La matematica in meccanica quantistica (dispensa

Corso di Cultura e Metodo Scientifico
A.A. 2013/2014
La Matematica in Meccanica Quantistica
“Dio non gioca a dadi con l’Universo” (A. Einstein)
“Piantala di dire a Dio cosa fare con i suoi dadi” (N. Bohr)
Marco Monaci
A.A. 2013/2014
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INTRODUZIONE
La Meccanica Quantistica ha rivoluzionato il nostro modo di comprendere il mondo fisico, ad un livello mai
raggiunto prima. Nonostante la teoria quantistica abbia ormai diversi anni, ancora è un cardine fondamentale
della fisica atomica e subatomica. Ancora oggi vengono effettuati esperimenti per validare ulteriormente la
teoria, senza che essa venga falsificata da qualche risultato.
Indubbiamente il 1900 è stato il secolo della fisica: in una serie rutilante di eventi la comprensione del mondo
fisico è passata da “semplici” modelli di meccanica classica newtoniana fino ad arrivare alle più complesse e
complete teorie, dalla Relatività Generale e Ristretta fino appunto alla Meccanica Quantistica. In particolar
modo queste due teorie hanno permesso di spiegare “discrepanze” presenti in molti fenomeni, messi in
risalto da strumenti di misura indubbiamente più precisi e puntuali. Un esempio è dato dal pianeta Mercurio.
Esso risponde egregiamente alla teoria gravitazionale newtoniana, percorre una ellisse attorno al Sole, di cui
quest’ultimo occupa un fuoco. Ma se iniziamo a osservare il comportamento di Mercurio utilizzando
strumenti più precisi, ci accorgiamo che esso si discosta dalle nostre aspettative. Queste piccole discrepanze
possono essere spiegate grazie alla Relatività Generale.
Tuttavia non ci occuperemo in questa breve trattazione della Meccanica Quantistica, ma dell’impianto
matematico che sorregge come struttura la Teoria Quantistica. Il buon funzionamento di una teoria fisica è
in massima parte dovuta alla potenza degli strumenti matematici utilizzati. Un buon impianto permette di
interpretare elegantemente i dati, permette di fare previsioni e, come in una triangolazione, scoprire nuovi
risvolti partendo dagli elementi conosciuti.
Principalmente la matematica utilizzata in Meccanica Quantistica è quella sviluppata durante il XIX secolo.
Può sembrare veramente incredibile: la matematica di una teoria di appena 70 anni fa è quella sviluppata
200 anni fa! Una situazione che ricorda la scoperta del LASER, dove a tal proposito si ebbe a dire: a questo
punto dobbiamo trovare un problema per questa soluzione!
Uguale situazione con la Meccanica Quantistica. Essa è il problema che può essere risolto con una tale
matematica.
Effettivamente nel XIX secolo si cercò una sistemazione rigorosa alla matematica fino a quel punto
conosciuta. Non esisteva una vera e propria struttura organica che ne permettesse un utilizzo molto proficuo,
cosicché molti matematici si applicarono a trovarne una definitiva. Grazie a questo clima di fermento e di
contaminazione di idee, nacque l’algebra lineare e la geometria analitica. Le matrici, questi nuovi oggetti
matematici che si rivelarono ben presto estremamente potenti (a tal proposito si considerino i problemi agli
autovalori presenti in molte applicazioni di meccanica classica, come i modi normali di oscillazione), come
del resto i nuovi metodi di calcolo numerico.
Non dobbiamo in ultimo trascurare che i nuovi sviluppi matematici preludevano ad una generalizzazione
ancora più ampia degli strumenti fino ad allora conosciuti: basti pensare che vettori, matrici, matrici a più
dimensioni non sono altro che tensori. E con il calcolo tensoriale sono state raggiunte nuove vette nello studio
del mondo fisico.
A questo punto non ci resta che scoprire cosa possiamo fare con la matematica sviluppata nel XX e XXI secolo.
“Se credete di aver capito la teoria dei quanti, vuol dire che non l’avete capita” (R. Feynman)
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CAPITOLO 1. SPAZI DI HILBERT
Iniziamo ad introdurre un concetto che rappresenta uno dei
principali cardini della Meccanica Quantistica: gli spazi di Hilbert.
Uno spazio di Hilbert è la generalizzazione del più conosciuto
spazio euclideo, che per essere considerato tale deve avere le
caratteristiche che ora andiamo ad elencare.
§§1.1: SPAZI EUCLIDEI
Definizione 1. Spazio euclideo
Sia il campo dei numeri reali e sia n un numero naturale. Allora
possiamo definire una n-upla di numeri reali come una sequenza
ordinata di numeri reali:
(๐‘ฅ1 , ๐‘ฅ2 โ‹ฏ ๐‘ฅ๐‘› )
Lo spazio di tutte le n-uple di numeri reali è uno spazio vettoriale di dimensione n (infatti le n-uple
formano un insieme di generatori dello spazio n).
Definiamo le operazioni di somma e prodotto per scalare all’interno dello spazio:
๐’™ + ๐’š = (๐‘ฅ1 + ๐‘ฆ1 , ๐‘ฅ2 + ๐‘ฆ2 โ‹ฏ ๐‘ฅ๐‘› + ๐‘ฆ๐‘› )
๐‘Ž๐’™ = (๐‘Ž๐‘ฅ1 , ๐‘Ž๐‘ฅ2 โ‹ฏ ๐‘Ž๐‘ฅ๐‘› )
Tuttavia queste proprietà non bastano assolutamente ad assurgere un qualunque spazio ndimensionale in a spazio euclideo. Infatti è necessaria una ulteriore condizione, ovvero il prodotto
scalare standard, così definito:
๐‘›
⟨๐’™, ๐’š⟩ = ∑ ๐‘ฅ๐‘– ๐‘ฆ๐‘–
๐‘–=1
E’ possibile a questo punto introdurre il concetto di norma, che nello spazio euclideo si riduce ad
essere la classica “lunghezza” o “distanza” fra due punti.
โ€–๐’™โ€– = √⟨๐’™, ๐’™⟩
Nello spazio euclideo a due dimensioni tale definizione conduce poi al Teorema di Pitagora.
Ricordiamo infine che negli spazi normati (ovvero spazi in cui è definita una norma) deve essere
valida la disuguaglianza triangolare, ovvero:
โ€–๐‘ฅ + ๐‘ฆโ€– ≤ โ€–๐‘ฅโ€– + โ€–๐‘ฆโ€–
Tale proprietà è molto interessante. Infatti grazie ad essa è possibile dimostrare che ogni
successione convergente nello spazio è di Cauchy1.
Nota 1. Ogni spazio euclideo è un esempio di:
๏ƒ˜ Spazio di Hilbert a dimensione finita;
1
Detta anche successione fondamentale. Una successione è di Cauchy se, data un certo indice di soglia, la distanza fra
due elementi consecutivi il cui indice è superiore al valore di soglia è inferiore ad una distanza data a priori.
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๏ƒ˜ Spazio metrico (in cui è definita una distanza);
๏ƒ˜ Spazio normato (in cui è definita una norma).
§§1.2: SPAZI PREHILBERTIANI
Passiamo ora ad allargare l’idea di spazio euclideo, introducendo quindi gli spazi prehilbertiani. Ci
serviranno in quanto poi scopriremo che gli spazi di Hilbert (come era giusto aspettarsi, del resto!)
sono particolari spazi prehilbertiani.
Andiamo quindi a vedere le principali proprietà di suddetti spazi.
Definizione 2. Spazio prehilbertiano
Uno spazio vettoriale H su un campo dei numeri complessi si dice spazio prehilbertiano se esiste
una funzione ⟨๐‘ฅ, ๐‘ฆ⟩: ๐‡ × ๐‡ → ๐‚ tale che esistano x,y,z ∈ H e a, b ∈ e che valgano le seguenti
proprietà:
⟨๐‘ฆ, ๐‘ฅ⟩
๏ƒ˜ ⟨๐‘ฅ, ๐‘ฆ⟩ = ฬ…ฬ…ฬ…ฬ…ฬ…ฬ…ฬ…
๏ƒ˜ ⟨๐‘Ž๐‘ฅ + ๐‘๐‘ฆ, ๐‘ง⟩ = ๐‘Ž⟨๐‘ฅ, ๐‘ง⟩ + ๐‘⟨๐‘ฆ, ๐‘ง⟩
๏ƒ˜ ๐‘ฅ ≠ 0 → ⟨๐‘ฅ, ๐‘ฅ⟩ > 0
La funzione (o mappa) ⟨โˆ™,โˆ™⟩ si dice prodotto hilbertiano in H.
ฬ…ฬ…ฬ…ฬ…ฬ…ฬ…ฬ…
La terza proprietà ha senso in quanto ⟨๐‘ฅ, ๐‘ฅ⟩ = ⟨๐‘ฅ,
๐‘ฅ⟩ ed è reale.
Una funzione che segue le prime due proprietà si chiama generalmente forma sesquilineare.
Definizione 3. Forma sesquilineare
Sia V uno spazio vettoriale nel campo complesso. Una forma sesquilineare è del tipo:
๐œ‘: ๐‘ฝ × ๐‘ฝ →
Che associa ad ogni coppia v, w ∈ V lo scalare ๐œ‘⟨๐’—, ๐’˜⟩ ∈ .
A differenza della forma bilineare, la forma sesquilineare è lineare per una componente, ed
antilineare per l’altra componente. Quindi:
๏ƒ˜ ๐œ‘⟨๐’™ + ๐’š, ๐’› + ๐’˜⟩ = ๐œ‘⟨๐’™, ๐’›⟩ + ๐œ‘⟨๐’š, ๐’›⟩ + ๐œ‘⟨๐’™, ๐’˜⟩ + ๐œ‘⟨๐’š, ๐’˜⟩
๏ƒ˜ ๐œ‘⟨๐‘Ž๐’™, ๐’š⟩ = ๐‘Ž๐œ‘⟨๐’™, ๐’š⟩
๏ƒ˜ ๐œ‘⟨๐’™, ๐‘๐’š⟩ = ๐‘ฬ…๐œ‘⟨๐’™, ๐’š⟩
Con a, b ∈ , ๐’™, ๐’š, ๐’›, ๐’˜ ∈ ๐‘ฝ.
Notare appunto l’antilinearità nelle ultime due proprietà.
Un esempio di spazio prehilbertiano è dato dallo spazio vettoriale complesso n dotato del prodotto
scalare:
๐‘›
⟨๐‘ง, ๐‘ง′⟩ = ∑ ๐‘ง๐‘– ๐‘งฬ…๐‘–
๐‘–=1
Applicando la sopracitata definizione di spazio prehilbertiano, si verificano tutte le proprietà e
quindi la tesi è dimostrata.
Definizione 4. Norma in uno spazio prehilbertiano
Definiamo la norma2 di ๐‘ฅ ∈ ๐‘‹ (spazio prehilbertiano) in tal modo:
โ€–๐‘ฅโ€–๐‘‹ = √⟨๐‘ฅ, ๐‘ฅ⟩
2
In generale la norma è una funzione che assegna ad ogni vettore di uno spazio una lunghezza propria.
4
Definizione 5. Spazio normato
Uno spazio vettoriale ๐‘‹ sul campo complesso viene definito spazio normato se esiste una mappa
โ€– โ€–๐‘‹ : ๐‘‹ → (ovvero la norma di x) che verifica le seguenti proprietà:
๏ƒ˜ ∀๐‘ฅ ∈ ๐‘‹: โ€–๐‘ฅโ€– > 0 e se ๐‘ฅ ≠ 0 ⇒ โ€–๐‘ฅโ€– > 0;
๏ƒ˜ ∀๐‘ฅ ∈ ๐‘‹, ๐‘Ž ∈ : โ€–๐‘Ž๐‘ฅโ€– = |๐‘Ž| โˆ™ โ€–๐‘ฅโ€–;
๏ƒ˜ ∀๐‘ฅ, ๐‘ฆ ∈ ๐‘‹ si ha โ€–๐‘ฅ + ๐‘ฆโ€–2 ≤ (โ€–๐‘ฅโ€– + โ€–๐‘ฆโ€–)2
Se poniamo inoltre ๐‘ง = ๐‘ฅ + ๐‘ฆ e sostituiamo nella terza proprietà otteniamo:
|โ€–๐‘ฅโ€– − โ€–๐‘งโ€–| ≤ โ€–๐‘ง − ๐‘ฅโ€–
Se risulta essere uno spazio normato, possiamo renderlo uno spazio metrico introducendo la
distanza:
๐‘‘(๐‘ฅ, ๐‘ฆ) = โ€–๐‘ฅ − ๐‘ฆโ€–
Notare l’analogia con lo spazio euclideo.
A questo punto possiamo introdurre gli spazi di Hilbert. Quindi definiamo:
Definizione 6. Spazi di Hilbert e spazi di Banach
Uno spazio normato completo si dice spazio di Banach, mentre uno spazio prehilbertiano completo
si dice spazio di Hilbert.
§§1.3: SPAZI DI HILBERT
Abbiamo già avuto modo di introdurre la definizione di spazio di Hilbert, ma la riproponiamo qui in
maniera più rigorosa e concisa.
Sia ๐ป uno spazio vettoriale definito sul campo complesso. In esso sia inoltre definito un prodotto
interno (in tal caso una forma sesquilineare) ⟨โˆ™,โˆ™⟩ tale che induca sullo spazio ๐ป una distanza ๐‘‘, come
indicato precedentemente. Allora, se lo spazio metrico (๐ป, ๐‘‘) è completo, è di Hilbert.
Interessante fissare a questo punto alcune proprietà degli spazi di Hilbert, che non sono altro che
generalizzazioni delle ben più note proprietà conosciute per gli spazi metrici euclidei.
⟨๐‘ข,๐‘ฃ⟩
๏ƒ˜ L’angolo fra due vettori viene così definito: cos ๐œƒ = โ€–๐‘ขโ€–โ€–๐‘ฃโ€–;
๏ƒ˜ Il complemento ortogonale ad un sottospazio deriva direttamente dalla proprietà
precedente: ๐ป1⊥ = {๐‘ฃ ∈ ๐ป|⟨๐‘ฃ, ๐‘ข⟩ = 0, ∀๐‘ข ∈ ๐ป1 }, con ๐ป1 sottospazio di ๐ป;
๏ƒ˜ Due vettori si dicono ortonormali se sono ortogonali fra di loro e se hanno norma 1;
⟨๐‘ฃ,๐‘’⟩
๏ƒ˜ Si definisce la proiezione di un vettore ๐‘ฃ su ๐‘’ il vettore ⟨๐‘’,๐‘’⟩ ๐‘’;
๏ƒ˜ Vale la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz: |⟨๐‘ฃ, ๐‘ค⟩|2 ≤ ⟨๐‘ฃ, ๐‘ฃ⟩⟨๐‘ค, ๐‘ค⟩;
๏ƒ˜ La norma soddisfa l’identità del parallelogramma: โ€–๐‘ฃ + ๐‘คโ€–2 + โ€–๐‘ฃ − ๐‘คโ€–2 = 2โ€–๐‘ฃโ€–2 +
+2โ€–๐‘คโ€–2 ;
๏ƒ˜ Vale l’identità di Parseval (caso generalizzato del Teorema di Pitagora) per set di vettori {๐‘ฃ๐‘˜ }:
∞
2
∞
โ€–∑ ๐‘ฃ๐‘˜ โ€– = ∑โ€–๐‘ฃ๐‘˜ โ€–2
๐‘˜=1
๐‘˜=1
5
๏ƒ˜ Vale l’identità di polarizzazione:
1
⟨๐‘ฃ, ๐‘ค⟩ = (โ€–๐‘ฃ + ๐‘คโ€–2 − โ€–๐‘ฃ − ๐‘คโ€–2 + ๐‘–(โ€–๐‘ฃ + ๐‘–๐‘คโ€–2 − โ€–๐‘ฃ − ๐‘–๐‘คโ€–2 ))
4
๏ƒ˜ Per un set ortonormale di vettori {๐‘’๐‘˜ } ๐‘’ ∀๐‘ฃ vale la disuguaglianza di Bessel:
∞
⟨๐‘ฃ, ๐‘ฃ⟩ =
โ€–๐‘ฃโ€–2
≥ ∑|⟨๐‘ฃ, ๐‘’๐‘˜ ⟩|2
๐‘˜=1
๏ƒ˜ Abbiamo visto inoltre che ogni spazio di Hilbert è anche uno spazio di Banach. Il viceversa è
vero se e solo se nello spazio il prodotto scalare è indotto da una norma;
๏ƒ˜ Una base hilbertiana è formata da vettori ortonormali che generano lo spazio.
Vediamo ora come esempio uno spazio vettoriale complesso che però non è di Hilbert.
Sia infatti ๐‘‰ uno spazio vettoriale delle funzioni a quadrato sommabili e misurabili (๐ฟ2 ):
๐‘‰ = {๐‘“: ๐ด →
|∫ |๐‘“(๐‘ฅ)|2 ๐‘‘๐‘ฅ}
๐ด
Corredato dalla forma sesquilineare:
ฬ…ฬ…ฬ…ฬ…ฬ…ฬ…๐‘”(๐‘ฅ)๐‘‘๐‘ฅ
⟨๐‘“, ๐‘”⟩ = ∫ ๐‘“(๐‘ฅ)
๐ด
Tuttavia tale forma rende lo spazio
non
hilbertiano.
Infatti
è
semidefinita positiva, in quanto è
possibile trovare funzioni non
nulle tali che:
⟨๐‘“, ๐‘”⟩ = 0
Una funzione discontinua in un
singolo punto (come una delta di
Dirac) soddisfa tale caratteristica
(figura 1).
Infatti tale funzione ha misura
nulla, quindi il prodotto scalare
risulta nullo, nonostante la
funzione non sia nulla ovunque.
y
FIGURA 1
1
x
6
CAPITOLO 2. LA NOTAZIONE BRA-KET
In questo capitolo esporremo il
formalismo introdotto da Dirac per
descrivere uno stato quantico. Di solito
viene utilizzata anche per denominare
due vettori appartenenti ad uno spazio di
Hilbert. Il nome bra-ket deriva dal fatto
che un prodotto scalare fra due stati
quantici viene indicato da due parti
contenute in parentesi: โŸจ๐œŒ|๐œ‘โŸฉ, il bra โŸจ๐œŒ|, è il ket |๐œ‘โŸฉ.
Conviene però iniziare a descrivere cosa è uno stato quantico, alla luce di quanto abbiamo
precedentemente detto riguardo agli spazi di Hilbert a dimensione infinita.
§§2.1: STATI QUANTICI
Definizione 7. Stato Quantico
Lo stato quantico è definito come un vettore di uno spazio di Hilbert.
Utilizzando la notazione bra-ket, possiamo indicare un generico vettore dello spazio in questo modo:
|๐œ‘โŸฉ = ๐‘ฃ๐‘’๐‘ก๐‘ก๐‘œ๐‘Ÿ๐‘’ ๐‘‘๐‘’๐‘™๐‘™๐‘œ ๐‘ ๐‘๐‘Ž๐‘ง๐‘–๐‘œ ๐‘‘๐‘– ๐ป๐‘–๐‘™๐‘๐‘’๐‘Ÿ๐‘ก
Viene quindi naturale definire il prodotto vettoriale come:
โŸจ๐œ‘|๐œ”โŸฉ = ๐‘๐‘Ÿ๐‘œ๐‘‘๐‘œ๐‘ก๐‘ก๐‘œ ๐‘–๐‘›๐‘ก๐‘’๐‘Ÿ๐‘›๐‘œ (๐‘ฃ๐‘’๐‘ก๐‘ก๐‘œ๐‘Ÿ๐‘–๐‘Ž๐‘™๐‘’)
Anche in questo caso, gli stati quantici hanno le seguenti proprietà:
๐œ”+๐œ‘ =๐œ‘+๐œ”
(๐œ– + ๐œ”) + ๐œ‘ = ๐œ– + (๐œ” + ๐œ‘)
๐‘(๐œ‘ + ๐œ”) = ๐‘๐œ‘ + ๐‘๐œ”
(๐‘๐‘‘)๐œ‘ = ๐‘(๐‘‘๐œ‘)
0โˆ™๐œ‘ =๐ŸŽ
1โˆ™๐œ‘ =๐œ‘
Coerentemente con quanto già definito per gli spazi vettoriali. Notare che il secondo 0 è un vettore,
il vettore nullo.
Valgono anche le già note proprietà degli spazi vettoriali, come la linearità. Un set di vettori è
linearmente indipendente se:
๐‘Ž1 ๐œ‘1 + ๐‘Ž2 ๐œ‘2 + โ‹ฏ + ๐‘Ž๐‘˜ ๐œ‘๐‘˜ = 0
7
Implica:
๐‘Ž1 = ๐‘Ž2 = โ‹ฏ = ๐‘Ž๐‘˜ = 0
Valgono inoltre anche per la notazione bra-ket le seguenti proprietà:
โŸจ๐œ‘|๐‘Ž1 ๐œ”1 + ๐‘Ž2 ๐œ”2โŸฉ = ๐‘Ž1 โŸจ๐œ‘|๐œ”1 โŸฉ + ๐‘Ž2 โŸจ๐œ‘|๐œ”2 โŸฉ
ฬ…ฬ…ฬ…ฬ…ฬ…ฬ…ฬ…ฬ…
โŸจ๐œ‘|๐œ”โŸฉ = โŸจ๐œ”|๐œ‘โŸฉ
โŸจ๐œ‘|๐œ‘โŸฉ ≥ 0
L’ultima proprietà indica che il prodotto interno è definito positivo. Quindi:
โŸจ๐œ‘|๐œ‘โŸฉ = 0 ⇔ |๐œ‘โŸฉ = 0
Inoltre:
โŸจ๐‘๐œ‘|๐œ”โŸฉ = ๐‘ฬ…โŸจ๐œ‘|๐œ”โŸฉ
Che è possibile derivare dalla prima e dalla seconda proprietà.
§§2.2: IL PRODOTTO SCALARE E LE SUE PRINCIPALI PROPRIETA’
Definizione 8. Prodotto scalare interno
Definiamo il prodotto scalare come:
โŸจ๐œ‘|๐œ”โŸฉ = ∫ ฬ…ฬ…ฬ…ฬ…ฬ…ฬ…ฬ…
๐œ‘(๐‘ž) ๐œ”(๐‘ž)๐‘‘๐‘ž
Da cui deriva una norma:
โ€–๐œ‘โ€– = √โŸจ๐œ‘|๐œ‘โŸฉ
E procedendo in maniera analoga con quanto fatto nel capitolo precedente, si giunge a dimostrare
che è possibile definire una distanza, quindi lo spazio è metrico; si definisce il concetto di limite con
Cauchy; vale la disuguaglianza triangolare.
Esiste quindi un set completo di vettori ortonormali, conseguentemente è possibile scrivere ogni
vettore appartenente allo spazio come opportuna combinazione lineare dei vettori di base.
Ma ciò significa che ogni stato quantico può essere descritto in termini di stati quantici di base.
Le proprietà del prodotto scalare non sono diverse da quelle presentate nei precedenti paragrafi. Il
fatto veramente importante è che abbiamo trovato un modo per trattare gli stati quantici come
oggetti matematici, con tutte le implicazioni che seguono. Elementi apparentemente intangibili
come gli stati quantici possono essere “compresi” tramite nozioni matematiche, ed essere trattati
come tali.
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§§2.3: OPERATORI
Definizione 9. Operatore lineare
Sia ๐‘‰, ๐‘Š spazi vettoriali sul campo ๐พ. Allora una funzione ๐‘“: ๐‘‰ → ๐‘Š è chiamata operatore lineare
se soddisfa le seguenti caratteristiche:
๏ƒ˜ ๐‘“(๐‘ฅ + ๐‘ฆ) = ๐‘“(๐‘ฅ) + ๐‘“(๐‘ฆ);
๏ƒ˜ ๐‘“(๐‘Ž๐‘ฅ) = ๐‘Ž๐‘“(๐‘ฅ).
Con ๐‘Ž appartenente al campo ๐พ.
La prima proprietà è generalmente chiamata additività, la seconda omogeneità.
Gli operatori lineari sono molto utili in meccanica quantistica in quanto ci dicono come vengono
“trasformati” gli stati quantici di un osservabile quando esso viene osservato.
Consideriamo quindi un operatore lineare ๐‘Š che modifichi uno stato quantico |๐œ‘โŸฉ trasformandolo
in ๐‘Š|๐œ‘โŸฉ. Come risaputo dall’algebra lineare, l’operatore ๐‘Š è completamente definito se sono
conosciuti tutti i suoi elementi rispetto ad una base scelta {|๐‘’๐‘– โŸฉ}.
๐‘Š|๐‘’1 โŸฉ = ๐‘Š11 |๐‘’1 โŸฉ + ๐‘Š12 |๐‘’2 โŸฉ + ๐‘Š13 |๐‘’3 โŸฉ …
๐‘Š|๐‘’2 โŸฉ = ๐‘Š21 |๐‘’1 โŸฉ + ๐‘Š22 |๐‘’2 โŸฉ + ๐‘Š23 |๐‘’3 โŸฉ …
๐‘Š|๐‘’3 โŸฉ = ๐‘Š31 |๐‘’1 โŸฉ + ๐‘Š32 |๐‘’2 โŸฉ + ๐‘Š33 |๐‘’3 โŸฉ …
Con:
๐‘Š๐‘–๐‘— = ⟨๐‘’๐‘– |๐‘Š|๐‘’๐‘— ⟩
Quando un operatore agisce su uno stato ๐œ‘ trasformandolo in uno stato ๐œ”, possiamo scrivere:
⟨๐œ‘|๐‘Š|๐œ”⟩ = ∑โŸจ๐œ‘|๐‘’๐‘– โŸฉ⟨๐‘’๐‘– |๐‘Š|๐‘’๐‘— ⟩โŸจ๐‘’๐‘— |๐œ”โŸฉ
๐‘–,๐‘—
Su un bra agisce in questo modo:
โŸจ๐œ‘|๐‘Š = ∑โŸจ๐œ‘|๐‘’๐‘– โŸฉ⟨๐‘’๐‘– |๐‘Š|๐‘’๐‘— ⟩โŸจ๐‘’๐‘— |
๐‘–,๐‘—
Su un ket:
๐‘Š|๐œ”โŸฉ = ∑|๐‘’๐‘– โŸฉ⟨๐‘’๐‘– |๐‘Š|๐‘’๐‘— ⟩โŸจ๐‘’๐‘— |๐œ”โŸฉ
๐‘–,๐‘—
Come ci dice l’algebra lineare, un tale operatore può essere ben rappresentato da una matrice:
⟨๐‘’1 |๐‘Š|๐‘’1 ⟩ ⟨๐‘’1 |๐‘Š|๐‘’2 ⟩
๐‘Š = (⟨๐‘’2 |๐‘Š|๐‘’1 ⟩ ⟨๐‘’2 |๐‘Š|๐‘’2 ⟩
โ‹ฎ
โ‹ฎ
โ‹ฏ
๐‘Š11
)
=
(
๐‘Š21
โ‹ฏ
โ‹ฎ
โ‹ฑ
Un caso particolare è l’operatore lineare:
⟨๐œ‘|๐ผ|๐œ”⟩ = โŸจ๐œ‘|๐œ”โŸฉ
๐‘Š21
๐‘Š22
โ‹ฎ
โ‹ฏ
โ‹ฏ)
โ‹ฑ
9
CAPITOLO 3. I POSTULATI DELLA MECCANICA
QUANTISTICA
In questo capitolo andremo ad esporre i cinque
postulati che stanno alla base della meccanica
quantistica. Inoltre ci atterremo alla formulazione più
comunemente usata della meccanica quantistica,
ovvero l’interpretazione di Copenaghen; forti
comunque del fatto che ne esistono di diverse, come
l’interpretazione di Feynman, quella di Bohm o quella
a molti mondi3.
I postulati, in linea del tutto generale, sono i seguenti:
๏ƒ˜ Stati quantici;
๏ƒ˜ Osservabili;
๏ƒ˜ La probabilità di un risultato;
๏ƒ˜ Il collasso di una funzione d’onda;
๏ƒ˜ L’equazione di Schrödinger.
Nella letteratura questi cinque postulati vengono indicati come una soluzione parziale del problema
n°6 proposto da Hilbert. Il problema presenta una formulazione molto vaga, ma in poche parole
pretende l’assiomatizzazione di tutta la fisica4.
§§3.1: GLI STATI QUANTICI
Ad ogni sistema fisico è associato uno spazio di Hilbert ๐ป separabile a infinite dimensioni. In tale
spazio a ciascun stato del sistema è associato un vettore con una arbitraria costante moltiplicativa
(quindi indica una particolare direzione).
Convenzione vuole che si operi in modo che il prodotto vettore precedentemente definito fra gli
stessi vettori sia unitario:
โŸจ๐œ‘|๐œ‘โŸฉ = 1
Tale risultato può essere difatti raggiunto tramite opportune costanti moltiplicative.
La scelta di una costante mantiene una arbitrarietà nella fase di un vettore, ovvero:
๐‘’ ๐‘–๐›ผ |๐œ‘โŸฉ = |๐œ‘โŸฉ
Questo per ∀๐›ผ appartenente al campo dei complessi.
3
In appendice approfondiremo un poco questa tipologia di interpretazione solo a livello qualitativo, in quanto molto
interessante dal punto di vista concettuale.
4
Tale problema logicamente non conosce ancora una soluzione univoca, né tantomeno si intravede una soluzione
definitiva. Inoltre, se la fisica fosse totalmente assiomatica, sarebbe sottoposta anche ai teoremi di incompletezza di
Gödel, con le conseguenti implicazioni.
10
§§3.2: LE OSSERVABILI
A ciascuna grandezza osservabile ๐ด è associato un operatore lineare autoaggiunto ๐ดฬ‚ nello spazio di
hilbert ๐ป. L’insieme dei valori possibili per la misura della grandezza è data dallo spettro
dell’operatore ad esso associato.
Tale risultato è molto importante, tuttavia per comprenderlo fino in fondo è necessario definire
cosa sia un operatore lineare autoaggiunto e cosa sia uno spettro di un operatore.
Definizione 10. Operatore lineare autoaggiunto.
Sia ๐ธ uno spazio vettoriale e sia ๐‘Š un operatore lineare definito su un insieme ๐ท(๐‘Š) ⊂ ๐ธ e con
valori definiti nel duale continuo ๐ธ* di ๐ธ.
๐‘Š è detto simmetrico se:
⟨๐‘Š๐‘ฅ, ๐‘ฆ⟩ = ⟨๐‘ฅ, ๐‘Š๐‘ฆ⟩
Per ogni coppia di elementi ๐‘ฅ, ๐‘ฆ ⊂ ๐ท(๐‘Š). ๐‘Š viene chiamato hermitiano se è simmetrico è ๐ท(๐‘Š) è
denso in ๐ธ. Allora, indicato con ๐‘Š † l’operatore aggiunto5, ๐‘Š è autoaggiunto se risulta essere ๐‘Š † =
๐‘Š.
Definizione 11. Spettro di una applicazione lineare.
Sia ๐‘“: ๐‘‰ → ๐‘‰ un endomorfismo di uno spazio vettoriale ๐‘‰. Se indichiamo con ๐œ†๐‘– i vari autovalori
dell’applicazione lineare, lo spettro è definito come l’insieme di tutti gli autovalori:
๐‘ ๐‘(๐‘“) = {๐œ†๐‘– }
Con tali definizioni, possiamo asserire che la linearità dell’operatore garantisce che lo spettro sia
rappresentabile tramite una matrice in una qualche base, mentre il fatto che l’operatore sia
hermitiano ci garantisce che lo spettro sopra citato è formato da autovalori tutti reali.
§§3.3: LA PROBABILITA’ DI UN RISULTATO
Se il sistema fisico si trova in uno stato |๐œ‘โŸฉ, la probabilità che l’osservazione di una grandezza
osservabile W dia come risultato un certo valore ๐›ผ è direttamente proporzionale alla quantità
|โŸจ๐›ผ|๐œ‘โŸฉ|2 .
All’interno di tale postulato è forse custodita la più grande rivoluzione del pensiero scientifico: in
altre parole, la meccanica quantistica non produce risultati deterministici, come la meccanica
classica, ma solo risultati probabilistici. Quindi il risultato di qualsiasi calcolo quantistico è una
distribuzione di probabilità, e non un risultato, per così dire, netto.
L’unica certezza che abbiamo è la seguente: se un sistema si trova esattamente su un autostato |๐›ผโŸฉ,
la probabilità di trovare come risultato proprio ๐›ผ è dato da |โŸจ๐›ผ|๐›ผโŸฉ|2 = 1. Ovviamente è come
ottenere testa o croce da un lancio. La probabilità è esattamente uguale a 1.
5
Possiamo indicare l’operatore aggiunto come la generalizzazione del trasposto coniugato di una matrice quadrata nel
caso di dimensioni infinite.
11
§§3.4: IL COLLASSO DI UNA FUNZIONE D’ONDA
La misura di un osservabile ๐ด su uno stato |๐œ‘โŸฉ che produce una distribuzione di probabilità ๐›ผ
proietta |๐œ‘โŸฉ sull’autospazio di ๐›ผ.
Questo postulato è uno dei più controversi della meccanica quantistica. Infatti asserisce che anche
il solo evento osservativo modifica lo stato del sistema. Un tale comportamento, completamente
sconosciuto e non previsto dalla teoria classica, si rende evidente con il famoso esperimento delle
due fenditure effettuato con elettroni.
Per comprendere meglio tale cruciale postulato riportiamo due immagini rese celebri da Richard
Feynman nei “Sei pezzi meno facili”.
Immaginiamo di avere a
disposizione un cannoncino
elettronico. Possiamo per
esempio
utilizzare
un
piccolo filamento portato
all’incandescenza6. Ci sia
inoltre un pannello con due
fenditure molto strette.
Infine
poniamo
uno
schermo completamente
opaco in cui sia possibile
individuare gli elettroni, utilizzando per esempio un detector mobile.
Allora, se non perturbiamo l’esperimento, quindi non emettendo particelle quali fotoni (cosa
impossibile, infatti il detector per rilevare le particelle deve farle interagire con qualche cosa)
osserveremmo una distribuzione di probabilità dei fotoni come quella riportata nella figura a destra.
Non noteremmo nessun effetto di interferenza.
Se invece osserviamo fattivamente l’esperimento, quindi utilizzando un detector reale e non ideale,
la situazione sarebbe questa:
In tal caso identificheremmo
una figura di interferenza.
Questo radicale cambiamento
è spiegato dal postulato
appena introdotto, ovvero che
l’osservazione stessa modifica
in maniera pesante la
distribuzione di probabilità
risultante.
6
Per effetto termoionico vengono emessi elettroni che poi possono essere collimati in un fascio utilizzando uno schermo
con un piccolo foro.
12
§§3.5: L’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER
L’equazione di Schrödinger, formulata nel 1926, si prefigge di descrivere il comportamento e
l’evoluzione temporale dei sistemi quantistici. Essa si presenta come una equazione differenziale
lineare, la cui incognita è la funzione d’onda. Tale affermazione è però piuttosto forte, in quanto si
asserisce che qualunque fenomeno possa essere ridotto ad un fenomeno ondulatorio. Tale ipotesi
è stata suffragata da evidenze sperimentali, quali gli esperimenti condotti da Davisson e Germer7.
Nell’interpretazione maggiormente utilizzata, vale a dire quella di Copenaghen, il modulo quadro di
una funzione d’onda indica la probabilità di trovare un determinato osservabile in una particolare
configurazione,
La forma più generale dell’equazione di Schrödinger è la seguente:
๐‘–ฤง
๐œ•
ฬ‚ (๐‘žฬ‚, ๐‘ฬ‚ , ๐‘ก)๐›น(๐‘ž, ๐‘ก)
๐›น(๐‘ž, ๐‘ก) = ๐ป
๐œ•๐‘ก
Ovvero con:
๏ƒ˜ ฤง = โ„Ž⁄2๐œ‹, con โ„Ž costante di Plank8;
๏ƒ˜ ๐‘ž, ๐‘ sono le coordinate generalizzate già viste in meccanica classica;
๏ƒ˜ ๐›น(๐’“, ๐‘ก) indica una funzione d’onda, come si vede dipendente dalla posizione e dal tempo;
ฬ‚ indica l’operatore hamiltoniano9 (anche hermitiano).
๏ƒ˜ ๐ป
Per quanto possa sembrare strano, l’equazione sopra riportata sostituisce l’equazione di Newton nella
meccanica quantistica.
Possiamo ricondurre la hamiltoniana classica all’hamiltoniana quantistica in questo modo:
ฬ‚ (๐‘žฬ‚, ๐‘ฬ‚ , ๐‘ก) = ๐ป(๐‘ž, ๐‘, ๐‘ก)|
๐ป
๐œ•
๐œ•๐‘ž
๐‘ž→๐‘žฬ‚=๐‘ž;๐‘→๐‘ฬ‚=−๐‘–ฤง
Dove appunto ๐ป(๐‘ž, ๐‘, ๐‘ก) è l’hamiltoniana classica.
La regola fondamentale della meccanica quantistica è il passaggio dall’hamiltoniana ๐ป alla derivata parziale
rispetto al tempo della funzione d’onda e dalle coordinate generalizzate alle derivate parziali rispetto alle
coordinate spaziali. In altri termini:
๐ป → ๐‘–ฤง
๐œ•
;
๐œ•๐‘ก
๐‘๐‘– → −๐‘–ฤง
๐œ•
๐œ•๐‘ฅ๐‘–
La relazione tra l’impulso e l’energia
๐ป = ๐ป(๐‘ž, ๐‘, ๐‘ก)
Si traduce in una condizione sullo stato fisico, appunto una funzione d’onda, che è l’equazione di
Schrödinger. Ora, come si può verificare che la generalizzazione della meccanica quantistica sia
valida anche per il “mondo classico”? Proprio come per la relatività, in cui l’approssimazione ๐‘ฃ โ‰ช ๐‘
7
Nel 1927 Clinton Davisson e Lester Germer utilizzarono elettroni come proiettili su un bersaglio di nichel cristallino.
Venne identificata la dipendenza dell’angolo di riflessione da quello incidente, e si ottenne un pattern di diffrazione
estremamente simile a quello previsto per i raggi X, confermando quindi la natura ondulatoria degli elettroni.
8
6.626069*10-34 J*s.
9
ฬ‚ = ๐‘‡ฬ‚ + ๐‘‰ฬ‚, ovvero somma dell’energia cinetica e potenziale.
Con ๐ป
13
ci riconduce alle leggi di composizione delle velocità classiche, così l’approssimazione in meccanica
quantistica di ฤง → 010 ci riporta alla meccanica classica.
Per esempio, per una particella che si muove in uno spazio a tre dimensioni, possiamo scrivere
l’hamiltoniana:
๐’‘2
๐ป=
+ ๐‘‰(๐’“)
2๐‘š
Dove ๐‘‰(๐’“) è un generico potenziale dipendente dalla posizione ๐’“(๐‘ฅ, ๐‘ฆ, ๐‘ง). In versione quantistica
tale hamiltoniana diventa:
๐ป=−
ฤง2 2
∇ ๐›น0 + ๐‘‰(๐’“)
2๐‘š
Ed è inoltre hermitiano.
Il valor medio dell’operatore hamiltoniano sullo stato ๐›น(๐‘ฅ):
ฬ…ฬ…ฬ…ฬ…
๐ป๐›น = ∫ ๐›น ∗ (๐‘ฅ)๐ป๐›น(๐‘ฅ)๐‘‘๐‘ฅ
Rappresenta il valore di aspettazione dell’energia.
Nel limite non relativistico, per sistemi scleronomi11, vale la seguente:
(๐‘–ฤง
๐œ•
ฤง2 2
+
∇ − ๐‘‰(๐’“)) ๐›น(๐‘ž, ๐‘ก) = 0
๐œ•๐‘ก 2๐‘š
Che rappresenta una sorta di conservazione dell’energia.
10
โ„Ž
Questo è un passaggio cruciale che va approfondito. Infatti la costante di Plank ridotta, ovvero , permette la
2๐œ‹
quantizzazione di grandezze fisiche quali l’energia, la quantità di moto e il momento angolare. In altre parole, non ci
permette di compiere approssimazioni proprie della fisica classica, come ridurre tutto al continuo. Infatti in fisica classica
le quantità che utilizziamo sono naturalmente continue e “isotrope”, in quanto non fanno salti. Un concetto che già fu
espresso secoli fa, con Aristotele e poi Leibniz: natura non facit saltus. Questa concezione viene a mancare con la
meccanica quantistica, in quanto è presente la costante di Plank ridotta, che non ci permette di andare oltre una
quantità seppur piccola, ma finita e discreta. Il passaggio interessante è che se noi eseguiamo la seguente
approssimazione, โ„Ž → 0, ovvero con una approssimazione al continuo, ritorniamo pari pari alla fisica classica.
11
Ovvero costituiti da vincoli che non dipendono dal tempo. In altre parole, vincoli fissi.
14
APPENDICE A.
L’INTERPRETAZIONE
A MOLTI MONDI
L’interpretazione che presentiamo fu
formulata nel 1957 dal fisico e
matematico
statunitense
Hugh
Everett
III,
e
si
discosta
dall’interpretazione “classica” e
generalmente accettata, quella di
Copenaghen. Ha avuto e ha tutt’ora
giudizi discordanti: c’è chi la ritiene valida, c’è chi invece asserisce che tale interpretazione sia solo
una mistificazione della meccanica quantistica. Fatto sta che tale interpretazione, sia per la sua
portata intellettuale, che per le interessantissime conseguenze che porta in grembo, debba essere
per lo meno citata.
L’interpretazione si basa su un fatto concettualmente interessante: ogni qualvolta si esegue un
esperimento, il sistema di laboratorio si scinde in due sottosistemi, che evolvono secondo la
equazione di Schrödinger, in cui entrambi risultati sono possibili. Tale ultima affermazione viene
generalmente indicata come:
Postulato di Everett. Tutti i sistemi isolati evolvono secondo l’equazione di Schrödinger.
Negli anni ’20 molti si posero un problema fondamentale: se possiamo descrivere al meglio ogni
sistema fisico utilizzando opportuni vettori in uno spazio di Hilbert, e se tali vettori possono
combinarsi nelle più disparate combinazioni lineari, come mai il mondo macroscopico lo osserviamo
solo in autostati ben precisi, e non osserviamo fenomeni di interferenza o altri tipici della meccanica
quantistica? Come mai la Natura “sceglie” deliberatamente di tenere nascosto il comportamento
quantistico nel mondo subatomico?
Questa domanda trovò la sua risposta nell’interpretazione di Copenaghen: nel momento in cui viene
eseguita una osservazione del fenomeno, la funzione d’onda “collassa” riducendosi alla sola
alternativa percepita.
L’interpretazione di Everett sul fenomeno dell’osservazione è leggermente diversa: infatti
l’osservatore non è esterno al sistema, ma direttamente collegato ad esso. In altre parole,
l’evoluzione del sistema è dipendente dall’osservatore.
Quindi possiamo considerare un grande sistema, formato a sua volta da due sottosistemi
dipendenti, ovvero il vero e proprio sistema osservato e l’osservatore stesso. In tal modo,
l’evoluzione del sistema può essere studiata solo a posteriori, aprendo infinite possibilità e infinite
soluzioni.
La differenza sostanziale può essere espressa, in maniera del tutto euristica, in questo modo:
l’interpretazione di Copenaghen afferma che sono possibili più evoluzioni del sistema, ma che
collassano tutti tranne uno a seguito dell’osservazione. L’interpretazione di Everett invece asserisce
15
che infinite evoluzioni sono possibili, e ne viene “scelta” una nel momento in cui si va ad osservare
un fenomeno, senza che necessariamente si verifichi il collasso della funzione d’onda.
Tale impostazione trova i maggiori estimatori nel ramo cosmologico: non sono per il minor senso di
responsabilità che viene a gravare sulle spalle dei ricercatori (molti ricercatori si sentono a disagio
sapendo che quando compiono una osservazione collassa la funzione d’onda dell’intero Universo12),
ma anche perché offre la possibilità di esaminare diverse storie e diversi sviluppi dell’universo
stesso, senza preoccuparsi che tale storia dipenda (con il collasso della funzione d’onda)
dall’osservazione di un osservatore senziente o meno.
A tale impostazione della meccanica quantistica si stanno avvicinando diversi fisici teorici,
soprattutto nel campo della meccanica quantistica computazionale. Tuttavia non mancano anche le
critiche: una per tutte quella dell’impossibilità di discernere quale sarà il risultato incontrovertibile
di un esperimento scientifico: tutte le possibili soluzioni sono confuse in un futuro non
determinabile a priori, nemmeno con una analisi teorica.
12
Jonathan J. Halliwell.
16
APPENDICE B. ALCUNI ESPERIMENTI
Riportiamo infine in questa sezione due esperimenti,
entrambi mentali, riguardanti la meccanica
quantistica e le sue interpretazioni. Il primo,
sicuramente il più famoso e da cui non possiamo
prescindere, e quello del gatto di Schrödinger. Il
secondo, dal nome estremamente accattivante, è
più che altro una speculazione filosofica.
IL GATTO DI SCHRÖDINGER
L’esperimento venne proposto come critica
all’interpretazione di Copenaghen della meccanica
quantistica.
Infatti,
secondo
Schrödinger,
l’applicazione di tale interpretazione possa portare a
risultati del tutto inaspettati e impossibili a livello macroscopico.
Si consideri quindi un apparato sperimentale composto da una scatola, un elemento radioattivo, un
contatore Geiger e una fiala contenente cianuro che può essere rotta da un martelletto. Si collega il
contatore Geiger al martelletto, in modo che se il contatore percepisce un decadimento, aziona un
meccanismo che fa cadere il martelletto rompendo la fiala. Ignara cavia dell’esperimento è un gatto,
che viene sigillato nella scatola.
Passato un periodo pari al tempo di dimezzamento, possiamo asserire che possono essersi verificati
due fenomeni, con uguale probabilità:
๏ƒ˜ E’ avvenuto un decadimento, con il risultato che il gatto è stato ucciso dal veleno contenuto
nella fiala;
๏ƒ˜ Non è avvenuto alcun decadimento, e il gatto è vivo e vegeto.
Secondo l’interpretazione di Copenaghen, i due stati coesistono (ovvero il gatto è sia vivo che morto)
fino a quando non viene aperta la scatola: a quel punto una delle due funzioni d’onda collassa
palesando il risultato.
Tuttavia tale interpretazione non convinse affatto Schrödinger. E’ possibile applicare al mondo
“classico” la meccanica quantistica senza cadere in evidenti paradossi?
Una critica più fine venne data da Bohr. Infatti, lo stesso sistema sperimentale, quindi anche il gatto,
esegue una sorta di “osservazione”, con il fatto di far collassare una delle due funzioni d’onda a
prescindere che lo sperimentatore apra la scatola o meno. In altri termini, il gatto è sempre o solo
vivo, o solo morto.
L’interpretazione di Everett invece è diversa. Non avvengono paradossi, come sottolineato invece
da Schrödinger. Il gatto è sia vivo che morto, in quanto sono possibili entrambi gli stati. Vengono a
crearsi quindi due universi differenti, in ognuno dei quali è presente un evento. Non c’è paradosso
in quanto l’osservatore è già all’interno di una delle due evoluzioni del sistema, come tutto il
restante universo, e quindi non può rendersene conto.
17
IL SUICIDIO QUANTISTICO13
L’esperimento descritto è altamente speculativo, ma mette in luce la sconcertante struttura della
Meccanica Quantistica. Il Suicidio Quantistico è un rifacimento dell’esperimento di Schrödinger, dal
punto di vista del gatto, o meglio, dello sperimentatore. Con tale esperimento si cercano di mettere
in luce le differenze delle interpretazioni quantistiche, quali quella di Copenaghen e quella a molti
mondi.
Si consideri quindi una pistola carica puntata alla tempia di uno sperimentatore. Tale pistola è
collegata ad un atomo radioattivo come nell’esperimento precedente. Nell’interpretazione di
Copenaghen, esiste il 50% di probabilità che il ricercatore sopravviva. Nell’interpretazione a molti
mondi, invece, ad ogni esperimento il sistema si suddivide in due sottosistemi in cui avvengono
entrambi i fenomeni. Tuttavia in questo modo il ricercatore raggiunge una sorta di “immortalità
quantistica” in quanto esisterà sempre un sottosistema in cui esso è vivo.
Ora, poiché il ricercatore è un essere senziente, e se la teoria a molti mondi è corretta, il ricercatore
noterà che è impossibile rimanere uccisi dall’esperimento, in quanto si svilupperanno sempre
sottosistemi in cui esso stesso è vivo (e sono tutti sistemi equiprobabili). Proverà quindi una
immunità che può sembrare paradossale.
Nell’interpretazione di Copenaghen invece il ricercatore potrà notare solo due eventi: o la
sopravvivenza o la morte.
Ora, tale esperimento mette in luce il fatto che le due interpretazioni siano sostanzialmente
incompatibili fra loro. Se tale esperimento potesse essere effettuato, saremmo in grado di rilevare
quale interpretazione sia quella corretta.
13
Hans Moravec, Bruno Marchal. 1988.
18
BIBLIOGRAFIA
[1] Kenichi Konishi. Dispense di Meccanica Quantistica. 2004.
[2] Paolo Caressa. Metodi Matematici per la Meccanica Quantistica. 1994.
[3] Richard Feynman. La fisica di Feynman, volume 3. Zanichelli 1964.
[4] Richard Feynman. Sei pezzi meno facili. Adelphi 1997.
[5] Paul Dirac. I principi della Meccanica Quantistica. Bollati Boringhieri 1971.
Per l’impostazione generale del testo si sono utilizzate le numerose risorse della rete, come le pagine
di Wikipedia in inglese e Matematicamente.
FONTI DELLE FIGURE E ILLUSTRAZIONI
[pag 2] Wikimedia Commons.
[pag 6] Wikimedia Commons.
[pag 9] Wikimedia Commons.
[pag 11] Scansioni dal libro “Sei pezzi meno facili”.
[pag 14] Wikimedia Commons.
[pag 16] Scansione da albo Dylan Dog n° 240, Ucronia.
19
SOMMARIO
INTRODUZIONE……………………………………………………………………………………………………………. 1
SPAZI DI HILBERT………………………………………………………………………………………………………….. 2
Spazi euclidei……………………………………………………………………………………………….. 2
Spazi prehilbertiani………………………………………………………………………………………. 3
Spazi di Hilbert……………………………………………………………………………………………... 4
LA NOTAZIONE BRA-KET………………………………………………………………………………………………. 6
Stati quantici………………………………………………………………………………………………… 6
Il prodotto scalare e le sue principali proprietà……………………………………………. 7
Operatori……………………………………………………………………………………………………… 8
I POSTULATI DELLA MECCANICA QUANTISTICA……………………………………………………………. 9
Gli stati quantici……………………………………………………………………………………………. 9
Le osservabili………………………………………………………………………………………………… 10
La probabilità di un risultato…………………………………………………………………………. 10
Il collasso di una funzione d’onda…………………………………………………………………. 11
L’equazione di Schrödinger…………………………………………………………………………… 12
APPENDICE A. L’INTERPRETAZIONE A MOLTI MONDI……………………………………………………. 14
APPENDICE B. ALCUNI ESPERIMENTI…………………………………………………………………………….. 16
Il gatto di Schrödinger…………………………………………………………………………………… 16
Il suicidio quantistico…………………………………………………………………………………….. 17
BIBLIOGRAFIA……………………………………………………………………………………………………………….. 18
FONTI DELLE FIGURE E ILLUSTRAZIONI………………………………………………………………………….. 18