nuovi strumenti finanziari, internazionalizzazione sono tutti processi aziendali che richiedono una forte capacità di comunicare.
376
E nella azienda piatta che deve stimolare autonomia, responsabilità e autoimprenditorialità dei propri dipendenti, il collante dell’identità
aziendale non può più essere affidato al controllo gerarchico delle funzioni, ma deve poggiare sul solido piedistallo di una cultura aziendale
condivisa anche perché ben comunicata”.
La seconda asserzione, formulata in modo molto più diretto nel
corso dello stesso Convegno da Tiberio Indiani, manager e Amministratore della Texas Instruments Italia afferma: “In senso molto generale
potremmo considerare l’obiettivo della comunicazione aziendale quello
di migliorare la performance dell’organizzazione”.
E’ certo che ogni tipo di comunicazione ha le sue forme peculiari
di retorica. La comunicazione aziendale non sfugge alla regola, soprattutto in convegni in cui essa è al tempo stesso oggetto di riflessione e
strumento di rapporto con il pubblico presente nella sala. Con le due asserzioni appena citate, però, non si è in presenza di affermazioni retoriche nel senso corrente e parzialmente negativo del termine, dal momento che trovano conferma puntuale in alcuni fatti elementari e oggettivi
raccolti nel corso di indagini e rilevazioni.
377
2. LEADERSHIP AZIENDALE E COMUNICAZIONE
Già nel 1992, in base al Rapporto nel quale venivano commentati i
risultati di una indagine condotta dall’ASCAI fra le aziende associate
(generalmente grandi imprese pubbliche e private, industriali e di servizi, italiane e multinazionali), risultava che nel 60% dei casi la formulazione delle politiche di comunicazione era una prerogativa del vertice
aziendale (Amministratore delegato - Direttore generale).
Quattro anni dopo, la ricerca condotta dall’ASCAI sempre tra le aziende associate e destinata ai vertici di tali aziende, accertava che
nell’83,6% dei casi la competenza primaria di dettare gli indirizzi strategici in materia di comunicazione interna apparteneva al Capo azienda: l’attribuzione della maggiore responsabilità al Capo azienda risultava sostenuta da un consenso troppo alto per essere discutibile1.
Il discorso si faceva ovviamente diverso nel passare dalla attribuzione della responsabilità strategica a quella della responsabilità operativa.
In questa diversa prospettiva si registravano tre diverse posizioni: quella
maggioritaria 48,0% vedeva la responsabilità operativa far capo alla
__________
1. Anche una recente ricerca (Nelli, 1998a) sulla piccola e media impresa veneta,
conferma, in un contesto tanto diverso, questa indicazione generale “La responsabilità della definizione della politica di comunicazione ... [risulta] affidata...costantemente negli anni, in modo esclusivo all’imprenditore (51% delle imprese)
o comunque con un suo coinvolgimento accanto ad una o più altre figure professionali: il direttore generale (19%), il direttore marketing (14%) o il responsabile
stesso della comunicazione (4%)”.
378
funzione del personale e/o dell’organizzazione; alla posizione maggioritaria se ne accompagnavano due di peso non dissimile, che vedevano la
responsabilità operativa assegnata alle Pubbliche Relazioni e/o alle Relazioni esterne (24,4%) o invece ad un apposito ufficio (26,8%).
Si è in presenza, come è facile constatare, di una tendenza chiara:
il ruolo del top management è prioritario quantomeno nella definizione
delle politiche e delle strategie di comunicazione. Questa linea di evoluzione veniva già colta nel ‘92. Come concludeva il Rapporto di ricerca
“alla comunicazione si sta indubbiamente destinando una progressiva e
crescente attenzione. Diffuso e chiaro è il modo di considerarla come una vera e propria leva strategica connessa ai processi di cambiamento e
sviluppo aziendale.
E’ tuttavia ancora prevalente l’immagine di una comunicazione che
opera più nella prospettiva dell’informazione e dell’immagine che non in
quella dello scambio e del dialogo (a due vie). Ed è altrettanto prevalente
l’orientamento dei processi di comunicazione verso l’esterno.
Guardando in prospettiva allora, il problema sembra anzitutto
quello di accreditare sempre più la comunicazione come processo interno all’azienda, articolandolo a tutti i livelli dello scambio ‘fra individuo
e organizzazione’ nella prospettiva del coinvolgimento e non semplicemente in quella dell’informazione”.
Quasi a voler verificare una modifica dell’orientamento dei processi di comunicazione verso l’esterno, che ancora nel ‘92 sembrava
prevalente, l’indagine ASCAI del ‘96 mirava ad accertare soprattutto
ruolo e atteggiamento del top management sul tema della comunicazione interna. Una domanda che veniva sottoposta agli intervistati peraltro
mirava ad accertare se a loro giudizio “nel caso di un ufficio espressamente preposto” alle attività di comunicazione, esso dovesse avere la
responsabilità operativa della sola comunicazione interna o della comunicazione aziendale nel suo insieme (“interna ed esterna” recitava espressamente la domanda). A tale domanda poco meno del 60% (59,2%)
degli intervistati, ma circa i quattro quinti di chi aveva risposto - dato
che il 24,8% non aveva accettato di discutere l’ipotesi del questionario
e quindi non aveva risposto - ha ritenuto che un eventuale ufficio apposito avrebbe dovuto occuparsi in modo integrato della comunicazione aziendale, sia di quella interna che di quella esterna.
379
Fra la rilevazione del ‘92 e l’opinione raccolta nell’indagine del ‘96
sta una linea evolutiva che, per quanto i dati non siano rigorosamente
confrontabili perché frutto di indagini diverse, destinate a soggetti diversi,
anche se condotte su universi simili (grandi imprese), ci dice che nel ‘92
si trovava un unico ente di comunicazione nel 29,0% dei casi, mentre l’analogo valore saliva al 52,4% solo quattro anni dopo.
Questa deviazione dal discorso relativo alle attribuzioni al top management della prerogativa di definire la strategia delle comunicazioni
è solo apparente. Come notava l’autore (Invernizzi, 1994) in una ricerca già citata: “Esistono buone ragioni per integrare le diverse attività di
comunicazione. In primo luogo perché sempre più gli strumenti di comunicazione esterna sono rivolti a pubblici interni e viceversa. In secondo luogo, perché ormai pressoché tutte le comunicazioni esterne devono considerare gli effetti che provocano all’interno. Infine, perché
tutte le più significative attività di comunicazione interna hanno effetti
sull’esterno sia per le informazioni che gli interni danno sull’impresa e
sui prodotti e servizi, sia per la qualità del rapporto che essi instaurano
con gli interlocutori esterni”.
Come è facile vedere si sta parlando della esigenza di sempre
maggior coerenza fra i messaggi inviati ai diversi destinatari delle comunicazioni; coerenza resa necessaria da un ambiente che per le aziende si fa sempre più competitivo.
Anche per questa via, si ribadisce perciò una premessa importante ai
fini del presente testo: la comunicazione d’azienda si lega all’esercizio
delle massime responsabilità d’impresa; è infatti uno degli strumenti che il
vertice aziendale utilizza per mobilitare le energie disponibili in azienda.
Il tema della coerenza dei vari messaggi aziendali può, infatti, non
essere completamente avvertito al livello delle funzioni aziendali specialistiche, forse portate ad accentuare le specifiche metodologie professionali e le peculiarità dei diversi gruppi di pubblico cui i messaggi
di volta in volta sono destinati, ma è certo a livello del top management
che questo tema viene colto e i relativi problemi devono essere risolti.
Questo perché “nel top management la cultura della comunicazione è una cultura di collegamento alla strategia dell’azienda”, come sottolineava De Rita commentando i dati della ricerca (ASCAI, 1997) presentata
in occasione del 54° Convegno dell’Associazione sopra menzionato.
380
3. GLI
STRUMENTI AL SERVIZIO DELLA STRATEGIA DI COMUNICAZIONE
AZIENDALE
La comunicazione d’azienda, come si è potuto vedere, non ha a
che fare con la cosmesi aziendale, ma è ormai una leva di politica aziendale cui il top management dedica sempre maggiore attenzione.
Si tratta di una leva assai significativa e le operazioni gestionali,
che essa consente o che suo tramite vengono realizzate, sempre più spesso vengono affidate, una volta definite le linee politiche o strategiche
della comunicazione, a strutture che sovrintendono aree specifiche della
gestione aziendale, come si è già avuto modo di vedere: più l’area del
personale e/o della organizzazione; meno frequentemente l’area delle
Relazioni esterne o delle Relazioni istituzionali e infine, ma comunque
in un numero significativo di casi, in un’apposita struttura aziendale.
Sia la collocazione, sia l’assetto organizzativo delle unità che si
occupano o che hanno la responsabilità di realizzare le politiche di comunicazione definite dal vertice aziendale, risultano assai variegate e
non solo per una certa giovinezza delle strutture dedicate alla comunicazione, ma soprattutto perché l’azienda è un organismo sociale in continua evoluzione e non un hardware che col suo software di base può
“riconoscere” un limitato numero di programmi applicativi.
Qui per altro ci soffermeremo su un aspetto più consolidato della
comunicazione aziendale, quello degli strumenti usati dal vertice aziendale per la comunicazione interna, utilizzando alcuni dati tratti dalla più
recente ricerca in materia (ASCAI, 1997).
381
Già la precedente ricerca del ‘92 aveva rilevato questo aspetto della comunicazione aziendale, ponendo sotto osservazione, in modo particolare, anche se non esclusivo, la vasta area delle pubblicazioni aziendali. Nelle sue conclusioni il Rapporto di ricerca annotava: “Il panorama degli strumenti è certo ricco e differenziato, ma in larga misura concentrato su iniziative di stampa aziendale a carattere periodico e di taglio ‘giornalistico’, mentre il ricorso a strumenti a più alto contenuto
tecnologico è ancora molto marginale in questa area degli strumenti”.
Per contrasto si può notare come quell’indagine trovasse che nelle aziende intervistate risultava molto rilevante l’uso di più tradizionali
strumenti di comunicazione come la bacheca (citata nel 75,6% dei casi), per non parlare degli opuscoli e dei poster aziendali citati, rispettivamente, nel 54,9% e nel 50,0% dei casi.
La ricerca, cui si farà in seguito riferimento, ha rinunciato - a differenza di quella appena richiamata - a raccogliere dettagliate informazioni sulle pubblicazioni aziendali (formato, grafica, periodicità, tiratura, ecc.) per mettere una larga e comprensiva serie di strumenti di informazione sullo stesso piano in modo da poter valutare le differenze relative all’uso, al peso accordato e alle valutazioni espresse dai vertici aziendali. Nella ricerca dunque venivano dedicate due domande ad acquisire le opinioni del top management sui più usuali strumenti aziendali di comunicazione interna.
Le due domande, che si presentavano con una struttura uguale,
sollecitavano in modo diverso gli intervistati, cercando soprattutto di
accertare nel passaggio dall’una all’altra domanda l’opinione più soggettivamente radicata negli intervistati.
La prima domanda, infatti, nel chiedere quale strumento di comunicazione interna l’intervistato ritenesse “in generale” più efficace, sembrava volesse ottenere con quell’inciso una risposta oggettiva, in qualche misura indipendente dalla stretta opinione personale, per riferirsi piuttosto,
anche se in modo implicito, ad una qualche communis opinio diffusa tra i
manager; inoltre un piccolo esercizio di pazienza richiesto all’intervistato
chiedeva di indicare il valore di ciascuno dei dodici strumenti, su cui veniva chiesto un parere, utilizzando un punteggio che andava da 1 a 12.
La seconda domanda invece chiedeva innanzi tutto di collocarsi
nella prospettiva del proprio ruolo (“dal punto di vista del suo ruolo”) e
382
in secondo luogo obbligava l’intervistato a praticare una sorta di “gioco
della torre” chiedendo di indicare in ordine di precedenza solo quattro
strumenti “da utilizzare con maggiore efficacia”.
Come si può vedere dalle due tabelle allegate non emergono indicazioni contrastanti fra i risultati ottenuti; ma la seconda domanda non
poteva che risultare più selettiva e, forse proprio per ciò, presentare risultati più coerenti.
L’esame dei dati esposti nelle due tabelle consentirà alcune considerazioni che è il caso di rendere esplicite.
Tab. 1 - Punteggi complessivamente attribuiti agli strumenti della comunicazione interna, numerosità delle risposte ottenute e valore medio del punteggio attribuito, riferiti a ciascuno degli strumenti sottoposti alla valutazione degli intervistati per quanto
attiene alla loro efficacia.
Strumenti
Punteggio
complessivo
Numero
Valore medio del
delle risposte
punteggio
Relaz. capi collaboratori
1.099
107
10,3
Incontri con i capi
1.072
109
9,8
Modal. di lavoro collegiale
847
100
8,5
Convention
792
104
7,6
News letter
762
101
7,5
House organ
755
103
7,3
Sistemi telematici
621
101
6,1
Circolari
562
97
5,8
Bacheche
540
100
5,4
Terminali video
524
96
5,5
Giornale telefonico
314
89
3,5
90
40
2,3
Altro
383
Tab. 2 - Strumenti per comunicare con il personale da utilizzare con
maggiore efficacia dal punto di vista del ruolo dell’intervistato.
Punteggi complessivamente attribuiti, numerosità delle “preferenze” espresse e loro valore.
Strumenti
Punteggio
complessivo
“Preferenze” Valore medio del
espresse
punteggio
Incontri con i capi
306
94
3,3
Relazione con i collaboratori
diretti
284
93
3,1
Convention
132
60
2,2
House organ
120
54
2,2
News letter
93
39
2,4
Sistemi telematici
50
30
1,7
Circolari
47
26
1,8
Terminali video
32
18
1,8
Bacheche
15
10
1,5
Altro
8
4
2,0
Giornale telefonico
5
2
2,5
La prima considerazione è stata suggerita da un esame congiunto
delle risposte offerte alle due domande.
Le opinioni raccolte hanno fatto emergere in prima istanza tre modelli di comunicazione. Il primo, e più forte, è quello che tende a fondare la comunicazione sulle relazioni interpersonali e, fin dove è possibile, sul rapporto faccia a faccia: per questo modello gli strumenti più efficaci sono la relazione capi collaboratori, gli incontri con i capi, le modalità di lavoro collegiale e le convention aziendali.
384
Il secondo modello è quello che fa un forte affidamento sulla comunicazione scritta: news letter, house organ, le circolari e le bacheche.
Il terzo modello è quello che fa un forte affidamento sull’uso dei
supporti tecnologici: marginalmente il giornale telefonico, ma più in
particolare i terminali video e soprattutto i sistemi telematici.
Occorre sottolineare, peraltro, che si è in presenza di modelli non
necessariamente, o quanto meno non sempre, alternativi, dato che, in
base ad un esame più analitico dei risultati offerti dall’indagine, emergeva l’ipotesi che il modello supportato dalla scrittura fosse in buona
misura alternativo a quello basato sulla tecnologia, mentre non sembrava esistere uno spazio per l’ipotesi che ciascuno degli ultimi due modelli fosse alternativo al primo, cioè a quello basato sulle relazioni interpersonali.
Una seconda considerazione, che scaturisce dai risultati, è quella
suggerita dall’emersione del modello nel quale la preferenza degli intervistati è (ma sembrerebbe necessario aggiungere anche) per la comunicazione supportata dalla tecnologia. Tale modello, minoritario peraltro
nell’universo indagato, è risultato avere un peso significativo in particolare nel settore delle imprese bancarie. La cosa è comprensibile se si
pensa sia al rapporto fra il numero di work station o di terminali più o
meno intelligenti e il numero degli addetti, sia alla ormai lunga socializzazione all’uso di tali strumenti di lavoro (ma anche di comunicazione)
propria del personale bancario.
Se ci si fermasse qui non si andrebbe oltre la semplice constatazione.
La considerazione che, sia pure indirettamente, è suggerita dai risultati dell’indagine riguarda l’opportunità di riflettere su quella che nella ricerca veniva definita “incipiente diffusione” e che dopo due anni può essere detta rapidamente crescente, se non massiccia, diffusione nelle aziende di Intranet, cioè di sistemi informativi aziendali a rete, riservati al
personale o ai clienti dell’azienda e quindi in qualche misura chiusi, ma
comunque basati sulla architettura di Internet. La logica delle reti, delle
risorse di calcolo distribuite, della trasparenza (sia pure discriminata) dei
depositi informativi, della facilità di accesso alle banche dati come alla
potenza di calcolo disponibile, non potrà non avere conseguenze sulla comunicazione interna (via Intranet) e sulla comunicazione esterna (via In385
ternet). L’avvento dell’information society rappresenta indubbiamente una sfida e al tempo stesso un’opportunità anche per la comunicazione e
per chi esercitando la leadership aziendale (o direttamente partecipando
ad essa) deve avere (come ben sa peraltro la totalità di coloro che hanno
risposto al questionario), la responsabilità di indirizzo strategico e/o la responsabilità operativa della comunicazione in azienda.
Una ulteriore e più importante considerazione è suggerita con
grande chiarezza dai risultati offerti dalle due tabelle sopra presentate.
A ben guardare quando si parla di “Relazione capi-collaboratori”,
“Incontri con i capi” e di “Modalità di lavoro collegiale” si parla sì di
strumenti di comunicazione, ma si parla ancor più di stili di guida (e
cioè di esercizio della leadership), di criteri di gestione, di modello di
comportamento manageriale. Come annotava il Rapporto di ricerca “sia
nella formulazione delle due domande, sia in coloro che hanno risposto
ad esse sembrano presenti, con ogni probabilità in modo inconscio, due
assiomi classici della comunicazione: ‘il mezzo è il messaggio’ (Marshall McLuhan) e ‘non si può non comunicare’ (la scuola di Palo Alto).
Ambedue questi assiomi elaborati in due diversi ambiti di riflessione il primo sulle tecnologie di comunicazione, il secondo sugli effetti della
comunicazione interpersonale - paiono confortare e supportare l’indicazione forte che emerge dalle risposte del questionario”.
“La grande preminenza che viene assegnata dalla totalità degli intervistati ai tre strumenti citati in precedenza fa capire quanto sia importante per tutti l’effetto comunicativo dei comportamenti, in particolare
dei comportamenti manageriali. Tali comportamenti sono un mezzo
(nel senso proprio del linguaggio della comunicazione: medium) ed anzi sono ritenuti il mezzo più potente (più efficace per usare il termine
del questionario) per la comunicazione aziendale”.
Come è facile vedere, le risposte, esaminate sulla base delle due
tabelle sopra illustrate e del peso che risulta essere assegnato a quelli
che abbiamo complessivamente chiamato strumenti di comunicazione
interpersonale, sono risposte impegnative e pongono, come si vedrà in
seguito, questioni assai esigenti al top management.
386
4. LA COMUNICAZIONE AZIENDALE COME STRUMENTO DELLA LEADERSHIP
La ricerca appena citata ha anche chiesto agli intervistati di valutare i
motivi che ostacolano lo sviluppo di un efficace sistema di comunicazione
aziendale e di indicare quali fossero i vantaggi di una buona comunicazione
aziendale interna. Le risposte offerte alle due domande sono risultate centrali non solo nel contesto di tale ricerca, ma risultano anche centrali con riferimento al tema che la relazione si propone di affrontare in questa sede.
Innanzi tutto occorre ricordare che le risposte su queste due questioni vanno viste assieme a quelle fornite e citate all’inizio su chi avesse la responsabilità dell’indirizzo strategico della comunicazione interna e inoltre tenendo conto di quelle fornite in risposta alle due domande
(relative alla valutazione degli strumenti di comunicazione aziendale),
cui in precedenza si è fatto riferimento. Orbene l’insieme delle risposte
contribuisce a definire in modo ancora più preciso la convinzione largamente diffusa tra i manager intervistati circa la portata del problema in
esame e circa la responsabilità di cui essi si sentono investiti.
Sarà il caso di partire illustrando la tabella 3 che riassume le indicazioni emerse circa i motivi che ostacolano maggiormente lo sviluppo
della comunicazione interna2.
__________
2. Per meglio leggere i risultati della tabella è il caso di ricordare al lettore che la
domanda da cui la tabella 3 è generata proponeva di indicare in un ordine di valutazione da uno a cinque i motivi che, fra i dodici proposti, potevano essere ritenuti di maggior ostacolo per lo sviluppo della comunicazione interna. Con una
semplice trasformazione dell’ordine di valutazione in punteggio si è ottenuta una
graduatoria che esprime la distribuzione dell’opinione dei top manager intervistati sul tema che era stato sottoposto al loro esame e alla loro valutazione.
387
Tab. 3 - Punteggi complessivamente attribuiti ai motivi che ostacolano
maggiormente lo sviluppo della comunicazione interna, numerosità delle risposte ottenute e valore medio del punteggio attribuito, riferiti a ciascuno dei motivi sottoposti alla valutazione
degli intervistati.
Motivi
Punteggio
complessivo
Numero
delle risposte
Valore
medio del
punteggio
Modalità di lavoro tradizionali/gerarc.
320
87
3,7
Cultura gerarc. dei capi intermedi
293
81
3,6
Indeterminatezza degli obiet. della comun.
208
61
3,4
Livelli organizzativi
178
58
3,1
Capacità di cogliere la domanda di inform.
167
59
2,8
Strutture funzionali
122
45
2,7
Criticità aziendali
100
37
2,7
Ristrutturazione aziendale
91
28
3,3
Costi di investimenti necessari
85
27
3,1
Difficoltà a valutare il ritorno degli invest.
67
25
2,7
Professionalità del respons. della comun.
64
20
3,2
Influenza dei mass-media sull’immag. dell’azienda
50
17
2,9
Le prime due colonne della tabella mettono in luce una fortissima
coerenza fra il punteggio complessivo (si potrebbe dire peso e gravità
dei motivi) e il numero delle risposte (potremmo dire diffusione delle opinioni). Nell’ordine delle due colonne esiste solo una piccola sfasatura
- piccola nei valori assoluti che la determinano e piccola nella incoerenza che determina fra le due graduatorie - fra “i livelli organizzativi” che
come motivo di ostacolo si collocano al quarto posto in termini di punteggio complessivo e al quinto in termini di opinioni espresse, rispetto
alle difficoltà di “cogliere la domanda d’informazione” che propone un
ordine inverso.
388
Si può agevolmente constatare come i motivi che ostacolano lo sviluppo della comunicazione interna che si situano nelle prime sei posizioni della graduatoria che la tabella espone fanno chiaro riferimento al
cuore stesso della struttura aziendale (come i “Livelli organizzativi” o le
“Strutture funzionali”) o, elemento ancora più duro da rimuovere, al
cuore delle strutture culturali dell’impresa, quelle più difficili da individuare e ancor più difficili da “ristrutturare” (come, ad esempio, le “Modalità di lavoro tradizionali/gerarchiche” o la “Cultura gerarchica dei capi intermedi”) o comunque attengono alla competenza e alla sensibilità
del top manager (come la “Indeterminatezza degli obiettivi della comunicazione” o la “Capacità di cogliere la domanda di informazione”).
Se si pensa che, come ha dimostrato il Rapporto di ricerca, i questionari sono stati redatti per la stragrande maggioranza da top manager
(mentre nei restanti casi sono comunque stati redatti dai responsabili
delle funzioni aziendali maggiormente interessate al tema: personale,
organizzazione, relazioni esterne o relazioni pubbliche), si può constatare quanto le risposte al questionario siano state oneste. Si sarebbe potuto, ad esempio, fare del responsabile della comunicazione il capro espiatorio delle difficoltà che la comunicazione interna incontra - come
una delle opzioni presentate nella domanda agli intervistati consentiva -,
ma non lo si è fatto. Forse - come notava il Rapporto di ricerca - è persino mortificante per chi fosse del mestiere costatare che “la professionalità del responsabile della comunicazione è all’undicesimo posto fra i
motivi che sono di ostacolo alla comunicazione interna”. Colpisce il
fatto che l’influenza dei mass media sull’immagine dell’azienda si colloca addirittura all’ultimo posto fra i motivi che ostacolano lo sviluppo
della comunicazione interna; la valutazione potrebbe essere ambivalente nel senso che i mass media non frappongono ostacolo perché tutto
sommato si muovono in modo favorevole al mondo dell’impresa oppure perché non si ritiene che abbiano un’influenza apprezzabile. Anche
motivi quali le “Criticità aziendali” o le “Situazioni di ristrutturazione
aziendale” - cioè due buone ragioni che avrebbero potuto essere scelte
dall’intervistato, magari inconsapevolmente, per alleggerire in qualche
misura il peso della responsabilità connessa al proprio ruolo - si collocano al settimo e all’ottavo posto, ricevendo un basso numero di indicazioni, le quali peraltro assegnano una discreta importanza a tali motivi
389
(e questa è la conferma che erano stati offerti due motivi legati in modo
permanente alla vita delle imprese e che avrebbero potuto essere agevolmente utilizzati per sminuire le responsabilità dei top manager).
La maggioranza dei top manager intervistati, invece, ha indicato,
più frequentemente e assegnando valutazioni più elevate, proprio quei
motivi su cui si esercita con maggiore difficoltà il proprio ruolo e che
quindi chiamano in causa con maggior evidenza le loro responsabilità.
Difficile infatti sostenere che non sia compito dei top manager
modificare le “Modalità di lavoro tradizionali/gerarchiche”; in qualche
misura far evolvere la (o incidere sulla) “Cultura gerarchica dei capi intermedi”; o intervenire sul disegno delle “Strutture funzionali”, come
pure sulla numerosità e sull’estensione dei “Livelli gerarchici”; oppure
che non tocchi loro darsi carico di risolvere la eventuale “Indeterminatezza degli obiettivi della comunicazione”.
“Si ha l’impressione - come faceva notare De Rita nel Convegno
in cui veniva presentata la ricerca - che il top manager veda la struttura
aziendale come un ostacolo”, per cui egli proseguiva domandandosi:
“la comunicazione vuole di più di quanto possa offrire la struttura organizzativa?”; e nel darsi una risposta egli avanzava l’ipotesi che “o la velocità o il volume delle aspettative genera una logica di comunicazione
troppo forte rispetto alla lentezza di una trasformazione organizzativa,
oppure chiaramente la dimensione organizzativa è oggi meno sviluppata e meno trasformata di quanto comunemente si dice nei convegni”.
La questione resta aperta. E’ certo, però, che prima di procedere
oltre merita di essere sottolineata questa rivendicazione in qualche misura orgogliosa delle responsabilità del top management da un lato e
dall’altro, il riconoscere che le maggiori difficoltà per lo sviluppo della
comunicazione vengono frapposte dalle strutture delle imprese in generale e sostanzialmente dalla capacità che il management ha di influenzare i disegni organizzativi, la cultura organizzativa e le dinamiche di
cambiamento della propria impresa. Non che questo segni necessariamente una sorta di schizofrenia del management, quanto piuttosto la testimonianza esplicita di come anche i manager più convinti del proprio
ruolo scontino le difficoltà connesse ai processi di cambiamento e quindi inevitabili; e, per altro verso, diano la misura di come la tensione
390
all’innovazione corra più avanti di quanto riesca a fare la risposta delle
strutture organizzative, per quanto immaginabile come rapida; e come
solo a fatica le strutture organizzative possano tenere dietro alle esigenze che i top manager interpretano, precorrendo l’orizzonte delle possibilità operative immediate.
L’indagine cui in queste pagine facciamo più spesso riferimento
per essere la più prossima in ordine temporale e la più coerente con il
tema affrontato in questa parte del presente Rapporto, offre un ultimo
gruppo di dati particolarmente significativi per completare le riflessioni
che si vengono facendo in materia di comunicazioni e leadership d’impresa.
Tab. 4 - Punteggi complessivamente attribuiti ai vantaggi che derivano
da una buona comunicazione interna, numerosità delle risposte
ottenute e valore medio del punteggio attribuito, riferiti a ciascuno dei vantaggi sottoposti alla valutazione degli intervistati.
Vantaggi
Punteggio
complessivo
Numero
delle risposte
Valore
medio del
punteggio
Crescita della partecipazione
e della collaborazione
679
102
6,7
Più puntuale comprensione dei
valori e degli indirizzi dell’azienda
679
102
6,7
Rafforzamento dell’identità aziendale
524
96
5,5
Migliore qualità del clima aziendale
466
92
5,1
Contributo ad un più efficace
funzionamento dell’organizzazione
463
93
5,0
Maggior disposizione ad assumersi
responsabilità da parte dei singoli
428
89
4,8
Miglioramento della cultura
aziendale dei dipendenti
294
78
3,8
Contemperamento delle tensioni
sindacali
198
75
2,6
391
I dati e le riflessioni da essi suggerite consentono di chiudere il discorso fin qui fatto; anche se, come è ovvio, aprono a loro volta una seconda e più analitica fase di studio, di indagine e di ulteriore riflessione in
modo da poter passare dalle considerazioni generali fin qui fatte, a più
puntuali e articolate considerazioni. A parte la preliminare dicotomia fra
grande e piccola azienda, cui si darà uno spazio di attenzione prima di
concludere la presente parte del Rapporto, sarà importante fin da ora prepararsi a capire come le annotazioni, le riflessioni o le parziali conclusioni cui si è finora pervenuti si debbano specificare in ragione del mercato
di riferimento delle imprese, delle tecnologie che ne caratterizzano l’attività, della specifica fase di cambiamento che stanno attraversando, del
maggiore o minore grado di esposizione alla competizione internazionale, della maggiore o minore incidenza dei vincoli ambientali (fisici, normativi o culturali che essi siano), solo per ricordare alcune fra le possibili
variabili che potrebbero contribuire a spiegare sia certe modalità di comportamenti comunicativi, sia le rispettive varianze.
Stando però alle ricerche fin qui citate - una parte del comunque
piccolo e recente universo delle ricerche fino ad oggi condotte in materia di comunicazione d’impresa - il tema che ci apprestiamo a trattare
con l’ausilio di una tabella estratta dall’ultima indagine (ASCAI, ‘97)
può consentire una prima chiusura del discorso.
La tabella numero 4 ci illustra i vantaggi che, a giudizio di un
gruppo di top manager intervistati, possono derivare da una buona comunicazione interna3.
L’esame delle risposte alla domanda che genera la tabella che stiamo osservando ci dice che tali risposte hanno una loro plausibilità confermata anche dalla elevata coerenza dei risultati osservabili una volta
che i vantaggi siano pesati in termini di punteggio complessivo e i pesi
vengano confrontati con la numerosità delle opinioni espresse in merito
ai diversi items; anche in questo caso il disallineamento fra il punteggio
complessivo e numerosità delle risposte quando si confronta il quarto
vantaggio dato dalla domanda rispetto al quinto è di scarso rilievo per
l’esiguità dei valori in gioco; più che di un disallineamento si potrebbe
pacificamente parlare di pratica parità.
________
3. Anche in questo caso come in quello della tabella precedente si è operata una
trasformazione in punteggio dell’ordine di importanza degli otto tipi di vantaggi
dei quali si era chiesta l’opinione e la valutazione degli intervistati.
392
Al di là delle constatazioni circa l’importanza attribuita dagli intervistati ai vari vantaggi è forse il caso di guardare il problema che la tabella evoca in modo veramente sconcertante, data la chiarezza con cui
viene posto. Se si guardano bene i vari vantaggi che sono stati valutati
dagli intervistati si può osservare come invece che chiamarli vantaggi si
potrebbe con tutta tranquillità chiamarli “fattori produttivi”.
La cosa sembra particolarmente evidente a chi sta esprimendo
questa opinione, ma va forse meglio chiarita operando una rapida e solo
apparente digressione.
Un’azienda, manifatturiera o di servizi non importa, può essere
concepita come un’istituzione economica che mediante un processo
produttivo trasforma una serie di input in una serie di output dotata di
un valore di mercato superiore a quello degli input.
La proposizione ha volutamente una forma astratta e generale e
può essere espressa anche facendo ricorso alla funzione della produzione, cioè a quella espressione matematica che in estrema sintesi ci dice
che la produzione è funzione delle dosi di lavoro e di capitale impiegati; solo che accanto alle dosi di lavoro e di capitale compare una epsilon
(il cosiddetto fattore residuo) che spiega la totalità della produzione, dato che il lavoro e il capitale da soli ne spiegano solo una parte. Sul finire degli anni ’50 si è utilizzata la funzione della produzione traendola
fuori dall’ambiente microeconomico nel quale era nata per applicarla a
valutare la prestazione macroeconomica delle economie nazionali. In
questi casi la produzione era rappresentata dal prodotto nazionale lordo
e la funzione della produzione cercava di stabilire in che misura la
quantità di lavoro complessivo, che una certa economia aveva impiegato nella produzione, e la quantità di capitale, che complessivamente anch’essa era entrata nel processo di produzione del reddito, spiegavano il
risultato finale, cioè appunto il prodotto interno lordo. Anche in questo
caso per spiegare un risultato che era maggiore di quello atteso a partire
dalle quantità di capitale e di lavoro entrate nel complessivo processo di
produzione, era necessario introdurre una epsilon: il simbolo del cosiddetto fattore della produzione residuo. Tale fattore aveva il pregio di far
quadrare in termini matematici il calcolo della funzione, ma aveva anche lo svantaggio di non spiegare quali erano le componenti che aveva393
no la capacità di contribuire alla generazione di un risultato che era solo
in parte spiegato dal capitale e dal lavoro. L’interesse e le motivazioni
dei ricercatori di volta in volta assegnavano un peso rilevante, che si
cercava fra l’altro in quegli anni di misurare, all’istruzione, alla ricerca
scientifica, agli assetti istituzionali, in generale ai fattori di macro-organizzazione sociale compresi i servizi offerti e prodotti dalle istituzioni
pubbliche. Non è qui il caso di cacciarsi in questo genere di questioni
che fra l’altro hanno smesso di interessare gli studiosi di economia, ma
l’evocazione di questo tema pare particolarmente significativa. Riassumendo: sia che si formuli in modo molto generale la proposizione sopra
richiamata, cioè che l’azienda tramite il processo produttivo genera degli output che hanno valore superiore agli input immessi in tale processo, sia che si dica che la funzione di produzione non è completamente
spiegata dal lavoro e dal capitale introdotti nel calcolo se non si aggiunge un ulteriore fattore, detto residuale appunto perché spiega la differenza residua fra il risultato ottenuto e quello che ci si aspetterebbe di
trovare qualora i fattori della produzione fossero solo capitale e lavoro,
è possibile affermare che alcuni ingredienti del processo produttivo si
acquistano ed altri no.
Si acquistano le materie prime, le tecnologie, mediante la promessa della remunerazione futura si acquistano i capitali, le conoscenze, le
informazioni (come diceva un pescecane impersonato da Michael Douglas in un film americano: “le informazioni sono l’unica commodity
che io compro”) e molte altre cose ancora.
Ci sono poi cose che entrano nel processo produttivo e non si acquistano, ma vengono prodotte dall’imprenditore (l’idea produttiva,
cioè il fattore strategico decisivo) e dal management mediante le buone
regole della gestione: e qui si va dall’organizzazione del processo produttivo (e dalla sua continua implementazione, verifica, monitoraggio,
innovazione, ecc.) alla motivazione e alla cultura dei propri collaboratori (quelli che sul piano dell’input chiamiamo forze lavoro e che, in termini puramente contrattuali, sono tenuti a dare la disponibilità delle
proprie capacità per un numero determinato di ore).
Le motivazioni (la disponibilità, l’atteggiamento partecipe, la condivisione degli obiettivi, la lealtà verso l’azienda, il senso di identità
394
con la propria azienda) dei collaboratori entrano nel processo produttivo, ma non vengono offerti né dal mercato, né dalle banche, né dagli azionisti. Devono essere prodotte dal management; come pure deve essere prodotto dal management il clima aziendale, uno di quei fattori della
produzione dei quali si scopre l’esistenza solo quando vengono a mancare e che non si possono comperare né sul mercato, né farsene finanziare l’acquisto dalle banche, né ottenere dagli azionisti.
Come concludeva la relazione della ricerca ASCAI: “La presente
relazione non può non constatare come gli intervistati abbiano espresso
in modo molto esplicito una consapevolezza diffusa del proprio ruolo in
genere e della propria responsabilità come produttori di risorse insostituibili e preziose per il successo della propria azienda.
Si potrebbe obiettare che è difficile pensare che un buon armamentario della comunicazione interna, usato con intelligenza e professionalità
abbia tanti e decisivi pregi”. L’obiezione non va trascurata ed ha un suo
fondamento, quanto meno induce ad un maggior senso di realtà e alla
prudenza, ma di sicuro può essere superata quando ci si ricolleghi alle
conclusioni cui si è pervenuti riflettendo sulle risposte che i top manager
hanno dato circa l’uso degli strumenti della comunicazione.
“In realtà, come si è potuto vedere, gli strumenti più importanti di
comunicazione si identificano e al tempo stesso sono il frutto di criteri
di gestione, di modelli di comportamento, in una parola di stili di leadership che caratterizzano un esercizio alto del compito manageriale”.
Il top management rappresenta inevitabilmente un punto di riferimento decisivo per la vita dell’azienda e, in modi più o meno diretti, su
di lui convergono i sistemi di responsabilità che caratterizzano un’organizzazione produttiva; senza dubbio ottimizza l’uso delle risorse, e in
particolare quelle più preziose; è un decisore che riduce l’incertezza per
i suoi collaboratori; è uno stratega ed altro ancora. Non riuscirà, però, a
condurre l’azienda verso nessun traguardo se non sarà capace di comunicare gli obiettivi prescelti, di renderli credibili, di ottenere l’adesione
dei propri collaboratori sulle prospettive che ad essi propone e sui significati di quel lavoro che ad essi chiede.
Si può allora concludere (con ASCAI, 1997) che “La responsabilità e la forza del top manager si misurano non solo, ma certo inevitabilmente, anche sul terreno della sua capacità di comunicare”.
395
5. LA LEADERSHIP DELLA COMUNICAZIONE D’IMPRESA IN DUE AREE FIN QUI
TRASCURATE
Nell’illustrare il tema oggetto di questa parte del primo Rapporto
sulla comunicazione d’impresa in Italia, si è proceduto facendo ricorso,
in modo quasi inevitabile, ai non molti lavori di ricerca disponibili; si è
voluto infatti limitare il pericolo o magari la tentazione di sovrapporre i
personali punti di vista, gli schemi intellettuali soggettivi sia su una
realtà come quella della comunicazione d’impresa che vive una forte
dinamica evolutiva, sia su assetti organizzativi preposti alla comunicazione d’impresa, variegati e con ogni probabilità destinati a rimanere tali; così come è ed è destinata a rimanere evolutivamente dinamica e variegata la vita delle imprese al cui interno i suddetti assetti sono destinati a vivere e ad operare.
Esplicitare l’obiettivo di voler evitare il pericolo di una soggettiva
lettura della realtà vuol dire anche, al tempo stesso, rendere esplicita l’inevitabilità di una mediazione soggettiva nella descrizione della realtà e
nella presentazione delle riflessioni che ne conseguono.
Esiste però un’altra distorsione della realtà che non dipende dalla
soggettività di chi, pur dopo letture e dibattiti, in ultima istanza redige o
contribuisce a scrivere una relazione o una sua parte. Si vuole alludere
alla distorsione che deriva dal costatare che i materiali conoscitivi disponibili - per definizione i più diffusi, i più elaborati ed i più affidabili
- non sempre coprono adeguatamente tutta la realtà.
Allora il discorso non può fermarsi sul confine delle nostre cono396
scenze meno precarie: non sarebbe del tutto corretto segnalare un metaforico hic sunt leones ed arrestarsi sul limitare di tale confine.
Il modo di procedere dovrà essere molto più cauto; per uscire dalla
metafora non si potrà essere né tanto né poco assertivi o prescrittivi; e
anche nel formulare ipotesi occorrerà essere assai modesti e pronti a segnalare la loro gracilità. Certamente, però, soprattutto se ci si mette
nell’ottica di un lavoro in progress - cioè di un primo Rapporto, quasi
un numero zero, cui ne succederanno degli altri - non si potrà non indicare alcune delle aree desertiche e meno esplorate, per segnalare al tempo stesso campi di possibile e forse doverosa (il forse attenua la pretesa
prescrittiva) esplorazione. Sembra infatti opportuno completare o arricchire le comuni conoscenze su aree di cui si percepisce sia l’esistenza,
sia la rilevanza, ma di cui si ignorano dati di fatto, modalità operative,
patrimoni di conoscenze, probabili saperi professionali e soprattutto
protagonisti. In definitiva non ci si potrà esimere dal segnalare una lacuna da colmare e domandarsi “chi e come esercita la leadership” in alcune realtà meno note o cui si è dedicata minor attenzione.
Si intende cominciare segnalando due aree poco esplorate, ma anche di enorme rilievo: la piccola impresa e il sistema delle imprese come soggetto collettivo.
5.1 Leadership e comunicazione aziendale nelle imprese piccole e medio piccole
La parte introduttiva del Rapporto di ricerca su “Leadership e comunicazione d’impresa” chiudeva con la seguente considerazione: “In
Italia le vere differenze nella cultura manageriale andrebbero indagate
lungo la variabile piccola/grande impresa. Laddove la dimensione oltre
che fatto oggettivo diventa anche fatto esplicativo consentendo quella
differenziazione dei compiti e delle responsabilità gestionali, su cui può
costruirsi un articolato sistema manageriale con le sue elaborazioni professionali e più in generale culturali che ne conseguono”.
Come emerge dalla parte dedicata ad una presentazione delle ricerche empiriche svolte ad illustrare il tema della comunicazione d’im397
presa, proprio in questi ultimi anni si è cominciato ad indagare il fenomeno, ma fra i temi che le prime ricerche non hanno indagato vi è quello relativo a chi competa la comunicazione nella piccola impresa.
Si è avuto modo di citare la prima e parziale risposta alla questione
offerta da una recente indagine (Nelli, 1998a) sul ruolo della comunicazione nell’evoluzione della piccola e media impresa veneta. La dimensione media delle imprese oggetto dell’indagine (50 miliardi di fatturato e
100 addetti), però, “taglia” troppo in alto l’universo e perciò induce a non
estendere senza precauzioni, i pur significativi risultati dell’indagine e la
ricchezza delle suggestioni offerte ad un mondo di imprese che, per restare a quello veneto, è caratterizzato (nel settore manufatturiero) da circa 10
addetti per impresa (9,76). E’ in questo senso che si può parlare, senza
sminuire il valore del lavoro, di parziale risposta.
E’ pertanto lecito soffermarsi sulla questione di chi, nella piccola
impresa, abbia la prerogativa di comunicare.
La questione può apparire ingenua e può quindi trovare una risposta apparentemente agevole. Nella piccola impresa la comunicazione,
soprattutto se si pone l’accento sulla comunicazione interna - e a maggior ragione nella sua accezione assai diffusa di comunicazione organizzativa - è certamente in mano all’imprenditore.
La piccola dimensione che inevitabilmente impone rapporti interpersonali frequenti, per non dire costanti, rende al tempo stesso pervasiva ed informale - e con ogni probabilità proprio perciò assai efficace la comunicazione interna: persino al di là della consapevolezza che
l’imprenditore possa avere di questa sua funzione. In casi come questi
risulta inevitabile evocare l’immortale battuta che Moliere mette in bocca al borghese gentiluomo il quale esprimeva la propria compiaciuta
meraviglia nello scoprire che parlava in prosa senza saperlo.
In effetti è del tutto plausibile parlare del ruolo, implicito e magari
talvolta inconsapevole, di comunicatore che (fra gli altri ruoli) compete
al titolare di una piccola impresa.
Come infatti è stato di recente sostenuto (Nelli, 1998b), in riferimento alle piccole e medie imprese, è opportuno distinguere dall’ambito
della comunicazione commerciale “quello della comunicazione implicitamente, e spesso inconsapevolmente, posta in essere attraverso l’ordi398
nario agire dell’impresa. Le forme e le modalità della comunicazione
implicita sono molteplici: i comportamenti quotidiani (le attività normalmente poste in essere), le relazioni intrattenute con i fornitori oltre
che con i clienti (forme di cooperazione e di relazione all’interno della
filiera produttiva), le qualità dei processi e dei prodotti, la valorizzazione dei prodotti con un articolato insieme di servizi, la capacità di innovazione, la coesione e la motivazione del personale”.
Resta in ogni caso interessante domandarsi se esiste una qualche
correlazione significativa fra successo della piccola impresa e doti di
comunicatore possedute dal suo titolare: implicite o esplicite, naturali o
acquisite che tali doti risultino. O ci si può all’opposto domandare, data
l’enorme base di reclutamento a partire dalla quale risultano selezionate
imprese e imprenditori di successo - dalla più grande alla più piccola,
dalle imprese agricole a quelle manifatturiere o di servizi sono poco
meno di 5.000.000 le imprese italiane attive - se il successo delle imprese non sia il risultato di fattori casuali variamente interagenti, tanto
che risulti impossibile trovare quale di essi abbia una qualche capacità
predittiva del successo nel caso della sua presenza (o di insuccesso, nel
caso opposto).
Senza, però, ricorrere necessariamente a queste ipotesi “scolastiche”, resta il fatto che la risposta risulta senza dubbio meno agevole se
la domanda sulla coincidenza nella piccola impresa di leadership e comunicazione aziendale fa riferimento anche alla componente esterna e
istituzionale della comunicazione.
In questo secondo caso, soprattutto se si fa riferimento agli insiemi
di piccole e medie imprese che compongono i distretti industriali italiani o i sistemi territoriali di imprese o (per usare il termine più direttamente carico di significati socio-culturali che usa il Censis) i localismi;
se, cioè, si fa riferimento alla parte più significativa dell’universo costituito dalle piccole e medie imprese, per non dire alla parte più peculiare
e al tempo stesso più vitale dell’economia italiana e del suo assetto imprenditoriale, la domanda non risulta più ingenua e la risposta si fa
quantomeno problematica.
Il successo dei distretti industriali o dei sistemi territoriali d’impresa o dei localismi - come li si voglia chiamare - è indubbio, nonostante
399
che la traiettoria di questo successo abbia conosciuto e conosca pause o
momenti di crisi e nonostante che queste realtà abbiano conosciuto e
continuino a conoscere fasi di evoluzione che non avevano, come non
hanno, un destino deterministicamente segnato e ricco di soddisfazioni.
Anche se si può affermare che finora la capacità di adattamento basato
su risposte mediamente efficaci agli stimoli e alle sfide proposte dall’ambiente esterno è stata efficace e vincente, il successo non può essere il risultato della natura, quasi parlassimo di un organismo biologico o
di qualità innate, in qualche modo iscritte nel codice genetico delle realtà territoriali ed economiche cui si sta facendo riferimento.
Gli insiemi di piccole e medie imprese di cui si sta parlando ci mettono di fronte, a partire dall’oggettivo successo da queste registrato, alla
questione di dove sia dislocata veramente la leadership e di quali siano
le modalità e gli strumenti utilizzati per le attività di comunicazione.
Per chiarire ulteriormente i termini della questione si può affermare che quando si è in presenza del successo di un’impresa, o di una rete
di imprese o di un sistema territoriale di imprese per quanto gli elementi casuali possano aver concorso a tale risultato, si è sempre in presenza
di un esercizio della leadership e, come si è visto all’inizio, la comunicazione - quanto meno le politiche e le strategie di comunicazione - sono una tipica prerogativa della leadership.
Tutto ciò chiarito e premesso, la questione non è banale e può articolarsi in modo meno ingenuo di quanto si sia fatto sopra. Allora, ferma
la legittimità della domanda “a chi compete la comunicazione nella piccola impresa”, se la domanda si allarga e diventa “a chi compete la comunicazione nei sistemi territoriali di piccola impresa” si può cominciare a riflettere se nel caso si possa continuare ad ipotizzare un Rapporto assai stringente fra i termini della sequenza: successo-leadershipcomunicazione. E subito dopo domandarsi a chi appartenga il successo,
chi eserciti la leadership e chi, come conseguenza, definisca obiettivi,
contenuti e modalità della comunicazione.
Qualora il Rapporto venga giudicato stringente la risposta può essere data (non che sia necessario) a partire dall’ultimo termine della sequenza: il soggetto individuale o collettivo che guida i processi della
comunicazione di fatto esercita la leadership e a lui può essere attribuito
(in misura da definirsi) il successo.
400
In assenza di indagini empiriche mirate si rischia di fare considerazioni astratte e alla fine oziose. Non mancano però indizi in grado di
suggerire, se non qualche risposta, almeno qualche ragionamento ipotetico e non del tutto infondato.
Se infatti ci si colloca nella prospettiva indicata, allargando il discorso dalla comunicazione aziendale in senso stretto ai processi di
relazione (e quindi per definizione comunicativi) che intercorrono fra le
imprese in generale, ma in modo del tutto peculiare ai processi reticolati di relazione che legano le imprese dei diversi sistemi imprenditoriali
locali, sarà possibile cogliere più di un indizio e formulare qualche ipotesi significativa.
Rapidi ed estremamente sintetici accenni al lavoro di ricerca condotto sui distretti italiani ci danno le conferme che stiamo cercando.
Non appena si è venuto approfondendo lo studio e la riflessione
sui sistemi locali di piccole e medie imprese, gli studiosi, non solo italiani, hanno richiamato la prima concettualizzazione di Marshall (1920)
sui distretti, sottolineando come egli, nel mettere in luce i fattori agglomerativi che potevano spiegare il fenomeno, fosse interessato ai fattori
informativi legati alla spontanea circolazione dell’innovazione e delle
conoscenze produttive.
Più di recente, con opportuni approfondimenti (Brusco, Paba,
1991), è stato richiamato il modello di Hirshman (1958) che, anziché
legare i processi di sviluppo alla concezione neoclassica circa il ruolo
della scarsità di capitale e della abbondanza di lavoro li legava alla esistenza di fattori di connessione (linkages). Tra i vari fattori di connessione individuati da Hirshman è apparso chiaro, e dotato di notevole valore esplicativo, il ruolo svolto dalle connessioni di produzione che intercorrono tra imprese che forniscono input al processo produttivo di
altre imprese o, che è la stessa cosa, fra imprese che utilizzano output di
altre imprese per il proprio processo produttivo.
Nel bisogno di “provare” la solidità concettuale del proprio lavoro
nel pensiero dei “classici” si è trovato - per tradurre le cose nei termini
della presente relazione - che fattori informativi (Marshall) e fattori di
connessione (Hirshman) - che è come dire: modalità di comunicazione
fra imprese, formalizzate o implicite, mediate in modo consapevole da
401
agenti ed istituzioni o mediate in altri modi dalle reti di relazioni locali
(vale a dire anche dalle caratteristiche del tessuto sociale) - hanno giocato un ruolo non secondario nei processi di sviluppo in genere e in
quelli dei sistemi locali di impresa in modo del tutto particolare.
Non farà meraviglia, allora, trovare che uno fra i primi a concettualizzare il modello dell’impresa-rete abbia sostenuto (Dioguardi,
1986) che, quantomeno nel caso dei sistemi locali di impresa, l’interazione fra le imprese del distretto riveste un’importanza maggiore di
quella che viene spontaneo attribuire all’organizzazione interna delle
imprese stesse.
Lungo questa linea la riflessione sui distretti industriali ha ormai
acquisito la convinzione che la sopravvivenza dei sistemi di impresa, il loro
adattamento alle sempre nuove sfide che provengono dall’ambiente esterno
e il loro sviluppo sono sempre più strettamente legati alla capacità di
captare l’innovazione e di implementarla a propria volta; sono legati,
inoltre, alla connessa capacità di apprendere nuove competenze, nuovi
processi produttivi, ridefinendo e ricombinando le vecchie competenze.
Sono queste attitudini che consentono alle imprese di cogliere sempre
nuove opportunità o di generare nuovi modi per trarre maggior profitto
dalle opportunità già disponibili. Come è stato scritto ultimamente
(Lipparini, Lorenzoni, 1996) proprio mettendo al centro dell’analisi uno dei
tipici risultati dei processi di apprendimento, formali o informali che siano:
“l’apprendimento non si sviluppa soltanto tramite una logica di learning by
doing, di apprendimento contestuale: la riorganizzazione in chiave reticolare e la multipolarità del processo innovativo interagendo (learning by interacting), utilizzando le proprie abilità relazionali per diventare più veloci,
efficienti ed in grado di differenziarsi rispetto ai concorrenti”.
Contemporaneamente a questo genere di acquisizione, è stato messo in luce (Esposito, Lanzara, 1996) che, affinché possa affermarsi un
processo intensivo di apprendimento o perché si possano articolare reti
imprenditoriali con forti attitudini all’apprendimento “è necessario che
tra le organizzazioni che addivengono allo scambio di conoscenza (il
più delle volte tacita e con forte carattere di criticità e riservatezza per i
singoli processi aziendali) vi sia un forte clima di fiducia e di lealtà e
quindi una attitudine ad instaurare rapporti cooperativi”.
402
Come risulterà chiaro si sta parlando di comunicazione di impresa
e fra imprese anche se non ci si addentra nel tema del rapporto fra comunicazione e leadership.
Rispetto alle cose fin qui dette la ricerca ha portato anche delle
prove a contrario soprattutto quando ha affrontato la questione di come
mai il Meridione non abbia conosciuto - al di là di qualche esempio,
che pure esiste - la ricchezza dello sviluppo che l’Italia centro-nord
orientale ha conosciuto attraverso lo strumento dei distretti.
Secondo Bruni e Mazzola (1997) “la debolezza della struttura produttiva dell’area meridionale è legata alla carenza di stabili relazioni fra
le imprese, quali quelle offerte, ad esempio, dai rapporti di subfornitura.
Non a caso la letteratura ha richiamato più volte questo aspetto ricordando come il successo del modello delle regioni del nord-est e centro
Italia si basi sulle sinergie e sulle connessioni produttive che si sono
stabilite fra le aziende”. E proprio questa premessa che fa trarre agli autori una significativa conclusione come risultato della loro osservazione: “La povertà di iniziative imprenditoriali nelle aree arretrate spinge
piuttosto le poche aziende esistenti a seguire uno sviluppo integrato e a
concentrare le diverse fasi della produzione all’interno della singola
azienda”. Che è in buona sostanza la conclusione cui erano pervenuti
nell’anno precedente Ciaccio e Chiri (1997) nello studiare un gruppo di
imprese manifatturiere di successo della Sicilia. In ambedue i casi i due
studiosi sopra citati avevano constatato che in ragione proprio del modesto tessuto di relazioni che le aziende analizzate intrattenevano con
l’ambiente esterno in genere, compreso quello economico produttivo, si
finiva per trovarsi di fronte ad una situazione in cui non si innescava
alcun processo di diffusione dei modelli imprenditoriali anche quando
questi erano modelli di successo.
Come è facile vedere sia con gli esempi in positivo sia con quelli
in negativo emerge con chiarezza il ruolo che la comunicazione d’impresa ha nel favorire il successo dei sistemi di piccola e media impresa.
Resta peraltro sospesa la questione di chi sia il titolare della leadership
in queste situazioni, cioè quali siano i soggetti e quali le loro effettive
modalità d’azione; in definitiva di chi sia la leadership dei processi di
comunicazione.
403
Di recente uno studio sulle strategie di internazionalizzazione dei
sistemi di piccole e medie imprese, affrontando per altre ragioni e quindi indirettamente il tema della leadership di tali sistemi, affermava, nel
procedere alle conclusioni: “la tesi forte che sosteniamo è quella secondo la quale l’evoluzione di un intero sistema locale è determinato da un
gruppo più o meno grande di imprese eccellenti (riconosciute in qualche modo come campione di riferimento)”. (Balloni, Cucculelli, 1998).
La tesi forte appena citata indica i soggetti che detengono la leadership ed è una buona ipotesi nella prospettiva del presente testo, ma
ci si può domandare se tale ipotesi sia vera in assoluto o se sia vera solo
nella fase attuale di evoluzione di alcuni sistemi d’impresa.
Se però si riflette sull’arco complessivo di tempo che va dal momento in cui si comincia a percepire (primi anni ‘60) e poi a studiare
(seconda metà degli anni ‘60) il fenomeno dei distretti industriali, alla
fase attuale, in cui tale realtà è sempre meglio studiata, conosciuta e letteralmente monitorata, diventa spontaneo porsi domande su chi inizialmente abbia svolto una funzione di leadership, sul come siano emerse
le varie forme di leadership (perché è certo che non c’è stato un solo
modello), sul come sia stata esercitata la leadership in particolare sul
piano della comunicazione d’impresa.
Le risposte a domande quali quelle esemplificate sono tutte da costruire, ma almeno una ipotesi in molti casi dovrà essere vagliata. Quella cioè relativa al ruolo che i soggetti collettivi o istituzionali - e quindi
non strettamente imprenditoriali e proprietari - hanno svolto. E’ assai
probabile che un forte ruolo iniziale, soprattutto di tipo comunicativo (e
quindi sempre legato alla capacità e al ruolo di leadership) sia stato
svolto, spesso certo non sempre (basti pensare al caso di Carpi) da figure particolarmente illuminate e innovative operanti nelle associazioni
imprenditoriali, nelle associazioni di categoria, nelle Camere di commercio, negli Enti locali. Questa ipotesi si basa più ancora che su qualche esperienza diretta, sul ruolo svolto dagli studi e dalle ricerche relativi ai sistemi locali d’impresa: studi che hanno avuto proprio il genere di
committenti sopra evocato.
L’innovazione più decisiva, sul piano della comunicazione, è stata
quella iniziale che ha consentito i primi studi e le prime ricerche; poi
sulla strada aperta da questa prima innovazione si è assistito ad un fiori404
re di ricerche, saggi e in generale pubblicistica di ottimo livello scientifico teorico che fa onore a larghe frange della cultura sociale ed economica dell’Università italiana.
Ebbene si può formulare l’ipotesi che tale innovazione sul piano
della comunicazione sia stata decisiva in più di un caso, perché proprio
gli studi e le ricerche hanno contribuito a dare una nuova definizione
della realtà economica e sociale.
Studi e ricerche non hanno cambiato la realtà, ma hanno ridefinito
il modo di leggerla, e avendo dato nuova identità ai soggetti economici
che in essa freneticamente operavano, non solo hanno assegnato un significato meta-aziendale ai soggetti imprenditoriali, hanno anche conferito un ruolo e una dimensione visibile da protagonisti a una miriade di
individui dotati di enorme vitalità economica, ma privi di sufficiente
apprezzamento sociale e di riconoscimento pubblico.
Si può ritenere che questa grande operazione di comunicazione
non solo sia il risultato dell’esercizio effettivo della capacità di leadership, ma abbia anche contribuito - si badi bene contribuito - ad assicurare una modificazione dell’ambiente sociale, culturale e politico che ha
giocato in senso favorevole al successo economico.
Senza dubbio c’è molto da lavorare nell’area appena indicata, senza doversi arrestare all’avvertimento: hic sunt leones.
5.2 La comunicazione del sistema imprenditoriale come soggetto
collettivo
Proprio le considerazioni sviluppate con riferimento alla piccola
impresa e in particolare ai sistemi territoriali di piccola e media impresa
(che tanta importanza rivestono per l’economia e per lo stesso assetto
sociale del Paese), aiutano ad introdurre il discorso sulla seconda area
di comunicazione di impresa, tanto rilevante quanto poco esplorata sul
piano della ricerca empirica: l’area della comunicazione messa in essere
dal sistema imprenditoriale visto come un grande soggetto collettivo, o
almeno come un insieme di grandi soggetti collettivi.
Nel caso della piccola e media impresa, si può avere un’impressione, certamente sbagliata, di afonia e il vero problema, come si è visto, è
405
capire chi e come comunica, per lo meno quando la comunicazione
circola nel sistema reticolare delle imprese o quando è rivolta all’ambiente sociale, culturale, economico e politico circostante e chi verso tale ambiente - decisivo per l’affermazione della piccola e media impresa
- assume il ruolo di leader.
Nel caso invece della impresa come soggetto collettivo dalle dimensioni e dalla rilevanza nazionali, si ha l’impressione opposta di un
soggetto che comunica molto spesso, di frequente in modo stentoreo e
con una pluralità di voci e di accenti. Apparentemente, in questo secondo caso, risulta con chiarezza chi sta comunicando e che cosa sta comunicando; e resta però l’incertezza se si sia in presenza di un vero esercizio della prerogativa di comunicare, propria di chi ha la leadership.
Sta di fatto, in ogni caso, che manca una riflessione sui processi di
comunicazione messi in essere in nome e per conto dei grandi soggetti
collettivi: le grandi confederazioni, le associazioni delle grandi categorie produttive.
Quando si dice che manca una riflessione si vuol dire che manca
una rilevazione sistematica dei processi, dei contenuti, degli obiettivi,
degli strumenti e dei soggetti; sicché si può procedere solo per impressioni ed ipotesi.
Per evitare che il presente paragrafo sottolineando la mancanza
delle analisi che impediscono la costruzione di un discorso a tutto tondo
sulla comunicazione d’impresa - a tutto tondo, tale cioè che veda sia le
singole imprese, sia il sistema nazionale delle imprese - assuma il tono
di un lamento, peraltro rivolto a destinatari imprecisati, si cercherà di
procedere come nel paragrafo precedente lungo la formulazione di prime, prudenti ipotesi interpretative.
La prima da prendere in considerazione può essere formulata nei
seguenti termini: nella misura in cui i processi di comunicazione, che
attraverso i grandi soggetti collettivi emanano dal mondo dell’impresa,
sono del tutto evidenti, notevolmente numerosi e talvolta addirittura
massicci, c’è da domandarsi se la questione di chi abbia la leadership e
quindi eserciti la prerogativa di definire le politiche e le strategie della
comunicazione, non debba essere risolta spostando l’attenzione non
tanto su “chi si prende la parola”, ma su chi risulta essere in grado di
406
determinare l’agenda dei temi in discussione, dei temi cioè su cui poi si
articola in concreto la comunicazione.
Qualora si accetti di percorrere questa ipotesi, si vede come ne derivino due significative conseguenze. Da un lato lo studio dei temi su
cui si sviluppano i processi di comunicazione diventa un momento conseguente e successivo che serve soprattutto per capire quale cultura esprimano i grandi soggetti collettivi e come (e se) tale cultura interpreta, e in modo efficace, gli interessi del mondo produttivo; piuttosto che
per capire chi è che sta esercitando la leadership. Dall’altro lato si percepisce subito che la leadership è più articolata e che, come in parte si è
potuto vedere nel caso della piccola e media impresa, in qualche misura, di sicuro non marginale, fuoriesce dalle imprese.
Se infatti, si accetta l’ipotesi che - quanto meno a livello dell’ambiente esterno delle imprese - la leadership emerge nella misura in cui
si è in grado di determinare l’agenda dei temi della comunicazione, si
vedrà subito che tale agenda è determinata dal complesso gioco relazionale che si svolge fra soggetti istituzionali - non solo nazionali - e soggetti che agiscono come esponenti del mondo delle imprese, quale che
sia il modo in cui è definita la loro rappresentatività.
Più in particolare si potrà costatare che l’agenda è determinata da
soggetti e da fatti istituzionali, oltre che da soggetti espressi dal mondo
dell’impresa. Nel procedere occorrerà tener presente che l’interazione
fra i soggetti e i fatti citati è di tipo circolare e che quindi più che dell’ordine con cui se ne parlerà (in qualche misura soggettivo e casuale)
sarà significativo, anche se incompleto, l’elenco che ne scaturirà.
Si può cominciare in ogni caso ricordando che, fermo restando
l’oggetto e cioè la comunicazione d’impresa e i suoi contenuti, le forze
politiche sono fra i soggetti che riescono a dare un contributo non trascurabile alla definizione dell’agenda: più in particolare occorre tener
conto delle complesse relazioni che intercorrono fra Governo, partiti
politici di maggioranza o di opposizione, gruppi parlamentari. Quanto
ai fatti istituzionali basterà citarne due: le competizioni elettorali e gli
accordi internazionali, con particolare riferimento in questi nostri anni
ai processi di costruzione europea e in particolare agli accordi che hanno portato alla costruzione della moneta unica. Parlare di fatti istituzio407
nali è una notevole semplificazione del discorso perché a tutti è evidente che si tratta di fatti messi in essere e prima ancora inseriti in agenda
(per stare all’espressione scelta) da statisti e da forze politiche: questo
per chiarire, ancora più marcatamente, che stiamo parlando di fatti che
hanno una chiara origine soggettiva, anche se i soggetti hanno rilevanza
e spesso natura collettiva, non stiamo invece parlando di terremoti o di
maree, cioè di fatti oggettivamente indiscutibili e non influenzati né determinati dall’uomo e dalle sue organizzazioni.
E’ infine pacifico che alla definizione dell’agenda concorrano le
grandi organizzazioni economiche: dalle grandi imprese - spesso capaci
di comunicare in proprio anche a livello dei processi comunicativi qui
evocati - alle grandi confederazioni d’impresa o alle grandi organizzazioni professionali o di categoria. Sarebbe infine un errore dimenticare
le grandi associazioni o addirittura i movimenti che mutuano la loro
forza dai grandi mutamenti culturali delle moderne società e dalla capacità con la quale se ne fanno portatori, anche al di là dei meccanismi
collaudati e tradizionali di rappresentanza. Basterà, anche qui a titolo di
esempio, ricordare le associazioni e i movimenti ambientalisti o le associazioni e i movimenti femministi. Forse inutile ricordare l’impatto della cultura ambientalista sui problemi dell’economia e delle imprese in
particolare, mentre sono certamente da sottolineare i problemi destinati
a crescere, che la nuova cultura sul ruolo sociale della donna finirà col
porre al mondo dell’impresa e della produzione; a tal proposito il tema
delle pari opportunità è da considerarsi solo un preavviso, anche se per
ora non sembra preoccupare l’impresa e l’economia.
Imporre l’agenda o in altri termini mettere all’ordine del giorno i
temi in discussione è già un momento forte della comunicazione e un
modo per affermare la propria leadership.
Se, al livello di riflessione proposto, questo modo di guardare e
valutare i processi di comunicazione d’impresa sembra spostare “in alto” e in qualche misura “fuori” dal mondo aziendale leadership e ruolo
del comunicatore, ciò non vuol dire che una volta determinata l’agenda
(quale che sia il soggetto che più e meglio ha saputo imporre i temi della discussione), comunicazione e leadership diventano compiti di secondo ordine: si può subire l’agenda e le priorità imposte da altri, ma
408
resta aperto tutto lo spazio legato alla discussione dei temi all’ordine
del giorno e, in tale fase, le capacità di comunicazione, di analisi, di argomentazione, di proposta, di negoziazione, cammineranno tutte sulle
gambe di chi avrà capacità di leadership.
I pochi e solo evocativi accenni ai soggetti e ai fatti che hanno la
capacità di determinare l’agenda della comunicazione economica in generale e di impresa - in particolare, se ci si pone dal punto di vista di chi
fa economia producendo beni e servizi - consentirebbero di definire immediatamente nuovi campi e temi su cui avviare quella riflessione che è
preliminare alla redazione di un Rapporto quale il presente.
Manca è vero una serie di sistematiche rivelazioni empiriche che
consentano di evitare di procedere in modo impressionistico o puramente soggettivo. Un Rapporto in senso proprio sugli aspetti di cui si è
sottolineato lo scarso approfondimento e la carenza di rilevazioni e studi sistematici dovrà attendere, ma forse si può uscire dal vago esemplificando temi su cui sarebbe interessante attirare l’attenzione sia per la
loro rilevanza, sia per la loro inspiegabile latenza.
Sarebbe interessante, ad esempio, riflettere su come i temi e i tempi messi all’ordine del giorno dagli accordi di Maastricht siano stati fatti propri dal Governo, da una larga parte delle forze politiche e da una
larga parte del mondo delle imprese, al punto di diventare un elemento
di gerarchizzazione delle decisioni, dei comportamenti e dei temi del
dibattito. Se ci si ferma alle apparenze e si ragiona in base allo schema
post hoc ergo propter hoc Maastricht perde il suo significato politico istituzionale per divenire una sorta di a priori indiscusso e imperscrutabile. Maastricht in realtà è un esito di scelte politiche e al tempo stesso
il passaggio obbligato per raggiungere un traguardo politico, economico
e istituzionale che ha dell’incredibile: tale essendo la volontaria e consapevole dismissione - a vantaggio di una nuova e ancora non sperimentata istituzione - di una porzione di sovranità nazionale: quella afferente alla moneta, alla politica monetaria e per tal via, anche se in modo
indiretto, alla politica economica tout court.
E’ stata la scelta di un obiettivo politico di così enorme rilievo - un
fatto storico senza precedenti - a far sì che sia divenuto del tutto ovvio
definire e al tempo stesso accettare politiche di convergenza sul piano
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dei conti pubblici: cioè di quei conti che, in caso diverso, avrebbero potuto far nascere una moneta unica, gracile e, quindi, senza serie prospettive.
Studiare se e come la comunicazione d’impresa ha valutato, accompagnato, valorizzato l’obiettivo della moneta unica è una cosa che
merita di essere fatta; come merita di essere fatta una seria e documentata valutazione del ruolo di chi ha promosso o posto in essere tale obiettivo. Si tratta infatti di capire le ragioni ideali e pratiche e, ancor prima, il clima culturale e politico che hanno ispirato tali ragioni e che
hanno imposto tale obiettivo; dato che questi sono i fattori che hanno
reso vittorioso l’obiettivo indicato e, per certi versi, l’hanno reso invincibile. Se è vero, come è vero almeno in Italia, che le mobilitazioni, che
pur contro tale obiettivo ci sono state, hanno dovuto elaborare una retorica accattivante (la priorità dello sviluppo nazionale, dell’occupazione
e simili) e comunque non hanno avuto seguito e sono scivolate come
acqua sul vetro, anche quando sono scesi in campo leader di impresa di
non scarso peso.
Al di là dell’emergere di posizioni diverse, si può affermare, anche
se mancano apporti empirici raccolti in modo ordinato e quindi idonei a
confortare quanto si dirà, che la comunicazione d’impresa abbia accettato l’agenda, condiviso l’obiettivo e ne abbia rafforzato la validità e la
condivisibilità, nella misura in cui lo ha usato, come lo ha usato, per
sollecitare il Governo e le forze politiche a comportamenti congruenti
con tale obiettivo. Nel suo complesso, quindi, il mondo dell’impresa
può non aver avuto un peso decisivo nel determinare l’agenda, ma è poi
stato notevolmente determinante nel contribuire al successo dei processi politici, economici, organizzativi e comunicativi che derivavano
dall’aver posto all’ordine del giorno il tema della moneta unica.
Ci si è voluti soffermare sul principale tema - e su quello che più
incisivamente ha generato effetti di grande rilievo per il mondo delle
imprese - fra quelli che hanno chiamato in causa leadership e capacità
di comunicazione a tutti i livelli dei soggetti istituzionali, politici, economici ed amministrativi.
Sarebbe a questo punto poco utile evocare altri temi e soprattutto
trattarli in modo generico e soggettivo, visto lo scarso (e forse inevita410
bilmente scarso) lavoro di documentazione, rilevazione empirica e riflessione che su di essi è stata operata: non sui temi in sé - è il caso di
ricordarlo -, ma sul modo in cui tali temi hanno mobilitato processi e
soggetti della comunicazione d’impresa. Dal tema dell’imposizione fiscale ai temi del mercato del lavoro la capacità di comunicazione che il
mondo delle imprese ha messo in campo è stata tanto significativa,
quanto poco fatta oggetto di studio e riflessione.
Merita però una segnalazione il modesto impegno della comunicazione su due temi fra loro connessi che hanno scosso il mondo dell’economia (il primo) o che rappresentano una permanente minaccia sia per
la vita delle singole imprese come per lo sviluppo del complessivo apparato produttivo del Paese.
Non si andrà oltre qualche sintetica indicazione, ma può risultare
persino preoccupante percepire certe latenze, soprattutto se riflettendo
sulla comunicazione d’impresa si riflette inevitabilmente anche sul modo in cui tale comunicazione è funzionale agli obiettivi di lungo termine dell’impresa e degli imprenditori, dell’economia produttiva e del suo
sviluppo.
E’ indubbio che dal ‘92 sia stato posto all’ordine del giorno il tema dei rapporti fra economia e politica; proprio perché è emerso che
spesso tali rapporti abbiano finito per inquinare ambedue i soggetti tra i
quali intercorrevano. Non c’è da menar scandalo per il fatto che (né per
il modo in cui) il tema sia stato messo in discussione. E’ però preoccupante che sia emersa una così scarsa capacità di leadership nel determinare l’agenda e nello specificare i temi e tempi dei processi di comunicazione: il mondo dell’impresa per parte sua è sembrato afono come se
il tema non chiamasse in causa problemi relativi alla capacità di regolazione - nel senso letterale di generazione di regole e non di decisioni discrezionali o addirittura occulte - dello Stato, alla trasparenza del mercato e alla distorsione della concorrenza; tutti temi non certo indifferenti per la vita quotidiana delle imprese.
E’ altrettanto indubbio che la criminalità organizzata è tema da
tempo in discussione; non mancano purtroppo episodi criminosi, ma
anche studi in materia che continuano a ricordarci questa triste realtà.
Per la verità non mancano neppure numerose e relativamente diffuse
411
prese di posizione di vari esponenti del mondo dell’impresa, così come
non mancano prese di posizione di politici nazionali e locali in materia.
Si ha però l’impressione che il problema venga posto secondo i collaudati canoni interpretativi e operativi della sicurezza delle persone e delle cose, della tutela dell’ordine pubblico, della repressione di polizia,
dell’impegno della magistratura. Quello che crea stupore, sempre ragionando in termini di comunicazione d’impresa, è che non venga definita
una diversa agenda e un diverso ordine di temi.
Imprese e imprenditori quando, come spesso avviene, si trovano di
fronte a certe situazioni - dal racket estorsivo all’imposizione di fornitori; dall’intimidazione propedeutica all’esproprio della titolarità dell’impresa, all’imposizione di personale “di fiducia”; dalla surrogazione
del mercato inteso almeno come indicatore dei prezzi, alla “offerta” di
sicurezza e/o di mediazione - non si trovano di fronte ad episodi di criminalità sia pure organizzata; si trovano davanti a un secondo Stato che
impone le sue regole, il suo ordine, le sue tasse e i suoi servizi.
Imprese e imprenditori non mancano di lamentarsi per le regole, le
tasse e i servizi dello Stato italiano; fondate o meno che siano queste lamentele è certo che non possono letteralmente sopravvivere se devono
accettare anche le regole, i servizi e le tasse di un secondo Stato, certamente meno accomodante del primo.
L’impressione è che lo sforzo di adattamento e la ricerca delle linee di minor resistenza sia, ai livelli individuali, diffuso e forse preminente.
E’ questo un caso in cui una leadership capace di parole e di gesti
che ridefiniscano la situazione e che conferiscano un nuovo e più corretto
significato ai fatti, porrebbe le premesse indispensabili per avviare il superamento della situazione. E la leadership è sempre di chi la esercita.
E’ facile vedere come una riflessione sulla comunicazione d’impresa che non sia centrata esclusivamente sulla contemplazione del proprio ombelico - l’azienda e i processi organizzativi e comunicativi che
avvengono al suo interno - ha un ampio spazio per lo studio, l’analisi e
l’interpretazione della realtà economica e sociale, restando pur sempre legata a ciò che le è proprio: chi comunica, che cosa comunica, con chi comunica, con quali mezzi, in vista di quali obiettivi, e con quali risultati.
412
CAPITOLO VII
ANALISI SETTORIALE
LA COMUNICAZIONE
NELLE BANCHE ITALIANE
413
Forse mai come in questi anni Novanta il sistema bancario ha dovuto misurarsi con la ineluttabile esigenza di gestire flussi di informazioni, da e verso l’azienda, in costanza di grandi cambiamenti istituzionali e organizzativi.
Le ragioni risiedono in una lunga catena di eventi che ha prodotto,
e continuerà a produrre, anche negli anni a venire, effetti rilevanti sui
meccanismi e sulle procedure di una nuova comunicazione d’impresa
che, per la verità, non è ancora uscita del tutto dalla sua fase di rodaggio:
• la legge Amato (1990), che ha dato forma al nuovo capitolo delle
privatizzazioni;
• l’appuntamento comunitario, che ha spalancato le porte alla liberalizzazione dei mercati finanziari europei (1993) e alla più recente adozione di una moneta unica;
• le complesse trasformazioni aziendali legate ai processi di fusione, incorporazione e acquisizione;
• la conseguente ricerca di un sano equilibrio dei costi operativi, primo
tra tutti quello del personale, con necessità di gestirne opportunamente quelle eccedenze che limitano, non meno di altri fattori, le capacità
competitive aziendali.
A fronte di questo autentico “maremoto” del sistema creditizio, sarebbe azzardato attendersi che una realtà imprenditoriale, pur se impeccabile sul piano organizzativo, possa avere vita facile nel conciliare strategie operative - non sempre preventivabili per tempo, quindi sperimentali con la gestione di informazioni che, per ragioni culturali e di tradizione,
sono state invece sempre considerate ermetico patrimonio aziendale.
415
Proprio nel momento in cui il necessario cambiamento strutturale
delle imprese bancarie ha iniziato a dispiegare i propri effetti su un elemento portante dell’azienda bancaria, qual è la risorsa umana, si è registrato lo scatenarsi di una grande corsa alla salvaguardia e alla salutare
valorizzazione del dialogo con i dipendenti.
E non lo testimonia soltanto la forte ripresa dell’editoria interna, di
cui si dirà più avanti. A segnare l’inversione di tendenza, anche se in
forma indotta, si è mossa una serie indefinita di iniziative comunicazionali basate su scelte innovative, che vanno dallo sviluppo di un marketing interno che privilegiasse le relazioni interpersonali all’utilizzo di
più moderni sistemi informativi (posta elettronica, giornale telefonico,
Intranet), secondo modalità sempre più ispirate ad un modello di “comunicazione organizzativa”.
Importate ormai in buona parte delle aziende bancarie di maggiori
dimensioni, le nuove teorie di una comunicazione più sensibile alle esigenze di riorganizzazione sembrano essere risultate per il settore creditizio-finanziario la formula vincente o, quantomeno, quella più apprezzata in termini di risultati immediati.
Era stato del resto il mutamento di regole dei mercati interno e internazionale a fornire con largo anticipo una serie di suggerimenti al Sistema,
in una prospettiva di inevitabile concorrenzialità, ponendo al primo posto
in assoluto il bisogno di maggiore interazione tra i dipendenti, affinché venissero abituati a comunicare e a lavorare in “situazioni di gruppo”.
Il nuovo orientamento sembrerebbe quindi legato ad uno sviluppo
“lungimirante” della cosiddetta learning organization, imperniata appunto sulla costruzione di una realtà aziendale animata al suo interno da
processi “organizzati” di apprendimento, basati su un concetto di cambiamento, anche autonomo, del modus operandi di ciascun dipendente.
E’ in effetti proprio questa flessibilità operativa dei singoli, sostenuta da una giusta esaltazione del loro “potenziale creativo”, che può,
soprattutto oggi, “fare la differenza” con il passato, proprio in quanto si
è in presenza di una delicata fase di riposizionamento in termini di organizzazione e di produzione di servizi.
Senza dover scendere in questa sede nell’analisi di singoli casi aziendali, è bene sottolineare che alcune grandi realtà del comparto han416
no più che compreso come una pianificazione tempestiva e coerente degli obiettivi di comunicazione interna, del tipo ora delineato, contribuisca a rendere meno conflittuale il superamento di emergenze di stati di
crisi che derivino da riassetti societari o da riorganizzazioni e ridimensionamenti aziendali.
Ma il raggiungimento dell’eccellenza è sicuramente ancora lontano. Per ottenere risultati apprezzabili, la grande maggioranza delle piccole-medio imprese bancarie vive ancora una fase di scoperta del nuovo
stile di comunicazione. Stenta ancora a decollare il convincimento che
occorre far leva sull’elemento partecipativo, fondato sulla disponibilità
ad un dialogo costruttivo, non solo di facciata, tra Capo e collaboratori
e tra questi ultimi, moltiplicando le occasioni di confronto interpersonale, che sono poi quelle che esaltano le qualità professionali e agevolano
quindi qualsiasi processo di problem solving.
E’ del resto innegabile che il mondo della finanza - come è avvenuto per quello industriale molto tempo prima - si stia progressivamente abituando alla necessità di rimuovere l’antico principio tayloristico di
una rigida divisione del lavoro, dove c’è chi predispone, che vigila e
tanti che eseguono. La domanda di flessibilità organizzativa imposta dal
mercato e dalla concorrenza presuppone infatti che ogni persona, a qualunque livello gerarchico appartenga, si faccia portatrice di un reale valore aggiunto, eliminando nel contempo una serie di passaggi operativi
che, alla distanza, si sono rivelati superflui e persino diseconomici.
Un effettivo rilancio delle relazioni interpersonali nel Sistema del
credito deve però ancora sciogliere un nodo importante; al di là delle
modalità e degli strumenti di comunicazione utilizzabili, la partita si sta
ancora giocando sul ruolo e sulle capacità di chi è investito della funzione di comunicazione interna, sia che si tratti del vertice rispetto
all’impresa o del manager nei confronti dei propri collaboratori.
Sia che si faccia più frequente ricorso ai “rapporti tra le persone”
(confronti one to one, riunioni collegiali d’area, convention), o che si
continui a privilegiare la “comunicazione scritta” (house organ, newsletter, circolari, ecc.) - comunque rispettando il valore sinergico delle
due soluzioni - l’attenzione deve essere più costantemente focalizzata
sulla verifica dei modelli comportamentali del comunicatore. E, in que417
sta direzione, proprio l’ASCAI ha prodotto una significativa ricerca focalizzando il delicato tema dei rapporti tra leadership e comunicazione
interna, coinvolgendo anche moltissimi rappresentanti del mondo bancario e finanziario.
Le imprese che appartengono a questo mondo e che intendono avviare o migliorare i processi comunicazionali interni, più che sulle modalità e sugli strumenti di esercizio, sono quindi invitate oggi a riflettere
sulle qualità soggettive del comunicatore. Da una loro continua verifica
dipenderà una più efficace risposta alle esigenze dell’utenza bancaria, la
cui soddisfazione resta sempre e comunque l’obiettivo di fondo da
raggiungere.
Non si tratta di abbandonare o rinnegare completamente le strategie del passato. E’ ancora lontano il pensionamento dei giornali aziendali e delle newsletter. Ma è essenziale che i loro contenuti diventino il
vero specchio di un confronto aperto e partecipativo, che ha nell’elemento umano il protagonista assoluto.
Non si può negare che il ritardo di crescita complessiva in termini
comunicazionali esiste e che è ancora sensibile il divario rispetto ad altre realtà produttive.
Tra le ragioni di fondo emerge senz’altro il lento cambiamento culturale, che vuole una gran parte di quanti vivono nell’impresa bancaria
ancora poco propensi ad abbandonare comportamenti consolidati da molti anni di certezze, e alimentati da un tessuto organizzativo rigido e gerarchico-dipendente. La strada è insomma ostacolata da logiche piramidali
difficili da smantellare, dove il flusso dei messaggi è regolato ancora da
un andamento top-down, di carattere dispositivo anziché informativo o di
scambio, in ragione dell’obiettivo primario dell’efficienza della struttura.
Non c’è dubbio che la sfida della comunicazione interna, pur offrendo il vantaggio di creare un circolo virtuoso di una realtà imprenditoriale altamente esposta alla concorrenza, pena il suo facile ridimensionamento, ha bisogno di un binomio “persone-processi” che la rendano effettivamente operante, al punto di adottarla come leva manageriale, nell’interesse dell’azienda e di quanti vi lavorano.
In questa visuale, è bene però avere chiaro il panorama di un Sistema che per i forti mutamenti che lo contraddistinguono, cui si accenna418
va, si diversifica molto al suo interno, in ragione delle diverse esposizioni al mercato di riferimento.
In un recente studio promosso dall’Associazione Bancaria Italiana1 è stata ipotizzata una più che attendibile tripartizione delle banche italiane, in funzione delle scelte operative adottate, in aziende istituzionali, marketing oriented e customer oriented.
Ne è emerso in particolare che il movimento verso l’alto della
classifica degli istituti di credito ha premiato negli ultimi due anni chi
ha realizzato organizzazioni più vicine al cliente, ovvero nelle operazioni di front line, dove atteggiamenti, comportamenti e comunicazione
hanno il punto di maggiore criticità organizzativa.
Il confine tra comunicazione interna ed esterna ha determinato negli operatori delle banche un vissuto che ha condizionato inevitabilmente il loro modo di porgere, proporre o promuovere i servizi e i prodotti
al pubblico. Allo stesso tempo ha favorito in loro lo sviluppo della comprensione tra atteggiamento privato/imprenditoriale di mercato e pubblico/burocratico/istituzionale, in un mondo dove le privatizzazioni
possono addirittura trasformare i clienti in azionisti e la corretta percezione dell’immagine della banca diventa sempre più determinante e
complessa da comunicare: anche perché deve avvenire attraverso canali
sempre più numerosi e sempre meno formalizzati e prevedibili.
In modo diffuso, nelle banche si fa quindi strada la comprensione
che la difficoltà ad integrare la comunicazione esterna e quella interna
si basa su una variabile fondamentale, legata al codice linguistico adottato e non alla funzione. In altri termini, finché non esiste percezione ed
uso consapevole di un codice non è possibile individuare un confine
chiaro tra interno ed esterno.
La ricerca di questo codice si muove però intorno ad un binomio
ricorrente nel Sistema e, naturalmente, non solo per ciò che riguarda il
tema della comunicazione interna: la Banca istituzionale, ovvero il genotipo in via di superamento di un organismo che “opera in quanto esiste”, senza bisogno di giustificazioni; la Banca impresa, cui è invece richiesto di operare per continuare ad esserci.
________
1. Associazione Bancaria Italiana, Il flusso della comunicazione interna nelle banche, Ed. Bancaria Editrice. Roma 1997.
419
Sembra che la tendenza verso questo secondo modello, legato ad
evoluzioni legislative e di mercato, sia confortato anche da una analisi
dei prodotti di comunicazione interna. Uno sguardo d’insieme offerto
dallo studio ABI evidenzia come questa sia cambiata negli ultimi anni,
probabilmente in senso radicale rispetto ad aziende di altri comparti.
Le banche dimostrano infatti di aver acquisito la capacità di utilizzare mezzi di comunicazione diversi per raggiungere obiettivi diversi. Tanto
per fare un esempio che approfondiremo in seguito, il ricorso alla tipica
rivista bancaria, che vuole simulare l’house organ tradizionale con intenti
solo autocelebrativi e di prestigio, è in netta flessione. Dove sopravvive,
lo fa con altri strumenti, in una logica di differenziazione funzionale.
Nei prodotti di comunicazione interna realizzati da banche che
hanno meglio assimilato il passaggio dalla connotazione istituzionale a
quella imprenditoriale, sono molto evidenti alcune linee di comportamento:
• impegno in direzione della motivazione del dipendente;
• ricerca di un consenso convinto;
• accento sulla formazione, come leva di appartenenza e di miglioramento della performance.
Gli intenti descritti sono affrontati in termini e modi rigorosi, dai
quali risulta uno sforzo notevole di pianificazione.
Di frequente, queste banche sanno usare e usano strumenti di comunicazione differenziati, in funzione di obiettivi specifici.
Si riscontra una dichiarata integrazione tra attività di comunicazione ed attività di formazione.
E’ elevata l’attenzione dedicata allo sviluppo di una moderna cultura aziendale nei dipendenti e nella struttura.
Si rileva, tuttavia, un eccesso di “scientificità” nei toni e nei modi
adottati, che rischia di pregiudicare la naturalezza della comunicazione.
Sono, infatti, piuttosto scarsi, se non veramente pochi, i casi in cui il
linguaggio adottato, scritto e grafico, è fluido, accattivante, e, in ultima
analisi, convincente.
Tranne queste poche e felici eccezioni, si possono rilevare alcune
caratteristiche ricorrenti e comuni.
420
La caratteristica più saliente e determinante è questa: il punto di
vista e di partenza per qualsiasi messaggio è, invariabilmente, costituito
dalla soggettività della banca: insomma, dell’io banca, che si declina in
un ricorso massiccio all’uso del pronome “noi”, che ricorre frequentemente nelle testate.
L’intenzione evidente dell’uso di questo “noi” è il rafforzamento
dell’identità, la diffusione dell’appartenenza, dello “spirito di squadra”:
il centro della comunicazione è la soggettività, della quale partecipano
tutte le persone dell’organizzazione della banca-impresa.
Va fatto notare che questo non è l’unico centro possibile di una comunicazione interna: esso potrebbe essere individuato nel cliente oppure nel dipendente, determinando, quindi, modi e toni diversi nell’agire
comunicativo.
La banca, dunque, pensa al suo sviluppo, o alla sua sopravvivenza,
valuta il suo positioning, sul mercato, e agisce: crea, inventa prodotti per il
cliente; crea, inventa strumenti per diffonderli. E’ lecito supporre che questa febbrile attività indirizzata al cliente sia preceduta o accompagnata da
un adeguato ascolto del cliente medesimo e delle sue aspettative, cioè che
preventivamente siano stati analizzati e valutati quali sono i suoi bisogni.
Questa attività di studio esiste senza dubbio, ma non appare, perché non sempre, nei periodici bancari rivolti a tutti i dipendenti, ne rimangono tracce. Detto altrimenti, sono sporadici i casi in cui il cliente
assume un’effettiva centralità nella comunicazione, in cui si cerca di
comprendere che cosa vuole o vorrebbe davvero. Nonostante le dichiarazioni, il cliente rimane un dato socio-statistico, e quello che si trasmette è orientamento al mercato piuttosto che al cliente.
In questo modo, il messaggio reale che viene trasmesso al dipendente non è la necessità o la disponibilità ad interagire con il cliente, quanto
quello di vendergli prodotti, ricorrendo a tecniche di vendita aggiornate e
sofisticate. A questo scopo, nulla è lasciato al caso: i toni divengono aggressivi, al dipendente vengono forniti, attraverso la comunicazione interna, tutti gli strumenti per sedurre il cliente, gli strumenti necessari, gli argomenti di vendita, le tecniche di vendita, insieme alle procedure.
Allo stesso tempo, vengono fornite anche le procedure, perché
questo approccio al cliente sia standardizzato, uguale, controllabile, attraverso circolari che vengono chiamate “informative”.
421
Per riassumere, in altre parole, al dipendente vengono forniti, attraverso la comunicazione interna, tutti gli strumenti necessari (argomenti di
vendita, tecniche, materiali promozionali) così come le procedure da applicare per un corretto ed efficace svolgimento dell’attività: gli strumenti
vengono forniti attraverso i periodici interni oppure utilizzando strumenti
promozionali realizzati ad hoc: le procedure vengono comunicate attraverso circolari o “informative” precise, direttive e molto dettagliate.
Da quanto detto, si ricava l’impressione di una certa polarizzazione:
da un lato la “banca”, entità pensante superiore, che, talvolta si incarna
nel top manager o nel presidente, dall’altro, il dipendente in prima linea,
quello che deve affrontare il cliente, convincerlo e possibilmente fidelizzarlo, utilizzando, in modo corretto, cioè nel rispetto delle procedure, gli
strumenti di seduzione che la banca gli mette a disposizione.
La comunicazione scritta
E proprio su questi - satelliti principali del pianeta della comunicazione in banca - è bene ora soffermarci per scoprire come le aziende di
credito, attraverso il tradizionale strumento editoriale, hanno iniziato a
vivere la nuova epoca di cambiamenti degli anni Novanta, muovendo da
una tradizione editoriale piuttosto giovane, ma sempre molto presente.
Il mondo - forse a torto considerato un po’ fantasma - di un’editoria bancaria fatta di riviste, house organ e newsletter, si è silenziosamente rivelato lo specchio di una sovraordinata e più complessa realtà
in trasformazione.
Il perché lo spiegano alcuni numeri significativi: dal 1970 la produzione editoriale delle aziende bancarie è triplicata e, rispetto alle 21
banche di allora, oggi 63 su cento possiedono un loro periodico, evidenziando un trend di crescita di tutto rispetto, che ha avuto il suo apice
proprio negli anni del grande cambiamento e della crisi economica.
Dal ‘90 al ‘95 hanno infatti visto la luce ventuno nuove testate.
Tante quante ne contava complessivamente il settore prima degli anni
Ottanta, in un’epoca buia, caratterizzata da una scarsa attenzione delle
banche alla “comunicazione scritta”, soprattutto quella diretta ai dipen422
denti penalizzata dal fatto che meno di un’azienda su cento disponesse
di un periodico riservato al personale. E’ evidente che in quegli anni
caldi delle lotte sociali era molto più attiva nelle banche l’informazione
di matrice sindacale, piuttosto che datoriale.
Le cose non sono andate meglio durante gli anni Ottanta. Passati
alla storia come periodo di esaltazione dell’immagine aziendale, essi testimoniano infatti la nascita di appena dieci nuove testate bancarie. Atteggiamento in controtendenza quindi rispetto ad altri comparti produttivi, ma forse dettato da una residuale forma di chiusura alle innovazioni tecnologiche e contenutistiche che stavano sconvolgendo il panorama complessivo dell’informazione.
Per gli operatori della comunicazione, la più recente inversione di
tendenza non può che essere presa come un segnale positivo se si pensa
come la banca, ritenuta per tradizione “roccaforte tra le imprese” sia stata
in grado di offrire segnali di vitalità e di apertura proprio in costanza di
delicate, nuove, e non sempre positive performance: fatto che avrebbe
potuto spingere i meno ottimisti a pensarla decisamente al contrario.
Ma la generale crescita del mezzo editoriale in una fase di significative trasformazioni societarie e di mercato non è il solo fenomeno
positivo.
Tre tipologie di media
La banca editrice si è progressivamente mossa nel tempo verso la
creazione di una pluralità di strumenti di lettura, orientati ad una leadership interna ed esterna. E questo è senza dubbio il segnale di una concezione avanzata dell’uso del mezzo informativo, in direzione di una
formula di comunicazione integrata.
Primo per importanza è così risultato il periodico istituzionale, la
“voce”, l’organo ufficiale dell’azienda. Che si tratti di house organ, di
newsletter o di rivista patinata, rappresenta comunque ancora oggi la tipologia editoriale più diffusa, adottata dal 50% delle aziende.
Esiste poi almeno un 40% di riviste cosiddette tecniche, ideate
quale supporto di studio e approfondimento per gli specialisti dell’eco423
nomia e della finanza. Una scelta cui non hanno saputo rinunciare molte banche, specie quelle con tradizioni più lontane nel tempo.
Al residuo 10% appartiene invece la terza tipologia di riviste, definibili d’immagine. Eleganti, gratificamente impegnative, privilegiano la
trattazione di tematiche di ambiente, turismo, arte e storia e appartengono generalmente a banche di dimensione regionale. Sono concepite
piuttosto come un “bene necessario”, a prescindere dai contenuti, che
mai o quasi mai trattano dell’azienda in modo diretto. Come si sottolineava anche in precedenza, prevale la considerazione che questo genere
di prodotto resti fine a se stesso, benché di prestigio e accattivante
quanto a temi trattati e veste grafica.
Le readerships
Quanto ai destinatari dell’editoria bancaria, il dipendente dell’azienda ha sempre un posto in prima fila in qualità di lettore, considerato
che il 50% delle pubblicazioni - comprensivo di un 36% di house organ
e newsletter - raggiunge comunque il personale.
Una quota molto alta è pure riservata a professionisti ed istituzioni
pubbliche, nella identica misura del 38% nel primo caso, a conferma dell’alta produzione di riviste tecniche riservate alla trattazione di tematiche
economico-finanziarie; nel secondo caso, a riprova di quanto sia alto il
numero di banche che si propone di trasferire una buona immagine di sé
alle leve del potere (Governo, Parlamento, enti pubblici) la cui azione ha
pur sempre un ruolo di sostegno ed impulso per il settore.
Per l’utenza si registra invece un target piu basso (28%), dato per
acquisito il fatto che su questo fronte di destinatari resta l’advertising lo
strumento di comunicazione più funzionale all’esigenza di fidelizzare
ed accrescere il bacino della clientela.
I contenuti
Fermo restando l’orientamento dominante verso una readership
interna all’azienda, va comunque detto che è decisamente alto il grado
424
di importanza che molte pubblicazioni aziendali riservano, nei contenuti, alle questioni riguardanti il territorio e la società nel cui contesto operano le rispettive banche editrici. Si tratta del resto di due preziosi riferimenti per l’attività creditizia, soprattutto in considerazione del marcato localismo che caratterizza l’operato di molti istituti di medio-piccole dimensioni.
Più in generale, è comunque pacifico che economia e finanza rappresentino i temi trainanti che - mediamente, nove volte su dieci - compaiono in ogni numero delle pubblicazioni, in perfetta sintonia con le finalità aziendali.
Decisamente in crescita negli ultimi anni risulta invece la trattazione
di argomenti riguardanti il rapporto di lavoro del personale bancario; fenomeno strettamente collegato alla più recente sovraproduzione di house
organ, oltre il 70% dei quali ha visto la luce negli anni Novanta. Non si
può tuttavia non rilevare che al fattore lavoro viene dedicato tuttora uno
spazio (40%) pari a quello che le pubblicazioni riservano all’arte, senza
nulla togliere all’importanza di questa materia, cui meglio si dedicano
tuttavia molte edizioni librarie di pregio realizzate proprio dalle banche.
Diffusione e pubblicità
Se si esaminano più da vicino le caratteristiche della diffusione,
non ci resta difficile assegnare la palma del non profit all’editoria bancaria. E’ infatti molto alta (82%) la percentuale di periodici distribuiti esclusivamente in omaggio, rispetto a quelli per i quali si è preferita la formula commerciale dell’abbonamento (12%). Ancora oggi, quindi, una significativa fetta di risorse finanziarie continua ad essere destinata all’editoria bancaria, ritenuta evidentemente, sul piano delle politiche aziendali,
una valida forma di investimento indiretto: sia verso l’interno della banca, per creare o consolidare una comune cultura d’impresa; sia verso l’esterno, come strumento di confronto con altre realtà produttive del Paese.
E questa caratteristica del non profit viene in qualche modo confermata se ci accingiamo ad analizzare cosa accade sul fronte della raccolta pubblicitaria.
425
L’advertising vero e proprio appare piuttosto come un optional.
Tant’è che vi fa ricorso appena il 2% dei periodici. Mentre forme di publicity, ovvero pubblicità istituzionale senza finalità di lucro, sono previste nella misura del 21%. Al di là di una soluzione di tipo misto, adottata nel 13% dei casi, si è notato in definitiva che alla pubblicità rinuncia in ogni caso il restante 64%, a conferma di una sostanziale autonomia delle testate rispetto ad esigenze di equilibri finanziari.
Periodicità, tiratura e foliazione
La maggioranza delle banche editrici opta spesso per una periodicità semestrale (38%) e bimestrale (25%), privilegiando la ragione pratica - più di quella tecnica - di assicurare continuità alle uscite di prodotti che, come vedremo in seguito, vivono spesso sulle esigue forze di
corpi redazionali ridotti all’osso.
Quello che non preoccupa è invece la quantità di carta stampata.
Se ne produce veramente tanta, sia in termini di tirature che di foliazione. La maggior parte delle tirature oscilla infatti tra le cinquemila e le
quarantamila copie a numero (complessivamente il 56%), ma non è affatto irrilevante un 11% di periodici a larga diffusione, che supera le 40
mila, spingendosi fino a limiti non certo usuali per l’editoria aziendale:
anche tra le 140 mila e le 200 mila copie.
Quanto alla foliazione - ovvero la media di pagine di ogni numero
- si va dal quartino al sedicesimo delle newsletter interne ed esterne fino alle consolidate 64 pagine che caratterizzano generalmente l’house
organ, mentre foliazioni superiori si ritrovano quasi sempre in riviste
tecniche e d’immagine.
Linguaggio e stile visivo
Una analisi non semantica del linguaggio e dello stile visivo delle
pubblicazioni bancarie lascia trasparire che, con la sola eccezione delle
riviste tecniche e di studio, esiste una tendenza, o quanto meno un im426
pegno, a far uso di un linguaggio sempre meno aulico o istituzionale,
grazie ad una crescente presenza di articoli che privilegiano il taglio
informativo e diretto. Un fenomeno sicuramente positivo, cui non è certo estranea la crescita numerica delle riviste aziendali, le quali, per loro
stessa natura, devono sforzarsi di essere più confidenziali e accattivanti.
Qualche nota dolente sembra invece provenire dalla “struttura della titolazione”. Un quarto dei periodici, tra questi soprattutto gli house
organ, non va oltre la formula più elementare (titolo + sottotitolo) rinunciando ad elementi di sostegno che darebbero maggiore benefici alla chiarezza dei messaggi.
Queste carenze strutturali della titolazione di base trovano tuttavia
conforto in una maggiore cura nella presentazione dei testi dei singoli
articoli, con il frequente ricorso ai titoletti intermedi (55% dei casi analizzati) o, in misura più contenuta, alla riproduzione di box e schede di
approfondimento, quasi sempre arricchite dalla presenza di soluzioni
grafiche (fondini, cornici...) che rendono meno pesante la lettura.
Il ricorso a strutture di titolazione “eleganti e composte” è comunque dominante, salvo rare eccezioni, nelle riviste tecniche, mentre house organ e riviste d’immagine privilegiano titolazioni d’effetto, e preferibilmente in un corpo congeniale al più classico dei tabloid.
Nel rapporto tra testo e grafica, la prevalenza del primo è di tre a
uno nel 46% dei periodici, mentre nel 35% dei casi si riscontra la presenza di un elemento grafico ogni quattro parti di testo. Nell’11% delle
pubblicazioni il rapporto è paritario, mentre soltanto l’8% di esse non
contempla la presenza di elementi grafici. Quanto alla grafica di copertina, le riviste economico-finanziarie evitano sempre la proposizione di
immagini, limitandosi a vezzi geometrici, o alla riproduzione del logo
dell’azienda e, in rari casi, ad una effige della sede centrale dell’istituto
proprietario della testata.
Completamente diversa l’impostazione per house organ e riviste
d’immagine, dove domina invece il ricorso alla stampa in policromia,
esaltato dalla plastificazione. E’ tuttavia singolare il fatto che queste
due tipologie non presentano mai immagini di copertina che abbiano attinenza con argomenti trattati all’interno, i quali ultimi, soltanto raramente trovano il sostegno dei cosiddetti strilli, che tanta parte hanno
della funzione di traino alla lettura.
427
La struttura redazionale e le collaborazioni
L’assetto redazionale dei periodici delle banche privilegia la collegialità, esprimendo una tendenza propria del settore a valorizzare il lavoro d’equipe. Quasi mai viene esclusa la presenza di un comitato tecnico-scientifico o direttivo, allo scopo di conferire solennità e credibilità alla testata. L’organo collegiale è di fatto preferito dal 72% delle pubblicazioni, contro appena il 23% che accorda l’alternativa alla figura
monocratica di un Coordinatore editoriale o redazionale.
Del tutto fisiologica la scelta di una Segreteria di redazione, cui ricorre il 40% delle testate, non di rado con funzioni sostitutive del Coordinatore, ma necessariamente in appoggio ad un Comitato.
Premesso che l’allestimento di oltre i due terzi delle pubblicazioni
viene direttamente gestito dalla struttura redazionale, anche per quanto
concerne l’impostazione grafica e l’impaginazione, è possibile affermare che i periodici delle aziende di credito si avvalgono di Redazioni non
complesse, nelle quali lavorano generalmente non più di tre dipendenti
dell’azienda. Quelle più affollate (oltre cinque redattori) sono invece una minoranza (15%) e il maggior numero di occupati è quasi sempre
giustificato dall’allestimento di almeno due prodotti editoriali.
Tra i bancari giornalisti, quelli a tempo pieno (43%) sono leggermente in minoranza rispetto a quanti lavorano in Redazione in via non esclusiva (57%). A loro tutti si deve comunque la realizzazione integrale
del 36% dei periodici del settore: un dato molto interessante se si tiene in
debito conto la specialità del ruolo di “redattore aziendale” e la difficoltà
che esso incontra in termini di compatibilità ideologico-culturale rispetto
alle tradizionali figure professionali esistenti in azienda. Il ricorso ad articolisti esterni è un fenomeno molto ricorrente per le riviste di alto contenuto tecnico. Sono complessivamente il 64% le testate che propongono
firme di free lance, spesso autorevolissimi. Ma non mancano veri e propri
esempi di decentramento, come nel caso dell’house organ di una grande
banca, che si avvale della saltuaria collaborazione di propri funzionari di
filiale, grazie ad una ben organizzata rete di corrispondenti.
Gli apprezzabili risultati e il consolidamento della fede verso lo strumento editoriale nel settore bancario, testimoniati anche dal trend di
428
crescita del fenomeno, lasciano quindi ben sperare nel sostegno di una comunicazione comunque alle prese con grandi sfori di riposizionamento.
I video
Una serie di considerazioni riguarda, infine, l’utilizzazione di mezzi
di comunicazione diversi dalla carta stampata per la comunicazione interna, in particolare i video, il cui uso è crescente.
In questo caso, le considerazioni che emergono sono da riferirsi,
più che a osservazioni in merito allo specifico bancario, al prevalere delle valutazioni circa i limiti dello strumento in sé, limiti facilmente osservabili per la generalità delle imprese; si può affermare, infatti, che, utilizzando il parlato per immagini, l’elettronico, lo strumento video, la parola risulta assolutamente più artificiosa e stucchevole di quella scritta.
Come strumento di comunicazione interna, il video è molto lontano dall’avere acquisito una sua personalità. Il video, infatti, a una funzione d’uso frequentata ancora soltanto marginalmente e sporadicamente, come quella della comunicazione interna, rimane schiacciato da moduli e modelli di linguaggio propri di altre funzioni, che con esso hanno
acquisito ormai ben altra confidenza, in particolare la comunicazione
d’immagine, quella istituzionale, il giornalismo televisivo.
Esiste, in particolare, nei destinatari, una sudditanza nei confronti
del giornalismo televisivo, a causa della quale questo tipo di mezzo, se
utilizzato per la comunicazione interna, non ce la fa a funzionare adeguatamente. Infatti, chi guarda tende ad attribuire una priorità al contenuto di informazione, priorità che la comunicazione interna non può avere. In concreto, si traduce nella realizzazione di prodotti di comunicazione che mimano le “news” elettroniche, con esiti, al di là della perizia
tecnica con cui sono realizzati, inevitabilmente deludenti.
Inoltre, la comunicazione d’immagine scivola immediatamente
nella retorica, rilevabile nello speakeraggio, nel commento musicale,
nell’artificiosità degli ambienti.
La comunicazione interna, a prescindere da ciò che si intende dire,
che potrebbe essere anche drammatico in termini di contenuti, appare
429
come un impegno della banca a mostrare che si sta facendo bella. Trasferisce, a prescindere dai contenuti che effettivamente si vogliono comunicare, un messaggio di potenza, di sicurezza sul proprio ruolo, di
certezze organizzative, di gerarchie e di funzioni.
Per esempio, se si propone la ripresa di una convention, nel corso
della quale sono stati trattati temi anche delicati, come i conti in rosso,
comunque quello che ne emerge, per via della natura specifica del mezzo usato, è la pulizia dell’ambiente, sono le luci, è il top management
sul palco, seguendo le regole dell’estetica della rappresentazione.
Da qui, si rileva una costante, che comunque emerge nella rappresentazione filmica, ed emerge con particolare evidenza: è la gerarchia, il
rapporto tra ruoli; mentre in uno slogan scritto, oppure in un testo da leggere la gerarchia (e la sua potenza) si può mascherare, nella comunicazione filmica la gerarchia è immediatamente autoevidente. Con parole
più forti, la rappresentazione filmica diventa retorica della propaganda
del potere, assimilabile alla retorica della militarizzazione, e per questo
non appartenente assolutamente allo specifico bancario, ma allo specifico filmico quando viene usato come mezzo di comunicazione interna.
Proprio per le sue caratteristiche, questo aspetto della comunicazione video ha le sue leggi, il linguaggio per immagini è più sintetico, meno
sorvegliabile rispetto al linguaggio scritto, che è più decifrabile, perché
permette, tramite il processo di decodifica e di ri-lettura, una lettura e
fruizione dei contenuti con un livello di filtro e critica più elevato.
In definitiva, nel complesso la comunicazione interna in “vhs” analizzata appare più immatura di quella realizzata con altri mezzi più
tradizionali. E non è infrequente notare come banche che producono
house organ efficaci e ben fatti, di buon livello, realizzino, invece, video che non sono all’altezza della loro cultura di comunicazione.
Allora emerge, dai video analizzati, molto chiaramente il modo di
sentire più profondo della banca, ed è il caso di chiedersi se il modo di
sentire profondo di queste banche non sia ancora fatto del senso di potenza, del verticismo, di ruoli e gerarchie. Appare più chiaro che in realtà l’essere delle banche potrebbe essere fatto di questi valori, di istituzione, di organizzazione che si basa su valori e non su obiettivi.
430
CAPITOLO VIII
STUDIO DEI CASI
431
UN CASO DI “DOMANDA NASCENTE” DI COMUNICAZIONE:
POSTE ITALIANE SPA
433
1. Tra le iniziative più ambiziose assunte in questi ultimi anni per
migliorare la performance del sistema Italia in vista del suo ingresso
nell’Unione monetaria europea si colloca sicuramente quella di assicurare al Paese un più adeguato livello di efficienza e di produttività delle
sue reti infrastrutturali all’interno di una logica di liberalizzazione dei
mercati e di competizione tra i diversi operatori.
In tale contesto quella delle Poste costituisce, forse, la sfida più
impegnativa vuoi perché il loro livello qualitativo è generalmente ritenuto tra i più deteriorati vuoi perché nella cosiddetta “amministrazione
postale” si annidano sia i pochi pregi che gli enormi vizi di quella cultura burocratica che ha governato e in parte governa ancora il nostro
apparato dei servizi di pubblica utilità.
Un’analisi spietata della situazione viene svolta proprio nel recentissimo Piano di Impresa 1998-2002, elaborato dai nuovi amministratori
della neonata Poste Italiane S.p.A., dove vengono rilevate la totale inadeguatezza dell’offerta e del servizio, la parziale inadeguatezza della qualità
dei sistemi di gestione, una situazione di produttività fuori mercato con
volumi generalmente in calo e costi operativi in crescita, il progressivo
peggioramento dell’andamento economico, l’esistenza di una forte ulteriore pressione sui risultati dell’azienda in relazione ai trend del mercato.
La trasformazione dell’Ente Poste in società per azioni, avvenuta
il 28 febbraio 1998, costituisce il presupposto formale di un imponente
lavoro di riorganizzazione destinato, per usare le parole dell’attuale
Amministratore Delegato, “ad avviare velocemente il circolo virtuoso
della crescita attraverso l’efficienza”.
435
Tale lavoro corrisponde all’adozione di un Nuovo Modello Organizzativo, i cui principi ispiratori, come si evidenzia dal prospetto che
segue, vengono così sintetizzati:
• garantire l’unitarietà dell’azienda specializzando al contempo la gestione;
• chiarire le responsabilità a tutti i livelli;
• decentrare le decisioni e rispondere meglio alle diverse realtà locali;
• avvicinare l’azienda al cliente;
• offrire a tutti i collaboratori più opportunità di sviluppo professionale.
Un nuovo modello organizzativo per permettere
di realizzare gli obiettivi del Piano di Impresa
Modello organizzativo Principali svantaggi
➪
precedente
➪
Nuovo modello
organizzativo
Confusione di
responsabilità
Modello decisionale
Unitarietà aziendale
Chiare responsabilità
di business
Accentramento
decisionale
Lentezza decisionale
Impossibilità di
adeguarsi a realtà
locali
Scarsa
imprenditorialità
Regole valide per tutti
Autonomia operativa
nelle unità territoriali
Molti livelli gerarchici
e operativi
Troppe funzioni di
staff
Lentezza decisionale
Scarsa vicinanza al
mercato
Meno strutture
intermedie tra
azienda e clienti
Modello funzionale
436
Per una realtà come quella delle Poste tali principi rappresentano in
qualche modo una sorta di rivoluzione culturale, dal momento che la loro
attuazione sconta la rapida sostituzione di un nuovo sistema di valori a
quello precedente, ormai assolutamente inagibile in uno scenario di mercato che non ammette più posizioni di monopolio precostituite, ferma restando la responsabilizzazione di tutta la struttura aziendale in tema di
Servizio Universale, riconfermata come una delle missioni prioritarie della società.
2. In estrema sintesi, il modello organizzativo delle Poste viene riconfigurato intorno a delle unità di business con responsabilità integrata
per mercato.
Tali unità sono le Divisioni articolate per le tre macroaree di business specifiche in cui operano le Poste: i Servizi Postali - a loro volta
articolati in cinque segmenti di business: corrispondenza, pacchi, corriere espresso, comunicazioni elettroniche, filatelia -, i Servizi finanziari e i Servizi distributivi (la Rete territoriale).
Accanto alle Divisioni, cui sono attribuite specifiche responsabilità di
risultato commerciale, economico e patrimoniale, sono previste otto Direzioni centrali (Risorse umane, Strategia, pianificazione e controllo di gestione, Processi e tecnologie, Amministrazione, Finanza, Ispettorato e qualità, Acquisti, Immobiliare) con il compito di garantire l’unitarietà di indirizzo e il conseguimento delle sinergie orizzontali tra le unità di business,
nonché di fornire servizi di utilità comune a tutte le unità organizzative.
Questa scelta - si legge nel Piano di Impresa - tra l’altro assicura la
massima comunicazione all’interno dell’azienda, ed è questa la presa di
coscienza di una necessità di comunicare che condiziona l’operatività
delle nuove strutture e che corrisponde a un concetto di comunicazione
come risorsa trasversale a carattere integrato, tipico delle moderne realtà aziendali.
Ovviamente non contrasta con tale concezione la previsione di alcuni Servizi centrali non inquadrati nelle direzioni centrali (Legale, Relazioni esterne, Relazioni internazionali, Relazioni istituzionali, Relazioni con la stampa, Segreteria organi statutari), taluni dei quali chiamati a operare anche in specifiche aree comunicazionali.
437
Resta piuttosto il fatto che alcuni dei principi-guida ispiratori del
nuovo modello organizzativo - rafforzamento dei presidi relativi alle funzioni critiche per operare sul mercato quali marketing, vendita e gestione
dei canali distributivi; sviluppo dei sistemi di incentivazione legati al conseguimento di obiettivi; sviluppo di opportunità di diversificazione e di
crescita professionale e manageriale per il personale - si potranno inverare solo attraverso un ricorso ampio ed esteso alle opportunità offerte da una filosofia ampiamente condivisa della comunicazione proposta non più
in versione burocratica, ma in chiave di interscambio partecipativo e ciò
sia all’interno che verso l’esterno dell’azienda.
L’espansione di tali compiti potrà successivamente richiedere ulteriori adeguamenti sul piano organizzativo - del resto il modello attuale
viene proposto per una sperimentazione in chiave esplicitamente evolutiva - ma già oggi emergono profili operativi specifici riferiti, ad esempio, alla comunicazione commerciale (marketing, vendita e pubblicità),
alla rilevazione della soddisfazione della clientela, alla gestione delle risorse umane, alle politiche formative.
Non a caso nel già richiamato Piano di Impresa 1998-2002 pubblicità e attività promozionale vengono indicati tra i principali fattori da
attivare per la crescita dei ricavi operativi.
3. Rispetto alle imponenti potenzialità di sviluppo che le Poste manifestano sul piano della comunicazione il gap con il concreto patrimonio di
esperienze realizzate può apparire enorme, mentre assai limitati sono gli
strumenti finora posti in essere: in primo luogo un house organ mensile, il
Gabbiano, giunto al suo ottavo anno di vita, avendo peraltro già fatto registrare in questo relativamente breve arco di tempo significative trasformazioni, con le quali da generico strumento di immagine muta nella direzione di uno strumento mirato verso il pubblico interno nell’ottica di sollecitare identificazione, partecipazione e scambio interattivo, con un’evoluzione presumibilmente destinata a proseguire (sulla falsariga di quanto avviene in molte grandi aziende, eventualmente con una parte specialistica tarata sulla fascia professionale, sull’area territoriale e quant’altro).
Sul piano della comunicazione interna si fa inoltre ricorso ai meeting periodici a livello di top management e di direzione allargata; mol438
te speranze vengono fondate sul progetto di integrazione telematica degli uffici di cui è previsto l’integrale collegamento in rete, il quale porterà vantaggi rilevanti non solo sul piano dell’efficienza dell’organizzazione e dei servizi, ma anche sotto il profilo comunicazionale.
Per quanto concerne la comunicazione esterna, a parte l’uso dei mass
media per l’informazione sugli eventi più significativi dell’azienda (ad esempio la recente presentazione del Piano d’Impresa 1998-2002) per la prima volta nel luglio ‘98 le Poste si sono avvalse di una campagna pubblicitaria su radio e riviste per il lancio del servizio Pensionati e Accreditati.
Le ragioni del ritardo comunicazionale stanno proprio nella filosofia che ispirava il servizio in passato: una filosofia in cui l’utente era di
fatto subordinato ai prestatori del servizio, dove l’informazione era una
prassi burocratica, dove su tutto prevaleva il rispetto delle procedure
con qualche temperamento di segno paternalistico.
In un contesto siffatto poteva esserci spazio per l’innovazione a
carattere tecnologico, ma non certo per l’innovazione di prodotto, e
questo rendeva superfluo il ricorso a strumenti di pubblicizzazione diversi dalla affissione di un avviso negli uffici postali.
Ovvio, pertanto, che la scelta, d’altronde obbligata, del mercato
scuota l’edificio dalle fondamenta e imponga di pensare a modalità e
strumenti appropriati per un rapporto positivo dell’azienda con tutti i
suoi clienti, quelli interni e quelli esterni.
4. In verità le Poste sotto questo profilo dispongono di atout formidabili riconducibili alla Rete territoriale degli sportelli e degli addetti
al recapito, i quali sono quasi per definizione degli operatori della comunicazione dotati di forti capacità interattive.
E’ questo un dato della struttura, che occorre mettere in grado di
funzionare al meglio, intervenendo in modo appropriato sulla formazione e sulla motivazione.
Su questa base si andranno ad aggiungere software più sofisticati,
sempre orientati alla personalizzazione del rapporto con il cliente.
E’ un fatto che il miglioramento dell’immagine del sistema postale
andrà di pari passo con il miglioramento dell’efficienza delle prestazio439
ni e con la riconosciuta qualità dei servizi, cui non potrà non corrispondere un risultato economico positivo.
Ciò non toglie che si possa e si debba lavorare anche in termini di
politica dell’immagine con iniziative assunte sia a livello centrale sia a
livello territoriale, tanto più che il radicamento sul territorio rappresenta
storicamente il tratto più qualificante del sistema postale.
Per comunicare efficacemente all’esterno non è sufficiente disporre di capacità tecniche e di contenuti validi da veicolare; occorre altresì
da parte di chi comunica un forte grado di identificazione con l’azienda.
Le precedenti logiche di identificazione burocratica avevano anche
qualche merito nell’alimentare una cultura dignitosa del servizio pubblico.
Ma, al di là delle degenerazioni che hanno finito col prevalere,
quelle logiche non sono più in sintonia con la missione proposta all’azienda Poste.
Sempre il Piano di Impresa 1998-2002 indica tra le Nuove Regole
quella dell’aziendalizzazione dei comportamenti interni, passando, tra
l’altro, da un modello in cui l’informazione era concepita come potere e
la comunicazione era prevalentemente a carattere verticale a un altro radicalmente diverso in cui l’informazione è strumento di integrazione e
la comunicazione ha soprattutto carattere orizzontale e diagonale.
Ciò significa costruire un nuovo quadro concettuale cui far riferimento a tutti i livelli - dirigenziali, tecnici e operativi - e per tale scopo
l’attività di formazione appare lo strumento di maggior rilievo.
C’è da far crescere un clima aziendale orientato al coinvolgimento
e alla cooperazione, non solo per le situazioni di emergenza come l’attuale, ma ancor più per la situazione a regime.
5. Si tratta di una questione che attiene alla più generale politica di
gestione delle risorse umane con cui l’azienda si relaziona con i suoi
clienti interni; e per ben relazionarsi la comunicazione deve ben funzionare su entrambi i versanti, assicurando uno scambio significativo e non
meramente formale e di facciata.
In una situazione che presenta le dimensioni e la complessità
dell’azienda Poste, dove il processo di costruzione di una nuova identità
440
aziendale è in fase nascente, si dovrà probabilmente far ricorso a modalità di micro-marketing interno, espressione con la quale si definisce
l’azione svolta da una struttura di persone, tendenzialmente stabile, formale o informale, distinta dalla struttura gerarchica e in qualche modo
trasversale rispetto a questa, incaricata di veicolare iniziative specifiche
mediante il dialogo con piccoli gruppi di colleghi e con singoli individui su temi che coinvolgono i valori su cui l’azienda si muove (v. A. Di
Raco, Modelli di comunicazione interna in Fiat Auto).
Si viene in tal modo a disporre di una rete di diffusori-comunicatori, formata da persone che continuano ad avere un proprio ruolo lavorativo, che alimentano i processi di comunicazione interna attraverso un
rapporto “faccia a faccia”, capace di veicolare comportamenti attesi e
valori di riferimento in modo più efficace di quanto non si potrebbe ottenere con il ricorso ai soli media interni di comunicazione di diversa
natura (cartacea, elettronica, audiovisiva) la cui incisività finisce per
trarre vantaggio proprio da un’attività di questo tipo.
Poiché ogni azienda è un caso a sé, le Poste sapranno certamente
implementare una strategia di comunicazione integrata appropriata rispetto agli obiettivi che si propongono.
La condizione di transizione che le caratterizza costituisce una sfida senza dubbio difficile, ma al tempo stesso consente di individuare la
via migliore per una trasformazione idonea ad assicurare con successo
il perseguimento della nuova missione aziendale.
In tale contesto le politiche della comunicazione non sono il rimedio a tutti i mali né il surrogato di quanto si dovrà realizzare nei diversi
piani in cui si articola il nuovo progetto aziendale: possono però risultare preziose per ricompattare l’azienda al suo interno e per costruire un
rapporto positivo con il pubblico esterno.
441
LE POLITICHE COMUNICAZIONALI DELL’INAIL
443
1. Nell’ambito delle Amministrazioni Pubbliche l’INAIL ha sviluppato una strategia della comunicazione che, muovendo da elementi
consolidati nel corso della ormai più che centenaria storia dell’Istituto,
fa registrare una significativa espansione negli anni più recenti, non a
caso contraddistinti da rilevanti innovazioni nell’impianto normativo
(D. lgs. N. 626/94 e n. 242/96).
A tali innovazioni ha corrisposto un incisivo processo di riorganizzazione che, nel momento in cui si correla a una vera e propria mutazione attesa sia nel sistema di valori sia nei comportamenti operativi, ha
preso coscienza del ruolo strategico che la comunicazione assolve vuoi
in rapporto al successo del cambiamento organizzativo vuoi nell’ottica
delle relazioni fra l’Ente e i suoi clienti, interni ed esterni.
In tale contesto l’Istituto si è dotato dal ‘95 di una Direzione centrale per la comunicazione e le relazioni esterne, la cui attività si commisura su un vero e proprio Piano annuale della comunicazione ispirato
ad alcuni principi fondamentali:
• facilitazione delle interrelazioni fra dirigenti e personale;
• coinvolgimento responsabile delle persone nei processi lavorativi ai
fini della condivisione degli obiettivi strategici;
• incremento del senso di appartenenza;
• rafforzamento dell’orientamento al cliente interno ed esterno.
Su questa filosofia di fondo, dalla quale traspare la consapevolezza delle strette connessioni fra comunicazione esterna e interna ai fini
di una strategia integrata, viene fondato il piano degli obiettivi assegnati
distintamente ai singoli ambiti.
445
2. In termini di comunicazione interna gli obiettivi attribuiti sono
rivolti alla ottimizzazione dei flussi comunicazionali interni e al miglioramento del servizio offerto.
Per il 1999 tali finalità verranno perseguite con le seguenti operazioni:
• indagine sui flussi comunicazionali interni a seguito della emanazione
della nuova Carta dei Servizi;
• potenziamento del marketing verso il cliente interno ai fini di condivisione degli obiettivi e sottolineatura della validità e delle potenzialità
degli strumenti operativi di volta in volta forniti;
• adeguamento delle modalità di comunicazione alla nuova rete Intranet;
• inserimento tra gli indicatori di qualità delle attività delle Direzioni regionali e delle Sedi di criteri di valutazione dei percorsi comunicazionali pianificati dalle medesime strutture;
• completamento della attivazione degli UU.RR.PP. (Uffici Regionali
per i rapporti con il pubblico);
• iniziative di comunicazione a supporto dell’aggiornamento degli operatori sull’introduzione della moneta unica europea;
• sostegno comunicazionale agli operatori interni in relazione agli sviluppi del progetto ESAW, che prevede l’acquisizione di informazioni
più approfondite sulle modalità di accadimento degli infortuni ai fini
della comparabilità in ambito europeo;
• acquisizione progetto definitivo per l’attivazione della biblioteca.
Per quanto attiene alla comunicazione esterna, ai fini del miglioramento del servizio e dell’incremento della visibilità dell’attività dell’Istituto sono previste:
• attività di marketing per i prodotti prevenzionali;
• sostegno comunicazionale in relazione agli sviluppi del succitato progetto ESAW con riferimento ai clienti esterni;
• incremento delle attività relative alla comunicazione destinata all’utente esterno sull’avvio della moneta unica europea;
• avvio marketing e sinergie con Enti esterni per l’attivazione della
biblioteca;
446
• attività di monitoraggio per valutare il grado di soddisfazione del cliente
esterno sulla qualità del servizio (un’indagine sulla “customer satisfaction” è stata già realizzata da una società esterna specializzata, sulla
base di quanto previsto nella Carta dei Servizi di cui l’Ente si è dotato);
• attività di telemarketing per il contatto personalizzato con utenti selezionati per la fornitura di informazioni di particolare rilievo;
• governo e coordinamento degli aspetti di comunicazione esterna a sostegno del completamento del progetto UU.RR.PP.;
• informatizzazione su CD ROM di Giurisprudenza e Rivista Infortuni.
Sembra, ad una visione d’insieme degli obiettivi proposti su entrambi i versanti comunicazionali, di individuare quanto meno due significative connotazioni della politica dell’Istituto:
• la prima, già richiamata ma ora ancor più evidente, che la comunicazione costituisce una risorsa di tipo orizzontale in grado di coinvolgere tanto i clienti interni quanto i clienti esterni e che pertanto viene
trattata con un approccio politico unitario;
• la seconda, che la comunicazione non è solo una funzione demandata
a strutture dedicate, ma evolve fino a caratterizzarsi come un vero e
proprio asset aziendale, a forte potenzialità di sviluppo, il cui consolidamento rappresenta una sorta di passaggio obbligato per la realizzazione delle finalità istituzionali, particolarmente per strutture di servizio collocate nell’ambito della P.A.
3. Passando a una ricognizione, sia pure sommaria, degli strumenti
comunicazionali utilizzati dall’Istituto, va premesso che le innovazioni
introdotte nell’ultimo periodo si sono inserite nel solco di una tradizione non priva di esperienze significative, specialmente sul piano delle
pubblicazioni a carattere scientifico e tecnico-specialistico.
Ciò vale in modo particolare per la Rivista degli Infortuni e delle
Malattie professionali, VI serie della Rassegna della Previdenza Sociale, giunta all’85esimo anno di vita, indirizzata a un pubblico qualificato
(medici, avvocati, esperti, ecc.) con una distribuzione in abbonamento
di circa 3.000 copie.
Oltre a una prima parte, concernente questioni tecnico-giuridiche,
mediche e di ordine legislativo, la Rivista dedica una seconda parte agli
447
aspetti della Giurisprudenza; inoltre, viene pubblicata come supplemento una Collana di monografie sulle malattie professionali, articolata in
due gruppi concernenti, rispettivamente, gli aspetti di medicina del lavoro e quelli più propriamente tecnici.
Il periodico cura anche una serie di Quaderni, i quali, di norma,
raccolgono gli Atti di Convegni in tema di assicurazione infortuni sul
lavoro e malattie professionali promossi dall’INAIL.
Del pari indirizzato a un pubblico specialistico è il Notiziario Statistico, pubblicazione trimestrale a cura della Consulenza statisticoattuariale.
Come supplemento al Notiziario statistico vengono pubblicati i
volumi “Statistiche per la prevenzione” con i dati relativi agli infortuni
sul lavoro nell’industria, nell’artigianato e nell’agricoltura.
In ogni caso l’Istituto ha realizzato un CD ROM contenente la
Banca Dati; inoltre è possibile accedere a questa attraverso il Sito Internet dell’INAIL.
Sul piano delle pubblicazioni periodiche la novità di maggior rilievo è peraltro rappresentata dalla rivista mensile “IL”, un vero e proprio
house organ al suo secondo anno di vita, indirizzato gratuitamente a
tutti i dipendenti, oltre che a una porzione ristretta di pubblico ritenuta
interessante dall’Istituto.
La Rivista analizza e discute problemi concernenti il ruolo dell’INAIL, le sue dinamiche organizzative, quantità e qualità dei servizi, aspetti della partecipazione al lavoro, oltre a fornire informazioni e valutazioni, concorrendo a delineare l’immagine dell’Istituto e a dar conto
della sua vita interna.
Proprio per questo essa viene realizzata pressoché esclusivamente
all’interno ed è aperta agli interventi del personale dell’Istituto.
Merita, infine, una sottolineatura l’esistenza di una attività organizzata di ascolto dell’Istituto nei confronti del mondo della carta stampata
attraverso la produzione di una Rassegna Stampa Quotidiana, che è integrata da un Supplemento sulla stampa estera a cadenza quindicinale.
L’attività di comunicazione dell’INAIL si traduce inoltre in una
serie di prodotti funzionali alle attività istituzionali, con particolare ri448
guardo alla prevenzione degli infortuni, sulla base di quanto previsto
nel D. lgs. N. 242/96.
Per rispondere alle esigenze del nuovo quadro normativo l’INAIL
ha istituito un Centro Studi e Servizi per la Prevenzione e una serie di
Nuclei Regionali per la Prevenzione, con i quali, oltre che svolgere attività di assistenza e consulenza, organizza corsi di formazione e seminari e produce opuscoli, filmati e audiovisivi in materia di sicurezza e igiene sul lavoro; è poi disponibile per gli utenti un filo diretto per la
prevenzione e la sicurezza, gestito insieme con l’ISPESL, mentre iniziative ad hoc sono assunte verso settori più a rischio (edilizia, artigianato, ecc.).
Nell’ambito dei servizi prestati l’Istituto, attraverso i propri uffici
relazioni con il pubblico presenti in ogni sede, mette a disposizione la
modulistica necessaria, opportunamente revisionata ai fini di una fruizione più comprensibile ed efficace; inoltre è possibile disporre di una
Guida completa, anche su floppy disk, per l’autoliquidazione del premio e la denuncia nominativa degli assicurati.
E’ questo un campo che assorbe oltre un miliardo di spese, volume
di risorse il cui impegno è motivato dall’importanza del risultato perseguito ai fini della vita dell’Istituto, tenuto conto altresì del fatto che circa i due terzi delle posizioni assicurative INAIL sono intermediate da
associazioni di categoria, consulenti del lavoro, ecc., il che richiede anche iniziative mirate.
L’INAIL partecipa, spesso con un proprio stand, a mostre e fiere
specializzate (Forum P.A., SMAU, ecc.), oltre a organizzare convegni a
rilievo nazionale e internazionale (per tutte queste attività il budget ‘99
prevede circa 3,1 miliardi di spese).
A questo complesso e articolato impegno sul piano comunicazionale corrisponde un impegno significativo sul piano finanziario: oltre ai
3 miliardi succitati per l’attività di presenza esterna attraverso mostre,
fiere, convegni ecc., circa 2 miliardi vengono assorbiti dalle pubblicazioni e circa 5 miliardi sono il budget pubblicitario (di cui 2,3, peraltro,
impegnati dalla pubblicizzazione delle gare d’appalto).
I diversi elementi, qui richiamati soltanto sommariamente, danno
la misura non solo dell’impegno dell’Istituto sul piano della comunica449
zione, ma soprattutto configurano quest’ultima come il vettore di una
parte assolutamente essenziale dell’attività istituzionale, che ha con il
pubblico esterno relazioni numerosissime e di segno assai diverso. In
questo senso si può dire che l’Istituto vive e raggiunge i suoi obiettivi
intanto in quanto è capace di comunicare con il cliente esterno: il che
significa che larga parte del personale dell’Istituto deve acquisire le
competenze e le abilità tipiche della comunicazione, intesa come risorsa
strategica per il successo della missione dell’Ente.
4. All’interno delle politiche comunicazionali di un Ente/Azienda,
e specialmente con riferimento alle problematiche della comunicazione
interna, le politiche formative assumono un rilievo di particolare spessore; ciò è tanto più vero quando la comunicazione ha, come nel caso
dell’INAIL, una centralità determinante ai fini del raggiungimento degli scopi istituzionali, come l’analisi fin qui svolta ha posto in evidenza.
E’ difficile in situazioni di questo tipo che si possa efficacemente
comunicare con l’esterno, se non ci si muove in un contesto valido di
comunicazione all’interno; non si possono trasferire all’esterno i valori
nuovi assegnati all’Ente se questi non vengono assimilati all’interno
dell’Ente medesimo.
C’è da precisare che non si tratta di una questione di precedenza
su cosa viene prima e cosa viene dopo; è questione, invece, di innescare
processi a carattere interattivo da cui discendono i cambiamenti attesi.
Nella impostazione della propria politica formativa l’INAIL ha definito il 1996 come l’anno del “decollo della trasformazione” e il 1997
come l’anno della “svolta culturale”; il 1998 viene proposto come l’anno del “consolidamento e della qualità”.
Il consolidamento attiene ai progetti concernenti:
• l’accrescimento delle capacità dei dirigenti e dei quadri di agire in autonomia nelle sfere di competenza loro assegnate;
• il potenziamento delle competenze di dirigenti, quadri e operatori relative al sistema assicurativo tradizionale e di prospettiva;
• l’aggiornamento continuo dei “professionisti” (circa 2.000 addetti su
12 mila complessivi) nelle materie specialistiche loro propizie;
450
• la professionalizzazione informatica del personale.
La Qualità, intesa nel concetto avanzato di corrispondenza dei servizi resi alle attese dei clienti interni ed esterni, secondo criteri e modalità predefinite e “certificabili”, è previsto debba riguardare:
• i soggetti che operano nel campo della programmazione e degli sviluppi organizzativi complessivi mirati ad affrontare la competizione
nei servizi;
• le famiglie professionali che agiranno come “progettisti, comunicatori
e formatori” in tale campo d’azione;
• i professionisti, particolarmente quanti operano nel campo sanitario e
della prevenzione, in quanto incidono profondamente nei rapporti dell’Istituto con la clientela esterna.
Più in generale, con riferimento alle tematiche comunicazionali, dei
circa 7,5 miliardi che l’INAIL destina alla formazione circa 1/3, nella
valutazione espressa dagli uffici, sono dedicati alla comunicazione.
In coerenza con le caratteristiche diffusive che una comunicazione
efficace esige, l’Istituto persegue sul piano delle politiche formative una logica di decentramento che consente l’attribuzione a livello delle
Direzioni regionali di risorse fino al 15% del già citato budget formativo (allo stato si è pervenuti a un impegno a livello decentrato di circa
700 milioni).
All’interno del Piano nazionale della formazione, spetta alle Direzioni regionali elaborare Piani formativi che tengano conto delle diverse dinamiche della composizione e dell’articolazione del personale sul
territorio, nonché delle condizioni di mercato del bacino di riferimento.
Aspetto particolarmente significativo, anche nell’ottica di una comunicazione interna interattiva, è l’attenzione posta alla definizione di
modelli di valutazione fondamentali per la rilevazione dei ritorni delle
attività formative poste in essere.
Non a caso, analizzando i risultati relativi all’attività formativa
svolta nel ‘96, sono emersi rilievi circa l’insufficiente qualità delle comunicazioni interne, cui si è dato riscontro nei programmi degli anni
successivi.
Va tenuto in considerazione, sul piano quantitativo, che nella sola
Scuola di Firenze, la struttura di formazione a livello centrale, le pre451
senze sono valutate intorno a 4-5 mila all’anno (l’Ente dispone inoltre
di un’altra unità formativa, di ridotte dimensioni ma fortemente qualificata sul piano tecnico, il Centro Protesi di Vigorso di Budizio).
Altro aspetto rilevante è che circa il 50% degli interventi formativi
vengono forniti direttamente dall’Ente, il quale dispone di un nucleo di
circa 60 formatori.
5. In una visione d’insieme le attività comunicazionali dell’INAIL
appaiono supportate da un disegno strategico, volto ad assicurare la più
ampia sinergia fra quanto è rivolto all’interno e quanto all’esterno, con
una sorta di rimbalzo di effetti fra un campo e l’altro.
Si tratta ovviamente di un disegno che necessita di ulteriori implementazioni, ma che al tempo stesso evidenzia la natura processuale dei
fatti comunicazionali e le interrelazioni che li legano al di là delle soluzioni adottate sul piano organizzativo.
Emerge, infine, con chiarezza la natura “culturale” delle condizioni che presiedono all’allargamento degli spazi della comunicazione nella vita aziendale.
Il fatto che tale conclusione discenda da un test effettuato su un organismo facente parte della P.A. dà la misura delle profonde trasformazioni che sono in corso.
452
CAPITOLO IX
I SOGGETTI
DELLA COMUNICAZIONE D’IMPRESA
453
LE ASSOCIAZIONI DELLA COMUNICAZIONE
455
LE ASSOCIAZIONI CHE ADERISCONO
COMUNICAZIONE D’IMPRESA):
ALL’ICI
(INTERASSOCIAZIONE
DELLA
ACPI (Assoc. Consulenti Pubblicitari Italiani)
ADCI (Art Directors Club Italiano)
AIAP (Assoc. Italiana Progettazione per la Comunicazione Visiva)
AICAP (Assoc. Aziende Italiane Cartelli e Arredi Pubblicitari)
AICUN (Associazione Italiana Comunicatori d’Università)
AISM (Assoc. Italiana per gli Studi di Marketing)
ANSWER (Associazione Italiana Sponsorizzazioni)
ASCAI (Associazione per lo Sviluppo delle Comunicazioni Aziendali in Italia)
COMUNICAZIONE PUBBLICA E ISTITUZIONALE (Assoc. della)
ERREPI STUDENTI (Associazione Italiana Studenti Universitari di
Relazioni Pubbliche)
FEDERPUBBLICITA’ (Federazione Italiana Operatori di Pubblicità)
FERPI (Feder. Relazioni Pubbliche Italiana)
IAA (International Advertising Association)
INTERACTA (Associazione Italiana della Comunicazione Interattiva)
TP (Assoc. Italiana Pubblicitari Professionisti)
457
LE
ASSOCIAZIONI CHE ADERISCONO ALLA
DELLA
FEDERAZIONE ITALIANA
COMUNICAZIONE D’IMPRESA:
AIPAS (Associazione Italiana Imprese di Comunicazione)
ANASP (Associazione Nazionale Agenzie di Servizi di Marketing Operativo)
ASP (Associazione Italiana Agenzie di Promozione)
AssAP (Associazione Italiana Agenzie di Promozione)
ASSIRM (Associazione tra Istituti di Ricerche di Mercato, Sondaggi di
Opinione, Ricerca sociale)
ASSODIRECT (Associazione delle Agenzie di Direct Marketing a servizio completo)
ASSOMEDIA (Associazione dei Centri Media)
ASSOREL (Associazione delle Agenzie di Relazioni Pubbliche a servizio completo)
OTEP (Associazione Imprese Italiane di Pubblicità e Comunicazione)
458
ALTRE ASSOCIAZIONI DELLA COMUNICAZIONE:
AAPI (Associazione Aziende Pubblicitarie Italiane)
ACP (Associazione Concessionarie di Pubblicità)
ADICO (Associazione Italiana Direttori Commerciali e Marketing
Managers)
ADS (Accertamenti Diffusione Stampa)
AIDM (Associazione Italiana per il Direct Marketing)
AIM C/O SYNTAGMA (Associazione Italiana Meeting Planners)
AISSCOM (Assoc. Italiana Società e Studi della Comunicazione)
AITEM (Assoc. delle Società di Telemarketing)
ANES (Assoc. Nazionale Editoria Periodica Specializzata)
ASSOPROM (Associaz. Italiana Produttori e Distributori Articoli Pubblicitari e Promozionali)
AUDIPRESS
AUDIRADIO
AUDITEL
CLUB DELLA COMUNICAZIONE D’IMPRESA
COMITATO TUTELA DEL RUOLO DELLE IMPRESE DI COMUNICAZIONE
FEDERAZIONE CONCESSIONARIE PUBBLICITA’
FIEG (Federazione Italiana Editori Giornali)
FISPE (Federazione Italiana Sviluppo Pubblicità Esterna)
FLAI (Free Lance Associazione Italiana)
FNSI (Federazione Nazionale della Stampa Italiana)
GUS (Gruppo Giornalisti Ufficio Stampa)
459
ITALCONGRESSI (Assoc. Italiana Relazioni Internazionali Congressuali)
MPI (Meeting Professional International)
ONG (Ordine Nazionale Giornalisti)
PCO Italia (Associazione Italiana Imprese di Organizzazione Congressuale)
PUBBLICITA’ PROGRESSO
UPA (Utenti Pubblicità Associati)
USPI (Unione Stampa Periodica Italiana)
460
RIVISTE SPECIALIZZATE
461
ELENCO DELLE RIVISTE ATTIVE
ADV
Trimestrale di cultura della comunicazione
Anno di fondazione: 1995
Periodicità: trimestrale
Tiratura: 1.000
Direttore: Anna Pelucchi
Editore: Soluzione Group
Indirizzo: 25100 Brescia, Viale S. Eufemia 36/A
Tel.: 030/3366213
Advertiser
L’Utente di pubblicità
Anno di fondazione: 1957
Periodicità: mensile
Tiratura: 12.000
Direttore: Paolo Bellavista
Editore: Finedit
Indirizzo: 20131 Milano, Via Desiderio 3/9
Tel.: 02/2367197
Abbonamento: L. 85.000
463
Business Communications
Trimestrale di marketing e comunicazione d’impresa
Anno di fondazione: 1992
Periodicità: trimestrale
Tiratura: 4.000
Direttore: Giorgio Mameli
Editore: Partners in Business Communications
Indirizzo: 20121 Milano, Via Sella 4
Tel.: 02/725031
CM Comunicazione & Management
Rassegna semestrale di cultura della comunicazione d’impresa
Anno di fondazione: 1991
Periodicità: semestrale
Tiratura: 17.000
Direttore: Umberto Frugiuele
Editore: Solofim
Indirizzo: 20129 Milano, Via Compagnoni 30
Tel.: 02/76110426
Abbonamento biennale: L. 24.000
http://www.ecostampa.it/cm
Comunicazione
Idee & fatti per trasferire l’esperienza
Anno di fondazione: 1979
Periodicità: semestrale
Tiratura: 5.000
Direttore: Enrico Cogno
Editore: Cogno & Associati
Indirizzo: 00153 Roma, Via dell’Arco dei Tolomei 26/C
Tel.: 06/5881600
Comunicazione pubblica
Mensile dell’Associazione italiana della comunicazione pubblica e
istituzionale
Anno di fondazione: 1992
464
Periodicità: mensile
Tiratura: 4.000
Direttore: Gerardo Mombelli
Editore: Associazione italiana della comunicazione pubblica e istituzionale
Indirizzo: 20121 Milano, Piazza Cavour 2
Tel.: 02/795592
Comunicazioni Sociali
Anno di fondazione: 1973
Periodicità: trimestrale
Tiratura: 1.150
Direttore: Gianfranco Bettetini
Redazione: Università Cattolica del Sacro Cuore
Editore: Vita e Pensiero
Indirizzo: 20123 Milano, Largo Gemelli 1
Tel.: 02/72342335
Abbonamento: L. 61.000
Comunico
Anno di fondazione: 1996
Periodicità: bimestrale
Tiratura: 15.000
Direttore: Claudio Maffei
Editore: Laser Grafica Polver
Indirizzo: 20123 Milano, Via Leopardi 2
Tel.: 0331/963111
Abbonamento: L. 40.000
Dati e tariffe pubblicitarie
Prontuario dei mezzi pubblicitari italiani
Anno di fondazione: 1963
Periodicità: bimestrale
Direttore: Adolfo Galleazzi
Editore: Strategia Editoriale
Indirizzo: 20123 Milano, Piazzale Cantore 12
465
Tel.: 02/671511
Abbonamento: L. 1.000.000
Desk
Rivista di cultura della comunicazione
Anno di fondazione: 1994
Periodicità: trimestrale
Direttore: Paolo Scandaletti
Editore: Unione Cattolica Stampa Italiana
Indirizzo: 00186 Roma, Via in Lucina 16/A
Tel.: 06/68802874
DM&C Direct Marketing & Comunicazione d’impresa
Anno di fondazione: 1991
Periodicità: mensile
Tiratura: 6.000
Direttore: Ugo Canonici
Editore: Deus
Indirizzo: 20139 Milano, Via Breno 1
Tel.: 02/57402781
Abbonamento: L. 60.000
Diritto dell’informazione e dell’informatica (Il)
Anno di fondazione: 1985
Periodicità: bimestrale
Tiratura: 1.200
Direttore: Luca Boneschi
Editore: Giuffré
Indirizzo: 20151 Milano, Via Busto Arsizio 40
Tel.: 02/38089200
Abbonamento: L. 150.000
http://www.giuffre.it
Editore (L’)
Mensile di informazione e documentazione
Anno di fondazione: 1977
466
Periodicità: mensile
Direttore: Giovanni Giovannini
Editore: Gutemberg 2000
Indirizzo: 10126 Torino, Corso D’Azeglio 60
Tel.: 011/6504430
Abbonamento: L. 60.000
Fax. Impresa & Comunicazione
Rivista di economia, marketing, entipologia, comunicazione
Anno di fondazione: 1996
Periodicità: aperiodico
Direttore: Piergiorgio Scoffone
Editore: Neos. Tipolito Subalpina
Indirizzo: 10142 Torino, Via Chambery 93/115
Tel.: 011/7709033
Global
Anno di fondazione: 1988
Periodicità: trimestrale
Tiratura: 9.500
Direttore: Roberto Albano
Editore: Media Key
Indirizzo: 20139 Milano, Via Arcivescovo Romilli 20/8
Tel.: 02/55210264
Gulliver
Mensile politico sulle comunicazioni di massa
Anno di fondazione: 1991
Periodicità: mensile
Direttore: Stefania Brai
Editore: Associazione Gulliver
Indirizzo: 00191 Roma, Viale Tor di Quinto 19/B
Tel.: 06/3331718
Abbonamento: L. 50.000
467
Impressioni
Periodico mensile di informazione e comunicazione
Anno di fondazione: 1993
Periodicità: mensile
Direttore: Emilia Blanchetti
Editore: Pres
Indirizzo: 10098 Rivoli (TO), Corso Susa 242
Tel.: 011/9535231
Abbonamento: L. 68.000
http://www.pres.it
Interactive Multimedia Magazine
Bimestrale di cultura e applicazioni multimediali
Anno di fondazione: 1994
Periodicità: bimestrale
Direttore: Enzo Perilli
Editore: Publitarget
Indirizzo: 00196 Roma, Via Calderini 68
Tel.: 06/3233180
Abbonamento: L. 150.000
http://www.vol.it/IT/IT/EDICOLA/INTMMEDIA/
Ikon
Ricerche sulle comunicazioni. Rivista dell’Istituto A. Gemelli e C.
Musatti
Anno di fondazione: 1947
Periodicità: semestrale
Direttore: Gianfranco Bettetini
Redazione: Istituto A. Gemelli e C. Musatti
Editore: Franco Angeli
Indirizzo: 20127 Milano, Viale Monza 106
Tel.: 02/2895762
Abbonamento: L. 68.000
http://francoangeli.it/frames1.htm
Impresa & Comunicazione
Intraprenditori in movimento
Anno di fondazione: 1993
468
Periodicità: bimestrale
Direttore resp.: Alberto Crementi
Direttore edit.: Alessandro Nardi
Editore: D&D Editori
Indirizzo: 63100 Ascoli Piceno, Zona industriale Marino del Tronto
Tel.: 0861/816095
Lineagrafica
Rivista internazionale di grafica e comunicazione visiva
Anno di fondazione: 1946
Periodicità: bimestrale
Tiratura: 13.000
Direttore: Giovanni Baule
Editore: Progetto Editrice
Indirizzo: 20121 Milano, Corso Garibaldi 64
Tel.: 02/6575351
Abbonamento: L. 115.000
http://www.lineagrafica.progetto-ed.it/
Media Duemila
Mensile di comunicazione e informazione elettronica
Anno di fondazione: 1983
Periodicità: mensile
Direttore: Giovanni Giovannini
Editore: Gutemberg 2000
Indirizzo: 10126 Torino, Corso D’Azeglio 60
Tel.: 011/6504430
Abbonamento: L. 60.000
http://www.crs4.it/˜zip/media_duemila.html
Media Forum
News magazine. Dalla comunicazione globale al mercato media
Anno di fondazione: 1970
Periodicità: mensile
Tiratura: 6.000
Direttore: Enrico Robbiati
469
Editore: Ediforum
Indirizzo: 20135 Milano, Via Trebbia 5
Tel.: 02/58300548
Abbonamento: L. 160.000
http://www.ediforum.it/mforum.htm
Media Key
Mensile professionale di comunicazione, media e marketing
Anno di fondazione: 1982
Periodicità: mensile
Tiratura: 11.000
Direttore: Roberto Albano
Editore: Media Key
Indirizzo: 20139 Milano, Via Arcivescovo Romilli 20/8
Tel.: 02/70638348
Abbonamento: L. 200.000
Media Philosophy
Studi sui nuovi linguaggi della comunicazione
Anno di fondazione: 1996
Periodicità: semestrale
Direttore: Stefano Cristante
Redazione: Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Cattedra di
Sociologia delle comunicazioni di massa
Editore: Costa & Nolan
Indirizzo: 16122 Genova, Via Felice Romani 8
Tel.: 06/49918450
http://shiva.soc.uniroma1.it/mediaphi/media.htm
Mediabook Italia
La prima rivista dei media e del media planning
Anno di fondazione: 1982
Periodicità: semestrale
Tiratura: 4.000
Direttore: Lillo Perri
Editore: Business Publishing Services
470
Indirizzo: 20129 Milano, Via Stradella 3
Tel.: 02/29400554
Abbonamento: L. 300.000
Mediaplusnews
Mensile di informazione, cultura e attualità tecnologiche
Anno di fondazione: 1987
Periodicità: mensile
Tiratura: 12.000
Direttore: Franco Marelli Coppola
Editore: Media Plus
Indirizzo: 20123 Milano, Via Ansonio 5
Tel.: 02/8322832
Abbonamento: L. 50.000
Metis
Ricerche di sociologia, psicologia e antropologia della comunicazione
Anno di fondazione: 1994
Periodicità: annuale
Direttore: Sandro Carpanese
Redazione: Università di Padova. Dipartimento di Psicologia Generale
Editore: Cleup
Indirizzo: 35122 Padova, Via Prati 19
Tel.: 049/650261
Micro & Macro Marketing
Quadrimestrale di studi di marketing e comunicazione
Anno di fondazione: 1992
Periodicità: quadrimestrale
Direttore: Dario Romano
Editore: Il Mulino
Indirizzo: 40125 Bologna, Strada Maggiore 37
Tel.: 051/256011
Abbonamento: L. 74.000
http://www.mulino.it/frame2.htm
471
Millecanali
Televisione, radio, comunicazione, spettacolo
Anno di fondazione: 1974
Periodicità: mensile
Tiratura: 11.000
Direttore: Jacopo Castelfranchi
Editore: Gruppo editoriale JCE
Indirizzo: 20092 Cinisello Balsamo (MI), Via Ferri 6
Tel.: 02/660251
Abbonamento: L. 93.000
http://www.jce.it/COMUNIC/MILLECANALI/MILLECANALI.HTM
Multimedia
Comunicazione, formazione e tecnologie
Anno di fondazione: 1991
Periodicità: semestrale
Tiratura: 5.000
Direttore: Luciano Galliani
Editore: Sonda
Indirizzo: 10149 Torino, Via Ciamarella 23/3
Tel.: 011/211442
Abbonamento: L. 50.000
Nordest Business
Anno di fondazione: 1998
Periodicità: mensile
Tiratura: 12.000
http://www.fullstopagency.it/neb/nordest.htm
Prima Comunicazione
Mensile di informazione editoriale
Anno di fondazione: 1973
Periodicità: mensile
Tiratura: 21.000
Direttore: Umberto Brunetti
Editore: Genesis Editoriale
472
Indirizzo: 20123 Milano, Via Saffi 12
Tel.: 02/48194401
Abbonamento: L. 150.000
Problemi dell’informazione
Trimestrale di media e comunicazione
Anno di fondazione: 1976
Periodicità: trimestrale
Tiratura: 3.000
Direttore: Paolo Murialdi
Editore: Il Mulino
Indirizzo: 40125 Bologna, Strada Maggiore 37
Tel.: 051/256011
Abbonamento: L. 80.000
http://www.mulino.it/frame2.htm
Proiezioni
Anno di fondazione: 1994
Periodicità: quadrimestrale
Tiratura: 100.000
Direttore: Gabriele Zerbi
Editore: Argomenta
Indirizzo: 20148 Milano, Via Meloria 22
Tel.: 02/33002875
Pubblicità domani
La logica del marketing. L’emozione dei messaggi
Anno di fondazione: 1972
Periodicità: bimestrale
Tiratura: 12.500
Direttore: Loriano Martinoli
Editore: Nim
Indirizzo: 20121 Milano, Via Lovanio 6
Tel.: 02/878317
Abbonamento: L. 54.000
473
Pubblicità Italia
Il primo giornale della pubblicità, del marketing e dei media
Anno di fondazione: 1989
Periodicità: settimanale
Tiratura: 8.370
Direttore: Lillo Perri e Salvatore Sagone
Editore: Marketing Finanza Italia
Indirizzo: 20139 Milano, Via Stradella 3
Tel.: 02/29400554
Abbonamento: L. 350.000
Pubblico
Il primo settimanale di pubblicità, marketing e comunicazione integrata
Anno di fondazione: 1979
Periodicità: settimanale
Tiratura: 10.000
Direttore: Loriano Martinoli
Editore: Nim
Indirizzo: 20121 Milano, Via Lovanio 6
Tel.: 02/8055215
Abbonamento: L. 260.000
Publitransport
Rivista di comunicazione, advertising, media
Anno di fondazione: 1961
Periodicità: semestrale
Tiratura: 4.300
Direttore resp.: Giorgio Faggioni
Direttore edit.: Luisella Nicastri
Editore: Impresa Generale Pubblicità
Indirizzo: 20121 Milano, Piazza Cavour 1
Tel.: 02/654651
Abbonamento: gratuito
Responsabilità comunicazione impresa
Anno di fondazione: 1996
474
Periodicità: trimestrale
Direttore: Ugo Ruffolo
Editore: Giuffré
Indirizzo: 20151 Milano, Via Busto Arsizio 40
Tel.: 02/38089200
Abbonamento: L. 100.000
http://www.giuffre.it
Sociologia della comunicazione
Anno di fondazione: 1982
Periodicità: semestrale
Direttore: Enrico Mascilli Migliorini
Redazione: Università di Urbino. Istituto di Scienze dello spettacolo e
Sociologia della comunicazione
Editore: Franco Angeli
Indirizzo: 20127 Milano, Viale Monza 106
Tel.: 02/2895762
Abbonamento: L. 68.000
http://www.francoangeli.it/frames1.htm
Strategia
Mensile italiano della comunicazione pubblicitaria
Anno di fondazione: 1973
Periodicità: mensile
Tiratura: 9.120
Direttore: Ivana Pasian
Editore: Strategia Editoriale
Indirizzo: 20123 Milano, Piazzale Cantore 12
Tel.: 02/671511
Abbonamento: L. 154.000
Telèma
Attualità e futuro della società multimediale
Anno di fondazione: 1995
Periodicità: trimestrale
Tiratura: 10.000
475
Direttore resp.: Ignazio Contu
Direttore edit.: Angelo Picano
Editore: Fondazione Bordoni
Indirizzo: 00142 Roma, Via Castiglione 59
Tel.: 06/54801
Abbonamento: L. 50.000
http://www.fub.it/telema/
TV Key
Mensile professionale di comunicazione televisiva
Anno di fondazione: 1987
Periodicità: mensile
Tiratura: 10.500
Direttore: Roberto Albano
Editore: Media Key
Indirizzo: 20133 Milano, Via Lippi 33/C
Tel.: 02/2367891
Vita italiana. Istituzioni e comunicazione
Anno di fondazione: 1987
Periodicità: trimestrale
Tiratura: 100
Direttore: Stefano Rolando
Editore: Presidenza del Consiglio dei Ministri. Istituto Poligrafico e
Zecca dello Stato
Indirizzo: 00198 Roma, Piazza Verdi 10
Redazione: 00198 Roma, Via Po 14/16A
Tel.: 06/85082175
Abbonamento: L. 55.000
476
ANNUARI, GUIDE E SUPPLEMENTI ANNUALI
Agenzie
Annual di Strategia
Periodicità: annuale
Direttore: Ivana Pasian
Editore: Strategia Editoriale
Indirizzo: 20123 Milano, Piazzale Cantore 12
Tel.: 02/671511
Agenzie & Clienti
Periodicità: semestrale
Direttore: Ivana Pasian
Editore: Strategia Editoriale
Indirizzo: 20123 Milano, Piazzale Cantore 12
Tel.: 02/671511
Case di produzione
Periodicità: annuale
Direttore: Ivana Pasian
Editore: Strategia Editoriale
Indirizzo: 20123 Milano, Piazzale Cantore 12
Tel.: 02/671511
477
Chi è della pubblicità e della comunicazione
Periodicità: annuale
Tiratura: 5.000
Direttore: Lillo Perri
Editore: Business Publishing Services
Indirizzo: 20129 Milano, Via Stradella 3
Tel.: 02/29400554
Creativi & Fornitori
Guida professionale ai fornitori di creatività e servizi per la
pubblicità
Periodicità: annuale
Tiratura: 3.500
Direttore: Lillo Perri
Editore: Business Publishing Services
Indirizzo: 20129 Milano, Via Stradella 3
Tel.: 02/29400554
Grande libro della stampa italiana
Periodicità: annuale (supplemento a Prima Comunicazione)
Direttore: Umberto Brunetti
Editore: Genesis Editoriale
Indirizzo: 20123 Milano, Via Saffi 12
Tel.: 02/48194401
Guida Agenzie
La guida di riferimento per chi investe in pubblicità
Periodicità: annuale
Tiratura: 5.000
Direttore: Lillo Perri
Editore: Business Publishing Services
Indirizzo: 20129 Milano, Via Stradella 3
Tel.: 02/29400554
Guida Marketing
La prima guida di riferimento per gli specialisti del marketing
Periodicità: annuale
478
Tiratura: 5.000
Direttore: Lillo Perri
Editore: Business Publishing Services
Indirizzo: 20129 Milano, Via Stradella 3
Tel.: 02/29400554
Guida MI
Il mercato dell’informazione dalle basi di dati ai CD-ROM
Anno di fondazione: 1990
Periodicità: annuale
Tiratura: 100
Direttore: Giovanni Tomei
Editore: Medianet
Indirizzo: 00161 Roma, Via Piazza 24
Tel.: 06/44243666
Abbonamento: L. 220.000
Guida Packaging
La prima guida di riferimento per gli specialisti del packaging e
design
Periodicità: annuale
Tiratura: 5.000
Direttore: Lillo Perri
Editore: Business Publishing Services
Indirizzo: 20129 Milano, Via Stradella 3
Tel.: 02/29400554
Italia dei mezzi locali (L’)
Periodicità: annuale
Direttore: Ivana Pasian
Editore: Strategia Editoriale
Indirizzo: 20123 Milano, Piazzale Cantore 12
Tel.: 02/671511
Mediabook Specializzati
La prima guida completa per pianificare su mezzi specifici e di categoria
Anno di fondazione: 1985
479
Periodicità: annuale
Tiratura: 4.000
Direttore: Lillo Perri
Editore: Business Publishing Services
Indirizzo: 20129 Milano, Via Stradella 3
Tel.: 02/29400554
Abbonamento: L. 300.000
Millecanali. Annuario delle radio italiane
Anno di fondazione: 1994
Periodicità: annuale
Tiratura: 30.000
Direttore: Jacopo Castelfranchi
Editore: Gruppo editoriale JCE
Indirizzo: 20092 Cinisello Balsamo (MI), Via Ferri 6
Tel.: 02/660251
Abbonamento: L. 93.000
Millecanali. Annuario delle TV italiane
Anno di fondazione: 1994
Periodicità: annuale
Tiratura: 30.000
Direttore: Jacopo Castelfranchi
Editore: Gruppo editoriale JCE
Indirizzo: 20092 Cinisello Balsamo (MI), Via Ferri 6
Tel.: 02/660251
Abbonamento: L. 93.000
Protagonisti (I)
Nomi, indirizzi e informazioni degli operatori di marketing e comunicazione d’impresa
Periodicità: annuale (supplemento a DM&C)
Tiratura: 6.000
Direttore: Ugo Canonici
Editore: Deus
Indirizzo: 20139 Milano, Via Breno 1
Tel.: 02/57402781
480
Pubblicità & Successo
Anno di fondazione: 1984
Periodicità: annuale (supplemento a Pubblico)
Direttore: Loriano Martinoli
Editore: Nim
Indirizzo: 20121 Milano, Via Lovanio 6
Tel.: 02/29005329
Sulla carta nel 2000
Periodicità: annuale
Direttore: Ivana Pasian
Editore: Strategia Editoriale
Indirizzo: 20123 Milano, Piazzale Cantore 12
Tel.: 02/671511
Uomini Comunicazione
Periodicità: annuale (supplemento a Prima Comunicazione)
Direttore: Umberto Brunetti
Editore: Genesis Editoriale
Indirizzo: 20123 Milano, Via Saffi 12
Tel.: 02/48194401
481
ELENCO DELLE RIVISTE CESSATE
Advertising & News Dorland
Trimestrale d’informazione su pubblicità e marketing
Periodicità: trimestrale
Direttore: Alberto Guastini
Editore: Ghold
Indirizzo: 20144 Milano, Via Cimarosa 12/5
Tel.: 02/4690614
Campagne
Cultura della comunicazione
Anno di fondazione: 1981
Periodicità: bimestrale
Direttore: Giuseppe Roggero
Editore: Summa
Indirizzo: 20123 Milano, Via Monti 15
Tel.: 02/4983264
Comunicare
La rivista della pubblicità, della comunicazione, delle strategie e
analisi di mercato
Anno di fondazione: 1986
Cessato: 1990
Periodicità: mensile
482
Direttore: Oliviero Beha
Editore: Editoriale Comunicare
Indirizzo: 20123 Milano, Via Caradosso 18
Tel.: 02/4396976
Comunicazione di massa
Anno di fondazione: 1980
Cessato: 1987
Periodicità: quadrimestrale
Direttore: Furio Colombo
Editore: SugarCo
Indirizzo: 20124 Milano, Viale Tunisia 41
Comunicazioni di massa
Anno di fondazione: 1963
Periodicità: trimestrale
Redazione: Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Istituto di
Pedagogia. Centro di Sociologia e delle Comunicazioni di massa
DM Direct Marketing
Strategie e tecniche di comunicazione e vendita
Anno di fondazione: 1987
Cessato: 1991
Periodicità: mensile
Direttore editoriale: Ugo Canonici
Direttore responsabile: Marco Bindi
Editore: Alfa Linea
Indirizzo: 20124 Milano, Viale Sondrio 5
Tel.: 02/66987575
Electronic mass media age
Mensile di informazione per media-people di agenzie e utenti
Anno di fondazione: 1984
Periodicità: mensile
Direttore editoriale: Francesco Siliato
Direttore responsabile: Michele Di Pisa
Editore: Systems
Indirizzo: 20090 Opera Milano, Via Mosè 22
Tel.: 02/57606310
483
Icom
Istituzioni e comunicazione
Anno di fondazione: 1988
Cessato: 1995
Periodicità: mensile
Tiratura: 7.000
Direttore: Stefano Rolando
Editore: Presidenza del Consiglio dei Ministri. Dipartimento per l’informazione e l’editoria
Indirizzo: 00187 Roma, Via Boncompagni 15
Tel.: 06/48797721
Abbonamento: gratuito
Marketing Espansione
Trimestrale di marketing e comunicazione in collaborazione con
l’Adico
Anno di fondazione: 1980
Cessato: 1992
Periodicità: trimestrale
Direttore: Marco Borsa
Editore: Mondadori
Indirizzo: 20090 Segrate Milano, Via Mondadori
Mass media
Rivista bimestrale della comunicazione
Anno di fondazione: 1982
Cessato: 1995
Periodicità: bimestrale
Direttore: Gino Agnese
Editore: Capone
Indirizzo: 00186 Roma, Via Tribuna di Tor de’ Specchi 18/A
Tel.: 06/6794268
Mediario
Annuario italiano dei media. La comunicazione verso l’editoria
multimediale
Anno di fondazione: 1995
Cessato: 1997
Periodicità: annuale
Tiratura: 3.000
484
Direttore: Mario Dalmaviva
Editore: Viva
Indirizzo: 10146 Torino, Via Invorio 24/A
Tel.: 011/7720401
Abbonamento: L. 45.000
Millimetro (Il)
Periodico di comunicazione multimediale
Anno di fondazione: 1964
Cessato: 1995
Periodicità: trimestrale
Tiratura: 6.000
Direttore: Leonardo Zega
Editore: St. Paul International
Indirizzo: 20145 Milano, Via Duccio di Boninsegna 10
Tel.: 02/48008838
Mix
Rivista periodica semestrale di immagine e comunicazione
Anno di fondazione: 1987
Editore: Media Control
Nuovo
Comunicazione e immagine
Anno di fondazione: 1981
Cessato: 1990
Periodicità: trimestrale
Direttore: Renata Andrea Prevost
Editore: Ediforum
Indirizzo: 20122 Milano, Viale d’Este 37
Tel.: 02/58300548
Parete
Anno di fondazione: 1952
Periodicità: quadrimestrale
Direttore: Susanna Merzek
Editore: Igap
Indirizzo: 20123 Milano, Via Giulini 2
Tel.: 02/8690151
485
Pubblicità domani
Quindicinale della pubblicità e della comunicazione
Anno di fondazione: 1972
Cessato: 1973
Periodicità: quindicinale
Editore: Associazione Giovani Pubblicitari (YAIA)
Stato & Comunicazione
Comunicazione degli enti e delle aziende pubbliche
Anno di fondazione: 1982
Cessato: 1987
Periodicità: bimestrale
Direttore: Giancarlo Buzi
Editore: Pola
Indirizzo: 20123 Milano, Via Borromei 9
Tel.: 02/875570
Target
Marketing, comunicazione, ricerca sociale
Anno di fondazione: 1985
Cessato: 1991
Periodicità: bimestrale
Direttore editoriale: Enrico Robbiati
Direttore responsabile: Alessandro Sciorilli
Editore: Ediforum
Indirizzo: 20135 Milano, Via Trebbia 5
Tel.: 02/58300548
486
HOUSE ORGAN CENSITI IN ITALIA
487
L’elenco qui presentato, pur redatto con la migliore diligenza, è
ricavato da notizie e informazioni raccolte dall’Ascai direttamente o attraverso spontanee segnalazioni, che purtroppo non sempre sono tempestive e spesso giungono con ritardo.
Ci scusiamo, dunque, per eventuali carenze o inesattezze e ringraziamo in anticipo chi, a conoscenza di altre informazioni che completino questo elenco o correggano involontari errori, vorrà cortesemente
darne notizia.
ABI - BANCARIA EDITRICE S.p.A.
“Banca & Lavoro” - 00186 Roma - Piazza del Gesù 49
Tel. 06-6767 584 - Fax 06-6767 435 - Resp. Dott. Giuseppe Capo
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
“Bancaforte”
(stesso indirizzo del precedente)
Tel. 06-6767 392/3/4 - Fax 06-6767 397 - Resp. Vincenzo Macchia
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
“Bancaria”
(stesso indirizzo del precedente)
Tel. 06-6767 392/3/4 - Fax 06-6767 397 - Resp. Tancredi Bianchi
Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post.
489
“Lettera Marketing”
(stesso indirizzo del precedente)
Tel. 06-6767 392/3/4 - Fax 06-6767 397 - Resp. Bruno Maineri
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
“Circolari ABI”
(stesso indirizzo del precedente)
Tel. 06-6767 392/3/4 - Fax 06-6767 397 - Resp. Tancredi Bianchi
Frm. fogli mobili - Period. settimanale - Distr. abb.post.
“Pareri ABI”
(stesso indirizzo del precedente)
Tel. 06-6767 392/3/4 - Fax 06-6767 397 - Resp. Enrico Granata
Frm. libro - Period. quadrimestrale - Distr. abb.post.
“Notiziario di giurisprudenza del lavoro”
(stesso indirizzo del precedente)
Tel. 06-6767 392/3/4 - Fax 06-6767 397 - Resp. Giuseppe Capo
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
(*) ACEA - AZIENDA COMUNALE ENERGIA ED AMBIENTE
DI ROMA
“Aceacittà” - 00154 Roma - Piazzale Ostiense 2
Tel. 06-57993718 - Fax 06-57993726
Resp. Dott. Willy Pocino - Dir. Ed. Dott. Mario Diaco
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
ACI 116 - Servizio Soccorso Stradale
“116 Notizie” - 00185 Roma - Via Solferino 32
Tel. 06-44595.111- Fax 06-4441.060 - Resp. Dott. Corrado Pagnani
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
ACRI - Associazione fra le Casse di Risparmio Italiane - Area Relazioni Esterne
“Sistema Casse” - 00198 Roma - Viale di Villa Grazioli 23
490
Tel. 06-8556.2247 - Fax 06-8540.192
Dirett. Dott. Pier Giulio Cottini - Resp. Dott. Antonio Cremonesi
Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post.
AEROPORTI DI ROMA
“Aeroporto” - 00050 Roma Aeroporto - Viale dell’Aeroporto di Fiumicino
Casella Postale 68 - Tel. 06-6595.3950 - Fax 06-6595.5929
Dirett. Dott. Patrizio Prato - Resp. Dott. Alessandro Mochi Sismondi
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
(*) AEROPORTO G. MARCONI DI BOLOGNA S.p.A.
“BLQui” - 40132 Bologna - Via Triumvirato 84
Tel. 051-647.9683 - Fax 051-647.9719 - Resp. Dott. Umberto Chinni
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
AGAC - Servizi Energetici ed Ambientali
“Interno” - 42100 Reggio Emilia - Via Gastinelli 30
Tel. 0522-297491 - Fax 0522-297429
Dirett. Dott. Uris Cantarelli - Dir. Ed. Dott. Vincenzo Delmonte
Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post.
“Dentrocasa”
(stesso indirizzo del precedente)
Dirett. Dott. Uris Cantarelli - Dir. Ed. Dott. Vincenzo Delmonte
Frm. tabloid - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
AGIP S.p.A. - Comunicazione e Relazioni Interne
“NIA - Notiziario Interno Agip” - 20097 S. Donato Milanese (MI)
Via Emilia 1 (Cas. Post. 12069 - 20120 Milano)
Tel. 02-520.61161 - Fax 02-520.61838
Dirett. Ing. Giorgio Ruffoni - Resp. Dott. Marco Minghetti
Frm. rivista (bilingue) - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
AgipPetroli - Rapp. con l’Esterno e Coordin. Immagine
“Synchron” - 00142 Roma - Via Laurentina 449
491
Tel. 06-59881 - Fax 06-5988.6611
Resp. Dott. Mario Padovani - Dir. Ed. Dott. Umberto Esposito
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
“AgipPetroli News”
(supplemento del precedente)
(*) ALCAN ALLUMINIO S.p.A.
“Notizie ALCAN” - 20090 Pieve Emanuele (MI) - Via B.Buozzi 12
Tel. 02-907.441 - Fax 02-907.82155 - Resp. Dott. Mauro Dodi
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
ALCATEL ITALIA - Direzione Relazioni Esterne
“Viva Voce” - 20059 Vimercate (MI) - Via Trento 30
Tel. 039-686 3412 - Fax 039-6293 3759 - Resp. Dott. Sergio Veneziani
Frm. tabloid - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro
(*) ALENIA S.p.A.
“Icaro” - 00197 Roma - Viale Maresciallo Pilsudski 92
Tel. 06-8077.8043 - Fax 06-8077.2215 - Resp. Dott. Gerry Vaientini
Frm. uni - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro
ALITALIA - Centro Direzionale
“Cronache AZ” - 00148 Roma - Viale Alessandro Marchetti 111
Tel. 06-6562.4863 - Fax 06-6562.4676 - Resp. Dott. Maurizio Bocci
Frm. uni - Period. settimanale - Distr. posto di lavoro
“AZ Bulletin” - Edizione in lingua inglese
(stesso indirizzo del precedente)
Resp. Dott. Maurizio Bocci
Frm. uni - Period. mensile - Distr. posto di lavoro
“Alitaliaoggi”
(stesso indirizzo del precedente)
Resp. Dott. Maurizio Bocci - Dir. Ed. Marco Zanichelli
Frm. tabloid - Period. mensile - Distr. posto di lavoro
492
ALLEANZA ASSICURAZIONI S.p.A.
“Vita dell’Alleanza” - 20154 Milano - Viale L. Sturzo 35
Tel. 02-6296.441 - Fax 02-653718 - Resp. Dott. Ugo Perugini
Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post.
“Tony e Clint”
(supplemento del precedente)
ANSALDO S.p.A. - Direzione Relazioni Esterne
“Ansaldo Informazioni” - 16128 Genova - Piazza Carignano 2
Tel. 010-6554.227 - Fax 010-6554.101 - Resp. Dott. Luigi Giraldi
Frm. rivista (bilingue) - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
ASSICURAZIONI GENERALI S.p.A. - Servizio Comunicazione
“Il Bollettino - Rivista delle Assicurazioni Generali”
34132 Trieste - Piazza Duca degli Abruzzi 2
Tel. 040-671.121 - Fax 040-671.123 - Resp. Dott. Armando Zimolo
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
“Dossier Assicurazione”
(supplemento del precedente)
Frm. rivista - Period. annuale
“TecNews”
(supplemento del precedente)
Frm. rivista - Period. annuale
“Le Generali nel 1997”
(supplemento del precedente)
Frm. rivista - Period. annuale
“Il premio letterario Carlo Ulcigrai”
(supplemento del precedente)
Frm. rivista - Period. annuale
493
AUTOSTRADE S.p.A.
“Autostrade Cronache” - 00159 Roma - Via Bergamini 50
Tel. 06-4363.2822 - Fax 06-4363.2817 - Resp. Dott. Giancarlo Elia
Valori
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
“Autostrade”
(stesso indirizzo del precedente)
Resp. Dott. Giancarlo Elia Valori
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
AZIENDA ACQUEDOTTO MUNICIPALE DI TORINO
“Aquae” - 10152 Torino - Corso XI Febbraio 14
Tel. 011-46451 - Fax 011-4365.575 - Resp. Dott.ssa Marisa Di Lauro
Frm. rivista - Period. quadrimestrale - Distr. abb.post.
AZIENDA COMUNALE AUTOFILOVIARIA DI PADOVA
“ACAP Notizie” - 35131 Padova - Via Rismondo 28
Tel. 049-662.055 - Fax 049-779.011 - Resp. Dott. Sergio D’Orazio
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
AZIENDA ENERGETICA MUNICIPALE DI MILANO
“Aem Oggi” - 20122 Milano - Corso di Porta Vittoria 4
Tel. 02-7720.3434 - Fax 02-7720.3894 - Dirett. Dott. Biagio Longo
Frm. 45 x 42 - Period. mensile - Distr. abb.post.
AZIENDA ENERGETICA METROPOLITANA DI TORINO
S.p.A.
“Informa” - 10122 Torino - Via Bertola 48
Tel. 011-5549.234 - Fax 011-538313 - Resp. Dott. Fedele Bertorello
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
AZIENDA MOBILITA’ E TRASPORTI
“Omnibus” - 16137 Genova - Via L. Montaldo 2
Tel. 010-5997.479 - Fax 010-5997.492 - Resp. Dott. Celestino Santomauro
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
494
AZIENDA MUNICIPALIZZATA DEL COMUNE DI MODENA
Ufficio Comunicazione e Immagine
“Not AM” - 41100 Modena - Via Razzaboni 80
Tel. 059-407.209 - Fax 059-407.040 - Dirett. Ing. Paolo Barozzi
Frm. tabloid - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
AZIENDA SERVIZI MUNICIPALIZZATI DI BRESCIA - Serv.
Marketing
“Voi e Noi” - 25124 Brescia - Via Lamarmora 230
Tel. 030-3500.214 - Fax 030-3500.204 - Resp. Dott. Iginio Meraviglia
Frm. rivista - Period. quadrimestrale - Distr. abb.post.
“Voi e Noi flash”
(stesso indirizzo del precedente)
Resp. Dott. Iginio Meraviglia
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post. e porta a porta
AZIENDA TRASPORTI AREA FIORENTINA - ATAF
“Nonsolobus” - 50131 Firenze - Viale dei Mille 115
Tel. 055-5650.240/241 - Fax 055-5650.209 - Resp. Dott. Marco Talluri
Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post.
BANCA CARIGE S.p.A.
“La Casana” - 16123 Genova - Via Cassa di Risparmio 15
Tel. 010-5792.255 - Fax 010-5792.731 - Resp. Dott. Nino Gotta
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
BANCA DI CREDITO COOPER. DI CASSANO DELLE MURGE
(BARI)
“Soldi” - 70020 Cassano delle Murge (Bari) - Via V. Veneto 9
Tel. 080-763.155 - Fax 080-776.369 - Dirett. Dott. Lorenzo Fiore
Frm. rivista - Period. quadrimestrale - Distr. posto di lavoro
BANCA D’ITALIA - Serv. Organizzazione
“Notiziario - Periodico di Informazione Aziendale”
00184 Roma - Via Nazionale 91 - Tel. 06-47921 - Resp. Dott. Sergio Marzano
Frm. rivista - Period. quadrimestrale - Distr. abb.post.
495
“ennebi - notiziebankitalia”
Serv. Pers. - Gest. Risorse - Divis. Form. Addestr. e Comunic.
00187 Roma - Via Sallustiana 62 - Tel. 06-4792 3202 - Fax 064746.013
Responsabile: Settore Comun. Interna - Dott. Giovanni Alunni
Frm. rivista - Period. mensile - Distr. posto di lavoro
BANCA DI ROMA S.p.A.
“Il Villaggio” - 00186 Roma - Via Marco Minghetti 17
Tel. 06-67071 - Resp. Avv. Alberto Giordano
Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post.
“risparmio oggi”
(stesso indirizzo del precedente)
Resp. Dott. Stefano Vespa
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
“Affare Fatto”
(stesso indirizzo del precedente)
Tel. 06-6700.8969 - Fax 06-6700.8931 - Resp. Dott. Giacomo Carioti
Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post.
“Mercati Esteri”
(stesso indirizzo del precedente)
Resp. Dott. Giacomo Carioti
Frm. rivista - Period. quindicinale - Distr. abb.post.
“Bancatel” Giornale televisivo, telefonico, telematico
(stesso indirizzo del precedente)
Resp. Dott. Giacomo Carioti
Period. settimanale
“Pronto Bankinforma” Giornale telefonico
(stesso indirizzo del precedente)
Resp. Dott. Giacomo Carioti
Period. quotidiana (diffuso tramite serv. rere Audiotel-Telecom)
496
“Bankinforma”
(stesso indirizzo del precedente)
Resp. Dott. Giacomo Carioti
Period. mensile (diffuso tramite rete interna e scali aeroportuali)
BANCA FIDEURAM S.p.A. - Direzione Marketing
“Performance” - 00143 Roma - Piazzale Douhet 31
Tel. 06-5902.2690 - Fax 06-5902.2148 - Resp. Dott. Gianluca Liguori
Frm. rivista - Period. variabile - Distr. posto di lavoro
BANCA NAZIONALE DEL LAVORO - Servizio Personale e
Sviluppo Organizzazione
“BNL Noi insieme” - 00187 Roma - Via Lombardia 31
Tel. 06-4702.5635 - Fax 06-4702.5638
Resp. Dott. Alberto Mucci - Dir. Ed. Avv. Gianfranco Verzaro
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
BANCA POPOLARE DELL’EMILIA ROMAGNA
“Banca popolare dell’Emilia Romagna” - 41100 Modena - Via San Carlo 8/20
Tel. 059-202.111 - Fax 059-202.151- Resp. Dott. Giovanni De Carlo
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
BANCA POPOLARE DELL’ETRURIA E DEL LAZIO - Serv. Segret. Gener.
“Etruria Oggi” - 52100 Arezzo - Corso Italia 179
Tel. 0575-307368 - Fax 0575-26801 - Resp. Dott. Paolo Schiatti
Frm. rivista - Period. quadrimestrale - Distr. abb.post.
“Etruria informa”
(supplemento del precedente)
BANCA POPOLARE DI CROTONE
“Pitagora” - 88074 Crotone (CZ) - Via Panella
Tel. 0962-933.371 - Resp. Fulvio Mazza
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
497
BANCA POPOLARE DI MILANO - Direz. Relazioni Esterne
“Noi Bipiemme” - 20121 Milano - Piazza F. Meda 4
Tel. 02-7700.2598 - Fax 02-7700.2650 - Resp. Dott. Giovanni Bianchini
Frm. uni - Period. mensile - Distr. posto di lavoro
BANCA POPOLARE DI SONDRIO
“Notiziario della Banca Popolare di Sondrio” - 23100 Sondrio - Piazza
Garibaldi 16
Tel. 0342-528.111 - Fax 0342-528.484 - Resp. Dott. Luciano Giacomelli
Frm. rivista - Period. quadrimestrale - Distr. abb.post.
BANCA POPOLARE DI VERONA - BANCO S. GEMINIANO E
S. PROSPERO S.p.A.
“Notiziario” - 37121 Verona - Piazza Nogara 2
Tel. 045-8675.111 - Fax 045-8675.425
Dirett. Dott. Tarcisio Marchesini - Resp. Dott. Giuseppe Brugnoli
Frm. rivista - Period. quadrimestrale - Distr. abb.post.
“Prospettive”
(stesso indirizzo del precedente)
a cura Servizio Studi e Relazioni Esterne
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro
BANCA REGIONALE EUROPEA
“Rassegna” - 12100 Cuneo - Via Roma 13
Tel. 0171-4461 - Fax 0171-446.098 - Resp. Dott. Carlo Benigni
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
BANCA SELLA - Servizio Studi
“Dialoghi” - 13051 Biella (VC) - Via Italia 2
Tel. 015-3501.438 - Fax 015-351.767 - Resp. Dott.ssa Erika Pozzo
Frm. uni - Period. bimestrale - Distr. posto di lavoro
BANCO DI SICILIA - Servizio Affari Generali e Studi Economici
“Lettere & Numeri” - 90141 Palermo - Via G. Magliocco 1
498
Tel. 091-608.5121 - Fax 091-608.8589 - Resp. Dott. Salvatore Butera
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
(*) BTICINO S.p.A.
“bt” - 20154 Milano - Via Messina 38
Tel. 02-3480.11 - Fax 02-3480.422 - Resp. Dott.ssa Anna Bonometto
Frm. rivista - Period. semestrale - Distr. abb.post.
BULL HN INFORMATION SYSTEMS ITALIA
“Conoscere Bull” - 20147 Milano - Via Pirelli 32
Tel. 02-6779.11 - Fax 02-6779.2330 - Resp. Dott.ssa Nella Brancaccio
Frm. rivista - Period. semestrale - Distr. abb.post.
(*) CALAMO
“nodi” - 00198 Roma - Via Nizza 53
Tel. 06-854 8710 - Fax 06-8548745 - Resp. Dott. Gianfranco Valleriani
Frm. 16 x 30 - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
CARIPUGLIA S.p.A. - Area Relaz. Esterne e Comunicazione
“Caripuglia Magazine” - 70121 Bari - Via Calefati 112
Tel. 080-578.2426 - Fax 080-578.2425 - Resp. Dott. Tommaso Basso
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
CARITAS DIOCESANA DI ROMA
“XY” - 00184 Roma - Via delle Sette Sale 30/30 B
Tel. 06-487.2237 - Resp. Dott.ssa Agata Liotta
Frm. uni - Period. bimestrale - Distr. posto di lavoro
CASSA DI RISPARMIO DI BOLZANO S.p.A.
“Note” - 39100 Bolzano - Via Cassa di Risparmio 12 b
Tel. 0471-231317 - Fax 0471-231300 - Resp. Dott. Hugo Daniel Stoffella
Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post.
CASSA DI RISPARMIO DELLE PROVINCIE LOMBARDE (Servizio Studi e Pianificazione)
“Cà de sass” - 20121 Milano - Via Monte di Pietà 8
499
Tel. 02-88665807 - Fax 02-8866.5225 - Resp. Dott. Massimo Lanza
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
(*) CASSA DI RISPARMIO DI BRA
“CRB Notizie” - 12042 Bra (CN) - Via Principi di Piemonte 12
Tel. 0172-4351 - Fax 0172-421.721 - Resp. Dott. Francesco Guida
Frm. rivista - Period. quadrimestrale - Distr. abb.post.
CASSA DI RISPARMIO DI CESENA - Serv. Affari Generali
“CRC Informa” - 47023 Cesena (FO) - Corso Garibaldi 18
Tel. 0547-358.111 - Resp. Dott. Dionigio Dionigi
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
CASSA DI RISPARMIO DI FERMO S.p.A. - Ufficio Relazioni
Esterne
“Cierreeffe” - 63023 Fermo (AP) - Via Don Ricci 1
Tel. 0734-2861 - Fax 0734-286.287 - Resp. Dott. Giovanni Martinelli
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
CASSA DI RISPARMIO DI PERUGIA - Ufficio Relaz. Esterne
“Grifo Banca” - 06121 Perugia - Corso Vannucci 39
Tel. 075-5693134 - Fax 075-569.3160 - Resp. Dott. Umberto Mancini
Frm. rivista - Period. quadrimestrale - Distr. abb.post.
CASSA DI RISPARMIO DI VERONA VICENZA BELLUNO E
ANCONA
“IC” - 37121 Verona - Via Garibaldi
Tel. 045-8081.111 - Fax 045-594.905 - Resp. Dott. Renzo Cocco
Frm. uni - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
CFR COFAR - Soc. Coop. a r.l.
“COFAR Informa” - 96100 Siracusa - Viale Scala Greca 67/C
Tel. 0931-492.029 - Resp. Dott. Carmelo Miduri
Frm. tabloid - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
CIBA-GEIGY S.p.A. - Relaz. Esterne e Comunic. Interna
“Ciba Journal” - 21040 Origgio (VA) - S.S. 233 km 20,5
500
Tel. 02-96543260 - Fax 02-9670.1090 - Resp. Dott. Terry Tyzack
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
“Ciba Flash”
(stesso indirizzo del precedente)
Resp. Dott. Terry Tyzack
Frm. uni - Period. mensile - Distr. posto di lavoro
CISE - Servizio per la Promozione Commerciale
“Azienda CISE” - 20090 Segrate (MI) - Via Reggio Emilia 39
Tel. 02-2167.2446 - Fax 02-2167.2116 - Resp. Dott. Paolo Civardi
Frm. tabloid - Period. semestrale - Distr. abb.post.
CONFINDUSTRIA
“Qualeimpresa” - 00144 Roma - V.le dell’Astronomia 30
Tel. 06-5903 498 - Fax 06-5914 529 - Resp. Dott. Paolo Mazzanti
Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post.
COOPERATIVA MURATORI & CEMENTISTI C.M.C.
“La Betoniera” - 48100 Ravenna - Via Trieste 76
Tel. 0544-428.111 - Fax 0544-428.554 - Resp. Dott. Giampietro Saviotti
Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post.
CREDITO EMILIANO
“Banca Notizie” - 42100 Reggio Emilia - Via Emilia S. Pietro 4
Tel. 0522-450371 - Fax 0522-433.969
Dirett. Prof. Matteo Mattei Gentili - Resp. Dott. Corrado Rabotti
Frm. uni - Period. quadrimestrale - Distr. abb.post.
CREDITO ITALIANO S.p.A. - Relazioni Esterne e Segreteria
“Nuovo Cordusio” - 20123 Milano - Piazza Cordusio
Tel. 02-88623308 - Fax 02-88623034 - Resp. Dott. Vittorio Borelli
Frm. tabloid - Period. bimestrale - Distr. abb.post. e posto di lavoro
CSELT - Centro Studi e Laboratori Telecomunicazioni (Rel. Est.)
“CSELT News” - 10148 Torino - Via Reiss Romoli 274
501
Tel. 011-2285.111- Fax - 011-2285.520 - Resp. Dott.ssa Michela
Billotti
Frm. uni - Period. mensile - Distr. posto di lavoro
CYANAMID ITALIA S.p.A.
“Noi Cyanamid Italia” - 95030 Catania - Via Franco Gorgone - Zona
Industriale
Tel. 095-598.233 - Fax 095-598.561 - Resp. Avv. Salvatore Aldisio
Frm. rivista - Period. quadrimestrale - Distr. abb.post. e posto di lavoro
DE PRETTO ESCHER WYSS S.r.l.
“Il punto DP-EW” - 36015 Schio (VI) - Via D. Manin 16/18
Tel. 0445-691.511 - Fax 0445-511.138 - Resp. Ing. Maurizio Pini
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
DEROMA S.p.A.
“il coccio” - 36034 Malo (VI) - Via Pasubio 17
Tel. 0445-595311 - Fax 0445-595.322 - Resp. Dott. Prando Prandi
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. e posto di lavoro
DIOGUARDI - Servizio Comunicazione
“Dioguardi notizie” - 20124 Milano - Piazza Repubblica 30
Tel. 02-6599.857 - Fax 02-6575074 - Resp. Maria Cristina Venanzi
Frm. rivista - Period. semestrale - Distr. abb.post.
DOW ITALIA S.p.A. - Gruppo Lepetit S.p.A.
“Around Dow” - 20159 Milano - Via Murat 23
Tel. 02-4822.4481 - Fax 02-4822.4110 - Resp. Dott.ssa Albertina Tubercoli
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro
DU PONT DE NEMOURS ITALIANA S.p.A. - Relazioni Esterne
“Oggi e Domani” - 20093 Cologno Monzese (MI) - Via Volta 16
Tel. 02-25302.1 - Fax 02-254.7765 - Resp. Dott.ssa Renata Mazzelli
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro
502
ENEA - Ente per le Nuove Tecnologie, l’Energia e l’Ambiente
“ENEA Informazioni” - 00196 Roma - Lungotevere Thaon di Revel 76
Tel. 06-3627.2453 - Resp. Dott. Andrea Colombino
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
ENEL Società per azioni
“Illustrazione ENEL” - 00198 Roma - Via G.B. Martini 3
Tel. 06-8509.2339 - Fax 06-8509.7644 - Resp. Dott. Alessandro Bastoni
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
ENI S.p.A. - 00144 Roma - Piazzale E. Mattei 1
“Ecos” - 00143 Roma - Via Paolo di Dono 3A (Sogedit)
Tel. 06-5982.2428 - Fax 06-5982.2636 Resp. Dott. Marzio Bellacci Dir. Ed. Dott. Paolo Andreocci
Frm. rivista (bilingue) - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
ENICHEM S.p.A.
“Periodici interni di stabilimento” - 20138 Milano - Via Medici del Vascello 40/C
Tel. 02-52039107 - Fax 02-520.39115 - a cura della Unità Comunicazione Interna
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro
(*) ENIDATA
“Enidata oggi” - 20138 Milano - Via Medici del Vascello 26
Tel. 02-5202.9319 - Fax 02-5202.5175 - Resp. Dott. Walter Lattuada
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
ESSO ITALIANA S.p.A. - Direz. Relaz. Esterne/Direz. del Personale
“Noi Esso” - 00148 Roma - V.le Castello della Magliana 25 - Parco dei
Medici
Tel. 06-5995.2469 - Fax 06-5995.2779 - Resp. Dott. Carlo Pellicciari
Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post.
“Argomenti Esso”
Direzione Relazioni Esterne/Stampa e Informazione
503
(stesso indirizzo del precedente)
Tel. 06-5995.2230/2469 - Fax 06-5995.2779 - Resp. Dott. Carlo Angelo
Guareschi
Frm. rivista - Period. variabile - Distr. abb.post.
FAT - CISL - Federazione Alimentazione e Tabacco
“Fuoripasto” - 00185 Roma - Via Milazzo 23
Tel. 06-4941303 - Fax 06-4469.750 - Resp. Dott. Paolo Giammarroni
Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post.
FERROVIE DELLO STATO S.p.A.
“Linea diretta” - 00161 Roma - Piazza Croce Rossa 1
Tel. 06-8490 5272/3151
Resp. Dott. Gian Franco Lepore Dubois - Dir. Ed. Lorenzo Gallico
Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post.
“Amico Treno”
20123 Milano - Corso Magenta 24
Tel. 02-7243.9269 - Fax 02-7243.9464 - Resp. Dott. Carlo Pino
Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post.
FIAT S.p.A. - 10126 Torino - Via Nizza 250
“Illustrato” - 10126 Torino - Corso Dante 103 (Satiz S.p.A.)
Tel. 011-686.5648 - Fax 011-686.5626 - Resp. Dott. Ettore Gregoriani
Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post.
“Fiat Quadri” - 10126 Torino - Corso Dante 103 (Satiz S.p.A.)
Tel. 011-686.5756 - Fax 011-686.5760 - Resp. Dott. Pier Giorgio Lazzarin
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. posto di lavoro
FIAT AUTO S.p.A.
“Fiat Auto Quadri” - 10135 Torino - Corso Agnelli 200
Tel. 011-683.7788 - Fax 011-683.8079 - Resp. Dott. Simone Migliarino
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. posto di lavoro
504
FIAT AVIO S.p.A.
“Fiat Avio Quadri” - 10127 Torino - Via Nizza 326
Tel. 011-685.9831 - Resp. Dott.ssa Silvia Maoli
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro
COMAU S.p.A.
“Comau News” - 10095 Grugliasco (TO) - Via Rivalta 30
Tel. 011-684.9411 - Fax 011-684.9687 - Resp. Dott. Francesco Novo
Frm. rivista - Period. quadrimestrale - Distr. posto di lavoro
ISVOR-FIAT S.p.A.
“Isvor Notizie” - 10126 Torino - Corso Dante 103
Tel. 011-686.5624 - Fax 011-686.5406 - Resp. Dunia Astrologo
Frm. uni - Period. quadrimestrale - Distr. abb.
“Isvor flash”
(supplemento del precedente)
Altre testate: “News letter” - “Materiali Isvor”
IVECO S.p.A.
“Iveco Quadri” - 10156 Torino - Via Puglia 35
Tel. 011-687.2215 - Fax 011-687.4024 - Resp. Dott. Carlo Bramardo
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro
“Iveco Plus”
(stesso indirizzo del precedente)
Tel. 011-687.4539 - Dirett. Ernst Ulrich Kuhlenschmidt
Frm. tabloid - Period. variabile - Distr. abb.post.
MAGNETI MARELLI S.p.A.
“Magneti Marelli News” - 20011 Corbetta (MI) - V.le A. Borletti 61/63
Tel. 02-97200.531 - Fax 02/97200551 - Resp. Dott. Paolo Berruti
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro
505
NEW HOLLAND
“The World of New Holland”
950 Great West Road - Brenptford Middlesex TW8 9ES (Gran Bretagna)
Tel. + + 0181.4798800 - Resp. Louis Csoka
TEKSID S.p.A.
“Teksid Quadri” -10151 Torino - Via Pianezza 123
Tel. 011-685.4545 - Fax 011-685.4600 - Resp. Dott. Francesco Novo
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro
altre testate del Gruppo:
“In Diretta” - “In Diretta Straordinaria” - “In Diretta International”
“M & T Mobilità e Traffico” - “Qualitas” - “Notiziario dell’autoriparatore”
FINMECCANICA
“finmeccanica notizie” - 00195 Roma - Piazza Monte Grappa 4
Tel. 06-324.731- Resp. Dott. Antonio Marinello
Frm. uni - Period. mensile - Distr. abb.post.
(*) “Finmeccanica Formazione”
(stesso indirizzo del precedente)
Tel. 06-3247.3202 - Fax 06-3265.7253 - Resp. Dott. Claudio Gobbi
Frm. 22 x 22 - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
FINSIEL - Direzione Relazioni Pubbliche
“Finsiel informa” - 00198 Roma - Via Isonzo 21 b
Tel. 06-84315483 - Fax 06-84315276 - Resp. Dott.ssa M. Cristina
Sollohub
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
FONDAZIONE DELLA CASSA DI RISPARMIO DI FERRARA
“Ferrara - Voci di una Città” - 44100 Ferrara - Via Cairoli 13 Pal. Muzzarelli di Crema - Tel. 0532-205.091 - Fax 0532-205.171
506
Resp. Dott. Alfredo Santini
Frm. rivista (bilingue) - Period. semestrale - Distr. abb.post.
GAN ITALIA S.p.A.
“Voilà” - 00197 Roma - Via Guidobaldo Del Monte 45
Tel. 06-80974.1 - Fax 06-80974394 - Resp. Dott. Carlo Cicolani
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
(*) GESTIONE GOVERNATIVA DELLA CIRCUMVESUVIANA
“Circumvesuviana Informazioni” - 80142 Napoli - Corso Garibaldi 387
Tel. 081-7792.111 - Fax 081-7792.450 - Resp. Dott. Fernando Origo
Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post.
GRUPPO DEUTSCHE BANK S.p.A. - Servizio Personale
“Per il personale del Gruppo Deutsche Bank - Forum”
20122 Milano - Via Borgogna 8 - Tel. 02-7795.2452 - Fax 02-7795.2478
Resp. Dott. Nerio Nannini
Frm. rivista - Period. quadrimestrale - Distr. abb.post.
GRUPPO GS S.p.A. - Direz. del Personale
“Il Carrello” - 20153 Milano - Via Caldera 21
Tel. 02-48251 - Fax 02-40910.117 - Resp. Dott. Federico Sartor
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro
GRUPPO MEIE ASSICURAZIONI
“Meie Notizie” - 20122 Milano - Corso di Porta Vigentina 9
Tel. 02-5992.2417 - Fax 02-5992.2561 - Resp. Dott. Martino Radaelli
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro
GRUPPO RAS - Direzione Relazioni Esterne
“La rassegna” - 20122 Milano - Corso Italia 23
Tel. 02-72161 - Fax 02-7216.3420 - Resp. Dott. Furio Reggente
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
GRUPPO TESSILE MIROGLIO S.p.A.
“gtm notizie” - 12051 Alba (CN) - Via S. Margherita 23
507
Tel. 0173-299.835 - Fax 0173-299.231 - Resp. Dott. Giovanni Coccodrilli
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
GRUPPO 3M ITALIA S.p.A. - Comunicazioni Istituzionali
“3M Innovazione” - 20090 Segrate (MI) - Via San Bovio 3 - loc. S. Felice
Tel. 02-7035.2574 - Fax 02-7035.2520 - Resp. Dott. Antonio Pinna
Berchet
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
GRUPPO ZURIGO ITALIA - Ufficio Stampa
“Zeta Notizie” - 20129 Milano - Piazza C. Erba 6
Tel. 02-5966.2280 - Fax 02-5966.2603 - Resp. Dott.ssa Cecilia Bettale
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post. e posto di lavoro
“Grandangolo”
(supplemento del precedente)
I B M SEMEA - Dir. Relaz. Stampa e Attività Editoriali
“Read.me” - 20090 Segrate (MI) - Via Circonvallazione Idroscalo
Tel. 02-5962.5460/4550 - Fax 02-5962.5937 - Resp. Dott.ssa Alessandra Apicella
Frm. 24 x 33,5 - Period. bimestrale - Distr. posto di lavoro
(*) ILVA LAMINATI PIANI - 16128 Genova - Via Corsica 4
“ILP Informazioni” - 74100 Taranto - Via Appia km 648
Tel. 099-481.2283 - Fax 099-481.3906 - Resp. Dott. Ciro Petrarulo
Frm. uni - Period. mensile - Distr. posto di lavoro
INTERSIND Associazione Sindacale
“Industria e Sindacato” - 00147 Roma - Via C. Colombo 98
Tel. 06-5175.244 - Fax 06-5175.329
Resp. Dott. Agostino Paci - Coord. Dott. Enrico Vitiello
Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post.
“Panorama Sindacale”
(supplemento del precedente)
508
ISTAT - Istituto Nazionale di Statistica
“Istat informa’’ - 00184 Roma - Via Cesare Balbo 16
Tel. 06-4673.2293 - Fax 06-4673.2273 - Resp. Paolo Garonna
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
ISTITUTO BANCARIO SANPAOLO DI TORINO
“Sanpaolo magazine” - 10124 Torino - Via Lagrange 24
Tel. 011-555 6204 - Resp. Dott. Giorgio Agagliati
Frm. rivista - Period. quadrimestrale - Distr. posto di lavoro
“Sanpaolo Zoom”
(supplemento del precedente)
ITALIANA PETROLI S.p.A. - Direzione Marketing
“Notizie IP” - 16121 Genova - Piazza della Vittoria 1
Tel. 010-5773.664 - Fax 010-5773.996 - Resp. Dott. Giovanni Ferrari
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
ITALTEL - Direzione Relazioni Esterne
“Notizie Italtel” - 20154 Milano - Via A. di Tocqueville 13
Tel. 02-4388.5388 - Fax 02-43885435 - Resp. Dott. Filippo Nosengo
Frm. tabloid - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
“Nets”
(supplemento del precedente)
“Quaderni Italtel”
(stesso indirizzo del precedente)
Resp. Dott. Filippo Nosengo
Frm. rivista - Period. semestrale - Distr. abb.post.
“Notizie Flash Italtel”
(stesso indirizzo del precedente)
Resp. Dott. Filippo Nosengo
Frm. uni - Period. quindicinale - Distr. abb.post.
509
“Manager News’’
(stesso indirizzo del precedente)
Resp. Dott. Filippo Nosengo
Frm. uni - Period. bimestrale - Distr. posto di lavoro
“Notiziario Nuove Tecnologie”
(stesso indirizzo del precedente)
Resp. Dott. Filippo Nosengo
Frm. uni - Period. semestrale - Distr. posto di lavoro
“Notiziario Italtel Telesis”
(stesso indirizzo del precedente)
Resp. Dott. Filippo Nosengo
Frm. uni - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro
KUWAIT PETROLEUM ITALIA S.p.A.
“Insieme in Q8” - 00144 Roma - Via dell’Oceano Indiano 13
Tel. 06-5208.8328 - Fax 06-5208.8729 - Resp. Ing. Massimo Boccia
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro
LA FONDIARIA ASSICURAZIONI
“Il nuovo notiziario” - 50129 Firenze - Piazza della Libertà 6
Tel. 055-479 4425 - Fax 055-479 4637
Resp. Dott. Pier Luigi Berdondini - Dir. Ed. Claudio Giambastiani
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro
LLOYD ADRIATICO S.p.A. - Direzione Relazioni Esterne
“inLloyd” - 34143 Trieste - Via U. Irneri 1 - Tel. 040-77811
Resp. Dott. Claudio Saccari - Dir. Ed. Dott. Gianfranco Viatori
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
“tabLloyd”
(stesso indirizzo del precedente)
Resp. Dott. Claudio Saccari
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
510
“assiLloyd”
(supplemento del precedente)
“quaderniLloyd”
(supplemento del precedente)
LUCCHINI SIDERURGICA S.p.A.
“Lucchini magazine” - 25128 Brescia - Via Oberdan 1/A
Tel. 030-39921 - Fax 030-300669 - Resp. Camillo Facchini
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
MARZOTTO S.p.A.
“FiloDiretto” - 36078 Valdagno (VI) - Largo S. Margherita 1
Tel. 0445-429.835 - Fax 0445-410.778 - Resp. Dott. Domenico Genito
Frm. tabloid - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro
MICHELIN ITALIANA S.p.A.
“Orizzonti” - 10144 Torino - Via Livorno 57
Tel. 011-484.645 - Fax 011-4730.749 - Resp. Dott. Ugo Graglia
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
MILANO ASSICURAZIONI S.p.A.
“Noi della Milano” - 20121 Milano - Via Broletto 44
Tel. 02-8840.3806 - Fax 02-8840.3356 - Resp. Dott. Paolo Fiorencis
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro
MONTE DEI PASCHI DI SIENA
“Filo diretto” - 53100 Siena - Via Banchi di Sotto 46
Tel. 0577-294.214 - Resp. Dott. Marco Antonio Bulletti
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
“Montepaschi News”
(stesso indirizzo del precedente)
Resp. Dott. Marco Antonio Bulletti
Frm. uni - Period. mensile - Distr. posto di lavoro
511
(*) NRG ITALIA S.p.A.
“Nashuatec Notizie” - 20139 Milano - Via Caviglia 11
Tel. 02-5356.1 - Fax 02-5356.613 - Direz. Ed. Dott. Daniele Carraro
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
Ing. C. OLIVETTI & C. S.p.A. - Direz. Relazioni Esterne
“Notizie Olivetti” - 10015 Ivrea (TO) - Via G. Jervis 77
Tel. 0125-522.035 - Fax 0125-522.916 - Resp. Dott. Andrea Grammatico
Frm. 16 x 28 - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
Edizione nelle lingue: inglese - portoghese
PIAGGIO VEICOLI EUROPEI S.p.A. - Relaz. Esterne e Comunic.
“Piaggiornale” - 56025 Pontedera (PI) - Viale Rinaldo Piaggio 23
Tel. 0587-272576 - Fax 0587-290.906
Resp. Dott. Roberto M. Zerbi - Dir. Ed. Dott. Alessandro Pinelli
Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post.
PIRELLI S.p.A.
“Fatti e Notizie” - 20126 Milano - Viale Sarca 222
Tel. 02-6442.3645 - Fax 02-6442.3733 - Resp. Dott. Andrea Kerbaker
Dir. Ed. Dott. Giancarlo Rocco di Torrepadula
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
“Pirelli flash”
(stesso indirizzo del precedente)
Resp. Dott. Andrea Kerbaker
Frm. uni - Period. mensile - Distr. posto di lavoro
“World” (in lingua inglese)
(stesso indirizzo del precedente)
Resp. Dott. Andrea Kerbaker
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
PROCTER & GAMBLE S.p.A. - Direzione Relazioni Esterne
“P&G Moonbeams” - 00144 Roma Eur - Viale C. Pavese 385
Tel. 06-50090.650 - Fax 06-50090.955/06-5011.881
512
Resp. Dott. Alessandro Magnoni
Frm. 43,2 x 28 - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
REALE MUTUA DI ASSICURAZIONI S.p.A.
“Notizie Reale” - 10122 Torino - Via Corte d’Appello 11
Tel. 011-4312.707 - Fax 011-4350.970
a cura del Serv. Marketing in collaboraz. con l’Uff. Relaz. Est.
Frm. rivista - Period. mensile - Distr. posto di lavoro
RENAULT ITALIA S.p.A. - Direz. della Comunicazione
“Qui Renault” - 00156 Roma - Via Tiburtina 1159
Tel. 06-4156.361 - Fax 06-411.5384 - Resp. Dott. Fabio Ravaioli
Frm. tabloid - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
“Qui Renault News”
(stesso indirizzo del precedente)
Resp. Dott. Fabio Ravaioli
Frm. uni - Period. quindicinale - Distr. posto di lavoro
SAI - SOCIETA’ ASSICURATRICE INDUSTRIALE S.p.A.
“La forza del Gruppo” - 10126 Torino - Corso G. Galilei 12
Tel. 011-6657.347 - Fax 011-6657.564 - Resp. Dott. Roberto Romanesco
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
SAIPEM
“Orizzonti Saipem” - 20097 S. Donato Milanese (Ml) - Via Martiri di
Cefalonia 67
Tel. 02-5201 - Fax 02-520.32928 - Resp. Dott. Carlo Mampria
Dir. Ed. Dott. Fabrizio Barbieri
Frm. rivista (bilingue) - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
SGS-THOMSON MICROELECTRONICS - Direz. Relaz. con il
Person.
“World Class” - 20041 Agrate Brianza (MI) - Via Olivetti 2
Tel. 039-6035.215 - Fax 039-6035.300 - Resp. Dott. Pierantonio Palerma
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. posto di lavoro
513
“Micromega News”
(supplemento del precedente)
Resp. Dott. Ferdinando Nisco
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. posto di lavoro
SIEMENS S.p.A.
“Siemens in Italia” - 20124 Milano - Via Fabio Filzi 29
Tel. 02-6676 4352 - Fax 02-6676 4333 - Resp. Vitaliano Vitale
Frm. tabloid - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
SIEMENS NIXDORF INFORMATICA S.p.A.
“data time” - 20060 Cassina de’ Pecchi (MI) - Centro Direz. Lombardo
Via Roma 108 - Tel. 02-95121.694 - Fax 02-95121.699
Resp. Dott. Leonardo V. Gilardi
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
SKF INDUSTRIE S.p.A.
“SKF Notizie” - 10098 Rivoli (TO) - Corso Francia 155
Tel. 011-95771 - Fax 011-9577.333 - Resp. Dott. Mario Ostengo
Frm. rivista - Period. semestrale - Distr. abb.post.
SNAM
“tracciatisnam” - 20097 San Donato Milanese (MI) - Piazza Vanoni 1
Tel. 02-520.4679 - Fax 02-520.33904 - Resp. Dott. Pietro Dragoni
Frm. tabloid - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
SOCIETA’ ITALIANA PER IL GAS S.p.A. - Relazioni Esterne
“Rivista del Gruppo Italgas” - 10121 Torino - Via XX Settembre 41
Tel. 011-23941 - Fax 011-2394.851
Dirett. Dott. Giovanni Bernareggi - Resp. Dott.ssa Luciana Santaroni
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
SOLVAY S.p.A. - 20121 Milano - Via Turati 12
“Solvay notizie” - 20144 Milano - Via Sant’Eusebio 26 (Noesis S.r.l.)
Tel. 02-433.094 - Fax 02-437.631 - Resp. Dott. Renzo Grosso
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
514
SONY ITALIA S.p.A.
“Sony Informa” - 20092 Cinisello Balsamo (MI) - Via F.lli Gracchi 30
Tel. 02-61838.863 - Fax 02- 61838.802 - Resp. Dott. Giuseppe Addezio
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro
STANDA S.p.A. - Relazioni Esterne
“Notizie Standa” - Milanofiori - 20089 Rozzano (MI)
Tel. 02-8921.2571 - Fax 02-8921.2059 - Resp. Dott. Andrea Marini
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro
“Standa Television”
(stesso indirizzo del precedente)
Resp. Dott. Andrea Marini - Coord. Ed. Dott. Tiziano Marelli
Period. mensile (diffuso tramite videocassette presso tutti i magazzini e
supermercati con due puntate distinte e dedicate)
STREAM S.p.A.
“upstream” - 00138 Roma - Via Salaria 1021
Tel. 06-88 66 34 52 - Resp. Gianfranco Valleriani
Frm. rivista - Period. mensile - Distr. posto di lavoro
TELECOM ITALIA S.p.A.
“Pianeta Telecom Italia’’ - 00196 Roma - Via Flaminia 189
Tel. 06-3688.2373 - Fax 06-322 4520 - Resp. Dott. Diego Zandel
Frm. rivista - Period. mensile - Distr. abb.post.
“Dialogo”
(stesso indirizzo del precedente)
Resp. Dott. Diego Zandel
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
“Net & Work”
(stesso indirizzo del precedente)
Resp. Dott. Diego Zandel
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
515
“Soluzioni Telecom Italia”
(stesso indirizzo del precedente)
Resp. Dott. Diego Zandel
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
“in”
(stesso indirizzo del precedente)
Resp. Dott. Diego Zandel
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
“What’s on in Telecom Italia”
(stesso indirizzo del precedente)
Resp. Dott. Diego Zandel
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
“Linea”
(stesso indirizzo del precedente)
Resp. Dott. Diego Zandel
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. abb.post.
“Notiziario Tecnico”
00166 Roma - Via di Val Cannuta 250
Tel. 06-36881- Resp. Dott. Rocco Casale
Frm. rivista - Period. quadrimestrale - Distr. posto di lavoro
“Notiziario del Lavoro”
Area Pers. Organizzazione - 00148 Roma - Viale Parco De’ Medici 61
Tel. 06-36881- Resp. Dott. Diego Zandel
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. posto di lavoro
TEXAS INSTRUMENTS ITALIA S.p.A.
“il notiziere” - 81031 Aversa (CE) - Via Kennedy 141
Tel. 081-8151.111 - Fax 081-8151.324
Resp. Dott. Roberto Del Gaudio - Redatt. Dott.ssa Carmela Russo
Frm. rivista - Period. semestrale - Distr. posto di lavoro
516
TEXAS INSTRUMENTS ITALIA S.p.A.
“TQC News” - 67051 Avezzano (AQ) - Via Pacinotti 5
Tel. 0863-4231 - Fax 0863-412.763 - Resp. Dott. Tiberio Indiani
Frm. rivista - Period. trimestrale - Distr. posto di lavoro
(*) TRIMANI s.r.l. (Editoriale Emmeti s.r.l.)
“Trimani Notizie” - 00185 Roma - Via Goito 24
Tel. 06-4469.661 - Fax 06-4468.351 - Dirett. Dott. Marco Trimani
Frm. rivista - Period. quadrimestrale - Distr. abb.post.
UNISIS ITALIA S.p.A.
“Notizie” - 20159 Milano - Via B. Crespi 57
Tel. 02-6985.449 - Fax 02-6985.588 - Resp. Dott. Francesco Valdevies
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
UNIVERSITA’ CATTOLICA DEL SACRO CUORE
“Comunicare” - 00168 Roma - Largo Francesco Vito 1
Tel. 06-3015 4013/5129 - Resp. Lino Pasi
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
VORWERK FOLLETTO s.r.l. - Direz. Vend. Immag. e Comunic.
“Momenti di incontro: idee, prospettive, flash” - 20146 Milano - Via G.
Frua 26
Tel. 02-480.451 - Fax 02-481.6948 - Resp. Dott. Luigi Nadalini
Frm. rivista - Period. bimestrale - Distr. abb.post.
WELLA ITALIA LABOCOS S.p.A. - Uff. Serv. Relaz. Pubbliche
“Wella report” - 46043 Castiglione delle Stiviere (MN) - Via Don Barzizza 37
Tel. 0376-633.322 - Fax 0376-633.209 - Resp. Dott.ssa Cinzia Vesentini
Frm. 24 x 33 - Period. bimestrale - Distr. posto di lavoro
________
(*) L’asterisco accanto ai singoli nomi indica che la pubblicazione è stata momentaneamente sospesa.
517
518
IL VOCABOLARIO
DELLA COMUNICAZIONE D’IMPRESA
519
Above the line
Sono convenzionalmente collocate “above the line” (ovvero “nell’area piccola”) le attività di comunicazione pubblicitaria che impiegano i media classici.
Accounting
Attività mediante la quale un centro media
mantiene ed ottimizza il rapporto con un
utente, al fine di interpretarne le esigenze
e gli obiettivi di comunicazione, per poterli correttamente trasmettere ai reparti interni responsabili delle altre funzioni.
Acutezza sensoriale
Capacità di incamerare informazione
tramite i sensi.
Advertising
Termine generico, di derivazione anglosassone, che identifica la pubblicità effettuata sui grandi mezzi. Cfr. Pubblicità.
Advertorial
Sintesi di “advertising” e “editorial”, in inglese corrispondente al nostro “publiredazionale”.
Affidabilità
Capacità di un prodotto o servizio di
mantenere nel tempo le proprie prestazioni al miglior livello.
Affissione
Specie del genere pubblicità esterna, basata su manifesti, poster o cartelli collocati in spazi a loro riservati.
521
Agenda setting
Secondo gli studi di B.C. Cohen (1963)
e McCombs e Shaw (1972), i mass media non hanno tanto il potere di indurre
la gente ad avere una specifica opinione
sui fatti quanto, invece, di aiutarla a scegliere e a focalizzare i temi di interesse
generale, appunto come si può fare in
“un’agenda per la messa a punto”.
Agenzia di pubblicità
Struttura che provvede a pubblicizzare
un prodotto per conto di un utente. Storicamente i primi protagonisti del settore
erano strutturati come studi professionali, che si trasformarono poi in agenzie a
servizio completo. Esse espletavano tutte le funzioni relative alla comunicazione pubblicitaria (da quella creativa a
quella di pianificazione a quella gestionale). I primi centri media si enuclearono da tali agenzie, a causa della specificità e della complessità delle loro attribuzioni. Cfr. Centro Media.
Aggiornamento
Operazione periodica che si esegue sulle
liste allo scopo di inserire variazioni (inserimenti, cambiamenti, cessazioni).
Aim
E’ l’obiettivo di una campagna pubblicitaria.
Allestimento
Insieme dell’arredamento, dei supporti
mobili, visivi e dei mezzi audiovisivi
che contribuiscono a definire la spazialità di un evento gestito da un’organizzazione.
522
Ambiente
Complesso delle dinamiche sociali, demografiche, politiche ed economiche
all’interno delle quali si svolge un’attività di comunicazione.
Analisi dell’ambiente
Descrizione qualitativa dell’ambiente in
cui opera l’organizzazione con lo scopo
di attivare una comunicazione efficace.
Annual report
Relazione annuale pubblicata dall’organizzazione e rivolta ai pubblici esterni
ed interni. Fornisce informazioni sul bilancio e sui risultati aziendali.
Art director
E’ il capo dei grafici di un’agenzia pubblicitaria.
Ascolto dinamico
Tecnica di ascolto empatico fatta riconoscendo i problemi di chi parla.
Audience
Insieme di tutti coloro che vengono raggiunti da un mezzo pubblicitario o da uno strumento di comunicazione.
Badge
Distintivo usato dai partecipanti come
lasciapassare durante convegni o manifestazioni.
Ballon d’essai
E’ la “notizia civetta”, che viene fatta
filtrare per saggiare la reazione dei mass
media e dell’opinione pubblica in generale, di fronte a un provvedimento o a una presa di posizione.
Banca dati
Complesso di notizie organizzato in modo tale da rendere agevole l’accesso all’operatore.
523
Below the line
Forme di comunicazione diverse dall’advertising. Convenzionalmente sono
collocate “below the line” le attività di
comunicazione realizzate al di fuori dei
media classici: sponsorizzazioni, promozione, pr, direct marketing, etc.
Benefit
Vantaggio, beneficio. E’ usato sia per identificare i vantaggi da proporre al consumatore sia per indicare i vantaggi ottenuti o ottenibili dall’impresa mediante una determinata azione di marketing.
Blind test
Test “cieco”: a potenziali consumatori vengono sottoposti i prodotti in forma anonima, cioè privi dell’indicazione della marca.
Brainstorming
Metodo decisionale consistente in incontri tra gruppi di persone con l’obiettivo di stimolare proposte e identificare la
soluzione migliore.
Brand
Marca. Il nome che individua un prodotto o un’azienda (anche caratterizzato da
un disegno o segno grafico). Serve a differenziare il prodotto o l’azienda, sintetizzandone l’immagine e le valenze di
fatto e psicologiche.
Brand royalty
Fedeltà a una marca da parte del consumatore.
Breve/medio/lungo periodo Dimensione temporale di un’attività di
comunicazione o definizione del tempo
necessario per il raggiungimento degli
obiettivi di comunicazione.
524
Brief
Documento che riassume gli obiettivi di
una campagna pubblicitaria o di una ricerca di marketing, le caratteristiche del
mercato potenziale ed eventualmente altre informazioni ritenute necessarie per
definire in termini più precisi un’iniziativa.
Briefing
Passaggio delle informazioni e delle istruzioni necessarie per l’ideazione di un
progetto di comunicazione. Consiste
nella messa a punto del brief.
Brochure
Opuscolo informativo riguardante l’organizzazione o un singolo progetto.
Budget
Letteralmente, bilancio preventivo. Risorsa necessaria per lo svolgimento di
un’attività di comunicazione. Viene definito in sede di pianificazione strategica
e verificato durante lo svolgimento delle
azioni.
Business to business
Attività di comunicazione aziendale rivolta non al consumatore finale ma ad
un’altra azienda.
Campagna pubblicitaria
L’insieme organico e programmato di
messaggi pubblicitari veicolati strategicamente mediante i mezzi di comunicazione di massa per il conseguimento di vantaggi competitivi in termini di marketing.
Campagna istituzionale
Finalizzata a pubblicizzare non tanto un
prodotto quanto l’azienda nel suo complesso.
525
Campagna collettiva
Promossa da un’associazione o da un
gruppo di aziende operanti nello stesso
settore. Cfr. Umbrella Advertising.
Campagna d’immagine
Finalizzata non tanto ad incrementare le
vendite di un prodotto, quanto ad imporre l’immagine di una marca.
Campagna multisoggetto
Volta a pubblicizzare lo stesso prodotto
in situazioni o con testimoni diversi.
Canale di comunicazione
Mette in relazione l’emittente e il ricevente.
Centro media
Struttura specialista in comunicazione
che programma, per conto di un utente,
la veicolazione di messaggi pubblicitari.
Di norma un centro media offre agli utenti i seguenti servizi: strategia media e
accounting, pianificazione e research,
buyng e supporto, gestione e controllo.
Check list
Lista di controllo. Elenco delle operazioni che una persona deve fare in sequenza per effettuare correttamente un
determinato lavoro o programma.
Cenestesico
Persona che si basa in modo dominante
su sensazioni, odori, sapori per prendere
le proprie decisioni.
Claim
Enumerazione dei vantaggi che il prodotto reclamizzato arrecherà all’acquirente.
Cluster analysis
Indica i possibili raggruppamenti degli
atteggiamenti del pubblico sulla base
della tendenza all’accordo e serve per
526
classificare e suddividere gli atteggiamenti che differiscono tra loro soltanto
di poco. E’ un concetto impiegato nelle
ricerche di marketing.
Comunicato stampa
Comunicazione scritta inviata alle agenzie stampa o direttamente ai giornalisti
capace di veicolare un messaggio e offrire una notizia.
Comunicazione di crisi
Area dell’attività di comunicazione il
cui obiettivo è il controllo degli effetti di
una situazione di emergenza sull’organizzazione. La comunicazione di crisi è
rivolta, in primo luogo, ai mass media e
agli ambienti decisionali.
Commercial
Sinonimo di spot.
Concessionaria di pubblicità Azienda cui viene concesso in esclusiva la
vendita su un mezzo (o più mezzi) degli
spazi o tempi pubblicitari. Opera come intermediario tra i mezzi stessi e i centri media (o le agenzie di pubblicità o gli utenti).
Conferenza stampa
Incontro con i mass media promosso
dall’organizzazione. L’obiettivo della
conferenza è comunicare messaggi di interesse per i media stessi.
Congresso o convegno
Manifestazione ufficiale o riunione di
carattere periodico dedicata a un tema di
interesse specifico.
Connotativo/denotativo
Due livelli di “lettura” (di significazione)
di un messaggio, il primo dei quali è costi527
tuito dalla denotazione, il secondo (la connotazione) è costituito dall’insieme di sensazioni evocate nella mente di colui che riceve il messaggio, al di là dello stretto significato logico/letterale del testo.
Contatti
E’ il numero di persone raggiunte da un
dato messaggio pubblicitario moltiplicato per il numero delle volte che esse sono state raggiunte.
Costo contatto
Costo necessario per raggiungere un singolo destinatario con un messaggio diffuso attraverso un determinato mezzo di
comunicazione.
Convention
Incontro eccezionale o periodico per festeggiare una ricorrenza, celebrare un risultato
positivo, galvanizzare le forze vendita.
Core business
E’ il nocciolo duro dell’attività di un’azienda, la ragione solida della sua esistenza sul mercato.
Coupon
Una parte di annuncio promozionale creata per essere compilata o dal richiedente o
dal cliente e rispedita all’inserzionista.
Customer satisfaction
Soddisfazione del cliente. Si misura con
appositi metodi.
Data base
Archivio o insieme di archivi.
Decisori
Persone che determinano il potere di decisione, formale e sostanziale, in un’organizzazione.
528
Dèpliant
Pieghevole informativo a più ante.
Direct mail
E’ una delle leve del direct marketing,
una forma di comunicazione pubblicitaria diretta, veicolata per posta e rivolta
ad un preciso target.
Direct marketing
Filo diretto con il mercato, dall’analisi
(segmentazione di indirizzari) alla comunicazione (mailing o marketing telefonico) alla distribuzione (porta a porta
o spedizione contro assegno).
Domanda a risposta aperta Domanda che porta l’intervistato a rispondere con parole proprie.
Editoria istituzionale
Area di attività della funzione relazioni
esterne volta alla realizzazione di pubblicazioni edite dall’organizzazione. Di
norma si distinguono quattro categorie
principali di pubblicazioni: periodico
d’informazione, monografia, newsletter
e pubblicazioni di prestigio.
Effetto alone
Influenza positiva esercitata dall’immagine di una azione o di un comportamento
su altre azioni o previsioni di comportamento.
Effetto boomerang
E’ un effetto, non voluto e solitamente
negativo, che in termini di reazione dell’audience si esplica in modo opposto a
quello atteso.
Empatia
Sentimento di disponibilità e apertura
nei confronti di altre persone.
529
Feed back
Flusso di informazioni di ritorno. L’analisi del feed back rende possibile l’interpretazione degli atteggiamenti e la valutazione dell’impatto ottenuto da un messaggio.
Fidelizzazione
Azione finalizzata a ottenere dal consumatore la continuità nella scelta di un
prodotto o di una marca. Una diffusa fedeltà di marca consente maggior sicurezza nelle previsioni e nella pianificazione.
Fiera
Luogo organizzato per l’esposizione di
prodotti/servizi o per la presentazione
delle attività dell’organizzazione. La fiera è un’occasione privilegiata di incontro fra operatori di uno stesso settore di
attività.
Focus group
Sistema di rilevamento opinioni che
consiste nel formare un gruppo rappresentativo di persone, nel sottoporle a un
certo messaggio e nel farle conversare
fra di loro per osservare come reagiscono al messaggio.
Folder
Pieghevole.
Follw up
Seguito di una campagna pubblicitaria
che mette in evidenza nuovi aspetti della
comunicazione rafforzandola. Può essere usato per qualsiasi azione di marketing che ne rafforzi una precedente.
Free lance
Termine usato per indicare il giornalista
indipendente e, per estensione, un libero
professionista.
530
Fringe benefit
Regali e facilitazioni fuori busta, come
sistemi di retribuzione discrezionali.
Front line
Il personale di prima linea: l’impiegato
di sportello, il commesso di negozio, la
persona che risponde al telefono etc.
Gadget
Oggetto dato in regalo all’acquirente di
un prodotto, a scopo di promozione delle vendite.
Gerarchia
E’ il principale canale di comunicazione
all’interno dell’organizzazione. Può essere top/down o a due vie in base all’atteggiamento dei responsabili rispetto al
flusso delle informazioni in azienda.
Ghost writer
Scrittore/trice ombra. Nelle imprese, l’estensore dei discorsi per il top management.
Gruppo di interesse
Gruppo di soggetti che hanno un interesse comune. In certi casi può configurarsi
come gruppo di pressione e dare luogo
all’attività di lobby.
Headline
“Riga di testa”. E’ il momento testuale
introduttivo di un annuncio pubblicitario.
House organ
Periodico realizzato e distribuito da un’azienda con finalità principale di valorizzare la propria immagine e di instaurare
un rapporto continuativo con i propri
clienti e/o dipendenti.
531
Hut
Homes Using Television. Indica la percentuale di famiglie che guardano la tv
ad una determinata ora.
Icona
Rappresentazione simbolica di un oggetto.
Immagine aziendale
L’insieme di tutti i messaggi, visivi e
non, emessi da un’azienda che concorrono a formare l’atteggiamento dei pubblici, interni e esterni, verso di essa.
Immagine coordinata
E’ l’immagine che un’organizzazione
trasmette attraverso gli elementi estetici
che la caratterizzano: dall’arredamento
all’ambiente, dalla grafica all’imballaggio, al design dei prodotti, alla segnaletica, alle carte da lettere etc.
Incentivazione
Sistema di premi e gratificazioni inserito
in una campagna volta a migliorare le
prestazioni di squadre, gruppi, forze
vendita.
Indagine demoscopica
Ricerca statistica realizzata con la finalità di accertare le opinioni, gli orientamenti e le caratteristiche di un determinato universo.
Indice di ricordo
Esprime il grado di ricordo di un messaggio pubblicitario. Il ricordo può essere spontaneo, quando l’intervistato cita
un elenco di prodotti senza alcun aiuto,
oppure aiutato quando l’intervistato ottiene qualche informazione in più.
532
Indoor
Iniziativa promozionale condotta al domicilio del consumatore.
Infotainment
Information+entertainment. Informazione
spettacolarizzata, soprattutto televisiva.
Internal marketing
Utilizzazione delle tecniche del marketing per affrontare i problemi di gestione
e comunicazione col personale.
Intervista non strutturata
Basata su un questionario caratterizzato
dall’utilizzo di domande a risposta aperta.
Intervista strutturata
Basata sull’uso di un questionario a risposte chiuse. Questo tipo di intervista
suggerisce una risposta precodificata.
Jingle
Il breve brano musicale che integra un
messaggio pubblicitario radiofonico o
televisivo.
Just in time
Organizzazione di processo, logistica e
informatica che permette di produrre e
spedire solo quello che serve, risparmiando il più possibile scorte e giacenze
in magazzino.
Kiss, Regola del -
Formula che raccomanda, nella composizione di testi, di attenersi a criteri di brevità e semplicità (Keep it short and simple).
Layout
Bozzetto di un annuncio pubblicitario,
contenente testi e illustrazioni, che viene
sottoposto all’utente affinché possa farsi
un’idea della versione difinitiva. Cfr.
Rough.
533
Lead
Attacco di un articolo o di una nota di agenzia stampa.
Leader
Uomo guida, responsabile, capo. La comunicazione collegata alla leadership,
cioè svolta in una situazione di relazione
interpersonale gerarchica (capo-collaboratore), è una componente fondamentale
per promuovere, arricchire e finalizzare
la comunicazione interna alle grandi
aziende.
Leaflet
Volantino pubblicitario usato soprattutto
nella distribuzione porta a porta.
Lettera aperta
Articolo giornalistico polemico redatto
in forma di lettera. Invece di essere inviata al destinatario, la lettera viene pubblicata su un giornale, in modo da aprire
o stimolare un dibattito su un determinato tema.
Lettera circolare
Comunicazione scritta rivolta a più interlocutori all’interno di un’organizzazione.
Lettering
Serie alfanumerica completa realizzata
con un carattere tipografico elaborato
appositamente per un’organizzazione.
Insieme al Logo, al Marchio, e ai colori
istituzionali concorre all’identificazione
dell’organizzazione.
Licensing
Cessione temporanea a pagamento del
diritto all’uso pubblicitario di un nome,
di un Logo o di un Marchio.
534
Livello di persuasione
Capacità del Messaggio di incidere sulle
opinioni, sugli atteggiamenti e sui comportamenti dei destinatari. E’ un parametro di valutazione dell’efficacia dell’azione di comunicazione.
Lobbying
Attività di informazione e di pressione,
conveniente ai propri interessi, svolta da
una organizzazione o da un gruppo di
persone nei confronti di ambienti decisionali istituzionali e politici.
Logo
O logotipo. Particolare espressione grafica che, utilizzando il Lettering appositamente elaborato, identifica il nome o
la sigla di una organizzazione, divenendone il simbolo.
Mailing
Operazione di comunicazione pubblicitaria veicolata tramite la posta.
Mailing list
Elenco di nominativi a cui inviare materiale informativo selezionati secondo
precisi criteri con riferimento agli obiettivi prefissati.
Marchio
Segno grafico di proprietà esclusiva che
contraddistingue un’azienda, un prodotto, una linea di prodotti, un servizio.
Marketing
Insieme delle procedure mediante le
quali viene analizzata e prevista la domanda di un prodotto, e delle azioni volte a stimolarla e soddisfarla. Le operazioni di marketing intervengono nelle
fasi di progettazione, produzione, distri535
buzione e comunicazione del prodotto
stesso, con l’obiettivo di incoraggiare il
flusso dei beni e dei servizi dal produttore al consumatore finale Cfr. Marketing
mix.
Marketing mix
Combinazione degli elementi di un piano di marketing che influiscono sul successo commerciale di un prodotto. Gli elementi del marketing mix sono sintetizzati dalla “teoria delle sei P”: Product
(caratteristiche relative al prodotto: qualità, prestazioni, confezione, garanzia,
assistenza); Prize (prezzo del prodotto:
prezzo base, sconti, offerte, modalità di
pagamento); Place (canali di distribuzione: grande distribuzione, distribuzione
tradizionale, copertura geografica); Promotion (comunicazione pubblicitaria,
promozione); Power (gruppi di pressione e istituzioni); Public Relation (relazioni esterne, comunicazione verso pubblici specifici).
Mass media
Mezzi di comunicazione di massa, capaci cioè di raggiungere in modo indifferenziato il più vasto pubblico (stampa,
televisione, radio, ecc.).
Media planning
Cfr. Pianificazione dei mezzi.
Media training
Addestramento da parte dell’Ufficio
stampa dei dirigenti di un’azienda a
confrontarsi con i mezzi di comunicazione di massa.
536
Merchandising
Attività di promozione delle vendite attuata dopo che il prodotto ha raggiunto il
punto vendita (ad es.: fornitura ai rivenditori di materiale pubblicitario, ecc).
Messaggio
Contenuto della comunicazione, definito
in fase di progettazione delle strategie di
comunicazione di una organizzazione.
Mission
Missione. I valori e gli obiettivi di un’azienda, il suo core business, i vantaggi
competitivi che intende mantenere, consolidare o raggiungere, la sua funzione
all’interno della società, nonché le politiche aziendali che intende adottare per
conseguire gli obiettivi che essa si è posti.
Mostra
Area di attività della funzione Relazioni
esterne consistente nella organizzazione
o partecipazione di un’azienda a una
mostra o fiera di livello nazionale o internazionale, con scopi di promozione e
qualificazione all’interno di uno specifico contesto produttivo e culturale.
Newsletter
Foglio notizie. Bollettino di informazione
con periodicità variabile inviato da una
organizzazione ad uno specifico pubblico
(ad es.: dipendenti di un’azienda, clienti,
membri di un’associazione, ecc.).
Notiziabilità
Idoneità di un evento ad essere trasformato in notizia, in base a un insieme di criteri
di rilevanza, e in relazione alla cultura professionale dei giornalisti e all’organizzazione del lavoro negli apparati informativi.
537
Obiettivo di comunicazione Risultato che una organizzazione intende raggiungere mediante l’attività di comunicazione.
One-time rate
Tariffa pubblicitaria speciale applicata
ad un messaggio pubblicato o trasmesso
una sola volta.
Opinion leader
Persona che influenza le opinioni di un
pubblico indifferenziato grazie alla posizione che ricopre all’interno della società.
Opinione collettiva
Opinione di un gruppo di persone che
presenta, in base ad un interesse di riferimento, comuni percezioni, atteggiamenti e reazioni.
Opinione pubblica
Opinione omogenea e indifferenziata
prevalente nella società in un determinato momento storico. Nella dinamica che
produce la formazione dell’opinione
pubblica, il risultato finale deriva dalla
rete di interazioni che lega i Mass-media,
gli Opinion leader e il contesto delle relazioni sociali in cui i media operano.
Organigramma
Rappresentazione grafica che descrive
sinteticamente i ruoli, le funzioni, i compiti, le responsabilità e i rapporti gerarchici esistenti nell’ambito di una determinata struttura organizzativa.
Orientamento al cliente
Propensione della politica di marketing
di un’azienda a dare la priorità, nella costruzione della propria strategia, ai bisogni dei consumatori finali dei prodotti/servizi da essa offerti.
538
Pacing and leading
Prendere il ritmo dell’interlocutore e poi
condurre l’interazione.
Packaging
Confezione, incarto. E’ la veste con cui
il prodotto viene presentato al consumatore finale.
Panel
Nelle ricerche empiriche e nelle indagini
di mercato, il panel è il campione di persone utilizzato per la rilevazione statistica dei comportamenti.
Pay off
Frase di chiusura di un messaggio pubblicitario.
Penetrazione
Rapporto tra la totalità del pubblico e la
parte di esso che ha notato o accolto un
annuncio pubblicitario o un prodotto.
Pianificazione dei mezzi
Ripartizione degli investimenti pubblicitari tra i diversi veicoli di comunicazione (stampa, radio, televisione, ecc.), con
l’obiettivo di ottimizzare il numero delle
esposizioni al messaggio pubblicitario
da parte del maggior numero possibile
di individui facenti parte del Target di riferimento.
Piano di comunicazione
Modello per impostare l’attività di comunicazione di una organizzazione e
realizzare la pianificazione strategica
degli interventi chiarendo obiettivi, politica, strategia, azioni, ecc. del progetto
di comunicazione.
539
Politica di comunicazione
Fase del Piano di comunicazione in cui
si definiscono le scelte principali sulle
quali impostare l’attività di comunicazione di una organizzazione.
Posizionamento
Rilevamento della collocazione di un’azienda o di un prodotto nella percezione
dei pubblici di riferimento rispetto alle
imprese o prodotti concorrenti. Il posizionamento viene rilevato sia sulla base di
dati oggettivi (fatturato, quote di mercato,
vantaggi competitivi, ecc.), sia rispetto
all’immagine (notorietà, atteggiamento
positivo o negativo verso di essa, ecc.).
Press-tour
Consiste nella organizzazione di un
viaggio, al quale vengono invitati rappresentanti della stampa, in occasione
del quale evidenziare i messaggi dell’organizzazione e affrontare temi di suo interesse.
Problem solving
Tecnica di focalizzazione su modalità da
attuare per la soluzione di uno specifico
problema.
Product orientation
Propensione della politica gestionale di
un’azienda a dare la priorità, nella costruzione della propria strategia, alla produzione, senza focalizzare l’attenzione sulle
attitudini e sui bisogni del cliente.
Pubblicità
Attività di comunicazione realizzata da
un’azienda nei confronti del Pubblico,
di alcuni segmenti di esso (Segmentazione), attraverso l’acquisizione a paga-
540
mento di spazi pubblicitari sui mezzi di
comunicazione, al fine di ottenere la
preferenza dei propri prodotti/servizi.
Pubblicità esterna
Attività e mezzi della pubblicità effettuata in spazi aperti (affissione, installazione, ecc.).
Pubblicità istituzionale
Area di attività della funzione Relazioni
esterne. Si distingue dalla pubblicità di
prodotti/servizi per il fatto di riferirsi
all’organizzazione in quanto tale.
Pubblicità redazionale
Pubblicità redatta sotto forma di notizia
o servizio di informazione giornalistica
che compare a pagamento su quotidiani
e riviste, contraddistinta ed evidenziata
da opportuna impaginazione e grafica.
Pubblicità sul luogo di vendita Situata nella catena comunicativa proprio sul luogo di vendita, mira a influenzare e determinare l’atto di acquisto (il
50% degli acquisti in grandi superfici di
vendita non sono previsti dal consumatore sin dall’inizio).
Pubblico
Gruppo di persone con caratteristiche
comuni verso il quale viene indirizzata
un’azione di comunicazione.
Public affair
Attività di comunicazione riferita alla
gestione di istanze politico-sociali.
Rapporti con la stampa
Area di attività della funzione Relazione
esterne. All’interno di una struttura organizzata, la gestione dei rapporti con la
541
stampa e i mezzi di informazione è affidata all’Ufficio stampa.
Rapporti istituzionali
Rapporti di comunicazione con le istituzioni di vertice (Governo, Parlamento,
ecc.). Per estensione, essi includono le
relazioni con le forze politiche e le organizzazioni di persone (partiti, sindacati,
associazioni, movimenti, ecc.).
Recall
Ricordo. Indice del successo di una campagna pubblicitaria a distanza di tempo.
Redemption
Risultato, in termini assoluti o percentuali, di una operazione promozionale o
di vendita.
Relazioni interpersonali
Fattore di rilevanza strategica nell’ambito dell’attività di comunicazione interna,
che permette di comunicare in maniera
non mediata, adeguando il Messaggio
all’interlocutore e acquisendo da questo
informazioni in modo diretto.
Relazioni pubbliche (PR)
Funzione aziendale di comunicazione
che ha lo scopo di promuovere immagini
favorevoli e positive di persone o dell’azienda presso il grande pubblico, per migliorarne la notorietà, mediante l’utilizzo
di appropriati Strumenti di comunicazione ad es.: Pubblicità istituzionale comunicati stampa, filmati, eventi, ecc.
Rip-off
Spot composto da spezzoni di film famosi.
542
Risultato
Indice di valutazione dell’attività di comunicazione in termini di consenso ottenuto e modificazione delle opinioni, atteggiamenti e comportamenti dei pubblici rilevanti per l’organizzazione.
Rough
Bozzetto iniziale di un annuncio pubblicitario utile a dare un’idea di massima
dell’impostazione. Cfr. Layout.
Segmentazione
Con riferimento all’attività di comunicazione, indica il frazionamento del Pubblico in sottoinsiemi particolari, individuati in base a parametri sociodemografici o ad altri criteri.
Società dell’informazione
Fase della società nell’era industriale in
cui l’informazione è diventata il principale e più significativo prodotto di base
e insieme risorsa fondamentale.
Sondaggio d’opinione
Indagine esplorativa dell’Opinione pubblica corrente rispetto a una tematica
specifica, consistente nell’analisi delle
risposte fornite da un campione di persone a una serie di domande prefissate.
Sponsoring
Sponsorizzazione. Area di attività della
funzione Relazioni esterne. Consiste nel
sostenere finanziariamente una manifestazione culturale, sportiva o di spettacolo con l’obiettivo di ricavarne prestigio e notorietà.
Stakeholders
Soggetti o gruppi di persone portatori di interessi nei confronti di una organizzazione.
543
Strategia di comunicazione Fase del Piano di comunicazione in cui
si individuano i criteri di scelta delle azioni di comunicazione, correlate logicamente e qualitativamente, con riferimento all’area di attività, agli Obiettivi di
comunicazione e agli Strumenti di comunicazione.
Strumenti di comunicazione Mezzi che permettono di realizzare le azioni di comunicazione, adeguati alle diverse possibilità operative relative al
Pubblico di riferimento e alle aree di attività.
Target
Gruppo di persone che presentano caratteristiche omogenee definite generalmente in termini sociodemografici, di abitudini, ecc., a cui è indirizzato un Messaggio.
Terziarizzazione
Strategia aziendale in base alla quale si
demandano e acquistano all’esterno (da
terzi) uno o più servizi, decentrandoli così dalla struttura aziendale (outsourcing).
Testimonial
Personaggio noto che conferisce garanzia pubblicitaria ad un prodotto.
Top-down, Comunicazione
Processo comunicativo di natura esclusivamente informativa, istruttiva e prescrittiva, che fluisce lungo una sola via,
verticale e discendente, da una posizione
preminente a una subordinata, senza tener conto dell’azione di feedback da parte del destinatario.
544
Ufficio stampa
Ufficio con la competenza specifica di
ottimizzare il rapporto tra organizzazione e società mediante specifici Strumenti
di comunicazione.
Umbrella advertising
Pubblicità relativa a un’associazione di
categoria o a un gruppo di aziende, e
non a un singolo soggetto o prodotto.
Valutazione dei risultati
Fase finale del Piano di comunicazione
in cui viene eseguita un’analisi di efficacia dell’attività di comunicazione valutando i risultati ottenuti (Risultato), e si
procede a una verifica delle modalità future di comunicazione.
Vision
Visione. Espressione sintetica e capace di
colpire emotivamente che illustra le mete
prefissate dall’impresa, la cultura di cui è
permeata, la sua visione del futuro, ecc.
Who, Where, When,
What, Why
Chi, dove, quando, che cosa, perché.
Formula utilizzata per realizzare in modo sintetico ed esauriente un pezzo giornalistico, o per verificare il grado di
chiarezza di un documento o di un comunicato stampa.
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