IL MITO DELLA DONNA SELVAGGIA. Clarissa Pinkola

IL MITO DELLA DONNA SELVAGGIA.
Immagine: dea baubo.
Clarissa Pinkola Estés si definisce una "curandera" e una "cantadora" e, in effetti, è entrambe le
cose.
E' una guaritrice in quanto psicanalista junghiana ed una cantastorie, nel senso che, attraverso le
favole, le fiabe ed i miti, ne disvela gli archetipi e li mette a conoscenza dei suoi pazienti. Li cura,
attraverso l'antica sapienza che si tramanda di generazione in generazione.
Favole come "Barbablù", "Scarpette Rosse", "Baba Jaga", “Il Brutto Anatroccolo” e molte altre
della tradizione occidentale, orientale, africana, indiana.
Storie che si ripetono, nelle loro varie e millenarie versioni e che racchiudono i profondi significati
della psiche. Significati archetipi, come amava dire Carl Gustav Jung, il quale seppe unificare la
Tradizione spirituale alla psicanalisi e fare della prima lo strumento per eccellenza per comprendere
e dare ragione della seconda.
Clarissa Pinkola Estés, con "Donne che corrono coi lupi", il suo primo libro pubblicato una ventina
di anni fa e ripubblicato negli anni a venire, ha saputo fornire alle donne ed alla loro psiche quegli
strumenti necessari per farle tornare agli istinti primordiali. Al mito della "Donna Selvaggia", scevra
dai condizionamenti culturali delle società patriarcali, della modernità priva di spiritualità e
d'anima. A quel mito che permette alla donna di riscoprire il proprio intuito, di allontanarsi d'ogni
tipo di ingenuità e riscoprire il piacere della rinascita.
Ma che cos'è la Donna Selvaggia ? E' la patrona degli artisti, dei pittori, degli scrittori, dei ballerini.
E' l'intuito femminile, è Vita/Morte/Vita dell'anima e della psiche. E' ciò che sussurra nei sogni
notturni delle donne, ovvero la voce interiore che giuda le donne dall'oscurità alla luce, dalla morte
all'immortalità spirituale e mentale.
E le storie, le fiabe, i miti, sono lo strumento che permette alla terapeuta di far entrare la
donna/paziente in comunicazione con la Donna Selvaggia, ovvero con la sua psiche più profonda.
Come spiega la dottoressa Pinkola Estés, le storie sono state - nei secoli - purgate da tutto ciò che fu
ritenuto scandaloso dalla cultura dominante, ovvero ogni riferimento al sessuale, allo scatologico,
alle culture precristiane e gnostiche, ai riferimenti alle dee ed al cosiddetto Femminino Sacro.
All'interno delle storie ci sono, invece, gli ingredienti per il risveglio dell'anima, ovvero tutto ciò
che la cultura patriarcale e le Religioni Monoteiste Istituzionalizzate hanno voluto distruggere, al
fine di poter soggiogare le donne ed il loro potenziale divino, spirituale e psichico.
Ecco dunque che "Donne che corrono coi lupi" ci presentano personalità predatrici come
"Barbablù", che soggiogano la donna dalla psiche ingenua e metaforicamente "addormentata". Ma
ecco che, nella storia di "Vassilissa la Saggia" ci sono gli strumenti per affrontare il "predatore", per
uscire dal buio della foresta ed annientare i perigli e le difficoltà che si presentano lungo il cammino
della vita.
Secondo la dottoressa Estés è necessario, prima di tutto, rimanere legate ai propri istinti, al proprio
intuito, ovvero all'anima del femminino che, per sua natura, è selvaggia. Libera dai
condizionamenti. Perché l'anima della Donna Selvaggia è primitiva e creativa.
Il saggio psicologico della dottoressa Estés è di fondamentale utilità anche per noi uomini. Non solo
perché taluni aspetti in esso raccontati sono riscontrabilissimi anche nella vita maschile, ma anche
in quanto utili a comprendere l'animo femminile, istintuale. In questo senso la storia della "Donna
Scheletro" è illuminante.
E' la storia di un cacciatore che pescò lo scheletro di una donna che il padre, tempo prima, aveva
gettato nel mare, avendone disapprovato i comportamenti.
Il pescatore, inizialmente, fu terrorizzato dallo scheletro della donna, ma, con il tempo, imparò ad
amarlo ed ebbe compassione per esso. Egli pianse nel sonno e le sue lacrime riportarono alla vita la
donna, con la quale visse poi in eterno.
Questa storia insegna che per amare è necessario essere forti e saggi e, dunque, comprendere la
relazione fra Vita/Morte/Vita, in quanto l'amore è un susseguirsi di morte e rinascita. Muore la
passione e rinasce. E così il dolore. Amare significa, dunque, sopportare - all'interno della relazione
- molte fini e molti inizi. Aspetti che, peraltro, nelle confraternite iniziatiche quali la Massoneria,
sono ben conosciuti. Il profano muore e rinasce come Iniziato.
Figura primordiale - raccontata nel saggio della dottoressa Estés - è quella dell'"esiliato", incarnato
da storie come "Il Brutto Anatroccolo", il quale ha il cuore spezzato in quanto rifiutato da tutti,
persino dalla sua famiglia, poiché ritenuto "inadeguato" a quello che possiamo definire "ambiente
che lo circonda". Un ambiente che, in realtà, lo soffoca e non gli permette di essere ciò che
veramente egli è, ovvero di manifestare la sua vera natura di...cigno !
La diversità - è provato nei secoli - è infatti indice di originalità e di creatività utile all'umanità. Ed
è, ancora una volta, indice di "natura primordiale", ovvero "selvaggia", contrapposta al
conformismo che vorrebbe renderci tutti quanti livellati e quindi innaturali, “grezzi”.
Aspetto che la donna, ma anche l'uomo, devono tenere in fondamentale conto è l'evitare di essere
sottoposti a ripetute violenze, sia psicologiche che fisiche. Alla violenza, infatti, alla lunga ci si
abitua al punto da desiderarla anche se ci è restituita la libertà. E ciò ci conduce inevitabilmente alla
schiavitù, ovvero ad essere schiavi di "predatori" senza scrupoli.
Possibile via di salvezza è la creatività, il sapersi ritagliare un proprio spazio al fine di poter
dipingere, leggere, scrivere, dedicare del tempo all'arte e a ciò che a ciascuno di noi più piace fare.
Mai trovare la scusante di non avere tempo o di dedicare il proprio tempo a cose che si preferirebbe
non fare per un eccesso di "responsabilità" o di "rispettabilità". Occorre, dunque, imparare a
proteggere il proprio tempo e liberarsi da ogni complesso negativo e da ogni imposizione culturale,
che, nei fatti, impedisce alla natura selvaggia ed istintuale di essere liberata.
E, nel mito, la natura istintuale e selvaggia delle donne è rappresentata da Baubo, la dea greca
dell'oscenità e della sessualità sacra. Una dea senza testa, i cui occhi sono i capezzoli e la cui bocca
è una vagina, la quale aveva il particolarissimo compito di raccontare storie oscene e piccanti, al
fine di far sorridere Demetra e quindi trarla in salvo dalla depressione per la perdita della figlia,
fornendole l'energia necessaria per riprenderne le ricerche.
Ecco che Baubo rappresenta l'energia sessuale, una vera medicina per lo spirito e pertanto, sin dalle
più antiche Tradizioni, ritenuta sacra e paragonata all'umorismo, al sorriso che allevia ogni tristezza
e collera.
Non a caso Jung riteneva che, chiunque avesse un problema di natura sessuale, in realtà, celasse un
problema connesso allo spirito e all'anima; mentre chiunque affermasse di avere un problema
spirituale, in realtà, nascondesse un problema di natura sessuale.
"Donne che corrono coi lupi", attraverso il mito e la psicologia junghiana, insegna anche a
controllare la collera, la quale è l'esatto opposto della natura selvaggia. Per poter controllare la
collera, la dottoressa Estés consiglia quattro "fasi del perdono": 1) prendere le distanze dalla
persona o dall'evento che ci ha fatto andare in collera; 2) astenersi dal mugugnare o dal cercare
ostilità; 3) dimenticare ed allentare la presa dall'evento traumatico; 4) perdonare e quindi smettere
di provare risentimento.
Fasi non semplici o immediate, ma di sicuro giovamento per l'anima e la psiche. Fasi che ci
aiuteranno a far rimarginare le innumerevoli cicatrici che cospargono la nostra "carne", la nostra
anima ferita. Fasi che possono anche essere portatrici di lacrime, ma sono e saranno proprio le
lacrime le dolci compagne che condurranno l'anima alla guarigione. Perché le lacrime, il pianto, ci
rendono consapevoli, vigili e ci tengono lontani dai "predatori", come nella fiaba della "Fanciulla
senza mani", la quale, piangendo per la perdita delle proprie mani, riesce a tenere lontano il
Diavolo-predatore.
Ecco dunque, alla conclusione del saggio di Clarissa Pinkola Estés, comprendere come la fiaba, la
favola, il mito, l'archetipo e l'allegoria siano delle vere e proprie medicine per la psiche e lo spirito
istintuale. Delle donne, ma non solo.
In Massoneria e nelle confraternite iniziatiche, come già detto, sono aspetti che ben conosciamo in
quanto gli stessi rituali massonici si fondano su miti ed allegorie. La stessa leggenda di Hiram,
l'architetto costruttore del Tempio di Re Salomone, è una fiaba archetipica che, fra le altre cose,
insegna al postulante come far morire la propria natura profana - condizionata dalla cultura
dominante - e rinascere a nuova vita, una vita iniziatica, istintuale, selvaggia se vogliamo, ovvero
spirituale, alla ricerca del proprio Io-Dio interiore nel senso gnostico e junghiano del termine.
Il mito della Donna Selvaggia e dell'Io Istintuale sono dunque miti arcaici che accompagnano
l'umanità inconsapevole nel suo cammino di purificazione mentale e psichica. Se solo sapremo,
vorremo e cercheremo di imparare di più dall'antica saggezza e dall'antica Tradizione dei Popoli
della terra che, di generazione in generazione, di secolo in secolo, ci è stata trasmessa ed è lì, pronta
per essere assaporata, appresa, interiorizzata, al fine di risvegliare la nostra anima e condurla verso
la Luce.
Luca Bagatin
www.lucabagatin.ilcannocchiale.it