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Edizioni Simone - Vol. 11 Istituzioni di diritto pubblico
Capitolo 1
La partecipazione politica dei cittadini
Sommario
1. Premessa. - 2. Il diritto di voto. - 3. Il voto degli italiani residenti all’estero. - 4. Sistemi e formule elettorali.
5. La legge elettorale di Camera e Senato. - 6. I partiti politici. - 7. Il diritto di petizione popolare.
8. La parità di accesso alle cariche elettive. - 9. I doveri inderogabili. - 10. La difesa della Patria.
11. La partecipazione alle spese dello Stato. - 12. Il dovere di fedeltà alla Repubblica
1.Premessa
L’articolo 1 della Costituzione italiana stabilisce che l’Italia è una Repubblica democratica. Per «democrazia» deve intendersi quella forma di Stato che prevede l’attiva partecipazione del popolo alla vita politica del paese.
Secondo lo stesso articolo 1, la sovranità spetta al popolo, che la esercita nei modi e nei
limiti della Costituzione.
Dalla lettura del testo costituzionale si evince che il popolo, per quanto ne sia l’unico titolare,
non esercita sempre e comunque la sovranità in modo diretto (nel qual caso si parla di democrazia diretta), esprimendo cioè la propria opinione su ogni questione, ma anche in modo
indiretto, eleggendo i suoi rappresentanti. L’Italia è, quindi, una democrazia rappresentativa.
Nel nostro ordinamento, così come in tutti gli altri sistemi democratici, per scegliere i propri rappresentanti si ricorre all’intermediazione di organismi in grado di rappresentare i
cittadini e dar vita alle loro scelte: i partiti politici.
2.Il diritto di voto
A) Il corpo elettorale
Il corpo elettorale costituisce l’insieme degli individui dotati di cittadinanza e di diritto di
elettorato attivo.
Conseguentemente dal corpo elettorale vanno distinti i concetti di popolo, cioè l’insieme
dei cittadini, indipendentemente dall’essere o meno titolari del diritto di voto, e di popolazione, cioè l’insieme indifferenziato degli individui di qualsiasi nazionalità presenti sul
territorio nazionale. Sono parte del corpo elettorale anche i cittadini italiani residenti all’estero, cui la L. cost. n. 1/2000 ha riconosciuto il diritto di partecipazione politica (art. 48 Cost.)
attraverso il voto nei collegi esterni.
Per quanto riguarda la natura giuridica, parte della dottrina ritiene che il corpo elettorale costituisca un «organo dello Stato» (MORTATI), mentre altra parte lo ritiene «organo del popolo», ossia lo strumento mediante cui il popolo esercita la sovranità (CRISAFULLI).
La teoria più vicina al sistema costituzionale italiano è indubbiamente la seconda dal momento che il corpo
elettorale esercita funzioni rilevanti (operazioni elettorali e referendarie) riconducibili alla posizione del titolare della sovranità che, in base all’art. 1 della Costituzione, appartiene al popolo.
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Parte II: L’ordinamento della Repubblica
B) L’elettorato attivo
La capacità di votare, vale a dire la capacità di esprimere la propria volontà politica attraverso il voto, si definisce elettorato attivo.
La Costituzione italiana disciplina la titolarità e le modalità di esercizio del diritto di voto
all’art. 48, mentre è rimessa alla legge ordinaria disciplinare l’area della «cittdinanza politica» cioè le norme che riguardano il diritto di voto, il sistema elettorale (v. infra §§3 e
ss.) e la legislazione elettorale di contorno (es.: modalità di svolgimento delle campagne
elettorali).
In particolare, al comma 1, si prevede che possono essere «elettori» coloro che sono in
possesso dei seguenti requisiti positivi:
a) la cittadinanza italiana;
b) la maggiore età, vale a dire 18 anni (per l’elezione del Senato è richiesto il compimento
dei 25 anni).
Il comma 4, invece, stabilisce che il diritto di voto può essere limitato solo in presenza dei
seguenti requisiti negativi:
1) incapacità civile, ossia la condizione giuridica di chi, a causa di determinate alterazioni
psico-fisiche (infermità di mente, prodigalità, sordomutismo etc.), è dichiarato, con
sentenza del giudice civile, totalmente (interdizione) o parzialmente (inabilitazione)
incapace di attendere ai propri interessi;
2) sentenza penale irrevocabile, ossia il provvedimento del giudice penale non più modificabile da giudici di grado superiore, cioè non più appellabile né ricorribile per Cassazione. Perdono il diritto di voto coloro che sono condannati a una pena che importa
l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, mentre l’interdizione temporanea comporta la
sospensione dal diritto di voto, pari al tempo della sua durata;
3) indegnità morale, che riguarda coloro che sono sottoposti a misure di prevenzione, a
misure di sicurezza detentive (ad esempio, l’ospedale psichiatrico giudiziario), alla libertà vigilata o al divieto di soggiorno in uno o più Comuni.
Il legislatore, nel tempo, ha ridotto tali limiti costituzionali, ammettendo all’elettorato attivo, ex art. 11 della L. 13 maggio 1978, n. 180, anche gli interdetti e gli inabilitati per infermità di mente e sospendendolo solo per quanti fossero ricoverati in un istituto psichiatrico.
Successivamente, ex art. 1, L. 22 maggio 1980, n. 193, è stato abrogato il numero 7) del
primo comma dell’art. 2 del D.P.R. 20 marzo 1967, n. 223, che prevedeva l’esclusione
dalle liste elettorali per 5 anni in caso di condanna per determinati reati e contravvenzioni.
Infine, con D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, sono state eliminate le restrizioni a carico degli
imprenditori falliti.
La normativa che resta in vigore, l’art. 2 D.P.R. 223/1967, prevede che non sono titolari del
diritto di eleggere i propri rappresentati:
—coloro che sono sottoposti, in forza di provvedimenti definitivi, alle misure di prevenzione di cui all’art. 3, L. 1423/1956, come da ultimo modificato dall’art. 4 della L. 327/1988,
finché durano gli effetti dei provvedimenti stessi;
—coloro che sono sottoposti, in forza di provvedimenti definitivi, a misure di sicurezza
detentive o alla libertà vigilata o al divieto di soggiorno in uno o più comuni o in una o
più province, a norma dell’art. 215 c.p., finché durano gli effetti dei provvedimenti stessi;
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—i condannati all’interdizione perpetua dai pubblici uffici;
—coloro che sono sottoposti all’interdizione temporanea dai pubblici uffici, per tutto il
tempo della sua durata.
Pertanto, in base a quanto detto, può sostenersi che nel nostro ordinamento non è più operante alcuna ipotesi di incapacità civile.
C) Caratteri del voto
L’art. 48 prevede che tutti i cittadini, uomini e donne, sono elettori e che il voto è personale ed eguale, libero e segreto: il suo esercizio costituisce un diritto politico ma anche un
dovere civico.
Da tale definizione si ricavano i caratteri del voto:
1. universalità («tutti i cittadini»): l’ammissione al voto non può essere subordinata a
condizioni di carattere economico o culturale, né sessuale. In Italia il voto alle donne è
stato concesso soltanto nel 1946 e poi riaffermato come diritto inviolabile, in seguito al
riconoscimento dell’eguaglianza tra sessi affermata nella Costituzione;
2. personalità: unico modo per votare nel nostro ordinamento è quello di recarsi personalmente alla sezione elettorale e di segnare di proprio pugno e segretamente la scheda.
La legge elettorale, tuttavia, consente agli elettori fisicamente impediti di farsi assistere
nella cabina elettorale da un elettore della stessa famiglia o, in mancanza, da un altro
elettore, che sia stato volontariamente scelto come accompagnatore, purché l’uno o
l’altro sia iscritto in qualsiasi Comune della Repubblica. Facilitazioni sono, inoltre,
previste per i degenti in luogo di cura, per coloro che sono affetti da gravissime infermità e per i marittimi imbarcati o in navigazione.
Un’eccezione al principio della personalità del voto è stata introdotta dalla L. 459/2001,
relativa al diritto di voto degli italiani residenti all’estero; il comma 2 dell’art. 1, infatti,
consente a tali soggetti di esercitare il loro diritto di voto per corrispondenza;
3. eguaglianza: sono esclusi i voti plurimi riservati a determinate categorie di persone (es.:
elettori laureati che possono votare due volte) ed i voti multipli (consentire ad alcuni
elettori di votare in più circoscrizioni).
In realtà, l’uguaglianza del voto è seriamente messa in dubbio in seguito all’istituzione
della Circoscrizione estero per il voto degli italiani residenti all’estero. Mentre le circoscrizioni elettorali sul territorio nazionale sono omogenee per quanto riguarda il numero
degli elettori, quelle per la Circoscrizione estero possono variare enormemente, con la
conseguenza che per eleggere un deputato o un senatore all’estero occorrono molti più
voti rispetto a quelli richiesti in Italia;
4. segretezza: stabilita a tutela della libertà del voto, per garantire l’elettore da possibili
pressioni esterne;
5. libertà: per il principio di libera manifestazione delle proprie idee, deve essere concessa ad ogni elettore la facoltà di attribuire il proprio voto a chi ritenga più opportuno,
senza coazioni di sorta;
6. non obbligatorietà: l’art. 48, comma 2, Cost. stabilisce che l’esercizio del diritto di voto
costituisce dovere civico.
L’infelice e generica espressione costituzionale rappresenta una delle più oscure formule di compromesso raggiunte in sede costituente, dettata forse dalla necessità di accon-
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Parte II: L’ordinamento della Repubblica
tentare in qualche modo coloro che sostenevano l’obbligatorietà morale del voto. Con
il D.Lgs. 534/1993, nel rispetto del principio della libertà di espressione del pensiero
(art. 21 Cost.) è stato abrogato l’art. 115 del D.P.R. 361/1957 che sanciva l’iscrizione in
un elenco esposto per 30 giorni nell’albo comunale e la menzione «non ha votato» nel
certificato di buona condotta, in quanto giudicato una grave e illegittima interferenza con
la libertà di opinione politica.
D)L’elettorato passivo
L’elettorato passivo consiste nella capacità di ricoprire cariche elettive.
Per il principio di coincidenza tra elettorato attivo ed elettorato passivo, di regola chiunque
è elettore risulta essere di regola, a sua volta, eleggibile. Si noti tuttavia che per l’appartenenza alla Camera dei deputati è necessario aver compiuto il 25° anno d’età, per il Senato il 40°.
E) Ineleggibilità
La capacità di essere eletti può subire delle limitazioni per il sopravvenire di alcune cause,
non connesse a requisiti personali del soggetto, che impediscono di fatto una sua possibile
elezione. In genere l’ineleggibilità è dovuta alla particolare carica ricoperta dal soggetto, che potrebbe porlo in una posizione di vantaggio rispetto ad altri candidati o potrebbe
determinare una pressione sulle scelte degli elettori.
Nell’ipotesi in cui, pur in presenza di una causa di ineleggibilità, un soggetto venga comunque eletto (per errore, ad esempio, degli organi di controllo), la sua elezione va dichiarata
nulla dall’organo competente.
Ai sensi del testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione alla Camera dei deputati (D.P.R. 30-3-1957,
n. 361), non sono eleggibili:
a) ex art. 7: i presidenti delle Giunte provinciali; i sindaci dei Comuni con popolazione superiore ai 20.000
abitanti; il capo e vice capo della polizia e gli ispettori generali di pubblica sicurezza; i capi di Gabinetto dei
Ministri; il Rappresentante del Governo presso la Regione autonoma della Sardegna, il Commissario dello
Stato nella Regione siciliana, i commissari del Governo per le regioni a statuto ordinario, il commissario
del Governo per la regione Friuli-Venezia Giulia, il presidente della Commissione di coordinamento per la
regione Valle d’Aosta, i commissari del Governo per le province di Trento e Bolzano, i prefetti e coloro che
fanno le veci nelle predette cariche (modifica della L. 11-8-1991, n. 271); i viceprefetti e i funzionari di
pubblica sicurezza; gli ufficiali generali, gli ammiragli e gli ufficiali superiori delle Forze armate dello
Stato, nella circoscrizione del loro comando territoriale (comma 1).
Le cause di ineleggibilità di cui al comma 1 sono riferite anche alla titolarità di analoghe cariche, ove esistenti, rivestite presso corrispondenti organi in Stati esteri (comma 2 così modificato dall’art. 9, comma 1,
L. 27 dicembre 2001, n. 459);
b) ex art. 8: i magistrati nelle circoscrizioni sottoposte, in tutto o in parte, alla giurisdizione degli uffici ai
quali si sono trovati assegnati o presso i quali hanno esercitato le loro funzioni in un periodo compreso nei
sei mesi antecedenti la data di accettazione della candidatura. Non sono in ogni caso eleggibili se, all’atto
dell’accettazione della candidatura, non si trovino in aspettativa (modifica della L. 3-2-1997, n. 13);
c) ex art. 9: i diplomatici, i consoli, i vice-consoli, eccettuati gli onorari, ed in generale gli ufficiali, retribuiti
o no, addetti alle ambasciate, legazioni e consolati esteri, nonché tutti coloro che abbiano impiego da Governi esteri;
d) ex art. 10: coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino
vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazioni, oppure per concessioni o autorizzazioni
amministrative di notevole entità economica, che importino l’obbligo di adempimenti specifici, l’osservanza di norme generali o particolari protettive del pubblico interesse, alle quali la concessione o l’autorizza-
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zione è sottoposta; i rappresentanti, amministratori e dirigenti di società e imprese volte al profitto di privati e sussidiate dallo Stato con sovvenzioni continuative o con garanzia di assegnazioni o di interessi, quando
questi sussidi non siano concessi in forza di una legge generale dello Stato; i consulenti legali e amministrativi che prestino in modo permanente l’opera alle persone, società e imprese di cui ai punti precedenti e
vincolate allo Stato nei modi di cui sopra.
Inoltre, ex art. 7 della L. 11-3-1953, n. 87 i giudici della Corte costituzionale non possono fare parte di commissioni giudicatrici di concorso, né ricoprire cariche universitarie e non possono essere candidati in elezioni amministrative o politiche.
F) Incompatibilità
L’incompatibilità designa quella situazione per cui una medesima persona non può ricoprire contemporaneamente due cariche. Chi si trova in tale condizione deve optare per
l’una o l’altra, altrimenti è lo stesso ordinamento che lo fa automaticamente decadere da
una delle due cariche.
Pertanto l’incompatibilità, a differenza della ineleggibilità, non impedisce la regolare
elezione ad una carica: impone solo una scelta fra la nuova carica e quella già ricoperta.
Così, ad esempio, la Costituzione stabilisce che sono incompatibili la carica di deputato e
quella di senatore (art. 65).
È inoltre incompatibile con lo status di parlamentare l’assunzione delle seguenti cariche: Presidente della
Repubblica (art. 84 Cost.), membro del Consiglio Superiore della Magistratura (art. 104 Cost.), membro di un
Consiglio o di una Giunta regionale (art. 122 Cost.), membro della Corte costituzionale (art. 135 Cost.), membro del Parlamento europeo (art. 5bis, L. 18/1979 aggiunto dalla L. 78/2004), membro del CNEL (art. 8, L.
936/1986), membro di assemblea legislativa o di organo esecutivo, nazionali o regionali, in Stati esteri (art. 1bis,
L. 60/1953 aggiunto dalla L. 459/2001 sul voto degli italiani all’estero), qualsiasi altra carica pubblica elettiva
di natura monocratica relativa ad organi di governo di enti pubblici territoriali aventi alla data di indizione
delle elezioni o della nomina, popolazione superiore a 5.000 abitanti (art. 13, D.l. 138/2011, conv. con modif.
in L. 148/2011).
Da ultimo, va segnalato il D.Lgs. 8 aprile 2013, n. 39 che prevede, fra l’altro, le seguenti
incompatibilità con la funzione di parlamentare:
—gli incarichi di direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo nelle
aziende sanitarie locali, solo, però, se la funzione di parlamentare è stata esercitata
nell’anno precedente (art. 8, comma 3);
—gli incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni statali, regionali e locali e
gli incarichi di amministratore di ente pubblico di livello nazionale, regionale e locale,
unitamente alla carica di Presidente del Consiglio, Ministro, Vice Ministro, sottosegretario di Stato e commissario straordinario del Governo (art. 11, comma 1);
—gli incarichi dirigenziali, interni e esterni, nelle pubbliche amministrazioni, negli enti
pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico di livello nazionale, regionale e locale, unitamente con l’assunzione, nel corso dell’incarico, della carica di Presidente del Consiglio, Ministro, Vice Ministro, sottosegretario di Stato e commissario
straordinario del Governo (art. 12, comma 2);
—gli incarichi di presidente e amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico, di livello nazionale, regionale e locale, unitamente alla carica di Presidente
del Consiglio, Ministro, Vice Ministro, sottosegretario di Stato e di commissario straordinario del Governo (art. 13, comma 1);
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—gli incarichi di direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo nelle
aziende sanitarie locali, unitamente alla carica di Presidente del Consiglio, Ministro, Vice
Ministro, sottosegretario di Stato e commissario straordinario del Governo, di amministratore di ente pubblico o ente di diritto privato in controllo pubblico nazionale che
svolga funzioni di controllo, vigilanza o finanziamento del servizio sanitario nazionale
(art. 14, comma 1) (1).
G)Incandidabilità
Differenti dall’ineleggibilità e incompatibilità sono le ipotesi di incandidabilità approvate
dal D.Lgs. 31 dicembre 2012, n. 235, in seguito a quanto previsto dalla L. 6 novembre
2012, n. 190 (cd. legge Severino), che disciplina i casi riguardanti i parlamentari e coloro
che ricoprono incarichi di governo.
In particolare, non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la carica
di deputato e di senatore coloro che hanno riportato condanne definitive a:
—pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti dall’art.
51, commi 3bis e 3quater, c.p.p.;
—pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, commessi dai
pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione;
—pene superiori a due anni di reclusione, per delitti non colposi, consumati o tentati, per
i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, ex
art. 278 c.p.p.
Allo stesso modo, coloro che si trovano in tali condizioni non possono ricoprire incarichi
di governo.
L’accertamento dell’incandidabilità comporta la cancellazione automatica dalla lista dei
candidati.
L’incandidabilità derivante da sentenza definitiva di condanna per tali delitti decorre dalla data del passaggio in giudicato della sentenza stessa ed ha effetto per un periodo corrispondente al doppio della durata della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai
pubblici uffici comminata dal giudice. In ogni caso non è inferiore a sei anni.
Qualora la condizione di incandidabilità sopravvenga o sia accertata successivamente e
prima della proclamazione degli eletti si procede alla dichiarazione di mancata proclamazione nei confronti del soggetto incandidabile.
Qualora una causa di incandidabilità sopravvenga o comunque sia accertata nel corso del
mandato elettivo, la Camera di appartenenza delibera ai sensi dell’articolo 66 della Costituzione.
Nel caso in cui il delitto che determina l’incandidabilità o il divieto di assumere incarichi
di governo è stato commesso con abuso dei poteri o in violazione dei doveri connessi al
mandato elettivo, di parlamentare nazionale o europeo, o all’incarico di Governo, la durata
dell’incandidabilità o del divieto è aumentata di un terzo.
(1) Tali cariche non sono comunque precluse a tutti coloro che si dimettono antecedentemente all’assegnazione dell’incarico
incompatibile.
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3.Il voto degli italiani residenti all’estero
L’art. 48 Cost. è stato modificato dalla L. cost. 17-1-2000, n. 1, che ha inserito un nuovo
comma dopo il secondo, assicurando ai cittadini italiani residenti all’estero l’esercizio
del diritto di voto. La norma dispone che la «legge stabilisce i requisiti e le modalità per
l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero e ne assicura l’effettività». A questo scopo istituisce una circoscrizione Estero per l’elezione delle Camere.
Il secondo tassello della procedura volta a consentire il voto agli italiani all’estero è stato aggiunto dalla L. cost. 23-1-2001, n. 1, con la quale si è provveduto all’effettiva individuazione
del numero dei deputati e dei senatori che appartengono alla circoscrizione Estero. Attraverso una modifica degli articoli 56 e 57 della Costituzione, alla nuova circoscrizione della
Camera sono stati attribuiti 12 deputati mentre a quella del Senato 6 senatori. Inoltre, affinché
gli italiani all’estero potessero effettivamente esercitare il loro diritto di voto, sono stati approvati la L. 27 dicembre 2001, n. 459 (cd. legge Tremaglia) e il D.P.R. 2 aprile 2003, n. 104.
I punti salienti della disciplina sono:
—i cittadini italiani residenti all’estero possono scegliere di votare in Italia, per la circoscrizione elettorale in cui sono iscritti, oppure di partecipare all’elezione dei rappresentanti della circoscrizione Estero attraverso il voto per corrispondenza, da inviare alla
rappresentanza consolare dello Stato in cui risiedono;
—la circoscrizione Estero è suddivisa in quattro ripartizioni, vale a dire: a) Europa, compresi i territori asiatici della Federazione russa e della Turchia; b) America meridionale;
c) America settentrionale e centrale; d) Africa, Asia, Oceania e Antartide. In ciascuna
ripartizione è eletto un deputato o un senatore, mentre i restanti rappresentanti sono distribuiti tra le stesse ripartizioni in proporzione al numero dei cittadini residenti;
—la candidatura alla circoscrizione Estero è consentita soltanto agli elettori residenti e
votanti nella relativa ripartizione. Al contrario, gli elettori residenti all’estero non possono candidarsi in una circoscrizione del territorio nazionale (a meno che non abbiano
optato per l’esercizio del diritto di voto in Italia);
—i cittadini italiani residenti all’estero possono anche partecipare alla fase di raccolta
delle firme per l’indizione di un referendum abrogativo (art. 75 Cost.) e costituzionale
(art. 138 Cost.), ed esprimere il proprio voto.
Il valore fuorviante del voto dei cittadini all’estero
Momento significativo della sovranità popolare riguarda la partecipazione alle competizioni elettorali
nazionali alle quali sono chiamati anche i cittadini italiani residenti all’estero.
Se la partecipazione alle elezioni per il Parlamento non influisce in via significativa in considerazione del
numero ristretto di rappresentanti che i cittadini italiani all’estero possono esprimere (12 per la Camera, 6
per il Senato), diverso appare il caso dei referendum nei quali il peso dei loro voti potrebbe essere più
determinante, soprattutto se sapientemente orchestrati dagli istituti di cultura italiani all’estero e dagli organi diplomatici tutti strettamente legati al Governo. Così, a titolo di esempio, nel caso del referendum del
4 dicembre 2016 relativa alla legge costituzionale che, fra l’altro, superava il bicameralismo perfetto previsto dal nostro ordinamento, presso gli istituti di cultura e i consolati venissero distribuiti materiali unidirezionali partiti direttamente dal Governo e, non a caso, gli italiani all’estero hanno aderito in maggioranza
alla proposta governativa con risultati completamente diversi rispetto a quelli nazionali (schiacciante vittoria del sì). Per tale motivo, si dimostra necessaria una normativa che assicuri pari opportunità alle voci
del «sì» e del «no» per la trasparenza e una corretta informazione degli italiani all’estero.
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4.Sistemi e formule elettorali
I sistemi elettorali possono definirsi come quel complesso di regole e di procedure che:
—determinano le modalità con cui gli elettori esprimono il loro voto;
—concedono ai partiti presentatisi alle elezioni la rappresentanza parlamentare;
—dettano le modalità con cui i voti vengono tradotti in seggi.
Dal sistema elettorale va distinta la formula elettorale che riguarda solo il meccanismo di
traduzione dei voti in seggi e alla ripartizione degli stessi tra i singoli candidati.
Tre sono le formule elettorali principali:
1. a maggioranza assoluta (majority): richiedono la maggioranza assoluta (50% + 1) dei
suffragi espressi per l’attribuzione del seggio. Esse operano in circoscrizioni cosiddette
uninominali, nelle quali cioè viene eletto un solo candidato. Difficilmente si ricorre a tali
formule allo stato puro, perché è comprovato che la loro adozione tout court può produrre situazioni di stallo, nelle quali nessun partito o candidato riesce a raggiungere il
quorum necessario per aggiudicarsi il seggio in palio;
2. a maggioranza relativa (plurality): anch’esse operano in circoscrizioni uninominali e
richiedono la maggioranza relativa per l’assegnazione del seggio a chi raggiunge il più
alto numero di consensi a prescindere dal quorum;
3. proporzionali: si propongono di assicurare a ciascun partito un numero di seggi rapportato alla sua forza politica e alla distribuzione effettiva degli elettori su tutto il territorio
nazionale. Consentono, inoltre, un’adeguata rappresentanza delle forze politiche minoritarie che, invece, i sistemi maggioritari tendono a penalizzare.
L’adozione dei sistemi elettorali, in realtà, non dovrebbe essere affidata a una legge ordinaria che
riflette solo la volontà della maggioranza, ma dovrebbe sempre richiedere, come nel caso della concessione dell’amnistia e indulto, ex art. 79 Cost., una maggioranza qualificata, al fine di garantire
anche alle forze di opposizione di prendere parte alla costruzione delle regole del gioco.
5.La legge elettorale di Camera e Senato
A) Dal Mattarellum al Porcellum
In Italia, dopo 45 anni all’insegna del più rigoroso sistema proporzionale con numerosi
governi di coalizione della durata media inferiore all’annualità, il referendum abrogativo
del 18 aprile 1993 condusse all’approvazione del cd. Matterellum (Leggi 4 agosto 1993,
nn. 276-277) che introdussero un procedimento elettorale maggioritario, corretto da una
quota proporzionale.
Tuttavia la stagione del maggioritario, pur avendo contribuito alla polarizzazione dello
scenario politico in due coalizioni contrapposte (chiamate «poli»), ha avuto durata breve e,
attraverso la L. 270/2005 (cd. Porcellum), si è successivamente introdotto un sistema proporzionale temperato da clausole di sbarramento e premio di maggioranza.
Tale legge, tuttavia, aboliva la possibilità in capo al singolo elettore di esprimere la preferenza (cd. lista bloccata), provocando una caduta di democraticità nella selezione dei
rappresentanti alle assemblee in quanto le segreterie di partito, a loro insindacabile giudizio, non solo erano chiamate direttamente a selezionare i candidati, ma attraverso un sur-
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rettizio gioco di precedenze nelle liste elettorali, ne determinavano unilateralmente l’ordine
di presentazione nella lista e quindi l’eleggibilità.
Gli eletti, in tal modo, perdevano ogni forma di collegamento con i propri elettori e si legavano alle segreterie che ne assicuravano l’elezione.
Anche in ragione di tali rilievi, la Corte costituzionale, con sent. 1/2014, ha, fra l’altro,
dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme della L. 270/2005 nella parte in cui non
consentono all’elettore di esprimere la sua preferenza vietandogli, così, di esprimere il suo
inviolabile potere sovrano, espresso dall’art. 1 della Costituzione che costituisce la norma
base della democrazia.
B) Il sistema elettorale della Camera: il cd. Italicum
Dopo la pronuncia di incostituzionalità della L. 270/2005 è stata approvata la L. 6 maggio
2015, n. 52 che, tuttavia, è stata anch’essa dichiarata parzialmente incostituzionale dalla
Consulta con sent. 35/2017.
La nuova legge elettorale (cd. Italicum) non disciplina l’elezione del Senato, in considerazione della riforma costituzionale, allora ancora all’esame del Parlamento, che ne prescriveva la sua elezione indiretta da parte dei consigli regionali e sindaci.
In primo luogo, la L. 52/2015 stabilisce che il territorio nazionale, ai fini della presentazione delle liste di candidati, è diviso in 20 circoscrizioni elettorali, corrispondenti alle Regioni, suddivise in complessivi 100 collegi plurinominali (eccezion fatta per Valle d’Aosta
e Trentino-Alto Adige, la cui divisione è articolata in collegi uninominali).
Al fine di garantire una reale “rappresentanza di genere” la nuova legge elettorale stabilisce
che in ciascuna lista i candidati siano presentati in ordine alternato in base al sesso.
In ogni collegio una lista può presentare da 3 a 9 candidati. Il capolista può presentarsi fino
a 10 collegi e, se eletto in più collegi, si procede al sorteggio per stabilire dove scatta il
seggio, così come discende dalla sentenza della Corte costituzionale del 25 gennaio 2017
che ha dichiarato l’illegittimità della legge nella parte in cui consentiva al capolista la scelta del collegio. Gli altri eletti sono decisi con le preferenze.
Ogni elettore può esprimere uno o due voti di preferenza; in caso di espressione della seconda preferenza, l’elettore deve scegliere un candidato di sesso diverso rispetto al primo,
a pena di nullità della seconda preferenza.
Il sistema elettorale delineato dall’Italicum era a doppio turno.
Si attribuiva, infatti, un premio di maggioranza del 55% (340 seggi su 630) a chi al primo
turno superava, su base nazionale, la soglia del 40% dei voti validi; se nessun partito raggiungeva tale soglia, dopo 15 giorni si doveva svolgere un turno di ballottaggio tra le due
liste con il maggior numero di voti.
La Consulta, invece, con la sent. 35/2017 ha bocciato il ballottaggio che porterebbe al non
rispetto dei principi di uguaglianza e libertà di voto, per cui non ci sarà alcun secondo turno
tra le due liste più votate.
La soglia del 40% per ottenere il premio di maggioranza è una conseguenza della sentenza 1/2014 della Corte
costituzionale, la quale aveva contestato la mancata previsione di una soglia minima per l’attribuzione di un
“premio” per il partito che avesse ottenuto più voti.
Tale «premio di governabilità» non scatta se nessun partito supera tale soglia e i seggi saranno assegnati in modo
proporzionale.
112
Parte II: L’ordinamento della Repubblica
Per quanto riguarda la cd. «soglia di sbarramento», è previsto che possano accedere alla
ripartizione dei seggi le liste che ottengono, su base nazionale, almeno il 3% dei voti validi (salve le disposizioni particolari per la Valle d’Aosta ed il Trentino-Alto Adige).
La riduzione al 3% costituisce una concessione a quelle minoranze non in grado di raggiungere il quorum necessario per accedere alla Camera, in quanto è interesse dei partiti più forti creare soglie di sbarramento più alte
per eliminare la presenza dei partiti minori nella assemblee.
Occorre, comunque, considerare che se da un lato questo “abbassamento” apre ai piccoli partiti, garantendo loro
il cd. diritto di tribuna, dall’altro la preponderanza della maggioranza e il numero esiguo di seggi fanno dei
partiti minori solo degli attori di secondo piano.
C) Il sistema elettorale del Senato: il cd. Consultellum
Dal momento che l’Italicum prevede norme per la sola elezione della Camera, per il Senato resta in vigore la L. 270/2005 depurato degli elementi di incostituzionalità rilevati dalla
Corte costituzionale con la sent. 1/2014 (cd. Consultellum).
Si tratta di un sistema proporzionale puro. La circoscrizione elettorale, tuttavia, differentemente dalla Camera, coincide, per espressa previsione costituzionale, con il territorio della
Regione, per cui le attuali circoscrizioni elettorali sono 20. Prima di poter effettuare il riparto dei seggi è necessario tener conto (trasformando, cioè, i voti in seggi) delle soglie
minime di seggi da assegnare. In particolare, il numero dei senatori spettanti alla Valle
d’Aosta e al Molise sono determinati dalla stessa Costituzione: uno per la prima e due per
la seconda per evitare che tali Regioni non vengano rappresentate adeguatamente in Parlamento.
Non sono previste liste bloccate: l’elettore può esprimere le preferenze per tutti gli eletti.
Sono ammesse le coalizioni pre-elettorali, per cui i partiti possono presentarsi con un
simbolo proprio, con la possibilità di concorrere alla somma comune. Per le liste che non
intendono unirsi in coalizione è prevista una soglia di sbarramento dell’8%.
Conseguentemente la soglia principale riguarda le coalizioni: sono ammesse alla ripartizione dei seggi le coalizioni che superano il 20% dei voti e hanno al loro interno almeno una
lista che ha superato il 3%.
Verso il Legalicum
Preso atto che non si può andare al voto con due leggi elettorali differenti come il Mattarellum del
1992 e l’Italicum (rivisitato nella sent. 35/2017) si fa pressante l’idea di sostenere l’approvazione del
Legalicum che rappresenta ciò che è rimasto dell’Italicum, cioè una legge proporzionale senza ballottaggio e il premio di maggioranza per il partito che raggiunge il 40%. Si dovrà mettere in piedi anche
per il Senato il Legalicum con opportuni correttivi come la cancellazione dei capilista bloccati e la
pluralità delle candidature, elementi salvati dalla Consulta.
6.I partiti politici
A) Concetto
I partiti politici costituiscono associazioni di persone con comunanza di ideologia ed
interessi che, attraverso una stabile organizzazione, mirano ad esercitare una influenza
fondamentale sulla determinazione dell’indirizzo politico del paese (VIRGA).
Capitolo 1: La partecipazione politica dei cittadini
113
Il crollo verticale dei partiti a causa della costante sfiducia dei cittadini elettori stimola l’ascesa di
movimenti che costituiscono «forme diverse e non identificabili di partiti» con la conseguenza che si
arriva a un disorientamento collettivo che allontana i cittadini, disaffezionandoli, dalla politica.
È questa una situazione pericolosa che induce i cittadini a rinunciare ad adempiere al «dovere civico»
di voto, gestendo quella intangibile parte di sovranità che la Costituzione gli riconosce.
B) La disciplina costituzionale (artt. 18 e 49 Cost.)
Il partito politico riceve una duplice disciplina: privatistica e pubblicistica. È innanzitutto
un’associazione non riconosciuta e come tale è assoggettata alle stesse norme del codice
civile che si applicano alle associazioni culturali, ricreative o sportive.
La natura privatistica dei partiti, però, risponde a una esigenza delle moderne democrazie:
quella di garantire il ruolo di effettiva mediazione fra la società e le istituzioni ed evitare
una eccessiva immedesimazione fra partito e Stato che si verificherebbe se i partiti fossero
enti pubblici (si pensi, ad esempio, al regime di controlli).
Questo spiega, allora, perché del partito politico si occupi anche la Costituzione sebbene in
maniera molto generica:
—all’art. 18 afferma che i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale;
—all’art. 49 dispone che tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti, per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.
L’espressione «con metodo democratico» contenuta nell’art. 49 Cost. è di non semplice né univoca interpretazione. In base a tale disposizione vige il divieto assoluto del ricorso a qualsiasi forma di violenza, fisica o morale, diretta a imporre determinate idee o scelte politiche di partito; non sembra, invece, che tale
norma imponga di adottare una struttura effettivamente democratica anche all’interno dei partiti, tale cioè
da consentire a tutti gli associati una eguale partecipazione all’attività di partito (MORTATI).
La libertà di associazione subisce un solo controllo ideologico riguardo al programma di partito; tale
controllo è previsto dalla stessa Costituzione (disp. trans. XII) al fine di impedire la ricostituzione del
partito fascista. In questo caso si parla anche di «rottura della Costituzione» o di «autorottura», dal
momento che è la stessa Costituzione che deroga ad altre norme da essa stessa posta.
Le primarie
Il dibattito sulla democraticità interna dei partiti e sulla possibilità di un più saldo raccordo tra eletti ed
elettori si è sviluppato negli ultimi anni con il ricorso alle cd. «primarie».
In tal modo si consente ai cittadini di incidere direttamente sulla scelta del loro leader e, conseguentemente, dei candidati da presentare alle consultazioni elettorali, sottraendo, seppur parzialmente,
tale scelta alle segreterie di partito che non possono non tener conto di tale volontà popolare.
Le primarie, che hanno l’indubbio pregio di limitare la possibilità dei partiti di imporre i propri uomini,
sono uno «strumento» tipico degli Stati Uniti, sebbene in tale Stato i partiti sono semplici compagini
elettorali, istituzionalmente privi di ideologie radicali.
In Italia, invece, sono presenti partiti (con già radicate tradizioni storiche e precisi riferimenti ideologici) capaci di sottoporre i propri candidati ed eletti ad una rigida disciplina e di operare capillarmente
su tutto il territorio nazionale. Nel nostro Paese, tale istituto è stato utilizzato quasi esclusivamente
dalle forze politiche di centro-sinistra (da ultimo l’elezione, avvenuta il 30 aprile 2017, a segretario del
PD di Matteo Renzi).
Per garantire maggiore validità democratica andrebbe previsto che possano partecipare al voto solo
gli iscritti al partito da almeno 6 mesi e che vi sia uno scrutatore per ogni candidato.
114
Parte II: L’ordinamento della Repubblica
C) Il finanziamento dei partiti
I partiti politici per svolgere la loro attività necessitano di una disponibilità economica che
copra le spese di organizzazione, propaganda etc. I finanziamenti provengono dalla quota
di iscrizione al partito e da finanziamenti privati.
Il sistema del finanziamento pubblico è stato rivisto ad opera della L. 3-6-1999, n. 157.
Rispetto al passato, almeno formalmente, i partiti italiani non sono più finanziati dallo Stato, ma ricevono un rimborso per le spese sostenute durante le campagne elettorali.
A tale scopo sono stati istituiti quattro fondi, corrispondenti agli organi da rinnovare: Senato, Camera, Consiglio regionale e Parlamento europeo.
Tale legge è stata più volte modificata soprattutto al fine di ridurre l’importo del finanziamento ritenuto eccessivo e mal gestito (2).
In particolare, con la L. 6 luglio 2012, n. 96 si è proceduto al dimezzamento dei finanziamenti che scendono dai circa 182 milioni a 91 milioni per il 2012, il 70% dei quali, pari a
63.700.000 euro, viene corrisposto come rimborso delle spese per le consultazioni elettorali e per l’attività politica. Il restante 30%, cioè 27.300.000 euro, viene erogato a titolo di
cofinanziamento (art. 1, co. 1).
La L. 96/2012 prevede, inoltre, la decurtazione del 5% dei finanziamenti a quei partiti che
non garantiscano un’adeguata rappresentanza di donne in lista, il che accade se il numero dei candidati del medesimo genere sia superiore ai due terzi del totale (art, 1, co. 7).
Un’importante novità è l’introduzione del co-finanziamento pubblico-privato. L’art. 2, L.
96/2012, prevede, infatti, l’attribuzione ai partiti e ai movimenti politici un contributo annuo
pari a 0,50 euro per ogni euro che essi abbiano ricevuto a titolo di quote associative e di
erogazioni liberali annuali da parte di persone fisiche o enti. Ai fini del calcolo del contributo, sono prese in considerazione, nel limite massimo di 10.000 euro annui per ogni persona fisica o ente erogante, le quote associative e le erogazioni liberali percepite.
Per concorrere al contributo i partiti e i movimenti politici devono aver conseguito almeno il 2 per cento dei
voti validi espressi nelle elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati o almeno un candidato eletto sotto il
proprio simbolo alle elezioni per il rinnovo del Parlamento, dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia, dei consigli regionali o dei consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano. Tale importo è suddiviso in misura eguale in quattro fondi, uno per ciascuna elezione. Per ogni fondo, a ciascun partito o movimento politico spetta un rimborso massimo proporzionale al numero di voti validi conseguiti nell’ultima elezione.
Di non poco conto è l’introduzione della norma che prevede per l’accesso ai contributi
l’obbligo per i partiti e movimenti politici di dotarsi di un atto costitutivo o di uno
statuto pubblici, da trasmettere in copia ai Presidenti delle due Camere entro 45 giorni
dalla data di svolgimento delle elezioni. Tale statuto deve essere conformato a principi
democratici nella vita interna, con particolare riguardo alla scelta dei candidati, al
rispetto delle minoranze e ai diritti degli iscritti (art. 5, co. 1).
È stata, infine, istituita la Commissione per la trasparenza e il controllo dei bilanci dei
partiti e dei movimenti politici, composta da 5 magistrati (1 designato dal Primo Presidente della Corte di Cassazione, 1 dal Presidente del Consiglio di Stato, 3 dal Presidente
della Corte dei conti), cui è affidato il compito di controllare i rendiconti dei partiti.
(2) Uno dei periodi più oscuri della I Repubblica è stato quello per cui i partiti hanno intascato fondi attraverso le cd. tangenti. Emma Bonino, nella seduta parlamentare del 3 novembre 1971, così etichettava questa pratica: «rubare per il partito non
è reato […] la corruzione non è solo il prendere realmente i soldi, è soprattutto la disponibilità a prenderli».
Capitolo 1: La partecipazione politica dei cittadini
115
Da ultimo, con D.L. 28 dicembre 2013, n. 149, conv. con modif. in L. 21 febbraio 2014,
n. 13, il Governo ha dettato una nuova e importante riforma.
In particolare, l’art. 12 prevede la possibilità per i cittadini di destinare ai partiti il 2 per
mille delle proprie dichiarazioni dei redditi. Tuttavia, le quote non espressamente indicate
restano allo Stato e non vengono ridistribuite. L’art. 10 del decreto fissa anche in 100 mila
euro l’anno la somma che può essere destinata alle formazioni politiche, con una detrazione fiscale del 26% per importi compresi tra 30 euro e 30 mila euro annuo. È consentito,
infine, ai partiti di finanziarsi anche con sms o iniziative simili (art. 13).
Tuttavia, tale sistema andrà a regime solo nel 2017 con l’obbligo di registrazione dei partiti al fine di regolamentare la democrazia interna.
D)Divieti
Per consentire un corretto e trasparente svolgimento della loro attività, i partiti politici non
possono:
a) assumere la forma di «associazione segreta», né presentare carattere di organizzazione
militare, per l’espresso divieto dell’art. 18 Cost. che, memore delle passate esperienze,
ha espressamente vietato ogni forma di «squadrismo» o «neosquadrismo» come strumento di «propaganda» politica;
b) presentare contrassegni che siano confondibili con quelli presentati in precedenza o che
riproducano simboli, elementi e diciture usati tradizionalmente da altri partiti. Non è
neppure ammessa la presentazione di contrassegni riproducenti immagini o soggetti
religiosi (art. 14 D.P.R. 361/1957, come da ultimo mod. dall’art. 1 L. 270/2005);
c) annoverare tra i loro iscritti (ex art. 98 Cost.) particolari categorie di cittadini come i
militari di carriera in servizio permanente effettivo; gli ufficiali e gli agenti di polizia
giudiziaria; i magistrati; i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero. I magistrati, comunque, possono presentarsi alle elezioni, con l’obbligo, comunque, di non svolgere in seguito più attività giurisdizionale nello stesso mandamento dove si sono candidati anche se non eletti.
La ratio di tali esclusioni risiede nel fatto che queste particolari categorie di funzionari statali devono
considerarsi al servizio esclusivo della Nazione. Pertanto, in ragione della delicatezza delle loro funzioni
(contatto con le potenze straniere per i diplomatici, comando di truppe armate e quindi possibilità di «golpe»
per gli ufficiali di carriera, dovere di amministrare la giustizia «in nome del popolo» e non del partito per i
magistrati), il Costituente ha ritenuto necessario tenerli lontani da possibili interferenze dei partiti.
7.Il diritto di petizione popolare
La petizione popolare è un istituto attraverso cui i cittadini portano a conoscenza del Parlamento situazioni ed esigenze particolari al fine di ottenere un provvedimento legislativo (art.
50 Cost.).
Come sottolineato in dottrina (GIOCOLI NACCI), dalla lettura della disposizione costituzionale emerge come la petizione costituisca l’unico istituto di democrazia diretta esercitabile anche individualmente, differentemente dall’iniziativa legislativa e dal referendum
abrogativo che costituiscono «diritti collettivi», essendo richieste dalla Costituzione per il
loro esercizio rispettivamente 50.000 e 500.000 firme.
116
Parte II: L’ordinamento della Repubblica
In particolare, il diritto di petizione:
—non richiede particolari formalità, eccettuata l’autenticazione della firma del proponente;
—non prevede la formulazione di un disegno di legge vero e proprio, come invece è richiesto per l’esercizio dell’iniziativa legislativa popolare;
—non richiede un numero minimo di firmatari;
—può avere ad oggetto tutte le materie.
Tale strumento di democrazia diretta trova riscontro nei regolamenti parlamentari della
Camera e del Senato che lo disciplinano in modo differente.
In particolare, le petizioni pervenute alla Camera sono valutate dalle commissioni competenti per materia le quali possono concludere l’esame con una risoluzione diretta ad interessare il Governo ovvero con una decisione di abbinamento con un eventuale progetto di
legge all’ordine del giorno.
Il testo della petizione può anche essere abbinato ad una mozione. In questo caso viene distribuito e stampato congiuntamente al testo della mozione relativa (art. 109 Reg. Cam.).
Al Senato l’art. 140 stabilisce che pervenuta una petizione che richieda provvedimenti legislativi o esponga comuni necessità, il Presidente ha la facoltà di disporre che venga accertata la sua autenticità e la qualità di cittadino del proponente, salvo che la petizione
sia stata presentata di persona da un Senatore. La petizione viene quindi comunicata in
sunto all’Assemblea e trasmessa alla Commissione competente per materia.
La petizione raramente ha trovato applicazione nel nostro ordinamento soprattutto perché
il Parlamento non ha l’obbligo di esaminarle.
8.La parità di accesso alle cariche elettive
In base all’art. 51 Cost. tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere alle
cariche elettive.
Al fine di dare concreta attuazione al dettato costituzionale sono state approvate in passato
alcune leggi che imponevano un determinato quorum di rappresentanza delle donne
nelle assemblee elettive (cd. quote rosa). In particolare, si fa riferimento alle due leggi
elettorali del 1993 (25-3-1993, n. 81 e 15-10-1993, n. 415), che prevedevano per i Consigli
comunali e provinciali una rappresentanza non superiore ai due terzi per ciascun sesso e per
le elezioni alla Camera dei deputati l’alternanza paritetica uomo-donna nella quota proporzionale. Tali provvedimenti sono stati, però, dichiarati costituzionalmente illegittimi dalla
Corte costituzionale con sent. 422/1995.
Nel motivare tale decisione la Corte sottolinea­va come «in tema di diritto all’elettorato passivo, la regola inderogabile stabilita dallo stesso Costituente, con il primo comma dell’art. 51, è quella dell’assoluta parità, sicché
ogni differenziazione in ragione del sesso non può che risultare oggettivamente discriminatoria, diminuendo per
taluni cittadini il contenuto concreto di un diritto fondamentale in favore di altri, appartenenti ad un gruppo che
si ritiene svantaggiato». Nella stessa sentenza, tuttavia, la Corte invitava il legislatore ad adottare provvedimenti e a promuovere iniziative dirette ad incentivare e rafforzare la presenza di donne ai vari livelli istituzionali,
invito al quale non è stato dato grande seguito.
In seguito, la L. cost. 3/2001 ha modificato l’art. 117, comma 7 Cost., stabilendo che le
«leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e
delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso
Capitolo 1: La partecipazione politica dei cittadini
117
tra donne e uomini alle cariche elettive». Per la prima volta sono state esplicitamente previste azioni positive volte a facilitare e promuovere la rappresentanza femminile nel sistema
istituzionale italiano.
Il lungo iter del principio di pari opportunità ha trovato completa attuazione con la L. cost.
30-5-2003, n. 1, che ha introdotto un nuovo periodo al primo comma dell’articolo 51 Cost.
Riprendendo quanto affermato nella prima parte del comma («Tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge»), il perio­do aggiunto recita: «A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini». Con
tale modifica si è fornita la copertura costituzionale per l’adozione di provvedimenti legislativi ad hoc che possano incentivare la partecipazione femminile alla vita pubblica.
Se il comma 1 dell’art. 51 Cost. già accoglieva il principio di uguaglianza formale, con l’inserimento del nuovo
periodo sembra chiaro l’intento del legislatore di voler dare piena applicazione anche al principio dell’uguaglianza sostanziale. È quindi possibile scorgere un filo di continuità logica tra l’art. 3 e l’art. 51 Cost., dal momento che il secondo accoglie in materia di accesso alle cariche elettive i principi di uguaglianza formale e
sostanziale previsti dal primo.
L’evoluzione dell’ordinamento italiano verso forme di maggiore garanzia delle pari opportunità tra i sessi è stata in una qualche misura influenzata anche dalla partecipazione del nostro
Paese all’Unione europea. L’art. 157 TFUE, infatti, prevede che «allo scopo di assicurare
l’effettiva e completa parità tra uomini e donne nella vita lavorativa, il principio della parità
di trattamento non osta a che uno Stato membro mantenga o adotti misure che prevedano
vantaggi specifici diretti a facilitare l’esercizio di un’attività professionale da parte del sesso
sottorappresentato ovvero a evitare o compensare svantaggi nelle carriere professionali».
Un’analoga previsione è accolta dall’art. 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea.
La facoltà di adottare provvedimenti legislativi che favoriscano la presenza femminile negli
organi elettivi è stata già utilizzata per le elezioni europee del 2004. L’art. 56 del Codice
delle pari opportunità tra uomo e donna (D.Lgs. 198/2006), infatti, prevede che nelle
liste nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei
candidati. Per le forze politiche che non rispettino tale criterio è prevista una riduzione del
rimborso per le spese elettorali.
L’ultimo intervento di rilievo è stato operato con la riforma della legge elettorale (L.
52/2015) che ha dettato una serie di norme volte a garantire un’effettiva uguaglianza uomodonna non solo vincolando la composizione delle liste elettorali e dunque la candidatura,
ma anche l’esercizio del diritto di voto.
In particolare, al fine di garantire una reale “rappresentanza di genere”, il cd. Italicum stabilisce che in ciascuna lista i candidati siano presentati in ordine alternato in base al sesso.
Sono, altresì, previste tre disposizioni a tutela della rappresentanza di genere:
1. nel complesso delle candidature circoscrizionali di ciascuna lista, nessun sesso può
essere rappresentato in misura superiore al 50%;
2. nella successione interna delle liste nei collegi, i candidati sono collocati in lista secondo un ordine alternato di genere;
3. i capolista dello stesso sesso non possono eccedere il 60% del totale in ogni circoscrizione.
118
Parte II: L’ordinamento della Repubblica
Anche il previsto elenco dei quattro candidati supplenti da allegare alla lista deve rispettare
il principio della parità.
Inoltre, ogni lista è composta da un candidato capolista (già nominato dal partito) e da un
elenco di candidati. Ogni elettore può esprimere uno o due voti di preferenza; solo in caso
di espressione della seconda preferenza, l’elettore deve scegliere un candidato di sesso diverso rispetto al primo, a pena di nullità della seconda preferenza.
9.I doveri inderogabili
L’art. 2 Cost., accanto ai diritti inviolabili, richiede l’adempimento dei «doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».
Per «doveri inderogabili» si devono intendere quei doveri dal cui adempimento nessun
soggetto può essere esentato in quanto espressione del principio di solidarietà.
Il richiamo a tali doveri contenuto nell’art. 2, comma 2, Cost. si collega al principio dell’uguaglianza sostanziale sancito dall’art. 3, comma 2, Cost. Entrambe le norme impongono ai
singoli di contribuire alla crescita democratica della società, soprattutto attraverso attività
che abbiano un’utilità sociale nelle quali possa concretizzarsi il valore della solidarietà.
In questo modo si cerca di allargare l’ambito della partecipazione alla vita sociale, economica e politica del
Paese. È questo l’obiettivo primario dello Stato sociale che si propone di realizzare condizioni effettive di
eguaglianza per tutti i cittadini adoperandosi per la risoluzione dei conflitti sociali, allo scopo di consentire ad
ogni individuo di esercitare concretamente i diritti civili e politici astrattamente riconosciuti dalla Costituzione.
L’attuale forma di Stato sociale rende indispensabile, pertanto, che ciascun cittadino adempia a quei doveri di solidarietà (menzionata come fraternità dalla Costituzione francese)
necessari per il rispetto della altrui sfera di autonomia e per assicurare la pacifica convivenza collettiva.
10. La difesa della Patria
Tra i doveri inderogabili di solidarietà politica menzionati nell’art. 2 della Costituzione si
inserisce il dovere di difesa della Patria proclamato dall’art. 52 Cost.
In particolare, il comma 1 dell’art. 52 definisce tale dovere come «sacro» non connotandolo però di alcun significato religioso, dovendosi invece intendere laicamente quale condivisione del nucleo fondante dei principi intangibili da parte dei cittadini. In questo senso la
difesa della Patria può essere adempiuta anche con forme di solidarietà nei confronti della
comunità diverse dal servizio militare armato.
La Corte costituzionale con sent. 53/1967 ha ritenuto possibile che la legge preveda l’estensione di tale dovere
anche all’apolide e allo straniero (residenti nel territorio della Repubblica) in quanto appartenenti a una comunità della quale sono tenuti a condividerne la difesa.
Il dovere di difesa della Patria si traduce, ex art. 52, comma 2, nell’obbligo di prestare il
servizio militare nei limiti e nei modi stabiliti dalla legge (D.P.R. 237/1964).
Attraverso la L. 15 dicembre 1972, n. 772 (abrogata e migliorata dalla L. 8 luglio 1998, n. 230), introducendo
un servizio civile sostitutivo e alternativo di pari durata temporale, ha riconosciuto l’obiezione di coscienza
quale diritto di quell’individuo che, contrario all’uso delle armi, non accetti l’arruolamento nelle Forze armate,
preferendo impegnarsi in attività socialmente utili.
Capitolo 1: La partecipazione politica dei cittadini
119
Sul punto, la Corte costituzionale, con sent. 164/1985 ha riconosciuto pari dignità tra servizio civile e servizio
militare sottolineando come il dovere di difendere la Patria possa essere correttamente adempiuto anche attraverso adeguati comportamenti di impegno sociale non armato.
Con la L. 14-11-2000, n. 331, il legislatore ha provveduto ad una radicale riforma delle nostre Forze armate,
introducendo il servizio militare professionale, riforma resa operativa con il D.Lgs. 8-5-2001, n. 215.
L’art. 7 di tale decreto ha sancito la sospensione del servizio obbligatorio di leva a partire dal 1° gennaio 2005.
Nello stesso anno è stata emanata la L. 6-3-2001, n. 64 che ha istituito il servizio civile nazionale che consiste
nel dedicare 12 mesi a iniziative di solidarietà sociale.
Sulla fitta trama normativa di cui sopra, in attuazione della L. 28 novembre 2005, n. 246, sono stati emanati il
D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66, cd. Codice dell’ordinamento militare e il D.P.R. 15 marzo 2010, n. 90, Testo
Unico recante disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare.
Il Codice dell’ordinamento militare, ripartito in nove libri, tratta al Libro VIII del servizio militare e del servizio degli obiettori di coscienza in tempo di guerra o di grave crisi internazionale. Esso, nell’abrogare tutti i
precedenti provvedimenti della materia (tra essi anche la citata L. 331/2000, buona parte del D.Lgs. 215/2001
e il D.Lgs. 197/2005), ne riprende in buona sostanza i contenuti, riformulandoli opportunamente.
Il Libro VIII, pertanto, apre con il richiamo all’art. 52 Cost., in attuazione del quale il servizio militare è obbligatorio nei casi e con le modalità stabilite dal Codice.
Da ultimo, con il D.Lgs. 6 marzo 2017, n. 40 (emanato in attuazione di una delega contenuta nel D.Lgs. 106/2016)
è stato istituito il cd. Servizio civile universale finalizzato alla difesa non armata e non violenta della Patria,
all’educazione, alla pace tra i popoli, nonché alla promozione di valori fondanti della Repubblica.
I settori di intervento nei quali si realizzano le finalità del servizio civile universale spaziano in svariati campi
che vanno dall’assistenza e dalla protezione civile alla tutela del patrimonio ambientale e culturale, all’agricoltura biosostenibile, fino alla tutela dei diritti umani e al sostegno delle comunità di italiani all’estero.
La programmazione del servizio civile universale è realizzata con un Piano triennale, modulato per Piani
annuali, tutti predisposti dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri cui spetta, in generale, l’organizzazione e
l’attuazione del servizio, nonché l’accreditamento degli enti presso i quali svolgerlo, le attività di controllo ed
ogni ulteriore adempimento.
11. La partecipazione alle spese dello Stato
L’art. 53 della Costituzione obbliga i cittadini e gli stranieri (che hanno interessi economici
in Italia) a concorrere alle spese pubbliche attraverso prelievi fiscali in ragione della capacità contributiva di ciascuno e secondo il criterio di progressività.
Tale articolo costituisce la disposizione principale della cd. «Costituzione fiscale» la cui
esigenza di imporre i tributi ai singoli in funzione redistributiva e proporzionale ai redditi è insopprimibile e, come ha osservato la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America, «è
tanto necessaria alla vita e alla prosperità della nazione, quanto l’aria alla vita dell’uomo».
È questa una necessità crescente dello Stato sociale per acquisire le risorse finanziarie
fondamentali atte a garantire lo sviluppo della collettività.
In particolare, gli introiti che lo Stato ricava dalle tasse devono rispondere a criteri di giustizia distributiva ed eguaglianza del carico tributario tenendo conto dei principi di
capacità contributiva, progressività dell’imposizione, nonché in ossequio al principio antielusivo che vieta al contribuente di trarre illeciti vantaggi con il sottrarsi all’obbligo contributivo.
Il potere impositivo compete al Parlamento che lo esercita nel rispetto dei più generali
principi costituzionali dell’equità e della solidarietà sociale.
Ogni individuo appartenente alla comunità nazionale è tenuto a pagare i tributi al fine di
adempiere ai «doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» e, pertanto,
120
Parte II: L’ordinamento della Repubblica
deve cooperare al benessere della collettività, secondo le sue possibilità, proprio attraverso
il versamento dei tributi.
Per ragioni di equità la pressione fiscale deve trovare adeguato bilanciamento con la capacità contributiva individuale, valutabile in termini di coerenza e ragionevolezza delle
scelte legislative.
12. Il dovere di fedeltà alla Repubblica
L’art. 54 della Costituzione impone il cd. «dovere di fedeltà» secondo cui tutti i cittadini
hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi.
Tale assunto rimanda al cd. «diritto di resistenza» dei cittadini che secondo parte della
dottrina (DE VERGOTTINI) sarebbe implicito e riconducibile al dovere in difesa delle
istituzioni: la legge, infatti, non deve essere l’espressione del libero arbitrio di un sovrano
ma la traduzione positiva dei precetti specifici e inviolabili consacrati dalla Costituzione.
Il dovere di fedeltà ai principi e ai valori fondanti della Repubblica non comporta che in suo
nome possano essere imposti limiti all’esercizio dei diritti inviolabili di libertà e si traduce per
i funzionari pubblici in un legame più forte che trova, nel giuramento di fedeltà alla Repubblica, il sigillo formale. La democrazia italiana tollera anche il dissenso ideologico più radicale, purché non si concretizzi in comportamenti materiali destinati a colpire le istituzioni
democratiche. Ecco perché la dottrina prevalente (DI GIOVINE) ritiene che il presidio penalistico del dovere di fedeltà sia l’art. 238 c.p., che punisce chiunque, anche se titolare di
cariche pubbliche di rilievo, «commette un fatto diretto a mutare la Costituzione dello Stato,
o la forma di governo con mezzi non consentiti dall’ordinamento costituzionale dello Stato».
Il patriottismo costituzionale
Il patriottismo costituzionale rappresenta il corretto atteggiamento ideologico di ogni cittadino che,
alla luce dei principi della nostra Carta fondamentale, è chiamato a difendere e controllare che non sia
violato lo spirito e la lettera della Costituzione.
Questa «vigilanza» rappresenta uno dei compiti precipui della Corte costituzionale istituzionalmente
chiamata a pronunciarsi sulla costituzionalità delle leggi.
La Corte, assieme al Presidente della Repubblica, tuttavia, non sono gli unici titolari di tale forma di
controllo in quanto il patriottismo costituzionale coinvolge in prima persona tutti i cittadini, chiamati
dalla Costituzione, all’art. 54, a un imprescindibile dovere di fedeltà alle norme da essa stabilite (e
dalle leggi in generale), e soprattutto alla Repubblica che è la forma di Stato che gli italiani hanno
scelto con referendum istituzionale del ’46.
Anche se il Costituente ha sancito tali valori per «prendere le distanze» dal regime monarchico e dal
fascismo, oggi essi rappresentano un inviolabile baluardo contro tutte le potenziali minacce, da
chiunque portate, ai principi fondanti della Repubblica. Qualsiasi forma di aggressione ai valori costituzionali rappresenta, dunque, attentato alla Costituzione che seppure riferito, ex art. 90 Cost., al solo
Presidente della Repubblica, deve ritenersi esteso a qualsiasi forza o leader politico che violi l’assetto parlamentare delineato dal Costituente.