Nome file 9905CH1_RC3.pdf data 1999 Contesto SIC/CHILD Autore R Colombo Liv. revisione Pubblicazione Lemmi Platone EDIZIONI SIC CHILD 1 IL BAMBINO I SUOI AMICI I SUOI NEMICI Raffaella Colombo L'ADOLESCENZA: L'INVENZIONE DI UN'ETÀ DI MEZZO BOX 2 STURM UND DRANG «... L’intervento ha preso il posto della capacità di ascolto. L’esperienza stratificata dell’adulto ha reso le sue orecchie così poco disponibili e il suo ascolto così sospetto da rendere inautentica la sua presenza e ambigua la sua ferma parola. Mai il sospetto è che la «cura» non passa attraverso le parole di operatori, psicologi, insegnanti, esperti che, arroccati nel loro sapere, mal si adattano all’esperienza mobile e provvisoria della transizione. Ma sa ancora l’adulto trasformarsi? E se proprio in questa disponibilità si nascondesse la chiave della comunicazione, la possibilità dell’educazione, qui intesa come argine che segue il percorso tumultuoso del fiume, e non come diga che contiene ciò che non può che traboccare. [...] Se non si dà «cura» all’infuori della disponibilità dell’adulto a trasformarsi, in presenza della tumultuosa sollecitazione adolescenziale, allora anche il fiume conosce la sua deriva e il suo dilagare». Umberto Galimberti, Parole nomadi, Feltrinelli, Milano 1994 BOX 3 CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI «L’adolescenza non fu solo il risultato di mutamenti istituzionali, ma anche una delle forze che li determinarono. A un primo sguardo, sembrerebbe che la fucina in cui essa prese forma sia stata la scuola secondaria, mentre le chiese e le aule giudiziarie accolsero e si adeguarono (spesso a malincuore) a quella nuova formazione sociale. Tuttavia durante questo nuovo processo di formazione la stessa istituzione secondaria fu costretta a rinnovarsi e anche le chiese e i tribunali diedero il loro contributo alla definizione di adolescenza: tutte le istituzioni ebbero un ruolo tanto attivo quanto passivo in questo processo». John Neubauer, Adolescenza fin-de-siècle, Il Mulino, Bologna 1997 1 Tutto ciò che conviene dire sull’«adolescenza» si potrebbe riassumere in una frase: l’«adolescenza» non esiste in natura e non esiste nella normalità. È un’invenzione, non di questo secolo, anche se proprio in questo secolo ha lasciato i ginnasi per scendere in piazza. La teoria dell’adolescenza? Come risponderebbe un bambino cui venisse chiesto di dire che cosa è l’adolescenza? Posto che ne abbia sentito parlare e che sia abbastanza accondiscendente da rispondere a domande da test psicologico di solito il bambino usa cortesia , nominerà indifferentemente o lo studente che incontra il mattino uscendo da casa o il single che vive ancora con i propri genitori, sia che si tratti di un quarantenne sia che abbia solo qualche anno più di lui. Il bambino sa distinguere l’adulto giovane dall’adulto anziano, ha una precisa concezione della «vecchiaia», sa fin dai primi mesi di vita che i sessi sono due, sa circa il nascere e il morire e, se non viene messo impunemente a tacere, dice all’adulto ciò che ne pensa. Ma davvero non sa che cosa sia l’adolescenza. Non si tratta di ignoranza, ma di sapere normale. Per il bambino esistono uomini e donne, e non esistono né la donna senza l’uomo né l’uomo senza la donna, indipendentemente dal fatto che questa o quello vivano in monastero o non abbiano prole. Il bambino attribuisce giovinezza e rispettivamente anzianità , aldilà dell’età cronologica, all’adulto che egli giudica in base alla cura e al comportamento, mentre negherebbe volentieri il sesso alla donna e all’uomo che a loro volta lo considerano un insulto. I bambini hanno ragione, come hanno ragione gli altrimenti chiamati ragazzi, allorché provano fastidio quando si parla di loro come di adolescenti e tanto a maggior ragione se vengono trattati come tali: l’adolescenza è una pura, semplice e falsa imputazione. E tutti sanno che dare dell’adolescente a qualcuno non è affatto un complimento. Eppure che il pensiero comune abbia assunto l’adolescenza come dato di fatto, non è un fatto ma una teoria. La teoria ufficiale dell’adolescenza Come ogni scoperta scientifica rilevante, pur non essendo una scoperta, bensì una riscoperta, anche l’adolescenza viene connessa a un autore, a una data, a un luogo di nascita. L’inizio dell’«adolescenza» coincide con la pubblicazione del primo studio sull’argomento, avvenuta nel 1904 negli Stati Uniti a opera dello psicologo Stanley Hall [1] che introduce il concetto, utilizzando una parola già entrata nell’uso corrente nel corso dell’Ottocento. [2] Da quel momento in poi, la parola «adolescenza» designerà non più il passaggio biologico di durata più o meno lunga dal bambino all’adulto, ma un’«età critica». Da sinonimo di «pubertà» si trasformerà in categoria psicologica con caratteristiche specifiche, per nulla accattivanti per non dire cattive, e una durata che si protrae ben oltre la pubertà stessa. [3] Come già è stato osservato da più parti, malgrado le critiche e le svariate confutazioni della teoria e dei dati di Hall, datate peraltro agli anni immediatamente successivi alle sue prime pubblicazioni, l’«adolescenza» non ha perduto nessuna delle prerogative che le sono state attribuite dall’autore. Non solo: benché nessuna delle caratteristiche che definiscono l’«adolescenza» inventata da Hall e sostenuta dalla psicologia classica europea siano state verificate come valide, [4] l’«adolescenza» ha avuto il tempo di crescere, espandersi, organizzarsi e diventare un’irrinunciabile fonte di occupazione per quella psicologia che si suole dire accademica e per ogni sua conquista. Un errore mai corretto che ha istituito un disagio a sua volta istituitosi ovunque; un disagio che la cultura ancora non conosceva: la prospettiva di uno stato inevitabile e permanente di guerra civile, determinato dalla presenza di una categoria di individui, gli adolescenti appunto, che per definizione fanno guerra all’adulto dentro e fuori la famiglia. 2 Ciò è sufficiente per chiedersi chi o che cosa abbia contribuito al suo successo. Ci voleva perlomeno un destinatario disponibile a raccogliere la teoria di Hall, ad assumerla e a divulgarla a sua volta in breve tempo, per ottenere il risultato che conosciamo. Oggi possiamo dire che il destinatario di una teoria è un individuo qualunque che, carente quanto al proprio pensiero, cerca un rimedio al disorientamento in cui vive gettandosi sulle spiegazioni meno onerose che comunque trova. Ma per spiegare il successo dell’«adolescenza» perché non esistono nefandezze casuali ci voleva qualcos’altro. I cavalli di Platone o l’inizio reale dell’adolescenza Una teoria qual è l’«adolescenza», di facile presa benché debole, non avrebbe dato origine alle svariate applicazioni pratiche che oggi conosciamo, solamente perché il suo inizio ufficiale coincide con un momento sociale e culturale particolarmente predisposto a riceverla. In realtà, tale teoria aveva istituito la sua ragion d’essere come filosofia come nesso metodico tra amore e conoscenza da secoli, dove «da secoli» non significa un generico «da sempre»: c’è stato un inizio e l’abbiamo individuato in Platone. Non risulta forse quantomeno stupefacente che il binomio adolescenza/«amore platonico» sia rimasto intatto per secoli e permanga tuttora intoccabile? Aldilà delle vicissitudini della storia del pensiero, Platone permane maestro di civiltà, punto di riferimento irrinunciabile laddove chi commette l’imprudenza di parlare di amore finisce per trattare ogni cosa in termini di alto e basso, istinti e ragione, senza neanche lontanamente pensare che ciò di cui sta parlando non è altro che l’eccitamento sessuale prodotto dalla vista di un corpo o di una parte del corpo: puro e semplice innamoramento, detto anche ipnosi. Sarebbe bene finirla con certi pudori: l’adolescenza è la teoria (pratica) del pensiero di Platone, diventata teoria praticata come perversione. Con la divisione di ciò che fin dall’inizio è unito il bisogno e la soddisfazione, la psiche (o pensiero o anima) e il corpo prende avvio l’errore che determinerà in seguito, con diverse vicissitudini, i termini delle questioni portanti dell’intera filosofia. Con la divisione dell’anima dal corpo e la divisione interna dell’anima in parti o piani, insieme con la divisione dell’universo tra pensanti e non pensanti, Platone pone come dato di partenza comune a tutti il fattore istintività, inevitabile ma vincibile. E con la descrizione della condizione dell’allievo, non più bambino e non ancora uomo, asserisce l’inscindibilità tra istintività e accesso alla conoscenza. Ebbene, è con Platone che la psicologia il pensiero individuale inizia come psicopatologia. Ne dà un’ampia e inequivocabile documentazione il Fedro, noto a tutti fin dai banchi di scuola e passato per lo più inosservato nel suo contenuto corrotto. [5] Di fatto Platone è rimasto indenne da ogni giudizio circa l’esistenza di una corruzione del suo pensiero.[6] Che è corruzione di minori. Corruzione intorno ai sessi e intorno alla conoscenza. Ci si è mai chiesti che cosa sia l’amore platonico e chi sia l’amato platonico? Certamente sì. Si sono forse tratte delle conseguenze? Sì, ma incomplete. Le conseguenze sono state tali da considerare come un particolare di poco conto 1. che l’amore platonico fosse un amore predicato nell’astinenza tra due individui dello stesso sesso, di cui l’uno, il giovane in posizione di allievo, non conoscendo l’inganno, sarebbe modello... per soli uomini, mentre l’altro avrebbe la tecnica: filo-sofia per mezzo della omo-filia, ovvero l’isteria che mostra la sua inclinazione perversa; 2. che l’amore platonico fosse una questione di gradi dove ciò che sta ai piani alti, l’anima, è posto sull’infido basso della corruzione sessuale. La scala ascensionale dell’amore platonico, che va dall’apparenza alla verità, è in realtà una scala che poggia sulla monosessualità (si legga: omosessualità) e che si innalza fino all’anima (si 3 legga: sublimazione), su su diritta senza mutare orientamento. Insomma, l’amore platonico è castità omosessuale, omosessualità praticata nell’astinenza ». È la tecnica della sublimazione. L’uomo e la donna non fanno l’innamoramento Ci voleva Freud perché l’errore sessualità, con la sua fonte, la monosessualità, venisse individuato come fattore comune a ogni patologia del pensiero, a partire dalla più comune di esse la psicopatologia della vita quotidiana fino alle sue forme cliniche. L’innamoramento, il culto dell’oggetto, l’ostilità tra i sessi, l’umiliazione del pensiero del bambino da parte dell’adulto, l’istintività ne sono, tra altri, i distintivi che fanno di un bambino inizialmente sano un individuo che, una volta ammalato, continua poi da sé a coltivare la propria malattia e ad ammalarne altri. Il nesso tra tutto ciò e l’adolescenza è preciso. L’adolescenza è il dispositivo invenzione che organizza il pensiero individuale nel senso dell’errore sessualità che il bambino non aveva raccolto come tale, bensì come mortificazione del suo pensiero già ben formato. L’adolescenza rompe con il passato (rivoluzione) e si rifiuta quanto al futuro (e restaurazione), costituendosi come istituente di principi e diritti astratti. In principio era..., anzi è, l’organizzazione. Punto di forza dell’adolescenza è la negazione di tutto ciò che può essere recepibile come eredità e tutto ciò che può essere realizzabile come compromissione individuale. L’adolescenza è Antigone che nega Psiche; o, anche: è la zona di frontiera tra due Città, dove i beni ivi depositati permangono indisponibili a qualsivoglia traffico, affare, profitto, guadagno; l’adolescenza si oppone all’amore mediante l’innamoramento; l’adolescenza è l’epoché del giudizio attuata come pregiudizio mediante la rimozione dei sessi, del lavoro, della soddisfazione; l’adolescenza è la presunzione di un aldilà in cui non vi sono né uomo né donna, dove dunque non vi è neppure soggetto, cioè lavoro; l’adolescenza è il passaggio non all’atto, ma all’odio organizzatore di fronte alla scoperta dell’inganno dell’adulto quanto alla pensabilità della vita come lavoro con vantaggio reale per sé e per l’universo, e alla vita stessa come soddisfazione. L’età della crisi. Quale crisi? Definita anche come età della crisi, ma descritta come senza età e crisi, l’adolescenza è l’eliminazione del bambino e l’avversione dell’adulto: [7] un’invenzione di successo presso chiunque abbia trovato soluzione alla propria crisi nell’inconcludenza, sottraendo al momento normale della crisi, [8] la possibilità di trasformarsi in lavoro. L’adolescenza è una legittimazione della crisi dell’adulto. Infatti, se ci si sofferma quanto basta per chiedersi di che crisi si tratta, si troverà che «nella crisi» non è il giovane, ma l’adulto; che l’avversione non è dell’adolescente nei confronti dell’adulto, quanto l’inverso; che l’eliminazione del bambino non avviene da parte del giovane, ma dell’adulto che nel giovane ha già eliminato il bambino, in quanto il bambino già pensava. La vera crisi non è cioè la crisi individuale del passaggio della pubertà, ma la crisi degli adulti, madre e padre, insegnante ecc., che si scoprono incompetenti di fronte a chi, ormai grande, è intollerante non dell’adulto, dei rapporti, del lavoro, ma dell’inettitudine e sregolatezza dell’adulto 4 quanto alla propria competenza individuale. «Per questo di fronte agli adolescenti siamo ansiosi. Essi ci testimoniano tutto il possibile che in noi non è divenuto reale». [9] NOTE [1] Granville Stanley Hall (1844-1924), ricordato soprattutto per avere introdotto Freud in America (del quale non ha mai condiviso il pensiero), è considerato uno dei pionieri della psicologia americana. Iniziatore dell’odierna psicologia dello sviluppo, egli ha dedicato la sua opera principalmente alla difesa degli adolescenti, riconoscendo all’adolescenza e non all’infanzia come invece Freud , di essere il punto iniziale e determinante della vita individuale. Nel suo libro sull’adolescenza, l’autore, docente di letteratura, presenta uno studio che, partito da un corso di lezioni sulla letteratura e l’adolescenza, offre una ricchissima documentazione bibliografica (letteraria e non) sull’argomento a sostegno della sua idea di adolescenza come «invenzione». Segnalo in particolare i capitoli dedicati alla letteratura, alle organizzazioni e ai movimenti giovanili, all’adolescenza come finzione della realtà. [2] «Ma gli uomini delle età precedenti davvero pensavano e parlavano di «adolescenza»? A onor del vero non si può trarre alcuna conclusione, poiché le parole mutano il loro significato e forse altri termini coprirono un tempo il campo semantico dell’«adolescenza» di oggi. Ciò nonostante è importante tener presente che solo recentemente la parola «adolescenza» è entrata a far parte delle principali lingue occidentali... A mio avviso, allora, l’adolescenza «divenne età» nei decenni intorno al 1900, non solo perché negli anni precedenti la parola veniva usata poco, ma perché, ed è quello che dimostrerò, proprio in quel periodo si cominciò a parlare dell’adolescenza...» (John Neubauer, Adolescenza fin-de-siècle, Il Mulino, Bologna 1997, p. 14-15). Nel suo libro sull’adolescenza, l’autore, docente di letteratura, presenta uno studio che, partito da un corso di lezioni sulla letteratura e l’adolescenza, offre una ricchissima documentazione bibliografica (letteraria e non) sull’argomento a sostegno della sua idea di adolescenza come «invenzione». Segnalo in particolare i capitoli dedicati alla letteratura, alle organizzazioni e ai movimenti giovanili, all’adolescenza come finzione della realtà. [3] Come se non bastassero l’«adolescenza» e la sua durata, dell’ordine di dieci-quindici anni, c’è chi parla pure di «post-adolescenza», che a sua volta supererebbe i dieci anni. L’adulto sarebbe rintracciabile finalmente sulla soglia dei quarant’anni. Ma quale adulto? Un essere smarrito e smemorato (cioè «rimbambito»), che, più rassegnato che deciso, deve solo pensare a una «sistemazione» prima che sia troppo tardi. [4] Sono pochi gli autori coevi che non subiscano l’influsso di Hall. Anzi, per un lungo periodo, fino alla fine degli anni ’60, l’interesse e la produzione di studi e ricerche sul tema trattano il passaggio dall’infanzia all’adolescenza attraverso la pubertà come periodo di «destabilizzazione» e crisi: crisi di identità, crisi nella formazione, crisi nel lavoro ecc., senza tuttavia verificare i risultati di Hall. Saranno gli studi europei degli anni ’70-’80 a mostrare che «...le caratterizzazioni della fase dello Sturm und Drang formulate da Hall non trovano affatto riscontro nelle ricerche effettuate... Il passaggio dall’infanzia all’adolescenza è segnato più dalla stabilità e dalla continuità che non dalla destabilizzazione.» (Fend, Vom Kind zum Jugendlichen, Huber, Bern-Goettingen 1990, I, pp. 54-80). Tuttavia, la questione circa l’ipotetica esistenza di cambiamenti tipici, propri dell’adolescenza, permane immutata nella psicologia accademica. [5] «Al principio di questo nostro mito abbiamo distinto ciascun’anima in tre parti, delle quali due rassomigliamole a corsieri e la terza a un auriga. Riprendiamo l’immagine. L’uno dei cavalli, dicemmo, è nobile, e l’altro no; ma quale sia l’eccellenza del virtuoso e il vizio del malvagio non l’abbiamo spiegato: conviene dunque parlarne ora... Quando l’auriga alla vista del volto 5 amoroso, tutto infiammato l’animo di quella sensazione, è invaso dalla smania e dal pungolo della passione, il cavallo docile all’auriga, costretto ora come sempre dal pudore, si trattiene dal lanciarsi sull’amato, ma il cavallo sordo alle sferzate della frusta, scalpitando è spinto di forza e, mettendo in grande imbarazzo il compagno e l’auriga, li costringe ad avanzare verso l’amato e a rammemorarne i piaceri dell’amore afrodisiaco... […] Così l’amato, divenendo oggetto di culto come un dio non già da parte di uno che simula, ma da parte di uno che prova davvero tale devozione, […] se prima era stato fuorviato da compagni e da altri che trovavano vergognoso egli avesse commercio con un amante, e se per questa ragione egli lo aveva respinto, tuttavia, col passare del tempo, l’età stessa e la forza delle cose lo spingono ad accoglierlo nella sua intimità. […] E quando ha lasciato avvicinare l’amante e ne ha accolto le parole e la familiarità; la benevolenza di lui, provata dappresso, soggioga l’amato, il quale sente che l’amicizia di tutti gli altri insieme, amici e parenti, non val nulla rispetto a quella d’un amico posseduto da un dio. […] Eccolo dunque innamorato, ma non sa di che cosa: non capisce né può dire ciò che prova continuamente, ma, come chi abbia contratto da un altro una malattia d’occhi, non può dirne il motivo e non s’accorge che nell’amante egli vede sé stesso come in uno specchio. […] Ma non lo chiama e non lo crede amore, bensì amicizia. Però desidera ugualmente, anche se con minor forza dell’amante, vedere, toccare, baciare il ragazzo e giacere con lui: e in queste condizioni ci arriva, naturalmente, assai presto. Così mentre stanno l’uno accanto all’altro il corsiero ribelle dell’amante ha ben di che dire all’auriga e pretende un po’ di godimento in compenso di tanti affanni. Il corsiero ribelle dell’amato non ha nulla da dire: gonfio di desiderio e sgomento abbraccia l’amante e lo bacia con l’idea di riconoscere il suo affetto. Quando giacciono insieme non è in grado di rifiutarsi, per parte sua, a compiacere le richieste del suo amante. L’altro corsiero insieme all’auriga vi si oppongono mossi dal pudore e dalla ragione. Vedi dunque che se ottengono la supremazia gli elementi migliori dell’anima che guidano a una vita ordinata dall’amore della sapienza, i loro giorni su questa terra saranno beati e in piena armonia, perché sono padroni di sé stessi e misurati, avendo assoggettato ciò che produce il male dell’anima e liberato ciò che è fonte di virtù […] ed è questo un così gran bene, che né senno umano né delirio divino potrebbero procurarne all’uomo un altro maggiore. Ove per altro prescelgano un tenore di vita più volgare ed estraneo alla filosofia, ma pur compatibile con l’onore, non è difficile che nell’ebbrezza o in qualche altro momento d’abbandono, i cavalli indomiti dell’uno e dell’altro colgano le loro anime alla sprovvista e, trascinandole verso il medesimo segno, prendano quel partito, che è ritenuto il più beato dalla moltitudine, e lo mandino a effetto. E quando l’abbiano mandato a effetto, sogliono in seguito ricascarvi, ma di rado, come quelli che fanno cosa non del tutto approvata dalla ragione. […] Son questi, fanciullo mio, i grandi e divini doni di cui ti colmerà l’affetto di un amante». (Fedro 253 - 256) [6] Di recente, nella presentazione della nuova edizione critica del Fedro per la «Fondazione Valla» (ne ha dato notizia «Il Sole 24 ore» di domenica 10 maggio 1998, n. 126, p. 27) Giovanni Reale ha citato lo stesso passo del Fedro. Le idee di Reale non sono le nostre, ma su un punto lo troviamo con noi: dicendo che il Fedro va considerato come il «manifesto programmatico» di Platone come «scrittore» e come «filosofo», implicitamente egli asserisce ciò che da anni sosteniamo circa il pensiero di Platone. [7] È proprio grazie all’adolescenza che le svariate teorie evolutive della psiche che non avrebbero altrimenti cittadinanza, non avendo consistenza propria si sostengono e si sostentano. Come uno spartiacque, l’adolescenza divide e conferisce esistenza ai due errori che reggono tutte le teorie dello sviluppo psichico. Da un lato l’errore per cui il pensiero avrebbe delle leggi di sviluppo e dall’altro l’errore per cui la realtà sarebbe ciò che con leggi proprie piega l’individuo alla necessità: la vita come sopravvivenza. [8] La crisi è un momento inevitabile e non necessariamente oneroso della storia psichica individuale, da cui per ciascuno può avere inizio o un ulteriore incremento di profitto del lavoro 6 individuale svolto fino a quel momento oppure un agire antieconomico che segna l’entrata nella psicopatologia. È vero che il momento della crisi avviene normalmente intorno al passaggio biologico dall’infanzia allo stato di adulto, ma oltre a non essere biologicamente determinato, questo momento non è necessariamente segnato dalla «perdita di identità e dalla scissione dell’io», cioè da quel duplice stato che la definizione ufficiale di adolescenza annuncia come sua condizione inevitabile. È piuttosto un momento critico nel senso economico del termine della vita individuale, normale e di breve durata. [9] Segnalo il breve testo Adolescenza di Umberto Galimberti, contenuto in: Parole nomadi, Feltrinelli, Milano 1994, dove l’autore tratta bensì l’adolescenza come se fosse una «stagione della vita» tra altre, ma ne sottolinea la connessione con l’inconcludenza dell’adulto e con i tentativi attuati da costui per sottrarsi al giudizio che l’adolescente concepisce e formula. (U. Galimberti, op. cit., p. 15) © Studium Cartello – 2007 Vietata la riproduzione anche parziale del presente testo con qualsiasi mezzo e per qualsiasi fine senza previa autorizzazione del proprietario del Copyright 7