La ricostruzione dei
fabbricati rurali
Vademecum
Ricostruzione dei ruderi: indispensabile
accertare la consistenza precedente
Ricostruzione dei ruderi
L’istituto della ristrutturazione edilizia
L'esatta
definizione
dei
limiti
dell'istituto
della
ristrutturazione edilizia rappresenta un tema di
assoluta attualità e di rinnovato interesse per tutti i
professionisti e gli operatori economici del settore. Il
Dl n. 69/2013 (c.d. «Decreto del Fare»), convertito
con L. n. 98/2013, è, infatti, intervenuto sul testo
dell'art. 3, lett. d) del Dpr 380/2001, che contiene la
definizione di tale categoria giuridica, ampliandone notevolmente l'ambito di applicazione.
In base alla nuova definizione, rientrano nella nozione di ristrutturazione edilizia anche gli
interventi «volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la
loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza», ovvero gli
interventi di ricostruzione su ruderi e di ripristino di edifici crollati o demoliti.
Questa è stata una modifica legislativa di portata sostanziale, che sembra modificare la stessa
essenza dell'istituto della ristrutturazione, così come interpretato da tempo dalla giurisprudenza
prevalente.
E’ utile analizzare il nuovo testo del decreto, fissando l’attenzione sul tema degli edifici diruti:
Art. 3 (L) – Definizioni degli interventi edilizi
1. Ai fini del presente testo unico si intendono per: [...]
d) “interventi di ristrutturazione edilizia”
Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli volti al ripristino
di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché
sia possibile accertarne la preesistente consistenza.
Il testo introdotto, in un certo senso, si autotutela con l’inserimento della clausola relativa alla
possibilità di “accertarne le preesistente consistenza“.
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È chiaro l’intento del legislatore sia, tra l’altro, quello del recupero dei vari immobili dislocati sul
territorio che si presentano in avanzato stato di vetustà, ma al fine della salvaguardia del territorio
da interventi che esulano tale principio, è stata inserita la clausola di salvaguardia relativa alla
consistenza dell’immobile.
Sino a prima della recenti modifiche dell’art. 3, la ricostruzione dei ruderi era un intervento
ammissibile solo come intervento di nuova costruzione, come le varie pronunce giurisprudenziali
hanno più volte statuito:
- Consiglio di Stato Sez. IV, 15 settembre 2006, n. 5375,
- Consiglio di Stato, Sez. V, 10 febbraio 2004, n. 475.
Ciò imponeva al richiedente il rispetto delle normative vigenti al momento della richiesta del titolo
abilitativo (permesso di costruire), quindi col rispetto di standard urbanistici, distanze ecc
Il tentativo del legislatore teso a superare queste incombenze, riconduce ora l’intervento su ruderi
alla categoria della ristrutturazione edilizia a solo a patto di poter dare evidenza della preesistente
consistenza.
Nel contesto della disciplina delle distanze legali, il Consiglio di Stato ha di recente riaffermato ciò
che, per orientamento costante della giurisprudenza, deve intendersi per componenti essenziali di
un edificio: “…i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura” (Consiglio di Stato sez. V, 11
giugno 2013, n. 3221).
È dunque chiaro che di un edificio diruto, ai sensi del nuovo disposto introdotto dal DL
69/2013, può esserne “accertata la preesistente consistenza” quando è possibile individuate le
murature perimetrali, che individueranno la sagoma della struttura, le strutture orizzontali di piano
e la copertura, che fisicamente delimita il volume preesistente occupato dal manufatto.
Chiaramente se detti elementi essenziali sono fisicamente presenti in sito, non esistono particolari
dubbi sul concetto giuridico di “preesistenza del fabbricato”, nel caso contrario potrebbe essere
discutibile la possibilità di evidenziare la consistenza.
Di questo avviso è sempre stata la massima giurisprudenza
Consiglio Stato, Sez. V, 10 febbraio 2004, n. 475
“… È evidente, anzitutto, che il manufatto in questione, come ampiamente testimoniato dalla
documentazione fotografica in atti, è ridotto ad un rudere in stato di rovina, e quindi non può
rientrare, ai sensi della legislazione provinciale, nel novero delle “costruzioni esistenti” che
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possono essere demolite e ricostruite in altro sito destinato a verde agricolo, senza modifica della
destinazione preesistente.
Manca,
infatti,
la
possibilità
di
procedere, con un sufficiente grado di
certezza,
alla
ricognizione
degli
elementi strutturali dell’edificio, in modo
tale che, seppur non necessariamente
“abitato”
o
“abitabile”, esso
possa
essere comunque individuato nei suoi
connotati
essenziali,
come
identità
strutturale, in relazione anche alla sua
destinazione
(in
casi
analoghi
la
Sezione ha preteso che l’immobile
esista quanto meno in quelle strutture essenziali che, assicurandogli un minimo di consistenza,
possano farlo giudicare presente nella realtà materiale: Cons. Stato, V, 15 marzo 1990, n. 293 e
20 dicembre 1985, n. 485).
Del resto, come chiarito dalla giurisprudenza e ribadito, da ultimo, con circolare ministeriale
(Infrastrutture e trasporti) del 7 agosto 2003, n. 4174, la c.d. demo-ricostruzione – ovvero
un’incisiva forma di recupero di preesistenze (nel caso di specie, addirittura, delocalizzabili)
comunque assimilabile alla ristrutturazione edilizia – tradizionalmente pretendeva la pressoché
fedele ricostruzione di un fabbricato identico a quello già esistente, dalla cui strutturale
identificabilità, come organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura,
non si poteva dunque, in ogni caso, prescindere.
L’attività di ricostruzione di ruderi è stata invece concordemente considerata, a tutti gli effetti,
realizzazione di una nuova costruzione (cfr. Cass. pen. 20 febbraio 2001, n. 13982; Cons. Stato,
V, 1° dicembre 1999, n. 2021).
Né di certo può considerarsi elemento influente che l’immobile in argomento, prima di cadere in
stato di assoluto degrado, sia stato abitato fino a 16 anni (periodo di tempo, del resto, non certo
irrilevante) prima dell’adozione del provvedimento impugnato”.
Cassazione penale, sez. III, 13 Aprile 2007, n. 15054
“… secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema – la ricostruzione dei ruderi costituisce
sempre
nuova
costruzione,
in
quanto
il
concetto
di
ristrutturazione
edilizia
postula
necessariamente la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, cioè di un organismo edilizio
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dotato delle murature perimetrali, strutture orizzontali e copertura. In mancanza di tali elementi
strutturali non è possibile valutare l’esistenza e la consistenza dell’edificio da consolidare ed ruderi
non possono che considerarsi alla stregua di un’area non edificata [vedi Cass., Sez. 13.1.2006,
Polverina; 4.2.2003, Pellegrino; 20.2.2001, Perfetti; nonché C. Stato, Sez. V: 28.5.2004, n. 3452;
15.4.2004, n. 2142; 1.12.1999, n. 2021; 4.8.1999, n. 398; 10.3.1997, n. 2401]”
La mancanza fisica dei connotati essenziali di un edificio può essere superata se è possibile darne
evidenza certa in forza della seguente sentenza del Consiglio di Stato che, pur ancorata al
concetto di necessità del rudere di esibire i propri connotati, da modo di poter svolgere tale ruolo
in modo, per così dire, indiretto:
Consiglio di Stato Sezione IV 8 luglio 2004 n. 5791
“… la mancanza del tetto dell’edificio originario non ne preclude, in radice, la ristrutturazione,
avuto riguardo sia alla disciplina nazionale, sia a quella urbanistica vigente nel Comune […].
Risulta, in proposito, agevole rilevare che la documentazione acquisita dal Comune […] in
occasione del rilascio delle concessioni edilizie […]. e, in particolare, i progetti allegati alle istanze
[…] si rivela senz’altro idonea ad attestare attendibilmente la volumetria del manufatto
preesistente, sicché, anche in mancanza del tetto, i dati (essenziali) della sagoma, del volume e
della superficie risultano oggettivamente verificabili sulla base delle planimetrie in possesso del
Comune (e riferite ad un tempo precedente alla parziale demolizione dell’edificio) e delle
misurazioni ancora eseguibili sulla struttura rimasta integra (muri perimetrali ed area di sedime
occupata dalla costruzione).
La ricostruzione (in particolare) della volumetria così operata e documentata deve, quindi, ritenersi
tecnicamente verificabile (in quanto fondata su parametri oggettivi) e non impraticabile […]“.
Il testo di legge appare quindi coerente con l’orientamento prevalente della giurisprudenza che
dovrà, quindi, essere il riferimento per i tecnici.
Pertanto la preesistente consistenza è rappresentata dalla presenza dei connotati essenziali di un
edificio (pareti, solai e tetto), ovvero è dimostrabile tramite apposita documentazione storica e
verifica dimensionale in sito; in caso contrario di insussistenza di tale requisito non sarà possibile
applicare l’art. 3 comma 1 lett. d) del (nuovo) DPR 38/2001.
L’intervento su rudere passa per il permesso di costruire.
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La Giurisprudenza passo per passo
In base ad un consolidato orientamento (ante riforma) delle Corti, sia amministrative che penali, il
tratto distintivo di tale istituto era, infatti, individuato nella sua precipua finalizzazione al recupero
del patrimonio edilizio esistente (cfr. Tar Campania, Salerno, 9 dicembre 2013, n. 2436; Cass.
Pen., sez. III, 21 ottobre 2008, n. 42521). Sebbene fosse pacificamente ammesso che un
intervento di ristrutturazione (anche mediante totale demolizione e ricostruzione) potesse dare
origine ad un organismo edilizio del tutto diverso dal precedente, la ratio prevalentemente
conservativa dell'istituto presupponeva, comunque, che il nuovo edificio fosse materialmente
riferibile a quello preesistente. Conseguentemente, requisito necessario affinché un determinato
intervento fosse riconducibile nell'alveo della definizione di cui all'3, lett. d) del Dpr 380/2001 e
soggetto al relativo regime normativo, era l'effettiva ed attuale preesistenza di un edificio da
ristrutturare, ossia di un fabbricato «dotato delle caratteristiche architettoniche per poter essere
considerato alla stregua di un organismo edilizio solo in parte diruto e non di un rudere, avente
una ben determinata sagoma e un ben determinato volume» (cfr. Cons. St, sez. VI, 12 aprile
2013, n. 1995) e quindi dotato di muri perimetrali, strutture orizzontali e coperture (in tal senso, cfr.
Tar Toscana, sez. III, 12 novembre 2013; Cons. St., sez IV, 13 ottobre 2010, n. 7476; Tar
Campania, 11 settembre 2009, n. 4949; Cass. Pen., sez. III, 21 ottobre 2008, n. 42521; Cons. St.,
sez. V, 3 aprile 2000, n. 1906).
La recente riforma sembra superare tale impostazione.
Essa, infatti, elidendo la finalità tipica dell'istituto in questione - ossia il recupero del patrimonio
edilizio esistente - consente di qualificare in termini di ristrutturazione interventi sia su fabbricati
privi dei requisiti strutturali minimi per essere considerati «organismi edilizi», che su edifici
interamente demoliti o crollati, anche da molto tempo, purché effettivamente esistiti.
Tale lettura estensiva sembra trovare conferma nella recentissima sentenza del Tar Toscana,
Sez. III, 21 marzo 2014, n. 567 , che ha fornito una prima interpretazione del nuovo testo dell'art.
3, lett. d) del Dpr 380/2001.
In tale pronuncia, il Collegio ha, infatti, affermato che «la nuova disciplina della ricostruzione di
ruderi sposta fattispecie che in passato sono state fatte rientrare negli interventi di nuova
edificazione nell'ambito della ristrutturazione edilizia». Tuttavia, occorre precisare che il
Legislatore, conscio delle esigenze di tutela e salvaguardia del territorio, ha subordinato
l'applicazione del regime della ristrutturazione alle ricostruzioni di edifici demoliti, oltre che al
requisito della loro «passata esistenza», anche all'accertamento della loro «preesistente
consistenza».
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Si tratta di una prova particolarmente rigorosa.
Secondo i giudici del Tar Toscana, infatti, la legittima esecuzione di un intervento di ricostruzione
su rudere a titolo di ristrutturazione richiede che «in concreto si dimostri non solo il profilo dell'an
(che un certo immobile attualmente crollato è esistito) ma anche quello del quantum», ovvero la
prova:
1) della destinazione d'uso;
2) dell'ingombro planivolumetrico complessivo del fabbricato crollato.
Proprio tale ultimo requisito presuppone «certezza in punto di murature perimetrali e di strutture
orizzontali di copertura, ai fini del calcolo del volume preesistente occupato dal fabbricato
crollato».
In base a tale ricostruzione, dunque, ove sussistano dubbi in merito all'effettive dimensioni
planivolumetriche dell'immobile diruto, l'intervento di ricostruzione non potrà essere assentito
dai competenti uffici comunali come «ristrutturazione edilizia», ma sarà soggetto al regime
delle nuove opere.
Tuttavia, nonostante il rigore mostrato dai Giudici nella valutazione dei presupposti per
l'applicazione della nuova disciplina, l'innovazione introdotta dal Legislatore appare evidente, così
come i suoi potenziali risvolti economici.
Qualificare un intervento in termini di «nuova costruzione» o «ristrutturazione» non è questione
meramente giuridica.
A differenza degli interventi di nuova edificazione, infatti, le ristrutturazioni edilizie non scontano i
limiti all'edificazione più stringenti eventualmente introdotti dagli strumenti urbanistici, né sono
soggette al rispetto delle regole sulle distanze previste dai sopravvenuti regolamenti comunali. La
riforma si traduce, pertanto, in una nuova possibilità di costruire in deroga alle previsioni sempre
più restrittive dei piani regolatori generali ed in una nuova opportunità di business per gli operatori
del settore.
In definitiva, quindi, la scelta legislativa, pur sollevando dubbi di coerenza sistematica rispetto alle
altre categorie di interventi edilizi, appare condivisibile in un'ottica prettamente economica, atteso
che la «nuova ristrutturazione» potrebbe rappresentare un utile strumento a "costo zero" per il
rilancio di un comparto industriale ormai in profonda crisi.
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N. 00567/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00230/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 230 del 2014, proposto da:
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Immobiliare El-Pa s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti
Francesco Vallini e Paolo Piemontese, con domicilio eletto presso l’avv. Paolo Piemontese in
Firenze, via del Parione, n. 13;
contro
Comune di Lastra a Signa, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Natalia
Princi, con domicilio eletto presso lo Studio Associato Gracili in Firenze, via dei Servi, n. 38;
per l'annullamento
- della nota a firma del Responsabile dell'Area 6 - Territorio e Sviluppo Economico prot. 18283 in
data 25/1172013, successivamente ricevuta, avente ad oggetto "Diniego del permesso di costruire
relativo alla pratica edilizia n. 3324 pr. 10216 del 25/6/2013";
- della nota a firma del Responsabile dell'Area 1 - Servizi tecnici e al territorio, prot. 11638 in data
18/07/2013 recante "Comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza di permesso di
costruire n. 3324 pr. 10216 del 25/06/2013, ai sensi dell'art. 10 bis della L. 241/90 e s.m. e i.",
- nonché di ogni altro atto, presupposto o consequenziale, ancorché attualmente incognito tra cui la
"Proposta motivata di provvedimento redatta in data 21/11/2013 dal Responsabile del procedimento
e dal tecnico superiore".
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Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Lastra a Signa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 marzo 2014 il dott. Riccardo Giani e uditi per le
parti i difensori P. Piemontese e N. Princi;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1 - La società ricorrente è proprietaria di un complesso immobiliare rurale in Comune di Lastra a
Signa, denominato <Fattoria di Corliano> ed ha presentato in data 25.06.2013 istanza di permesso
di costruire n.3324, prot. n. 10216, volto alla ricostruzione di edificio diruto (magazzino e piccola
residenza agricola), sul rilievo che lo stesso, non identificabile dai resti, fosse comunque
documentato dalla planimetria catastale e da foto aerea dell’epoca.
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2 - In data 18.7.2013 l’Amministrazione comunale comunicava i motivi ostativi all’accoglimento
della domanda, richiamando la giurisprudenza secondo la quale non può farsi rientrare nella
<ristrutturazione edilizia> un intervento su un rudere se non è consentita la esatta individuazione
del manufatto originario e quindi la sua fedele ricostruzione, con il risultato che nella specie si
tratterebbe di nuova edificazione, soggetta come tale a tutta la normativa urbanistica ed edilizia
vigente, in base alla quale, tra l’altro, l’edificazione in zona agricola è soggetta alla preventiva
presentazione e approvazione di PAPMAA. La società odierna ricorrente presentava le proprie
osservazioni, richiamando tra l’altro la nuova disciplina di cui all’art. 3, comma 1, lett. d) del DPR
n. 380 del 2001, così come modificato dal decreto-legge n. 69 del 2013. Il Comune di Lastra a
Signa, con il provvedimento prot. n. 18283 del 25.11.2013 negava la richiesta di permesso di
costruire.
3 – Con il ricorso introduttivo del giudizio la società <Immobiliare El-PA s.p.a.> impugna il
provvedimento di diniego e gli atti connessi, come meglio indicati in epigrafe, articolando nei loro
confronti le seguenti censure:
- “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 22, comma 7, del DPR n. 380 del 2001: violazione di
legge. Eccesso di potere per violazione delle regole del giusto procedimento, illogicità”, censurando
la motivazione del gravato provvedimento secondo la quale per la <ristrutturazione edilizia>
sarebbe necessaria la s.c.i.a., con l’effetto che non potrebbe presentarsi istanza di permesso di
costruire;
- “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 del DPR n. 380 del 2001 come modificato dall’art.
30, comma 1, lett. a) D.L. 21 giugno 2013, n. 69: violazione di legge. Eccesso di potere per difetto
dei presupposti, travisamento dei fatti, carenza di istruttoria, perplessità”, contestandosi l’assunto
dell’Amministrazione secondo cui non potrebbe parlarsi di <ristrutturazione edilizia> per la
impossibilità di accertare la preesistente consistenza del fabbricato diruto che si vuole ricostruire.
4 – Il Comune di Lastra a Signa si è costituito in giudizio per resistere al ricorso.
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5 – Chiamata la causa alla camera di consiglio del giorno 11 marzo 2014 per la decisione della
domanda cautelare, relatore il cons. Riccardo Giani, e sentiti i difensori comparsi, come da verbale,
la stessa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione nel merito, ai sensi dell’art. 60 c.p.a., dando
di ciò avviso alle parti.
6 – Con il primo mezzo parte ricorrente si duole di quel passaggio della motivazione del gravato
provvedimento di rigetto nel quale l’Amministrazione evidenzia che “la procedura attivata risulta
impropria”, perché, parlando l’istante di <ristrutturazione edilizia>, avrebbe dovuto presentare una
s.c.i.a. e non una domanda di permesso di costruire; parte ricorrente censura ciò evocando l’art. 22,
comma 7, del DPR n. 380 del 2001.
La censura è infondata.
Rileva in primo luogo il Collegio che il passaggio motivazionale censurato non assume affatto
centralità nel sorreggere il gravato diniego di permesso di costruire, che è piuttosto fondato sulla
tematica della assenza dei requisiti per ricostruire gli immobili diruti, come ristrutturazione edilizia,
profilo contestato dalla società ricorrente con il secondo motivo di ricorso. In ogni caso, in punto di
diritto, la tesi di parte ricorrente non convince; è vero infatti che l’art. 22, comma 7, del DPR n. 380
del 2001 riconosce all’interessato la facoltà di richiedere il permesso di costruire anche per
interventi edilizi sottoposti a s.c.i.a., ma si tratta di previsione che non appare costituire un principio
della materia (perché attiene a profilo meramente procedimentale che non cambia la natura
dell’intervento edilizio e la sua qualificazione giuridica), con l’effetto che essa non è applicabile in
Regione Toscana, stante la diversa scelta effettuata dal legislatore regionale, che all’art. 83, comma
4, della legge regionale n. 1 del 2005 stabilisce che “per le opere e gli interventi sottoposti a s.c.i.a.
ai sensi dell’art. 79 non può essere presentata domanda di permesso a costruire”.
7 – Con il secondo mezzo parte ricorrente censura il gravato diniego di permesso di costruire
laddove esso evidenzia che non vi sarebbero nella specie i presupposti per assentire la
ristrutturazione edilizia consistente nella ricostruzione di immobile demolito, presupposti che
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invece parte ricorrente ritiene esistenti alla luce della novità normative introdotte dal decreto-legge
n. 69 del 2013.
La censura è infondata.
In tema di <ricostruzione dei ruderi> la Sezione si è recentemente espressa con la sentenza n. 1560
del 12 novembre 2013, nella quale è stato richiamato l’orientamento giurisprudenziale prevalente
secondo cui, ai fini della sussistenza dei presupposti per la demolizione e ricostruzione (come
“ristrutturazione edilizia”), è necessario che l’edificio esista, con strutture perimetrali, orizzontali e
di copertura, con il risultato che si ha invece intervento di “nuova edificazione” in caso di ruderi,
allorquando non si disponga di elementi attuali sufficienti a dimostrare le dimensioni e le
caratteristiche dell’edificio da recuperare. Nella presente controversia, tuttavia, parte ricorrente
richiama la nuova disciplina introdotta del decreto-legge n. 69 del 2013 (convertito in legge n. 98
del 2013), che ha sul punto modificato l’art. 3, comma 1, lett. d) del DPR n. 380 del 2001, cioè la
norma che definisce l’istituto della <ristrutturazione edilizia>; a seguito di tale modifica rientrano
nella ristrutturazione edilizia anche gli interventi edilizi “volti al ripristino di edifici, o parti di essi,
eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la
preesistente consistenza”; parte ricorrente ritiene che nella specie sussistano i presupposti per
assentire l’intervento edilizio richiesto alla luce della nuova definizione normativa della
ristrutturazione edilizia. Ma la tesi di parte ricorrente non convince. Da un primo punto di vista è
vero che la nuova disciplina della <ricostruzione dei ruderi>, sposta fattispecie che in passato sono
state fatte rientrare negli interventi di “nuova edificazione” nell’ambito delle “ristrutturazione
edilizia”; tuttavia ciò avviene a precise condizioni previste dalla norma e cioè laddove si voglia
ricostruire un immobile crollato o demolito del quale “sia possibile accertare la preesistente
consistenza”. Dunque non è sufficiente che si dimostri che un immobile è esistito e che attualmente
risulta crollato per potere accedere alla sua ricostruzione come “ristrutturazione edilizia”, ma è
necessario che in concreto si dimostri non solo il profilo dell’an (che un certo immobile attualmente
crollato è esistito) ma anche quello del quantum (che cioè si dimostri l’esatta consistenza
dell’immobile preesistente del quale si richiede la ricostruzione); il risultato è che se invece si riesce
solo a dimostrare che in un certo luogo vi era in passato un immobile oggi demolito, ma non si
riesce a dimostrarne la consistenza, la sua rinnovata edificazione deve essere inquadrata come
“nuova costruzione”. Dimostrare la “preesistente consistenza” vuol dire, come anche parte
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ricorrente ammette, dar conto della “destinazione d’uso e [del]l’ingombro planivolumetrico
complessivo del fabbricato crollato”, profilo quest’ultimo che richiede certezza in punto di murature
perimetrali e di strutture orizzontali di copertura, ai fini del calcolo del volume preesistente
occupato dal fabbricato crollato. Nel caso in esame elementi fattuali aventi un qualche grado di
certezza sull’effettivo ingombro planivilumetrico dell’edificio preesistente non ci sono. Nel ricorso
e nella relazione tecnica allegata all’istanza di permesso di costruire (doc. 2 dell’Amministrazione)
si dice apertamente che l’immobile che si intende ricostruire non solo è crollato, ma è “non più
identificabile dai resti”. La documentazione che parte ricorrente ha prodotto in sede procedimentale
e anche quella aggiuntiva prodotta in giudizio, se danno conto della certa preesistenza
dell’immobile di cui si chiede la ricostruzione non consentono di ritenere accertata la sua effettiva
consistenza; se dubbi suscita l’individuazione delle dimensioni in pianta dell’edificio, che
dovrebbero ricavarsi da una vecchia mappa catastale e da un estratto del c.d. Catasto Leopoldino
(atti che non consentono di ricavare elementi quantitativi certi), sicuramente inidoneo risulta il
calcolo dell’altezza dell’edificio crollato; quest’ultimo elemento (altezza dell’edificio) è infatti
ricavato da parte ricorrente applicando, ad una foto aerea del 1965, la c.d. “teoria delle ombre”, cioè
uno studio che stima le altezze degli immobili dal confronto tra le ombre dei vari edifici, ricavabili
dalla foto, alcuni dei quali ancora esistenti: come l’Amministrazione ha ben argomentato nella
relazione tecnica del 27.2.2014 (doc. 13 del deposito dell’Amministrazione), si tratta di calcoli con
margine di errore molto alto (sino a 8 metri) e quindi con attendibilità assai ridotta, stante il fatto
che si utilizza una foto scattata a 2.800 metri di quota e in scala 1: 20.000, con il risultato che essa
non risulta idonea ad integrare la previsione normativa che richiede che sia “accertata” la
preesistente consistenza dell’immobile.
8 – Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto, ritenendo tuttavia il
Collegio che la novità della normativa in applicazione giustifichi la compensazione delle spese di
giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sezione Terza, definitivamente pronunciando
sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
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Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 11 marzo 2014 con l'intervento dei
magistrati:
Maurizio Nicolosi, Presidente
Riccardo Giani, Consigliere, Estensore
Raffaello Gisondi, Primo Referendario
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L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/03/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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