Comune di Ozzano dell’Emilia FAVORIRE LA COMUNICAZIONE 2 Progetto di qualificazione scolastica 3/5 anni - ambito 6 Atti del percorso formativo: REQUISITI IMPLICATI NELLA LETTURA E NELLA SCRITTURA Anno scolastico 2010-2011 Dr. Nicola Corazzari COMUNE di PIANORO Progetto di ambito realizzato grazie al contributo della Provincia di Bologna FAVORIRE LA COMUNICAZIONE 2 - Atti Percorso Formativo a.s. 2010/2011 INDICE I REQUISITI IMPLICATI NELLA LETTURA E SCRITTURA pag 3 Perché trattare il tema dei requisiti della lettura e della scrittura? Legge n° 170 dell’8 Ottobre 2010 Natura del progetto L’importanza della motivazione Quadro di riferimento: il bambino di 5 anni Quadro di riferimento: il contesto IL DIALOGO: osservazione sulla comunicazione in classe con/tra operatori e bambini sui temi della letto-scrittura pag 3 Attività di elaborazione partecipativa Il dialogo (scheda operativa) La gestione del dialogo con i bambini in sezione Bambino parlante e ascoltatore NARRAZIONE E METAFONOLOGIA: come narrano i bambini e come narra l’operatore pag 8 La narrazione La meta-fonologia Esempi di giochi meta-fonologici IL GIOCO SIMBOLICO: la finzione, nel gioco, apre la strada all’immaginazione pag 12 Il gioco di finzione è una simulazione della realtà Perché ci interessa il gioco simbolico? Dove creare e osservare il gioco? Quando? Con chi? Cosa osservare? Decontestualizzazione Decentramento Integrazione Controllo dell’esecuzione Competenza sociale F.A.Q. (Frequently Asked Questions) LE RAPPRESENTAZIONI GRAFICO-PITTORICHE pag 16 Nel 2011 ha ancora senso insegnare a scrivere? Scrivere non è come parlare e non è come leggere Aspetti neurologici Insegnamento e didattica sul gesto Il disegno Disegno-scrittura I prerequisiti per l’apprendimento della scrittura a 5 anni Attività propedeutiche alla scrittura da proporre nell’ultimo anno di scuola dell’infanzia BIBLIOGRAFIA pag 23 Incontro di plenaria rivolto a tutte le insegnanti della scuola dell’infanzia - martedì 11 gennaio c/o Mediateca del Comune di San Lazzaro di Savena Primo incontro laboratoriale - martedì 15 febbraio c/o Sala di Città del Comune di San Lazzaro di Savena Secondo incontro laboratoriale - martedì 15 marzo c/o Sala di Città del Comune di San Lazzaro di Savena Terzo incontro laboratoriale - martedì 12 aprile c/o Sala di Città del Comune di San Lazzaro di Savena Quarto incontro laboratoriale - martedì 10 maggio c/o Sala di Città del Comune di San Lazzaro di Savena 2 pag 3 pag 4 pag 5 pag 6 pag 7 pag 8 pag 9 pag 10 pag 11 pag 12 pag 13 pag 13 pag 16 pag 17 pag 18 pag 18 pag 18 pag 18 pag 19 pag 19 pag 20 pag 21 pag 21 pag 22 pag 23 pag 24 pag 25 pag 25 pag 27 pag 29 pag 29 pag 30 pag 31 I REQUISITI IMPLICATI NELLA LETTURA E SCRITTURA martedì 11 gennaio c/o Mediateca del Comune di San Lazzaro di Savena Perché trattare il tema dei requisiti della lettura e della scrittura? Oggigiorno è necessario fare prevenzione su quelli che potranno essere i futuri DSA, una categoria molto studiata negli ultimi anni rispetto alla quale fortunatamente si è visto che qualcosa si può fare: se doto di certi requisiti il bambino già dalla scuola di infanzia, egli potrà essere più equipaggiato nell’apprendimento della letto-scrittura. Nella pratica quotidiana possiamo aiutare il bambino in prevenzione del disturbo o nei casi di rallentamento della acquisizione delle abilità che sono sottese a tale apprendimento, sempre durante la fascia di età 3-5 anni. La trattazione di tale argomento da parte dei servizi è richiesta anche a livello normativo. Legge n° 170 dell’8 Ottobre 2010: “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico” E’ una legge che avvalora l’importanza dei DSA rispetto ad altre categorie diagnostiche. E’ noto che a questa diagnosi (o meglio ancora segnalazione di DSA) non corrisponde più una certificazione che dia diritto al sostegno in classe, ma solo a suggerimenti su come dispensare o compensare l’attività didattica del bambino. Tale legge riconosce la validità delle forme di tutela e di sostegno che le scuole e le famiglie hanno individuato per promuovere il successo formativo. Sappiamo che sono state da anni attivate una serie di azioni (Ufficio Scolastico Regionale E.R.) volte al sostegno e alla promozione dell’integrazione scolastica dei soggetti con DSA e tra le varie competenze richieste alle insegnanti c’è quella di utilizzare il proprio “occhio clinico” per individuare difficoltà in questo senso. Tale occhio clinico deve essere implementato da una formazione adeguata e continuativa del personale, visti i consensi scientifici solo recenti e ancora in divenire sulla materia. Il compito dell’insegnante tuttavia si fa ancora più complicato qualora, oltre ad individuare una difficoltà, debba anche essere in grado di comunicarla in modo adeguato alla famiglia (usare la “parola che spera”), visto che spesso è proprio sul riconoscimento di una difficoltà che i genitori si bloccano nel procedere verso un accertamento diagnostico. Con questo progetto abbiamo cercato di agire in coerenza con questa legge, in particolare con le sue finalità e sul tema della formazione: Art. 2 sulle finalità:“Preparare (per le persone con DSA) gli insegnanti e sensibilizzare i genitori nei confronti delle problematiche legate ai DSA”. Art. 3 sulla diagnosi: “E’ compito delle scuole di ogni ordine e grado, comprese le scuole d’infanzia, 3 FAVORIRE LA COMUNICAZIONE 2 - Atti Percorso Formativo a.s. 2010/2011 attivare, previa apposita comunicazione alle famiglie interessate, interventi tempestivi, idonei ad individuare i casi sospetti di DSA degli studenti, sulla base dei protocolli regionali. L’esito di tali attività non costituisce, comunque, una diagnosi di DSA. Art. 4 sulla formazione nella scuola: “Per gli anni 2010 e 2011, nell’ambito dei programmi di formazione del personale docente (...) comprese le scuole dell’infanzia (...), è assicurata una adeguata preparazione riguardo alle problematiche relative ai DSA, finalizzata ad acquisire la competenza per individuarne precocemente i segnali e la conseguente capacità di applicare strategie didattiche adeguate (...)”. Art. 7 sull’attuazione: “(...) entro 4 mesi dall’entrata in vigore (...) si provvede ad emanare linee guida per la predisposizione di protocolli regionali , da stipulare entro i 6 mesi successivi per le attività di identificazione precoce di cui art. 3 (...)”. Natura del progetto È quindi diventato necessario prestare attenzione a questo tema anche nel corso della Scuola d’Infanzia. Tenendo presente che il nostro obiettivo non è stato quello di identificare il problema, o segnalarlo, perché è previsto un gruppo regionale che fornirà indicazioni in merito (linee guida), bensì trovare assieme strumenti di lavoro per equipaggiare i bambini rispetto ai requisiti della lettoscrittura: pensare attività che siano preparatorie per il bambino che il primo giorno di scuola primaria si siede al banco e comincia ad apprendere. Ci siamo mossi nell’ambito dello sviluppo e del potenziamento di autonomie. Come sappiamo la scuola d’infanzia è supportata nel suo lavoro dai documenti che portano le linee guida del Ministero dell’Istruzione su standard da tenere come obiettivi e riferimenti nella costruzione del progetto didattico (Orientamenti del ‘91). In tali “Orientamenti” vengono indicate le “finalità”: Maturazione dell’identità Conquista dell’autonomia (anche di pensiero) Sviluppo di competenze Vengono proposti dei “campi di esperienza educativa”: Corpo e Movimento Discorsi e Parole Spazio, Ordine e Misura Cose, Tempo e Natura Messaggi, Forme e Media Il Sé e l’Altro 4 Nel 2007 l’allora ministro Fioroni (Indicazioni nazionali) aggiunse tra le finalità lo sviluppo della cittadinanza, e tra i campi di esperienza LINGUAGGIO, CREATIVITÀ ed ESPRESSIONE E CONOSCENZA DEL MONDO. Parlando di TRAGUARDI PER LO SVILUPPO DI COMPETENZE ci si riferisce al fatto che tutti i bambini devono affrontare un processo verso quel traguardo, ma non devono raggiungerlo a tutti i costi. Nel nostro caso non dobbiamo avere come obiettivo che tutti i bambini abbiano la stessa competenza, ma fornire un luogo favorevole ove si possono produrre abilità residue non presenti prima: il bambino va sempre pensato rispetto all’ambiente in cui è inserito. Per cui una delle funzioni della scuola di infanzia è quella di mediare tra i concetti spontanei che emergono nella mente del bambino e i concetti scientifici che vengono insegnati. Ad esempio: “Ho aprito quella porta”, il bimbo ha capito che deve usare -ITO per il participio, ovvero usa una regola generale che ha ascoltato nel suo ambiente: un verbo che finisce in -IRE ha il passato il -ITO (aprire-aprito, così come avviene per sentire-sentito, starnutire-starnutito). L’adulto COSTRUTTIVISTA lo aiuta a costruire la regola insegnandogli le eccezioni: nell’azione educativa mettiamo insieme una produzione spontanea del bambino con la costruzione da parte dell’adulto. Molti autori (Piaget, Bion, Winnicott, Bruner) sono d’accordo sul fatto che il bambino ha bisogno di un ambiente favorevole per sviluppare competenze, non esiste il naturalismo, il bambino ha bisogno di ambiente. L’importanza della motivazione Inoltre, nei casi in cui vengano segnalate delle difficoltà, di qualunque tipo siano, è oramai riconosciuto che si apprende meglio quando si è valorizzati. Stiamo parlando di comportamenti pro-attivi, comportamenti che, tenuti dall’insegnante, possono generare fiducia, evidenziando anche i minimi progressi e rendendo ciascuno partecipe anche dei progressi degli altri. Il sostegno reciproco, il “mutuo soccorso” si può insegnare se gli adulti sono i primi a praticarlo, dando fiducia, avendo fiducia. Questo atteggiamento favorisce il rafforzamento dell’Io del bambino che sente che può fare (ricordiamo che una delle frasi che sentiamo più spesso dire dai bambini è “non ci riesco”). Uno degli interrogativi fondamentali che ci dobbiamo porre è: come poter essere incoraggianti? - Attivando => promuovere l’agire in prima persona dei bambini, far sì che assumano responsabilità, impegni, che siano attivi e propositivi. - Comprendendo => cioè saper “leggere” la situazione in cui ciascun bambino si trova, i suoi punti di forza come le sue fragilità, i vissuti che sperimenta e che sono la sua verità. - Sottolineando il positivo => veder riconosciuti i propri sforzi e rimarcati i propri traguardi, per quanto piccoli siano, è elemento determinante per aver voglia di proseguire. Senza questa voglia non ci sono minacce o lusinghe che possano essere veramente efficaci. 5 FAVORIRE LA COMUNICAZIONE 2 - Atti Percorso Formativo a.s. 2010/2011 - Ridimensionando => o per lo meno contestualizzare le esperienze negative e gli errori, in modo da non generare l’idea di sè come di una persona destinata a fallire; ciò deve avvenire comunque senza mentire: i bambini sanno sempre quando un adulto mente. - Responsabilizzando => fare comprendere che ciascuno è artefice, se non del proprio destino, certamente delle scelte che si fanno a fronte di ciò che accade. Quadro di riferimento: il bambino di 5 anni Stiliamo l’identikit del bambino di 5 anni, dal punto di vista Freudiano e Piagetiano. È importante sapere che fase sta attraversando dal punto di vista emozionale e cognitivo, il bambino che abbiamo in sezione, dobbiamo abbandonare la visione ADULTOCENTRICA che a volte abbiamo delle cose, e adattarci a quelle che sono le sue reali possibilità, sapendo che queste sono solo standard e nella normalità le cose possono variare molto. Nella logica infantile il bambino dipende fortemente dagli elementi affettivi, se qualcosa va storto, non va storto perché c’è stato un errore procedurale ma perché qualcuno è stato cattivo (succede talvolta anche agli adulti che se la prendono col computer attribuendogli intenzionalità malevole quando c’è qualcosa che non funziona!): non si segue una logica operativa ma una intenzionalità affettiva come se il computer fosse vivo (animismo infantile, gli oggetti inanimati hanno intenzioni). Il bambino sta uscendo proprio ora dal suo potentissimo EGOCENTRISMO (tutto è fatto in sua funzione), per entrare nel pensiero gruppale (siamo in tre) grazie alla vita sociale con cui viene in contatto a scuola e a casa. Egocentrismo: impedisce di cogliere il punto di vista dell’altro. Insegnante: “Dopo che ha dato uno schiaffo al compagno, non è sembrato per nulla colpevole. Dopo poco gli ha dato un meccanico bacino sulla guancia”. Il bambino ha imparato come riparare “formalmente” all’errore, ma non si sente in colpa, fatica ad immedesimarsi nell’altro: sa “cosa deve fare” per non farsi rimproverare. È entrato da un circa un anno nel Complesso di Edipo dal quale ne uscirà con l’identificazione col genitore dello stesso sesso (identità di genere), l’interiorizzazione delle regole e la coscienza del “terzo”, ovvero che tra “me” e ciò che desidero spesso si “intromette” un terzo che mi limita e mi fa uscire dalla dipendenza dall’oggetto stesso. Per Piaget ci troviamo nella fase del pensiero intuitivo (4-7 anni), detto così perché non potendo utilizzare le procedure per spiegare le cose, il bambino usa l’intuito. Possiamo trovare alcuni casi in cui si comincia a padroneggiare la REVERSIBILITA’ concettuale dove “reversibile è il pensiero che, dopo aver seguito, ad esempio, le trasformazioni di un fenomeno è in grado di tornare mentalmente al punto di partenza” (es. dei due bicchieri o pallina di creta), tuttavia quello che è giusto attendersi è che padroneggi degli schemi d’azione, non le operazioni. Dal punto di vista linguistico il bambino si sviluppa molto, dovremmo raggiungere una “normalità 6 espressiva” anche se sappiamo che molto dipende dalla stimolazione ambientale, ovvero il modello genitoriale, il feedback affettivo che riceve, la frequenza della scuola dell’infanzia. Gradualmente il bambino comincia a divenire capace di mantenere l’argomento del suo discorso nella conversazione, variandola a seconda dell’interlocutore, mostrando di potere effettuare congetture sull’altro. Fa molte domande, lo sviluppo del linguaggio arricchisce il pensiero, che permette di tenere a mente le cose senza averle a disposizione concretamente. Ovviamente il consolidamento del gioco simbolico rappresenta una conquista centrale: il saper interpretare ruoli diversi, permette di apprendere schemi di azione, identificarsi, agire in una dimensione “come se”, per sperimentarsi. Quadro di riferimento: il contesto Prima di iniziare il nostro percorso abbiamo voluto focalizzare l’attenzione sul contesto di lavoro delle insegnanti, proprio perché, sia l’ambiente psicologico che quello fisico, concorrono a connotare fortemente l’esperienza educativa e dunque sono da curare con particolare attenzione. Come è costituito idealmente il contesto di lavoro/gioco di una sezione composta da bambini di 5 anni? - Area gioco simbolico => area del fare finta quindi casetta, cucina, teatro, travestimenti, parrucchiera - Area morbida => per attività psicomotoria - Area narrazione => spazio protetto dove si legge e si ascolta - Area di gioco libero => costruzioni - Area attività strutturate grafico-pittoriche => atelier, cavalletti Queste indicate sono le aree tipicamente presenti in una sezione di bambini di 5 anni. Si è convenuto però che non sempre le strutture scolastiche o le dotazioni di arredo e di materiale didattico rendono possibile la strutturazione contemporanea di tutti questi “luoghi”. Sarà dunque ancora più importante il ruolo di regista dell’insegnante che, a seconda del gruppo di bambini con cui si trova ad operare e delle loro rispettive specifiche esigenze/desideri, adatterà lo spazio e le dotazioni a sua disposizione, per raggiungere gli obiettivi prefissati. 7 FAVORIRE LA COMUNICAZIONE 2 - Atti Percorso Formativo a.s. 2010/2011 IL DIALOGO martedì 15 febbraio c/o Sala di Città del Comune di San Lazzaro di Savena Osservazione sulla comunicazione in classe con/tra operatori e bambini sui temi della lettoscrittura È il primo requisito da prendere in esame. La prima cosa da fare con un bambino e con la sua famiglia è costruire un rapporto di fiducia, reciproca: la fiducia che i genitori non possono non avere rispetto all’istituzione che accoglie il figlio, e la fiducia che la scuola deve poter avere nei confronti della famiglia, principale sede dell’educazione del bambino. Parlando di dialogo parliamo anche di competenze possedute dal bambino che riguardano la sfera relazionale, linguistica e di sviluppo cognitivo o creativo. Non stiamo parlando della stessa cosa se il bambino sta narrando un episodio personale o sta riportando uno SCRIPT, cioè una sequenza di azioni che lui ha o non ha interiorizzato, oppure se sta raccontando qualcosa di fantasioso: è necessario fare delle distinzioni quando trattiamo il tema del dialogo. Abbiamo suddiviso il dialogo in sottotipi diversi in quanto un episodio autobiografico è sicuramente diverso da una sequenza di azioni (cibo, bagno, routine, regole) o da un racconto di fantasia. Il nostro percorso comincia con uno specifico focus sul dialogo perché spesso, quando si parla di requisiti della letto-scrittura, si pensa ad attività, azioni, prassi da realizzare sul bambino: queste azioni hanno lo scopo di potenziare competenze in via di sviluppo. Tuttavia senza una cura della relazione tra insegnante e bambino, cura che si attua attraverso l’ascolto e il dialogo, queste azioni perderebbero significato e rappresenterebbero solo parzialmente la natura del rapporto educativo tra due persone. Attività di elaborazione partecipativa Ci siamo posti una serie di domande che riguardano il dialogo: Quanto, quando, come, su cosa si attua il dialogo col bambino? E soprattutto è un dialogo? Come comunicano le insegnanti tra di loro quando sono in compresenza? Con quali bambini abbiamo una attitudine migliore? Perché? Le insegnanti hanno lavorato suddivise in tre gruppi (racconto auto-biografico, routine, racconto di fantasia) e, seguendo la traccia data (v. pagina successiva), hanno discusso esperienze significative condividendole poi con il grande gruppo. 8 Il dialogo (scheda operativa) Giorno: Insegnante: Comunicazione significativa del bambino/a Vissuto emozionale dell’insegnante rispetto all’intervento del bambino Attività: Contesto: Risposta verbale dell’insegnante e comportamento non verbale (tono di voce, postura, direzione dello sguardo, contatto, distanza interpersonale, espressione facciale, gestualità) Considerazioni: - è stato utile? - ne ho approfittato per affrontare un tema? Reazione degli altri bambini È un racconto autobiografico? È una routine-scritp? È un racconto di fantasia? 9 FAVORIRE LA COMUNICAZIONE 2 - Atti Percorso Formativo a.s. 2010/2011 La gestione del dialogo con i bambini in sezione Da questa condivisione sono emersi diversi spunti interessanti che riguardano proprio la gestione del dialogo con il bambino rispetto alle tre aree indagate. - Come mi comporto nel caso in cui il bambino porti in sezione un tema “scottante”? Nel caso in cui un bambino porti un tema “scottante” nella sezione (ad esempio nel momento iniziale della giornata) come quello della morte o della separazione, può essere opportuno presentare la realtà, cercando di tranquillizzarli, fornendo spiegazioni semplici che contestualizzino e che possano essere condivise dalle famiglie. Se si viene colti “di sorpresa” è facile che l’insegnante non riesca a reagire con l’accoglienza e la prontezza necessaria visto che quando c’è un forte impatto emozionale è facile che la capacità di pensare (dell’adulto/insegnante) si paralizzi. Ad esempio nel caso di una domanda sulla morte (morte di un uccellino) il bambino può riportarla subito a sé o alla sua famiglia quindi è importante non mentire ma rassicurare al massimo: la spiegazione razionale protegge. Inoltre è importante la risonanza emozionale dell’insegnante “penso che in una situazione di questo tipo ci si possa sentire molto male, tristi...”, e chiedere anche agli altri bambini coinvolti come la stanno vivendo, attivarli in questo senso. Infine, così come uno ha la forza di aprire un tema, è necessario che poi lo chiuda, chiudendo anche il setting di discussione sul tema, mai lasciare il gruppo aperto emozionalmente su un tema delicato come la morte o la perdita (si può anche chiudere con un disegno o un’attività, se non si ritiene opportuno o possibile farlo con il dialogo). - Come mi comporto se comincia a raccontarmi qualcosa di fantastico in un momento “non strutturato”? Se il racconto fantastico viene fatto in un momento in cui non c’è una richiesta (es. colazione) si potrebbe interagire verbalmente con il bambino, dialogando ed entrando nella conversazione libera. L’insegnante può dare corda, incominciare a giocare, rilanciando la palla, costruendo un dialogo, un gioco. Non tanto nei momenti strutturati in panchina/cassettiera ma quando si prepara un lavoro, a tavola, costruendo una situazione su un piano diverso da quello classico insegnante/bambino. L’insegnante può provare a mettersi nei panni del bambino, giocare con lui come lui gioca con lei. Giocare su un terreno condiviso (es. fiaba amata) può rappresentare una sorta di dialogo non verbale. Può essere opportuno anche utilizzare il dialogo riflessivo, l’empatia. L’empatia è però una competenza molto difficile che implica mettersi nei panni dell’altro senza colonizzarlo e rimanendo sé stessi, farlo sentire capito senza pretendere da lui qualcosa: quando il bambino non si muove verso il tuo traguardo, togli tutto e vai dove è lui, da lì parti per costruire una relazione. È importante quindi andare dove lui si trova, se si capisce che non è in grado di venire dove siamo noi. 10 Bambino parlante e ascoltatore Il dialogo è parte centrale delle attività di sezione e svolge diverse funzioni di cui è necessario essere consapevoli. Non si tratta solo di parlare, ma di comunicare e quindi di insegnare a comunicare a qualcuno per il quale comunicare non è cosa semplice, visto che anche la buona comunicazione si apprende. Molto spesso sottovalutiamo l’importanza di questo strumento sia perché ognuno automatizza il proprio modo di comunicare col passare del tempo, sia perché, spesso, dimentichiamo che la cura si realizza sempre più con le parole e tanto meno con le azioni, soprattutto quando il bambino cresce. Soprattutto in una fase cruciale come quella dai 3 anni in poi in cui la competenza linguistica, intesa come espressione e comprensione, ha un forte impulso rispetto ai primi due anni, il bambino da INFANTE diventa parlante e ascoltatore. Non ha più bisogno di “somatizzare”, di indicare, di strillare per entrare in contatto con le persone, progressivamente sarà in grado di utilizzare la parola e non più solo le azioni. Questa parola sarà carica di significati in due direzioni: esterna e poi interna. La prima è ESTERNA, ovvero verso l’altro. Per esprimere una richiesta, per raccontare qualcosa di sé, per liberare la fantasia e attivare il processo creativo, per trovare qualcuno che contenga quello che proviene dal bambino. Attraverso l’ascolto da parte dell’adulto EMPATICO e PAZIENTE il bambino interiorizza la funzione del contenimento e dell’ascolto: è difficile pretendere che un bambino sappia ascoltare o tollerare le emozioni negative, se non ha un modello stabile cui fare riferimento. La seconda è INTERNA e segue quella ESTERNA. Ovvero ogni dialogo è sempre un dialogo con noi stessi, ma questo dialogo con noi stessi è anche il frutto di come le persone significative della nostra vita ci hanno parlato, ascoltato, sostenuto, sono entrate in empatia con noi. Dove empatia altro non significa che “mettersi nei panni di...”, “far sentire all’altro che lo abbiamo capito, dimenticandoci per un attimo di noi stessi e di ciò che faremmo e avremmo fatto in quella situazione in cui si trova lui, ADESSO, pur rimanendo sé stessi”. Spesso le persone si immedesimano nelle altre completamente, si “immergono” e non riescono a ri-emergere, oppure al contrario, sono talmente prese dal proprio punto di vista che non riescono a coglierne uno diverso. Empatizzare non significa né l’una né l’altra cosa, è più complesso perché significa avvicinarsi all’altro senza scomparire, e senza farlo scomparire. È una funzione dell’educatore perché successivamente diventa dialogo interno che si potrà portare dietro tutta la vita, è ovvio che in questo senso le parole, i silenzi, l’ascolto che contano di più sono quelli genitoriali, però anche le insegnanti è opportuno che lavorino in questa direzione. 11 FAVORIRE LA COMUNICAZIONE 2 - Atti Percorso Formativo a.s. 2010/2011 NARRAZIONE E META - FONOLOGIA martedì 15 marzo c/o Sala di Città del Comune di San Lazzaro di Savena Come narrano i bambini e come narra l’operatore L’ascolto nel bambino di 5 anni Il bambino di 5 anni prova sempre più piacere ad ascoltare storie e ad approfondirne i significati (morale), anche se non sempre li capisce. Si rafforza la sua capacità di rispondere alle domande e mostra sempre più comprensione, contemporaneamente si potenzia la sua capacità di raccontare, con sempre maggiore precisione e numero di dettagli. La narrazione Che cosa è? È un’attività e una competenza. Narrazione non è solamente il momento in cui ci sediamo in panchina/ cassettiera e l’insegnante racconta, è anche un rituale, un momento di rifugio che replica una situazione familiare. Il racconto fantastico, ad esempio, asseconda la natura del bambino che immagina, fa finta di..., vive esperienze uniche che può provare solo con l’utilizzo della fantasia (interpretare personaggi, volare, trasformarsi, aggredire). La narrazione dell’insegnante poi non è ovviamente fatta di sole parole, ma soprattutto di gesti, mimica, espressione del viso, tono della voce e risulta tanto più efficace e gradita quanto più riesce a fare leva sull’emotività del bambino. A cosa serve? Dal punto di vista cognitivo: sollecita l’ascolto e l’attenzione sostenuta; arricchisce il vocabolario del bambino e la familiarità con i suoni della lingua; aggiunge immagini al magazzino visivo che si integrerà al magazzino fonologico (suono “casa” + immagine della casa) se si riuscisse anche a fornire sollecitazioni tattili e olfattive, sarebbe sicuramente il massimo (= percorso verso la multi modalità); i bambini cui sono stati letti molti libri avranno più facilità nell’imparare a leggere successivamente; ascoltare storie aiuta il bambino ad avvicinarsi ai problemi e alla loro soluzione (problem solving). Dal punto di vista sociale: favorisce l’attesa del proprio turno di parola e ricrea un’intimità “familiare” che normalmente si perde in sezione. 12 Dal punto di vista affettivo: permette un‘identificazione col protagonista e una proiezione di determinati contenuti mentali sul racconto stesso: così facendo il bambino rappresenta fuori da sé e in modo controllabile il proprio vissuto interno. lavora in direzione di una alfabetizzazione emotiva, il pathos con cui si racconta una storia permette al bambino di associare immagini a sensazioni, a tonalità emotive: si “sentono” le emozioni nella voce di un adulto fidato. Il bambino impara a riconoscere la paura, la gioia, la sorpresa, il dubbio, la curiosità. La meta-fonologia È la capacità di riconoscere i suoni della propria lingua: permette di identificare, segmentare, manipolare, fondere le parole. Che cosa è? È una competenza che si può allenare svolgendo diverse attività. “La competenza meta-fonologica è considerata un ottimo predittore di successive difficoltà nell’apprendimento della letto-scrittura” (Stella, 2003). I primi giochi meta-fonologici (parliamo di giochi in quanto se l’insegnante ne ha una buona padronanza può sbizzarrirsi con essi) sono inerenti alla sillaba e concernono: la sillabazione (divisione dei nomi in sillabe) la fusione sillabica (unione di sillabe per formare la parola) la ricerca della sillaba iniziale la rima. Tutti questi giochi possono risultare semplici per certi bambini, difficili per altri. Esempi di giochi meta-fonologici I giochi meta-fonologici hanno lo scopo di favorire nel bambino l’abilità di giocare con il suono delle parole e di riconoscere i singoli suoni. Sillabazione Nome: si chiede ai bambini di dividere il nome in sillabe attraverso diversi giochi: - nella presentazione al gruppo: FE-DE-RI-CO; - prendendo dalla scatola tante palline quante sono le sillabe; - facendo rimbalzare la palla; - battendo le mani (in gruppo) per ogni sillaba nei nomi dei compagni. 13 FAVORIRE LA COMUNICAZIONE 2 - Atti Percorso Formativo a.s. 2010/2011 Regina-reuccio: “Regina Reginella, quanti passi devo fare, per arrivare al tuo castello, così grande e così bello?”; Disporre i cerchi in salone e il bambino si presenta al gruppo saltando nel cerchio e pronunciando ogni sillaba del proprio nome associata ad un battito di mani o ad un saltello; Sillabare i nomi di oggetti significativi per i bambini accompagnandoli con il battito delle mani (chitarra); Ogni bimbo dice il proprio nome battendo sul tamburo il numero delle sillabe che lo compongono. Fusione di sillabe Indovina chi è? l’insegnante pronuncia le sillabe di un nome e i bambini devono indovinare di chi si tratti. Palla indovina: un bambino per volta fa rimbalzare la palla dicendo una parola (tanti rimbalzi quanti sono le sillabe della parola, es: GE-LA-TO tre rimbalzi) poi tira la palla ad un compagno che deve prenderla e pronunciare la parola completa dopo aver fatto la fusione delle sillabe. Gioco della settimana: era lu-lu-lu era dì-dì-dì era lu era dì era lu-ne-dì = raggiunge il duplice obbiettivo di dividere in sillabe e poi pronunciare la parla intera. Potrebbe essere funzionale associare anche un colore ad ogni giorno della settimana. Mini puzzle: proporre dei pezzi di puzzle che associno la sillaba ad un pezzo della figura (es. ca-ne // testa-coda oppure ca-sa parte dx della casa // parte sn della casa). Questo gioco, abbinando la sillaba al disegno, favorisce naturalmente l’autocorrezione. Sillaba iniziale Strega tocca oggetto. L’insegnante: “Strega tocca oggetto che comincia con ... TA”. I bambini corrono a cercare oggetti (disponibili nello spazio di gioco) che cominciano con la sillaba stabilita. La strega corre a prendere i bambini che non toccano l’oggetto corrispondente alla sillaba nominata. Rima Si possono utilizzare filastrocche già conosciute dai bambini e si gioca ad alzare le braccia ogni volta che arriva la rima. Il sacco: l’insegnante tira fuori da un sacco un gioco per volta e ne dice il nome, poi aggiunge un secondo nome che può fare rima con il precedente oppure no. I bambini ascoltano attentamente e, se sentono la rima, devono correre a prendere l’oggetto, se però sbagliano dovranno stare fermi al giro successivo. 14 Ricerca della sillaba iniziale, intermedia e finale per immagine e memoria Gioco dei sette nani: “Se fossero 27, come si chiamerebbero?” in questo gioco possiamo agire una vera manipolazione della parola, alterando quelle conosciute e dando libero sfogo alla fantasia, le parole diventano il mezzo per creare un momento di divertimento collettivo. Arriva un bastimento carico di ... Associazione visivo-uditivo (raggruppa immagini che iniziano nello stesso modo) Caccia al tesoro: l’insegnante invita i bambini a portarle tutti gli oggetti che cominciano con MA... o con il fonema M. Altri giochi Stop-via: i bambini sono sparsi nella stanza, camminano quando sentono una parola (es. palla) e stanno fermi quando ne sentono un’altra (es. pollo). Meglio cominciare con parole molto diverse, es. mamma-bimbo, per poi passare a parole sempre più simili , con lo scopo di affinare la capacità di distinguere bene anche suoni analoghi. Esempi di parole che differiscono per: - Nasale : mu-bu, nonna-donna, mici-bici. - Vocali: palla-pollo, topo-tipo. - Più di un tratto distintivo: pane-pace, casa-cane. - Sordo-sonoro: è giù-etciù, foto-voto. - Presenza–assenza della doppia: pala-palla, eco-ecco. Passa la parola magica: ci si passa la parola magica che si deve dire ad un compagno per volta nell’orecchio, l’ultimo che avrà ricevuto la parola magica dovrà pronunciarla giusta ad alta voce e se sarà giusta, uscirà magicamente fuori da un sacco un premio per la squadra. Vince la squadra che otterrà più premi. Le parole da far dire devono essere inizialmente facili e conosciute, poi sempre più difficili e lunghe, utilizzando anche parole inventate: Parole facili: cane, topo, mano Parole medie: armadio, balcone Parole difficili: termosifone, tappezzeria Non-parole facili: tune, cabo Non-parole medie: sarga, frottino Non-parole difficili: metrinnato, destarbala 15 FAVORIRE LA COMUNICAZIONE 2 - Atti Percorso Formativo a.s. 2010/2011 IL GIOCO SIMBOLICO martedì 12 aprile c/o Sala di Città del Comune di San Lazzaro di Savena La finzione, nel gioco, apre la strada all’immaginazione Tutti coloro che interagiscono a diverso titolo con bambini in età prescolare, conoscono il fenomeno del gioco simbolico, detto anche gioco di finzione, del “far finta di...”. In questo gioco un oggetto viene usato come se fosse un altro, una persona si comporta come se fosse un’altra, e il qui e ora diventa un altrimenti e un altrove. Si può parlare con figure immaginarie e materializzare dal nulla oggetti che non esistono (es. sorseggiare caffè da una tazza vuota). Il gioco di finzione è una simulazione della realtà Esso si basa su un paradosso: “Le azioni che sto compiendo non hanno lo stesso significato che le stesse azioni avrebbero fuori dal contesto di gioco” (fingere di andare a letto non è andarci). Le azioni possono essere identiche ma perché una azione sia ludica, è necessario che venga contrassegnata in quanto tale. Al gioco si premette: “Facciamo finta che io ero...Superman!”. Tale contrassegno segnala che da lì in poi, tutte le azioni che seguiranno saranno “per gioco”. Il contrario del gioco non è ciò che è serio, bensì ciò che è reale (Sigmund Freud, 1907) Quando un bambino fa finta di non solo imita la realtà, ma verso di essa adotta un atteggiamento “divergente”, attraverso il quale la realtà viene modificata, manipolata, trasformata, asservita ai propri bisogni. Ad esempio, il bambino che nella quotidianità, proprio perché bambino, si sente debole ed impotente, può cercare una identificazione con figure forti ed eroi potenti. Quindi nel gioco il bambino può rappresentare non solo ciò che è successo ma anche il senso che ha per lui quanto gli è successo. Il gioco esprime la soggettività infantile e come questa interpreta la realtà e può differenziarsi da essa. Per giocare a far finta occorrono competenze specifiche di natura linguistica, sociale e cognitiva, il cui grado di maturità è in relazione allo sviluppo complessivo del bambino: c’è connessione tra lo sviluppo in queste aree e le capacità ludico-simboliche. Il gioco di finzione può essere un ottimo osservatorio per cogliere le condizioni più favorevoli di sviluppo infantile. Quando il bambino gioca mostra non solo le capacità che già padroneggia ma anche quelle in via di sviluppo. (Lev Vygotsky) Si suppone che il gioco non sia solo un luogo di esercizio delle capacità in via di sviluppo ma addirittura uno dei più importanti fattori propulsivi (Jerome Bruner, 1972). 16 Perché ci interessa il gioco simbolico? Sviluppo del pensiero: nel gioco del far finta i significati vengono combinati mentalmente, ci stac- chiamo dalla realtà CONCRETA. Ora la realtà può essere pensata, tenuta a mente. È l’inizio dell’attività rappresentativa. Creatività: grazie al gioco entriamo nel pensiero ipotetico, alleniamo la capacità di trovare soluzione ai problemi. Narrazione: è una palestra eccezionale per lo sviluppo del linguaggio narrativo, ovvero quel linguaggio decontestualizzato, tipico della narrazione. Sviluppo sociale: il role-taking è l’abilità presente nel gioco dei ruoli, si tratta della capacità di mettersi nei panni di un’altra persona da un punto di vista sia cognitivo che affettivo. Soprattutto per la letteratura psicoanalitica che si è occupata di questo tema (Bruno Bettelheim,1967), il gioco permette di esteriorizzare i conflitti, elaborarli, e, quando questo succede, indica vivacità e salute psichica nel bambino. In sintesi: Le competenze sottese al far finta compaiono tra i 12 e i 18 mesi, quando ad esempio il bambino chiude gli occhi fingendo di dormire: comincia a “rappresentarsi” un’azione, mentre prima la eseguiva e basta. Nel corso degli anni successivi queste competenze possono svilupparsi, ma può anche accadere che non decollino del tutto. Non si può ancora affermare con precisione che ci sia una correlazione precisa tra la capacità di attivarsi nel gioco di finzione e l’età. Lo sviluppo del gioco del far finta dipende sia da fattori di maturazione ma soprattutto da condizioni favorevoli, come condizioni interne di sicurezza emotiva e condizioni esterne, come occasioni di gioco, materiali adatti, apprezzamento da parte degli adulti , ecc. Il gioco può comunque essere considerato fattore propulsivo dello sviluppo, che consente di esercitare e consolidare capacità essenziali dal punto di vista evolutivo. 17 FAVORIRE LA COMUNICAZIONE 2 - Atti Percorso Formativo a.s. 2010/2011 Dove creare e osservare il gioco? È importante che il gioco si svolga in uno spazio preciso e fisso, ben delimitato, utilizzato possibilmente solo per questa attività in modo che i bambini possano identificarlo come il “territorio” della realtà ludica. Tale spazio dovrebbe essere protetto dagli eventi esterni per favorire al suo interno un’atmosfera intima nella quale il gioco possa esprimersi al riparo da interferenze. Tra gli arredi ha senso utilizzare tavolini, sedie, tappeti, divani, cassapanca per travestimenti, uno specchio, una cucina, stoviglie, telefoni, culle, bambole, garze, cellulari, bacchette magiche ecc. e poi oggetti in miniatura, trenini, automobiline, animali domestici e aggressivi, dinosauri, cubi... Quando? Oltre al luogo favorevole, è importante identificare il tempo favorevole. Il gioco simbolico è un’attività delicata e sensibile alle pressioni anche fisiologiche, oltre che emotive. Il bambino stanco, affamato, oppure agitato per la recente separazione dalla mamma è poco disponibile a giocare, quindi il periodo di riferimento più favorevole per il gioco è quello del centro della mattina, lontano dal momento dell’entrata ma anche da quello dell’appetito che precede il pasto e della stanchezza che può insorgere verso quell’ora. Per questi stessi motivi i bambini sono più disponibili al gioco nei giorni centrali della settimana, lontani dall’acuirsi dei vissuti di separazione nel primo giorno dopo il week end e dalla stanchezza del giorno che lo precede. La durata ottimale va dai 30 a 60 minuti, a seconda della disponibilità dei bambini, in quanto è un periodo di tempo sufficiente perché l’attività si sviluppi e possa terminare, prima che sopraggiunga la noia o la stanchezza. Con chi? È necessario riflettere sulla composizione del gruppo. Un gruppo troppo numeroso potrebbe avere l’effetto di spingere il bambino ad un’attività solitaria per l’eccessiva confusione e l’incapacità di concordare un gioco comune con tanti compagni. Un buon gruppo è costituito da un minimo di 3 ad un massimo di 7/8 bambini. Cosa osservare? La prima cosa da tenere presente è che, come già detto, il gioco è fortemente influenzato dalle condizioni in cui il bambino si può trovare a giocare: compagni conosciuti/sconosciuti, più grandi o più piccoli, più competenti/meno competenti, la presenza di uno sconosciuto, a casa, a scuola. Quindi ciò che osserviamo è relativo ad un contesto particolare e ciò che ne ricaviamo non è universa18 lizzabile nella vita del bambino. Inoltre ricordiamo che il gioco è cosa soggettiva, e nel momento in cui anche noi cercheremo di dare un po’ di oggettività a questo argomento, è importante tenere a mente che esiste una grandissima variabilità interindividuale. Il gioco simbolico è un fenomeno complesso alla cui base stanno capacità diverse, intrecciate tra di loro. Decontestualizzazione Capacità crescente di pensare e comportarsi in modo indipendente dalle caratteristiche della realtà percepita. È la capacità più nota dove un oggetto o una persona “sta” per un’altra e dove queste vengono estratte dal contesto in cui si trovano e vengono poste in un contesto nuovo. Può farlo con gli oggetti e con l’identità e si passa da una totale aderenza alla realtà, alla totale capacità di evocare ciò che non c’è. Oggetti: - il bambino usa l’oggetto per quello che è (solleva la cornetta, se la porta all’orecchio e dice “pronto?”) - il bambino usa l’oggetto al posto di un altro (utilizza la cornetta per sparare) - il bambino utilizza e rende presente un oggetto assente concretamente (spara senza avere nulla in mano) Identità: - i bambini più piccoli: rappresentano ruoli sperimentati direttamente (dottore, mamma, bambino) - i bambini più grandi: agiscono ruoli non sperimentati e fantastici (strega, fantasma, astronauta) Con la decontestualizzazione il bambino diventa sempre meno dipendente dall’ambiente esterno con il primato dell’idea in mente rispetto alle azioni evocate dagli oggetti: quando il bambino usa un bastone come canna da pesca l’oggetto viene piegato a rappresentare ciò che ha in mente. Il bambino non replica i gesti rituali del mangiare perché HA FAME, ma perché prova piacere nel metterli in scena: le azioni sono DEFINALIZZATE e DECONTESTUALIZZATE. Con questa capacità il bambino può scegliere se usare oggetti per il significato convenzionale che hanno (forchetta per mangiare), oppure attribuirne uno nuovo (bastone come cavallo). Decentramento È la capacità crescente di considerare punti di vista diversi dal proprio. Ricordiamo che l’egocentrismo è la caratteristica tipica dei bambini in età prescolare ed è caratterizzata dalla indifferenziazione tra il proprio punto di vista e quello degli altri. Questo si traduce in confusione tra soggettivo e oggettivo (“le barche galleggiano perché devono trasportare le persone”) e dal punto di vista sociale impedisce di comprendere che le conoscenze dell’altro possono essere diverse dalle proprie. In termini evolutivi il superamento dell’egocentrismo consiste nella graduale affermazione del decentrarsi da sé nei rapporti 19 FAVORIRE LA COMUNICAZIONE 2 - Atti Percorso Formativo a.s. 2010/2011 con il mondo. Qui vediamo comparire il ROLE-TAKING, che si può manifestare attraverso due tipi di condotte: l’assunzione di ruoli fittizi (es. fingere di essere il dottore) e l’utilizzo dell’oggetto come fosse un essere vivente (es. fingere di nutrire la bambola). Ruoli fittizi 1 Il bambino finge di compiere un’azione che termina sul proprio corpo: il soggetto e l’oggetto dell’azione ludica COINCIDONO. Il bambino mette in atto “per finta” delle azioni che lui stesso compie normalmente nella realtà (finge di mangiare). Fase proiettiva. 2 Comincia a coinvolgere partners nella stessa azione: l’identità è sempre la propria. 3 Assunzione di un ruolo fittizio (sono la mamma che dà da mangiare): l’identità cambia. 4 Assunzione di ruoli fittizi insieme ai compagni di gioco (crescita ulteriore perché ci si deve coordinare: “Tu fai l’uomo roccia e io spider-man, ricordati TU SEI l’uomo roccia”). Integrazione Capacità crescente di articolare elementi diversi (oggetti, azioni, identità, situazioni) in strutture narrative complesse. È la capacità di combinare un sempre maggior numero di elementi in modo sempre più articolato e coerente all’interno di scene ludiche, assumendo la complessità di vere e proprie storie. Ritroviamo il concetto di SCRIPT (copione o sceneggiatura) introdotto nell’incontro sul dialogo, dove per script intendiamo con le parole di Scank e Abelson (1977) quella rappresentazione mentale che organizza le conoscenze relative a eventi quotidiani condivisi dai membri di una certa cultura, e perciò un po’ convenzionali e stereotipati (andare al cinema, andare a tavola, prepararsi per andare a letto, prepararsi per andare a scuola). Con l’età gli scripts aumentano di qualità, complessità e organizzazione. Sebbene sia difficile individuare una evoluzione generalizzabile di questo aspetto è possibile dire che con l’aumento dell’età passiamo da un gioco più o meno casuale, percettivo, ad uno con una complessità superiore che vede l’introduzione della problematicità, di un obiettivo che guida l’articolazione delle azioni ludiche (ad es. fingere di essere stanchi, preparare il biberon, raccontare una favola e addormentarsi). Sempre secondo gli autori nello sviluppo della struttura del gioco simbolico, comparirebbero in primo luogo gli scripts e, solo in seguito, con il consolidamento di tali conoscenze, diventerebbe possibile considerare situazioni nuove, problemi e obiettivi che richiedono un piano per essere affrontati. 5 livelli (Wolf e Grollman, 1982) 1 Lo schema (portare la spazzola sui capelli della bambola). 2 L’evento semplice (fingere di fare lo shampoo e massaggiare i capelli): 2/3 sequenze orientate. 3 L’evento costruito: almeno 4 sequenze orientate. 4 L’episodio semplice: almeno due eventi semplici attivati in vista di un obiettivo (quindi dopo aver fatto shampoo e massaggiata la testa, si asciugano i capelli e si prepara il biberon per andare a nanna). 5 L’episodio costruito: più eventi costruiti in vista di un obiettivo. 20 Nel gioco dei bambini più grandi gli ultimi tre livelli dovrebbero essere i più rappresentati. Controllo dell’esecuzione Gioco di finzione e linguaggio hanno un’origine comune, spesso compaiono quasi contemporaneamente. Il linguaggio è, per noi osservatori, un elemento essenziale che consente di comprendere il significato delle azioni infantili. È la capacità crescente di utilizzare il linguaggio per pianificare, guidare e condividere l’esecuzione dei propri progetti. Es: due bambini compiono la stessa azione, ovvero costruiscono una torre coi cubi poi la tirano giù. Il primo fa ciò senza dire nulla, il secondo prima di abbatterla esclama: “Non riprovarci, ora ti distruggo!”. Nel primo caso non sappiamo se si tratti di gioco simbolico, nel secondo il bambino ha trasformato sia gli oggetti che sé stesso in qualcos’altro, funzionale al suo gioco. È la verbalizzazione che si occupa di esprimere le trasformazioni simboliche, senza l’accompagnamento verbale è spesso difficile distinguere tra il gioco senso-motorio e quello di finzione. Anche in questo caso possiamo dire che inizialmente, nei bambini più piccoli, si riscontra il primato dell’azione ludica sulle verbalizzazioni. Gradualmente il linguaggio diventa la modalità primaria di espressione della finzione, e il gioco diventa sempre più sociale. Competenza sociale È la crescente capacità di orientare, condividere, coordinare le proprie intenzioni e i propri comportamenti con quelli altrui. Gioco solitario: gioca da solo, a giochi diversi da quelli dei compagni e senza tentativi di interazione. Gioco imitativo: il bambino attiva condotte simili a quelle dei compagni ma in modo indipendente, senza tentare di influenzare la loro attività. Il bambino NON interagisce ma attiva giochi analoghi a quelli che i compagni stanno agendo in contemporanea o precedentemente. Gioco associativo: il bambino attiva giochi simili a quelli dei compagni e scambia commenti sulle attività. I bambini si parlano e si scambiano pareri sui giochi. Si “sente” che lo scopo non è giocare con qualcuno ma perseguire il proprio personale progetto di gioco. Gioco cooperativo di coppia: giocano in coppia e, generalmente sotto la direzione di uno dei due, si suddividono i compiti in vista della realizzazione del gioco comune. Qui l’elemento centrale costitutivo è l’interazione, il bambino vuole QUEL bambino per realizzare con lui il gioco. Gioco cooperativo di gruppo: giocano in gruppo e, generalmente sotto la direzione di uno o due bambini, si suddividono i compiti in vista del gioco comune. 21 FAVORIRE LA COMUNICAZIONE 2 - Atti Percorso Formativo a.s. 2010/2011 F.A.Q. (Frequently Asked Questions) In sezione ho un bambino che non gioca, è possibile? Risposta: sì, è possibile. È opportuno però ricordare che il gioco dipende da molti fattori di “sicurezza” e potremmo avere un bambino che fa fatica a giocare a scuola mentre a casa i genitori dicono che gioca volentieri, magari da solo, ma gioca. La prima cosa da fare dunque è capire se anche a casa presenta le medesime inibizioni. Che differenza c’è tra un gioco simbolico e un gioco non simbolico? Risposta: i giochi non simbolici sono tutte attività ludiche fini a sé stesse, come correre per il piacere di correre, come sbattere una porta per sentirne il rumore, tutto ciò che è senso-motorio e che si fa senza che rappresenti qualcos’altro. Perché i bambini accompagnano il gioco simbolico con la verbalizzazione? Risposta: bisogna distinguere tra più situazioni: il gioco in solitario e in parallelo e il gioco sociale,. - nel gioco solitario e in parallelo il linguaggio ha una funzione più di GUIDA e STRUMENTO per dirigere le azioni, questa fase dovrebbe precedere quella del gioco sociale, anche su un piano di sviluppo. Quindi dai 3 ai 5 anni possiamo trovare il cosiddetto linguaggio egocentrico, dove il bambino ha trasferito a sè stesso le funzioni di guida fino a quel punto esercitate dall’adulto e utilizza il linguaggio per dirigere il proprio comportamento. Anche a noi succede quando pensiamo ad “alta voce” aiutandoci, dandoci direttive sulle azioni da compiere; - il gioco sociale: quando il bambino gioca con altri bambini partecipando alla stessa azione ludica; devono comunicare tra di loro sul significato simbolico delle azioni da compiere (“Io sono la mamma e tu sei il bambino ammalato”) in questo caso il linguaggio ha funzione COMUNICATIVA, coinvolge anche gli altri ed è funzionale al mantenimento della finzione. Quindi possiamo dire che nel gioco il linguaggio svolge più funzioni: pianificazione del comportamento ludico, comunicazione, guida del gioco e soprattutto ha lo scopo di mantenere il quadro di riferimento simbolico, chiarendo che il bambino sta facendo finta. 22 LE RAPPRESENTAZIONI GRAFICO - PITTORICHE martedì 10 maggio c/o Sala di Città del Comune di San Lazzaro di Savena Brainstorming del gruppo delle insegnanti sul tema: NEL 2011 HA ANCORA SENSO INSEGNARE A SCRIVERE? Cosa è emerso: la scrittura è il gesto di motricità fine più sviluppato, più raffinato e dunque il più importante; non è detto che gli strumenti tecnologici cui ci affidiamo in sostituzione di “carta e penna” sempre funzionino; è importante sviluppare una propria abilità grafica, anche per differenziarsi gli uni dagli altri, per meglio definire e caratterizzare la propria identità (cfr. la disciplina della grafologia); tenere una penna in mano garantisce un coinvolgimento emotivo maggiore, consente di ottenere una consapevolezza maggiore di quanto si ha prodotto: “questo l’ho fatto io!”; è molto importante saper scrivere perché, nel contempo, si fissano meglio i concetti e le informazioni che si stanno trascrivendo (v. sbobinare lezioni all’università che ti consente di organizzare il pensiero e di focalizzare meglio i contenuti trascritti); la comunicazione scritta, che avviene attraverso un gesto grafico personale, mette in gioco una parte maggiore del proprio sé, consente una comunicazione più personale e diretta ed è importante anche per trasmettere l’apporto individuale (es. libroni dei bambini con didascalie scritte a mano, magari fotocopiate, ma non scritte al PC); la manualità che impariamo scrivendo sarà importante poi anche per molte altre circostanze, anche per utilizzare poi in modo più competente i mezzi tecnologici; la scrittura sviluppa in sinergia diversi ambiti quali: la pianificazione del movimento, l’esecuzione del movimento, il controllo occhio-mano... L’avvio al disegno infantile avviene inizialmente in modo generico, si dà loro dei pennarelli per disegnare e li si osserva sperimentare un nuovo tipo di azione. Li si lascia fare liberamente e normalmente li si loda. A scuola poi li si mette di fronte a tecniche diverse, come pastelli a cera, matite , pennelli. Il disegno nasce probabilmente dal desiderio di lasciare delle tracce di sé, e poi di creare tracce e rappresentazioni permanenti dell’altro, del mondo; in età evolutiva è sia una comunicazione contestuale, legata all’emotività, sia l’espressione di abilità motorie, di coordinazione oculo-manuale e di un adeguato sviluppo cognitivo. 23 FAVORIRE LA COMUNICAZIONE 2 - Atti Percorso Formativo a.s. 2010/2011 Prima della comparsa del disegno, i bambini lasciano tracce: con la saliva, con la pipì e con la cacca; successivamente lasciano un segno con la matita e con i colori. Inizialmente sono solo scarabocchi, incontrollati, poi diventano scarabocchi controllati in cui vi è perfezionamento della motricità fine e la produzione di linee verticali e orizzontali. Le prime rappresentazioni grafiche che i bambini cercano di produrre sono generalmente persone: se stessi o la propria famiglia. Inizialmente sono forme circolari, teste/persone, a cui vengono aggiunti puntini (occhi e naso) e segmenti (la bocca e poi le braccia e i piedi a cui vengono aggiunte le dita, il cosiddetto omino testone). Scrivere non è come parlare e non è come leggere La scrittura è l’esecuzione di un gesto grafico, che implica l’attivazione di regioni del cervello deputate al controllo e all’esecuzione del movimento. Tale gesto, quando diventa scrittura, rappresenta l’atto di motricità fine più preciso che l’uomo possa imparare e, perché questo atto si affini, occorre molto tempo ed allenamento, allenamento che ha inizio molto prima dell’insegnamento formale della scrittura. Questo allenamento è necessario affinché ciò che è conscio e volontario all’inizio dell’apprendimento (circuito cortico-spinale) successivamente diventi sempre più automatico e spontaneo nell’adolescente e poi nell’adulto (circuito cerebello-sottocorticale-spinale). Per comprendere la complessità dell’apprendimento della scrittura può essere utile confrontarla con altri mezzi comunicativi come il linguaggio parlato e la lettura. E qui possiamo già notare la prima grande differenza: il linguaggio orale compare nelle prime fasi in modo spontaneo, istintivo, come se fosse inscritto geneticamente nel patrimonio di una persona. Al contrario la scrittura è tardiva e non è spontanea, richiede un apprendimento specifico e volontario che, come detto, partendo da un’analisi cosciente dei gesti da fare, lentamente diviene sempre più automatizzata. Inoltre, come sappiamo, per scrivere occorre la capacità di decodificare le unità acustiche (fonemi, quindi quella competenza fonologica di cui abbiamo già parlato in un precedente incontro) che vengono tradotte in unità ottiche, i grafemi, che vengono trasformati in gesti grafici con un impulso di tipo motorio. UDITO VISTA GESTO GRAFICO (motricità) Viene quindi sollecitata potentemente una specifica memoria uditiva, visiva e motoria: attraverso esercizi successivi il bambino può gradualmente migliorare il controllo oculo-manuale. Inoltre il linguaggio parlato è costantemente un mezzo comunicativo in cui il bambino è inserito e tutte le competenze perché questo si possa potenziare, si consolidano nel tempo anche passivamente, involontariamente. Al contrario il linguaggio scritto e tutti i suoi precursori necessitano di situazioni ad hoc per potere essere potenziati. Per quanto riguarda il rapporto con la lettura, le ricerche confermano che per leggere occorre riconoscere il segno e ad esso associare un suono, mentre per la scrittura non è sufficiente riconoscere, perché è 24 necessario evocare il grafema mentalmente e poi tradurlo in gesto grafico, per poi produrre “lo scritto” che deve rispettare regole di organizzazione spaziale e di precisione motoria. Aspetti neurologici È riconosciuto da tutti che la preferenza d’uso della mano destra è funzione dello sviluppo cerebrale, in particolare dell’emisfero sinistro, dove ha sede anche il linguaggio, ciò è quello che ci distingue dagli animali: la dominanza laterale cerebrale. Sin dai tempi dei primitivi, che usavano pittogrammi per rappresentare scene di caccia o di vita quotidiana, passando per le culture mesopotamiche e arrivando al primo alfabeto fenicio, l’uomo ha di millennio in millennio sviluppato, sollecitato e utilizzato determinate funzioni neuromotorie legate all’esercizio grafico che ha consentito il formarsi e consolidarsi della specializzazione emisferica destra: è stato verificato che il bambino di 5 anni ancora usa i circuiti motori dei due emisferi, date le difficoltà dell’atto da compiere, gradualmente, tanto più si esercita nella scrittura tanto più dipende dall’attivazione dei circuiti emisferici sinistri. È verso questa età che cominciamo ad osservare i primi segnali di dominanza laterale. RICORDIAMO: alla nascita ogni bambino possiede una genetica predisposta alla capacità di scrivere ma è soltanto attraverso adeguate sollecitazioni educative che viene favorito l’apprendimento della scrittura. Per insegnare la scrittura passando dai suoi precursori si rende necessaria la ripetizione di attività grafiche razionali, graduali e sistematiche e questo serve affinché non si imparino meccanismi compensatori anti-economici o inefficaci. Insegnamento e didattica sul gesto È importante pensare che sin dalla scuola dell’infanzia si può preparare il campo per un progressivo consolidarsi delle abilità di base sottese alla scrittura a livello percettivo e motorio sui quali poi, successivamente, si potrà innestare l’apprendimento graduale della scrittura. Cerchiamo di stare su un piano diverso dallo spontaneismo del bambino e dalla buona volontà dell’insegnante, che sono ingredienti necessari ma che vanno incanalati nella giusta direzione. SCARABOCCHIO DISEGNO SCRITTURA L’insieme di abilità percettive e motorie conquistate attraverso il disegno e lo scarabocchio viene a costituire il bagaglio di competenze di cui il bambino dispone per approdare all’apprendimento della scrittura. 25 FAVORIRE LA COMUNICAZIONE 2 - Atti Percorso Formativo a.s. 2010/2011 SCARABOCCHIO: PRIMITIVE TRACCE DI SÈ È un’attività istintiva, senza lo scopo di creare un’immagine, ma solo per il piacere di eseguire movimenti con la mano. In questa fase è tutto il corpo che partecipa all’attività, prevale il movimento del braccio senza l’appoggio del gomito sul tavolo. Abbiamo un andamento rotatorio che spesso esce dai margini del foglio. Troviamo una impugnatura palmare, le dita non sono utilizzate e questo limita fortemente le possibili variazioni nei movimenti. È un‘esperienza importante perché il bambino comincia a vedere che può lasciare una traccia di sé, che può incidere sulla realtà, modificandola percettivamente, anche se tutto ciò che fa appare incoerente e goffo. Il bimbo comincia a pensare “questa cosa mi piace proprio!”, non sa ovviamente che questa cosa è l’antenata di futuri momenti in cui trovandosi a scuola, seduto, composto, eseguirà un dettato dell’insegnante in quasi religioso silenzio. Però ora tende a ripetere questa azione, sente che lo aiuta a liberare energia e gli permette di giocare e muoversi nello spazio in modo diverso. Gradualmente dovrebbe poi mutare la sua postura, alla ricerca di una più comoda, più logica, assumendo una posizione davanti al foglio, appoggiando il gomito sul piano e così facendo passando da un movimento che include tutto il braccio, verso un movimento del solo avambraccio, che consente di staccare la matita dal foglio e permette di diversificare le linee tracciate. Questo passaggio aumenta il controllo del bambino sull‘attività, le tracce, più o meno casuali, diventano percorsi rappresentati volontariamente dal bimbo che riesce sempre più a organizzare il suo spazio uscendo dai bordi sempre più occasionalmente. Contemporaneamente il bambino comincia ad avere una impugnatura di tipo digitale, con pollice opposto alle dita indice e medio e questo avviene o per spirito di iniziativa o per il desiderio di imitare la scrittura degli adulti, o discende direttamente dai loro suggerimenti. Ciò porta ad una esecuzione sempre maggiore di movimenti precisi e fini, più piccoli di quelli fatti precedentemente. Progressivamente, con l’abitudine migliora la coordinazione dei movimenti della spalla, del braccio, dell’avambraccio, del polso e della mano e il gesto grafico può sempre più dipendere dalla volontà di chi lo esegue. Prima l’occhio osservava quello che aveva tracciato, ora è l’occhio che guida le tracce da eseguire: questa graduale coordinazione occhio-mano fa si che si possa far concludere un tracciato esattamente dove lo si è fatto partire. Ora abbiamo l’intenzionalità del gesto! Già da ora è importante 26 educare il bambino ad un‘impugnatura corretta e rilassata e, se fatto da subito, questo aiuta il sistema neuro-muscolare ad abituarsi al sistema più economico. È la matita lo strumento tra il foglio e il bambino, ricordiamolo! Il disegno Verso i tre anni il bambino comincia a rappresentare qualcosa che possiede mentalmente cominciando a comprendere il valore simbolico del disegno stesso: “Disegno la mia mamma” “Disegno la mia casa”. Compare l’uomo girino, cerchio più qualche linea retta per gli arti (primo tentativo di schema corporeo). Questa fase è di preparazione alla scrittura, è una preparazione del tutto involontaria. Il foglio bianco su cui il bambino colloca le sue figure rappresenta una palestra in cui liberamente può allenare le proprie abilità motorie a livello grafico, dagli iniziali ampi gesti maldestri a quelli successivi più sicuri, precisi e minuziosi. È ovvio che disegnare e scrivere non è la stessa cosa però, dal punto di vista grafo-motorio e di gestione dello spazio grafico, il disegno è un buon precursore. I disegni sono sempre più accurati e dettagliati. Una caratteristica in particolare propedeutica è quella del colorare all’interno degli spazi delimitati dalle figure dove la mano esegue un atto motorio intenso e prolungato nel tempo. La stesura inizialmente è parziale poi verso i 5 - 6 anni diventa totale, ricoprendo tutto lo spazio grafico. Ma perché è importante? Perché questo esercizio consente un aumento graduale della resistenza all’affaticamento provocato da questa attività: infatti l’azione di colorare richiede a livello motorio uno sforzo prolungato dei muscoli del braccio e della mano e, a livello percettivo, una forte attenzione e concentrazione finalizzata a non uscire dai bordi e a frenare l’impulsività del gesto. Il disegno e la stesura del colore sono propedeutici anche alla gestione dello spazio grafico. È la conseguenza del passaggio che porta dall’esperienza del corpo vissuto all’immagine visiva del corpo: attraverso la conoscenza della propria immagine allo specchio, il bambino progressivamente riesce ad individuare le varie parti del corpo e a organizzare il PROPRIO schema corporeo. Schema corporeo: “rappresentazione cognitiva della posizione e dell’estensione del corpo nello spazio e dell’organizzazione gerarchica dei singoli segmenti corporei, finalizzata principalmente all’organizzazione dell’azione nello spazio”. Attraverso questo processo di crescente consapevolezza TOPOLOGICA il bambino può proiettare, in modo sempre più ordinato, delle rappresentazioni MENTALI sul foglio, sotto forma di segni e figure. Così progressivamente le figure da fluttuanti (3 anni) diventano, verso i 5 anni, delimitate da un piano (terra) e un tetto (cielo). Compare la verticalità, così che le figure risultano “in piedi”: in questo modo vengono trasposte nello spazio grafico le coordinate sopra/sotto, sinistra/destra, davanti/dietro. Ora il bambino rispetta le principali coordinate spaziali. È ovvio che queste acquisizioni di orientamento spaziale saranno decisive al momento dell’acquisizione della scrittura. Inoltre se il bambino ripete sempre lo stesso schema, tipo casa, può esercitare e affinare gesti grafici importanti per la scrittura come le linee per delimitare i muri e le linee oblique per fare il tetto, che favoriscono, in modo rudimentale, una maggiore coordinazione dei movimenti e preludono alla figure geometriche che costituiranno la base per l’esecuzione delle lettere in stampatello. 27 FAVORIRE LA COMUNICAZIONE 2 - Atti Percorso Formativo a.s. 2010/2011 Quando il bambino di 5 anni è in grado di tracciare la forma del triangolo e del rombo si può supporre che sia in grado di imitare e di copiare alcune lettere semplici e può intraprendere l’apprendimento sistematico della scrittura in stampatello maiuscolo. Parallelamente a questo processo figurativo il bambino comincia a imitare la scrittura dell’adulto (grafismo scritturale), ad un certo punto comincia a sospettare che la scrittura sia qualcosa di diverso dal disegno e quindi tenta, in modo spontaneo, di scrivere lettere che normalmente sono quelle del proprio nome, perché note. Il bambino intuisce che la scrittura funziona diversamente dal disegno e, gradualmente, o disegna o scrive o accompagna i disegni allo scritto. In genere il bambino a 5 anni è in grado di riprodurre il proprio nome con lettere grandi e irregolari, anche se non sa abbinare al suono il segno, mentre può riconoscere le lettere del suo nome se dentro al suo nome, può fare fatica a riconoscerle all’interno di altre parole. 28 Disegno - scrittura Abbiamo detto che lo scarabocchio e il disegno sono propedeutici alla scrittura ma NON sono la stessa cosa, la scrittura è un sistema a sé, con regole specifiche. UGUAGLIANZE: FUNZIONE: sono entrambi mezzi di comunicazione, anche se adottano segni diversi, il disegno è di tipo figurativo e simbolico, la scrittura di tipo alfabetico. STRUMENTO GRAFICO: la loro realizzazione necessita di matite, pennarelli, ecc. che sono un prolungamento della mano, che si interpone tra foglio e corpo: sia per scrivere che per disegnare è necessario un apprendistato di prensione per guidare il pennarello dove si vuole. REQUISITI GRAFOMOTORI: in entrambi è necessario attivare la coordinazione occhio-mano, l’orientamento spaziale e la prensione. DIFFERENZE: SIGNIFICATO, SIGNIFICATO SOCIALE E RISORSE: il disegno, per il bambino, è soprattutto attività spontanea, gioco, istinto, non richiede il rispetto di regole particolari. La scrittura è invece un’attività più rigorosa e più faticosa. Necessita di tanta attenzione e concentrazione in quanto, come detto, il rievocare e il riprodurre una serie segni, richiede grande impegno su diversi fronti. 1 Esiste la posizione più comoda ed economica che porta rapidità e automatismi; 2 Il capo è sollevato; 3 Il busto non si appoggia al tavolo; 4 Indice e pollici sono dita motrici, il medio supporta la matita, anulare e mignolo tengono il contatto col foglio. I prerequisiti per l’apprendimento della scrittura a 5 anni Adeguato sviluppo del sistema nervoso che consenta di acquisire il linguaggio nei suoi aspetti fonetici, lessicali e strutturali Competenza fonologica Memoria a breve termine e a lungo termine per fissare gli apprendimenti legati alla corrispondenza suono-segno e alle caratteristiche visive Livello di intelligenza Capacità di percezione: visiva, acustica, somato-sensitiva Capacità di orientamento spaziale: riconoscere la b dalla d o la p dalla q e di organizzazione spaziale: distinzione destra-sinistra, sopra-sotto, davanti-dietro Conoscenza dello schema corporeo 29 FAVORIRE LA COMUNICAZIONE 2 - Atti Percorso Formativo a.s. 2010/2011 Lateralità Sviluppo motorio: motricità fine e coordinazione dei movimenti tramite il controllo occhio-mano Stabilità emotiva Motivazione: scrivere è difficile, per andare avanti è necessario avere la giusta motivazione Attività propedeutiche alla scrittura da proporre nell’ultimo anno di scuola dell’infanzia Molto importante risulta la realizzazione di percorsi di attività psicomotoria. Si citano inoltre, di seguito, alcuni altri tipi di interventi possibili, meno strutturati e onerosi, ma sicuramente validi per attivare e potenziare alcune abilità specifiche che abbiamo visto essere propedeutiche alla scrittura. TIPOLOGIA DI INTERVENTI 30 FINALITÀ ESEMPIO DI ATTIVITÀ Motricità articolazione Sviluppare la dissociazione della spalla del movimento del braccio dal tronco Gioco del pittore Direttore d’orchestra Motricità per l’avanbraccio Promuovere la dissociazione motoria dell’avambraccio Il tergicristalli Motricità del polso Migliorare la scioltezza del polso Il pupazzo che saluta Motricità fine delle dita Sviluppare l’agilità e l’indipendenza delle dita Dita che passeggiano Percezione spaziale Favorire la presa di coscienza del proprio corpo nelle spazio e sviluppare la lateralizzazione Ogni attività che prevede l’utilizzo del corpo allo specchio, anche il disegno del corpo umano tracciato da un bambino sui confini corporei di un altro Percezione ritmica e temporale Associare il ritmo sonoro a tracciati grafici Il gioco del battere le mani seguito dalla “scrittura musicale”. 1) Ripetere una serie di suoni eseguita dalla maestra battendo le mani. 2) Associare segni grafici a quelle sequenze sonore. Attività pittografiche Promuovere tracciati di pregrafismo Esercizi che incentivino la coordinazione motoria, la scioltezza dei movimenti fini (disegnare le onde del mare)e l’apprendimento dei tratti base per la scrittura (curve e rette). Pregrafismo Abituare al movimento sciolto e curvilineo verso destra sia i destrimani In genere attività sono reperibili che i mancini. Inoltre incentivare la memoria nei quaderni dedicati al pregrafismo. visiva, tattile e cinestetica Tratta da: “Come imparare il gesto grafico”, di Venturelli A., Lo Scarabeo, Bologna BIBLIOGRAFIA Allamandri V., “Imparo a leggere giocando!” - Editrice Esperienze Bondioli A., Savio D., “Osservare il gioco di finzione: SVALSI”- Edizioni Junior Cossaro R., “Sintassi in movimento” - Ed. Erickson Freschi E, “Le letture dei piccoli. Una proposta di «categorizzazione» dei libri per i bambini da 0 a 6 anni” - Ed. Del Cerro, 2009 Freud S., “Il tramonto del complesso edipico”, Opere cit. Vol. 10 - Ed. Boringhieri Judica A. et al., “Un gioco di P.A.R.O.L.E.” - Ed. Erickson Oliviero Ferraris A.,“Il significato del disegno infantile” - Bollati Boringhieri, Torino, 1995 Piaget J. , “Dal bambino all’adolescente. La costruzione del pensiero” - La Nuova Italia Piaget J., “La formazione del simbolo del bambino” - La Nuova Italia, Firenze PRCR-2/2009, “Prove di requisito per la diagnosi delle difficoltà di lettura e scrittura” - Giunti O.S. Rosenberg Marshall B.,“Preferisci avere ragione o essere felice?” - Esserci edizioni Venturelli A., “Come imparare il gesto grafico” - Lo Scarabeo, Bologna Watzlawick Paul et al., “Pragmatica della comunicazione umana” - Casa Editrice Astrolabio Wygotsky L.S., “Il ruolo del gioco nello sviluppo mentale del bambino” - Armando Editore Winnicott D., “Gioco e realtà” - Armando Editore Widlocher D., “L’interpretazione dei disegni infantili “- Armando Editore, Roma 31 Stampato su carta di pura cellulosa ecologica sbiancata senza l’utilizzo di cloro (ECF), prodotta da foreste gestite correttamente dal punto di vista ambientale, sociale ed economico (FSC) con elevato contenuto di reciclo.