For.Ma.Re. Forms and Manners of the Representation Forme e modi della rappresentazione ABSOLUT ARCHITECTURE L’immagine dell’architettura nella comunicazione pubblicitaria Mariella La Mantia Copyright © MMXIII Aracne Editrice S.r.l. via Raffaele Garofalo 133/A­B 00173 Roma www.aracneeditrice.it isbn 978­88­548­6512­9 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. I edizione: settembre 2013 ABSOLUT ARCHITECTURE L’immagine dell’architettura nella comunicazione pubblicitaria Mariella La Mantia For. Ma. Re. Forms and Manners of the Representation Forme e modi della rappresentazione Collana diretta da Cesare Cundari Comitato scientifico: Laura Carnevali (Roma) Cesare Cundari (Roma) Antonella di Luggo (Napoli) Maria Linda Falcidieno (Genova) Francesca Fatta (Reggio Calabria) Mario Manganaro (Messina) Comitato editoriale: G.C. Cundari, M.R. Cundari, M. La Mantia (coord.), A. Manti, C. Scali Progetto grafico e copertina: Studio Anselmi ‐ Napoli Impaginazione Mariella La Mantia I volumi della collana sono sottoposti ad una procedura di revisione e valutazione da parte di un comitato di referee (blind peer review). L’autore e l’editore sono a disposizione di coloro che ritenessero sottesi i propri diritti morali e/o di utilizzazione di opere o parti di opere ivi presenti. Indice 9 Presentazione 11 Introduzione 13 23 Il fenomeno pubblicitario dell’architettura Architetti, architettura e pubblicità: storie di immagini Le Corbusier e la pubblicità, la pubblicità e Le Corbusier 43 51 Luoghi archetipici pubblicitari L’identità visiva atopica e atemporale dei contesti urbani e degli organismi architettonici nei visual Le locations d’autore: il quartier dell’Eur (Roma) e la Città delle Arti e delle Scienze (Valencia) L’architettura razionalista‐modernista di Frank Lloyd Wright, Le Corbusier, di Mies Van der Rohe, Adalberto Libera e la pubblicità Edifici, spazi ed architetture iconiche L’architettura dell’istante: visione, percezione e identificazione di spazi 58 65 70 La pubbli‐città La città come testimonial Miti urbani pubblicitari: New York e il World Trade Center L’immagine della città slow 75 87 99 L’immagine pubblicitaria Il corpus pubblicitario Il modus della comunicazione: le diverse forme della rappresentazione Il significato, l’emozione e lo spettacolo delle immagini architettoniche pubblicitarie 27 31 39 105 111 121 131 La costruzione dell’immagine pubblicitaria. Modelli, metodi e tecniche di rappresentazione “... Io non penso e non vivo in ciò che altri hanno visto, ma penso e vivo per quello che io vedo ...” La funzione espressiva e la capacità comunicativa di linee, forme e materiali L’audacia inventiva dei visual: dalle illusioni visive alla realtà fenomenica Le tipologie psicologiche‐visive: efficacia e incisività degli elementi visuali 7 8 137 Il linguaggio dei colori 149 160 167 L’analisi della dimensione spazio‐temporale nelle sue caratteristiche tipologiche, visive e dimensionali La dimensione spaziale: rappresentazione e illusione Il linguaggio artistico: la spettacolarità degli spazi architettonici pubblicitari La rappresentazione ed evocazione del tempo 171 Il modello interpretativo dei visual I livelli di lettura dei visual 177 Letture pubblicitarie 237 243 250 261 Architettura della comunicazione Origine e storia dell’architettura pubblicitaria: dalla città‐insegna ai flagship stores Architetture pubblicitarie contemporanee Le nuove tipologie d’insegna: spazi fisici e spazi visivi Quando l’architettura è il brand da pubblicizzare 273 281 285 288 Glossario Riferimenti bibliografici Fonti iconografiche Sintesi/Abstracts Presentazione Giuseppe Pagnano Il volume che qui si presenta affronta uno dei temi più singolari della moderna cultura della comunicazione pubblicitaria: l’uso di immagini architettoniche e di paesaggi urbani per definire un coerente scenario al prodotto e, allo stesso tempo, per contaminarne il messaggio. Delle tre parti componenti il volume, la prima è interamente dedicata all’archi‐ tettura sotto vari angoli di analisi storica e critica. L’architettura nel corso della storia si è sempre trovata al centro del problema della comunicazione, sia del suo contenuto funzionale sia del suo significato simbolico, e ha fornito in ogni tempo adeguate risposte sotto forma di nuovi assetti linguistici. La formazione del «codice‐stile » di ogni età ha affrontato quindi il livello delle forme insieme al livello semantico e le singole opere, nell’uso e nelle trasformazioni di questo, hanno espresso nuovi equilibri formali ed inediti significati. L’architettura moderna ed in particolare quella contemporanea si sono prestate e si prestano con pregnanza figurativa al tasporto sull’immagine publicitaria del prestigio delle loro forme e dei loro significati originari e nuovi. Le forme dell’ar‐ chitettura prestano la loro aura ai prodotti da far conoscere ed in particolare la figuratività moderna, fatta da segni elementari e da una geometria palese o la‐ tente, aiuta il prodotto cui è accostata con l’incrementarne la suggestione del‐ l’immagine, con il ribadirne l’omogeneità o con l’esaltarne la difformità. L’autrice indaga in particolare il ruolo di Le Corbusier, di Wright, di Mies nei rap‐ porti con la pubblicità e mette in risalto l’apporto del paesaggio urbano alla crea‐ zione della pubblicità grafica o televisiva. L’architettura, soprattutto quella moderna, si pone quindi come protagonista della pubblicità dialogando con gli elementi grafici e con i testi verbali. La seconda parte è dedicata all’immagine pubblicitaria di cui tratta, con esau‐ riente diffusione, della sua identità, dei modi del suo comunicare, del suo signi‐ ficato. La costruzione dell’immagine è indagata nei modelli, nei metodi, nelle tecniche di rappresentazione, nei meccanismi percettivi, nelle funzioni espressive dei segni e delle geometrie. Particolare finezza analitica è riservata allo svolgi‐ mento dell’analisi della dimensione spazio‐temporale di cui sono illustrate le ca‐ ratteristiche tipologiche, visive e dimensionali. A conclusione di questa parte è proposta la nozione di visual, dimostrata attraverso l’analisi di alcuni esempi di pubblicità, che dà corpo ad una sezione del volume che costituisce la parte più originale della lettura critica di una immagine pubblicitaria. Gli esempi presi in considerazione sono sempre il prodotto di una volontà della committenza di ag‐ ganciare la curiosità del publico mediante immagini aggiornate del repertorio figu‐ rativo più attuale ‐ spesso immagini di grande glamour, quasi mai in rapporto diretto con il prodotto da reclamizzare ma sempre in piena aderenza con i modelli dell’im‐ maginario collettivo. Tre livelli di lettura ‐ quello figurativo, quello plastico ed infine il semantico ‐ costituiscono l’articolazione del modello interpretativo adottato. I prodotti pubblicizzati presi ad esempio dalla rassegna della La Mantia sono gli orologi Breil, Aeterna, Seiko, Hamilton, Rolex, le automobili Alfa Romeo, BMW, Peugeot, Daewoo, Seat, le fabbriche del lusso come Chanel. I referenti architet‐ 9 tonici associati alle immagini dei prodotti sopra citati sono alcuni classici moderni ‐ come il Museo Guggenheim di New York, il padiglione di Mies van der Rohe a Barcellona, etc. ‐ ed alcune icone dell’architettura più recente, come la stazione di Lione di Calatrava, come l’Hemisferic di Valencia, la Città delle Arti e delle Scienze, sempre di Calatrava che risulta l’archistar più citata in questa ristretta rassegna. Non vi è alcun rapporto diretto tra prodotto ed icona architettonica ‐ nel senso che il significante dell’oggetto non è condiviso dall’icona ‐ ma solo al‐ lusioni che determinano code semantiche complesse tutte nel verso della con‐ notazione. La terza parte di questo saggio è rivolta all’Architettura della comunicazione nelle sue vicende storiche dalle origini alla situazione attuale. La densità di analisi delle immagini al servizio della comunicazione pubblicitaria e la ricchezza degli spunti critici indicano questo saggio come modello per ulte‐ riori e approfondite ricerche. 10 Introduzione Nella storia dell’advertising, l’ambiente urbano e l’architettura hanno sempre occu‐ pato una posizione privilegiata, il più delle volte trascendendo il valore di scenario ideale in cui ambientare il consumo dei prodotti e dei servizi, per comunicare quello dell’oggetto. Come il cinema, e ancora prima la fotografia, anche la pubblicità rap‐ presenta una fonte interessante di produzione visiva architettonica, in cui la realtà riprodotta viene registrata, simulata, trasformata e intrepretata. A differenza però di quanto avviene nelle riprese cinematografiche e fotografiche, nella comunicazione pubblicitaria l’immagine dell’architettura è fortemente condizionata dal messaggio commerciale veicolato, che determina il significato intrinseco dei visual. L’azione nar‐ rata occupa un determinato spazio, che non è semplicemente spazio o ambiente, ma è anche e soprattutto un’entità che può vivere di vita propria, che spesso agisce e interagisce con i personaggi della storia, in cui sovente troneggia l’oggetto del de‐ siderio, cioè il prodotto di consumo, quello su cui si deve concentrare l’attenzione. La presente pubblicazione ambisce ad indagare, dal punto di vista della costruzione e rappresentazione delle immagini, il rapporto sempre più stretto che si è andato cre‐ ando tra architettura e pubblicità. In questo senso, non ci si propone né di rappresen‐ tare un saggio sulla storia della pubblicità, né di svolgere una disamina delle architetture presenti all’interno delle produzioni pubblicitarie, né tantomeno di con‐ durre un’indagine di carattere sociologico della produzione pubblicitaria, bensì di pro‐ porre uno studio analitico del modus di comunicazione, cioè delle modalità di rappresentazione dei contesti urbani e degli organismi architettonici, attraverso i quali si sono soddisfatte le esigenze comunicative specifiche delle varie categorie merceo‐ logiche pubblicizzate. Si tratta, quindi, di una riflessione sul rapporto tra architettura e pubblicità, feno‐ meno ampiamente in crescita negli ultimi decenni, in cui la valenza dell’immagine architettonica ha assunto via via significati differenti. Immagini di quartieri dalle peculiari connotazioni stilistiche e architetture d’autore o, simmetricamente, ambienti particolarmente degradati, sempre più frequente‐ mente sono oggetto di rappresentazioni pubblicitarie, soprattutto per un certo tipo di comunicazione televisiva (spot). Si crea così una sorta di pubbli‐città, utopica, vir‐ tuale, universale, in cui famosi organismi architettonici ‐ ad esempio il quartiere dell’Eur a Roma, le architetture di Calatrava a Valencia e a Siviglia, il Padiglione di Mies van der Rohe a Barcellona, etc. ‐ e contesti urbani anonimi, assurgono al ruolo di protagonisti dei più recenti spot pubblicitari, al pari dei prodotti reclamizzati. La produzione visiva pubblicitaria mi ha sempre affascinato, per la ricchezza del re‐ pertorio iconografico utilizzato, per la carica espressiva e la forza comunicativa delle immagini alle quali sono legate sensazioni ed emozioni ‐ che riescono a coniugare efficacemente percezione e cognizione ‐, per la creatività e l’originalità stesse delle modalità di rappresentazione che si muovono libere ed esplorano i territori della fantasia, superando i vincoli tradizionali di tipo costruttivo e comunicativo propri delle tecniche classiche adottate dagli architetti. Proprio per questo, accondiscen‐ dendo anche ad un mio personale interesse ho scelto di occuparmi delle produzioni visive pubblicitarie, soprattutto perché, tra tutte le forme visuali di comunicazione 11 di massa, questo media, più degli altri, condiziona l’immaginario collettivo, con un repertorio iconografico che quasi sempre costituisce un prodotto unico e per certi versi anche eccezionale. Le immagini elaborate e trasmesse implicano un amplia‐ mento dell’idea stessa di rappresentazione e un cambiamento delle regole preco‐ stituite. L’esplorazione delle realizzazioni visive della comunicazione pubblicitaria, che hanno per oggetto l’immagine dell’architettura, trova la sua ragion d’essere nel cercare d’ipotizzare una nuova “idea” d’immagine che, oltre ad identificare le ar‐ chitetture nel loro insieme, consenta di ampliarne anche le potenzialità comunica‐ tive. Le ricerche svolte in tale contesto, avviate in occasione della mia esperienza di dottorato di ricerca (conclusasi nel 2007) sono proseguite negli anni producendo i risultati che sono stati raccolti in questa monografia. Il volume si articola fondamentalmente in tre sezioni. La prima parte riguarda la nascita ed evoluzione del fenomeno pubblicitario dell’architettura; una storia co‐ struita attraverso le attività di celebri architetti che si sono adoperati anche alla divulgazione della propria immagine unitamente a quella delle loro opere. Una traccia narrativa che si svolge all’interno di locations d’autore, di peculiari trame edilizie e contesti urbani anonimi, dove le città diventano testimonial del mes‐ saggio pubblicitario, in quella che potremmo definire la categoria dei luoghi ar‐ chetipici pubblicitari. Il visual pubblicitario, oltre a trasmettere il messaggio esplicito (ciò che si vede), presenta anche un contenuto relativo alla maniera in cui questo messaggio è veicolato, e quindi a come si manifesta la scelta di una determinata immagine architettonica, in termini di percezione e di rappresenta‐ zione. Il significato attribuibile al messaggio da comunicare deriva sia dal conte‐ nuto del visual che dal modo in cui tale contenuto viene presentato, e quindi dall’applicazione di determinate tecniche e forme di visualizzazione. La produ‐ zione visiva pubblicitaria si presenta come racconto ed un racconto va conside‐ rato sempre per il suo dirci qualche cosa e anche per il suo dircelo in una certa maniera; è la distinzione tra immagine e rappresentazione. La seconda parte, partendo dalla definizione generale dell’immagine pubblicitaria e dallo studio dell‘impianto visivo‐comunicativo delle varie forme pubblicitarie consi‐ derate, procede ad indagare le diverse tecniche e modalità di costruzione dei visual attraverso l’analisi delle tipologie visive delle linee, delle forme, del colore, dell’illumi‐ nazione, nonché quelle di rappresentazione dello spazio e del tempo. Le diverse componenti del corpus pubblicitario e del modus della comunicazione si sin‐ tetizzano nella formulazione di un modello interpretativo basato su distinti livelli di let‐ tura. Una carrellata di esempi pubblicitari completa questa seconda parte del volume. L’ultima sezione della pubblicazione, infine, studia la storia del rapporto archi‐ tettura–pubblicità a partire dalle sue origini, che risalgono al momento in cui la pubblicità s’impadronisce dell’immagine urbana attraverso l’architettura, fino allo sviluppo delle più recenti tipologie d’insegna outdoor che si riflettono nelle nuove architetture pubblicitarie contemporanee. 12 Il fenomeno pubblicitario dell’architettura *Per quanto riguarda la definizione dei termini ca‐ ratteristici del linguaggio pubblicitario, riportati nel glossario del presente volume, questi sono stati tratti dal Glossario di Pubblicità Il nuovo impianto forma‐ tivo del MPI. Per le voci non presenti in tale glossario viene fornita una definizione nelle note. Architetti, architettura e pubblicità: storie di immagini L’architettura, oggi, è un brillante e ricercato mezzo di promozione culturale e d’immagine, contesa dalle grandi aziende che tendono a collegare il proprio nome e l’immagine del brand a quello di progettisti di fama internazionale e alle loro opere architettoniche. Attraverso il mass medium, che permette di trasmet‐ tere informazioni a grandi distanze e in tempo reale, le produzioni architettoni‐ che, come anche le altre forme di espressione artistica, rappresentate dal cinema, dal teatro, dalla fotografia, dalla danza, etc., sono state veicolate al di là dei loro confini e le molteplici immagini ed episodi oggi diffusi dalla televisione satellitare, dalla stampa, da internet, ne testimoniano l’alto potenziale mediatico. In gene‐ rale, quindi, le diverse forme espressive culturali sopra citate, e l’architettura in particolare, hanno con il tempo modificato il loro linguaggio alla ricerca di nuove modalità promozionali in cui esse stesse diventano al contempo parte integrante della comunicazione e suo strumento, ignorando, talvolta, quello che è il signifi‐ cato intrinseco della forma artistica a favore dell’efficacia del messaggio. Il macrocosmo della comunicazione pubblicitaria ha da sempre prediletto l’am‐ biente urbano ed architettonico quale scenario ideale in cui ambientare il con‐ sumo dei prodotti e dei servizi, sia nelle forme statiche del volantino e del manifesto, che in quelle dinamiche dello spot televisivo. L’architettura viene uti‐ lizzata anche come supporto di comunicazione ed elemento connotativo per la costruzione del messaggio pubblicitario. Negli ultimi decenni, però, tale feno‐ meno si è molto amplificato, anche con una valenza dell’immagine architettonica differente. Viste di quartieri dalle peculiari connotazioni stilistiche e specifiche architetture d’autore sempre più frequentemente sono oggetto di rappresenta‐ zioni pubblicitarie, soprattutto per un certo tipo di comunicazione televisiva (spot*). In un simile sistema, basato sulla comunicazione visiva, l’immagine, che è il veicolo di accrescimento mediatico, costituisce il mezzo d’indagine per eccel‐ lenza. La realtà che viene offerta è costituita da un insieme di elementi che sono testimoni dell’utilità, dell’efficienza, dell’organizzazione, della tecnologia e della bellezza; il fine è quello di presentare uno pseudomondo oggetto della sola con‐ templazione e costituito da una selezione di immagini. Tale modalità di diffusione della cultura architettonica si differenzia da quella tradizionale, sino a qualche tempo fa la sola esclusiva, destinata agli addetti ai lavori e costituita dalle riviste specializzate, dai libri e dalle rassegne espositive, il cui contenuto si centra prin‐ cipalmente sull’analisi dei progetti e delle opere che si producono con una par‐ ticolare attenzione rivolta all’esposizione dettagliata della documentazione grafica, del processo progettuale e degli aspetti e dei dettagli costruttivi di mag‐ gior rilevanza dell’opera. Nella comunicazione di massa, invece, le immagini sono estrapolate dal loro contesto e dalla loro storia, e presentate come le sole esi‐ stenti, le migliori. In questo modo, l’architettura diviene di notevole interesse non solo per chi si occupa di architettura, ma anche per coloro che la vivono e la utilizzano nei modi più vari, amplificandone le dimensioni e le proporzioni, e ge‐ nerando nuovi e inediti significati della disciplina stessa. Talvolta le architetture 13 rappresentate sono esse stesse l’oggetto del messaggio pubblicitario1, ma più spesso vengono utilizzate per reclamizzare prodotti commerciali della più dispa‐ rata natura. In questo caso, dal momento che la merce deve sedurre il consuma‐ tore, i pubblicitari cercano di spettacolizzarne l’immagine attraverso elementi figurativi che, con il loro valore estetico, riescono ad emergere. A tale proposito sono nate figure professionali ad hoc, i location’s makers (scopritori di location), che hanno il compito di ricercare luoghi, paesaggi, ambienti, edifici che siano i più adatti ad esaltare un oggetto, creare ambientazioni affascinanti e offrire ac‐ cattivanti analogie di senso. In questo ambito, l’entrata in scena dell’architettura ha lo scopo di esaltare, mediante elementi tecnici o formali, le caratteristiche di specifici oggetti. Questi frammenti visivi sono unici, belli e, in un certo senso, anche esaurienti. Sono racconti brevi, piccoli campioni e frammenti eterogenei di realtà che coniugano la leggerezza con la rapidità e l’esattezza. Un pò come gli aforismi di estrazione, estrapolati da scritti visivi più lunghi, da visioni complete, esaurienti ed omnicomprensive, che solo l’illustrazione di un progetto può dare; con la consapevolezza del rischio di fraintendimento che un’operazione di mon‐ taggio o di estrapolazione può comportare. Una sequenza di immagini suscettibili di diversi livelli di lettura la cui apparente casualità non è affatto casuale. D’altronde, si può affermare che la stessa architettura rappresenta un mezzo di comunicazione che trascende la forma costruita, risultando la materializzazione, attraverso l’interpretazione degli architetti, di desideri, piaceri, intenzioni, sogni. A tale proposito, l’architetto Bernard Tschumi2 ha affermato che il modo in cui la maggior parte delle persone sperimenta l’architettura è attraverso la consultazione di libri fotografici, e cioè mediante un processo di immaginazione dello spazio reale. Osservando come, nella comunicazione pubblicitaria a mezzo stampa, la riprodu‐ zione continuativa della stessa immagine sia utilizzata per indurre un desiderio verso il prodotto reclamizzato che esiste al di fuori dello spazio dell’inserzione, Tschumi ha realizzato nel 1976 una serie di manifesti pubblicitari per l’architettura con l’in‐ tento di creare nell’osservatore il desiderio di trovarsi realmente davanti allo spazio architettonico visualizzato o addirittura al suo interno. Concepiti come una serie di “cartoline” (fig.1) con giustapposizione di immagini e testo, ciascuno degli Advertisements for architecture mette in risalto la disso‐ ciazione tra l’immediatezza dell’esperienza spaziale e la definizione analitica dei concetti teorici, sempre con l’obiettivo di innescare il desiderio di qualcosa che vada al di là della pagina. Il soggetto architettonico di due di queste “cartoline” è la celebre Villa Savoye di Le Corbusier, fotografata in uno stato di estremo de‐ grado (1965) che viene sottolineato per esaltarne il valore di unicità architetto‐ nica, sintetizzato nella negazione delle forme spaziali attese dalla società del suo tempo, che le consente di superare le ingiurie degli anni (fig.2). In altri manifesti, l’architettura è paragonata ad una figura legata da corde o mascherata, eviden‐ ziando in un caso le sue numerose regole che possono essere accettate o in‐ frante, nell’altro la sua capacità di simulare e dissimulare (fig.3). L’architettura non può essere facilmente svelata poiché si nasconde continuamente dietro lacci, 14 1. Vedi il paragrafo Quando l’architettura è il brand da pubblicizzare in L’architettura della comunicazione di questo volume (pag.259) 2. Architetto svizzero, è editore di "D" (Columbia Do‐ cuments of Architecture and Theory) e membro del Collège international de philosophie. Dal 1988 al 2003 è preside della Graduate School of Architec‐ ture, Planning and Preservation alla Columbia Uni‐ versity di New York. Nel 1998 insegna alla Scuola di Architettura di Normandia e nel 2004 viene nomi‐ nato Direttore Generale per l'Esposizione Internazio‐ nale a Dugny, in Francia. Fig.1 ‐ Manifesto da Advertisements for Archi‐ tecture, Bernard Tschumi, 1976. “Per apprez‐ zare realmente l’architettura, potresti anche avere bisogno di commettere un omicidio. L’ar‐ chitettura è definita tanto dalle azioni di cui è testimone quanto dal perimetro delle sue mura. L’omicidio nella strada differisce dal‐ l’omicidio nella cattedrale allo stesso modo in cui l’amore nella strada differisce dalla strada dell’amore. Radicalmente.” parole, precetti, abitudini e vincoli tecnici. Eppure proprio queste difficoltà la rendono intensamente desiderabile: la sua stessa rivelazione è parte del piacere dell’architettura. Nel 2012 Tschumi ha ripreso la forma comunicativa degli Ad‐ vertisements for architecture nei manifesti Common Ground? presentati in oc‐ casione della 13° esposizione internazionale di architettura alla Biennale di Venezia. In Common Ground? Tschumi si interroga sul significato stesso dell’ar‐ chitettura, contrapponendo immagini di luoghi comuni a immagini di spazi ar‐ chitettonici che presentano forme simili, ed evidenziandone le differenze concettuali attraverso arguti giochi di parole. Il museo Guggenheim di New York è mostrato accanto ad un parcheggio multipiano con la scritta “Architecture is not only what it looks like, but also what it does”3 (fig.4). Con la stessa tecnica, Fig.2 ‐ Manifesto da Advertisements for Archi‐ tecture, Bernard Tschumi, 1976. “La cosa più architettonica di questo edificio è lo stato di de‐ grado in cui si trova. L’architettura sopravvive solo dove nega la forma che la società si aspetta da essa. Dove nega se stessa trasgre‐ dendo i limiti che la storia ha fissato per essa.” 15 una veduta del Canal Grande di Venezia è contrapposta ad una sua posticcia imi‐ tazione all’interno di un villaggio commerciale, mentre la scritta afferma che “Concept, not form, is what distinguishes architecture from mere buildings”4 (fig.5). Sullo stesso tema l’architetto belga Maaik5, noto soprattutto per il suo la‐ voro come illustratore e cartoonista, offre alcune significative e divertenti vi‐ gnette (fig.6). Il significato reale dell’architettura, ciò che la differenzia dalle costruzioni comuni è del resto da sempre oggetto di discussione. Se partiamo dall’etimologia della parola architettura, composta dal prefisso archi, dal greco archèin (comandare), e dal suffisso tettura, dal grego tektonikòs (relativo alla co‐ struzione), ci viene suggerito che l’architetto altri non è che il capo costruttore e l’architettura il prodotto della sua opera. Il Dizionario Italiano Ragionato6 ci pro‐ pone una definizione di architettura come “l’arte e la tecnica della progettazione e realizzazione di costruzioni che rispondono a esigenze strutturali, funzionali ed estetiche”, basata sui tre canoni vitruviani firmitas, utilitas e venustas, indicati come caratteristiche essenziali dell’architettura nell’opera i Dieci Libri composta da Vitruvio oltre 2000 anni fa. Risulta però interessante, per analizzare e com‐ prendere meglio le sempre più frequenti commistioni tra linguaggi e mondi di‐ versi, tra cui quello dell’architettura e quelli dello spettacolo e della pubblicità, cercare di aggiornare e in qualche modo rivedere sotto questa luce quelli che sono oggi i caratteri essenziali dell’architettura e che la rendono mezzo, oggetto, e talvolta soggetto, della comunicazione visiva commerciale. Come ebbe a dire l’architetto Mies Van der Rohe, l’Architettura non è un cocktail Martini7, ma un linguaggio con specifiche regole grammaticali che possono essere utilizzate per produrre un’ottima prosa o, in casi di eccellenza, della poesia; essa “è stretta‐ 3. “L’architettura non è solo come appare ma anche ciò che fa”. 4. “Il concetto, non la forma, è ciò che distingue l’ar‐ chitettura dalle semplici costruzioni”. 5. Maaik è lo pseudonimo di Mike Hermans, creativo artista di Anversa, i cui lavori spaziano nei campi dell’architettura, del design, della pittura, della scrit‐ tura, dell’illustrazione e dell’animazione. La sua pro‐ duzione in qualità di vignettista è pubblicata in tutto il mondo. 6. AA.VV., DIR, Dizionario Italiano Ragionato, D'Anna–Sintesi, Firenze, 1988. 7. Ludwig Mies Van der Rohe, in un’intervista del 1964, riportata in Casabella n° 741 del 2006, affer‐ mava che “L'architettura non è un cocktail Martini”. Fig.3 ‐ Manifesti Ropes and rules e Masks da Advertisements for Architecture, Bernard Tschumi, 1976. 16 Figs.4,5 ‐ Manifesti da Common ground?, Bernard Tschumi, 2012. Fig.6 ‐ Vignetta umoristica dell’artista belga Maaik. mente correlata alle forze che trainano e sostengono un’epoca e non può essere altro che un’espressione di queste forze. Non è una moda, ma neppure qualcosa di eterno; è parte di un’epoca. Capire un’epoca significa comprenderne la sua es‐ senza e non soltanto ciò che appare. Ma è molto difficile comprendere ciò che è importante in un’epoca, perché la grande forma si manifesta molto lentamente”. Sulla base di quanto finora detto, possiamo osservare come i caratteri che ren‐ dono un manufatto architettonico desiderabile nell’ambito della comunicazione pubblicitaria sono quelli che permettono di creare efficaci analogie ed associa‐ zioni di idee con i prodotti reclamizzati, prescindendo dalla effettiva rispondenza ai canoni vitruviani. Le pecularietà architettoniche degli edifici prescelti dalla comunicazione pubbli‐ citaria vengono pertanto evidenziate per fondare quest’ultima sull’associazione con le caratteristiche del prodotto, dimostrando così che questi hanno le stesse qualità delle rinomate costruzioni (si evidenzia pertanto il plusvalore di questi prodotti rispetto ad altri della stessa categoria). Paragonando infatti degli oggetti ad architetture che possiedono referenze assolute in campo di sicurezza, bellezza formale, durabilità ed efficienza, s’intende trasmettere ai prodotti gli stessi valori di prestigio e longevità che sono propri dell’architettura rappresentata. Le imma‐ gini che presentano questi edifici sono mirate ad esaltarne solo quei particolari necessari all’economia del messaggio, tanto che in alcuni casi si stenta a ricono‐ scerle. Sono immagini perfette e decontestualizzate, quasi sempre senza persone che si rapportino agli spazi, con nessun riferimento allo scopo per cui sono stati progettati, e nessun segno di logorio temporale o di vissuto sociale. Esse vengono utilizzate per il loro valore di segno, sono private di ciò che le rende funzionali, perdono ogni valore che deriva dal loro utilizzo, dal contesto sociale, dal rappor‐ tarsi in un ambito urbano o paesaggistico, e diventano oggetti astratti. Vengono sottolineate solo alcune tracce architettoniche che, astratte dal loro contesto, 17 sono semplificate per essere equiparate a segni appartenenti agli oggetti. Si va oltre il reale per raggiungere un livello superiore che trascende ciò a cui si riferi‐ sce. Non si tratta più, com’era accaduto fino in tempi anche molto recenti, di ca‐ pire l’architettura e comunicarne il valore, quanto piuttosto di un nuovo modo allargato di concepirla, un modo in cui l’architettura, di per sé, è divenuta parte della comunicazione, strumento della e per la comunicazione. Tra le numerose opere utilizzate dalla comunicazione pubblicitaria possiamo an‐ noverare progetti di Norman Foster (la torre Gherkin di Londra, il terminal del‐ l’aereoporto internazionale di Hong Kong, fig.7), di Santiago Calatrava (Città delle Arti e delle Scienze di Valencia, fig.7d; il Ponte dell’Alamillo a Siviglia), di Frank O.Gehry (il Museo Guggenheim di Bilbao, fig.7e), di Jürgen Mayer‐Hermann (il Fig.7a,b,c ‐ Da sinistra a destra: il Metropol Parasol di Jürgen Mayer‐Hermann a Siviglia nello spot della Jeep Grand Cherokee (Agenzia Leo Burnett, To‐ rino, 2012), la Gherkin Tower di Norman Foster a Londra nella pubblicità del periodico Du Kulturmagazin (Agenzia Euro RSCG Zürich, Svizzera, 2009), il Terminal dell’aeroporto internazionale di Hong Kong di Norman Foster nell’inserzione della Rolex. Fig.7d ‐ La Città delle Arti e delle Scienze di Valencia nello spot della Ford Kuga (2013). Fig.7e ‐ Il museo Guggenheim di Frank O. Gehry a Bilbao nella pubblicità della Kia Opirus. 18 Fig.8 ‐ Copertine dei numeri della collana Biblio‐ teca de Arquitectura, edita da El Croquis, dedi‐ cati a Ludwig Mies Van der Rohe (Ludwig Mies Van der Rohe, La palabra sin artificio. Reflexio‐ nes sobre architectura 1922‐1968, n.5), Bruno Taut (Bruno Taut, Escritos Expresionistas, n.6), Luis Barragan (Luis Barragan, Escritos y Conver‐ saciones, n.9), E.G.Asplund (E.G.Asplund, Escri‐ tos 1906‐1940. Cuaderno de viaje 1913, n.10), Louis I. Kahn (Louis I. Kahn Escritos, Conferencias Y Entrevista, n.11), Moisei Gìnzburg (Moisei Gìn‐ zburg, Escritos 1923‐1930, n.12). Fig.9 ‐ Copertine delle monografie El Croquis dedicate a MVRDV, Frank O.Gehry, Alvaro Siza, Zaha Hadid, Steven Holl, David Chipperfield, Glenn Murcutt, Rem Koolhaas, Mansilla + Tunon, Sanaa, Tadao Ando, Enric Miralles, Dominique Perrault. 19 Metropol Parasol di Siviglia, fig.7a) e di altri architetti di fama internazionale, tutti edifici che non passano inosservati per caratteristiche tecnologiche e qualità for‐ mali. Per quanto riguarda i prodotti reclamizzati, spiccano per la loro presenza accanto alle architetture, soprattutto oggetti tecnologici e meccanici, come le automobili, gli orologi, i telefoni cellulari, ma anche i profumi, gli abiti e alcuni prodotti alimentari. In questo contesto, anche la figura dell’architetto, rappresentativa dell’unicità del suo stile architettonico, viene proposta all’interno delle campagne promo‐ zionali delle più svariate categorie merceologiche divenendo icona di comunica‐ zione a livello globale. Come gli attori cinematografici, i campioni dello sport e le rockstar, anche gli architetti sono infatti divenuti i testimonial di prodotti com‐ merciali. Precursore di questa tendenza fu negli anni ’20 del novecento, Le Cor‐ busier, che legò il suo nome alla casa di arredamento tedesca Thonet8. In seguito si è assistito ad una crescente divizzazione della figura dell’architetto, il cui volto e la cui immagine vengono sempre più spesso proposti al pubblico, non neces‐ sariamente raffigurati insieme alle proprie opere. Esemplare in tal senso è il caso della rivista di architettura “El Croquis”9, che, in occasione della pubblicazione di numeri monografici dedicati a specifici architetti, propone in copertina fotografie Fig.11 ‐ Meyer, Eisenman, Foster, Johnson, Stern, Starck e Pelli sulle pagine del periodico Vanity Fair. 20 8. Si rimanda al paragrafo Le Corbusier e la pubblicità, la pubblicità e Le Corbusier in questa sezione (pag.23). 9. La rivista El Croquis è una delle più prestigiose pub‐ blicazioni internazionali di architettura. Viene pubbli‐ cata con periodicità bimestrale in curate monografie bilingue spagnolo/inglese che analizzano le opere dei più noti architetti. La tiratura è di circa 35.000 copie. Fig.10 ‐ Philip Johnson nella copertina di Time Magazine del 8/1/1979. 10. Neologismo coniato da Gabriella Lo Ricco e Silvia Micheli, nel loro saggio Lo spettacolo dell’architet‐ tura. Profilo dell’archistar© (Bruno Mondadori, Mi‐ lano, 2003). Le due studiose si sono dimostrate talmente consapevoli dell’efficacia del termine da loro proposto, da proteggerlo con l’istituzione di un apposito copyright. 11. Frank Lloyd Wright nel 1932 ha pubblicato un’au‐ tobiografia. Rem Koolhaas pubblica nel 1995 con lo studio OMA e il canadese Bruce Mau, il libro S, M, L, XL che costituisce un portfolio dei lavori dello studio presentati in ordine di grandezza (small, medium, large, extralarge). Figs.12,13,14 ‐ Da dinistra: Massimiliano Fuk‐ sas nello spot della Renault Scenic (Agenzia BRW & Partners, Milano, Italia, 2001); outdoor della Apple con testimonial Frank O. Gehry; Norman Foster nell’inserzione della Rolex. delle loro persone (figs.8,9) e non immagini o disegni delle loro opere. Philip Joh‐ nson viene rappresentato a figura intera sulla copertina di Time Magazine (8 gen‐ naio 1979, fig.10) mentre tiene in mano a mo’ di trofeo un plastico di uno dei suoi più importanti edifici (AT&T Corporate Headquarters, New York), a significare la superiorità della persona rispetto all’edificio, del progettista rispetto al pro‐ getto. Ad ulteriore conferma della crescente notorietà della figura degli architetti, anche Vanity Fair, noto periodico statunitense di costume, cultura, moda e poli‐ tica, ha dedicato alcuni servizi a famosi architetti (Johnson, Eisenman, Meier, Starck, Stern, Pelli) rappresentandone le figure abbigliate con le loro opere più significative (fig.11). Il fenomeno, oggi indicato con il termine di archistar10, per cui l’architetto, in quanto persona fisica, inizia a diventare personaggio pubblico, noto anche alle masse, non è un fatto nuovo. Già in passato diversi architetti si erano dedicati alla promozione della loro immagine attraverso la pubblicazione di saggi, inter‐ viste e, in alcuni casi, biografie11, tutti scritti finalizzati alla comprensione e alla valorizzazione del proprio operato; ciò a cui si assiste però oggi è la divulgazione mediatica del nome e dell’immagine, che divengono certificazione di qualità e innovazione, trasformando i rapporti tra opera e autore in modo tale da rendere la prima funzione del secondo e quindi sancire immediatamente e indiscutibil‐ mente la qualità e il valore di un progetto mediante la sola associazione di questo al nome e all’immagine di un archistar. Questa semplice ma efficace associazione di idee ha permesso in seguito di estremizzare il concetto, per cui oggi la comu‐ nicazione pubblicitaria si avvale della collaborazione degli architetti di fama in‐ ternazionale per trasmettere i valori di qualità e innovazione di cui sono portatori a quei prodotti commerciali che costituiscono il vero oggetto del messaggio tra‐ smesso. Si assiste così a numerose campagne pubblicitarie in cui gli architetti 21 vengono scelti come testimonial, come ad esempio: Rem Koolhaas per il brand internazionale Prada12, Massimiliano Fuksas per la Renault Scénic (fig.12), Frank O. Gehry per Apple (fig.13), Lord Norman Foster per la Rolex (fig.14), Zaha Hadid per la UBS, etc. Degne di nota sono le campagne della ditta Vitra che vedono protagonisti, oltre a personaggi dello spettacolo, anche famosi architetti, come Philip Johnson13, rappresentato seduto in modo inconsueto sulla sedia Louis XX progettata da Philip Starck (fig.15), o Jean Nouvel14, fotografato sulla poltrona Little Beaver progettata da Frank Gehry (fig.16). Gli architetti‐testimonial prota‐ gonisti dei contemporanei spot interagiscono con la propria architettura, sia che questa sia in fase di realizzazione come nell’esempio di Foster (vedi pag.190) che verifica e controlla gli ultimi dettagli, sia che questa sia in fase di ideazione come nel caso di Fuksas ripreso mentre concepisce in tempo reale un’idea15. Molteplici sono le immagini e gli episodi oggi diffusi dalla televisione e dalla stampa che te‐ stimoniano il loro alto potenziale mediatico e il sempre crescente interesse da parte dei decision makers16, che sempre più si dedicano alla ricerca di nuovi tes‐ timonial. La divulgazione dell’architettura verso un pubblico di larga scala è prin‐ cipalmente dovuta alla pubblicità televisiva e, negli ultimi anni, ad internet; questi mezzi hanno reso popolare l’interesse per una materia che è oggi espressione di cultura generale, argomento diffuso di discussione, tema di critica sia colta che superficiale. Difatti, tra tutte le forme visuali di comunicazione di massa, lo spot televisivo, più di altri, è in grado di condizionare l’immaginario collettivo, con un repertorio iconografico che a mio avviso costituisce un prodotto unico e per certi versi anche eccezionale, proponendo al grande pubblico immagini il più delle volte effimere, ma spesso di gran lunga superiori rispetto alla qualità delle stesse opere architettoniche prodotte. Questo suggerisce studi approfonditi sul linguag‐ gio visivo più idoneo alla sua divulgazione, al fine di renderlo più fruibile alle varie categorie di utenti. Figs.15,16 ‐ Philip Johnson sulla sedia “Louis XX” (a sn) e Jean Nouvel sulla poltrona “Little Beaver” (a ds) nelle campagne pubblicitarie della Vitra . 22 12. Nel 2000 l’amicizia tra l’imprenditore Mario Prada e l’architetto olandese Rem Koolhaas si tra‐ muta in una collaborazione pluridecennale che non si limita alla creazione degli stores Prada in tutto il mondo, ma si estende anche agli studi per la realiz‐ zazione della Fondazione Prada (2008) e all’allesti‐ mento delle passerelle per le sfilate. 13. Rivista Domus n.758 del marzo 1994. 14. Rivista Domus n.814 dell’aprile 1999. 15. Spot della Renault Scenic (vedi Letture pubblici‐ tarie, pag.179 di questo volume). 16. Termine che sta ad indicare coloro che sono in‐ vestiti del potere decisionale.