le sezioni unite si pronunciano sugli effetti processuali dell

LE SEZIONI UNITE SI PRONUNCIANO
SUGLI EFFETTI PROCESSUALI DELL’ESTINZIONE
DELLA SOCIETÀ: UNA SOLUZIONE CONVINCENTE?
Sommario: 1. Premesse – 2. Principi di diritto di portata sostanziale incontestati. – 3.
Critiche alla teoria dell’estinzione liquidatoria. – 4. Prevale la teoria dell’estinzione successoria. – 5. Indici testuali a sostegno della ricostruzione accolta. – 6. Le sopravvivenze
e sopravvenienze attive. – 7. Effetti processuali dell’estinzione. L’interruzione e la riassunzione. Validità o meno della notifica dell’impugnazione al procuratore costituito nel
grado precedente. – 8. Successione dei soci e titolo esecutivo contro la società di persone estinta. – 9. Inefficacia nei confronti dei soci del titolo esecutivo ottenuto nei confronti della società di capitali.
1. In un recente saggio, pubblicato su questa Rivista1, ho sostenuto,
confortato da autorevole ma isolata dottrina2, che la cancellazione di una
società dal registro delle imprese produce sempre l’estinzione del processo di cui essa sia parte, per cessazione della materia del contendere.
Teoria definita estremamente draconiana perché la società si comporterebbe, nel corso del giudizio, come il “gatto del Cheshire” in “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie”. Essa apparirebbe e scomparirebbe all’improvviso, alla bisogna, costringendo gli interessati a proporre una nuova azione, con conseguente perdita degli effetti sostanziali
della domanda già svolta nei confronti della società estinta e «spreco di
attività processuale»3. Alle critiche è seguito l’invito ad adottare una so1
Tedioli, Riflessi processuali della equiparazione tra la cancellazione della società
dal registro delle imprese e la sua estinzione, in questa Rivista, 2011, 1242 ss.
2
Glendi, Cancellazione delle società, attività impositiva e processo tributario, in GT
Rivista di giur. trib., 2010, 749 e L’estinzione postliquidativa delle società cancellate dal
registro delle imprese. Un problema senza fine?, in Corr. giur., 2013, 7 ss.
3
Luiso, Diritto processuale civile6, I, Milano, 2011, 366 ss.
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luzione più attenta alle conseguenze pratiche, che salvaguardi «le posizioni di tutte le parti processuali», nel rispetto dei principi di ragionevolezza, effettività della tutela giurisdizionale e del diritto di difesa anche dei creditori della società cancellata4.
Proprio a garanzia di queste esigenze, la Corte d’appello di Milano5,
nell’aprile dell’anno scorso, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 2495 c.c. e 328 c.p.c., perché tali norme non prevedono che, in caso di estinzione della società, il processo prosegua o sia
proseguito nei gradi di impugnazione da o nei confronti della società
cancellata, sino alla formazione del giudicato6. La ravvisata impossibilità
di identificare un successore nel processo e nella res litigiosa violerebbe
i principi di uguaglianza, del giusto processo e del diritto alla difesa.
In attesa che si pronunci la Corte Costituzionale, sono intervenute
le Sezioni unite, con due sentenze gemelle7 redatte da autorevolissimo
estensore8. Nei paragrafi seguenti, senza ripercorrere l’intenso dibattito
4
Tedoldi, Cancellazione di società dal registro delle imprese e impugnazioni civili:
la parola alle Sezioni unite e alla Consulta (con una proposta di “immortalità relativa”
ad effetti meramente processuali), in Corr. giur., 2012, 1205.
5
App. Milano (ord.) 18 aprile 2012, in Riv. dir. soc., 2012, 530, commentata da Tedioli, Le irragionevoli conseguenze processuali derivanti dall’equiparazione tra la cancellazione dal registro delle imprese di una società e la sua estinzione portano al rilievo
di incostituzionalità dell’art. 2495 c.c., 533 ss.
6
La Corte d’appello ritiene che: 1) la società cancellata vada considerata irreversibilmente estinta, anche se la controversia giudiziale non sia stata definita, con sentenza
passata in giudicato; 2) la notifica dell’atto di impugnazione, alla stessa rivolta, si debba
considerare inesistente, perché è venuto meno il soggetto notificato; 3) la costituzione
in giudizio della società convenuta sia ugualmente inesistente, per difetto di soggettività
giuridica della parte e per assenza dello ius postulandi in capo al suo procuratore; 4)
l’appello nei confronti del liquidatore sia inammissibile, perché presupporrebbe lo svolgimento di una domanda nuova (mancato pagamento per colpa), ovviamente non consentito in secondo grado; 5) il socio illimitatamente responsabile non possa essere considerato «successore» della società estinta, né a titolo universale, né a titolo particolare,
né quale avente causa «necessario» 6) l’estinzione della società vada considerata come
evento interruttivo del processo.
7
Cass. s.u. 12 marzo 2013, nn. 6070 e 6071.
8
Quanto alla sentenza n. 6070/2013, v. l’ordinanza pronunciata da Cass. 18 giugno
2012, n. 9943, in Corr. giur., 2012, 1185, secondo cui è opportuno che le Sezioni unite
chiariscano la questione di massima, di particolare importanza: quale sia la sorte dei rapporti processuali pendenti nel momento in cui una società (nella specie di persone) venga
cancellata dal registro delle imprese, in assenza di successori automaticamente individuabili del soggetto venuto meno e in relazione alle diverse interpretazioni astrattamente
possibili. Quanto alla sentenza 6071/2013, v. l’ordinanza di Cass. 10 agosto 2012, n.
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dottrinale e la pregressa giurisprudenza9, verificherò l’idoneità della soluzione adottata a risolvere le numerose questioni originate dallo scarno
tessuto normativo.
2. Punto di partenza dell’articolato percorso ermeneutico sono i principi di diritto enunciati nelle note sentenze del febbraio 201010, che vengono integralmente riconfermati nelle nuove pronunce. In particolare:
a) la cancellazione di una società di capitali dal registro delle imprese
ne comporta sempre l’irreversibile estinzione, indipendentemente dall’esistenza di creditori non soddisfatti o di rapporti giuridici ancora non
definiti11;
b) per ragioni di ordine sistematico12, desunte anche dal novellato art.
10 l. fall., la stessa regola è applicabile anche alle società di persone13.
Queste ultime si differenziano da quelle di capitali solo per il fatto che
l’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto che le cancella non ha efficacia costituiva, ma ha valore di pubblicità meramente dichiarativa, superabile con prova contraria.
Sul significato e sulla portata della locuzione “prova contraria” intervengono i primi utili chiarimenti.
Nonostante l’ormai indiscutibile equazione tra “cancellazione” ed
14390, che ha reiterato l’istanza di remissione, evidenziando quale aspetto problematico
di massima, il tema della legittimazione dei soci in ordine ai rapporti pendenti al momento dell’estinzione della società (di capitali), che siano stati trascurati nella liquidazione. La sezione remittente ha osservato, inoltre, che la mancata identificazione dei successori, legittimati a proseguire il giudizio in luogo della società estinta, pone in dubbio
la stessa soggezione della fattispecie all’istituto dell’interruzione del processo.
9
Per un articolata analisi giurisprudenziale e dottrinale, v. la Relazione n. 167 del
27 settembre 2012 dell’Ufficio del Massimario, in www.tedioli.com/registro_delle_imprese.htm.
10
Il riferimento è a Cass. 22 febbraio 2010, n. 4060 (in tema di società di persone),
in Giur. it., 2010, 1607 ss., con nota di Weigmann; n. 4061 (in tema di s.r.l.) in Nuova
giur. civ. comm., 2010, I, 54 e nella parte II, 260 con il commento di De Acutis, Le
Sezioni unite e il comma 2° dell’art 2495 cod. civ. ovvero tra obiter dicta e contrasti
(forse) soltanto apparenti; n. 4062 (in tema di società cooperativa a r.l.), che può leggersi
in Corr. trib., 2010, 390, con commento di Briante, Effetti e decorrenza della cancellazione dal Registro delle imprese di tutte le società. Conforme anche la giurisprudenza
successiva: ex multis Cass. 16 maggio 2012, n. 7679, in Foro it., 2012, I, 3059.
11
La Corte ribadisce che l’effetto estintivo opera in coincidenza con la cancellazione,
se essa ha avuto luogo in epoca successiva al 1º gennaio 2004 (data di entrata in vigore
del nuovo art. 2495 c.c., come modificato dall’art. 4, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6), o a
partire da quella data se la cancellazione è intervenuta in un momento precedente.
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Il giusto processo civile 3/13
estinzione”, parte della dottrina afferma che il permanere di un rapporto
giuridico sub iudice (inteso come un processo pendente su un credito o
su un elemento dell’attivo sociale) dimostrerebbe l’illegittimità della cancellazione, perché la liquidazione non è stata regolarmente completata
ex art. 2492 c.c. La stessa dottrina elabora, quindi, la proposta di disapplicare, nei processi in corso, la cancellazione della società14.
Secondo la Suprema corte la prova contraria, invece, non può vertere sulla presenza di rapporti sociali non ancora definiti, perché la soluzione condurrebbe ad un risultato sostanzialmente identico alla situazione preesistente la riforma societaria15. Solo la dimostrazione di un
12
La soluzione trova giustificazione nella necessità di trattare in maniera omogenea
situazioni sostanzialmente identiche e nell’interpretazione costituzionalmente orientata
delle norme che regolano le società di persone, da leggere in parallelo ai nuovi effetti
costitutivi della cancellazione di quelle di capitali.
13
A ciò non osta il fatto che tali società non siano direttamente interessate dal riformato art. 2495 c.c. e siano, invece, regolate dall’invariato disposto dell’art. 2312 c.c. (integrato, per le società in accomandita semplice, dal successivo art. 2324), norma priva
della clausola di salvezza dell’effetto estintivo. Anche nelle società di persone, infatti, la
cancellazione attesta la dissoluzione dell’impresa collettiva, talché si impone una rilettura dell’art. 2312 c.c., coordinata col testo attuale dell’art. 2495 c.c. (così Salafia, Estensione alle società di persone del nuovo art. 2495 cod. civ., in Società, 2010, 568 ss.).
14
Tale dottrina ammette che la cancellazione estingue la società, ma ipotizza che
questa possa continuare a rivestire la qualità di parte e ad avere una legittimazione processuale se al dato formale della cancellazione non corrisponde il dato sostanziale della
definizione dei rapporti sociali (teoria della perpetuatio iurisdictionis). In particolare,
Luiso, Diritto, cit., 366 ss., propone che «la società estinta sul piano sostanziale continui a mantenere una soggettività processuale quando tale estinzione avviene nel corso
del processo»; e ciò «fino al momento del passaggio in giudicato formale della sentenza».
Tedoldi, Cancellazione, cit., 1205, suggerisce che il giudice rilevi incidenter tantum l’insussistenza dei requisiti per la cancellazione limitatamente al processo (o ai processi) in
corso e, dunque, ritenga la cancellazione tamquam non esset ai fini del processo, così
da escluderne ogni efficacia interruttiva. Il provvedimento amministrativo di cancellazione verrebbe, in tal modo, disapplicato ai soli fini del processo in corso, che potrebbe
proseguire indisturbato sino al suo esito naturale e senza interruzioni di sorta. Ne conseguirebbe, in altre parole, l’irrilevanza della cancellazione volontaria dal registro delle
imprese su una situazione soggettiva, attiva o passiva, riconducibile alla società e tuttora
sub iudice.
15
Se ne rende conto anche Tedoldi, op. ult. cit., 1205, quando parla di un’immortalità relativa delle società interessate, determinata dalla durata dei processi pendenti «che
in Italia sono notoriamente immortali…». In dottrina la presunzione viene definita iuris et de iure, poiché, nei riguardi dei terzi, coincide con l’estinzione della società di capitali ed invera quello che, dopo la riforma del diritto societario, è stato definito il «principio generale della cancellazione estintiva» (così Baldassarre, La cancellazione dal re-
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fatto dinamico – la società, dopo l’avvenuta cancellazione, ha continuato
ad operare e ad esistere – può superare la presunzione di estinzione.
La soluzione adottata16 uniforma, peraltro, la disciplina comune a
quella speciale fallimentare, ove le sopravvenienze attive e passive o la
pendenza di processi non incidono sulla decorrenza del termine annuale
entro il quale è possibile dichiarare il fallimento di un impresa cancellata (art. 10, 1º comma, l. fall.). In specifiche ipotesi17, il creditore può
dimostrare che «il momento dell’effettiva cessazione dell’attività» imprenditoriale è diverso e successivo rispetto a quello della cancellazione.
La “presunzione” di estinzione (art. 10, 2º comma) può essere superata
solo provando che il debitore ha continuato ad esercitare l’attività d’impresa. In questa fattispecie, al pari di quella esaminata dalla Suprema
Corte, l’estinzione non è, dunque, impedita dall’esistenza di un debito
o di un rapporto giuridico non definito.
Sempre in quest’ottica, le Sezioni unite escludono che i creditori possano proporre reclamo contro il bilancio finale di liquidazione (ex art.
2492, 3º comma, c.c.)18, facoltà peraltro, ammessa (incidenter tantum) in
un proprio precedente orientamento19.
L’unica opzione possibile è la cancellazione (dell’iscrizione) dell’evento estintivo ex art. 2191 c.c.20, se tale formalità «è avvenuta senza che
gistro delle imprese e la società di persone: un nuovo indirizzo giurisprudenziale, in Notariato, 2009, 271). Per l’analogia di effetti, rispetto ai terzi, tra l’estinzione della società
di capitali e la presunzione di estinzione della società di persone, Rossano, La cancellazione dal registro delle imprese e la società di persone, in Giur. comm., 2010, II, 716.
16
Questa tesi è sostenuta anche da Tedioli, Riflessi, cit., 1230, nt. 10.
17
Tale facoltà è concessa solo alle imprese individuali o in caso di cancellazione d’ufficio di quelle collettive.
18
Soluzione propugnata in dottrina da Vaira, sub artt. 2492-2496, in Il nuovo diritto societario, Commentario, diretto da Cottino, Bonfante, Cagnasso, Montalenti,
Bologna, 2008, 2145; Greco, Le società nel sistema legislativo italiano, Torino, 1959, 446
e Costi, Le sopravvenienze passive dopo la liquidazione delle società per azioni, in Riv.
dir. civ., 1964, I, 280, i quali suggeriscono tale rimedio in applicazione analogica dell’art.
2445 c.c. Non dissimile è l’opposizione contro il piano di riparto ex art. 2280 c.c. (suggerita da Ferri, Le società, Torino, 1987, 923). Per approfondimenti e critiche alle varie soluzioni, v. Tedioli, Riflessi, cit., 1246 ss.
19
Cass. s.u. 9 aprile 2010, n. 8426, in Giur. com., 2011, 887, riguarda il caso di una
s.r.l. la quale, dopo essersi cancellata, aveva trasferito la propria sede in Romania, per
beneficiare di un più conveniente trattamento fiscale. Ritenuta l’operazione fittizia e rivelatrice di una continuazione dell’attività, la società era stata re-iscritta, per decreto del
giudice del registro, due anni dopo la precedente cancellazione e, quindi, dichiarata fallita. La sentenza si fonda, però, sul presupposto che sia da ritenere meramente dichia-
798
Il giusto processo civile 3/13
esistano le condizioni richieste dalla legge». Con tale locuzione non si
intendono la persistenza, la scoperta, l’insorgenza di poste attive o debiti e l’ipotesi in cui la cancellazione sia stata richiesta prima che le operazioni di liquidazione si siano concluse (come sostenuto da una parte
minoritaria della dottrina21 e recenti pronunce giurisprudenziali22 anche
di legittimità23).
La “resurrezione” del soggetto estinto può avvenire soltanto a fronte
della prova che la società abbia continuato la propria attività d’impresa
(assumendo nuovi debiti e generando nuovi rapporti)24.
rativa la cancellazione, disposta ai sensi dell’art. 2191 c.c., «dell’iscrizione di vicende societarie avvenuta senza che esistano le condizioni richieste dalla legge».
20
Il giudice può procedere anche d’ufficio, sentita la società di persone o capitali interessata. Per una rassegna critica delle varie posizioni giurisprudenziali e dottrinarie, v.
Tedioli, Riflessi, cit., 1248 ss.
21
Pavone La Rosa, Il registro delle imprese, in Tratt. dir. comm., diretto da Buonocore, I, 4, Torino, 2001, 49 ss., e Id., Il controllo degli atti societari per l’iscrizione
nel registro delle imprese, in Riv. dir. civ., 2001, II, 186; Rordorf, Il giudice del registro delle imprese, in Società, 1996, 1250-1251; Spolidoro, Seppellimento prematuro. La
cancellazione delle società di capitali dal registro delle imprese ed il problema delle sopravvenienze attive, in Riv. soc., 2007, 823 ss.; Ungari Transatti, Gli effetti della cancellazione dal registro delle imprese delle società di persone e la continuazione dell’impresa in forma individuale del socio superstite, in Riv. not., 2005, I, 818; Di Sabato, Diritto delle società2, Milano, 2005, 557. Tale corrente ritiene possibile (sempre in caso di
sopravvivenze o sopravvenienze attive) «la cancellazione della cancellazione», sostenendo
che il controllo demandato al Conservatore sarebbe di carattere sostanziale e si estenderebbe alla validità dell’atto da iscrivere.
22
Trib. Milano 11 giugno 2012, in Giur. it, 2012, 2572; Trib. Cuneo 16 aprile 2012,
in Società, 2013, 400 ss. (con commento critico di Fanti), che dispone la cancellazione
della cancellazione riscontrando la permanenza di cespiti immobiliari non liquidati e ancora iscritti in capo alla società, pur dopo la cancellazione dal registro delle Imprese;
Trib. Como 24 aprile 2007, ivi, 2008, 889, con commento di D’Alessandro, Cancellazione della società e sopravvivenze attive: opportunità e legittimità della riapertura della
liquidazione, quanto all’ipotesi della scoperta di poste attive. Ugualmente, Trib. Udine
(ord.) 15 settembre 2005, n. 500/05, in www.judicium.it. Facendo riprendere vita alla società estinta, i suoi creditori possono escutere il patrimonio sociale, senza dover necessariamente concorrere con quelli particolari dei soci.
23
Cass. 8 luglio 2004, n. 12553, in Riv. Not., 2005, 812.
24
In questo senso la cancellazione della società – di capitali o di persone – può essere rimossa, con effetto retroattivo, attraverso la cancellazione d’ufficio della relativa
iscrizione. L’estinzione della società, conseguente alla cancellazione, è dunque un fenomeno reversibile, che l’interessato ha modo di eliminare, stimolando il potere officioso
di cancellazione della cancellazione, mediante la prova della continuazione dell’attività
d’impresa.
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799
c) Poiché con l’estinzione dell’impresa non vengono meno i debiti
sociali ancora insoddisfatti, dopo la cancellazione della società, i creditori possono far valere le proprie pretese (solo) nei confronti degli ex
soci25: illimitatamente contro quelli delle s.n.c. (ex art. 2312 c.c.) e contro gli accomandatari delle s.a.s.26; sino alla concorrenza delle somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione (ed in proporzione alla
rispettiva quota di riparto) nel caso di società di capitali.
3. Quanto agli effetti della cancellazione sui rapporti pendenti (specialmente sull’accertamento/soddisfacimento delle passività non liquidate),
la Corte si associa alle critiche mosse contro la teoria dell’estinzione liquidatoria27. Tale posizione interpretativa, accolta anche dallo scrivente,
ritiene che la cancellazione della società estingua la res litigiosa, a titolo
di liquidazione, con onere dei creditori sociali preteriti di agire contro i
soci per un titolo nuovo, qual è l’ingiusto arricchimento o la lesione revocatoria. Come già anticipato, gli effetti processuali che ne derivano
sono drastici, in quanto l’estinzione non successoria28 implica la chiusura in rito del giudizio di cui era parte la società e la necessità di instaurare una nuova causa nei confronti dei soci. Questa azione autonoma spettante ai creditori insoddisfatti ha, rispetto a quella svolta con-
25
Altra domanda può essere esercitata contro i liquidatori, se il mancato pagamento
è dipeso da loro colpa. L’azione nei confronti dei soci e quella nei confronti dei liquidatori sono cumulabili.
26
I creditori sociali che non sono stati soddisfatti nella liquidazione della società
possono far valere i loro crediti anche nei confronti degli accomandanti, limitatamente
alla quota di liquidazione (art. 2324 c.c.).
27
Carnelutti, In tema d’estinzione della società per azioni, in Foro it., 1940, IV,
25; Tedioli, Le irragionevoli, cit. 533 s.s.; Glendi, Cancellazione, cit., 749 e L’estinzione, cit., 7 ss. Questa teoria postula che «successione» e «liquidazione» siano fenomeni tra loro rigidamente alternativi, il primo implicando la sopravvivenza del rapporto,
pur soggettivamente modificato, il secondo sancendone viceversa l’estinzione, correlata
al venir meno del titolare originario.
28
I soci non sono aventi causa della società estinta perché non si viene a creare alcuna successione nei debiti sociali, né a titolo universale, né a titolo particolare «con la
conseguenza, sul piano processuale, che non vi sono soggetti cui spetta proseguire il
processo di cui la società estinta sia stata parte; (…) sulla domanda proposta contro la
società che in corso di causa si cancelli dal registro delle imprese, il giudice non può
più statuire nel merito» (Trib. Torino 17 maggio 2010, in www.ilcaso.it, e App. Napoli
28 maggio 2008, n. 2057, in Giur. merito, 2008, 3174).
800
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tro la società, fattispecie costitutiva29, causa petendi30, obiettivo conseguibile31, modalità di attivazione e di gestione32 profondamente diverse.
Il processo non viene interrotto, ma dichiarato estinto, sicché non è
possibile la sua riassunzione o la prosecuzione da parte dei soci, o nei
loro confronti, né spiega alcun effetto l’omessa dichiarazione dell’evento
da parte del procuratore della società.
La Corte ritiene tale impostazione, nella sua assolutezza, incompatibile con l’effettività del diritto di azione ex art. 24 Cost.33 e fonte di un
ingiustificato sacrificio per i creditori. Se l’art. 2495 c.c. ponesse, quale
condizione per agire contro i soci, l’introduzione di una diversa e autonoma domanda rispetto a quella già formulata contro la società, il diritto di difesa dei creditori verrebbe vulnerato. Sarebbe, infatti, necessario «riprendere il giudizio da capo, con maggiori oneri e con il rischio
di non riuscire a reiterare le prove già espletate».
4. Le S.U. sposano, quindi, l’opposta teoria dell’estinzione successoria, superando (a parere dell’estensore) le varie obiezioni che sorgono
quando si voglia equiparare l’estinzione dell’ente alla morte della persona fisica. L’art. 2495 c.c. prevederebbe una “chiamata in responsabilità
dei soci”, con la conseguenza che i debiti insoddisfatti non si estinguono,
ma si trasferiscono loro, in forza di un meccanismo di tipo successorio,
sia pure sui generis.
La prima argomentazione utilizzata è di tipo teleologico: per evitare
29
Dopo l’estinzione della società non si è più in presenza di creditori sociali, ma di
ex titolari di crediti nei confronti della società, estintisi per causa non satisfattoria, con
conseguente arricchimento dei soci (Minervini, La fattispecie estintiva della società per
azioni e il problema delle c.d. sopravvenienze, in Riv. dir. proc., 1952, 1028; App. Napoli 6 maggio 2005, in Impresa, 2006, 1782).
30
Ferrara Jr. – Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 2009, 1013; App. Napoli 6 maggio 2005, cit.; App. Napoli 28 maggio 2008, n. 2057, cit.
31
L’obbligazione degli ex soci ha un oggetto diverso da quella precedentemente gravante sulla società, essendo limitata nel quantum a ciò che gli stessi hanno ricevuto in
sede di liquidazione.
32
Secondo Glendi, Cancellazione, cit., 749 ss., «in assenza di una successione (nel
diritto controverso e nel processo), l’equiparazione ai fini notificatori, in quanto voluta,
non poteva che essere specificamente sancita».
33
Secondo Positano, L’estinzione della società per azioni fra tutela del capitale e
tutela del credito, Milano, 2012, 114, la teoria violerebbe anche il principio di ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost., atteso che la cancellazione a domanda è un
evento rimesso alla determinazione unilaterale della società, parte in giudizio.
Francesco Tedioli / Le Sezioni unite si pronunciano
801
che la società, con un comportamento unilaterale, sfugga al controllo del
propri creditori, vanificando la realizzazione dei loro crediti, è indispensabile che i debiti non liquidati si trasferiscano in capo ai soci, con
i limiti di responsabilità indicati nell’art. 2495 c.c. L’ente collettivo, la sua
struttura organizzativa, la sua più o meno estesa personalità giuridica
sono del tutto strumentali, talché, venuta meno la società, riemerge il
sostrato personale che ne è alla base34. I soci diventano gli effettivi titolari dei debiti; nei loro confronti continuano ad applicarsi le regole che
vigevano pendente societate (per la fase liquidatoria, l’art. 2280, 2º comma,
c.c.) e la misura della loro responsabilità dipende dal tipo di società cui
avevano partecipato35.
Anche in questa sede, ribadisco che la soluzione non mi pare condivisibile, perché giunge al paradosso di attribuire la titolarità attiva e
passiva delle posizioni giuridiche (ancora pendenti) della società proprio
a quei soggetti che, nel costituirla, hanno inteso tenere ben distinto il
patrimonio dell’ente da quello personale.
Credo, invece, che la cancellazione della società estingua anche «il
primitivo rapporto di credito» ed il socio divenga titolare di un nuovo
debito36. La sua responsabilità trae la propria causa nella liquidazione,
fenomeno che determina un arricchimento senza causa (art. 2041 c.c.)37
34
Assolutamente contrari Glendi, Cancellazione, cit., 749 ss.; Carnelutti, In tema
di estinzione, cit.; Ferrara Jr. - Corsi, Gli imprenditori, cit., 1013; D’Alessandro, nel
commento (critico) a Trib. Como 24 aprile 2007, cit., 889.
35
In tal senso, Quatraro, Lo scioglimento e la liquidazione delle società di capitali,
in Atti del Convegno Forum Riforma Diritto Societario, Milano, 10-14 Febbraio 2002,
44-45; Fimmanò-Angiolini, La fase dell’estinzione, in Scioglimento e liquidazione delle
società di capitali36, a cura di Fimmanò, II, Milano, 2011, 425 ss.; Di Sabato, Istituzioni
di diritto commerciale3, Milano, 2006, 354.
36
Costi, Le sopravvenienze, cit., 267-269, secondo cui il debito sociale si estingue
con l’estinzione per liquidazione della società ed il socio succede non in quel debito,
ma nell’eventuale residuo attivo. La sua responsabilità avrebbe un fondamento revocatorio, poiché il negozio che a lui trasferisce il residuo attivo della società in liquidazione
non è opponibile al creditore sociale pretermesso.
37
Secondo Carnelutti, In tema di estinzione, cit., 25-30, l’approvazione del bilancio finale di liquidazione, quale accordo sulla divisione del fondo comune o accertamento della relativa perdita, vale ad «abolire il vincolo, che faceva dei soci il soggetto
sociale», non potendo, quindi, sopravvivere la società, se non per mezzo di una «finzione». Il principio di autoresponsabilità giustifica la diminuita tutela del creditore sociale, il quale «dalla pubblicità, che accompagna così lo scioglimento della società come
la presentazione del bilancio finale, è messo sull’avviso affinché provveda ai casi suoi».
Approvato il bilancio finale nella negligente inerzia del creditore preterito, la società si
802
Il giusto processo civile 3/13
o indebito (art. 2280 c.c.), corrispondente alla quota ricevuta quando ancora vi erano delle passività da saldare.
La ricostruzione in termini successori38, al contrario, non considera
estinti i debiti insoddisfatti, ma trasferiti nella loro identità. Secondo la
Corte, infatti, i soci rispondono del medesimo debito sociale, che conserva intatta la propria causa e l’originaria natura giuridica39.
La Corte aggiunge che, se nulla è stato distribuito ai soci e la società
cancellata è di capitali, i creditori non subiscono alcun ingiustificato pregiudizio, stante l’incapienza del patrimonio sociale rispetto ai crediti da
soddisfare.
Se diamo per pacifica questa premessa, verrebbe automatico ritenere
che la distribuzione dell’attivo e la riscossione delle somme (in proporzione alla quota di partecipazione al capitale sociale) siano, non solo il
limite di responsabilità del socio, ma anche una condizione di legittimazione (passiva)40 o il presupposto per ravvisare l’interesse del creditore a convenire41 chi sia subentrato nella posizione debitoria della soestingue e, con essa, si estingue il debito sociale, restando al creditore l’azione per colpa
dei liquidatori e l’azione per ingiusto arricchimento dei soci. Ove queste azioni succedanee non dessero buon esito, vi sarebbe un sacrificio delle ragioni creditorie, ma esso
andrebbe tollerato in nome della certezza delle situazioni giuridiche.
38
V. in tal senso, Cass. 3 novembre 2011, n. 22863.
39
Di identico tenore, Cass. 3 aprile 2003, n. 5113, in Foro it., 2004, I, 220, secondo
cui il socio escusso è legittimato a far valere, nei riguardi del creditore sociale, tutte le
eventuali eccezioni e difese derivanti dalla natura e dalla causa originaria del rapporto
intercorso tra il creditore e la società.
40
Così, ad es., Cass. 16 maggio 2012, n. 7679, cit., afferma che: 1) i soci, pur non
essendo successori a titolo universale della società subentrano, in ogni caso, nei rapporti
processuali pendenti, ai sensi dell’art. 110 c.p.c.; 2) l’art. 2495 c.c., oltre a dettare una regola che disciplina la misura della responsabilità dei soci, individua anche la condizione
«della loro legittimazione processuale ai fini della prosecuzione del processo originariamente instaurato contro la società. In senso generale e lato, il socio succede, seppure intra vires, nei rapporti giuridici facenti capo alla società», ma solo nella specifica ipotesi
– disciplinata dalla legge – in cui abbia riscosso la propria quota in base al bilancio finale di liquidazione.
41
Secondo Cass. 16 maggio 2012, n. 7676, in Società, 2013, 81, il socio di una società di capitali, estinta per cancellazione dal registro delle imprese, succede a questa nel
processo a norma dell’art. 110 c.p.c., che prefigura un successore universale ogni qualvolta viene meno una parte, solo se abbia riscosso somme in base al bilancio finale di
liquidazione. Tale vicenda, infatti, non costituisce soltanto il limite di responsabilità del
socio quanto al debito sociale, ma anche la condizione per la di lui successione nel processo già instaurato contro la società, posto che egli non è successore di questa in quanto
tale, ma lo diventa nella specifica ipotesi, disciplinata dalla legge, di riscossione della
Francesco Tedioli / Le Sezioni unite si pronunciano
803
cietà42. Non è così: secondo le Sezioni unite il meccanismo successori43
opera indipendentemente da qualsiasi attribuzione patrimoniale i soci abbiano ricevuto in base al bilancio finale di liquidazione.
Si tratta di una soluzione profondamente diversa rispetto a quella
proposta, anche recentemente, in altre pronunce che, pure, avevano ricollegato all’estinzione della società il fenomeno della successione nel
processo ex art. 110 c.p.c.44.
Secondo la precedente giurisprudenza, la successione dei soci nel processo prescinde del tutto dall’eventualità di una loro successione (universale o meno) nei diritti sostanziali controversi; l’unica circostanza rilevante ai fini dell’applicazione della disciplina dell’art. 110 c.p.c. è la
previa estinzione della società parte nel processo pendente45. L’art. 110
c.p.c. si occuperebbe semplicemente di individuare un soggetto, che
prenda il posto della parte originaria, cui imputare gli effetti degli atti
processuali (e, tra questi, della sentenza); non sarebbe, quindi, necessario il subentro del successore universale nella posizione giuridica sostanziale oggetto del giudizio46.
quota. La prova di tale circostanza è a carico delle altre parti (nella fattispecie dell’Amministrazione finanziaria) ed integra la stessa condizione dell’interesse ad agire, che richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica, ma anche la prospettazione
della possibilità di ottenere un risultato utile, non essendo il processo utilizzabile in previsione di esigenze soltanto astratte (in applicazione di questo principio, la S.C. ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per cassazione proposto nei confronti del socio
unico di s.r.l. cancellata, in assenza della deduzione e prova della condizione di cui all’art. 2495, 2º comma, c.c.).
42
V. anche Cass., 9 novembre 2012, n. 19453, in Società, 2013, 81, secondo cui l’art.
2495 c.c. non prevede affatto che alla società estinta subentrino automaticamente i soci,
la cui successione è invece subordinata al fatto di aver riscosso somme in base al bilancio finale di liquidazione e tale riscossione non costituisce soltanto il limite di responsabilità del socio quanto al debito sociale, ma anche la condizione per la sua successione nel processo già instaurato contro la società, posto che egli non è successore
di questa in quanto tale, ma lo diventa nella specifica ipotesi, disciplinata dalla legge, di
riscossione di somme.
43
Il discorso vale per i soci di società di capitali o per il socio accomandante della
società in accomandita semplice.
44
Cass. 9 novembre 2012, n. 19453, cit.; Cass. 16 maggio 2012, nn. 7676 e 7679, cit.
45
Il principio di diritto deriva dall’applicazione della teoria, di portata generale, secondo cui la successione universale nel processo si verifica in tutte le ipotesi in cui viene
meno la parte, indipendentemente dal fatto che vi sia un successore anche nel diritto
controverso.
46
«Lo scopo dell’art. 110 c.p.c. è di far sì che si abbia la prosecuzione del giudizio,
posto che nessuna sentenza, né di merito né di rito, è possibile ove nel processo non
804
Il giusto processo civile 3/13
Va detto, però, che il socio, a differenza dell’erede che ha accettato
l’eredità con beneficio d’inventario, non è un successore universale della
società, in quanto tale. Lo diventerebbe (a tutto volere)47 nella specifica
ipotesi in cui abbia riscosso la propria quota in base al bilancio finale
di liquidazione. Solo così potrebbe ammettersi la sua successione, seppure intra vires, nei rapporti giuridici facenti capo alla società48. Il che
equivale a dire che la riscossione non costituisce soltanto il limite di responsabilità del socio quanto al debito sociale (in prosecuzione ideale
della responsabilità per le obbligazioni sociali assunta al momento della
costituzione della società), ma anche la condizione per la sua successione
nel processo già instaurato contro la società.
La pronuncia in commento è di diverso avviso: ritiene, infatti, che i
soci succedono sempre ed automaticamente nei rapporti debitori (non
definiti all’esito della liquidazione). Il limite di responsabilità fissato dall’art. 2495 c.c. non si riflette sulla legittimazione passiva del socio, ma
solo sull’interesse ad agire del creditore49.
Chi ha aderito alla teoria dell’estinzione liquidatoria evidentemente
non può condividere né l’una, né l’altra soluzione; mentre la prima è
indubbiamente più rigorosa dal punto di vista formale, la seconda, appare attenta solo alle conseguenze pratiche ed al salvaguardare i creditori sociali50.
Dando per presupposto che i creditori possano riassumere il pro-
vi siano almeno due parti contrapposte», così Luiso, “Venir meno” della parte e successione nel processo, in Riv. dir. proc., 1983, 207; Id., Diritto processuale civile5, I, Milano, 2009, 357 ss.
47
In assenza di una devoluzione universale del passivo non vi è successione a titolo
universale, presupposto di applicazione dell’art. 110 c.p.c. (Andrioli, Commento al codice di procedura civile3, I, Napoli, 1957, 309).
48
Cass., 16 maggio 2012, nn. 7676 e 7679, cit.
49
Interesse che, secondo la Corte, potrebbe riguardare anche il semplice accertamento del credito, al fine dell’escussione di garanzie.
50
Secondo Cottino, La difficile estinzione delle società: ancora qualche (libera) divagazione sul punto, in Giur. it., 2012, 2578, «il ricorso, per le società di capitali alle
norme della successione mortis causa presenta risvolti problematici. Costituisce tuttavia,
una volta spogliato da assimilazioni antropologiche, la via di uscita concettualmente e
sistematicamente più ragionevole o, se si preferisce, la meno inappropriata». Idem Gabellini, L’estinzione delle società: prime riflessioni sulle ricadute processuali conseguenti
al revirement della Corte Suprema, in Riv. trim., 2011, 335, secondo la quale «assimilare la estinzione dell’ente alla successione a titolo universale delle persone fisiche rappresenta la strada giuridicamente migliore».
Francesco Tedioli / Le Sezioni unite si pronunciano
805
cesso, a mio parere, questi ultimi dovrebbero dichiarare che: 1) i singoli
(ex) soci, evocati in giudizio, hanno riscosso una somma nella fase liquidatoria, provandone il preciso ammontare; 2) la loro responsabilità è
limitata a quanto ricevuto; 3) l’originaria pretesa nei confronti della società sarà parzialmente soddisfatta se l’importo di quanto ripartito ai soci
è inferiore all’originario credito51.
Secondo le Sezioni unite, invece, i soci possono sempre essere convenuti in giudizio, indipendentemente dalle postulazioni o dalle prove
sopra enumerate, che, pertanto, possono essere omesse. Saranno i convenuti a doversi costituire e necessariamente ad eccepire i limiti della
propria responsabilità.
Se ho compreso bene, l’inversione dell’onere della prova comporta
che, in assenza di un potere officioso di indagine e di intervento del giudice, la contumacia o la mancata deduzione di circostanze a sé favorevoli (non è avvenuto alcun riparto; un socio a differenza di altri non ha
incassato alcuna somma52; altro socio, già prima della cancellazione era
receduto o non era più titolare di quote o azioni…) vale come non contestazione della pretesa inizialmente svolta nei confronti della società.
51
Conforme, in materia tributaria, anche se in applicazione dell’art 36 d.P.R. 602/1973,
Cass. 13 luglio 2012, n. 11968, secondo cui: «il Fisco, il quale voglia agire nei confronti
del socio, è tenuto a dimostrare il presupposto della responsabilità di quest’ultimo, e
cioè che, in concreto, vi sia stata la distribuzione dell’attivo e che una quota di tale attivo sia stata riscossa (C. 19732/2005), ovvero che vi siano state le assegnazioni sanzionate dalla norma fiscale. Ne deriva che, una volta liquidata e cancellata la contribuente
società di capitali, non si realizza una semplice modificazione soggettiva del rapporto
obbligatorio con il Fisco, dovendo questo accertare in capo ai soci i requisiti prescritti
dalla legge per la responsabilità diretta (cfr. art. 36 cit., penult. e ult. co.), il che comporta un ampliamento del thema decidendum e del thema probandum del tutto non
consentito nel giudizio di legittimità». V. anche Cass. 16 maggio 2012, n. 7676, cit., secondo cui il fatto che la successione universale del socio sia strettamente legata al verificarsi dei requisiti di cui all’art. 2495 c.c, comporta che gli stessi debbano essere specificamente dimostrati dalla controparte.
52
Ricordo che i soci rispondono dei debiti contratti dalla società anche con quanto
indebitamente percepito e, quindi, con gli acconti di liquidazione ricevuti durante il suddetto procedimento, con le eventuali plusvalenze realizzate prima e durante la liquidazione e con quanto successivamente percepito in eccedenza rispetto alle attività risultanti dal bilancio. Un altro problema riguarda i conferimenti promessi ma non integralmente eseguiti durante societate. In relazione a tutte queste poste, accollare sugli ex
soci un onere di prova negativa renderebbe estremamente gravosa la loro posizione. In
tema, ampiamente, Niccolini, Gli effetti della cancellazione della società di capitali dal
registro delle imprese: recenti sviluppi e questioni ancora irrisolte, in Nuovo dir. soc., 2012,
7 ss.
806
Il giusto processo civile 3/13
Va, poi, aggiunto che la scelta di configurare una successione universale nel processo e nel diritto controverso impone al creditore di inseguire tutti i soci, evocandoli uno per uno nel giudizio riassunto. Essi,
infatti, sono solidalmente obbligati e litisconsorti necessari e, pertanto,
di ciascuno vanno identificate le generalità ed il luogo di notifica53.
Questo adempimento, assolutamente gravoso e di difficile assolvimento nel caso di società ad azionariato diffuso, viene, invece, evitato
se si aderisce alla teoria dell’estinzione liquidatoria. Poiché dopo la cancellazione della società i creditori sono titolari di una nuova ed autonoma azione, essi possono far valere le proprie pretese contro un numero di soci sufficiente a garantire il soddisfacimento del loro credito54
53
L’art. 2495, 2º comma, c.c. non accorda il beneficio di cui all’art. 303 c.p.c. che,
invece, consente di notificare «collettivamente e impersonalmente agli eredi, nell’ultimo
domicilio del defunto» (2º comma). Il legislatore identifica e semplifica la «località» della
notifica (riducendola a un unico luogo: l’ultima sede della società), ma i destinatari della
notificazione rimangono i singoli soci.
54
Ascarelli, Liquidazione e personalità giudica della società per azioni, in Riv. trim.,
1952, 251, nt. 13; Mirone, Cancellazione della società dal registro delle imprese. Sopravvenienze attive e passive. Estinzione, in Riv. soc., 1968, 565. Non esiste, quindi, alcun litisconsorzio necessario, né l’obbligo di citare tutti gli ex soci, talché se ne può evocare anche uno solo. In relazione alla possibilità di citare in giudizio alcuni solo dei soci,
vi è da comprendere se – dopo l’estinzione della società – ciascun socio, fermo il limite
di quanto percepito dalla liquidazione, risponda per tutto il credito vantato dal creditore insoddisfatto (ossia solidalmente con gli altri soci) oppure solo per la quota di sua
spettanza (come sostenuto da Costi, Le sopravvenienze, cit., 282; Ferri, Chiusura della
liquidazione ed estinzione della società, in Foro it., 1939, I, 1326; Frè, Società per azioni5,
in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1982,
906; Greco, Le società, cit., 448. In giurisprudenza, v. Cass. 3 aprile 2003, n. 5113, in
Foro it., 2004, I, 220, e Trib. Napoli 22 febbraio 1991, in Dir. giur., 1992, 676. È prevalente l’opinione secondo cui ciascun socio risponde per tutto il debito nei confronti
dei terzi; quindi, in via solidale ex art. 1292 c.c. e non pro quota (Speranzin, L’estinzione delle società in seguito alla iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese,
in Riv. soc., 2004, 541; Ascarelli, op. ult. cit., 251, nt. 13; G. Oppo, Diritto delle società, Padova, 1992, 168, nt. 179). Questa interpretazione risponde nel modo migliore
all’aspettativa dei creditori sociali di ottenere una celere e completa soddisfazione (Pasquariello, in Il nuovo diritto delle società, a cura di Maffei Alberti, Padova, 2005,
2288) e non li espone al rischio di sopportare l’insolvenza di qualcuno dei soci [Dimundo, in La riforma del diritto societario, a cura di Lo Cascio, Milano, 2003, 220;
Niccolini, Scioglimento, liquidazione ed estinzione della società per azioni, in Colombo-Portale, Tratt. SPA, 7, III, 245 e 711]. In tal modo, il socio che ha pagato l’intero ha azione di regresso nei confronti degli altri per le quote di loro spettanza. Pare,
però, più corretto e rispettoso dell’art. 31, 3º comma, c.c. (il quale come abbiamo visto
disciplina una fattispecie analoga) che ciascun socio debba rispondere unicamente in pro-
Francesco Tedioli / Le Sezioni unite si pronunciano
807
e, quindi, possono notificare l’atto introduttivo del nuovo giudizio solo
ad alcuni soci.
5. La soluzione in termini latu sensu successoria trova conferma, secondo le sezioni unite, anche nella interpretazione letterale dell’art. 2495,
ultimo cpv, c.c., secondo cui «la domanda, se proposta entro un anno
dalla cancellazione, può essere notificata presso l’ultima sede della società»55. Questa previsione processuale, che per analogia deve applicarsi
anche alle società di persone, riecheggerebbe, infatti, un’agevolazione tipica dei fenomeni successori.
L’estensore dimentica, però, che, a differenza dall’art. 303, 2º comma,
c.p.c., non è possibile effettuare una notifica “impersonale e collettiva”
agli ex soci, talché parte della dottrina (quella che propugna la tesi dell’estinzione liquidatoria) interpreta il riferimento a «la domanda» come
ad una nuova domanda, diversa da quella oggetto della controversia tra
società ormai estinta e creditori56. La sentenza non affronta, infine, le
varie perplessità, da più parti sollevate, in ordine all’inidoneità della disposizione ad assicurare il diritto di difesa dei soci convenuti57.
6. Le attività non liquidate (cd. “sopravvivenze” attive) ed i beni o
crediti che, sorgendo solo dopo l’avvenuta liquidazione, non risultano
dal bilancio finale (le “sopravvenienze” attive) vengono divisi in due categorie eterogenee, tra loro soggette ad un diverso trattamento.
porzione a ciò che ha ricevuto e che i soci non vadano considerati «condebitori», con
conseguente impossibilità di applicare la norma di cui all’art. 1294 c.c. (Minervini, La
fattispecie, cit., 1020).
55
Contra Glendi, L’estinzione, cit., 10, secondo cui la norma parla di «domanda»,
cioè di nuova domanda, proponibile dopo l’estinzione postliquidativa. Ancora una volta,
dunque, il disposto normativo è significativamente chiaro e netto. Idem Vaira, in Il nuovo
diritto, cit., 2147; Pasquariello, Il nuovo diritto, cit., 2292; Niccolini, La disciplina dello
scioglimento, della liquidazione e dell’estinzione delle società di capitali, in La riforma delle
società. Profili della nuova disciplina, a cura di Ambrosini, Torino, 2003, 193.
56
Glendi, Cancellazione, cit., 749 ss.
57
Notificare presso la ex sede della società, nella maggior parte dei casi, non garantirebbe una reale conoscenza dell’atto da parte dei soci. Alcuni di loro potrebbero essere stati poco attivi durante societate e neppure potrebbero sapere dove si trova la sede.
Si pone, infine, il problema di chi debba essere il consegnatario dell’atto (amministratori e liquidatori non sono più in carica) e di come questi faccia ad avvertire i soci dell’avvenuta notificazione, dal momento che non si può ricorrere al procedimento ex art.
145 c.p.c.
808
Il giusto processo civile 3/13
Da una parte vengono collocate «le mere pretese, ancorché azionate58
o azionabili in giudizio», relativamente alle quali «non vi sia ancora la
possibilità di individuare con sicurezza un diritto o un bene definito nel
patrimonio sociale», di modo che quell’aspettativa non avrebbe potuto
ragionevolmente essere iscritta nell’attivo del bilancio finale di liquidazione. In questa categoria ricade anche il diritto di credito che, potendo
essere anche controverso, non sia liquido (e cioè determinato nel proprio ammontare).
La Suprema Corte adotta, per questo primo gruppo, una soluzione
di comodo, anche in considerazione delle notevoli difficoltà ad ipotizzare un meccanismo successorio, una situazione di comunione tra gli ex
soci, o comunque una loro contitolarità sui diritti prima spettanti alla
società.
Le mere pretese e i diritti di credito non ancora liquidi costituiscono
situazioni giuridiche non trasmissibili ai soci. Se il liquidatore non ha
esercitato o coltivato un’apposita azione giudiziaria, ma ha proceduto
senz’altro alla cancellazione della società dal registro, il suo contegno
58
In questa categoria ricade, ad esempio, la fattispecie presa in esame da Cass. 16
luglio 2010, n. 16758, in Società, 2011, 5 ss. (con nota di Fusi, Estinzione delle società
di persone, azioni giudiziarie e legittimazione degli ex soci). La Corte ha escluso la legittimazione dei singoli soci in una controversia relativa all’accertamento della simulazione di un negozio risolutivo di cui la società cancellata era parte e volta ad ottenere
l’esecuzione in forma specifica del contratto. Particolare è il caso preso in esame da
Cass. s.u. 6071/2013: la Corte d’appello di Brescia aveva dichiarato l’inesistenza di una
precedente decisione del Tribunale di Mantova che aveva condannato un istituto bancario a restituire ad una s.r.l., in liquidazione, le somme indebitamente iscritte in conto
corrente. La Corte d’appello aveva rilevato, infatti, che la predetta società era stata cancellata dal registro delle imprese sin dall’agosto 2002, ossia in epoca precedente alla proposizione della domanda introduttiva del giudizio di primo grado. Tale domanda, pertanto, risultava formulata da un soggetto ormai inesistente. Ciò implicava, anche, l’inammissibilità dell’appello incidentale proposto dalla società, a mezzo del suo ex legale
rappresentante e l’intervento spiegato in appello personalmente dai soci. Le Sez. un. dichiarano, invece, la legittimità sia dell’intervento in causa dei soci, quali successori della
società estinta, sia dell’appello incidentale da loro proposto. A tale conclusione non osta
il fatto che il credito originariamente azionato in giudizio dalla società poi estinta fosse
allo stato ancora incerto nell’an e nel quantum. Anche se la società attrice ha deciso di
farsi cancellare dal registro delle imprese a pochi mesi di distanza dall’esercizio dell’azione, tuttavia, la Corte ha ritenuto impossibile desumere da tale scelta una volontà di
rinuncia al credito, perché l’estinzione della società non è dipesa dalla cancellazione, ma
è stata invece effetto della successiva riforma del diritto societario (entrata in vigore nel
2004).
Francesco Tedioli / Le Sezioni unite si pronunciano
809
viene interpretato come una tacita, ma univoca, manifestazione della volontà di rinunciare alla relativa pretesa.
Diversamente accade per i beni, i crediti, o valori di sicura identificazione, che avrebbero dovuto figurare nel bilancio finale di liquidazione
e che, se fossero stati annotati, sarebbero stati ripartiti tra i soci.
Cosa accade di questi beni?
Tali situazioni non sono sufficienti per chiedere la revoca della cancellazione della società dal registro delle imprese o, comunque, per impedire la sua estinzione. Neppure si può ricorrere alla fictio di ritenere
i beni e i diritti relitti un patrimonio privo di titolare, assimilabile, per
analogia, all’eredità giacente (art. 528 c.c.) e gestito in rappresentanza degli ex soci o dei loro creditori da un curatore speciale. Ricordo che l’idea, certo esulante dai limiti ermeneutici concessi all’interprete, è nata
in dottrina per facilitare alcune operazioni, quali l’amministrazione e la
liquidazione dei beni, il loro utilizzo per soddisfare i creditori sociali
preteriti ed, infine, l’eventuale ripartizione del residuo tra gli ex soci59.
Secondo la Cassazione tale soluzione non è persuasiva ed è, comunque, superata da un’ipotesi ricostruttiva più plausibile. I soci subentrano
nei rapporti attivi non definiti con la liquidazione in forza del medesimo meccanismo successorio che regola il loro subingresso nei debiti
sociali. Quando vengono meno la società e la sua autonomia patrimoniale, la titolarità dei beni e dei diritti (residui o sopravvenuti) torna ai
soci in regime di contitolarità o comunione indivisa (ex art. 1110 c.c.)60,
secondo le proporzionali quote di partecipazione all’ente dissolto61.
59
Salafia, Sopravvenienza di attività dopo la cancellazione della società dal Registro imprese, in Società, 2008, 929. Si tratterebbe di un patrimonio di scopo, costituito
dai rapporti pendenti o controversi alla data dell’estinzione e dalle sopravvenienze.
60
In dottrina, Vaira, Il nuovo diritto, cit., 2146; Speranzin, L’estinzione, cit., 537;
Ruotolo, Società cancellata dal registro delle imprese e sopravvenienze attive, in Cons.
naz. del notariato. Studi e materiali, 2006, 1504; De Marchi – A. Santus, Scioglimento
e liquidazione delle società di capitali nella riforma del diritto societario, in Riv. not.,
2003, I, 632; Paciello, in Aa.Vv., Diritto delle società, Manuale breve3, Milano, 2006,
450; Abate, Dimundo, Lambertini, Panzani, e Patti, Gruppi, trasformazione, fusione
e scissione, scioglimento e liquidazione, società estere, a cura di Lo Cascio, Milano, 2003,
455. In giurisprudenza, Trib. Treviso, Giudice del registro, decreto 20 febbraio 2009, n.
522, in Società, 2010, 355, con commento di Zagra, Effetti irreversibili della cancellazione di società di capitali dal registro delle imprese.
61
Secondo Schermi, Momento ed effetti dell’estinzione delle società, in Giust. civ.,
1965, I, 957, «il diritto di ogni ex socio ha per oggetto una quota ideale di ogni singolo
bene». Non dissimile Cottino, Diritto societario5, in Diritto commerciale, I, 2, Padova,
810
Il giusto processo civile 3/13
Anche se non condivido la ricostruzione in chiave successoria e sono
convinto che, nella fattispecie, comunque manchi un formale atto traslativo del bene, la soluzione mi pare corretta.
Rispetto alle ipotesi alternative già enunciate, la contitolarità non risolve, però, il problema pratico rappresentato dalla gestione del patrimonio relitto. Essa viene affidata congiuntamente a tutti soci, che, in assenza di un rappresentante comune (il liquidatore pendente societate) devono decidere insieme sulla destinazione dei beni loro attribuiti.
La posizione dei creditori sociali ne esce, inoltre, indubitabilmente
indebolita, poiché essi concorrono con i creditori particolari del socio62,
una volta verificatasi la confusione del patrimonio della società estinta
con quello dei suoi aventi causa. Tale effetto è, invece, escluso ove i beni
relitti continuino a costituire un patrimonio separato e destinato.
7. È ormai del tutto pacifico che la cancellazione dal registro delle
imprese di una società (di persone o capitali) determini la sua estinzione
e la conseguente perdita della sua soggettività e capacità processuale63,
2006, 186 e 544, il quale ritiene che, a seguito della cancellazione viene a delinearsi, per
le società di persone, una situazione di comproprietà pro indiviso in relazione ai beni o
crediti residui e per quelle di capitali, una successione pro quota dei soci.
62
Sul punto Conedera, La rilevanza dell’iscrizione della cancellazione, a commento
di Cass. 28 agosto 2006, n. 18618, in Dir. fall., 2008, 246, puntualmente evidenzia che
«la posizione del creditore viene danneggiata dal nascere di una concorrenza fra creditori sociali e personali dei soci, non potendosi in alcun modo prefigurare un vincolo di
destinazione a favore dei creditori sociali sulle somme ricevute in base al bilancio di liquidazione. La confusione delle quote di riparto con il patrimonio personale dell’ex socio compromette definitivamente la possibilità dei creditori sociali di essere soddisfatti
prioritariamente a quelli personali, con un’evidente maggior penalizzazione dei creditori
più lenti, quali Fisco ed Enti previdenziali».
63
Il principio vale anche in presenza di crediti vantati dalla società, poi estinta. Esemplare è il caso affrontato in Cass. 4062/2010, cit., che dichiara improcedibile l’opposizione all’esecuzione promossa contro una società cancellata dal registro delle imprese ed
il suo difetto di legittimazione. Si veda anche Cass. 7 febbraio 2012, n. 1677, in Corr.
giur., 2012, 1075 (con commento di De Caro), secondo cui una società cancellata dal
registro delle imprese perde il diritto a promuovere l’azione esecutiva per il recupero
dei propri crediti. Unica eccezione, espressamente contemplata dall’art. 10 l. fall. è la
perdurante legittimazione attiva e passiva della società (e, per essa, del suo legale rappresentante) nel procedimento per dichiarazione di fallimento, nelle eventuali successive
fasi di impugnazione ed anche nel corso della conseguente procedura concorsuale (Cass.
5 novembre 2010, n. 22547, in Fallimento, 2011, 749; Cass. 31 maggio 2011, n. 12018,
ivi, 2012, 231). Contra App. Napoli 8 febbraio 2012, ivi, 2012, 1242 (con commento di
Francesco Tedioli / Le Sezioni unite si pronunciano
811
unitamente al venir meno della rappresentanza dei liquidatori. La società
non può più intraprendere una causa, né esservi convenuta.
I problemi principali si pongono se la cancellazione interviene quando
è pendente un procedimento giudiziale. Non v’è dubbio che l’impugnazione proposta dalla società estinta64 e quella svolta nei suoi confronti65 siano inammissibili, mentre si discute se: 1) la sua posizione sostanziale e processuale, attiva e passiva, si trasferisca o meno ai soci; 2)
se sì, a che titolo (ex artt. 110 o 111 c.p.c.).
Le Sezioni unite, dopo aver ricondotto la fattispecie – dal punto di
vista sostanziale – ad un fenomeno successorio (sia pure sui generis, perché di ampiezza differente a seconda del tipo di società e della conseguente responsabilità dei soci per i debiti sociali), applicano all’estinzione
avvenuta in pendenza di causa l’art. 110 c.p.c., che disciplina la successione a titolo universale66 nei rapporti giuridici.
Speranzin, Società estinta e procedimento per la dichiarazione di fallimento, 1244 ss.)
secondo cui «sono gli ex soci, da considerarsi quali successori a titolo universale della
società estinta, a dover essere convocati all’udienza prefallimentare; la sentenza dichiarativa di fallimento pronunciata senza la previa instaurazione del contraddittorio nei confronti degli ex soci deve considerarsi nulla».
64
Cass. 13 luglio 2012, n. 11968; Cass. 3 novembre 2011, n. 22863, che, tra l’altro,
delinea la possibilità di una successione dei soci nella posizione giuridica della società;
Cass. 15 aprile 2010, n. 9032, e Cass. 8 ottobre 2010, n. 20878, in Società, 2011, 583,
entrambe relative a ricorso per cassazione proposto da società in accomandita semplice.
65
Cass. 10 novembre 2010, n. 22830, secondo cui, nel caso in cui una società di capitali, dopo aver promosso un procedimento civile, si estingua e venga cancellata dal registro delle società in pendenza di giudizio, non è possibile emettere una pronuncia di
condanna contro di essa, in quanto soggetto non più esistente. Ove una tale condanna
sia comunque pronunciata, l’impugnazione proposta nei confronti della società estinta
va dichiarata inammissibile.
66
In dottrina, Speranzin, L’estinzione, cit., 533 e 541 ss.; Id., Recenti sentenze in
tema di estinzione di società: osservazioni critiche, in Giur. comm., 2000, II, 303 che,
però, si esprime in termini di successione a titolo universale per atto tra vivi. Più storicamente parlano di successione: Salandra, Manuale di diritto commerciale3, I, Bologna, 1949, 374 ss; Minervini, Società per azioni, in Riv. trim., 1950, 245; CannadaBartoli, Note sulla successione degli enti autarchici, in Riv. dir. pubbl., 1948, I, 23 ss.;
Porzio, L’estinzione della società per azioni, Napoli, 1959, 202 ss. In giurisprudenza
ammettono la legittimazione del socio di società estinta: Cass. 9 aprile 2013, n. 8596;
Cass. 6 giugno 2012, n. 9110, (la S.C. ha ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione
proposto contro il socio precedentemente estraneo al processo nei confronti di una società di persone che, parte nei precedenti gradi di giudizio e vittoriosa in II grado, era
stata poi cancellata dal registro delle imprese) e Cass., 30 luglio 2012, n. 12796, che ritiene ammissibile un ricorso per cassazione proposto dal socio accomandatario di una
?
812
Il giusto processo civile 3/13
La legittimazione (sostanziale e) processuale, attiva e passiva, si trasferisce automaticamente in capo ai soci, anche se i giudizi non sono
stati interrotti per mancata dichiarazione dell’evento “cancellazione/estinzione” da parte del difensore. I soci una volta evocati in causa diventano, per effetto della vicenda estintiva, parti del processo, anche se non
lo erano stati nei precedenti gradi di giudizio67.
Si obietta che l’estinzione della società non è equiparabile alla morte
della persona fisica o alla fusione della persona giuridica. Allo scioglimento generalmente segue la liquidazione del patrimonio sociale: un
modo alternativo ed incompatibile, rispetto alla successione universale,
per risolvere i problemi derivanti dall’estinzione della persona giuridica.
Ricordo che la liquidazione è quella fase che segue il verificarsi di
una causa di scioglimento, in cui né la società, né la sua personalità giuridica vengono meno. Perduta la possibilità di esercitare l’impresa, si
chiudono i conti e il patrimonio viene trasformato in denaro e distribuito, prima per il pagamento dei debiti e poi, per rimborsare i soci del
loro conferimento. Come detto, la chiusura della liquidazione generalmente precede l’estinzione della società che, quindi, avviene a patrimonio già liquidato. Non si ha, dunque, una successione a titolo universocietà soccombente in secondo grado cancellata dal registro delle imprese. Si veda anche Cass. 5 dicembre 2012, n. 21773 (in Fisco, 2013, 74, con commento di Borgoglio,
Cancellazione della società di persone nelle more del processo concernente l’Irpef e successione nel contenzioso dei soci) secondo cui, con specifico riferimento all’accertamento
del reddito da partecipazione in una società di persone, in caso di estinzione dell’ente
per cancellazione dal registro delle imprese, la qualità di successore universale del socio
si ha per il fatto stesso dell’imputazione al medesimo del reddito della società in forza
del principio di trasparenza ex art. 5 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, implicante una
presunzione di effettiva percezione del precisato reddito. Ne consegue che, in queste
controversie, i soci assumono la legittimazione attiva e passiva alla lite instaurata nei
confronti della società – con o senza la partecipazione originaria anche dei soci – per
effetto della mera estinzione della società, senza che si ponga alcun problema di integrazione del contraddittorio nei confronti dell’ente ormai estinto. Contra Cass. 13 luglio 2012, n. 11968, secondo cui «il processo non può proseguire (…) neppure ad opera
o nei confronti (…) di eventuali ex soci e/o e amministratori, atteso che le disposizioni
tributarie e civilistiche non prevedono alcun subentro automatico di costoro nei rapporti col Fisco». In altre parole, essi rispondono del pagamento di tali imposte, ai sensi
dell’art. 36, 3º comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, solo se abbiano ricevuto beni
sociali dagli amministratori nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla
messa in liquidazione o dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, e nei limiti
del valore di detti beni.
67
Già in questo senso Cass. 3 settembre 2012, n. 197.
Francesco Tedioli / Le Sezioni unite si pronunciano
813
sale, perché al momento dell’estinzione la società si è già spogliata del
proprio patrimonio. La natura del fenomeno liquidatorio della devoluzione non muta se questo procedimento non riesce integralmente o se
esso non viene del tutto effettuato. L’incompletezza del procedimento è
soltanto un fatto patologico.
Tutte queste considerazioni, esposte dalla teoria dell’“estinzione liquidatoria”, vengono affrontate con sufficienza dalla Suprema Corte, che
si limita ad osservare come l’art. 110 c.p.c. contempli, oltre alla «morte»
anche «qualsiasi altra causa» per la quale la parte venga meno. In questa categoria, sarebbe ricompresa anche l’estinzione dell’ente collettivo.
Nello stesso modo, le sezioni unite ritengono poco convincente la
teoria della successione a titolo particolare68 dei soci nei debiti sociali.
Tale dottrina era nata per superare un’ulteriore obiezione all’applicazione
analogica delle norme che disciplinano la successione universale: il socio
è destinatario solo di una parte determinata del patrimonio sociale e non
del suo complesso, come risulta evidente dall’art. 2495 c.c.
Il problema viene risolto in poche righe: non è possibile applicare il
disposto dell’art. 111 c.p.c., perché non si configura una successione a
titolo particolare nel rapporto sostanziale controverso (a titolo di trasferimento tra vivi o mortis causa)69.
68
Questa teoria ritiene che i soci subentrino nelle obbligazioni sociali in base allo
stesso titolo per cui era obbligata la società estinta ed ad essa si sostituiscono «in quella
determinata posizione giuridica» quesita. In dottrina, Pedoja, Fine della «immortalità»:
per le Sezioni unite la cancellazione della società dal Registro delle imprese determina la
sua estinzione, in Corr. Giur., 2010, 1013 (a commento di Cass. 4062/2010); Weigmann,
La difficile estinzione, cit., 161; Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile4, Napoli, 1954, 31; Graziani, Diritto delle società5, Napoli, 1963, 557 ss.; Biamonti,
Questioni in tema di estinzione della personalità giuridica delle società in liquidazione,
in Foro it., 1951, I, 323; Schermi, Momento ed effetti dell’estinzione delle società, cit.,
956 ss.; Nicolò, Successione nei diritti, voce del Noviss. dig. it., XVIII, Torino, 1971,
605; Proto Pisani, Dell’esercizio dell’azione, in Commentario al codice di procedura civile, a cura di Allorio, Torino, 1973, 1215 ss. e, più recentemente, in Lezioni di diritto processuale civile4, Napoli, 2002, 387 e Dalfino, La successione tra enti nel processo, Torino, 2002, 392, limitatamente a caso di «attività che sopravanzano».
69
Il riferimento è al legato c.d. di specie (o per vindicationem), con cui il legatario
acquista al momento della morte del testatore il diritto (reale o di credito) oggetto del
legato stesso (art. 649 c.c.). A norma del 2º comma dell’art. 111 c.p.c., l’erede quindi,
assume la qualità di sostituto processuale del legatario ed il giudizio prosegue con la
parte originaria, applicandosi una disciplina del tutto conforme a quella valevole per la
successione a titolo particolare inter vivos. L’art. 111, 2º comma, c.p.c., prevede che, se
la successione a titolo particolare avviene a causa di morte, «il processo è proseguito dal
814
Il giusto processo civile 3/13
Corollario immediato di questa ricostruzione è che, se l’evento estintivo si verifica nel corso del giudizio, alla fattispecie sono applicabili le
disposizioni dettate dagli artt. 299 ss. c.p.c. in tema di interruzione della
causa70. Il processo dovrà essere, quindi, proseguito o riassunto dai soci
o nei confronti dei soci, a titolo di successione.
Può accadere che il giudizio si sia svolto senza interruzione, perché
l’evento estintivo non è stato dichiarato o perché si è verificato quando
ormai non era più possibile farlo constatare (dopo la precisazione delle
conclusioni) ovvero perché è sopravvenuto dopo la pronuncia della sentenza che ha concluso il grado precedente di giudizio e durante la pendenza del termine per impugnare.
In queste ipotesi, chi intenda dar corso ad un nuovo grado di giudizio può evocare esclusivamente i soci. La precisazione si rende necessaria perché recentissima giurisprudenza71 ritiene che l’estinzione della
società non impedisca, alla parte che impugna, di notificare validamente
il gravame alla società estinta presso il procuratore costituito nel grado
successore universale o in suo confronto», non nei confronti del successore a titolo particolare (in ipotesi i soci ed il liquidatore). A nulla rileva che il successivo 3º comma,
c.p.c, specifichi: «il successore a titolo particolare può intervenire o essere chiamato nel
processo» giacché, appunto, si tratta di un «intervento» o di una «chiamata» che, come
tali, presuppongono la pendenza di un processo già ritualmente riassunto nei confronti
del successore a titolo universale. Se la riassunzione è inammissibile per mancanza di un
destinatario, alcun intervento o chiamata nel processo riassunto saranno possibili, poiché solo il successore a titolo universale è il legittimato passivo in riassunzione in caso
di morte o estinzione della parte originaria del giudizio.
70
In questo senso già Cass. 16 maggio 2012, n. 7676, cit., ed in dottrina Speranzin, Recenti sentenze, cit., 311; Mirone, Cancellazione, cit., 576; Pedoja, Fine, cit., 1020;
Conedera, La rilevanza, cit., 265. Per Dalfino, Le Sezioni unite e gli effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese, in Società, 2010, 1014, e Id., La successione, cit., 219 ss. e 391 ss., il processo prosegue nei confronti dei soci senza interruzione.
71
Questo è il risultato interpretativo prospettato ad esempio dall’ordinanza 18 giugno 2012, n. 9943, cit., della Cassazione, sez. I, che ha rimesso la questione alle Sezioni
unite, ritenendo che la soluzione prospettata non fosse incompatibile con l’automatismo
estintivo ravvisato dalle Sez. un. sin dalle pronunce n. 4060/4061/4062 del 2010. V. anche Cass. 5 luglio 2007, n. 15234, in Riv. Cancellerie, 2007, 566; Cass. 22 marzo 2007,
n. 6948, e Cass., 30 marzo 2001, n. 4741. Queste pronunce applicano l’istituto della «stabilizzazione» processuale, coltivato dalla giurisprudenza per ogni fattispecie assimilabile
alla successione universale mortis causa, nel senso che l’omissione della dichiarazione e
della notificazione contemplate dall’art. 300 c.p.c. «stabilizza», rispetto alla controparte
e al giudice, la posizione formale del soggetto estinto, come se esso ancora esistesse, rendendo ultrattivo il mandato alle liti, anche ai fini dell’impugnazione passiva.
Francesco Tedioli / Le Sezioni unite si pronunciano
815
precedente, a norma dell’art. 330 c.p.c. Poiché la cancellazione non è
stata fatta constatare nei modi prescritti dall’art. 300 c.p.c., secondo questo filone interpretativo il giudizio d’impugnazione potrebbe validamente
instaurarsi, senza soluzione di continuità, in forza della situazione processuale cristallizzatasi nel grado precedente.
La soluzione non è corretta, perché va applicata la disciplina generale in tema di “morte della parte vittoriosa”. In forza dell’art. 328 c.p.c.,
l’impugnazione va rivolta e notificata agli eredi e non al defunto (presso
il suo procuratore costituito). Il momento in cui il decesso è avvenuto
o l’eventuale ignoranza incolpevole della morte sono circostanze del tutto
irrilevanti talché, se l’impugnazione è stata rivolta al defunto, non è possibile applicare la disciplina dell’art. 291 c.p.c.72 Quando, infatti, è finito
un grado del giudizio e se ne apre un altro, le parti tornano nella situazione iniziale in cui si trova l’attore che, prima di proporre la domanda, deve appurare l’esistenza del proprio contraddittore.
Il disposto dell’art. 300 c.p.c. (che per esigenze di stabilità del processo ne consente la prosecuzione anche se sia venuta meno la parte)
concerne la sola fase processuale in cui si è verificato il mutamento della
situazione soggettiva e non è suscettibile di interpretazione estensiva73.
Il giudizio d’impugnazione deve sempre essere promosso da e contro il
soggetto effettivamente legittimato (il successore)74.
72
Cass. 14 giugno 2011, n. 12956; Cass. 7 gennaio 2011, n. 259, in questa Rivista,
2012, 801 ss.; Cass. s.u. 16 novembre 2009, n. 26279, in Foro it., 2010, 1, I, 56, ritengono che qualora uno degli eventi idonei a determinare l’interruzione del processo (nella
specie, la morte della parte) si verifichi nel corso del giudizio di primo grado, prima
della chiusura della discussione (ovvero prima della scadenza dei termini per il deposito
delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ai sensi del nuovo testo dell’art.
190 c.p.c.) e tale evento non venga dichiarato, né notificato dal procuratore della parte
cui esso si riferisce, a norma dell’art. 300 c.p.c., il giudizio di impugnazione deve essere
comunque instaurato da e contro i soggetti effettivamente legittimati.
73
Cfr. Cass. 13 maggio 2011, n. 10649. In dottrina Tedioli, Le irragionevoli, cit.,
536; fortemente critico Tedoldi, Cancellazione, cit., 1195, secondo cui il processo vive
di vita propria e prosegue nei confronti dei soggetti che ne erano parte. «L’evento interruttivo che colpisca la parte costituita in un grado del giudizio assume rilievo processuale soltanto quando il procuratore ne faccia dichiarazione (…). In mancanza (…)
non produce effetti sul processo, quale che sia la fase o il grado in cui questo si trova
e, a fortiori, tra un grado e l’altro d’impugnazione».
74
Cass. 3 agosto 2012, n. 14106, e Cass. 8 febbraio 2012, n. 1760, in Foro it., 2012,
I, 2108, secondo cui il principio di ultrattività del mandato alle liti opera solo all’interno
della fase processuale in cui l’evento si è verificato. Esaurito il grado in cui l’evento
816
Il giusto processo civile 3/13
Secondo le Sezioni unite l’indagine volta ad individuare la «giusta
parte» non è particolarmente gravosa75 perché la cancellazione della società dal registro delle imprese è oggetto di pubblicità legale, i cui effetti operano anche in ambito processuale76, talché salvo impedimenti
particolari, l’evento estintivo77 si presume conosciuto anche dalle controparti.
Non deve trarre in inganno il contrario principio di diritto affermato,
da una precedente pronuncia delle Sezioni unite78, nel caso di impugna-
morte non dichiarato si è verificato, la legittimazione attiva e passiva compete solo alle
parti reali e viventi.
75
Sebbene la controparte giudiziale della società non sia tenuta alla costante verifica
del registro delle imprese, essendo tutelato l’affidamento sulla persistenza del sodalizio
in mancanza della dichiarazione procuratoria di estinzione per cancellazione, essa ha,
tuttavia, l’onere di sincerarsi, tramite l’apposito sistema pubblicitario, dell’esistenza attuale della società nel momento in cui la evoca in sede di gravame, aprendo così una
nuova fase del processo.
76
Contra Cass. 12 ottobre 2011, n. 20966, secondo cui non si può invocare la presunzione di conoscenza da parte dei terzi dei fatti di cui la legge prescrive l’iscrizione,
ai sensi dell’art. 2193 c.c., non operando tale previsione nel campo del processo. Ne consegue che il giudizio prosegue fra le parti originarie, senza che la società incorporante
sia legittimata a rinnovare il ricorso.
77
Si privilegia, così, la disciplina sostanziale del regime di pubblicità legale e si valorizzano gli oneri informativi che essa sottende. La cancellazione spiega l’effetto estintivo dal momento dell’annotazione nel registro delle imprese anche ai fini processuali,
sicché la controparte giudiziale della società, pur in mancanza di dichiarazione e notificazione del procuratore dell’ente collettivo, non può ignorare che la società non esiste
più e che essa ha perduto la capacità di stare in giudizio.
78
Cass. s.u. 14 settembre 2010, n. 19509, in Giust. civ., 2010, I, 2755, secondo cui:
«l’estinzione di una società in seguito a fusione per incorporazione, realizzata prima dell’entrata in vigore della riforma del diritto societario di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003, n.
6, non è equiparabile alla morte di una persona fisica. Ne consegue che, per un verso,
non è applicabile l’art. 300 c.p.c. in tema di interruzione del processo, qualora la fusione
si sia verificata prima della chiusura della discussione. Per altro verso, in caso di incorporazione realizzata successivamente alla chiusura della discussione o alla scadenza del
termine di deposito delle memorie di replica, non è affetta da nullità l’impugnazione
della sentenza nei confronti della società estinta e, stante l’ultrattività del mandato alla
lite conferito dalla società incorporata, essa è validamente notificata, ai sensi dell’art. 330,
1º comma, c.p.c., presso il procuratore costituito della predetta società, a condizione che
l’impugnante non abbia avuto notizia dell’evento modificatore della capacità della persona giuridica. mediante notificazione di esso. Non rileva, inoltre, la circostanza che
l’atto di fusione sia stato iscritto nel registro delle imprese, ai sensi dell’art. 2193 c.c.,
prima della notificazione dell’impugnazione, non apparendo ragionevole gravare la parte
interessata all’impugnazione dell’onere di una permanente consultazione del registro pre-
Francesco Tedioli / Le Sezioni unite si pronunciano
817
zione proposta nei confronti di società, che, successivamente alla chiusura della discussione è stata incorporata, a seguito di fusione. Nel regime anteriore alla riforma del 2003 la società incorporata era considerata estinta ed il gravame notificato presso il suo procuratore costituito
era giudicato valido se l’impugnante non fosse stato previamente informato, tramite notifica, dell’evento modificatore della capacità della persona giuridica.
Secondo l’estensore, il richiamo a questa giurisprudenza non è pertinente. Si tratta, infatti, di una fattispecie differente: la fusione aveva un
effetto estintivo non interruttivo e non vi era alcuna esigenza di tutelare
la società incorporante79, che non rimaneva pregiudicata dalla continuazione di un processo di cui era perfettamente a conoscenza.
Questa necessità garantistica (che, tra l’altro, giustifica il verificarsi
dell’effetto interruttivo) sussiste, invece, per i soci, destinati a succedere
nel processo alla società, a seguito della sua cancellazione dal registro
delle imprese.
In entrambi i casi, l’operazione estintiva dipende da un atto volontario di parte, ma nella seconda ipotesi i soci – a differenza dei consigli
di amministrazione delle società fuse – potrebbero non avervi concorso.
In applicazione di questi principi, l’impugnazione diretta all’ente estinto
è inammissibile, mentre la notifica al procuratore è inesistente. L’atto di
impugnazione non è semplicemente nullo, perché non vi è una incertezza sull’identità della parte destinataria, ma l’errore cade sul soggetto
legittimato a proseguire, promuovere o subire un’iniziativa giudiziale.
Anche l’impugnazione o il giudizio introdotto ex novo dalla società incorporata80 sono inammissibili. La procura alle liti originariamente conferita al difensore perde ogni effetto, venendo meno la legittimazione attiva e passiva della società81. La soluzione proposta esclude, così, la posdetto, al solo fine di consentirle la semplice gestione del processo, poiché tale onere si
pone al di là del criterio di normale diligenza». Id. Cass. 23 luglio 2010, n. 17383.
79
La più recente giurisprudenza tende a tutelare esclusivamente la parte colpita dall’evento, talché ogni omissione o errore viene sanzionato con l’inammissibilità del gravame, neppure sanabile con una nuova notifica (Damiani, Riflessioni in tema d’impugnazione proposta nei confronti della parte deceduta, in questa Rivista, 2011, 801, in nota
a Cass., 11 marzo 2011, n. 5883 e 7 gennaio 2011, n. 259).
80
Cass. 21 dicembre 2011, n. 27905, in Corr. giur., 2012, 908, con commento di Meloncelli, Estinzione della società ed ultrattività del mandato alle liti tra overruling giurisprudenziale ed incertezza normativa, 911 ss.
81
Cass. 3 agosto 2012, n. 14106, afferma che, qualora nel corso del giudizio di primo
?
818
Il giusto processo civile 3/13
sibilità (altrimenti concreta) che il procuratore prosegua il processo senza
dichiarare l’evento estintivo e difenda, in tal modo, una società non più
esistente o una moltitudine di soggetti con i quali difficilmente avrà avuto
qualche contatto.
Per concludere, ricordo che la teoria minoritaria da me accolta non
ravvisa la possibilità di una successione nel diritto controverso. Il giudice, conseguentemente, dovrà dichiarare, anche d’ufficio, la cessazione
della materia del contendere, pure nel caso preso in esame in questo paragrafo, in cui il giudizio originario venga riassunto da/contro i soci82.
Il processo non può essere dichiarato interrotto, ma deve estinguersi83,
in quanto difettano i soggetti cui spetta proseguirlo e l’oggetto del giudizio.
8. Ulteriore quesito è quale sia la sorte del titolo esecutivo emesso
contro la società di persone, una volta cancellata dal registro delle imprese. Abbiamo visto che, estinta la società, la legittimazione sostanziale
e processuale, attiva e passiva, si trasferisce automaticamente, ex art. 110
c.p.c., ai soci i quali, se evocati in causa, ne divengono parti, pur se estranei ai precedenti gradi di giudizio.
Poiché le Sezioni unite hanno ritenuto i soci «successori nel diritto
controverso», ciò dovrebbe comportare che il titolo esecutivo ottenuto
contro una società di persone conservi tale attitudine anche nei confronti
dei suoi aventi causa e, quindi, possa essere utilizzato dal creditore per
promuovere un’esecuzione forzata contro di loro84, con il vantaggio che
grado si verifichi la morte della parte costituita, il suo difensore, come non ha il potere
di proporre impugnazione avvalendosi della procura ormai estinta, a nulla rilevando la
maggiore o minore estensione di essa, così neppure può comparire nel giudizio d’appello, instaurato da altra parte, al fine di dichiarare detto evento, rimanendo lo stesso
privo dell’originaria idoneità interruttiva. Identica Cass. 8 febbraio 2012, n. 1760, cit.
82
Glendi, Cancellazione, cit., 749 ss.
83
Glendi, L’estinzione, cit., 11. In giurisprudenza App. Napoli 6 maggio 2005, cit.,
secondo cui: 1) la cancellazione della società nel corso del giudizio comporta l’improseguibilità del processo con conseguente caducazione della sentenza eventualmente pronunciata; 2) non sono concepibili l’interruzione e la successione nel processo per estinzione di una delle parti processuali, in quanto i soci non sono successori o aventi causa
della società. Analogamente App. Napoli 17 marzo 2008, n. 1012, ed App. Genova 13
dicembre 2007, n. 1316 (inedite).
84
In dottrina Pedoja, Fine, cit., 1021; G. Niccolini, Scioglimento, cit., 713; Speranzin, L’estinzione, cit., 541.
Francesco Tedioli / Le Sezioni unite si pronunciano
819
è non è più necessario escutere il patrimonio della società non più esistente.
In un mio saggio dissentivo da questa soluzione, non ritenendo possibile la successione dei soci nel rapporto sostanziale. Nel contempo, ritenevo che l’accertamento contenuto nella sentenza favorevole, ottenuta
dal creditore contro la società, anche se non passata in giudicato, si cristallizzasse, divenisse definitivo e non più impugnabile. Mi era noto che
la scelta sacrificava i diritti di difesa dei soci – personalmente e illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali – ma ritenevo il problema non decisivo; giudicavo, infatti, questa limitazione al loro diritto
di difesa come una conseguenza inevitabile della cancellazione della società dal registro delle imprese.
Il creditore avrebbe dovuto munirsi di un nuovo titolo esecutivo, in
forza di un accertamento di merito non più contestabile ed il socio
avrebbe avuto esclusivamente la possibilità di sollevare, in sede di opposizione all’esecuzione, le eccezioni ancora spendibili (ad es., in ordine
alla propria responsabilità ed alla natura di socio)85.
La soluzione accolta delle Sezioni unite appare molto più garantista
ed, anzi, potrà essere foriera di ulteriori sviluppi in ordine al tema della
legittimazione processuale dei soci nella precedente fase del giudizio, tra
la società di persone (ancora esistente) ed i suoi creditori.
Si tratta di un problema non molto approfondito in dottrina86 e fonte
di un forte contrasto giurisprudenziale: la legittimazione dei soci a partecipare al giudizio di merito è, infatti, riconosciuta o negata a seconda
che la questione venga affrontata nella fase di cognizione o in quella di
opposizione all’esecuzione.
Nel primo caso la giurisprudenza quasi unanime ritiene che:
a) il socio non può svolgere autonome domande o difese; ha soltanto
un interesse di mero fatto all’accoglimento delle domande proposte dalla
società o a contrastare la pretese svolte contro la medesima. Egli, pertanto, può assumere una posizione adesiva rispetto a quella della società
e svolgere esclusivamente un intervento ad adiuvandum87;
85
Tripaldi, Brevi note sull’efficacia esecutiva del titolo giudiziale reso in confronto
della società di persone anche nei riguardi del socio illimitatamente responsabile, in Giur.
it., 2007, 1470.
86
Salvo il dettagliato saggio di Balena, Sentenza contro società di persone ed effetti
per il socio, in questa Rivista, 2009, 35 ss.
87
Ad esempio, il socio di una s.n.c. è privo di autonoma legittimazione a doman-
820
Il giusto processo civile 3/13
b) è lasciata alla discrezionalità del creditore la possibilità di convenire in giudizio il socio. Quest’ultimo deve essere citato in quanto tale
e non “in proprio”, pena, in difetto l’eccezione della carenza di legittimazione passiva88;
c) la sentenza pronunciata nei confronti della società non fa stato nei
confronti dei soci che non siano stati parte del relativo giudizio (art.
2909 c.c.)89;
d) i soci, fino a che la società è esistente, non sono, pertanto, legittimati a proporre (autonoma) impugnazione90.
Tutti questi principi di diritto sono conseguenza del fatto che la società, anche se sprovvista di personalità giuridica formale (art. 2498 c.c.),
è pur sempre un distinto centro di interessi, dotato di autonomia sostanziale91 e di una propria capacità processuale (a norma dell’art. 2266
c.c. l’ente sta in giudizio nella persona dei soci che lo rappresentano).
La qualità di socio non è giudicata sufficiente per radicare, in capo al
singolo, diritti distinti da quelli della società. Le posizioni giuridiche soggettive fanno capo all’ente ed appartengono alla sua disponibilità e non
a quella dei soci, anche se titolari dell’intero pacchetto azionario92.
dare l’annullamento del contratto stipulato tra l’ente ed il socio receduto in ordine alla
liquidazione della quota, la quale costituisce un’obbligazione, non degli altri soci, bensì
della società (Cass. 17 aprile 2003, n. 6169, in Giur. it., 2003, 2091).
88
Cass. 18 aprile 2006, n. 8956.
89
Cass. 6 dicembre 2011, n. 26245; Cass. 29 maggio 1999, n. 5233, in Giust. civ.,
1999, I, 2965; Cass. 28 luglio 1997, n. 7021, che, invece, individua un difetto di interesse ad impugnare; Cass. 15 marzo 1995, n. 3048.
90
Con riferimento al ricorso per cassazione proposto dai soci in proprio v. Cass. 4
gennaio 2013, n. 123; Cass. 16 novembre 2010, n. 23129; Cass. 2 marzo 2006, n. 4652,
in Civilista, 2011, 40; Cass. 15 marzo 1995, n. 3048; Cass. 22 luglio 1993, n. 8191, in
Foro it., 1994, I, 1848.
91
I rapporti con i terzi si pongono con il gruppo sociale considerato nella sua unità
(e, quindi, dotato di autonoma soggettività giuridica), non con i singoli soci. Il patrimonio sociale non è in comunione tra i soci (altrimenti sarebbe esposto all’azione esecutiva dei creditori personali di ciascuno dei essi), ma è parimenti autonomo. Quanto
alla responsabilità per debiti sociali non è sempre corretto dire che i soci di società di
persone sono personalmente responsabili delle obbligazioni sociali, perché, ad esempio,
in virtù di apposito patto, non lo sono i soci non amministratori di società semplice
(2267 c.c.).
92
Contra App. Milano 21 maggio 2002, in Giur. mil., 2002, 477, secondo cui «la
domanda di liquidazione della quota di una società di persone da parte del socio receduto o escluso può essere proposta anche nei confronti dei soli soci, giacché la legittimazione processuale passiva della società non esclude che i soci possano essere conve-
Francesco Tedioli / Le Sezioni unite si pronunciano
821
Passiamo ora alla fase esecutiva, o meglio alle pronunce in cui si esamini il problema dell’esecutività, già concessa, della sentenza “sociale”
nei confronti dei partecipi.
La giurisprudenza, in applicazione analogica dell’art. 477 c.p.c.93, afferma che il titolo, anche solo provvisoriamente esecutivo, formatosi in
un giudizio (pure monitorio) tra il creditore e la società, è efficace anche contro il socio illimitatamente responsabile94, salva l’applicazione del
beneficium excussionis95. Il principio opera anche se il socio non abbia
partecipato al relativo giudizio, perché la sua responsabilità deriva nenuti in ragione della loro responsabilità solidale. Nei giudizi instaurati da (o contro) società di persone è sufficiente, ai fini della rituale instaurazione del contraddittorio, la presenza in giudizio di tutti i soci, non essendo configurabile un interesse della società
(come autonomo soggetto giuridico) che non si identifichi con la somma degli interessi
dei soci medesimi, giacché il difetto di una piena personalità giuridica della società, pur
dotata di autonomia patrimoniale, impedisce che nelle controversie che riguardano i rapporti sociali possa affermarsi una netta separazione fra la posizione del socio che agisce
anche in rappresentanza della società e quella che gli deriva dalla sua qualità di socio».
93
L’art. 477 c.p.c. prevede che «il titolo esecutivo contro il defunto ha efficacia contro gli eredi».
94
V., da ultimo, Cass. 23 maggio 2011, n. 11311: «alla stregua della considerazione
dell’imperfetta soggettività giuridica delle società di persone, che si risolve e sostanzialmente si identifica in quella dei soci, i cui patrimoni sono protetti dalle iniziative dei
terzi e dei creditori soltanto dal fragile diaframma della sussidiarietà della loro responsabilità rispetto a quella del patrimonio sociale, sicché, in considerazione della normale
coincidenza della pienezza del potere di gestione e della responsabilità illimitata in capo
a ciascuno dei soci di società di persone, i debiti della prima finiscono col risolversi in
quelli dei secondi»; Cass. 24 marzo 2011, n. 6734, secondo cui il decreto ingiuntivo pronunciato a carico di una società di persone estende i suoi effetti anche contro i soci illimitatamente responsabili, derivando dall’esistenza dell’obbligazione sociale necessariamente la responsabilità dei singoli soci e, quindi, ricorrendo una situazione non diversa
da quella che, ai sensi dell’art. 477 c.p.c., consente di porre in esecuzione il titolo in
confronto di soggetti diversi dalla persona contro cui è stato formato e risolvendosi, altresì, l’imperfetta personalità giuridica della società di persone in quella dei soci, i cui
patrimoni sono protetti dalle iniziative dei terzi solo dalla sussidiarietà, mentre la pienezza del potere di gestione in capo ad essi finisce con il far diventare dei soci i debiti
della società; Cass. 18 giugno 2009, n. 14165; Cass. 16 gennaio 2009, n. 1040, in Foro
it., 2010, I, 214. In dottrina Tripaldi, Brevi note, cit., 1467; Tota, Sull’efficacia contro
il socio illimitatamente responsabile della condanna emessa nei confronti della società, in
Riv. dir. proc., 2005, 1098 ss.; Ferri, Delle Società, in Commentario del codice civile2, a
cura di Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1968, 189.
95
Esso, peraltro, come noto, opera solo in fase esecutiva e non richiede necessariamente l’esperimento di un’azione esecutiva infruttuosa, bastando che il creditore dimostri in qualsiasi modo l’inutilità di esperirla.
822
Il giusto processo civile 3/13
cessariamente dall’esistenza dell’obbligazione sociale96. Viene, inoltre, ravvisato un nesso di pregiudizialità-dipendenza tra il debito della società
e quello dei suoi membri97.
La medesima giurisprudenza, almeno nel suo più recente sviluppo98,
tempra questo rigore99 (ed il generale principio della necessaria coincidenza tra parti del giudizio di merito e quelle del processo di esecuzione) riconoscendo ai soci illimitatamente responsabili interesse e legittimazione processuale pieni100.
In altre parole, al fine di evitare il formarsi di un titolo esecutivo opponibile anche nei loro confronti101, a carico dei soci è previsto l’onere
di costituirsi nella fase di cognizione.
Il contrasto tra i due orientamenti giurisprudenziali è evidente e pressoché inconsapevole102: da una parte recentissime pronunce negano ai
96
Cass. 16 gennaio 2009, n. 639.
La teoria del richiamo analogico all’art. 477 c.p.c. e dell’efficacia ultra partes del
titolo esecutivo formatosi contro i soci viene elaborata da Luiso, L’esecuzione ultra partes, Milano, 1984, 328 ss.
98
Contra Cass. 6 ottobre 2004, n. 19946, in Riv. esec. forz., 2005, 175 secondo cui
il socio non potrebbe dolersi dell’incauta gestione del processo ad opera di chi rappresenta la società.
99
Secondo Balena, Sentenza, cit., 54 «l’esistenza di una relazione di pregiudizialitàdipendenza, sul piano sostanziale, tra rapporti giuridici soggettivamente non coincidenti
non è sufficiente, di per sé, quale che sia il grado di tale connessione (…) per dedurne
che il titolare del rapporto dipendente, rimasto estraneo al processo avente ad oggetto
il rapporto pregiudiziale, sia comunque vincolato al giudicato intervenuto tra le parti».
Idem Chizzini, L’intervento adesivo, II, Padova, 1992, 687.
100
Già Ascarelli, Gestione ai soci illimitatamente responsabili del giudicato pronunciato nei confronti della società, in Giur. it., 1937, I, 1, 327, affermava la necessità di
riconoscere al socio il diritto ad un nuovo accertamento dell’obbligazione sociale, al fine
di ottenere la disapplicazione incidenter tantum della decisione emessa nei confronti della
società, facendo valere eccezioni non fatte valere nel primo giudizio.
101
V., da ultimo, Cass. 23 maggio 2011, n. 11311, e Cass. 24 marzo 2011, n. 6734, la
quale, in caso di ingiunzione di pagamento ottenuta contro la società, statuisce che ciascun socio ha l’onere di proporre opposizione contro detto titolo. In difetto, a causa della
conseguita definitività del provvedimento monitorio anche nei confronti del socio, questi non può più opporre l’eventuale prescrizione maturata in precedenza. Tutto ciò consente di ritenere il socio illimitatamente responsabile, «interessato e legittimato ad opporsi
al decreto ingiuntivo pronunciato contro una società di persone (…) siccome direttamente
suscettibile di divenire il destinatario della condanna». La precedente giurisprudenza consentiva al socio solo di formulare un’opposizione all’esecuzione per contestare la sua qualità di socio responsabile delle obbligazioni sociali (Cass. 18 giugno 2009, n. 14165).
102
Secondo Balena, Sentenza, cit., 37, i due orientamenti, benché tra loro palesemente inconciliabili, sembrano puramente e semplicemente ignorarsi l’un l’altro.
97
Francesco Tedioli / Le Sezioni unite si pronunciano
823
soci di potersi difendere autonomamente nel processo instaurato tra la
società ed il creditore, pur affermando che la sentenza non faccia stato
nei loro confronti; dall’altra sentenze altrettanto recenti della Suprema
Corte riconoscono l’efficacia ultra partes del titolo esecutivo formatosi
contro la società, seppur accordando ai soci la piena facoltà di opporsi
all’accertamento compiuto, affinché non diventi loro opponibile103.
Credo che, alla luce degli artt. 24 e 111 Cost, il secondo filone interpretativo debba prevalere, in quanto più rispettoso del diritto di difesa e del principio del contraddittorio104, pur non sacrificando gli evidenti vantaggi, in tema di economia processuale e di armonizzazione di
giudicati, derivanti dall’applicazione del rapporto di pregiudizialità-dipendenza105.
Tali considerazioni diventano ancor più evidenti quando, estintasi la
società, si ravvisi un fenomeno successorio nel rapporto sostanziale dedotto in giudizio e nel processo. La posizione dei soci non è equiparabile a quella degli eredi della persona fisica. Mentre questi ultimi possono partecipare al processo solo dopo la morte del de cuius, perché a
questa data sorge il loro interesse a resistere, i primi, al pari della società convenuta, hanno interesse a difendersi contestualmente all’esercizio della pretesa giudiziaria da parte del creditore.
Quale logica e coerenza vi sarebbero nell’escludere i soci dal processo, sostenendo che le sue risultanze non sono loro opponibili, finché
103
Ammettere l’efficacia esecutiva della condanna ultra partes presuppone anche riconoscere che il titolo giudiziale sia idoneo a produrre l’efficacia di accertamento cui allude l’art. 2909 c.c.
104
Si consideri, ad esempio, l’eventualità che il socio cui compete la rappresentanza
della società, avendo un patrimonio di scarsa consistenza, sia insensibile al rischio di dover rispondere dei debiti sociali e, pertanto, possa disinteressarsi della società, nella consapevolezza che l’aggressione dei creditori, in via esecutiva, si indirizzerà contro i soci
più abbienti. In questa situazione è palesemente ingiusto far ricadere le conseguenze negative di questa inerzia sui soci rimasti estranei al giudizio, assoggettandoli senz’altro al
giudicato formatosi in danno della società.
105
Di diverso avviso Balena, Sentenza, cit., 59, secondo cui il contrasto dovrebbe
essere composto escludendo che la sentenza di condanna della società possa fare stato,
ancorché per la sola sua efficacia dichiarativa, in danno dei soci che non abbiano assunto la qualità di parte nel relativo giudizio; ed ammettendo, semmai in applicazione
dei principi delineati da Cass. s.u. 14815/2008, che tali soci possano invocare a proprio
favore il giudicato favorevole alla società, facendone oggetto di un’eccezione in senso
stretto.
824
Il giusto processo civile 3/13
la società è in vita, per poi farli entrare nel giudizio (a preclusioni già
maturate) dopo la cancellazione della società dal registro delle imprese?
Si giungerebbe inevitabilmente al risultato non voluto: riconoscere
che la sentenza di condanna (non ancora pronunciata o già intervenuta)
faccia stato anche nei loro confronti.
Concludo citando l’estensore della sentenza in commento. In un suo
non recente saggio106, sosteneva, in maniera ancor più rigorosa, che: «una
volta puntualizzato che i soci i quali non abbiano personalmente partecipato al giudizio svoltosi nei confronti della società non possono essere
considerati in alcun modo parti di quel giudizio, e posto che certamente
ad essi neppure potrebbe competere la qualifica di eredi o aventi causa
dalla società, mi sembra che i limiti soggettivi del giudicato, quali si desumono dal disposto dell’art. 2909 codice civile, precludono ogni possibilità di rendere opponibile ai predetti soci la sentenza pronunciata all’esito del menzionato giudizio. Una diversa conclusione, a ben riflettere, rischierebbe di essere persino scarsamente rispettosa di quel diritto
di difesa che è definito inviolabile dal secondo comma dell’art. 24 della
Costituzione». Lo stesso Autore, per analoghe ragioni, riteneva «non accettabile» la soluzione di attribuire immediata validità ed efficacia anche
nei confronti del socio, al titolo esecutivo formatosi esclusivamente nei
riguardi della società.
9. Diamo per presupposto che i soci succedano nella situazione sostanziale e processuale di cui era parte la società di capitali estinta e che
si siano indebitamente distribuiti somme che avrebbero dovuto soddisfare i creditori già muniti di un titolo esecutivo contro la loro dante
causa.
Ritengo che tale titolo non sia utilizzabile contro i soci, anche se abbiano riscosso somme in sede di liquidazione107.
La situazione è, infatti, più complessa rispetto a quella esaminata nel
paragrafo precedente, perché, per le società dotate di personalità giuri-
106
Rordorf, La responsabilità per le obbligazioni sociali, in Società, 1986, 249.
Di diverso avviso Andrioli, Commento al codice di procedura civile3, III, Napoli, 1957, 33-34, secondo cui l’ammontare delle somme percepite rappresenterebbe il
limite della responsabilità dei soci; la letteralità del titolo esecutivo non rimarrebbe offesa, perché il contenuto della responsabilità dei soci è descritto nel bilancio finale di liquidazione e la qualifica di socio in un determinato momento storico può essere comunque verificata.
107
Francesco Tedioli / Le Sezioni unite si pronunciano
825
dica piena, non è prevista, pendente societate, l’applicazione analogica
dell’art. 477 c.p.c.
Il principio di letteralità del titolo esecutivo si scontra con la responsabilità limitata dei soci e con il più agevole regime di circolazione
delle quote o delle azioni.
I creditori si devono necessariamente premunire di un nuovo titolo
esecutivo. Non è possibile, infatti, integrare il contenuto della condanna,
traendo aliunde i dati necessari (da trasfondere nel precetto) per iniziare
utilmente l’esecuzione forzata. In difetto si violerebbe il principio di certezza del titolo esecutivo.
Francesco Tedioli