Corso di Cultura e Metodo Scientifico A.A. 2013/2014 La Matematica in Meccanica Quantistica “Dio non gioca a dadi con l’Universo” (A. Einstein) “Piantala di dire a Dio cosa fare con i suoi dadi” (N. Bohr) Marco Monaci A.A. 2013/2014 1 INTRODUZIONE La Meccanica Quantistica ha rivoluzionato il nostro modo di comprendere il mondo fisico, ad un livello mai raggiunto prima. Nonostante la teoria quantistica abbia ormai diversi anni, ancora è un cardine fondamentale della fisica atomica e subatomica. Ancora oggi vengono effettuati esperimenti per validare ulteriormente la teoria, senza che essa venga falsificata da qualche risultato. Indubbiamente il 1900 è stato il secolo della fisica: in una serie rutilante di eventi la comprensione del mondo fisico è passata da “semplici” modelli di meccanica classica newtoniana fino ad arrivare alle più complesse e complete teorie, dalla Relatività Generale e Ristretta fino appunto alla Meccanica Quantistica. In particolar modo queste due teorie hanno permesso di spiegare “discrepanze” presenti in molti fenomeni, messi in risalto da strumenti di misura indubbiamente più precisi e puntuali. Un esempio è dato dal pianeta Mercurio. Esso risponde egregiamente alla teoria gravitazionale newtoniana, percorre una ellisse attorno al Sole, di cui quest’ultimo occupa un fuoco. Ma se iniziamo a osservare il comportamento di Mercurio utilizzando strumenti più precisi, ci accorgiamo che esso si discosta dalle nostre aspettative. Queste piccole discrepanze possono essere spiegate grazie alla Relatività Generale. Tuttavia non ci occuperemo in questa breve trattazione della Meccanica Quantistica, ma dell’impianto matematico che sorregge come struttura la Teoria Quantistica. Il buon funzionamento di una teoria fisica è in massima parte dovuta alla potenza degli strumenti matematici utilizzati. Un buon impianto permette di interpretare elegantemente i dati, permette di fare previsioni e, come in una triangolazione, scoprire nuovi risvolti partendo dagli elementi conosciuti. Principalmente la matematica utilizzata in Meccanica Quantistica è quella sviluppata durante il XIX secolo. Può sembrare veramente incredibile: la matematica di una teoria di appena 70 anni fa è quella sviluppata 200 anni fa! Una situazione che ricorda la scoperta del LASER, dove a tal proposito si ebbe a dire: a questo punto dobbiamo trovare un problema per questa soluzione! Uguale situazione con la Meccanica Quantistica. Essa è il problema che può essere risolto con una tale matematica. Effettivamente nel XIX secolo si cercò una sistemazione rigorosa alla matematica fino a quel punto conosciuta. Non esisteva una vera e propria struttura organica che ne permettesse un utilizzo molto proficuo, cosicché molti matematici si applicarono a trovarne una definitiva. Grazie a questo clima di fermento e di contaminazione di idee, nacque l’algebra lineare e la geometria analitica. Le matrici, questi nuovi oggetti matematici che si rivelarono ben presto estremamente potenti (a tal proposito si considerino i problemi agli autovalori presenti in molte applicazioni di meccanica classica, come i modi normali di oscillazione), come del resto i nuovi metodi di calcolo numerico. Non dobbiamo in ultimo trascurare che i nuovi sviluppi matematici preludevano ad una generalizzazione ancora più ampia degli strumenti fino ad allora conosciuti: basti pensare che vettori, matrici, matrici a più dimensioni non sono altro che tensori. E con il calcolo tensoriale sono state raggiunte nuove vette nello studio del mondo fisico. A questo punto non ci resta che scoprire cosa possiamo fare con la matematica sviluppata nel XX e XXI secolo. “Se credete di aver capito la teoria dei quanti, vuol dire che non l’avete capita” (R. Feynman) 2 CAPITOLO 1. SPAZI DI HILBERT Iniziamo ad introdurre un concetto che rappresenta uno dei principali cardini della Meccanica Quantistica: gli spazi di Hilbert. Uno spazio di Hilbert è la generalizzazione del più conosciuto spazio euclideo, che per essere considerato tale deve avere le caratteristiche che ora andiamo ad elencare. §§1.1: SPAZI EUCLIDEI Definizione 1. Spazio euclideo Sia il campo dei numeri reali e sia n un numero naturale. Allora possiamo definire una n-upla di numeri reali come una sequenza ordinata di numeri reali: (๐ฅ1 , ๐ฅ2 โฏ ๐ฅ๐ ) Lo spazio di tutte le n-uple di numeri reali è uno spazio vettoriale di dimensione n (infatti le n-uple formano un insieme di generatori dello spazio n). Definiamo le operazioni di somma e prodotto per scalare all’interno dello spazio: ๐ + ๐ = (๐ฅ1 + ๐ฆ1 , ๐ฅ2 + ๐ฆ2 โฏ ๐ฅ๐ + ๐ฆ๐ ) ๐๐ = (๐๐ฅ1 , ๐๐ฅ2 โฏ ๐๐ฅ๐ ) Tuttavia queste proprietà non bastano assolutamente ad assurgere un qualunque spazio ndimensionale in a spazio euclideo. Infatti è necessaria una ulteriore condizione, ovvero il prodotto scalare standard, così definito: ๐ 〈๐, ๐〉 = ∑ ๐ฅ๐ ๐ฆ๐ ๐=1 E’ possibile a questo punto introdurre il concetto di norma, che nello spazio euclideo si riduce ad essere la classica “lunghezza” o “distanza” fra due punti. โ๐โ = √〈๐, ๐〉 Nello spazio euclideo a due dimensioni tale definizione conduce poi al Teorema di Pitagora. Ricordiamo infine che negli spazi normati (ovvero spazi in cui è definita una norma) deve essere valida la disuguaglianza triangolare, ovvero: โ๐ฅ + ๐ฆโ ≤ โ๐ฅโ + โ๐ฆโ Tale proprietà è molto interessante. Infatti grazie ad essa è possibile dimostrare che ogni successione convergente nello spazio è di Cauchy1. Nota 1. Ogni spazio euclideo è un esempio di: ๏ Spazio di Hilbert a dimensione finita; 1 Detta anche successione fondamentale. Una successione è di Cauchy se, data un certo indice di soglia, la distanza fra due elementi consecutivi il cui indice è superiore al valore di soglia è inferiore ad una distanza data a priori. 3 ๏ Spazio metrico (in cui è definita una distanza); ๏ Spazio normato (in cui è definita una norma). §§1.2: SPAZI PREHILBERTIANI Passiamo ora ad allargare l’idea di spazio euclideo, introducendo quindi gli spazi prehilbertiani. Ci serviranno in quanto poi scopriremo che gli spazi di Hilbert (come era giusto aspettarsi, del resto!) sono particolari spazi prehilbertiani. Andiamo quindi a vedere le principali proprietà di suddetti spazi. Definizione 2. Spazio prehilbertiano Uno spazio vettoriale H su un campo dei numeri complessi si dice spazio prehilbertiano se esiste una funzione 〈๐ฅ, ๐ฆ〉: ๐ × ๐ → ๐ tale che esistano x,y,z ∈ H e a, b ∈ e che valgano le seguenti proprietà: 〈๐ฆ, ๐ฅ〉 ๏ 〈๐ฅ, ๐ฆ〉 = ฬ ฬ ฬ ฬ ฬ ฬ ฬ ๏ 〈๐๐ฅ + ๐๐ฆ, ๐ง〉 = ๐〈๐ฅ, ๐ง〉 + ๐〈๐ฆ, ๐ง〉 ๏ ๐ฅ ≠ 0 → 〈๐ฅ, ๐ฅ〉 > 0 La funzione (o mappa) 〈โ,โ〉 si dice prodotto hilbertiano in H. ฬ ฬ ฬ ฬ ฬ ฬ ฬ La terza proprietà ha senso in quanto 〈๐ฅ, ๐ฅ〉 = 〈๐ฅ, ๐ฅ〉 ed è reale. Una funzione che segue le prime due proprietà si chiama generalmente forma sesquilineare. Definizione 3. Forma sesquilineare Sia V uno spazio vettoriale nel campo complesso. Una forma sesquilineare è del tipo: ๐: ๐ฝ × ๐ฝ → Che associa ad ogni coppia v, w ∈ V lo scalare ๐〈๐, ๐〉 ∈ . A differenza della forma bilineare, la forma sesquilineare è lineare per una componente, ed antilineare per l’altra componente. Quindi: ๏ ๐〈๐ + ๐, ๐ + ๐〉 = ๐〈๐, ๐〉 + ๐〈๐, ๐〉 + ๐〈๐, ๐〉 + ๐〈๐, ๐〉 ๏ ๐〈๐๐, ๐〉 = ๐๐〈๐, ๐〉 ๏ ๐〈๐, ๐๐〉 = ๐ฬ ๐〈๐, ๐〉 Con a, b ∈ , ๐, ๐, ๐, ๐ ∈ ๐ฝ. Notare appunto l’antilinearità nelle ultime due proprietà. Un esempio di spazio prehilbertiano è dato dallo spazio vettoriale complesso n dotato del prodotto scalare: ๐ 〈๐ง, ๐ง′〉 = ∑ ๐ง๐ ๐งฬ ๐ ๐=1 Applicando la sopracitata definizione di spazio prehilbertiano, si verificano tutte le proprietà e quindi la tesi è dimostrata. Definizione 4. Norma in uno spazio prehilbertiano Definiamo la norma2 di ๐ฅ ∈ ๐ (spazio prehilbertiano) in tal modo: โ๐ฅโ๐ = √〈๐ฅ, ๐ฅ〉 2 In generale la norma è una funzione che assegna ad ogni vettore di uno spazio una lunghezza propria. 4 Definizione 5. Spazio normato Uno spazio vettoriale ๐ sul campo complesso viene definito spazio normato se esiste una mappa โ โ๐ : ๐ → (ovvero la norma di x) che verifica le seguenti proprietà: ๏ ∀๐ฅ ∈ ๐: โ๐ฅโ > 0 e se ๐ฅ ≠ 0 ⇒ โ๐ฅโ > 0; ๏ ∀๐ฅ ∈ ๐, ๐ ∈ : โ๐๐ฅโ = |๐| โ โ๐ฅโ; ๏ ∀๐ฅ, ๐ฆ ∈ ๐ si ha โ๐ฅ + ๐ฆโ2 ≤ (โ๐ฅโ + โ๐ฆโ)2 Se poniamo inoltre ๐ง = ๐ฅ + ๐ฆ e sostituiamo nella terza proprietà otteniamo: |โ๐ฅโ − โ๐งโ| ≤ โ๐ง − ๐ฅโ Se risulta essere uno spazio normato, possiamo renderlo uno spazio metrico introducendo la distanza: ๐(๐ฅ, ๐ฆ) = โ๐ฅ − ๐ฆโ Notare l’analogia con lo spazio euclideo. A questo punto possiamo introdurre gli spazi di Hilbert. Quindi definiamo: Definizione 6. Spazi di Hilbert e spazi di Banach Uno spazio normato completo si dice spazio di Banach, mentre uno spazio prehilbertiano completo si dice spazio di Hilbert. §§1.3: SPAZI DI HILBERT Abbiamo già avuto modo di introdurre la definizione di spazio di Hilbert, ma la riproponiamo qui in maniera più rigorosa e concisa. Sia ๐ป uno spazio vettoriale definito sul campo complesso. In esso sia inoltre definito un prodotto interno (in tal caso una forma sesquilineare) 〈โ,โ〉 tale che induca sullo spazio ๐ป una distanza ๐, come indicato precedentemente. Allora, se lo spazio metrico (๐ป, ๐) è completo, è di Hilbert. Interessante fissare a questo punto alcune proprietà degli spazi di Hilbert, che non sono altro che generalizzazioni delle ben più note proprietà conosciute per gli spazi metrici euclidei. 〈๐ข,๐ฃ〉 ๏ L’angolo fra due vettori viene così definito: cos ๐ = โ๐ขโโ๐ฃโ; ๏ Il complemento ortogonale ad un sottospazio deriva direttamente dalla proprietà precedente: ๐ป1⊥ = {๐ฃ ∈ ๐ป|〈๐ฃ, ๐ข〉 = 0, ∀๐ข ∈ ๐ป1 }, con ๐ป1 sottospazio di ๐ป; ๏ Due vettori si dicono ortonormali se sono ortogonali fra di loro e se hanno norma 1; 〈๐ฃ,๐〉 ๏ Si definisce la proiezione di un vettore ๐ฃ su ๐ il vettore 〈๐,๐〉 ๐; ๏ Vale la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz: |〈๐ฃ, ๐ค〉|2 ≤ 〈๐ฃ, ๐ฃ〉〈๐ค, ๐ค〉; ๏ La norma soddisfa l’identità del parallelogramma: โ๐ฃ + ๐คโ2 + โ๐ฃ − ๐คโ2 = 2โ๐ฃโ2 + +2โ๐คโ2 ; ๏ Vale l’identità di Parseval (caso generalizzato del Teorema di Pitagora) per set di vettori {๐ฃ๐ }: ∞ 2 ∞ โ∑ ๐ฃ๐ โ = ∑โ๐ฃ๐ โ2 ๐=1 ๐=1 5 ๏ Vale l’identità di polarizzazione: 1 〈๐ฃ, ๐ค〉 = (โ๐ฃ + ๐คโ2 − โ๐ฃ − ๐คโ2 + ๐(โ๐ฃ + ๐๐คโ2 − โ๐ฃ − ๐๐คโ2 )) 4 ๏ Per un set ortonormale di vettori {๐๐ } ๐ ∀๐ฃ vale la disuguaglianza di Bessel: ∞ 〈๐ฃ, ๐ฃ〉 = โ๐ฃโ2 ≥ ∑|〈๐ฃ, ๐๐ 〉|2 ๐=1 ๏ Abbiamo visto inoltre che ogni spazio di Hilbert è anche uno spazio di Banach. Il viceversa è vero se e solo se nello spazio il prodotto scalare è indotto da una norma; ๏ Una base hilbertiana è formata da vettori ortonormali che generano lo spazio. Vediamo ora come esempio uno spazio vettoriale complesso che però non è di Hilbert. Sia infatti ๐ uno spazio vettoriale delle funzioni a quadrato sommabili e misurabili (๐ฟ2 ): ๐ = {๐: ๐ด → |∫ |๐(๐ฅ)|2 ๐๐ฅ} ๐ด Corredato dalla forma sesquilineare: ฬ ฬ ฬ ฬ ฬ ฬ ๐(๐ฅ)๐๐ฅ 〈๐, ๐〉 = ∫ ๐(๐ฅ) ๐ด Tuttavia tale forma rende lo spazio non hilbertiano. Infatti è semidefinita positiva, in quanto è possibile trovare funzioni non nulle tali che: 〈๐, ๐〉 = 0 Una funzione discontinua in un singolo punto (come una delta di Dirac) soddisfa tale caratteristica (figura 1). Infatti tale funzione ha misura nulla, quindi il prodotto scalare risulta nullo, nonostante la funzione non sia nulla ovunque. y FIGURA 1 1 x 6 CAPITOLO 2. LA NOTAZIONE BRA-KET In questo capitolo esporremo il formalismo introdotto da Dirac per descrivere uno stato quantico. Di solito viene utilizzata anche per denominare due vettori appartenenti ad uno spazio di Hilbert. Il nome bra-ket deriva dal fatto che un prodotto scalare fra due stati quantici viene indicato da due parti contenute in parentesi: โจ๐|๐โฉ, il bra โจ๐|, è il ket |๐โฉ. Conviene però iniziare a descrivere cosa è uno stato quantico, alla luce di quanto abbiamo precedentemente detto riguardo agli spazi di Hilbert a dimensione infinita. §§2.1: STATI QUANTICI Definizione 7. Stato Quantico Lo stato quantico è definito come un vettore di uno spazio di Hilbert. Utilizzando la notazione bra-ket, possiamo indicare un generico vettore dello spazio in questo modo: |๐โฉ = ๐ฃ๐๐ก๐ก๐๐๐ ๐๐๐๐๐ ๐ ๐๐๐ง๐๐ ๐๐ ๐ป๐๐๐๐๐๐ก Viene quindi naturale definire il prodotto vettoriale come: โจ๐|๐โฉ = ๐๐๐๐๐๐ก๐ก๐ ๐๐๐ก๐๐๐๐ (๐ฃ๐๐ก๐ก๐๐๐๐๐๐) Anche in questo caso, gli stati quantici hanno le seguenti proprietà: ๐+๐ =๐+๐ (๐ + ๐) + ๐ = ๐ + (๐ + ๐) ๐(๐ + ๐) = ๐๐ + ๐๐ (๐๐)๐ = ๐(๐๐) 0โ๐ =๐ 1โ๐ =๐ Coerentemente con quanto già definito per gli spazi vettoriali. Notare che il secondo 0 è un vettore, il vettore nullo. Valgono anche le già note proprietà degli spazi vettoriali, come la linearità. Un set di vettori è linearmente indipendente se: ๐1 ๐1 + ๐2 ๐2 + โฏ + ๐๐ ๐๐ = 0 7 Implica: ๐1 = ๐2 = โฏ = ๐๐ = 0 Valgono inoltre anche per la notazione bra-ket le seguenti proprietà: โจ๐|๐1 ๐1 + ๐2 ๐2โฉ = ๐1 โจ๐|๐1 โฉ + ๐2 โจ๐|๐2 โฉ ฬ ฬ ฬ ฬ ฬ ฬ ฬ ฬ โจ๐|๐โฉ = โจ๐|๐โฉ โจ๐|๐โฉ ≥ 0 L’ultima proprietà indica che il prodotto interno è definito positivo. Quindi: โจ๐|๐โฉ = 0 ⇔ |๐โฉ = 0 Inoltre: โจ๐๐|๐โฉ = ๐ฬ โจ๐|๐โฉ Che è possibile derivare dalla prima e dalla seconda proprietà. §§2.2: IL PRODOTTO SCALARE E LE SUE PRINCIPALI PROPRIETA’ Definizione 8. Prodotto scalare interno Definiamo il prodotto scalare come: โจ๐|๐โฉ = ∫ ฬ ฬ ฬ ฬ ฬ ฬ ฬ ๐(๐) ๐(๐)๐๐ Da cui deriva una norma: โ๐โ = √โจ๐|๐โฉ E procedendo in maniera analoga con quanto fatto nel capitolo precedente, si giunge a dimostrare che è possibile definire una distanza, quindi lo spazio è metrico; si definisce il concetto di limite con Cauchy; vale la disuguaglianza triangolare. Esiste quindi un set completo di vettori ortonormali, conseguentemente è possibile scrivere ogni vettore appartenente allo spazio come opportuna combinazione lineare dei vettori di base. Ma ciò significa che ogni stato quantico può essere descritto in termini di stati quantici di base. Le proprietà del prodotto scalare non sono diverse da quelle presentate nei precedenti paragrafi. Il fatto veramente importante è che abbiamo trovato un modo per trattare gli stati quantici come oggetti matematici, con tutte le implicazioni che seguono. Elementi apparentemente intangibili come gli stati quantici possono essere “compresi” tramite nozioni matematiche, ed essere trattati come tali. 8 §§2.3: OPERATORI Definizione 9. Operatore lineare Sia ๐, ๐ spazi vettoriali sul campo ๐พ. Allora una funzione ๐: ๐ → ๐ è chiamata operatore lineare se soddisfa le seguenti caratteristiche: ๏ ๐(๐ฅ + ๐ฆ) = ๐(๐ฅ) + ๐(๐ฆ); ๏ ๐(๐๐ฅ) = ๐๐(๐ฅ). Con ๐ appartenente al campo ๐พ. La prima proprietà è generalmente chiamata additività, la seconda omogeneità. Gli operatori lineari sono molto utili in meccanica quantistica in quanto ci dicono come vengono “trasformati” gli stati quantici di un osservabile quando esso viene osservato. Consideriamo quindi un operatore lineare ๐ che modifichi uno stato quantico |๐โฉ trasformandolo in ๐|๐โฉ. Come risaputo dall’algebra lineare, l’operatore ๐ è completamente definito se sono conosciuti tutti i suoi elementi rispetto ad una base scelta {|๐๐ โฉ}. ๐|๐1 โฉ = ๐11 |๐1 โฉ + ๐12 |๐2 โฉ + ๐13 |๐3 โฉ … ๐|๐2 โฉ = ๐21 |๐1 โฉ + ๐22 |๐2 โฉ + ๐23 |๐3 โฉ … ๐|๐3 โฉ = ๐31 |๐1 โฉ + ๐32 |๐2 โฉ + ๐33 |๐3 โฉ … Con: ๐๐๐ = 〈๐๐ |๐|๐๐ 〉 Quando un operatore agisce su uno stato ๐ trasformandolo in uno stato ๐, possiamo scrivere: 〈๐|๐|๐〉 = ∑โจ๐|๐๐ โฉ〈๐๐ |๐|๐๐ 〉โจ๐๐ |๐โฉ ๐,๐ Su un bra agisce in questo modo: โจ๐|๐ = ∑โจ๐|๐๐ โฉ〈๐๐ |๐|๐๐ 〉โจ๐๐ | ๐,๐ Su un ket: ๐|๐โฉ = ∑|๐๐ โฉ〈๐๐ |๐|๐๐ 〉โจ๐๐ |๐โฉ ๐,๐ Come ci dice l’algebra lineare, un tale operatore può essere ben rappresentato da una matrice: 〈๐1 |๐|๐1 〉 〈๐1 |๐|๐2 〉 ๐ = (〈๐2 |๐|๐1 〉 〈๐2 |๐|๐2 〉 โฎ โฎ โฏ ๐11 ) = ( ๐21 โฏ โฎ โฑ Un caso particolare è l’operatore lineare: 〈๐|๐ผ|๐〉 = โจ๐|๐โฉ ๐21 ๐22 โฎ โฏ โฏ) โฑ 9 CAPITOLO 3. I POSTULATI DELLA MECCANICA QUANTISTICA In questo capitolo andremo ad esporre i cinque postulati che stanno alla base della meccanica quantistica. Inoltre ci atterremo alla formulazione più comunemente usata della meccanica quantistica, ovvero l’interpretazione di Copenaghen; forti comunque del fatto che ne esistono di diverse, come l’interpretazione di Feynman, quella di Bohm o quella a molti mondi3. I postulati, in linea del tutto generale, sono i seguenti: ๏ Stati quantici; ๏ Osservabili; ๏ La probabilità di un risultato; ๏ Il collasso di una funzione d’onda; ๏ L’equazione di Schrödinger. Nella letteratura questi cinque postulati vengono indicati come una soluzione parziale del problema n°6 proposto da Hilbert. Il problema presenta una formulazione molto vaga, ma in poche parole pretende l’assiomatizzazione di tutta la fisica4. §§3.1: GLI STATI QUANTICI Ad ogni sistema fisico è associato uno spazio di Hilbert ๐ป separabile a infinite dimensioni. In tale spazio a ciascun stato del sistema è associato un vettore con una arbitraria costante moltiplicativa (quindi indica una particolare direzione). Convenzione vuole che si operi in modo che il prodotto vettore precedentemente definito fra gli stessi vettori sia unitario: โจ๐|๐โฉ = 1 Tale risultato può essere difatti raggiunto tramite opportune costanti moltiplicative. La scelta di una costante mantiene una arbitrarietà nella fase di un vettore, ovvero: ๐ ๐๐ผ |๐โฉ = |๐โฉ Questo per ∀๐ผ appartenente al campo dei complessi. 3 In appendice approfondiremo un poco questa tipologia di interpretazione solo a livello qualitativo, in quanto molto interessante dal punto di vista concettuale. 4 Tale problema logicamente non conosce ancora una soluzione univoca, né tantomeno si intravede una soluzione definitiva. Inoltre, se la fisica fosse totalmente assiomatica, sarebbe sottoposta anche ai teoremi di incompletezza di Gödel, con le conseguenti implicazioni. 10 §§3.2: LE OSSERVABILI A ciascuna grandezza osservabile ๐ด è associato un operatore lineare autoaggiunto ๐ดฬ nello spazio di hilbert ๐ป. L’insieme dei valori possibili per la misura della grandezza è data dallo spettro dell’operatore ad esso associato. Tale risultato è molto importante, tuttavia per comprenderlo fino in fondo è necessario definire cosa sia un operatore lineare autoaggiunto e cosa sia uno spettro di un operatore. Definizione 10. Operatore lineare autoaggiunto. Sia ๐ธ uno spazio vettoriale e sia ๐ un operatore lineare definito su un insieme ๐ท(๐) ⊂ ๐ธ e con valori definiti nel duale continuo ๐ธ* di ๐ธ. ๐ è detto simmetrico se: 〈๐๐ฅ, ๐ฆ〉 = 〈๐ฅ, ๐๐ฆ〉 Per ogni coppia di elementi ๐ฅ, ๐ฆ ⊂ ๐ท(๐). ๐ viene chiamato hermitiano se è simmetrico è ๐ท(๐) è denso in ๐ธ. Allora, indicato con ๐ † l’operatore aggiunto5, ๐ è autoaggiunto se risulta essere ๐ † = ๐. Definizione 11. Spettro di una applicazione lineare. Sia ๐: ๐ → ๐ un endomorfismo di uno spazio vettoriale ๐. Se indichiamo con ๐๐ i vari autovalori dell’applicazione lineare, lo spettro è definito come l’insieme di tutti gli autovalori: ๐ ๐(๐) = {๐๐ } Con tali definizioni, possiamo asserire che la linearità dell’operatore garantisce che lo spettro sia rappresentabile tramite una matrice in una qualche base, mentre il fatto che l’operatore sia hermitiano ci garantisce che lo spettro sopra citato è formato da autovalori tutti reali. §§3.3: LA PROBABILITA’ DI UN RISULTATO Se il sistema fisico si trova in uno stato |๐โฉ, la probabilità che l’osservazione di una grandezza osservabile W dia come risultato un certo valore ๐ผ è direttamente proporzionale alla quantità |โจ๐ผ|๐โฉ|2 . All’interno di tale postulato è forse custodita la più grande rivoluzione del pensiero scientifico: in altre parole, la meccanica quantistica non produce risultati deterministici, come la meccanica classica, ma solo risultati probabilistici. Quindi il risultato di qualsiasi calcolo quantistico è una distribuzione di probabilità, e non un risultato, per così dire, netto. L’unica certezza che abbiamo è la seguente: se un sistema si trova esattamente su un autostato |๐ผโฉ, la probabilità di trovare come risultato proprio ๐ผ è dato da |โจ๐ผ|๐ผโฉ|2 = 1. Ovviamente è come ottenere testa o croce da un lancio. La probabilità è esattamente uguale a 1. 5 Possiamo indicare l’operatore aggiunto come la generalizzazione del trasposto coniugato di una matrice quadrata nel caso di dimensioni infinite. 11 §§3.4: IL COLLASSO DI UNA FUNZIONE D’ONDA La misura di un osservabile ๐ด su uno stato |๐โฉ che produce una distribuzione di probabilità ๐ผ proietta |๐โฉ sull’autospazio di ๐ผ. Questo postulato è uno dei più controversi della meccanica quantistica. Infatti asserisce che anche il solo evento osservativo modifica lo stato del sistema. Un tale comportamento, completamente sconosciuto e non previsto dalla teoria classica, si rende evidente con il famoso esperimento delle due fenditure effettuato con elettroni. Per comprendere meglio tale cruciale postulato riportiamo due immagini rese celebri da Richard Feynman nei “Sei pezzi meno facili”. Immaginiamo di avere a disposizione un cannoncino elettronico. Possiamo per esempio utilizzare un piccolo filamento portato all’incandescenza6. Ci sia inoltre un pannello con due fenditure molto strette. Infine poniamo uno schermo completamente opaco in cui sia possibile individuare gli elettroni, utilizzando per esempio un detector mobile. Allora, se non perturbiamo l’esperimento, quindi non emettendo particelle quali fotoni (cosa impossibile, infatti il detector per rilevare le particelle deve farle interagire con qualche cosa) osserveremmo una distribuzione di probabilità dei fotoni come quella riportata nella figura a destra. Non noteremmo nessun effetto di interferenza. Se invece osserviamo fattivamente l’esperimento, quindi utilizzando un detector reale e non ideale, la situazione sarebbe questa: In tal caso identificheremmo una figura di interferenza. Questo radicale cambiamento è spiegato dal postulato appena introdotto, ovvero che l’osservazione stessa modifica in maniera pesante la distribuzione di probabilità risultante. 6 Per effetto termoionico vengono emessi elettroni che poi possono essere collimati in un fascio utilizzando uno schermo con un piccolo foro. 12 §§3.5: L’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER L’equazione di Schrödinger, formulata nel 1926, si prefigge di descrivere il comportamento e l’evoluzione temporale dei sistemi quantistici. Essa si presenta come una equazione differenziale lineare, la cui incognita è la funzione d’onda. Tale affermazione è però piuttosto forte, in quanto si asserisce che qualunque fenomeno possa essere ridotto ad un fenomeno ondulatorio. Tale ipotesi è stata suffragata da evidenze sperimentali, quali gli esperimenti condotti da Davisson e Germer7. Nell’interpretazione maggiormente utilizzata, vale a dire quella di Copenaghen, il modulo quadro di una funzione d’onda indica la probabilità di trovare un determinato osservabile in una particolare configurazione, La forma più generale dell’equazione di Schrödinger è la seguente: ๐ฤง ๐ ฬ (๐ฬ, ๐ฬ , ๐ก)๐น(๐, ๐ก) ๐น(๐, ๐ก) = ๐ป ๐๐ก Ovvero con: ๏ ฤง = โ⁄2๐, con โ costante di Plank8; ๏ ๐, ๐ sono le coordinate generalizzate già viste in meccanica classica; ๏ ๐น(๐, ๐ก) indica una funzione d’onda, come si vede dipendente dalla posizione e dal tempo; ฬ indica l’operatore hamiltoniano9 (anche hermitiano). ๏ ๐ป Per quanto possa sembrare strano, l’equazione sopra riportata sostituisce l’equazione di Newton nella meccanica quantistica. Possiamo ricondurre la hamiltoniana classica all’hamiltoniana quantistica in questo modo: ฬ (๐ฬ, ๐ฬ , ๐ก) = ๐ป(๐, ๐, ๐ก)| ๐ป ๐ ๐๐ ๐→๐ฬ=๐;๐→๐ฬ=−๐ฤง Dove appunto ๐ป(๐, ๐, ๐ก) è l’hamiltoniana classica. La regola fondamentale della meccanica quantistica è il passaggio dall’hamiltoniana ๐ป alla derivata parziale rispetto al tempo della funzione d’onda e dalle coordinate generalizzate alle derivate parziali rispetto alle coordinate spaziali. In altri termini: ๐ป → ๐ฤง ๐ ; ๐๐ก ๐๐ → −๐ฤง ๐ ๐๐ฅ๐ La relazione tra l’impulso e l’energia ๐ป = ๐ป(๐, ๐, ๐ก) Si traduce in una condizione sullo stato fisico, appunto una funzione d’onda, che è l’equazione di Schrödinger. Ora, come si può verificare che la generalizzazione della meccanica quantistica sia valida anche per il “mondo classico”? Proprio come per la relatività, in cui l’approssimazione ๐ฃ โช ๐ 7 Nel 1927 Clinton Davisson e Lester Germer utilizzarono elettroni come proiettili su un bersaglio di nichel cristallino. Venne identificata la dipendenza dell’angolo di riflessione da quello incidente, e si ottenne un pattern di diffrazione estremamente simile a quello previsto per i raggi X, confermando quindi la natura ondulatoria degli elettroni. 8 6.626069*10-34 J*s. 9 ฬ = ๐ฬ + ๐ฬ, ovvero somma dell’energia cinetica e potenziale. Con ๐ป 13 ci riconduce alle leggi di composizione delle velocità classiche, così l’approssimazione in meccanica quantistica di ฤง → 010 ci riporta alla meccanica classica. Per esempio, per una particella che si muove in uno spazio a tre dimensioni, possiamo scrivere l’hamiltoniana: ๐2 ๐ป= + ๐(๐) 2๐ Dove ๐(๐) è un generico potenziale dipendente dalla posizione ๐(๐ฅ, ๐ฆ, ๐ง). In versione quantistica tale hamiltoniana diventa: ๐ป=− ฤง2 2 ∇ ๐น0 + ๐(๐) 2๐ Ed è inoltre hermitiano. Il valor medio dell’operatore hamiltoniano sullo stato ๐น(๐ฅ): ฬ ฬ ฬ ฬ ๐ป๐น = ∫ ๐น ∗ (๐ฅ)๐ป๐น(๐ฅ)๐๐ฅ Rappresenta il valore di aspettazione dell’energia. Nel limite non relativistico, per sistemi scleronomi11, vale la seguente: (๐ฤง ๐ ฤง2 2 + ∇ − ๐(๐)) ๐น(๐, ๐ก) = 0 ๐๐ก 2๐ Che rappresenta una sorta di conservazione dell’energia. 10 โ Questo è un passaggio cruciale che va approfondito. Infatti la costante di Plank ridotta, ovvero , permette la 2๐ quantizzazione di grandezze fisiche quali l’energia, la quantità di moto e il momento angolare. In altre parole, non ci permette di compiere approssimazioni proprie della fisica classica, come ridurre tutto al continuo. Infatti in fisica classica le quantità che utilizziamo sono naturalmente continue e “isotrope”, in quanto non fanno salti. Un concetto che già fu espresso secoli fa, con Aristotele e poi Leibniz: natura non facit saltus. Questa concezione viene a mancare con la meccanica quantistica, in quanto è presente la costante di Plank ridotta, che non ci permette di andare oltre una quantità seppur piccola, ma finita e discreta. Il passaggio interessante è che se noi eseguiamo la seguente approssimazione, โ → 0, ovvero con una approssimazione al continuo, ritorniamo pari pari alla fisica classica. 11 Ovvero costituiti da vincoli che non dipendono dal tempo. In altre parole, vincoli fissi. 14 APPENDICE A. L’INTERPRETAZIONE A MOLTI MONDI L’interpretazione che presentiamo fu formulata nel 1957 dal fisico e matematico statunitense Hugh Everett III, e si discosta dall’interpretazione “classica” e generalmente accettata, quella di Copenaghen. Ha avuto e ha tutt’ora giudizi discordanti: c’è chi la ritiene valida, c’è chi invece asserisce che tale interpretazione sia solo una mistificazione della meccanica quantistica. Fatto sta che tale interpretazione, sia per la sua portata intellettuale, che per le interessantissime conseguenze che porta in grembo, debba essere per lo meno citata. L’interpretazione si basa su un fatto concettualmente interessante: ogni qualvolta si esegue un esperimento, il sistema di laboratorio si scinde in due sottosistemi, che evolvono secondo la equazione di Schrödinger, in cui entrambi risultati sono possibili. Tale ultima affermazione viene generalmente indicata come: Postulato di Everett. Tutti i sistemi isolati evolvono secondo l’equazione di Schrödinger. Negli anni ’20 molti si posero un problema fondamentale: se possiamo descrivere al meglio ogni sistema fisico utilizzando opportuni vettori in uno spazio di Hilbert, e se tali vettori possono combinarsi nelle più disparate combinazioni lineari, come mai il mondo macroscopico lo osserviamo solo in autostati ben precisi, e non osserviamo fenomeni di interferenza o altri tipici della meccanica quantistica? Come mai la Natura “sceglie” deliberatamente di tenere nascosto il comportamento quantistico nel mondo subatomico? Questa domanda trovò la sua risposta nell’interpretazione di Copenaghen: nel momento in cui viene eseguita una osservazione del fenomeno, la funzione d’onda “collassa” riducendosi alla sola alternativa percepita. L’interpretazione di Everett sul fenomeno dell’osservazione è leggermente diversa: infatti l’osservatore non è esterno al sistema, ma direttamente collegato ad esso. In altre parole, l’evoluzione del sistema è dipendente dall’osservatore. Quindi possiamo considerare un grande sistema, formato a sua volta da due sottosistemi dipendenti, ovvero il vero e proprio sistema osservato e l’osservatore stesso. In tal modo, l’evoluzione del sistema può essere studiata solo a posteriori, aprendo infinite possibilità e infinite soluzioni. La differenza sostanziale può essere espressa, in maniera del tutto euristica, in questo modo: l’interpretazione di Copenaghen afferma che sono possibili più evoluzioni del sistema, ma che collassano tutti tranne uno a seguito dell’osservazione. L’interpretazione di Everett invece asserisce 15 che infinite evoluzioni sono possibili, e ne viene “scelta” una nel momento in cui si va ad osservare un fenomeno, senza che necessariamente si verifichi il collasso della funzione d’onda. Tale impostazione trova i maggiori estimatori nel ramo cosmologico: non sono per il minor senso di responsabilità che viene a gravare sulle spalle dei ricercatori (molti ricercatori si sentono a disagio sapendo che quando compiono una osservazione collassa la funzione d’onda dell’intero Universo12), ma anche perché offre la possibilità di esaminare diverse storie e diversi sviluppi dell’universo stesso, senza preoccuparsi che tale storia dipenda (con il collasso della funzione d’onda) dall’osservazione di un osservatore senziente o meno. A tale impostazione della meccanica quantistica si stanno avvicinando diversi fisici teorici, soprattutto nel campo della meccanica quantistica computazionale. Tuttavia non mancano anche le critiche: una per tutte quella dell’impossibilità di discernere quale sarà il risultato incontrovertibile di un esperimento scientifico: tutte le possibili soluzioni sono confuse in un futuro non determinabile a priori, nemmeno con una analisi teorica. 12 Jonathan J. Halliwell. 16 APPENDICE B. ALCUNI ESPERIMENTI Riportiamo infine in questa sezione due esperimenti, entrambi mentali, riguardanti la meccanica quantistica e le sue interpretazioni. Il primo, sicuramente il più famoso e da cui non possiamo prescindere, e quello del gatto di Schrödinger. Il secondo, dal nome estremamente accattivante, è più che altro una speculazione filosofica. IL GATTO DI SCHRÖDINGER L’esperimento venne proposto come critica all’interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica. Infatti, secondo Schrödinger, l’applicazione di tale interpretazione possa portare a risultati del tutto inaspettati e impossibili a livello macroscopico. Si consideri quindi un apparato sperimentale composto da una scatola, un elemento radioattivo, un contatore Geiger e una fiala contenente cianuro che può essere rotta da un martelletto. Si collega il contatore Geiger al martelletto, in modo che se il contatore percepisce un decadimento, aziona un meccanismo che fa cadere il martelletto rompendo la fiala. Ignara cavia dell’esperimento è un gatto, che viene sigillato nella scatola. Passato un periodo pari al tempo di dimezzamento, possiamo asserire che possono essersi verificati due fenomeni, con uguale probabilità: ๏ E’ avvenuto un decadimento, con il risultato che il gatto è stato ucciso dal veleno contenuto nella fiala; ๏ Non è avvenuto alcun decadimento, e il gatto è vivo e vegeto. Secondo l’interpretazione di Copenaghen, i due stati coesistono (ovvero il gatto è sia vivo che morto) fino a quando non viene aperta la scatola: a quel punto una delle due funzioni d’onda collassa palesando il risultato. Tuttavia tale interpretazione non convinse affatto Schrödinger. E’ possibile applicare al mondo “classico” la meccanica quantistica senza cadere in evidenti paradossi? Una critica più fine venne data da Bohr. Infatti, lo stesso sistema sperimentale, quindi anche il gatto, esegue una sorta di “osservazione”, con il fatto di far collassare una delle due funzioni d’onda a prescindere che lo sperimentatore apra la scatola o meno. In altri termini, il gatto è sempre o solo vivo, o solo morto. L’interpretazione di Everett invece è diversa. Non avvengono paradossi, come sottolineato invece da Schrödinger. Il gatto è sia vivo che morto, in quanto sono possibili entrambi gli stati. Vengono a crearsi quindi due universi differenti, in ognuno dei quali è presente un evento. Non c’è paradosso in quanto l’osservatore è già all’interno di una delle due evoluzioni del sistema, come tutto il restante universo, e quindi non può rendersene conto. 17 IL SUICIDIO QUANTISTICO13 L’esperimento descritto è altamente speculativo, ma mette in luce la sconcertante struttura della Meccanica Quantistica. Il Suicidio Quantistico è un rifacimento dell’esperimento di Schrödinger, dal punto di vista del gatto, o meglio, dello sperimentatore. Con tale esperimento si cercano di mettere in luce le differenze delle interpretazioni quantistiche, quali quella di Copenaghen e quella a molti mondi. Si consideri quindi una pistola carica puntata alla tempia di uno sperimentatore. Tale pistola è collegata ad un atomo radioattivo come nell’esperimento precedente. Nell’interpretazione di Copenaghen, esiste il 50% di probabilità che il ricercatore sopravviva. Nell’interpretazione a molti mondi, invece, ad ogni esperimento il sistema si suddivide in due sottosistemi in cui avvengono entrambi i fenomeni. Tuttavia in questo modo il ricercatore raggiunge una sorta di “immortalità quantistica” in quanto esisterà sempre un sottosistema in cui esso è vivo. Ora, poiché il ricercatore è un essere senziente, e se la teoria a molti mondi è corretta, il ricercatore noterà che è impossibile rimanere uccisi dall’esperimento, in quanto si svilupperanno sempre sottosistemi in cui esso stesso è vivo (e sono tutti sistemi equiprobabili). Proverà quindi una immunità che può sembrare paradossale. Nell’interpretazione di Copenaghen invece il ricercatore potrà notare solo due eventi: o la sopravvivenza o la morte. Ora, tale esperimento mette in luce il fatto che le due interpretazioni siano sostanzialmente incompatibili fra loro. Se tale esperimento potesse essere effettuato, saremmo in grado di rilevare quale interpretazione sia quella corretta. 13 Hans Moravec, Bruno Marchal. 1988. 18 BIBLIOGRAFIA [1] Kenichi Konishi. Dispense di Meccanica Quantistica. 2004. [2] Paolo Caressa. Metodi Matematici per la Meccanica Quantistica. 1994. [3] Richard Feynman. La fisica di Feynman, volume 3. Zanichelli 1964. [4] Richard Feynman. Sei pezzi meno facili. Adelphi 1997. [5] Paul Dirac. I principi della Meccanica Quantistica. Bollati Boringhieri 1971. Per l’impostazione generale del testo si sono utilizzate le numerose risorse della rete, come le pagine di Wikipedia in inglese e Matematicamente. FONTI DELLE FIGURE E ILLUSTRAZIONI [pag 2] Wikimedia Commons. [pag 6] Wikimedia Commons. [pag 9] Wikimedia Commons. [pag 11] Scansioni dal libro “Sei pezzi meno facili”. [pag 14] Wikimedia Commons. [pag 16] Scansione da albo Dylan Dog n° 240, Ucronia. 19 SOMMARIO INTRODUZIONE……………………………………………………………………………………………………………. 1 SPAZI DI HILBERT………………………………………………………………………………………………………….. 2 Spazi euclidei……………………………………………………………………………………………….. 2 Spazi prehilbertiani………………………………………………………………………………………. 3 Spazi di Hilbert……………………………………………………………………………………………... 4 LA NOTAZIONE BRA-KET………………………………………………………………………………………………. 6 Stati quantici………………………………………………………………………………………………… 6 Il prodotto scalare e le sue principali proprietà……………………………………………. 7 Operatori……………………………………………………………………………………………………… 8 I POSTULATI DELLA MECCANICA QUANTISTICA……………………………………………………………. 9 Gli stati quantici……………………………………………………………………………………………. 9 Le osservabili………………………………………………………………………………………………… 10 La probabilità di un risultato…………………………………………………………………………. 10 Il collasso di una funzione d’onda…………………………………………………………………. 11 L’equazione di Schrödinger…………………………………………………………………………… 12 APPENDICE A. L’INTERPRETAZIONE A MOLTI MONDI……………………………………………………. 14 APPENDICE B. ALCUNI ESPERIMENTI…………………………………………………………………………….. 16 Il gatto di Schrödinger…………………………………………………………………………………… 16 Il suicidio quantistico…………………………………………………………………………………….. 17 BIBLIOGRAFIA……………………………………………………………………………………………………………….. 18 FONTI DELLE FIGURE E ILLUSTRAZIONI………………………………………………………………………….. 18