RIVISTA DI STUDI GIURIDICI
SULL’ORIENTAMENTO SESSUALE E L’IDENTITÀ DI GENERE
PUBBLICAZIONE TELEMATICA SEMESTRALE REGISTRATA TRIB. BOLOGNA · ISSN 2384-9495 · DICEMBRE 2015
2015/2
Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere
Direzione scientifica
Daniel Borrillo, Gilda Ferrando, Stefano Rodotà, Robert Wintemute
Direzione editoriale
Marco Balboni, Marco Gattuso, Barbara Pezzini
Redazione
Diritto Internazionale: Giacomo Biagioni, Adriana Di Stefano, Luca Paladini, Pietro Pustorino, Chiara Ragni, Livio
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Diritto dell’Unione Europea: Elisabetta Bergamini, Carmelo Danisi, Daniele Gallo, Alexander Schuster
Diritto Costituzionale: Anna Lorenzetti, Francesco Saitto, Angioletta Sperti, Paolo Veronesi, Giacomo Viggiani
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Palmeri, Anna Maria Tonioni, Monica Velletti
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Diritto del Lavoro: Carla Ponterio, Laura Tomasi, Tiziana Vettor
Referees
Rosalba Alessi; Esther Arroyo Amayuelas; Marzia Barbera; Vittoria Barsotti; Maria Caterina Baruffi; Roberto Bin;
Nerina Boschiero; Giuditta Brunelli; Ruggiero Cafari Panico; Carlo Casonato; Massimo Cavino; Paolo Cendon;
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Registrazione presso il Tribunale di Bologna del 30/4/2014 n. Rgvg 2023 n. 4089/14 cron.
Codice ISSN 2384-9495
Direttore responsabile: Beppe Ramina
Impaginazione: Samuele Cavadini
GenIUS, Bologna 40123, via IV Novembre 7
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Sommario
Focus 1: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto
fondamentale al matrimonio a cura di Angioletta Sperti
6
Angioletta Sperti: La sentenza Obergefell v. Hodges e lo storico riconoscimento del diritto al matrimonio
per le coppie same-sex negli Stati Uniti. Introduzione al Focus
18
Simone Chriss, Danaya C. Wright: After Obergefell v. Hodges: the continuing battle over equal rights for
sexual minorities in the United States
39
Nicola Giovanni Cezzi: I dissensi nel caso Obergefell
58
Renato Ibrido: L’argomento sociologico nella giurisprudenza costituzionale in materia di
orientamento sessuale. Esperienze e casi
Focus 2: La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di
giustizia a cura di Marco Gattuso
77
Barbara Pezzini: I confini di una domanda di giustizia (profili costituzionali della questione della
trascrizione del matrimonio same-sex contratto all’estero)
92
G. Palmeri, M.C. Venuti: La trascrivibilità del matrimonio tra identità personale e circolazione dello
status coniugale
103
Marco Magri: La giurisprudenza amministrativa sulla trascrizione dei matrimoni omosessuali nei
registri dello stato civile: governo degli uomini o governo delle leggi?
121
Luca Morassutto: Circolare Alfano e trascrizione dei matrimoni same-sex: all’ombra dei divieti e dei
reati
140
Silvia Marino: La trascrizione degli atti di stato civile: quale futuro per i matrimoni contratti all’estero
fra persone dello stesso sesso nell’ambito dell’Unione europea?
Interventi
151
Marilisa D’Amico: Famiglia e “famiglie” fra principi costituzionali italiani ed europei
163
Joëlle Long, Manuela Naldini: “Turismo” matrimoniale e procreativo: alcune riflessioni sociogiuridiche
172
Denise Amram: Il cielo d’Irlanda si tinge di arcobaleno
179
Elena Lauroba: La Ley catalana 11/2014 para garantizar los derechos de los LGBTI y erradicar la
homofobia, la bifobia y la transfobia: ¿una declaración de intenciones bienintencionada o una norma
de efectos jurídicos reales?
Commenti
199
Giuseppa Palmeri: Spunti di riflessione su maternità di sostituzione e trascrivibilità del certificato di
nascita a partire dalla sentenza 6 febbraio 2014, n. 835/2013 del Tribunal Supremo de Madrid (ricorso
245/2012)
214
Maurizio Di Masi: Coppie omosessuali e ricorso alla surrogacy in uno Stato estero: aperture dalla
Germania
226
Chiara Ragni: Il riconoscimento in Italia dell’adozione del figlio della partner del medesimo sesso alla
luce della recente prassi delle corti italiane
240
Francesca Brunetta d’Usseaux: La coerenza dell’ordinamento e l’adozione congiunta da parte di
coppie dello stesso sesso: la decisione della Corte costituzionale austriaca dell’ 11 dicembre 2014
244
Lucilla Conte: Felicità raggiunta? La Corte di Cassazione ammette la domanda di rettificazione
anagrafica del sesso in assenza di un intervento demolitorio e/o ricostruttivo dei caratteri sessuali
primari
255
Andrea Romano: Orientamento sessuale e protezione internazionale nella sentenza A, B, C v.
Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie della Corte di giustizia: il problema della verifica della
credibilità del richiedente LGBTI
268
Mathias Möschel, Sara Migliorini: The French Supreme Court clarifies the implications for the ordre
public of the act abolishing the prohibition of same-sex marriages
276
Michele Di Bari: La sentenza n. 2400/15: un giudice fuori (dal) tempo
283
Antonio Rotelli: Nota a Corte di cassazione, terza sezione civile, sentenza del 22 gennaio 2015, n.1126
Osservatorio documenti a cura di Carmelo Danisi
292 Italia, Disegno di Legge n. 2081, Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e
disciplina delle convivenze, XVII Legislatura, presentato il 6 ottobre 2015.
298Malta, Gender Identity, Gender Expression and Sex Characteristics Act, approvata il 14 aprile 2015.
Osservatorio decisioni a cura di Carmelo Danisi
304 Corte europea dei diritti dell’Uomo, 21 luglio 2015, Oliari e altri c. Italia, n. 18766/11 e 36030/11.
313 Corte di giustizia dell’Unione europea, 2 dicembre 2014, A, B, C v. Staatsecretaris van Veiligheid en
Justitie, cause riunite da C‑148/13 a C‑150/13
319 Corte di cassazione, terza sezione civile, sentenza del 22 gennaio 2015, n. 1126.
322 Corte di cassazione, prima sezione civile, sentenza del 9 febbraio 2015, n. 2400.
327 Corte di cassazione, prima sezione civile, sentenza del 20 luglio 2015, n. 15138.
336 Consiglio di Stato, sentenza del 26 settembre 2015.
343 Stati Uniti, Supreme Court, sentenza del 26 giugno 2015, Obergefell v. Hodges.
354Spagna, Tribunal Supremo, sentenza del 6 febbraio 2014, n. 835/2013
367Francia, Cour de cassation, sentenza del 28 gennaio 2015, n. 19.
Focus
Obergefell v. Hodges:
il riconoscimento del diritto fondamentale
al matrimonio
Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
Angioletta Sperti
Angioletta Sperti*
La sentenza Obergefell v. Hodges e lo storico
riconoscimento del diritto al matrimonio
per le coppie same-sex negli Stati Uniti.
Introduzione al Focus
Sommario
1. Premessa. – 2. L’antefatto. – 3. Le più salienti affermazioni dell’opinion of the Court. – 4. Le opinioni
dissenzienti. – 5. Alcune considerazioni sui profili costituzionali di maggior interesse della pronuncia. –
6. Le prospettive per il futuro: la tutela della libertà religiosa in relazione al matrimonio come strumento
per contrastare gli effetti della pronuncia.
Abstract
L’articolo si propone di esaminare la sentenza nel caso Obergefell v. Hodges con cui la Corte Suprema ha
dichiarato l’incostituzionalità delle leggi statali che negavano il riconoscimento del diritto al matrimonio per le coppie dello stesso sesso. Dopo aver ripercorso le principali affermazioni espresse dal giudice
Kennedy nell’opinion of the Court e dai giudici dissenzienti nelle proprie opinioni, lo scritto si sofferma
sulle implicazioni sul piano costituzionale degli argomenti avanzati a sostegno del matrimonio same-sex
inquadrandole nella precedente giurisprudenza della Corte Suprema. Lo scritto si conclude con una
riflessione sui possibili sviluppi futuri della pronuncia che vedranno una crescita del contenzioso costituzionale avente ad oggetto la libertà religiosa ed il diritto all’obiezione di coscienza.
The article aims at analyzing the case Obergefell v. Hodges of the United States Supreme Court which holds the
state same-sex marriage bans unconstitutional. The article takes into consideration the most important arguments
expressed by Justice Kennedy in his opinion of the Court and by the dissenting Justices in their dissenting opinions
and describes the implications of the arguments supporting the recognition of same-sex marriage on the basis of
the USSC previous case-law. The article finally suggests that further developments will probably see an increase
of constitutional issues involving freedom of religion and conscientious objection.
*
Associata di Diritto pubblico comparato, Università di Pisa.
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
Angioletta Sperti
1. Premessa
“Un grande passo verso l’affermazione del principio di eguaglianza”. Con queste parole il Presidente
degli Stati Uniti Barack Obama ha commentato la decisione della Corte Suprema nel caso Obergefell v.
Hodges1, la più rilevante pronuncia in tema di diritti civili dopo Roe v. Wade2 che, nel 1973, riconobbe il
diritto all’aborto.
Negli Stati Uniti la battaglia per i diritti delle donne è spesso evocata come termine di paragone
della lotta per il riconoscimento dei diritti degli omosessuali3. Roe v. Wade ebbe, com’è noto, un impatto
di grande rilievo anche sulla giurisprudenza costituzionale europea e sulla legislazione di molti paesi:
nell’anno successivo il diritto all’aborto fu riconosciuto dal Conseil constitutionnel francese4 e, nel 1975,
seguirono la pronuncia del Tribunale costituzionale tedesco5, la sentenza n. 27 del 1975 della nostra Costituzionale6 ed, infine, la sentenza della corte costituzionale Austriaca7.
Molti sviluppi nella giustizia costituzionale degli ultimi decenni lasciano presagire che Obergefell
v. Hodges eserciterà un’influenza ancor maggiore dei landmark cases del passato. Non si può, infatti, trascurare la grande diffusione del controllo di legittimità costituzionale delle leggi negli ultimi venti anni,
quale carattere del costituzionalismo accolto — insieme con l’adozione di una carta dei diritti — da
molti paesi che hanno conosciuto una recente transizione verso la democrazia8. Inoltre, come la riflessione costituzionalistica ha messo in evidenza, si riscontra oggi a livello globale un crescente successo
del ruolo dei giudici (judicialization)9, in particolare delle Corti costituzionali, chiamati spesso a risolvere
questioni che in passato sarebbero state rimesse all’iniziativa ed alla decisione degli organi elettivi10 e
ciò anche in ragione della difficoltà di questi ultimi di operare una sintesi tra posizioni contrapposte su
temi cd. eticamente sensibili o divisivi dell’opinione pubblica e del mondo politico.
Questi fattori favoriscono a loro volta un’ampia circolazione delle pronunce delle corti costituzionali. Soprattutto in merito al riconoscimento ed alla tutela dei diritti civili, anche corti costituzionali e
supreme che in passato apparivano chiuse al dialogo con i loro omologhi stranieri — come la stessa
Corte Suprema degli Stati Uniti — guardano oggi alle pronunce di corti straniere su temi analoghi e
traggono da esse argomenti e spunti di riflessione utili per confortare le proprie conclusioni11.
Infine, alla circolazione dei precedenti giurisprudenziali e dei dibattiti dottrinali in tema di diritti
fondamentali concorrono oggi i nuovi mezzi di comunicazione e di socializzazione di massa che amplificano la risonanza e accrescono l’impatto delle stesse pronunce dei giudici costituzionali. L’acceso
1
Obergefell v. Hodges, 135 S. Ct. 2584 (2015), in questa Rivista, p. 343.
2
Roe v. Wade, 410 U.S. 113 (1973).
3
M.J. Klarman, From the Closet to the Altar. Courts, Backlash and the Struggle for SameSex Marriage, Oxford-New York, Oxford
Univ. Press, 2013.
4
Conseil constitutionnel, décision 75-17 DC, 15 gennaio 1975.
5
39 BVerfGE 1 (1975) (cd. sentenza Aborto I).
6
La sentenza n. 27 del 1975 della Corte costituzionale costituirà a sua volta la premessa per l’adozione della legge n. 194 del
1978 la quale prende a modello non solo la soluzione francese, ma anche alcuni dei presupposti su cui la Corte Suprema
aveva fondato il riconoscimento del diritto all’aborto in Roe v. Wade (fra cui, ad esempio, la suddivisione della gravidanza in
trimestre e il diverso bilanciamento dei diritti della donna e del nascituro in ciascuna fase della gravidanza).
7
Corte costituzionale austriaca, sentenza del 11 ottobre 1974.
8
A. Pizzorusso, Giustizia costituzionale (diritto comparato), in Enciclopedia del Diritto, Annali, I, Milano, Giuffrè, 2007, ma cfr.
anche A. Barak, The Judge in a Democracy, Princeton, Princeton University Press, 2006, in part. p. 8 ss.
9
Nella vasta letteratura sul tema, M.R. Ferrarese, Globalizzazione e tempo delle istituzioni, Bologna, Il Mulino, 2002, p. 135 ss.;
C. Guarnieri, The Power of Judges: A Comparative Study of Court and Democracy, Oxford University Press, New York, 2002; R.
Hirschl, Towards Juristocracy, Harv. University Press, Cambridge, Mass., 2004, p. 37 ss. e Id., Globalization, Courts and Judicial
Power: the Political Origins of the New Constitutionalism, in 11 Indiana Journal of Global Legal Studies 71 (2004), in part. pp. 97 e ss.;
A. Sajò, Limiting Government: An Introduction to Constitutionalism, Central European University Press, Budapest, 1999.
10 Sul conflitto tra le “prerogative della rappresentanza” ed “il ruolo e le prerogative della giurisdizione” nel quadro del costituzionalismo sui diritti, M. Dogliani, I diritti fondamentali, in Il valore della Costituzione. L’esperienza della democrazia repubblicana,
M. Fioravanti (a cura di), Bari, Laterza, 2009, p. 41 ss. Cfr. anche M. Luciani, Costituzionalismo irenico e costituzionalismo polemico, in Giurisprudenza costituzionale, 2006, p. 1654 e in Associazione dei Costituzionalisti, www.associazionedeicostituzionalisti.it.
11 Su questi temi, sia consentito rinviare, più ampiamente a A. Sperti, Il dialogo tra le corti costituzionali ed il ricorso alla comparazione nell’esperienza più recente, in Rivista di diritto costituzionale, 2006, pp. 125 ss. Si v. nella vastissima letteratura, per tutti G.
de Vergottini, Oltre il dialogo tra le corti. Giudici, diritto straniero, comparazione, Bologna, Il Mulino, 2010.
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
Angioletta Sperti
dibattito in Francia sul riconoscimento del mariage pour tous, ha reso evidente come le sentenze alimentino un confronto globale in cui, tuttavia, all’attrazione dei diritti verso una dimensione che travalica i
confini nazionali fanno riscontro anche opposte manifestazioni, dirette a preservare tradizioni e valori
nazionali12.
Si comprende, dunque, perché negli Stati Uniti, soprattutto da parte di coloro che esprimono posizioni critiche riguardo al matrimonio same-sex, la sentenza Oberfefell sia giudicata una versione “potenziata” di Roe v. Wade13 quanto al suo impatto sul piano dei diritti civili. Il matrimonio tra persone dello
stesso sesso — ritenuto da L. Tribe uno sviluppo “inevitabile” della sentenza Lawrence v. United States14
del 2003, che concluse per l’incostituzionalità della penalizzazione degli atti sessuali tra persone dello
stesso sesso — sarà sicuramente di stimolo per le corti costituzionali e supreme di altri ordinamenti,
ma soprattutto contribuirà ad alimentare una coscienza collettiva a favore del riconoscimento die diritti
delle coppie dello stesso sesso.
Il Focus che questo numero di GenIUS ha inteso dedicare ad un pronuncia così rilevante come Obergefell v. Hodges, si propone di approfondirne i contenuti in una prospettiva multidisciplinare. I contributi
che seguono esaminano, in primo luogo, la sentenza nel contesto della giurisprudenza statunitense in
tema di eguaglianza e di substantial due process ed alla luce delle complesse vicende giurisprudenziali che, a livello statale, hanno condotto negli ultimi anni al riconoscimento del diritto al matrimonio
same-sex. Da tali premesse gli Autori muovono per svolgere puntuali riflessioni sulle scelte retoriche
ed argomentative compiute dai giudici della Corte Suprema (nell’opinione della Corte e nelle opinioni
dissenzienti), sulle tecniche di interpretazione costituzionale utilizzate, nonché — in una più vasta prospettiva — sull’uso dell’argomento sociologico nella giurisprudenza sui diritti LGBT.
Ne emerge un interessante bilancio delle implicazioni e del futuro impatto della pronuncia, anche
al di fuori dei confini degli Stati Uniti.
L’antefatto
Per comprendere le conseguenze della sentenza Obergefell, occorre fare un salto indietro sino al 2013,
quando — a dieci anni di distanza dalla celebre sentenza nel caso Lawrence v. Texas15 in cui aveva dichiarato incostituzionale una legge del Texas che puniva gli atti sessuali tra persone dello stesso sesso
in luogo privato — la Corte Suprema degli Stati Uniti, nel caso United States v. Windsor16, esamina per
la prima volta una questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto il matrimonio tra persone
dello stesso sesso.
La sentenza — di cui è estensore lo stesso giudice Kennedy, redattore dell’opinion of the Court in
Obergefell — dichiara l’incostituzionalità del Defence of Marriage Act17 (DOMA), una legge voluta nel 1996
dall’allora presidente Bill Clinton, nella parte in cui, alla sect. 3, dispone che a livello federale la parola
“matrimonio” sia da riferirsi alla sola coppia di sesso diverso ed il termine “coniuge” al marito o alla
moglie di sesso opposto18 . Tuttavia, essa non prende in esame la legittimità costituzionale di un’altra
disposizione della stessa legge, la sect. 219, oggi oggetto della sentenza nel caso Obergefell, che consente,
12 Cfr. M.R. Ferrarese, Inventiva giuridica e spazi nel mondo globale, Bari, Laterza, 2006, p. 108 ss.
13 Cfr., ad esempio, il severo monito espresso in dottrina da R. Post in A Few Words on Obergefell and the Countermajoritarian Tendecy apparso sul blog del Washington Post (The Volokh conspiracy) il quale richiama le conseguenze di Roe v. Wade giudicando
entrambe le pronunce come un “serious constitutional mistake”, nonché l’editoriale del Wall Street Journal a firma di B. McGurn
(e ripreso dai blog cattolici come il National Catholic Register, www.ncregister.org) dove Obergefell è definita “a Roe on steroids”.
14 Lawrence v. Texas, 539 U.S. 558 (2003). Si v. in particolare Tribe L.H., Lawrence v. Texas: The “Fundamental Right” that Dare Not
Speak Its Name, in 117 Harvard Law Review 1893 (2004).
15 Lawrence v. Texas, cit.
16 United States v. Windsor, 133 S. Ct. 2675 (2013).
17 Defence of Marriage Act (DOMA). An act to definine and protect the institution of marriage, 1 U.S.C. § 7 e 28 U.S.C. § 1738C.
18 “In determining the meaning of any Act of Congress, or of any ruling, regulation, or interpretation of the various administrative bureaus
and agencies of theUnited States, the word ‘marriage’ means only a legal union between one man and one woman as husband and wife,
and the word ‘spouse’ refers only to aperson of the opposite sex who is a husband or a wife”. 1 U. S. C. §7.
19 Sect. 2, Defence of Marriage Act:“No State, territory, or possession of the United States, or Indian tribe, shall be required to give effect to
any public act, record, or judicial proceeding of any other State, territory, possession, or tribe respecting a relationship between persons
of the same sex that is treated as a marriage under the laws of such other State, territory, possession, or tribe, or a right or claim arising
from such relationship” 28 U.S.C. § 1738C.
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
Angioletta Sperti
in particolare, agli Stati di non riconoscere i matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati in altri
Stati20.
Windsor v. US, pur rappresentando una grande conquista per le coppie omosessuali — poiché le
definizioni di “matrimonio” e di “coniuge” riferite alla sola coppia eterosessuale trovavano applicazione in oltre un migliaio di leggi federali ai fini del riconoscimento di diritti o benefici sul piano fiscale,
sanitario e sociale — lascia dunque impregiudicati i molti same-sex marriage bans e gli emendamenti
costituzionali che 31 Stati americani avevano adottato a partire dai primi anni Novanta per vietare i matrimoni tra persone dello tesso sesso sul proprio territorio e negare il riconoscimento di quelli celebrati
negli altri Stati dell’Unione21.
Windsor, al tempo stesso, solleva alcuni rilevanti dubbi interpretativi: l’opinion del giudice Kennedy — in linea con i precedenti in tema tutela dei diritti degli omosessuali22 — si astiene, infatti, dal
definire l’orientamento sessuale come fattore di discriminazione al pari della razza o le origini nazionali
(definite suspect classifications) e, conseguentemente, evita di qualificare gli omosessuali come vittime
di discriminazione23. Inoltre, la Corte Suprema non riconosce il diritto di contrarre matrimonio (right
to marry) come un diritto “fondamentale” della coppia omosessuale. Sebbene in precedenza la Corte
Suprema avesse sostenuto che il diritto di contrarre matrimonio rappresenta “un diritto di importanza
fondamentale per tutti i cittadini”24 e che “il matrimonio è uno basilari diritti civili, fondamentale per
nostra stessa esistenza e sopravvivenza”25, queste affermazioni, continuano ad essere riferite dalla giurisprudenza costituzionale alle sole coppie di sesso diverso.
Pur con queste incertezze, all’indomani di Windsor v. US, moltissime coppie si affrettano ad adire
i giudici statali e federali, affinché dichiarino l’illegittimità costituzionale degli state bans: facendo leva
sulle affermazioni del giudice Kennedy in cui si sottolineava come l’art. 3 del DOMA fosse motivato
da pregiudizio ed ostilità (animus) verso un particolare gruppo di cittadini26, i ricorrenti sostengono che
anche gli state bans debbono essere ritenuti incostituzionali perché ispirati da un medesimo intento discriminatorio, lesivo della dignità e della libertà personale delle persone gay e lesbiche.
I giudici, statali e federali, accolgono tali ricorsi pressoché unanimemente. Nell’ottobre del 2014,
chiamata a pronunciarsi in ultima istanza a seguito dell’impugnazione delle sentenze di incostituziona-
20 Sulle conseguenze del caso Windsor v. US, ad un anno dalla pronuncia, A. Sperti, Il matrimonio same-sex negli Stati Uniti ad un
anno dalla sentenza Windsor. Una riflessione sugli sviluppi giurisprudenziali a livello statale e federale, in questa Rivista, 2014, II, pp.
143 ss.
21 Il primo Stato ad adottare tale emendamento costituzionale fu, nel 1997, il Minnesota; seguirono quindi, nel 1998, l’Alaska e
lo Stato delle Hawaii, in reazione alla pronuncia della Corte Suprema delle Hawaii nel caso Baehr v. Lewin, 74 2 Haw. 530, 852
P. 2d 44 (1993) che aveva dichiarato incostituzionale — per la prima volta al mondo la limitazione dell’istituto matrimoniale
alla sola coppia eterosessuale. A partire dal 2000, 31 Stati degli Stati Uniti adottarono emendamenti costituzionali che vietavano il matrimonio tra persone dello stesso sesso (oltre all’Alaska, il Nevada nel 2000; Mississipi, Oregon, Oklahoma, Utah,
Missouri nel 2004; Colorado e Tennessee nel 2006; Arizona e California nel 2008; North Carolina nel 2012) o le stesse unioni
civili (Nebraska nel 2000; Georgia, Lousiana, North Dakota, Ohio, Michigan, Arkansas, Kentucky nel 2004; Texas e Kansas nel
2005; Alabama, South Dakota, Virginia, Idaho, Wisconsin, South Carolina nel 2006; Florida nel 2008). Gli Stati di Puerto Rico,
Virgin Islands, West Virginia e Wyoming hanno, invece, vietato i matrimoni same-sex adottando una legge ordinaria. In molti
Stati è vietato al tempo stesso il riconoscimento dei matrimoni same-sex celebrati in altri Stati (Alabama, Alaska, Arizona, Arkansas, Colorado, Florida, Georgia, Idaho, Indiana, Kansas, Kentucky, Lousiana, Michigan, Mississippi, Missouri, Montana,
Nebraska Nevada North Carolina, North Dakota, Ohio, Oklahoma, Oregon, South Carolina, South Dakota, Tennessee, Texas,
Utah, Vermont, Virginia, Washington, West Virginia, Wisconsin, Wyoming).
22 Sulla scelta della Corte Suprema di omettere il profilo della violazione del principio di eguaglianza anche nel caso Lawrence
v. Texas, cit., relativo alla legittimità costituzionale della legge del Texas che puniva gli atti sessuali tra adulti consenzienti
dello stesso sesso, anche in luogo privato — come un liberty case, invece che come un caso di discriminazione verso gli omosessuali, si v. L. Tribe, Lawrence v. Texas: The “Fundamental Right” that Dare Not Speak Its Name, cit. e K. Yoshino, The New Equal
Protection, in 124 Harvard Law Review 474 (2011), in part. § III. A, la quale sottolinea come la maggioranza della Corte Suprema
in Lawrence abbia evitato di farne un “group-based equality case about gays” preferendo, invece, impostarlo come uno “universal
liberty case”, “with undertones of equality”.
23 Su questi profili, in particolare per quanto attiene allo standard of review che invece una qualificazione dell’orientamento sessuale come fattore vietato di discriminazione avrebbe prodotto nei futuri giudizi di legittimità costituzionale relativi ai diritti
LGBT, A. Sperti, Il matrimonio same-sex negli Stati Uniti ad un anno dalla sentenza Windsor, cit.
24 Cfr. Zablocki v. Redhail, 434 U.S. 374, 384 (1978).
25 Cfr. Loving v. Virginia, 388 U.S. 1, 12 (1967) in cui peraltro si precisa che “the freedom to marry has long been recognized as one of
the vital personal rights essential to the orderly pursuit of happiness by free men”.
26 In dottrina in questo senso di espresse anche M. Strasser, Windsor, Federalism and the Future of Marriage Litigation, in Harvard
Journal of Law and Gender Online, www.harvardjld.com e in What’s Next After Windsor, in 6 Elon Law Review 387 (2014).
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
Angioletta Sperti
lità rese dalle Corti di appello del IV, VII e X Circuit relative — rispettivamente — all’illegittimità costituzionale dei same-sex marriage bans in vigore in Virginia, Indiana, Wisconsin, Utah e Oklahoma27 — la
Corte Suprema nega il certiorari. Il provvedimento lascia, pertanto, trasparire una posizione della Corte
favorevole al riconoscimento del diritto al matrimonio same-sex in tutti gli Stati poiché il certiorari denial
consente implicitamente alle autorità statali di dare seguito alle pronunce di incostituzionalità degli
state bans in tutti gli 11 Stati ricadenti sotto la giurisdizione delle corti di appello coinvolte28.
L’occasione per un nuovo intervento della Corte Suprema è offerta (o, probabilmente, provocata)
nel gennaio 2015 da una sentenza della Corte di Appello del VI Circuit che, in contrasto con le altre corti
federali di appello, conclude per la legittimità costituzionale dei bans in vigore in Kentucky, Michigan,
Ohio e Tennessee. La Corte Suprema accetta così nel caso Obergefell v. Hodges, di ritornare sul matrimonio tra persone dello stesso sesso, al fine di fare definitiva chiarezza in merito alla legittimità costituzionale dell’art. 2 del DOMA.
In particolare, con una formula del tutto inconsueta29 — il certiorari viene concesso “limitatamente
alle seguenti domande”: a) se il XIV Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti (in cui trovano
espressione i principi dell’equal protection under the laws e del due process of law) imponga agli Stati di
concedere licenze di matrimonio alle coppie dello stesso sesso; b) se lo stesso Emendamento imponga
a ciascuno Stato di riconoscere il matrimonio “legalmente autorizzato e contratto” al di fuori dei propri
confini.
2. Le più salienti affermazioni dell’opinion of the Court
L’opinion of the Court, di cui è estensore il giudice Kennedy — lo stesso delle altre importanti pronunce della Corte Suprema sui diritti degli omosessuali, Lawrence30 e Windsor31 — muove dal sottolineare
la “centralità dell’istituto del matrimonio nella condizione umana”32. In particolare, Kennedy ricorda
come il matrimonio “assicuri nobiltà e dignità a tutti gli esseri umani, senza riguardo alla loro condizione sociale”. Il matrimonio è sacro per i credenti e rappresenta un momento di realizzazione personale
per i laici: “originando dai più basilari bisogni dell’essere umano, il matrimonio è essenziale per la realizzazione della nostre più profonde speranze ed aspirazioni” 33.
Le coppie omosessuali ricorrenti, dunque, non intendono “svilire la venerabile idea e la realtà del
matrimonio”34. Ciò che le anima — dichiara Kennedy — è la consapevolezza della “duratura importanza” del matrimonio. “Lungi dal cercare di privare di valore il matrimonio, i ricorrenti lo richiedono
poiché rispettano e avvertono il bisogno dei privilegi e delle responsabilità che da esso conseguono. La
natura immutabile di questi ultimi fa sì che il matrimonio rappresenti l’unico vero percorso verso questo profondo impegno reciproco”35.
L’istituto del matrimonio, aggiunge l’estensore della pronuncia, si è evoluto nel tempo, subendo profonde trasformazioni che ne hanno riguardato sia la struttura che aspetti un tempo considerati
dai più come essenziali. Tuttavia, “queste nuove idee hanno rafforzato e non indebolito l’istituto del
matrimonio”36.
27 Di questi sviluppi chi scrive ha dato conto in un breve scritto in La Corte Suprema dà (implicitamente) il via libera alla celebrazione
dei matrimoni same-sex in cinque Stati: uno stringato order che ha il sapore di una decisione storica, in Articolo29, www.articolo29.it,
2014.
28 In particolare i matrimoni same-sex furono ammessi oltre che Virginia, Indiana, Wisconsin, Utah e Oklahoma anche in Colorado, Kansas, North Carolina, South Carolina, West Virginia, Wyoming. Il matrimonio divenne così realtà in un totale di 30
dei 50 Stati dell’Unione.
29 Chi scrive ha espresso più ampiamente queste considerazioni in Alcune considerazioni sulla decisione della Corte Suprema di
pronunciarsi nuovamente sul matrimonio tra persone dello stesso sesso, in Articolo29, www.articolo29.it, 2015.
30 Lawrence v. Texas, cit.
31 Windsor v. United States, cit.
32 Opinion of the court, p. 3.
33 Ibidem.
34 Opinion of the Court, p. 4.
35 Ibidem.
36 Opinion of the Court, p. 7.
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
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È su queste importanti affermazioni che la maggioranza fonda le sue prime conclusioni: il
matrimonio è un diritto fondamentale37 e se fino ad oggi esso era tradizionalmente riconosciuto alle coppie di sesso diverso, oggi tutti i principi su cui la Corte Suprema ha basato i propri precedenti38 devono
essere estesi alle coppie omosessuali39. Se infatti “il diritto di scegliere se contrarre o meno un matrimonio è inerente al concetto di autonomia individuale” e se la “natura del matrimonio è tale per cui attraverso un legame duraturo due persone possono realizzare altre libertà, come la possibilità di esprimere
il proprio pensiero, la propria intimità e spiritualità”, “ciò è vero per tutti gli individui, indipendentemente dal loro orientamento sessuale”40.
In secondo luogo il matrimonio assicura il diritto ad un’intima unione (right to intimate association)41
e tale diritto spetta ugualmente anche alle coppie same-sex per le quali, al pari delle coppie eterosessuali,
è la premessa per un’ulteriore e piena realizzazione della propria libertà personale42.
Inoltre, con un’affermazione senz’altro innovativa e gravida di significato per le molte coppie omosessuali con figli, il giudice Kennedy osserva che il diritto al matrimonio merita tutela costituzionale
poiché “esso protegge i bambini e le famiglie e trae dunque significato dal diritto a crescere, procreare ed
educare i figli”43. Le leggi che vietano i matrimoni tra persone dello stesso sesso, dunque, “danneggiano
ed umiliano i bambini” di quelle coppie privandoli di benefici fiscali, ma soprattutto “del riconoscimento, della stabilità e della certezza del futuro che il matrimonio offre”44.
Il matrimonio — sottolinea in ultimo il giudice estensore — è “la chiave di volta del nostro assetto
sociale”45, poiché rappresenta il presupposto per il riconoscimento di una lunga serie di diritti e doveri
sociali. “Non c’è differenza tra coppie dello stesso sesso e coppie di sesso diverso riguardo a questo
principio”. E tuttavia proprio a seguito del divieto di accedere al matrimonio, le coppie dello stesso sesso sono private di una varietà di benefici con la conseguenza di “un’instabilità che molte coppie di sesso
diverso riterrebbero intollerabile”46. Per questo motivo il divieto di matrimonio same-sex ha importanti
implicazioni anche sul piano della violazione del principio di eguaglianza, poiché esso implicitamente
“presuppone che gay e lesbiche non siano eguali sotto molti aspetti”.
La pronuncia affronta poi un altro profilo cruciale nel dibattito costituzionalistico americano con il
quale anche le corti federali o statali si sono recentemente confrontate: se il diritto al matrimonio per le
coppie same-sex configuri un nuovo diritto fondamentale o se, al contrario, esso non discenda piuttosto
da un diritto al matrimonio senza aggettivi, a prescindere dalle caratteristiche personali dei coniugi.
Coloro che si esprimono contro il riconoscimento del diritto al matrimonio same-sex negli Stati Uniti
accolgono, infatti, la prima interpretazione, sostenendo — come in passato per il diritto al suicidio assistito — che un nuovo diritto fondamentale può essere riconosciuto solo se radicato “nella storia e nella
tradizione”47.
Il giudice Kennedy fa propria, invece, in termini molto netti la seconda interpretazione giudicandola quella più in linea con i precedenti: come in passato la Corte Suprema non ha individuato un “diritto
al matrimonio interrazziale”48 o un diritto al matrimonio dei detenuti, così anche in questo contesto il
diritto al matrimonio va inteso “in senso ampio”. “Se i diritti — scrive — fossero definiti in base a coloro
37 Opinion of the Court, p. 12.
38 In particolare Loving v. Virginia, 388 U.S. 1, 12 (1967), che dichiarò l’incostituzionalità dei divieti di matrimoni interrazziali,
riconoscendo che “il matrimonio è uno dei diritti fondamentali della persona, essenziali per il perseguimento della felicità da
parte di uomini liberi” e Zablocki v. Redhail, 434 U.S. 374, 384 (1978), che ribadì la natura di diritto fondamentale del matrimonio e la illegittimità costituzionale di alcune restrizioni al diritto al matrimonio per i genitori in debito nel pagamento degli
assegni di mantenimento per i figli.
39 Si v. in particolare il § III dell’opinion of the Court, p. 12 ss.
40 Opinion of the Court, p. 13.
41 Griswold v. Connecticut, 381 U.S. 479 (1965), ma in questo senso anche il caso Lawrence v. Texas, cit..
42 Opinion of the Court, p. 14.
43 Ibidem.
44 Opinion of the Court, p. 15.
45 Opinion of the Court, p. 16.
46 Opinion of the Court, p. 17.
47 Washington v. Glucksberg, 521 U. S. 702 (1997).
48 Cfr. in particolare, Loving v. Virginia, cit., 12.
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che li hanno esercitati in passato, allora prassi condivise servirebbero a giustificare sé stesse e nuovi
gruppi non potrebbero invocare diritti in passato negati”49.
Il diritto delle coppie dello stesso di unirsi in matrimonio è quindi ricondotto dalla Corte Suprema
al XIV emendamento, in cui si trovano espressione la tutela della libertà individuale (Due Process Clause,
nel suo significato sostanziale) e il principio di eguaglianza (Equal Protection Clause). Libertà ed eguaglianza sono fra loro strettamente connesse e trovano, a giudizio del giudice Kennedy, una sintesi nella
tutela della dignità umana50: i same-sex bans adottati dagli Stati non solo, dunque, ledono la libertà delle
coppie omossessuali, ma nel negare loro parità di diritti rispetto alle coppie di sesso diverso, li fanno
oggetto di mancanza di rispetto e di subordinazione. La conclusione è dunque molto netta: “le coppie
dello stesso sesso hanno diritto di esercitare il diritto fondamentale al matrimonio. Questa libertà non
può più essere loro negata. Le leggi impugnate … sono invalide nella misura in cui escludono le coppie
dello stesso sesso dal matrimonio negli stessi termini e con le stesse condizioni riconosciute alle coppie
di sesso diverso”.
L’ultima parte della opinion of the Court51 affronta il rapporto tra corte e legislatore nel riconoscimento dei diritti fondamentali: si tratta di un tema oggetto di ampie riflessioni anche in altre esperienze
costituzionali in cui il giudice delle leggi ha preceduto gli organi politici nel riconoscimento del diritto
al matrimonio per le coppie omosessuali, ma che negli Stati Uniti assume un rilievo del tutto particolare
in ragione del valore che in questa esperienza riveste il principio della separazione dei poteri.
Anche a questo riguardo il giudice Kennedy si esprime in termini molto netti: a fronte di un dibattito molto ampio e dell’inerzia degli organi politici — sostiene — “le coppie same-sex non devono
attendere l’intervento legislativo per vedere riconosciuto il proprio diritto fondamentale al matrimonio.
… Un individuo può invocare il diritto alla tutela costituzionale quando lamenta una lesione, anche se
l’opinione pubblica non condivide e il legislatore si rifiuta di intervenire. … Le corti sono aperte verso
i soggetti lesi che si rivolgono loro per rivendicare il sostegno della nostra Carta fondamentale. L’idea
della Costituzione era di sottrarre certi temi alle vicissitudini della lotta politica e di porli oltre la portata
delle maggioranze e dei funzionari pubblici, stabilendo principi giuridici che fossero applicati dalle corti. Per questo motivo, i diritti fondamentali non possono essere rimessi ad un voto; essi non dipendono
dall’esito di alcuna elezione”52.
Le coppie omosessuali non possono dunque aspettare: il marito di Jim Obergefell, il primo ricorrente, è già morto — ricorda ad esempio il giudice Kennedy — e i bambini di molte coppie dello stesso
sesso stanno crescendo senza che i loro genitori possano unirsi in matrimonio.
Nell’ultima parte il giudice Kennedy intende tuttavia rassicurare quanti, anche per motivi religiosi, si oppongono al matrimonio same-sex precisando che la sentenza non impedirà loro di esprimere le
proprie opinioni in un dibattito aperto53. Tuttavia, conclude, a fronte della richiesta di “coloro che non
vogliono essere condannati a vivere in solitudine, esclusi dal godimento di antichi istituti giuridici” e
che “chiedono eguale dignità di fronte alla legge”, la risposta della Corte deve essere chiara: “la Costituzione garantisce loro tale diritto”54.
3. Le opinioni dissenzienti
Con una scelta insolita rispetto alla prassi della Corte Suprema, il Presidente della Corte, il giudice
Roberts, ha voluto dare lettura di un estratto della propria opinione dissenziente, quasi a rimarcare la
propria contrarietà verso i principi espressi dal giudice Kennedy per la maggioranza. Da conservatore
moderato che in passato ha votato a favore anche di alcune riforme dell’amministrazione Obama, Roberts non si dichiara contrario al riconoscimento del diritto al matrimonio alle coppie dello stesso sesso:
la principale obiezione che egli rivolge alla maggioranza è che la Corte Suprema non può operare come
un legislatore, limitando il potere degli Stati di definire il “matrimonio” in base alle proprie tradizioni
ed alla propria cultura.
49 Opinion of the Court, p. 18.
50“Classifications denied the equal dignity of men and women”(Opinion of the Court, p. 21).
51 In particolare la parte IV della opinion of the Court.
52 Opinion of the Court, p. 24.
53 Opinion of the Court, p. 27.
54 Opinion of the Court, p. 28.
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In altri termini, ciò che Roberts contesta è la stessa natura della decisione della Corte che definisce
“un atto di volontà, non una pronuncia giudiziaria” da parte di un gruppo ristretto di giudici, privi di
legittimazione democratica, che egli accusa di confondere “le proprie preferenze personali con il rispetto della legge”55. Nell’assenza di una definizione a livello costituzionale di “matrimonio” ed alla luce
dei precedenti della stessa Corte Suprema che riferiscono il matrimonio alla sola coppia eterosessuale, la
disciplina dell’istituto e, in generale, di tutte le domestic relations dovrebbe, dunque, essere a suo parere
rimessa agli Stati. Inoltre, aggiunge, l’opinione della maggioranza non trova neppure fondamento nella
tradizione e nella storia, quali presupposti su cui la Corte — ha in passato fondato l’individuazione di
nuovi diritti fondamentali56.
Alla luce di queste considerazioni, dunque, per il Presidente della Corte Suprema la sentenza nel
caso Obergefell ripropone l’attivismo giudiziario di altre, a suo parere, “discredited decisions” della Corte
Suprema, quali Dredd Scott v. Sanford — che negò ai neri il diritto di cittadinanza e quindi il diritto di
adire le corti federali — e Lochner v. New York57, che nel 1905 dichiarò incostituzionale le disposizioni che
introducevano forme di tutela sociale per i lavoratori, aprendo così un conflitto con l’amministrazione
Roosevelt che si concluderà solo nel 1937.
La “deriva non democratica” della Corte Suprema rappresenta la principale obiezione rivolta anche
dagli altri giudici dissenzienti. Il giudice Scalia, pur abbandonando i toni con cui in Lawrence v. Texas58
era giunto ad equiparare omosessualità e bestiality, non manca in più punti di ridicolizzare le argomentazioni della maggioranza e qualifica la pronuncia come una “minaccia per la democrazia americana”59,
espressione di un super-legislative power60, in aperta contraddizione con gli equilibri con la forma di governo e la forma di stato statunitensi.
Sulla stessa linea si pone anche l’opinione del giudice Thomas che accoglie un’interpretazione rigidamente originalista e letterale dei principi costituzionali e denuncia la “distorsione” in base alla quale
la maggioranza applica il principio del due process a prescindere da un’effettiva lesione “della vita, della
libertà e della proprietà”61. Tuttavia, dimostrando di non cogliere l’oggetto della questione, oltre che il
senso della stessa pretesa dei ricorrenti, aggiunge che gli omosessuali non sono affatto privati della loro
libertà, poiché “non sono stati imprigionati o limitati nella loro libertà personale da parte degli Stati per
le loro relazioni con persone dello stesso sesso”. “Al contrario — osserva — sono liberi di coabitare e di
crescere i loro figli in pace”62.
Quanto alla lesione della dignità sofferta dalle coppie omosessuali Thomas nega decisamente che
essa si sia mai realizzata: “La dignità umana è innata … Essa non può essere tolta dallo Stato… Coloro
che sono privati di taluni benefici da parte del governo, certamente non perdono la loro dignità dal momento che il governo li ha loro negati”.
Nessuna opinione dissenziente prende, invece, posizione sulla centrale questione della tutela dei
molti bambini figli di coppie dello stesso sesso. I pochi cenni ai bambini sono, infatti, solo funzionali ad
una riproposizione del paradigma eterosessuale del matrimonio63.
La seconda obiezione rivolta dai giudici dissenzienti è quella relativa alla minaccia che il riconoscimento dei matrimoni tra persone dello stesso sesso rappresenta per l’esercizio della libertà religiosa. Il
giudice Roberts, in particolare, osserva come “le persone di fede non traggono sollievo dal trattamento
che oggi ricevono dalla maggioranza” e ricorda, ad esempio, come le esenzioni fiscali per le istituzioni
55 V. p. 3, Roberts dissenting.
56 Su cui il già richiamato caso Washington v. Glucksberg, p. 720.
57 Lochner v. New York, 198 U.S. 95 (1905).
58 Lawrence v. Texas, cit..
59 V. p. 2, Scalia dissenting.
60 P. 5, Scalia dissenting.
61 P. 3 ss. della dissenting opinion del giudice Thomas. La Due Process Clause del IVX Emendamento, nella sua formula letterale
prescrive infatti che “No state… deprive any person of life, liberty, or property, without due process of law”.
62 P. 9, Thomas dissenting.
63 Cfr. ad esempio le parole del giudice Roberts, p. 5: “This universal definition of marriage as the union of a man and a woman is no
historical coincidence. Marriage did not come about as a result of a political movement, discovery, disease, war, religious doctrine, or any
other moving force of world history—and certainly not as a result of a prehistoric decision to exclude gays and lesbi ans. It arose in the
nature of things to meet a vital need: ensuring that children are conceived by a mother and father committed to raising them in the stable
conditions of a lifelong relationship”.
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religiose potranno essere poste in discussione se queste dichiareranno apertamente la propria contrarietà al matrimonio tra persone dello stesso sesso64.
La previsione di un ampio contenzioso derivante dal conflitto tra libertà religiosa e diritto al matrimonio è condivisa dal giudice Thomas che denuncia il disinteresse della maggioranza per le implicazioni della pronuncia sul punto65. “La libertà religiosa — precisa — implica libertà di azione … e l’ampiezza
di tale libertà è direttamente correlata ai limiti posti all’esercizio della pratica religiosa”.
4. Alcune considerazioni sui profili costituzionali
di maggior interesse della pronuncia
Colpisce in primo luogo la nettezza delle affermazioni e l’estrema chiarezza con cui il giudice Kennedy
argomenta l’incostituzionalità dei same-sex marriage bans in vigore negli Stati. Mentre i precedenti casi,
come Lawrence v. Texas66 e Windsor v. United States67 — pur rappresentando importanti vittorie per i diritti
delle persone gay e lesbiche — avevano sollevato alcuni interrogativi per i molti punti lasciati in sospeso dalla Corte Suprema, la sentenza nel caso Obergefell è sicuramente molto più esplicita sul profilo del
riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali.
Per questo motivo, essa è anche gravida di implicazioni: dal momento che la Corte Suprema desume la natura di diritto fondamentale del matrimonio non solo dalla libertà di tutti gli individui ma, al
tempo stesso, anche dalle specifiche discriminazioni sofferte dalle coppie dello stesso sesso — in relazione, ad esempio, alla condizione dei loro figli — si può sostenere che nessuna disparità di trattamento,
fondata sul solo orientamento sessuale dei coniugi, potrà mai in futuro superare un test di legittimità
costituzionale negli Stati Uniti. Se in futuro i legislatori statali o quello federale introducessero disparità
di trattamento, esse dovranno egualmente riguardare tutte le coppie ed essere sorrette da adeguata
motivazione.
Quanto in particolare al matrimonio, la sua qualificazione come diritto come fondamentale e “la
sua centralità per la condizione umana”68 impone che qualsiasi limitazione dovrà in futuro superare un
rigoroso scrutinio di legittimità costituzionale. Come Kennedy stesso sottolinea, infatti, “marriage lies at
the foundation of government”69.
Sul piano dei principi fondamentali, l’opinione della Corte ripropone quella lettura congiunta del
principio della libertà individuale e dell’eguaglianza su cui il giudice Kennedy aveva fondato le precedenti dichiarazioni di illegittimità costituzionale delle sodomy laws (Lawrence v. Texas) e della definizione
di “matrimonio” a livello federale (Windsor v. United States). Si tratta di una scelta dettata probabilmente
dall’intento della Corte Suprema di non concentrare la propria analisi esclusivamente sulla violazione
del principio di eguaglianza, poiché una tale impostazione avrebbe richiesto di qualificare l’omosessualità come un fattore di discriminazione costituzionalmente illegittimo, al pari di altre suspect classifications come il sesso o l’origine razziale.
Al contrario, soffermando la propria attenzione sulla violazione della libertà di tutti gli individui
— nel caso di specie in relazione al matrimonio — la Corte Suprema riesce a trasformare un equality case
relativo ad un particolare categoria di persone vittime di discriminazione, in una pronuncia di portata
più generale, concernente il riconoscimento di un diritto al matrimonio “senza aggettivi”, “che origina
dai bisogni essenziali dell’essere umano”70.
Inoltre, questa impostazione in termini più generali consente alla Corte Suprema di escludere la
configurabilità di un “diritto al matrimonio omosessuale” — come affermato dai dissenzienti: il matrimonio rivendicato dalle coppie ricorrenti non è, infatti, un nuovo diritto ma piuttosto un’ulteriore
manifestazione — frutto di una mutata sensibilità sociale — del tradizionale diritto al matrimonio. La
prova dell’esistenza di un radicamento del diritto nella storia o nella tradizione — su cui la Corte ha in
64 P. 25, Roberts dissenting.
65 P. 15, Thomas dissenting.
66 Cit.
67 Cit.
68 Opinion of the Court, p. 3.
69 Ibidem.
70 P. 3 (Opinion of the Court).
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passato fondato il riconoscimento di nuovi diritti — diviene così irrilevante ai fini della soluzione del
caso in esame71.
Di particolare interesse è poi l’attenzione che la maggioranza della Corte Suprema rivolte verso la
violazione della dignità umana. Fino a pochi anni or sono, i riferimenti alla dignità erano pressoché assenti nella giurisprudenza costituzionale degli Stati Uniti. Ciò poteva attribuirsi, in primo luogo, all’assenza di una disposizione costituzionale di riferimento, ma anche agli stessi caratteri della tradizione
giuridica americana, incentrata sul valore della libertà e dell’autodeterminazione individuale.
Tuttavia, in tempi recenti i riferimenti alla dignità nella giurisprudenza costituzionale americana
sono divenuti sempre più numerosi, stimolando anche un ampio dibattito dottrinale72 che ha messo
anche in evidenza l’ambiguità della nozione di dignità ed i pericoli insiti nella sua definizione da parte
di giudici alla luce di “mutamenti socio culturali” o di un non meglio precisato “Nation’s social order”73.
È proprio in relazione al riconoscimento dei diritti delle persone gay e lesbiche che la dignità compare
nella giurisprudenza americana, soprattutto a partire dal caso Lawrence in cui, come nel caso in esame,
essa trae il proprio significato dalla sintesi tra libertà ed eguaglianza74.
Il giudice Kennedy accoglie quindi un modello argomentativo sulla dignità, intesa non solo in
senso soggettivo ma anche oggettivo, che non è distante da quello accolto dalle Corte costituzionali e
supreme di altri ordinamenti in relazione al riconoscimento dei diritti LGBT. La Corte Suprema del Canada, ad esempio, in Egan v. Canada chiarì che “la dignità si pone a fondamento dei diritti individuali in
una società libera e democratica” e che “eguaglianza non significa altro che riconoscere l’eguale valore
di ciascuno individuo come essere umano, a dispetto delle differenze individuali. Eguaglianza significa
che la nostra società non può tollerare disparità di trattamento che rendano i cittadini di serie b … o che
altrimenti offenda la dignità umana”.
In termini ancora più chiari, la dignità come sintesi di eguaglianza e libertà individuale è accolta
dalla giurisprudenza della Corte Suprema del Sud Africa, sin dalla pronuncia che nel 1998 riconobbe
l’illegittimità costituzionale delle leggi che punivano gli atti sessuali tra persone dello stesso sesso75.
In essa si afferma che “i diritti non devono essere costruiti in termini assoluti ed separatamente gli uni
dagli altri”, poiché “eguaglianza e dignità sono strettamente connesse fra loro”.76
Non si può, dunque, non rilevare il carattere innovativo delle affermazioni della Corte Suprema circa il valore del matrimonio per la realizzazione della dignità umana: esse avvicinano la giurisprudenza
costituzionale americana alla tradizione costituzionale europea, in particolare a quella tedesca. Il valore
dell’autodeterminazione individuale su cui la Corte aveva fondato le proprie conclusioni in passato
— in relazione all’aborto, all’eutanasia, alla contraccezione — oggi sono lette alla luce del principio di
dignità umana, quale riconoscimento del valore dell’individuo e della sua libertà nella società.
Un cenno merita, infine, la netta affermazione con cui la Corte afferma il dovere dei giudici di dare
tutela a coloro che, come gay e lesbiche, rivendicano dei diritti in base alle disposizioni costituzionali
pur a fronte di un dibattito ancora accesso nell’opinione pubblica e nella politica sull’opportunità del
loro riconoscimento. Accogliendo questa conclusione, la Corte Suprema si fa portatrice di una visione
che può apparire coraggiosa e, a parere dei dissenzienti, poco deferente verso gli organi rappresentativi
cui dovrebbe essere rimessa la soluzione. Tuttavia, non si deve dimenticare che la Corte Suprema giunge a compiere questo passo a fronte di un consenso popolare verso il matrimonio same-sex in costante
crescita e che sfiora, al momento della pronuncia, il 60%77. L’elettorato americano dunque non è più di-
71 Cfr. pp. 10-11 dell’opinion of the Court. Contra, p. 14, Roberts dissenting.
72 E. Daly, Human Dignity in the Roberts Court: A Story of Inchoate Institutions, Autonomous Individuals, and the Reluctant Recognition of a Right, in 37 Ohio Northern University Law Review 381 (2011); Id., Dignity Rights: Courts, Constitutions, and the Worth of
the Human Person, cit.; R.C. Glensy, The Right to Dignity, in 43 Columbia Human Rights Law Review 65 (2011); M.D. Goodman,
Human Dignity in Supreme Court Constitutional Jurisprudence, in 84 Nebraska Law Review 740 (2006); V.C. Jackson, Constitutional
Dialogue and Human Dignity: States and Transnational Constitutional Discourse, in 65 Montana Law Review 15 (2004); J.J. Paust,
Human Dignity as a Constitutional Right: A Jurisprudentially Based Inquiry into Criteria and Content, in 27 Howard Law Journal 145
(1984); R.B. Siegel, Dignity and Sexuality: Claims of Dignity in Transnational Debates over Abortion and Same-sex Marriages, in 10
International Journal of Constitutional Law (ICON) 355 (2012).
73 Cfr. C. Turley, The trouble with the “dignity” of same-sex marriage, in Washington Post, 2 luglio 2015 e per una simile ricostruzione,
M. Fink, Human Dignity in Obergefell v. Hodges, in International Journal of Constitutional Law Blog, www.iconnectblog.com.
74 A questo riguardo, nella nostra dottrina, G. Silvestri, Dal potere ai principi. Libertà ed eguaglianza nel costituzionalismo contemporaneo, Bari, Laterza, 2009.
75 National Coalition for Gay and Lesbian Equality v. Minister of Justice, Case CCT 11/98, 9 ottobre 1998, in www.saflii.org.
76 Cfr. in particolare § 31 dell’opinion of the Court.
77 Cfr. Gallup, sondaggio del maggio 2015, www.gallup.com/poll/117328/marriage.aspx.
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
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viso come al tempo della prima pronuncia del 2013 in tema di matrimonio same-sex. Inoltre, sulla scelta
della Corte Suprema ha sicuramente pesato il pressoché unanime riconoscimento, da parte delle corti
statali e federali, dell’incostituzionalità dei same-sex bans.
La Corte Suprema, come le altre corti costituzionali che si sono negli ultimi anni pronunciate sul
tema del matrimonio tra persone dello stesso sesso, non giunge dunque al riconoscimento del diritto al
matrimonio senza che sulla questione sia maturato un diffuso consenso a livello sociale e politico.
Ciò non toglie, tuttavia, valore ed importanza alla sentenza le cui affermazioni sono destinate a
restare nella storia del riconoscimento dei diritti civili negli Stati Uniti.
5. Le prospettive per il futuro: la tutela della libertà religiosa
in relazione al matrimonio come strumento per contrastare
gli effetti della pronuncia
Come in passato negli Stati Uniti la lotta dei neri per i diritti civili non si concluse con Brown v. Board of
Education78, né quella delle donne con Griswold v. Connecticut79 e Roe v Wade80, Obegefell non rappresenterà
probabilmente l’epilogo della lotta degli omosessuali per il riconoscimento della piena parità dei diritti.
All’indomani della sentenza molti sono stati i tentativi posti in essere sia da parte di comuni cittadini che di public officials per contrastarne gli effetti: si va dal caso dei panettieri dell’Oregon che si sono
opposti alla richiesta di confezionare una torta nuziale per due donne81, alla vicenda di due ragazzi della
Florida che, dopo la celebrazione del loro matrimonio, si sono visti rifiutare la vendita di alcuni farmaci
da un farmacista contrario al same-sex marriage; al caso della donna residente in Texas che, rientrata dal
viaggio di nozze con la moglie, viene licenziata; sino alla vicenda — che ha avuto ampio risalto anche
sulla stampa internazionale — di Kim Davis, la funzionaria della corte statale del Kentucky che si rifiuta
di rilasciare marriage licences (a tutte le coppie) “in nome di Dio” e che per questo viene arrestata per
contempt of court e successivamente rilasciata82.
Come previsto dagli stessi giudici dissenzienti in Obergefell, il dibattito si è dunque spostato sul
diritto di coloro che per motivi religiosi si oppongono al matrimonio same-sex di esercitare forme di obiezione di coscienza che si sostanziano nella negazione di un pubblico servizio alle coppie omosessuali.
Simili manifestazioni di dissenso si sono verificate anche in altre esperienze dopo il riconoscimento
del diritto al matrimonio same-sex e sono state oggetto di pronunce — fra cui, in particolare, del Conseil
constitutionnel francese83 e del Tribunale Supremo Spagnolo84 — che hanno negato ai pubblici ufficiali
la possibilità di rifiutare la celebrazione dei matrimoni. Una pronuncia della Corte Suprema inglese ha,
invece, affrontato il profilo della legittimità di forme di obiezione di coscienza da parte di privati cittadini, titolari di pubblici esercizi85, negando che nel caso di specie i titolari di un bed and breakfast avessero
diritto di rifiutare una camera ad una coppia dello stesso sesso in quanto solo ragioni molto rilevanti
(very weighty reasons) possono giustificare una discriminazione in base all’orientamento sessuale.
78 Brown v. Board of Education, 347 U.S. 483 (1954).
79 Griswold v. Connecticut, 381 U.S. 479 (1965).
80 Roe v. Wade, cit.
81 Per un commento su questa vicenda e sulla sentenza della corte statale dell’Oregon che ha condannato i pasticceri al pagamento di § 135.000 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale sofferto dalle due donne, A. Sperti, Libertà di coscienza,
libertà di impresa e divieto di discriminazione nel recente “caso della torta nuziale”, in Articolo29, www.articolo29.it, 2015.
82 Sulla questione, per un’analisi della posizione dei public officials e la tutela della loro libertà religiosa, E. Volokh, When Does
Your Religion Legally Excuse You From Doing Part of Your Job?, in Washington Post, 4 settembre 2015.
83 Conseil constitutionnel, decisione n. 213.353 del 18 ottobre 2013, in Articolo29, www.articolo29.it. A commento della pronuncia,
si v. le interessanti riflessioni di A.M. Lecis Cocco-Ortu, L’obiezione di coscienza al matrimonio same-sex: un’opzione ammissibile?
Riflessioni a partire dalla pronuncia del Conseil constitutionnel, in Forum di Quaderni costituzionali, www.forumcostituzionale.it.
Sull’esperienza francese si v anche il contributo di M. Saporiti, Mariage pour tous e obiezione di coscienza in Francia, in Articolo29,
www.articolo29.it, 2014.
84 Tribunale supremo, sentenza n. 3059/2009 dell’11 maggio 2009
85 Cfr. Bull v. Hall, Supreme Court of the United Kingdom, [2013] UKSC 73, in Articolo29, www.articolo29.it, con commento di
D. Amram, “Camera matrimoniale solo per coppie etero sposate”: il caso Bull v. Hall deciso dalla U.K. Supreme Court.
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
Angioletta Sperti
Esaminando queste pronunce si ha la sensazione che la libertà religiosa sia invocata con una finalità
non dissimile rispetto a quella di altri argomenti “risolutivi” spesi contro il matrimonio same-sex come,
ad esempio, la tradizione. Invocare un diritto all’obiezione di coscienza significa, in altri termini, escludere a priori la possibilità di un bilanciamento tra diritti costituzionali contrapposti — diritto al matrimonio e parità di trattamento da un lato e libertà religiosa e di espressione del pensiero dall’altro. In un
ordinamento come quello degli Stati Uniti, in cui la Corte Suprema ha riconosciuto il valore e la dignità
delle unioni omosessuali ed il diritto di consacrarle nel matrimonio, l’invocazione della libertà religiosa
appare oggi come l’unica via per contrastare le affermazioni della Corte Suprema, senza entrare nel
merito dei diritti delle coppie omosessuali e delle ragioni a favore del riconoscimento del loro diritto al
matrimonio, fra cui per tutte quella dei diritti dei bambini.
Chi scrive condivide dunque la scelta delle Corti che ad oggi hanno esaminato i primi casi di escludere che la libertà religiosa rappresenti un valore assoluto, da sottrarre al bilanciamento con i diritti dei
terzi coinvolti e con il principio di eguaglianza: la sentenza dell’Oregon, ad esempio, richiama l’impatto
sul piano psicologico che il rifiuto del dolce nuziale ha avuto sia per le spose che per i loro figli e la
sentenza inglese si concentra principalmente sulla discriminazione operata verso la coppia osservando
che certamente “la libertà religiosa si pone a fondamento di una società democratica”, ma che essa può
essere limitata per tutelare i diritti costituzionali di altri soggetti.
È dunque in questa prospettiva che deve essere apprezzata, per le sue implicazioni, l’importanza
del riconoscimento della natura fondamentale del diritto delle coppie omosessuali al matrimonio oggi
compiuto dalla Corte Suprema.
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
Simone Chriss, Danaya C. Wright
Simone Chriss*, Danaya C. Wright**
After Obergefell v. Hodges: the continuing battle
over equal rights for sexual minorities
in the United States
Sommario
1. Introduction – 2. A Basic Primer on U.S. Constitutional Jurisprudence – 3.1 Equal Protection vs. Due
Process in the United States: The Equal Protection Clause – 3.2. The Due Process Clause – 3.3. Hybrid
Equal Protection and Due Process – 4. History of Same-Sex Marriage Regulations and Litigation –
5. Obergefell v. Hodges – 6. After Obergefell: What to Expect – 6.1. Fundamental Rights under the Due
Process Clause – 6.2. Suspect Class Status under the Equal Protection Clause – 6.3. Dignitary harms –
7. Conclusion
Abstract
L’articolo esamina la rivoluzionaria sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti nel caso Obegefell v.
Hodges che ha riconosciuto la natura di diritto fondamentale del diritto al matrimonio ed ha affermato
che esso non può essere negato da alcuno degli Stati, neppure da quelli che hanno approvato miriadi di
leggi volte a bandire i matrimoni tra persone dello stesso sesso.
Dopo aver illustrato la giurisprudenza costituzionale in tema di giusto processo e sul principio di eguaglianza, l’articolo esamina la storia del movimento per il riconoscimento del diritto al matrimonio e la
sentenza Obergefell. Lo scritto si conclude con una discussione su come la teoria accolta nel caso — il riconoscimento dei diritti fondamentali sulla base della clausola del giusto processo — restringa il valore
di precedente del caso. Sebbene gli attivisti per i diritti degli omosessuali abbiano accolto con grande entusiasmo la pronuncia, essa non si spinge sino al punto da essi sperato nell’affermazione della parità di
trattamento per le minoranze sessuali per cui la battaglia degli attivisti continua per l’abolizione di ogni
discriminazione nei luoghi di lavoro, nell’accesso agli alloggi, nell’istruzione, nei servizi pubblici, ecc.
This article examines the pathbreaking U.S. Supreme Court decision in Obergefell v. Hodges that held same-sex
marriage was a fundamental right that could not be denied by any state, despite the myriad same-sex marriage
bans that had been passed in a majority of states. After explaining the constitutional jurisprudence of due process
and equal protection, the article then examines the history of the same-sex marriage movement and the Obergefell
decision. We conclude by discussing how the jurisprudential theory of the case, fundamental rights under the due
process clause, narrows the scope of the case’s precedential value. Although gay rights activists were thrilled with
the decision, it did not go as far toward mandating equal treatment for sexual minorities as they hoped, and the
battle continues as activists now have turned toward abolishing discrimination in employment, housing, education, public accommodations, and the like.
*
**
JD Student, University of Florida, Levin College of Law, 2016.
Clarence J. TeSelle Professor of Law at the University of Florida, Levin College of Law.
Il contributo viene pubblicato in seguito a referees a doppio cieco.
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
Simone Chriss, Danaya C. Wright
1. Introduction
On June 26, 2015, the United States Supreme Court ruled in Obergefell v. Hodges1 that same-sex marriage
was a fundamental constitutional right that cannot be infringed. That decision marked the end of a
long battle for gay and lesbian activists seeking equal rights to marry and thus to acquire the myriad
tangible and intangible benefits of legal marriage. It also marks the beginning of the next stage in the
battle for equal treatment for sexual minorities which began with the 1969 Stonewall Riots and has
seen the Supreme Court strike down laws prohibiting states from blocking anti-discrimination laws for
sexual minorities in Romer v. Evans2 in 1996 and striking down anti-sodomy laws in 2003 in Lawrence v.
Texas3. Justice Anthony Kennedy has authored the majority opinions in all four major gay rights cases of
the last twenty years, including the decision in Obergefell, in which his focus has been on the dignitary
harms facing sexual minorities who cannot marry, cannot visit their loved ones in hospitals, can be fired
from their jobs or evicted from their homes, can be prohibited from adopting their partner’s children, or
can be imprisoned simply because they love someone of the same sex4.
Like the battles for racial and gender equality, the battle for marriage equality has been neither
smooth nor steady. Sexual minorities still have a long way to go before they are treated equally under
the law in most states, but the same-sex marriage issue has opened the door toward future cases that
are likely to improve equal rights for all. As an astounding 63% of the population approves of same-sex
marriage, and disapproves of differential treatment on the basis of sexual orientation, the decision in
Obergefell provides valuable ammunition for the continuing battle while also falling short in what could
have been a decisive blow against bigotry and legally-sanctioned discrimination. The decisive blow
came for racial minorities in 1954 when the Supreme Court struck down the system of school segregation in Brown v. Bd. of Education5, decreeing that all laws mandating or permitting racial discrimination
were unconstitutional. That moment also came in 1976 for women, when the Supreme Court held that
laws disadvantaging on the basis of sex were subject to heightened scrutiny in Craig v. Boren6. But the
Court has not held that sexual minorities are entitled to widespread protection against discriminatory
local, state, or federal laws. Thus, while gays and lesbians celebrated winning the right to marry on June
26th, 2015, they picked up the banner on June 27th and are continuing down the long road toward legal
equality.
In this article we briefly explain the complex legal history of the same-sex marriage issue, we explain the constitutional basis for the Court’s decision in Obergefell, and we discuss where and how the
case falls short in being the decisive moment for gay equal rights. To understand exactly what the case
accomplishes, and what it fails to accomplish, one must understand the complicated nature of constitutional civil rights jurisprudence, as well as the balance of the U.S. federal/state legal system. While the
dissenting justices in Obergefell decried the anti-democratic aspects of the decision, they were invoking
a long debate between those who believe in a living constitution, that adjusts and evolves to deal with
changing times, and those who espouse an originalist interpretation that the constitution is fixed in
its eighteenth- or nineteenth-century meaning and context7. While the same-sex marriage debate has
rekindled the constitutional battle over the nature and content of fundamental rights and liberties, it
has also fit squarely within nearly a century’s worth of cases affirming the rights of the individual to be
protected against morals legislation that, for the disadvantaged, may reflect the tyranny of the majority.
1
135 S.Ct. 2584 (2015).
2
517 U.S. 620 (1996).
3
539 U.S. 558 (2003).
4See, Romer v. Evans, 517 U.S. 620 (1996); Lawrence v. Texas, 539 U.S. 558 (2003); United States v. Windsor, 133 S.Ct. 2675 (2013);
Obergefell v. Hodges, 135 S.Ct. 2584 (2015). Each of these opinions, authored by Justice Kennedy, were consistently joined by
liberal Justices Ginsburg and Breyer, and each included dissenting opinions by conservative Justices Scalia and Thomas.
5
347 U.S. 483 (1954).
6
429 U.S. 190 (1976).
7
The originalist theory of interpretation is that the Constitution should be interpreted strictly based on the intent of its authors,
and thus the Court should find a right to exist in the Constitution only if it is explicitly stated in the Constitution or clearly
intended by the framers. The non-originalist theory of interpretation goes beyond the text contained within the four corners
of the document, thus allowing the Court to protect rights not explicitly stated nor clearly intended by the Framers. The
fundamental disagreement is over the evolution of the Constitution, with originalists believing amendments to be the sole
method of constitutional evolution, and non-originalists deeming it permissible for the Court to interpret the constitution to
protect rights not explicitly mentioned in the text.
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
Simone Chriss, Danaya C. Wright
2. A Basic Primer on U.S. Constitutional Jurisprudence
The United States Constitution was adopted in 1789, and it sets out the basic procedures for electing
members of Congress, the President, and for the appointment of federal judges. Most importantly, however, it establishes our federal system of government, which consists of fifty sovereign states, each
with its own jurisdiction to pass laws for the general welfare, and a single federal government of limited
powers that is supreme within its limited scope of authority. The federal government receives its powers
from the states and is limited by the Constitution to acting only in certain defined areas of national interest, such as immigration, interstate and international commerce, and national defense. The Constitution leaves all remaining powers to the states, including core state interests over domestic relations laws,
criminal laws, and real property law within their boundaries.
Ideally, the jurisdiction of the federal and state governments should not conflict, as the federal government is supreme within its limited scope, and the states are supreme over all remaining matters.
However, as times have changed and more and more matters have taken on national or even global
implications, the federal government’s powers have grown at the expense of the states8. While marriage,
divorce, child custody and other matters of domestic relations laws have continued to rest primarily
within the states, the creation of federal programs like social security, Medicare, and even federal income taxes create tension between federal definitions of marriage and state definitions of marriage.
In 1791 the Bill of Rights9 was passed, providing protections for individuals against majoritarian
legislation in the areas of speech, religious expression, personal liberty, and a wide variety of criminal
law protections. Most important for our purposes is the Fifth Amendment’s protection against the deprivation of “life, liberty, or property without due process of law”. For the first sixty years, however,
the Bill of Rights protections were interpreted by the Supreme Court as applying only against the federal government and not against state governments10. Thus, if a person felt that a state law infringed a
personal liberty, one would look to a state constitutional provision rather than the federal constitution.
But in 1868, following the Civil War, the Fourteenth Amendment was ratified which expressly
prohibits states from depriving a person of life, liberty, or property without due process of law, or for
denying a person the equal protection of the laws. These two provisions, the liberty prong of the Due
Process clause of the Fifth and Fourteenth Amendments, and the Equal Protection clause of the Fourteenth Amendment are the primary sources of constitutional protections for individual civil rights. But
juxtaposed against these individual rights protections is the structural nature of federalism, which guarantees that states have a zone of autonomy from federal intrusion, including from certain constitutional
claims of individual rights under the federal constitution. Thus, if a matter is properly one for state law,
neither Congress nor the Supreme Court has power to alter the state law. On the other hand, if a state
law intrudes upon an individual right protected under the Fifth or Fourteenth Amendment, the state
law must give way. Determining which jurisdiction, state or federal, will have legal control over a set
of rights or entitlements is far from a simple matter, and marriage is one of the hardest to determine.
Because the criteria and qualifications for entering a valid marriage have typically been a matter of
state law, there has been much debate whether same-sex marriage remains solely within the province
of the states, or whether the right to marry the person of your choice without regard to racial or sexual
limitations is a right entitled to protection under the liberty prong of the Due Process clauses of the
federal constitution. That debate is at the heart of the constitutional battle for same-sex marriage in the
United States. And within that battle is a question over whether the Equal Protection or the Due Process
clause provides the appropriate source for striking down state laws banning same-sex marriage.
8
See e.g., NLRB v. Jones & Laughlin Steel Corp., 301 U.S. 1 (1937) (where the Court upheld the National Labor Relations Act of
1935 permitting federal oversight of state labor relations); Garcia v. San Antonio Metropolitan Transit Authority, 469 U.S. 528
(1985) (resulting in the application of the Fair Labor Standards Act to state governments, and thus rejecting a rule of state
immunity from federal regulation).
9
The Bill of Rights consists of the first ten amendments to the Constitution, providing protections for speech and religious expression (Amendment I), arms (Amendment II), housing soldiers (Amendment III), search and seizure (Amendment IV), due
process for the accused (Amendment V), fair and speedy trials (Amendment VI), jury trial (Amendment VII), and reserved
powers of citizens and states (Amendments IX, X).
10Barron v. Mayor & City Council of Baltimore, 32 U.S. 243 (1833).
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3. Equal Protection vs. Due Process in the United States
3.1. The Equal Protection Clause
The Equal Protection clause of the Fourteenth Amendment to the United States Constitution provides
that “No State shall deny to any person within its jurisdiction the equal protection of the laws11”. Laws
that classify persons, and treat one group worse than another, raise concerns under the Equal Protection
clause, which requires that persons be treated equally with one another to the extent they are similarly
situated12. Thus, minors can be prohibited from voting because of their nonage because they are held
to be not similarly situated to adults in terms of their education and ability to reason. But blacks and
whites, men and women, the disabled and the able-bodied are all similarly situated in their ability to
exercise their right to vote and therefore cannot be treated differently13. Laws challenged under the
Equal Protection clause focus on the classification between groups of people, and opponents of the laws
question whether the classification is justified in light of the state or federal governments’ interest in
treating the groups differently. Thus, school policies segregating students by race or gender have been
stricken as unconstitutional14, just as laws requiring that laundries be located in brick, and not wooden,
buildings were stricken when the law was applied unequally only to laundries owned or operated by
Chinese-Americans15. Because gender and race is not relevant to the ability to go to school, and race is
not relevant to operating a laundry, the Court held that state laws drawing such classifications were
unjustified by whatever dubious goals the state tried to articulate for the differential treatment.
Constitutional mandates for equal treatment under the laws went largely unrealized as a civil rights
matter until 1954, when Brown v. Board of Education16 became the first case in which the Supreme Court
looked behind the face of the law, in this case school segregation laws, to sniff out what it called “invidious discrimination”. States could no longer claim that separate schools for white and African-American students were permissible, even if the schools had been equal in quality and opportunities, which
they certainly were not. Equal protection requirements, that expressly applied only to states under the
Fourteenth Amendment, were subsequently held to apply to the federal government under the Fifth
Amendment in the same way they apply to state governments under the Fourteenth17. Equal protection
analysis requires the government, whether state or federal, to show a sufficiently important objective
to justify a law or government practice that discriminates against a group of people, especially if that
group has faced discrimination in the past or is politically unpopular.
Since Brown v. Bd. of Education, the Supreme Court has developed a three-tier paradigm under the
Equal Protection clause for analyzing laws that classify groups of people18. Laws that classify people
11 U.S. Const. Amend XIV, § 1.
12 The famous “footnote four” in the Supreme Court case United States v. Carolene Products Co. famously established that Courts
should generally presume a law is constitutional, unless it interferes with individual rights or discriminates against a “discrete and insular minority,” in which case it should be subject to heightened scrutiny. 394 U.S. 144, 152 n.4 (1938). It is the discrete and insular minority aspect of the Court’s famous footnote that leads to the tiers of scrutiny for disadvantaged classes
of people.
13 See, U.S. Const. Amend XV, § 1 (1870) (stating that the right to vote shall not be denied on the basis of race; U.S. Const. Amend
XIX (1920) (stating that the right to vote shall not be denied on the basis of sex). See also, Kramer v. Union Free School Dist., 395
U.S. 621, 626 (1969); Harper v. Virginia St. Bd. of Elections, 383 U.S. 663, 666 (1996) (in both cases, the Supreme Court declared
the right to vote as a fundamental right protected under the Equal Protection Clause).
14 Brown v. Bd. of Education, 347 U.S. 483 (1954); U.S. v. Virginia, 518 U.S. 515 (1996).
15 Yick Wo v. Hopkins, 118 U.S. 356 (1886).
16 347 U.S. 483 (1954).
17 Bolling v. Sharpe, 347 U.S. 497 (1954).
18 Under the equal protection clause, the Court has asserted that certain types of differences between people are likely to lead to
elevated scrutiny while other differences are not. The first of these criteria is whether the law classifies individuals based on
an immutable characteristic, meaning a characteristic the individual cannot choose or change, such as race. The second factor
is the ability of the group to protect itself through the political process. The third factor routinely analyzed is the history of
discrimination the group has faced, as this is often enlightening in determining whether the classification under the law is
based upon stereotypes, prejudice, or bias, rather than on a legitimate government interest. Cleburne v. Cleburne Living Center,
473 U.S. 432 (1985).
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based on race or national origin are deemed inherently suspicious and are subject to strict scrutiny19.
Strict scrutiny requires that the government show that the law is a necessary means to accomplish a compelling state end, and requires proof that the law be the least restrictive and least discriminatory alternative available20. Laws that classify people on the basis of gender and illegitimacy are subject to what has
been termed intermediate scrutiny. Under intermediate scrutiny the government must show that the law
is substantially related to an important government interest21. Under both strict and intermediate scrutiny, the burden is on the government to show that its law, treating people differently in some manner, is
justified to serve an important or a compelling purpose.
Where a law classifies people on the basis of non-immutable characteristics or abilities, and the law
does not seem to further some form of invidious discrimination, the Court applies a rational basis test to
determine the constitutionality of the law. Under rational basis, the government need merely prove that
the law is rationally related to a legitimate government end. Thus, laws that require people drive on the
right side of the road, while disadvantaging those who want to drive on the left side, are not based on
invidious discrimination against a politically unpopular group and are therefore constitutional. Most
regulations involving businesses, or laws requiring marriage licenses or business licenses, are subject to
rational basis review because they impose modest, reasonable restrictions in order to promote orderly
social goals and are not tied to invidious forms of discrimination.
Unlike the two more stringent standards of review, strict and intermediate scrutiny, the rational
basis test puts the burden of proof on the challenger rather than on the government22. Rational basis
review is quite deferential to the government and the legislative process, and it is highly uncommon
for a law to be deemed unconstitutional under this minimum level of scrutiny. Essentially, in order for
a law to fail the rational basis test, the challenger of the law must demonstrate that the classification is
completely arbitrary and entirely irrelevant to any reasonable state objective. But despite claims that
rational basis is a pass for the government, a few laws have been stricken as being completely arbitrary
or based on unreasonable animus against an unpopular group23.
Determining which level of scrutiny to apply to laws that classify individuals, and are therefore
at risk of disadvantaging an already disadvantaged group, is a highly contested issue. While the selection of a standard of review often seems to lead to a predetermined outcome, in reality the court has
significant discretion in determining the standard, and the three tiers of review are often seen as more
of a sliding scale rather than three distinct standards. Some have called strict scrutiny, “strict in theory
but fatal in fact”24 and others have referred to the rational basis test as toothless, but empirical analysis
shows that a significant percentage of challenges to laws under strict scrutiny fail25.
3.2. The Due Process Clause
The Due Process clause of the Fourteenth Amendment provides that “no State shall deprive any person
of life, liberty, or property, without due process of law26,” therefore protecting individuals against arbitrary government intrusion into their fundamental liberties. Due process under this amendment refers
to both procedural requirements of fairness when legal rights are restrained27, and substantive matters,
which consist of certain fundamental rights that cannot be infringed without substantially affecting an
19See Graham v. Richardson, 403 U.S. 365 (1971); Parents Involved in Community Schools v. Seattle School Dist. No. 1, 551 U.S. 701
(2007).
20See, Richmond v. J.A. Croson Co., 488 U.S. 469, 493 (1989).
21See, Craig v. Boren, 429 U.S. 190 (1976) (articulating the standard of intermediate scrutiny for gender classifications); Clark v.
Jeter, 486 U.S. 456, 461 (1988) (holding intermediate scrutiny to be the standard appropriate for discriminatory classifications
based on illegitimacy); Matthews v. Lucas, 427 U.S. 495, 505 (1976).
22 E.g., Williamson v. Lee Optical Co., 348 U.S. 483 (1955).
23See Romer v. Evans, 517 U.S. 620, 631-34 (1996) (holding a state law unconstitutional as an irrational denial of equal protection
using only rational basis review, as the law had no legitimate purpose and was born of animosity toward gays and lesbians).
24 Justice Brennan, concurring, in Regents of the University of California v. Bakke, 438 U.S. 265, 362 (1978).
25 Adam Winkler, Fatal in Theory and Strict in Fact: An Empirical Analysis of Strict Scrutiny in the Federal Courts, in Vanderbilt Law
Review, 793 (2006).
26 U.S. Const Amend XIV, § 1.
27 Procedural due process refers to the procedures that the government must follow before it deprives a person of life, liberty, or
property. Issues commonly arising under procedural due process include the type of notice and the form of hearing required
by the government in certain actions.
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individual’s right to liberty and autonomy. The substantive side of the due process protection for liberty
and property requires that there be a sufficient justification for the state’s action if it is going to infringe
one’s rights. Some liberties are so important that they are deemed fundamental, and when legislation
burdens the exercise of a fundamental right, the law is subjected to strict scrutiny analysis28. If analyzed
under strict scrutiny, the government must meet the same standard as under equal protection — that
the law is necessary to further a compelling state interest. Examples of rights that have been deemed
fundamental include, but are not limited to, the right to vote, the freedom to travel, the rights of parents
to have custody of their children, the right to privacy and personal autonomy, the right to marry, rights
protecting procreation and contraceptives, and rights protecting sexual activity and medical care decision-making29. Though some of these rights are not expressly mentioned in the text of the Constitution,
they are nevertheless protected by the Court because the Due Process clause protects both enumerated
rights and other derivative rights that are deemed necessary in a free and civil society30. The determination of whether a right not enumerated in the text of the Constitution is fundamental often turns on
whether the right is rooted in our Nation’s history, legal traditions, and practices31.
If a right is deemed to be non-fundamental, such as the right to run a business or the right to shop
for liquor on Sundays, the state may infringe the right so long as it meets the highly deferential rational basis test; i.e., that the law is rationally related to a legitimate government purpose. If the right is
non-fundamental, it can be entirely prohibited if the state meets its deferential standard. Thus, the right
to donate blood or the right to be free of property taxes can be prohibited or merely infringed, in the
legislature’s discretion. But if the right is fundamental, it usually cannot be entirely prohibited, and
infringements on the right must be narrowly drawn to further the state’s compelling interest. Thus,
although access to an abortion is deemed a fundamental right that cannot be entirely prohibited, states
can infringe the right through reasonable regulations so long as the right is not unduly burdened32.
The freedom to marry has been recognized as a fundamental right protected by the Due Process
clause, a holding that has been reaffirmed by our nation’s highest court myriad times33. But regulations
infringing the right to marry have also been upheld, such as the requirement of civil registration, prohibitions on polygamy or bigamy, prohibitions on marriages of minors or coerced marriages, restrictions
on the basis of consanguinity, and even the requirement that the parties submit to a blood test34. Thus,
although the right to marry was affirmed when the Court struck down interracial marriage bans in
Loving v. Virginia in 196735, it treated the prohibition against same-sex marriage in Minnesota as a mere
regulation entirely within the purview of state domestic relations law five years later in Baker v. Nelson36.
Even though the Court has identified a right as fundamental, the Court is not bound to find that all expressions of that right are so important as to be entitled to constitutional protection, or that all restraints
on the right are unconstitutional.
28 Zablocki v. Redhail, 434 U.S. 374, 388 (1978).
29 Voting: Reynolds v. Sims, 377 U.S. 533 (1964); Bush v. Gore, 531 U.S. 98 (2000); Harper v. Virginia Bd. of Elections, 383 U.S. 663
(1966). Travel: Shapiro v. Thompson, 394 U.S. 618 (1969); Saenz v. Roe, 526 U.S. 489 (1999). Custody: Santosky v. Kramer, 455 U.S.
745 (1982); Zablocki v. Redhail, 434 U.S. 374, 388 (1978); Stanley v. Illinois, 405 U.S. 645 (1972). Privacy and personal autonomy:
Griswold v. Connecticut, 381 U.S. 479 (1965); Roe v. Wade, 410 U.S. 113 (1973). Marriage: Zablocki v. Redhail, 434 U.S. 374 (1978).
Procreation and contraceptives: Skinner v. Oklahoma, 316 U.S. 535, 541 (1942); Eisenstadt v. Baird, 405 U.S. 438 (1972). Sexual
activity: Lawrence v. Texas, 539 U.S. 558 (2003). Medical care decision-making: Cruzan v. Director, Missouri Department of Health,
497 U.S. 261 (1990).
30 Roth v. Board of Regents, 408 U.S. 564, 572 (1972) (holding that liberty means those rights expressly stated in the constitutional
text and those not specifically enumerated in the text, such as the right to marry).
31 Washington v. Glucksberg, 521 U.S. 702, 710 (1997).
32 Roe v. Wade, 410 U.S. 113 (1973); Planned Parenthood v. Casey, 505 U.S. 833 (1992).
33 See e.g., Loving v. Virginia, 388 U.S. 1, 12 (1967); Zablocki v. Redhail, 434 U.S. 374, 388 (1978); Perry v. Schwarzenegger, 704 F. Supp.
2d 921, 991 (2010).
34 See, e.g., Reynolds v. United States, 98 U.S. 145 (1878) (upholding the constitutionality of a law forbidding polygamy, even
though Mormons claimed that it was required by their religion); Breithaupt v. Abram, 352 U.S. 432, 436 (1957) (explaining that
blood tests have become procedure for those going into military service as well as those applying for marriage licenses).
35 Loving v. Virginia, 388 U.S. 1 (1967).
36 Baker v. Nelson, 409 U.S. 810 (1972).
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
Simone Chriss, Danaya C. Wright
3.3. Hybrid Equal Protection and Due Process
As if these two clauses were not complicated enough, the Supreme Court has identified a hybrid theory
of equal protection and due process. This complicated situation arises when a relatively small group of
people are denied the right to exercise a fundamental liberty interest, or when their fundamental rights
are infringed, but they are not recognized as a suspect class. For instance, imagine a state were to decree
that people who drive red cars can only vote if they show four forms of identification and everyone else
can vote by showing only one form of identification. In such an instance, people who drive red cars are
not a suspect class, which racial minorities or non-marital children are. But the right to vote is a fundamental right. In this example the right to vote is not entirely prohibited to drivers of red cars, but their
right to vote is significantly infringed. In such a case, the Court would elevate scrutiny to strict scrutiny
because of the infringement of a fundamental right, but the Court would look at the classification to see
if classifying people by what color car they drive is related to the exercise of the right. In this hybrid
situation the Court focuses on the classification like it would do under equal protection, rather than on
the infringement of the right which it would do under a pure due process analysis, even though what
causes the elevation in scrutiny is the importance of the right. In this instance, driving a red car has
nothing to do with the ability to vote capably, and thus the classification cannot meet the appropriate
level of scrutiny and the law would be stricken.
On the other hand, a law that prohibits minors from voting would be upheld because, although
the prohibition of voting by minors is a great burden on their fundamental right, the age classification
makes sense in light of their general maturity and educational levels. Under this hybrid theory, therefore, laws infringing fundamental rights of non-suspect classes will receive heightened scrutiny into
whether the classification (some people get to exercise the right and others do not) furthers a compelling
government interest37.
And this is precisely the situation raised by bans on same-sex marriage. States argue that no one is
denied the fundamental right to marry; they are simply prohibited from marrying a person of the same
sex. This means that opposite-sex couples may exercise their fundamental right to marry, but same-sex
couples cannot. Because sexual minorities are not recognized as a suspect or quasi-suspect class under
the Court’s equal protection jurisprudence, they are very much in the same situation as the drivers of
red cars. Their right to marry is severely infringed but it is not prohibited, as they can always choose to
marry someone of the opposite sex. And so long as the classification between opposite-sex and same-sex
couples in the exercise of the right to marry does not impose an undue burden on them, the law would
be a permissible regulation.
This hybrid theory illustrates how complex the Supreme Court’s constitutional civil rights jurisprudence has become. If one argues that a homosexual person is entirely prohibited from exercising the
right to marry, and the right is a fundamental right, then the appropriate theory is the straightforward
Due Process clause. If one argues that same-sex marriage bans classify between heterosexual and homosexual persons, and that the classification deserves heightened scrutiny because sexual minorities meet
the recognized criteria of a suspect class, then the appropriate source is the Equal Protection clause.
Under equal protection, one would only need to determine what level of scrutiny is appropriate based
on whether the class is a suspect class entitled to strict scrutiny or only a quasi-suspect class, like gender,
that is entitled to intermediate scrutiny. But if one acknowledges that sexual minorities are not a suspect
class at all, and therefore entitled only to rational basis review of laws that disadvantage them, then one
can argue the hybrid equal protection/due process claim if the right being infringed is deemed a fundamental right (and not a mere regulation) and the classification between heterosexual and homosexual
marriage applicants does not further the state’s interest in regulating marriage.
One can think of the issue a bit differently by considering whether the same-sex marriage bans
are aimed at disadvantaging particular persons because they are gay, or whether the bans are aimed at
regulating the act of getting married. In the former, the issue is equal protection and in the latter it is
due process. If the marriage ban is like the requirement of civil registration, then it is a mere regulation
generally left to state domestic relations laws. If the marriage ban is like the prohibition on coerced
marriages, then it clearly furthers a compelling state end of maintaining morals and good behavior. If
the marriage ban is really an attempt to disadvantage a group of people, in this case gay people, then it
looks an awful lot like the interracial marriage bans that were aimed at disadvantaging racial minorities
and would be an unconstitutional infringement of the fundamental right to marry.
37 Loving v. Virginia, 388 U.S. 1 (1967); Shapiro v. Thompson, 394 U.S. 618 (1969); Eisenstadt v. Baird, 405 U.S. 438 (1972); Bearden v.
Georgia, 461 U.S. 660 (1983); M.L.B. v. S.L.J, 519 U.S. 102 (2012).
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
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Even after the Supreme Court’s decision in Obergefell holding that same-sex marriage bans were
aimed at disadvantaging gay people, countless questions remain about the legitimacy of other types of
marriage regulations. But that issue is addressed below. In order to fully understand the Court’s decision and its impact for the future, we next need to place the case in its historical context.
4. History of Same-Sex Marriage Regulations and Litigation
As noted earlier, the Supreme Court struck down all interracial marriage bans in 1967 in Loving v. Virginia, stating that marriage is a fundamental right, and also holding that the race-based classification of the
laws violated the Equal Protection clause, thus elevating the analysis to strict scrutiny. In response to this
case, two men in Minneapolis applied for a marriage license in 1970 but were turned away, even though
the state did not have a law explicitly mandating that marriage was only between a man and a woman.
Relying on Loving, they sued the state and ultimately lost at every level, including at the Minnesota Supreme Court, which held that “in commonsense and in a constitutional sense, there is a clear distinction
between a marital restriction based merely upon race and one based upon the fundamental difference
in sex38”. On October 10, 1972, the U.S. Supreme Court rejected their appeal with a one-sentence order
stating “The appeal is dismissed for want of a substantial federal question39”. In other words, the Court
held that same-sex marriage regulations were, for all intents and purposes, simple matters of domestic
relations laws solely within the purview of the states, and did not raise a federal constitutional question.
Although only seven states had laws defining marriage as between a man and a woman in 1973,
that year Maryland became the first state to pass a statute specifically banning same-sex marriage, doing
so in the context of its Family Law Code40. Kentucky and Washington followed suit, and judges in each
state held that the marriage bans were constitutional41. These swift defeats pushed the advocates of
same-sex marriage back into silence.
For the next twenty years, the issue lay essentially dormant, until in 1990 three couples sought
marriage licenses in Hawaii. When the licenses were denied because the parties were of the same sex,
they sued, arguing that the requirement of a man and a woman violated both their equal protection
and their due process rights. In 1991, the trial court dismissed the case and the couples appealed to the
Hawaii Supreme Court, which held that denying same-sex couples the right to marry was a violation
of the state constitution barring sex discrimination42. The court found that the restriction of marriage to
opposite-sex couples constituted sex discrimination, as it prohibited same-sex couples from marriage
based solely on the sex of the individual they sought to marry43. The Hawaii Court rejected the due process claim that marriage was a fundamental right because same-sex marriages were not “so rooted in
the traditions and collective conscience of our people that failure to recognize it would violate the fundamental principles of liberty and justice that lie at the base of all our civil and political institutions44”.
The case was remanded from the Hawaii Supreme Court to see if the state could meet strict scrutiny
under equal protection and thus show that the marriage restriction furthered a compelling state interest.
On remand, in 1996, the trial judge held that Hawaii’s limitation of marriage to opposite sex couples
could not withstand strict scrutiny and that it violated the petitioners’ rights to equal protection of the
laws45. But while that decision was on appeal again, the voters of Hawaii approved a constitutional
amendment banning same-sex marriages, and the Supreme Court of Hawaii held that the constitutional
amendment removed the issue altogether from the courts46.
Fearing a similar fate, the people of Alaska voted in 1998 to amend its constitution to ban same-sex
marriage after a court ruling in Brause v. Bureau of Vital Statistics, in which the Superior Court of Alaska
38 Baker v. Nelson, 291 Minn. 310 (1971).
39 Baker v. Nelson, 409 U.S. 810 (1972).
40 M.S.A. §§ 517.01 et. seq., 517.08.
41 Jones v. Hallahan, 501 S.W.2d 588 (1973); Singer v. Hara, 11 Wash. App. 247 (1974).
42 Baehr v. Lewin, 852 P. 2d 44, 68 (Haw. 1993).
43 Id. at 57.
44 Id.
45 Baehr v. Miike, Circuit Court of Hawaii, First Circuit, Civil No. 91-1394 (1996).
46 Haw. Const. art. I, § 23, amended by Haw. Const. amend. II (1998).
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agreed with the Hawaii ruling that the same-sex marriage ban constituted discrimination on the basis
of sex47. Both Brause and Baehr imposed heightened scrutiny by deeming same-sex marriage bans to
discriminate on the basis of sex, rather than on the fundamental right to marry or on sexual orientation
as a suspect or quasi-suspect classification.
After the Hawaii Supreme Court decision Baehr in 1993, thirty-two state legislatures altered their
statutes to reflect marriage as a relationship between a man and a woman and two states adopted constitutional provisions limiting marriage to opposite sex couples only48. By 2004, a mere nine years after
the Hawaii decision, forty out of fifty-one states and territories had adopted such measures to prevent
same-sex marriage from becoming a possibility in their states49.
Adding fuel to this anti-gay wildfire, President Clinton signed the Defense of Marriage Act (DOMA)
into law in 1996, federal legislation that defined marriage for federal purposes as between a man and a
woman only, thus depriving them of over 1,138 protections and responsibilities that accompany marriage under federal law50. DOMA also provided that no state had to recognize same-sex marriages performed in other states or countries, even though there was no state in 1996 that permitted same-sex
marriage51. In many respects, Congress correctly saw the writing on the wall, that same-sex marriage
was inevitable, but DOMA was aimed at postponing that date as long as possible.
During those first seven years following the historic Hawaii decision, the pendulum swung with
force in the direction of anti-gay sentiment, and there wasn’t enough support for gay rights among the
general populace to create any significant challenge in response. However, in late 2000, the pendulum
began to slowly swing back in the direction of respect for and recognition of same-sex relationships, as
public support and awareness for gay and lesbian rights began to see an upward trend. This movement
began with several states recognizing same-sex relationships through the granting of civil unions or
domestic partnerships. The first of the states to create an “alternative system of marriage” was Vermont,
as a result of the Supreme Court of Vermont’s ruling in Baker v. State52, which held that same-sex couples
were entitled to the same legal benefits and protections as heterosexual couples. Several states followed
this trend, wherein they preserved the definition of marriage as being between one man and one woman, but created a parallel institution in which same-sex couples could gain some or all of the benefits
and protections of marriage, even as they were prevented from using the title of marriage. Of course,
without marriage and with DOMA in effect, couples in those few states with civil unions or domestic
partnerships could not gain access to the over-1100 legal rights and responsibilities attaching to heterosexual marriage under federal law. During those years, civil unions and domestic partnerships were
seen as a kind of marriage lite53 — gay and lesbian couples had some of the benefits of marriage under
state law, but without the title or the majority of the rights accorded married couples under federal law
It is difficult not to compare the parallel institution of domestic partnerships and civil unions to the
outdated “separate but equal” facilities provided to African Americans following the Supreme Court
case Plessy v. Ferguson54. Similar to the separate schools, drinking fountains, and public bathrooms that
black people were required to use under Jim Crow laws, the separate institutions for gay and lesbian
relationships were stamped with a badge of inferiority. One of the core elements of any fundamental
right is the idea that it is fundamental to all people, not just to certain groups. Arguably, limiting the
right to marry for same-sex couples denies their official family relationships the same dignity, respect,
47 1998 WL 88743 (Alaska Super. Ct. 1998).
48 Statutes: North Carolina, Utah (1995); Arizona, Delaware, Georgia, Idaho, Illinois, Kansas, Louisiana, Michigan, Oklahoma,
Pennsylvania, South Carolina, South Dakota, and Tennessee (1996); Arkansas, Indiana, Maine, Minnesota, Mississippi, Missouri, Montana, North Dakota, and Virginia (1997); Alabama, Iowa, Kentucky, and Washington (1998); California, Colorado,
Texas, and West Virginia (2000). Constitutional Amendments: Alaska Const. art. I, § 25; Neb. Const. art. I, § 29.
49 Hawaii, North Carolina, Arkansas, Arizona, Alaska, Delaware, Georgia, Indiana, Illinois, Kansas, Missouri, Mississippi,
Oklahoma, Pennsylvania, South Carolina, Tennessee, South Dakota, Florida, Idaho, Maine, Minnesota, Michigan, Montana,
North Dakota, Texas, Utah, Virginia, Alabama, Kentucky, Louisiana, Colorado, Nebraska, West Virginia, Nevada, Wyoming,
Ohio, Oregon.
50 Federal Defense of Marriage Act. 1 U.S.C.A. § 7 (1996) added Pub.L. 104-199, § 3(a).
51 1 U.S.C.A. § 7, Sec. 3. Definition of Marriage.
52 170 Vt. 194, 224 (1999).
53 See generally Hillel Y. Levin, Resolving Interstate Conflicts Over Same-Sex Non- Marriage, in 63 Florida Law Review 47 (2011) (discussing “marriage-lite” alternatives, such as civil unions, domestic partnerships, and reciprocal benefit agreements, and the
myriad conflicts of laws that occur when, for instance, a same-sex couple married in a state where marriage is legal moves to
a marriage-lite state).
54 163 U.S. 537 (1896).
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and stature as that accorded to all other officially recognized family relationships55. Even in states where
the domestic partnership registry provides all of the legal benefits of marriage and a civil union or domestic partnership is equal to marriage in all but name, marriage lite denies the social benefits of marriage. This inequality arguably violates the fundamental rights guarantees of the Due Process clause
because domestic partnerships were created specifically for the purpose of withholding real marriage
from same-sex couples56.
The first major shift in the legal status of same-sex marriage came a decade after the aborted Hawaii
decision, when the Massachusetts Supreme Court ruled, in 2003, that the state’s proposal to create a
parallel system for same-sex relationships was unconstitutional under the Massachusetts state constitution. Deeming such segregation based on the gender composition of the couple to be irrational and out
of step with the goal of encouraging adults to enter stable, loving relationships, the court in Goodridge
v. Department of Public Health57, mandated that marriage, in all its social and legal meaning, could not
be denied to same-sex couples. In the very same year, the Supreme Court decided Lawrence v. Texas58,
which decriminalized intimate sexual acts between persons of the same sex and moved gays and lesbians out of the shadow of being labeled criminal deviants. Relying on the Due Process clauses of the
Fifth and Fourteenth Amendments, Justice Kennedy, writing for the majority, stated that constitutional
protections afforded straight persons regarding personal decisions relating to marriage, procreation,
contraception, family relationships, child rearing and education apply equally to gays and lesbians59.
These two rulings provided sexual minorities and their advocates the courage to begin a major
effort to secure same-sex marriage through state-by-state strategic litigation. Utilizing the concept of forum shopping60, advocates began litigating in states where same-sex marriage claims were most likely to
succeed based on the political climate of the state and the composition of the state judiciary61. The major
gay rights organizations that were implementing this state-by-state strategy wanted to avoid federal
litigation on same-sex marriage, as they feared that the Supreme Court’s conservative make-up did not
auger well for a sweeping decision on marriage equality of the sort handed down in 1967 in Loving62.
Moreover, bad precedent from an unfavorable federal ruling could quash the movement, leaving progressive states vulnerable to claims that their recognition of same-sex marriage was inconsistent with
conservative constitutional rights jurisprudence or state prerogatives.
The state-by-state strategy was risky, however, because of how easily a victory in the courts or the
state legislature could be overturned by a state constitutional amendment, as was the case in Hawaii.
This painfully slow process of two steps forward, one step back, continued for the next five years,
until the California Supreme Court ruled that marriage equality was required under the California
State Constitution63. For about six months, marriages were performed in California, only to be abruptly
halted when Proposition 8 was passed by the voters, amending the California Constitution to prohibit
same-sex marriages. California was the first state to actually have marriages be performed and then be
stopped because of the state constitutional amendment. This anomaly, especially for the roughly 18,000
55 In re Marriage Cases, 43 Cal. 4th 757 (Cal 2008).
56 Brown v. Education stands for the proposition that even if the separate facilities for black and white persons were equalized in
terms of all measurable factors, equality demands not just a comparison of tangible factors, but it takes into account the social
and emotional impact of segregation. 347 U.S. 483, 489-93 (1954). Separating black and white children stamped black children
as inferior, generating “a feeling of inferiority as to their status in the community that may affect their hearts and minds in
a way unlikely ever to be undone”. Id. at 494. Similarly, even if domestic partnerships provide the same tangible benefits as
marriage, (which of course they didn’t because of DOMA), the effect of a parallel institution with its stamp of inferiority is
devastating for the families being denied the powerful social meaning that comes with being able to say they are married. See
Perry, 704 F. Supp. 2d at 994.
57 440 Mass. 309, 344 (2003).
58 539 U.S. 558, 574 (2003).
59 Id.
60 ‘Forum shopping’ refers to a parties’ attempt to have his action tried in a particular court or jurisdiction where he feels he will
receive the most favorable judgment or verdict. See Black’s Law Dictionary 590 (5th ed. 1979).
61See Kerrigan v. Commissioner of Public Health, 289 Conn. 135 (2007) (holding that the Connecticut law that restricted marriage
to heterosexual couples violated same-sex couples’ state constitutional equal protection rights).
62 Chief Justice Earl Warren (1953-1969), who authored the Loving opinion, was a very liberal Chief Justice, much unlike subsequent Chief Justices Rehnquist (who filed dissenting opinions in Romer v. Evans and Lawrence v. Texas) and Roberts (who filed
dissenting opinions in U.S. v. Windsor and Obergefell v. Hodges).
63 In re Marriage Cases, 43 Cal.4th 757 (2008).
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couples married between the June, 2008 decision by the California Supreme Court, and the November
4, 2008 election which saw Proposition 8 succeed by a 52.5% to 47.5% vote, created a classic equal protection problem. Some same-sex couples who married during the 2008 window were entitled to all the
legal and social benefits of marriage, but any same-sex couple who came after November 4th would be
entitled only to a domestic partnership.
Litigation on Proposition 8 was fast and furious, with cases challenging the amendment being filed
the day after the election, on November 5th. However, the California Supreme Court ruled that the constitutional amendment was valid, and that same-sex marriage was no longer a part of California state
law64. That same day, the American Foundation for Equal Rights (AFER) filed suit in the U.S. District Court
for the Northern District of California to challenge the validity of Proposition 8 under the U.S. Constitution.
Judge Vaughn Walker was assigned to hear the case and he took the unusual step of setting the case for
a trial on the merits in order to litigate the state’s claims that Proposition 8’s marriage ban furthered a
legitimate state purpose.
The federal case against Proposition 865 changed the course of same-sex marriage litigation by
bringing it in federal court and, for the first time, putting fear and discrimination on trial. It is important
to note that, at the time this federal lawsuit was filed, only two states in the entire country allowed samesex marriage66, and both “Don’t Ask Don’t Tell”67 and DOMA existed as strong affirmations that our
government viewed gay and lesbian people as unequal. However, during the trial in January, 2010, each
purported rationale for restricting marriage to opposite-sex couples was put on the stand and subjected
to cross-examination and, one by one, each crumbled before the withering logic of Judge Walker. Rather
than decide the case on summary judgment or a preliminary motion, as had almost every other judge
who heard a same-sex marriage case, Judge Walker insisted on deciding the case on its merits through
a trial, so that a record could be created, the parties could cross-examine each other, and the experts
and claims of each side could be properly vetted. This record would come to reflect that absolutely no
rationale existed for denying same-sex couples the right to marry, and the record exposed that bans on
same-sex marriage were based on nothing more than animus toward gays and lesbians and served no
legitimate government interest other than expressing a moral disapproval of homosexuality68. Although
Judge Walker ruled Proposition 8 to be unconstitutional under both the Due Process and the Equal
Protection clauses of the U.S. Constitution, elevating scrutiny because marriage is a fundamental right
and there was no rational state interest in denying the right on the basis of sex, a quasi-suspect category,
the Judge also found that the state could not meet even the most deferential rational basis test69. That
decision, which referenced the individual rights protections of the federal constitution, and not state
constitutional protections that could be easily amended by ballot initiatives, marked the sea change in
marriage equality litigation.
Although the Supreme Court of the United States was not ready to affirm Judge Walker’s decision
on the merits when the case was appealed in 2013, it was ready to recognize same-sex marriages as
entitled to constitutional protections. The Court side-stepped the issue of a national right to marriage
equality under the federal constitution by deciding the appeal to the Proposition 8 case on a technical
standing matter in Hollingsworth v. Perry70. But that same day, the Court ruled that the federal marriage
ban, DOMA, was unconstitutional. In United States v. Windsor71, the Supreme Court concluded that sec64 Strauss v. Horton, 297 P.3d 48 (2009).
65 Perry v. Schwarzenegger, 704 F.Supp. 2d 921 (Cal. 2010).
66 Kerrigan v. Commissioner of Public Health, 289 Conn. 135 (2008) (Connecticut Supreme Court ruled that same-sex couples are
entitled to the freedom to marry); Varnum v. Brien, 763 N.W.2d 862 (2009) (Iowa Supreme Court hands down a unanimous
decision in favor of marriage equality).
67 “Don’t ask, don’t tell,” a discriminatory ban on gay and lesbian service members, was the official United States policy on
military service by gay and lesbians signed into law by Bill Clinton on February 28, 1994. For seventeen years, this policy
prohibited qualified Americans from serving their country and enshrined discrimination into law.
68 One of the most important moments that occurred during the trial of Perry v. Schwarzenegger was when Judge Vaughn Walker
asked the defendant-intervener’s attorney Charles Cooper what harm would come to “traditional” opposite-sex marriage as
a result of permitting same-sex couples to marry, and his answer, in federal court, was “Your honor…my answer is…I don’t
know…I don’t know”. Transcript of Perry v. Schwarzenegger. Cooper later claimed that what he meant was, as same-sex marriage is a novel phenomenon and the effects on traditional marriage have not become apparent yet, that we need to wait and
see what those effects will be.
69 Perry, 704 F.Supp. 2d at 997 (Cal. 2010).
70 133 S. Ct. 2652 (2013).
71 133 S. Ct. 2675 (2013).
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tion 3 of DOMA, which defined marriage for federal law purposes as between a man and a woman only,
could not withstand constitutional scrutiny because “the principal purpose and the necessary effect of
[section 3] are to demean those persons who are in a lawful same-sex marriage” who — like the unmarried same-sex couple in Lawrence — have a constitutional right to make “moral and sexual choices72”. By
2013, when the Court decided Windsor, seven states, plus Washington, D.C., had adopted laws permitting same-sex marriages, and for couples in those states, who were deemed married under state law, the
federal marriage ban put them in an untenable box. Their states had decided to recognize and validate
their relationships, but the federal government, which had heretofore deferred to state definitions of
marriage, had suddenly decided not to recognize the state’s right to confer the legal status of marriage
on its own citizens. So they were married for state purposes and not married for federal purposes.
Ironically, the decision in Windsor put other same-sex couples into another untenable box. For couples married in a state or country that recognized same-sex marriages, but residing in a state that did
not, they were deemed married under federal law after Windsor, but unmarried in their states of domicile. This required filing separate income tax returns and dealing with complicated issues around
traditional marital rights, like social security, pensions, elective shares, and other entitlements. Thus, in
many respects, life was easier when same-sex marriage was prohibited in the vast majority of states and
by the federal government. But once the federal government began to recognize them, those states that
continued to deny same-sex marriages imposed tremendous burdens on their residents.
The Supreme Court’s decisions in Windsor and its tacit approval of the decision in Perry led to a
flood of litigation in federal courts across the country, arguing that the U.S. Constitution prohibited
states from banning same-sex marriages. Within two years, 60 district courts and 5 federal courts of appeals had ruled that marriage equality was a fundamental right, or that marriage bans were violations
of the equal protection rights of same-sex couples73. Only one court, the Sixth Circuit Court of Appeals,
upheld a state marriage ban on the grounds that marriage is traditionally a matter of state law and, following the 1972 decision in Baker v. Nelson, does not raise federal constitutional questions74. That conflict
between the circuit courts forced the issue once again to the Supreme Court. And the rest, they say, is
history.
5. Obergefell v. Hodges
Despite unanimity among each of the other Circuit Courts of the United States on the unconstitutionality of same-sex marriage bans, the Sixth Circuit Court of Appeals broke with the trend of holding that
such marriage bans violate the U.S. Constitution, allowing Michigan, Kentucky, Ohio, and Tennessee
to continue prohibiting same-sex couples from marrying75. Because those states continued to define
marriage as a union between one man and one woman, and also refused to recognize the marriages of
same-sex couples performed in other states, fourteen same-sex couples, and two men whose same-sex
partners were deceased but who sought survivor benefits as legal spouses, sought certiorari from the
United States Supreme Court76. Petitioner James Obergefell traveled from his home in Ohio to Maryland, where same-sex marriage was legal, in order to marry his long-time partner John Arthur before
he died, as Arthur was suffering from the debilitating disease ALS. Arthur’s condition was so poor that
they had to wed inside a medical transport plane as it remained on the tarmac in Baltimore, but they
were firmly committed to dignifying their loving, committed relationship with the respectable title of
marriage. Three months later, when Arthur died, the State of Ohio did not allow Obergefell to be listed
as Arthur’s surviving spouse on his death certificate, forcing them to remain strangers even in death.
Each of the other sets of petitioners had equally heart-wrenching stories, and their pleas for equal recognition, dignity, and treatment in the eyes of the law were able to land on the desks of the nine U.S.
Supreme Court Justices.
72 133 S. Ct. at 2694-95.
73 The federal appellate court rulings include the 9th Circuit ruling, Latta v. Otter, in October of 2014; the 7th Circuit ruling,
Baskin v. Bogan, in September of 2014; the 4th Circuit ruling, Bostic v. Schaefer, in July of 2014; the 10th Circuit ruling, Bishop v.
Smith, in June of 2014; and the 10th Circuit ruling, Kitchen v. Herbert, in June of 2014.
74 DeBoer v. Snyder, 772 F.3d 388 (6th Cir. 2014).
75 Id.
76 Obergefell v. Hodges, 135 S.Ct. 2584 (2015).
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Simone Chriss, Danaya C. Wright
The Supreme Court agreed to review two questions: the first was whether the Fourteenth Amendment requires a state to license a marriage between two people of the same sex; the second was whether
the Fourteenth Amendment requires a state to recognize a same-sex marriage licensed and performed
in a state which does grant that right. Because the petitioners claimed that they did not seek a new right,
but rather the exercise of the age-old fundamental right to marriage, while the respondents adamantly
argued that the right to marriage did not, and could not, include same-sex marriage, the Court had to
look at the history of marriage in our country.
Justice Kennedy, writing for the majority, spent several pages discussing the transcendent importance of marriage and its centrality to the human condition, while also detailing the evolution of
the institution of marriage over time. Developments in law and society have resulted in a continually
changing definition of marriage, a concept demonstrated by Justice Kennedy through a reference to
the outdated use of arranged marriages and the doctrine of coverture77. The trend toward inclusivity
and freedom, Justice Kennedy noted, has strengthened, not weakened, the institution of marriage, thus
undermining the respondents’ argument that permitting same-sex couples to marry would demean the
timeless institution.
Justice Kennedy went on to eloquently document the history of discrimination against gays and
lesbians in this country, including the legal and moral condemnation of same-sex intimacy until the late20th century. Even after World War II, when gays and lesbians began to earn some semblance of dignity
in their identities, same-sex intimacy remained a crime in many states. Gays and lesbians were not
only discriminated against in their personal relationships, but were also prohibited from government
employment, barred from military service, excluded under immigration laws, routinely targeted by
police, and burdened in their rights to associate78. These dignitary harms and injustices seemed justified
at a time when homosexuality was treated as an illness, having been deemed a “mental disorder” by
the American Psychiatric Association in 1952, and remaining classified as such until 1973. Justice Kennedy went through the history of the Court’s treatment of the legal status of homosexuals, much like
the historical discussion we have provided in the previous sections, from Bowers v. Hardwick79 in 1986
which upheld the criminality of same-sex intimate relations through Windsor in 2013. As evidence of
the nationwide change in opinion regarding the value of same-sex relationships, Justice Kennedy stated
that, with the exception of the Sixth Circuit, all of the Courts of Appeal, and most of the District Courts
that have considered the issue, have held that excluding same-sex couples from marriage violates the
U.S. Constitution.
The Due Process clause’s protection of fundamental liberties was the ultimate basis relied upon by
the Supreme Court in concluding that marriage is a fundamental right that same-sex couples have the
right to exercise. Unlike the originalist interpretations present in the dissents, the majority in Obergefell
believed it is an enduring part of the judicial duty in interpreting the Constitution to continuously identify and protect fundamental rights, even newly emerging rights. This idea of a “living constitution,”
one that evolves and adjusts to deal with changing times, is at the heart of Justice Kennedy’s claim that
the nature of injustice is that we may not see it in our own times, but later generations have the right
and the power to increase protections and provide greater security for groups and individuals than
were recognized in 1789 or 1868. The Due Process clause, he wrote, protects and guarantees the right to
marry; it guaranteed that right for interracial couples in Loving, for prison inmates in Turner, for fathers
with unpaid child support duties in Zablocki, and finally, with Obergefell, it guarantees that right for
same-sex couples.
Justice Kennedy relied on four principles and traditions to demonstrate that the reasons marriage
is fundamental under the Constitution support its application to same-sex couples. First, the right to
personal choice regarding marriage is inherent in the concept of individual autonomy; second, the right
to marry is fundamental because it supports a two-person union unlike any other in its importance to
the committed individuals; third, marriage safeguards children and families and thus draws meaning
from related rights of childrearing, procreation, and education; and finally, the Court’s cases and the
Nation’s traditions make clear that marriage is a keystone of our social order80. Because there is no difference between same-sex and opposite-sex couples with respect to the quality of their relationships or
their ability to raise children, the result of the exclusion of same-sex couples from the institution was
77 Under the centuries-old doctrine of coverture, a married man and woman were treated by the State as a single, male-dominated legal entity. See W. Blackstone, Commentaries on the Laws of England 430 (1765).
78 Obergefell, 135 S.Ct at 2596.
79 478 U.S. 186 (1986).
80 Obergefell, 135 S.Ct. at 2599-2602.
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
Simone Chriss, Danaya C. Wright
viewed as a denial of the constellation of benefits that the states have linked to marriage and a resulting
instability and lack of dignity for their families.
While deciding Obergefell on the basis of due process, the majority gave some credence to the claim
of equal protection. In Cleburne v. Cleburne Living Center, 473 U.S. 432 (1985), the Court discussed that,
under the Equal Protection clause, heightened scrutiny is warranted when, among other factors, a
group is discriminated against based on an immutable characteristic. Several times throughout the majority opinion, Justice Kennedy mentioned sexual orientation as being immutable, opening the door to
the possibility of challenging laws that discriminate against gays and lesbians under a higher level of
scrutiny. Loving, Zablocki, and the myriad cases in which the Court invalidated laws that imposed sexbased inequality on marriage81, all demonstrate how the Equal Protection clause can help to identify and
correct inequalities in the institution of marriage. Following a discussion on the profound relationship
between the Due Process and Equal Protection clauses, Justice Kennedy held that the denial of marriage
to same-sex couples works a grave and continuing harm, serving to disrespect and subordinate gays
and lesbians, was an infringement on their rights that cannot stand under the Equal Protection clause.
This reference to the Equal Protection clause is a first in Justice Kennedy’s gay rights jurisprudence and
marks a potential opening salvo in the continuing battle for equal rights for sexual minorities.
In resolution of the second issue before the court, Justice Kennedy quite logically held that all states
must recognize same-sex marriages validly performed in other states. Failing to do so would promote
instability, uncertainty, and a national patchwork of inconsistency in the laws concerning domestic relations.
The respondents, as have many opponents of same-sex marriage, urged the court to proceed with
caution, to allow further litigation, legislation, and debate on the issue; also known as the wait and see
argument. Justice Kennedy addressed this concern, acknowledging that the democratic process is the
typical vehicle for such important and controversial societal changes. He swiftly concluded, however,
that our constitution does not require individuals to “wait and see” when it is a fundamental right they
are being denied. As Martin Luther King stated in 1963, on the steps of the Lincoln Memorial, “this is no
time to engage in the luxury of cooling off or to take the tranquilizing drug of gradualism,” expounding that full equality could only happen at the federal level. In his Letter from Birmingham Jail, Dr. King
famously said:“Freedom is never voluntarily given by the oppressor; it must be demanded by the oppressed. For years now, I have heard the word ‘Wait!’ It rings in the ear of every Negro with a piercing
familiarity. This ‘Wait’ has always meant ‘Never.’” This sentiment rings as true with regard to the fight
for marriage equality as it did to the fight for racial equality.
The dissenters in Obergefell, unsurprisingly, adhered to an originalist interpretation of the Constitution, one that does not change over time with society’s evolving concept of freedom and equality. They
argued it is not for the Supreme Court to determine what should fall within the definition of marriage,
and disagreed with the notion that the Constitution can compel a state to change its definition of marriage. The dissenters clearly articulated their disdain for the majority decision in many regards, but
focused particularly on the majority’s failure to comprehend the history of marriage as between a man
and a woman, and the purpose of marriage as the preservation of our race through procreation.
The dissent by Chief Justice Roberts expressed weariness of the judicial role in selecting which
unenumerated rights rank as fundamental under substantive due process, comparing the devastating
lack of restraint exercised by the majorities in Dred Scott v. Sandford82 and Lochner v. New York83 to the
majority holding in the instant case. Comparing the majority opinion here to that in Lochner on several
occasions, Chief Justice Roberts criticized the majority’s rejection of the democratic process and outright
repudiation of this country’s entire constitutional history and tradition, replacing such with five justices’ own personal beliefs. By ending the public debate regarding same-sex marriage, he accused the
majority of removing the issue from the democratic decision-making process and thus demeaning the
idea of democracy.
While that argument resonated with social conservatives, it reeked of hypocrisy. Every time the
Court strikes down a law as a violation of a fundamental right, it acts in a counter-majoritarian manner. The references to Lochner-era judicial activism is used by judges on both sides of the political divi-
81 See, e.g., Kirchberg v. Feenstra, 450 U.S. 455 (1981); Wengler v. Druggist Mut. Ins. Co., 466 U.S. 142 (1980); Califano v. Westcott,
433 U.S. 76 (1979); Orr v. Orr, 440 U.S. 268 (1979); Frontiero v. Richardson, 411 U.S. 677 (1973); Califano v. Goldfarb, 430 U.S. 199
(1977); Weinberger v. Wiesenfeld, 420 U.S. 636 (1975).
82 Dred Scott v. Sandford, 19 How. 393 (1857) (holding the Missouri Compromise, which restricted the institution of slavery, to be
invalid as an impermissible restriction on the implied rights of slaveholders).
83 Lochner v. New York, 25 S.Ct. 539 (1905) (invalidating state statutes that interfered with the right of the individual and the
freedom to contract, thus striking down a state law setting maximum hours for bakery employees).
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Simone Chriss, Danaya C. Wright
de whenever a law is stricken84. Thus, while the conservative justices rail when conservative laws are
stricken for being a violation of civil rights protections, the liberal justices rail when liberal campaign
finance restrictions or environmental protection laws are stricken for being a violation of speech rights
or property rights. The allusion to Lochnerism is merely a shibboleth that both sides routinely resort to
when they are in the minority.
Justice Scalia provided an expected scathing dissent, with a focus on the threat to American democracy posed by the majority opinion. Though to his credit he did not predict that the U.S. would be
destroyed as a modern-day Sodom or Gomorrah, which was the gist of his dissent in Lawrence v. Texas.
Justice Scalia marked the majority opinion as the furthest extension imaginable of the Court’s claimed
power to create liberties that the Constitution does not expressly mention, robbing the American people
of the freedom to govern themselves. True to his originalist interpretation of the Constitution, Justice Scalia argued that because marriage was between one man and one woman when the Fourteenth
Amendment was ratified in 1868, that alone should have resolved these cases against the petitioners.
Chief Justice Roberts’ dissent presented the oft posed slippery-slope question of whether plural
marriage will be the next piece of the civil rights puzzle because, in his belief, the leap from oppositesex to same-sex marriage defies our nation’s history and traditions far more than do plural unions. But
because the majority was careful to specify, on several occasions, that the fundamental right to marriage
being discussed was that between two consenting individuals, this possibility seems unlikely. The dissenters additionally deconstructed the Equal Protection clause claim made by the majority, ultimately
deeming it void of any logical explanation, and pointing out its failure to follow the common framework
used to decide equal protection cases. The dissenters argued that there exists no Equal Protection clause issue in the instant case, as it is well within the rights of the states to distinguish between same-sex
and opposite-sex couples in their “legitimate interest” in “preserving the institution of marriage”. By
denying that same-sex marriage is a fundamental right, the dissenters acted as though the hybrid equal
protection/due process theory simply did not exist. Their duplicitous and sanctimonious objections to
the equal protection claim revealed a willful disregard of well-established Constitutional jurisprudence
that can only be explained as a product of their conservative political and social views.
Each of the four individual dissents warned of the dangers inherent in the majority’s blatant abuse
of authority, with Justice Alito focusing on the consequences of the majority’s invention of a new right
and imposition of said right on the rest of the country. Justice Alito opined that all Americans, regardless
of their stance on the issue of same-sex marriage, have cause to fear for the future of judicial impartiality and fairness in constitutional interpretation by the Supreme Court85. But that same prognosis was
espoused when racial segregation was struck down and when privacy and abortion rights were protected against state infringement.
The dissenters’ focus on democratic processes invoked a federalism argument, that the federal government should stay out of the business of the states. The Constitution has never granted the federal
government authority in the realm of domestic relations, thus the states have historically had the freedom to regulate marriage, including the right to define marriage86. States may not, however, regulate or
define marital relations in a manner that violates the federal Constitution87. When the voters of a state
have spoken, especially through ballot initiatives amending their state constitutions, same-sex marriage
opponents and their four conservative justices argue that the Court would be demeaning the democratic
process and usurping the citizens of the states’ clear policy choice. However, the Constitution exists for
the precise purpose of shielding certain matters from irrational or discriminatory change by political
majorities, as famously expressed by Justice Jackson:
The purpose of a Bill of Rights was to withdraw certain subjects from the vicissitudes of political
controversy, to place them beyond the reach of majorities and officials and to establish them as legal
principles to be applied by the courts. One’s right to life, liberty, and property, to free speech, a free press,
freedom of worship and assembly, and other fundamental rights may not be submitted to vote; they depend on the outcome of no elections88.
84See Johnson v. U.S., 135 S.Ct. 2551 (2015); Stop the Beach Renourishment, Inc. v. Florida Dept. of Environmental Protection, 560 U.S.
702 (2010); Parents Involved in Community Schools v. Seattle School Dist. No. 1, 551 U.S. 701 (2007); U.S. v. Lopez, 514 U.S. 549
(1995).
85 Obergefell, 135 S.Ct. at 2640-2643
86See Windsor, 133 S.Ct. at 2691-92.
87 Id. at 2691 (citing Loving, 388 U.S. 1).
88 W. Va. Bd. of Educ. v. Barnette, 319 U.S. 624, 638 (1943).
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Simone Chriss, Danaya C. Wright
The most important effect from the Court’s predictable decision in Obergefell is that, on June 26th,
2015, the highest authority in the U.S. effectively told gay and lesbian people all across the country that
their relationships were equal in the eyes of the law, that their relationships deserve dignity and respect,
and that their relationships were no longer relegated to second class status. The impact of this sentiment
on the hearts and minds of young people all over the country, that the most meaningful decision they
will make in their adult life is equal to that of their heterosexual family and friends, cannot be overstated.
6. After Obergefell: What to Expect
For at least the first twenty-four hours, gay rights activists and their allies celebrated the landmark
decision that made marriage equality a constitutional right for all Americans. But the next day they
went back to work to fight for broader protection of rights for all sexual minorities in the countless
other areas of life that matter, perhaps even more than marriage, such as employment, housing, and
education. The Civil Rights Act of 1964, and its amendments and other protective legislation89, provide
broad protections against discrimination on the basis of race, color, religion, sex, national origin, and disability in employment, housing, education, voting, and public accommodations. But there is no federal
legislation prohibiting discrimination on the basis of sexual orientation, gender expression, or gender
identity. Not surprisingly, sexual minorities face widespread discrimination in many areas of life. Now
that marriage equality has arrived, the real question is what effect the Obergefell precedent will have on
the next round of civil rights litigation. And the answer to that depends, in large part, on what Obergefell
did, and what it didn’t do.
There is no question that Obergefell joins Justice Kennedy’s other path-breaking gay rights opinions
where he focuses on the dignitary harms of anti-gay sentiment and legislation. In Romer v. Evans he
stated that the majority cannot impose a broad, undifferentiated disability on a politically unpopular
group90. In Lawrence v. Texas he affirmed the right of sexual minorities to engage in intimate sexual behavior without fear of criminalization, noting that their intimate behavior was just as important and fulfilling as the intimate behavior of heterosexual couples91. In U.S. v. Windsor he noted that the Constitution
does not permit laws that refuse dignity and protection to same-sex relationships92. And in Obergefell he
again stressed that the majority cannot denigrate the dignity of gay relationships without denigrating
the dignity of gay individuals who have just as much right to liberty and autonomy as those in the majority population. In repudiation of the pain and humiliation caused by the Court in Bowers v. Hardwick,
Justice Kennedy, in Obergefell, profoundly stated “dignitary wounds cannot always be healed with the
stroke of a pen93”.
Justice Kennedy’s insistence that the liberty prong of the Due Process clause protects gay persons in
their political activities, in their intimate relationships, and in their marriages fits squarely within a long
tradition of due process protections for intimate family decision-making. Since 1888, marriage has been
discussed by the Supreme Court as one of the most important relations in life, one of vital importance
to our society, essential to the orderly happiness by free men, “sheltered by the Fourteenth Amendment
against the State’s unwarranted usurpation, disregard, or disrespect94”, and the Supreme Court has
reaffirmed and strengthened this notion time and time again95.
89 A landmark piece of civil rights legislation, the Civil Rights Act of 1964 prohibited discrimination based on race, color, religion, sex, and national origin. Though the powers to enforce the Civil Rights Act were initially weak, they were enhanced
subsequently by Congress’s authority to regulate interstate commerce, its duty to provide equal protection of the laws, and
its duty to ensure voting rights. In 1972, with the passage of the Equal Employment Opportunity Act, the Equal Employment
Opportunity Commission was given the authority to enforce the Civil Rights Act.
90 Romer v. Evans, 517 U.S. at 632.
91 Lawrence, 539 U.S. at 578-79.
92 Windsor, 133 S.Ct. at 2681.
93 Obergefell, 135 S.Ct. 2606.
94 M.L.B. v. S.L.J., 519 U.S. 102, 116 (1996).
95 See also Maynard v. Hill, 125 U.S. 190, 205 (1888), Meyer v. Nebraska, 262 U.S. 390, 399 (1923), Skinner v. Oklahoma, 316 U.S. 535,
541 (1942), Griswold v. Connecticut, 381 U.S. 479, 485-86 (1965), Loving v. Virginia, 388 U.S. 1, 12 (1967), Boddie v. Connecticut, 401
U.S. 371, 376 (1971); Roe v. Wade, 410 U.S. 113 (1973), Cleveland Bd. Of Educ. V. LaFleur, 414 U.S. 632, 639 (1974); Carey v. Popu-
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
Simone Chriss, Danaya C. Wright
But the real question is whether the precedent set in Obergefell, with its reliance on the Due Process
clause, will have profound implications for the future or will be narrowly limited to the discrete area of
same-sex marriage. And although crystal-ball gazing is not our strength, there are some likely implications from the case that deserve some further discussion.
6.1. Fundamental Rights under the Due Process Clause
As noted above, the fundamental rights prong of the Due Process clause protects individuals from
arbitrary government intrusion into their life, liberty, or property, and laws that burden the exercise of a
right deemed “fundamental” require strict scrutiny analysis. In order for a right to be fundamental, it
must be “deeply rooted in this Nation’s history and tradition96”. Justice Kennedy stated that marriage
is a fundamental right and cannot be infringed by states seeking to deny marriage to same-sex couples.
He did not state that there is a fundamental right to same-sex marriage. Consequently, he has potentially opened the door to further litigation on other types of regulations affecting marriage. The one most
often cited by commentators are the laws prohibiting polygamy, or plural marriages. If marriage is a
fundamental right, it is often suggested, then laws limiting marriage to two persons also will have to
meet strict scrutiny to survive.
In many respects this argument is a red-herring. Justice Kennedy announced in the majority opinion that the precedent was limited to marriages between two persons, and does not open the door
to marriages between three or more persons. But also, polygamy is so far removed from mainstream
views on marriage, and so fundamentally would change the rights and entitlements associated with
marriage, that it is not likely to be a successful claim anytime soon. The logistics of plural marriages in
a social welfare state are difficult to imagine. For instance, a spouse is entitled to survivor benefits from
a decedent spouse’s social security97. If polygamy were recognized, it would be very difficult to provide
criteria for equitably allocating such benefits. And spouses have common rights to be the executor of a
decedent spouse’s estate, but those laws would run into turmoil as multiple spouses would lay claim to
the entitlement98. Although the details are not impossible to work out, it is unlikely that legislatures or
courts are interested into wading into that quagmire anytime soon.
The more likely result of the case is going to be a closer analysis of other types of regulations on
marriages, like prohibitions on consanguineous marriages, coerced marriages, marriages with minors,
and certain registration or other restrictions on who can perform marriages. Domicile or residency restrictions may also come under attack. Although the state has a strong interest in keeping track of who
is married to whom, so that the respective benefits and legal rights can attach, the state probably has a
less strong interest in denying marriage to first cousins or insisting that marriages be performed only by
licensed clergy or state court clerks. While coerced marriages are certainly to be prohibited, certain age
restrictions might appear arbitrary if challenged. After all, betrothals were common among children as
young as two or three, and marriages frequently occurred among children as young as ten and twelve
in the not too distant past all over Europe99.
But in the scale of possibilities, the Court’s use of a fundamental right to validate same-sex marriage
does not open the door to widespread use of the precedent as a mandate for civil rights for sexual minorities. In that respect, it is somewhat disappointing. However, there are at least two promising aspects
of the case that could lead to wider implications.
6.2. Suspect Class Status under the Equal Protection Clause
As noted above, the Equal Protection clause prohibits discriminatory treatment of groups of people who
have been given suspect class, or quasi-suspect class, status because of their history of discrimination.
If gay rights activists had written the opinion, the Court would have held that sexual minorities are a
lation Servs. Int’l, 431 U.S. 678, 685 (1977); Moore v. City of East Cleveland, 431 U.S. 494, 499 (1977); Zablocki v. Redhail, 434 U.S.
374, 384 (1978); Turner v. Safley, 482 U.S. 78, 96 (1987); Planned Parenthood v. Casey, 505 U.S. 833, 851 (1992); Lawrence v. Texas,
539 U.S. 558, 574 (2003).
96 Moore v. City of East Cleveland, 431 U.S. 494, 503 (1977).
97See ssa.gov.
98 R.C. Paddock, Doctor Led Three Lives with Three Wives, in Los Angeles Times, Oct. 14, 1991, http://articles.latimes.com/191-1014/news/mn-436_1_stanford-professor; M.A. Shields, Validity of Bigamy and Polygamy Statutes and Constitutional Provisions,
22 A.L.R.6th 1 (2007).
99 See H. Brewer, By Birth or Consent: Children, Law, and the Anglo-American Revolution in Authority, UNC Press, 2005, 288-337.
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
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suspect class, and that any laws disadvantaging them would be subjected to heightened scrutiny. The
Supreme Court has never ruled on what level of scrutiny is appropriate when a law classifies individuals based on sexual orientation, though such classifications share many of the characteristics that are
present in other areas where heightened scrutiny is applied. For instance, sexual orientation is arguably
an immutable characteristic, one that cannot be changed, similar to gender and race. There is an indisputably extensive history of discrimination against gays and lesbians, having been routinely targeted
by the police, demonized, fired from employment, excluded from serving the country through military
service, arrested for their private consensual conduct, harassed without opportunity for recourse in the
workplace, prohibited by decency standards from being depicted in Hollywood movies, barred from
government service, and stripped time and time again of their fundamental rights by popular vote.
Gays and lesbians have relatively little political power, as demonstrated by the fact that no group has
ever been successfully targeted by ballot initiatives more than gays and lesbians and by the fact that, in
recent decades, hate crimes have been most frequently committed against gays and lesbians. Finally, the
laws discriminating against this class are, more often than not, based on prejudice, broad stereotypes,
and animus100.
The implications of the Supreme Court utilizing this rationale would be far-reaching and influential
for many aspects of life for gays and lesbians, not exclusively in the realm of marriage. If laws discriminating on the basis of sexual orientation became subject to heightened scrutiny, there would be challenges across the country to laws discriminating against gays and lesbians in employment, housing, public
accommodations, adoption, and other important areas of everyday life that currently lack protection.
By not utilizing the Equal Protection clause and elevating sexual minorities to a suspect class status,
or even quasi-suspect class status as the Court has done in the case of gender-based laws, the Court
certainly did not swing wide the door to a stampede of civil rights litigation. But the Court also did not
slam the door shut. Justice Kennedy acknowledged that there are equal protection implications behind
the same-sex marriage bans, when he explained:
It is now clear that the challenged laws burden the liberty of same-sex couples, and it must be further acknowledged that they abridge central precepts of equality. Here the marriage laws enforced by the
respondents are in essence unequal: same-sex couples are denied all the benefits afforded to oppositesex couples and are barred from exercising a fundamental right. Especially against a long history of
disapproval of their relationships, this denial to same-sex couples of the right to marry works a grave
and continuing harm. The imposition of this disability on gays and lesbians serves to disrespect and subordinate them. And the Equal Protection Clause, like the Due Process Clause, prohibits this unjustified
infringement of the fundamental right to marry101.
What Justice Kennedy did not say was that gays and lesbians are entitled to suspect class status
for all purposes under the equal protection guarantee. Instead, he referenced the complex hybrid due
process/equal protection cases where laws disadvantaging a non-suspect class in the exercise of a fundamental right are scrutinized by reference to their effect on the class. This modest reference to equal
protection does not elevate the status of sexual minorities to a suspect or quasi-suspect class, but it does
provide the first acknowledgement by the Court that the guarantees of equal treatment under the law
are not met when fundamental rights are infringed for sexual minorities. This means that the door is
open to challenges under equal protection against laws that disadvantage sexual minorities in other
areas involving important fundamental rights, like speech, voting, political assembly, family decisionmaking, adoption, medical care, and the like. It does not mean that laws disadvantaging sexual minorities in areas involving non-fundamental rights are likely to be subjected to heightened scrutiny.
Although Judge Vaughn Walker’s decision in Perry v. Schwarzenegger rested in part on the fact that
the marriage ban restricted Perry’s choice of her marital partner because of her sexual orientation, Perry,
704 F. Supp 2d at 996, the Supreme Court’s reliance on due process, and its very noticeable sidestepping
of the issue of suspect class status for gays and lesbians, speaks loudly that the Court is not ready to
declare that sexual minorities are a suspect class deserving of heightened scrutiny.
But an alternative equal protection path may be possible: sex discrimination. In 1976, the Court determined that intermediate scrutiny was the appropriate level of review for classifications based on gender, stating that classifications between men and women must serve important governmental objectives
100 Romer, 517 U.S. at 644 (stating that the animus behind the Colorado ballot initiative was a moral disapproval of homosexual
conduct, the same sort of animus and disapproval that produced the centuries-old criminal law that was held constitutional
in Bowers).
101 Obergefell at 22, citing Zablocki, 434 U.S. at 383–388; Skinner, 316 U. S., at 541.
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
Simone Chriss, Danaya C. Wright
and must be substantially related to those objectives102. To the extent there is already a well-developed
jurisprudence on sex discrimination, and laws disadvantaging men or women are subject to intermediate level scrutiny, many cases involving gays and lesbians might fit within that rubric.
For instance, in Perry v. Schwarzenegger Proposition 8 was invalidated based, in part, on the fact
that Perry, a female plaintiff, was prohibited from marrying her partner based solely on the sex of her
partner103. However, a male would not be similarly prohibited from marrying a female partner, under Proposition 8. And other civil rights cases have been brought using sex discrimination rather than
sexual orientation discrimination104. Although many advocates feel that subsuming sexual orientation
into sex discrimination erases the important unique aspects of discrimination against gays and lesbians,
Obergefell does not foreclose a continuing reliance on these cases.
The problem of using sex discrimination rather than sexual orientation discrimination, however,
is that the focus shifts from the individual being discriminated against to the persons to whom that individual is attracted. Thus, when employment criteria are stricken because they disadvantage women
in the workplace, the focus is on the women being discriminated against because of their sex, and the
stereotypes surrounding the gender characteristics of women. But striking down laws that disadvantage sexual minorities is not done because of their own characteristics as gays and lesbians, but because
of their attraction to or involvement with other persons who happen to be of the same sex. This means
that sex discrimination won’t always provide a good fit for many of the myriad ways in which sexual
minorities are discriminated against, as with their gender expression, which is not related to their sexual
attractions.
But that is not to say that sex discrimination won’t sometimes prove effective as a way to challenge
laws that disadvantage sexual minorities. Until the latter are recognized as entitled to suspect class, or
quasi-suspect class status, this may be the best they can do under a pure equal protection jurisprudence.
6.3. Dignitary Harms
If any message comes out of Justice Kennedy’s inspirational rhetoric, it is that gays and lesbians have
suffered severe dignitary harms by the rampant homophobia that has criminalized their relationships
and denigrated their contributions to society105. Kennedy’s eloquence on this subject has the potential to
change the debate over gay rights. From Anita Bryant’s Save Our Children Campaign, that used slogans
and rhetoric of disgust and fear, to the animus expressed in the Colorado amendment campaign and the
Prop 8 campaigns analyzed in Romer v. Evans and Perry v. Schwarzenegger, the Court has clearly spoken
that moral opprobrium cannot extend to the restriction of civil rights106. People who find homosexuality
morally offensive do not have to invite gays and lesbians into their homes, do not have to marry them,
and may speak out often and strongly against their relationships. But they cannot use the power of the
state to deny them their civil rights. This aspect of the decision in Obergefell, the most powerful yet of
102 Craig v. Boren, 429 U.S. 190, 197.
103 704 F. Supp 2d 921, 996.
104 See, e.g., Goodridge v. Department of Public Health, 440 Mass. 309, 344 (2003), Brause v. Bureau of Vital Statistics, 1998 WL 88743
(Alaska Super. Ct. 1998), Baehr v. Lewin, 852 P. 2d 44, 68 (Haw. 1993). Oncale v. Sundowner Offshore Services, 523 U.S. 75 (1998),
Price Waterhouse v. Hopkins, 490 U.S. 228 (1989), Glenn v. Brumby, 663 F.3d 1312 (11th Cir. 2011), Latta v. Otter, 771 F.3d 456 (9th
Cir. 2014).
105 For instance, one of the most commonly professed rationales for banning same-sex marriage is the “protect the children”
argument, namely that same-sex marriage is harmful to children and that children are better raised by opposite-sex parents.
This purported concern is belied by the fact that the same states refusing same-sex couples to marry are simultaneously
allowing these very same couples to adopt, to have and raise children naturally, and to use in vitro fertilization to become
pregnant. Additionally, evidence overwhelmingly demonstrates that same-sex parents and opposite-sex parents are of equal
quality. Perry, 704 F. Supp. 2d at 999. The American Psychological Association’s (APA) policy statement reads: “There is no
scientific basis for concluding that lesbian mothers and gay fathers are unfit parents on the basis of their sexual orientation.
On the contrary, results of research suggest that lesbian and gay parents are as likely as heterosexual parents to provide supportive, healthy environments for their children”. Paige, R. U. (2005). Proceedings of the American Psychological Association,
Incorporated, for the legislative year 2004. (To be published in Volume 60, Issue Number 5 of the American Psychologist.)
106 For more information on the works of A. Bryant, see Fla. B. News 2, Gay Adoption, Vol. 36. No. 17 (2009); A. Niedwiecki, Save
Our Children: Overcoming the Narrative that Gays and Lesbians are Harmful to Children, 21 in Duke Journal of Gender Law & Policy
125 (2013). Romer, 517 S.Ct. at 644 (stating that the animus behind the passage of the Colorado amendment was moral disapproval of homosexuality, which is both un-American and lacking of a rational relationship to a legitimate state interest); Perry
v. Schwarzenegger, 704 F.Supp. at 931 (discussing Proposition 8’s passage as a result of the campaign that asserted the moral
superiority of opposite-sex couples).
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
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Justice Kennedy’s assertions of the unconstitutionality of the dignitary harms faced by sexual minorities, may be the most important legacy of the battle over marriage equality. For as same-sex couples now
move into the mainstream in their relationships as spouses and parents, other laws based on animus
and moral disgust that cause such deep dignitary harms may be on the chopping block.
The dissenters in Obergefell fear that one of many devastating consequences of the majority’s opinion is that all who oppose same-sex marriage will be vilified and labeled as bigots. Justice Alito goes so
far as to say that the comparison of traditional marriage laws to those that denied the equal treatment of
African Americans and women will be “exploited” by advocates of gay and lesbian equality to “stamp
out every vestige of dissent107”. This, in the dissent’s view, degrades our system of federalism, which was
established through our Constitution as a means of allowing individuals of differing beliefs to co-exist
peacefully. Chief Justice Roberts opined that the most discouraging aspect of the majority decision is the
assault on the character of the people who reaffirmed their states’ traditional definition of marriage108.
The dissent elides dissent and discrimination, however. Of course it wasn’t all that long ago when
it was permissible to discriminate against racial minorities, Jews, Italians, women, and the mentally
disabled, and there were common terms used to describe these groups that were both hateful and belittling. Many of those terms have passed out of common usage precisely because their use perpetuated
the legal and social discrimination that these groups faced. The decision in Obergefell does not prohibit
a civilized discussion about differences and legal rights; but it does and it should prohibit intolerance
and close-mindedness, just as the granting of civil rights to other minorities eventually stamped their
opponents as bigots. Moreover, the Court has
long recognized that moral justification is an insufficient basis for discriminatory laws under the
14th Amendment. No one is forcing dissenters to have an abortion, to marry a same-sex partner, attend
a particular church, or to play the lottery. The Court has merely said that those who choose not to conform cannot be discriminated against in the granting of basic civil rights by a secular state.
7. Conclusion
While the road has not been short, or bereft of obstacles, the battle for marriage equality has been won
in a remarkably short time. Considering 1969 and the Stonewall Riots as the beginning of the gay rights
movement, it has taken less than fifty years for the American public to approve of same-sex marriage
by a historic 63%109, and tolerance for homosexual relationships has led to numerous out gay and lesbian politicians and judges. We don’t have a gay or lesbian president yet, so we are certainly not in a
post-sexual world; nor are we in a post-racial world despite having elected an African-American to that
office. But the Supreme Court’s willingness to expand the important family-related constitutional rights
to cover sexual minorities is an historic shift in the jurisprudence of civil rights.
In all of this, however, we cannot entirely distance ourselves from our past, a past in which racial
and gender discrimination was entrenched not only in our laws but in our constitution as well. As one
historian of the marriage equality debate noted:
For nearly a hundred years, in a country founded upon the immortal declaration that ‘all men are
created equal,’ slavery was legal in parts of the United States. Until the 1920’s, women were denied the
right to vote. During World War II, Japanese Americans were rounded up and imprisoned in internment
camps. Jim Crow laws relegated African Americans to a second-class citizenship into the 1960’s. But America is also a country that corrects course, edging, in fits and starts, but inexorably, toward inclusion110.
The founders of this nation and of the Constitution knew that, to endure and to preserve the ideals
of life, liberty, and the pursuit of happiness, America must continuously change and evolve; each generation of Americans must define what it means to be American111. Many of the arguments made across
the country by opponents of same-sex marriage in state and federal courts were based on theories of
history and tradition, namely that the Constitution does not protect nor permit same-sex marriage be-
107 Obergefell, 135 S.Ct. at 2642 (Alito, J., dissenting).
108 Id. at 2626. (Roberts, J., dissenting).
109 See CNN/ORC Poll: Supreme Court Decisions, www.CNN.com/2015.
110 Forcing the Spring: Inside the Fight for Marriage Equality at Loc 513.
111 Id.
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
Simone Chriss, Danaya C. Wright
cause it never has done so in the past. Lest these individuals forget, at one time in this nation’s history,
the constitution expressly prescribed and protected slavery.112 The Framers of the constitution on which
these opponents rely did not anticipate marriage equality, nor did they anticipate racial equality, as
many of the Framers themselves owned slaves. But as the march for equal rights for sexual minorities
follows in the footsteps of the march for equal rights for racial minorities, the real question is whether
the United States is ready to truly embrace the legacy of the Fourteenth Amendment’s equal protection
guarantee for all people. We believe that Justice Kennedy’s path-breaking decision in Obergefell is one
important step down that road.
112 See Article I § 2, Article I § 9, Article V, Article VI § 2.
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
Nicola Giovanni Cezzi
Nicola Giovanni Cezzi*
I dissensi nel caso Obergefell
«[T]he man of Massachusetts could work any constitution»
W. Bagehot, The English Constitution
Sommario:
1. Premessa – 2. Delle argomentazioni patetiche – 2.1. Ma chi ci crediamo di essere? – 2.2. Libertà come locomozione – 3. Un’opinione immaginaria – 4. Osservazioni finali
Abstract
L’elaborato vuole essere un approfondimento delle dissenting opinions nel caso Obergefell v. Hodges. Individualmente formulati dai giudici Roberts, Scalia, Thomas e Alito, i dissensi affondano le critiche con
lo strumentario ormai classico della letteratura giurisprudenziale statunitense (denuncia di attivismo
giudiziario, di abuso dell’accezione sostantivata del giusto processo, di ingerenza nei dibattiti politici,
violazione dei principi del federalismo, etc.), assemblato, tuttavia, con tale carica polemica da rendere
ardua la costruzione sistematica del punto di diritto fatto valere. Questa riflessione ha dovuto dunque
dare conto prima di tutta dello straordinario uso dell’argomentazione ‘patetica’ in cui si esercitano i dissenzienti, culminante — tra l’altro — nell’affermazione secondo cui “la sentenza non ha niente a che fare
con la Costituzione” (Roberts). Si procede quindi ad affrontare uno degli aspetti più problematici della
sentenza della maggioranza, ovvero il mancato superamento dell’equivoco dualismo tra ragionamenti
in termini di libertà e ragionamenti in termini di eguaglianza. L’impressione conclusiva è determinata
dalla difficile misurabilità del contributo delle opinioni dissenzienti al dibattito culturale non certamente chiuso dalla sentenza in questione — per quanto questa esprima sicuramente un cambiamento
di paradigma: come se il risultato ricercato dai quattro giudici fosse principalmente la prospettazione e
l’alimentazione della resistenza al verdetto della Corte Suprema.
The paper aims at focusing on the dissenting opinions in Obergefell v. Hodges. The dissents, individually formulated by Justice Roberts, Justice Scalia, Justice Thomas and Justice Alito, shape the criticisms with the classic
instruments of the American jurisprudential literature (complaint of judicial activism, abuse of the substantive
due process doctrine, interference in political debates, violation of the principles of federalism, etc.), held together,
however, with such a polemical strength that makes it difficult to systematically construct the legal anaylis of the
issues at stakes. This study had therefore to consider first of all the extraordinary use of the ‘pathetic’ argument
featured by the dissenters, highlighted — inter alia — by the statement that this case “has nothing to do with the
Constitution” (Roberts). The paper then try to address one of the most problematic aspects of the verdict of the
majority: the failure to overcome the equivocal dualism of the reasoning in terms of freedom and the reasoning in
terms of equality — a point on which the dissenting judges do not feel to analyze deeply. The final impression is
given by the difficulty to seize the contribution of the dissenting opinions to a cultural debate certainly not closed
by the holding of the Court — a holding which is surely expression of a paradigm shift: as if the main result sought
by the dissenters is merely to prospect and arm the backlash effect.
*
Dottorando in Diritto Pubblico, Università La Sapienza di Roma. Il contributo viene pubblicato in seguito a referee a doppio
cieco.
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
Nicola Giovanni Cezzi
1. Premessa
La Corte Suprema degli Stati Uniti d’America, nel caso Obergefell v. Hodges1, ha statuito quanto segue:
a) la Costituzione impone che tutti gli stati permettano il matrimonio tra persone dello stesso sesso; b)
uno stato non può non riconoscere un matrimonio legalmente contratto in altro stato tra persone dello
stesso sesso per il solo carattere omossessuale dell’unione.
La Corte basa queste dichiarazioni sviluppando due proposizioni: i) il diritto al matrimonio è un
diritto fondamentale in virtù della clausola sul Due Process2; ii) il diritto al matrimonio è un diritto fondamentale inerente alla libertà della persona, e in virtù delle clausole su Due Process e Equal Protection le
coppie dello stesso sesso «non possono essere private di questo diritto e di questa libertà»3.
Nonostante le non poche criticità cui l’argomentazione della maggioranza della Corte Suprema
porge il fianco, le quattro note dissenzienti — individualmente redatte dai giudici Roberts, Alito, Scalia,
Thomas — difficilmente riescono a coglierle o, una volta colte, ad approfondirle in termini precisamente
giuridici. Ciò può sorprendere, visto lo zelo che viene profuso nel redigere le circa cento mila parole di
dissenso (contro appena la metà, circa cinquanta mila parole impiegate nella sentenza redatta dal giudice
Kennedy). Può quasi sembrare che alla apparente semplicità della retorica impiegata della maggioranza
— tra tutte, le dubbie ricostruzioni storiche (e in generale l’uso dell’argomento storico), la disattenzione
verso le dinamiche federalistiche (ciò che pone la sentenza in disarmonia con il precedente Windsor) e
la (con)fusione tra ragionamenti di libertà e ragionamenti di eguaglianza —, non corrisponda da parte
dei giudici dissenzienti un richiamo alla complessità dei nuovi significati costituzionali in questione e
una riflessione sull’enormità e sulla rapidità dei cambiamenti sociali sottostanti questa svolta storica.
In verità la Corte dissenziente alza un muro, utilizzando il materiale ormai ‘classico’ della narrativa
giurisprudenziale statunitense: judicial activism, uso e consumo del substantive due process, ingerenza nei
dibattiti politici, legittimazione democratica della Corte, violazioni varie dei principi del federalismo,
etc. Un materiale comune tanto alle componenti liberal quanto a quelle conservatrici4. Ma è un muro
tenuto insieme da un collante argomentativo connotato da grandiosi sforzi enfatici5, anch’essi ‘tipici’
di questa tradizione retorica, ma in questo caso tali da rendere molto ardua l’individuazione e l’analisi
delle tesi più genuinamente giuridiche.
1
Obergefell et al. v. Hodges, Director, Ohio Department of Health, et al,. 576 U. S. __ (2015): d’ora in avanti solo Obergefell in questa
Rivista p. 343. Per un quadro del diritto comparato in tema di riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso si
può consultare il dossier di R. Ibrido, A. Romano, A. Schillaci, Same sex marriage e riconoscimento delle unioni tra persone dello
stesso sesso: materiali di diritto comparato, in Osservatorio AIC, www.osservatorioaic.it, 2013.
2
Obergefell, III, p. 11: «Over time and in other contexts, the Court has reiterated that the right to marry is fundamental under
the Due Process Clause».
3
Obergefell, III, p. 22: «[T]he right to marry is a fundamental right inherent in the liberty of the person, and under the Due Process and Equal Protection Clauses of the Fourteenth Amendment couples of the same-sex may not be deprived of that right
and that liberty».
4
Sul punto si veda G. R. Stone, The Supreme Court in the 21st Century, in Daedalus, 142 n. 2, 2013, p. 42.
5
Si può esordire con il più emotivo dei dissensi, quello del giudice Scalia, di per sé un formidabile retore. Tacciando la sentenza
della Corte di essere «pretenziosa», «egoista», piena di «hybris» e farcita di «mistici aforismi da biscotti della fortuna», Scalia
attacca le contraddizioni della Corte in un dileggio sistematico dei termini impiegati: «“The nature of marriage is that, through its enduring bond, two persons together can find other freedoms, such as expression, intimacy, and spirituality.” (Really?
Who ever thought that intimacy and spirituality [whatever that means] were freedoms? And if intimacy is, one would think
Freedom of Intimacy is abridged rather than expanded by marriage. Ask the nearest hippie. Expression, sure enough, is a
freedom, but anyone in a long-lasting marriage will attest that that happy state constricts, rather than expands, what one can
prudently say.) Rights, we are told, can “rise […] from a better informed understanding of how constitutional imperatives
define a liberty that remains urgent in our own era.” (Huh? How can a better informed understanding of how constitutional
imperatives [whatever that means] define [whatever that means] an urgent liberty [never mind], give birth to a right?) And
we are told that, “[i]n any particular case,” either the Equal Protection or Due Process Clause “may be thought to capture the
essence of [a] right in a more accurate and comprehensive way,” than the other, “even as the two Clauses may converge in the
identification and definition of the right.” (What say? What possible “essence” does substantive due process “capture” in an
“accurate and comprehensive way”? It stands for nothing whatever, except those freedoms and entitlements that this Court
really likes. And the Equal Protection Clause, as employed today, identifies nothing except a difference in treatment that this
Court really dislikes. Hardly a distillation of essence […]). I could go on. The world does not expect logic and precision in
poetry or inspirational pop-philosophy; it demands them in the law» (dissenting opinion del giudice Scalia, II, p. 8-9).
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
Nicola Giovanni Cezzi
Questa riflessione sulle opinioni dissenzienti si svilupperà quindi su due punti: l’estrapolazione,
dalla pletora delle argomentazioni patetiche, dei punti di diritto che con esse si vorrebbero sostenere e la
mancata costruzione critica dell’uso che la Corte fa della clausola sulla Equal Protection.
2. Delle argomentazioni patetiche
Il ricorso alla comunicazione patetica, secondo alcuni6, dovrebbe rappresentare uno strumento di supporto alla persuasività dell’argomentazione che si vuol sostenere. Affinare le tecniche dialogiche nel
diritto costituzionale è fondamentale, soprattutto per un ordinamento in cui la comunità giuridica ritiene la fonte giurisprudenziale «artefice e garante di una tradizione giuridica radicata nella società»
7
e posta al di fuori dell’autorità costituita per legge: in primo luogo, infatti, «la legittimazione del diritto costituzionale dipende in buona misura dalla condivisione popolare»8; in secondo luogo, la constitutional adjudication avvicina le forme della produzione normativa9 e in quanto tale è opportuno che
consideri anche le dinamiche emotive che si intersecano nella formazione delle moralità pubbliche. La
letteratura giurisprudenziale costituzionale, quindi, ricorre agli strumenti di persuasione comuni alle
altre forme di linguaggio comune10: logos (ricorso alla logica), ethos (ricorso alle qualità di chi parla/
scrive) e pathos (ricorso alle emozioni di chi sente/legge). Si tratta quindi di forme di persuasione, da
tenere distinte da — perché a servizio de — le tecniche interpretative adoperate dal giudice11: il pathos,
in altri termini, «non è un argomento di diritto costituzionale, né può essere fonte di autorità». Ancora
più chiaramente: «Il pathos è descrivibile come una caratteristica della conversazione costituzionale, un
mezzo più che un fine. Si ricorre al pathos non per offrire informazioni riguardo il contenuto sostanziale
dell’argomento ma perché aiuta a sostenere quell’argomento». L’argomentazione di questo tipo, quindi
«è un modo di persuasione riguardo la sostanza e la valenza di una particolare proposizione»12.
Il ricorso al pathos è particolarmente efficace, seguendo questa impostazione13, soprattutto nella
redazione delle opinioni particolari dei giudici, in quanto una nota che non pretende di rappresentare il
pensiero di tutta una corte principalmente reclama una riforma del diritto da questa scaturito, si rivolge
specificamente ai membri della corte oppure agli organi politici, e in particolare enfatizza dimensioni
6
J. Greene, Pathetic Argument in Constitutional Law, in Columbia Law Review, 113 n.6 (2013), p. 1394-95, 1446-47, 1451-59. Secondo
Greene, lo stesso giudice Kennedy — autore della sentenza Obergefell — è un esperto manovratore di argomentazioni patetiche, come testimonia l’esempio del suo dissenso in Senberg v. Carhart 530 U.S. 914, 958–59 (2000), quando descrive il c.d.
partial birth abortion: «The fetus, in many cases, dies just as a human adult or child would: It bleeds to death as it is torn limb
from limb». La descrizione di questo processo fornita da Kennedy, prosegue l’autore, «designed deliberately to disgust and
to shame the audience, masquerades as a cold recitation of facts but is integral to the dissent’s rhetorical mission» (p. 1394).
7
P. Ridola, Profilo storico del costituzionalismo moderno, ora in Id, Diritto Comparato e diritto pubblico costituzionale europeo, Torino,
Giappichelli, 2010, p. 19.
8
J. Greene, ivi, p. 1395: «Constitutional law depends on a substantial measure of popular acceptance for its legitimacy».
9
H.P. Monaghan, On Avoiding Avoidance, Agenda Control, and Related Matters, in Columbia Law Review, 112 (2012) p. 683–85:
«While still frequently engaged in what we could regard as little more than ordinary dispute resolution, the Supreme Court’s
law declaration function has long since assumed overriding importance».
10 Sul dibattito statunitense circa le specificità del linguaggio nel costituzionale, tra visioni pragmatiste e visioni più ‘dottrinarie’, si veda E. Rubin, M. Feeley, Creating Legal Doctrine, in Southern California Law Review, 69, (1996). La posizione dell’autore
tramite le cui tesi si sta proponendo una lettura dell’argomento patetico, si può evincere dalla seguente frase: «[J]udge-made
constitutional law [can be understood] as a practice both of explication and of convincing, and one whose audience extends
from the judge’s colleagues on the bench all the way out, at times, to the area man» (J. Greene, Pathetic Argument cit., p. 1471).
11 P. Bobbitt ne identifica sei tipologie: «historical, textual, doctrinal, prudential, structural, ethical» (Constitutional Interpretation,
Oxford, Blackwell, 1991, p. 11-22).
12 J. Greene, ivi, p. 1421-22, il quale prosegue: «Some outcome must be thus because deep down in your heart you know thus to
be true».
13 J. Greene, ivi, p. 1460: «A certain kind of formalism (some would say “sophistry” or “legalistic argle-bargle”) has survived
both legal realism and critical legal studies; its resilience may reflect popular preference as much as inertia, and so pathetic
argument may simply be less persuasive when an opinion purports to declare the law. But there are also sound theoretical
reasons for giving greater latitude to concurrences and dissents». E ancora, a p. 1468: «Particularly when used in dissents or
concurrences, pathetic argument is a vehicle for incorporating marginalized nomoi into the constitutional conversation».
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
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del problema di cui si discute, negate o solo sfiorate dalla maggioranza della corte. Parafrasando un noto
‘dissenziente’ della Corte Suprema statunitense, «una frase patetica vale un intero volume di logica»14.
Nelle opinioni redatte dai giudici Roberts, Scalia e Alito lo zelo retorico, seppur — come detto —
diffuso in questa letteratura giurisprudenziale, è difficilmente giustificabile alla luce dei limiti di tollerabilità dell’elemento emotivo succintamente descritti. La costruzione patetica di questi dissensi sovrasta
di gran lunga l’intreccio argomentativo su cui si vorrebbero basare, facendo perdere di vista il punto
di diritto in essi fatto valere. I giudici sembrano anzi invertire i termini della costruzione del discorso,
facendo delle emozioni un ‘argomento’ e rendendole quindi fonti di autorità costituzionale: il pathos da
mezzo diviene il fine.
2.1 Ma chi ci crediamo di essere?15
Secondo il giudice Roberts — ma il punto è condiviso e trattato ampiamente anche da Scalia e Alito —
la decisione della maggioranza della Corte è un atto di volontà, non un pronunciamento giudiziale16,
poiché mette fine al dibattito in corso nella società circa la legittimità dei matrimoni tra persone dello
stesso sesso, interrompendo il circuito di crescita culturale che un sano sistema democratico dovrebbe
esser in grado di mettere in moto autonomamente: «Decidendo la questione in virtù della Costituzione,
la Corte la rimuove dall’ambito delle decisioni democratiche». E, prefigurando scenari oscuri, avverte:
«Chiudere un dibattito porta a chiudere le menti»17.
Alla presunzione della maggioranza Roberts vorrebbe contrapporre una visione più morigerata del
ruolo che ricopre nell’architettura istituzionale18, in linea con i principi espressi durante le sue confirmation hearings e sui quali avrebbe informato il suo mandato: i giudici dovrebbero essere come gli arbitri
di una gara sportiva, rispettosi della fonte democratica delle regole del gioco: «Gli arbitri non fanno le
regole, le applicano soltanto. Il compito di un arbitro e di un giudice è critico. Entrambi assicurano che
si giochi secondo le regole, ma hanno un ruolo limitato. Nessuno va allo stadio per vedere l’arbitro»19.
14 «[A] pathetic phrase is worth a volume of logic». La parafrasi è di J. Greene (ivi, p. 1469) e si riferisce alla famosa massima —
«a page of history is worth a volume of logic» — scritta dal giudice Holmes nel caso New York Trust Co. v. Eisner 256 U.S. 345
(1921). Può destare particolare attenzione la sostituzione effettuata da Greene del concetto di «storia» con quello di «pathos»,
quasi sintomatica del rapporto estremamente problematico che la letteratura costituzionale americana ha con il passato costituzionale e le sue letture.
15 Dissenting opinion del giudice Roberts, p. 3: «[T]he Court invalidates the marriage laws of more than half the States and orders
the transformation of a social institution that has formed the basis of human society for millennia, for the Kalahari Bushmen
and the Han Chinese, the Carthaginians and the Aztecs. Just who do we think we are?».
16 Ibidem: «The majority’s decision is an act of will, not legal judgment».
17 Dissenting opinion del giudice Roberts, IV, p. 26-27: «[B]y deciding this question under the Constitution, the Court removes it
from the realm of democratic decision. There will be consequences to shutting down the political process on an issue of such
profound public significance. Closing debate tends to close minds» (corsivi aggiunti).
18 «[A] much different view of the Court’s role is possible. That view is more modest and restrained. It is more skeptical that the
legal abilities of judges also reflect insight into moral and philosophical issues. It is more sensitive to the fact that judges are unelected and unaccountable, and that the legitimacy of their power depends on confining it to the exercise of legal judgment.
It is more attuned to the lessons of history, and what it has meant for the country and Court when Justices have exceeded their
proper bounds. And it is less pretentious than to suppose that while people around the world have viewed an institution in a
particular way for thousands of years, the present generation and the present Court are the ones chosen to burst the bonds of
that history and tradition». Dissenting opinion del giudice Roberts, IV, p. 29 (corsivi aggiunti).
19 Hearings on the Nomination of John G. Roberts to be Chief Justice of the Supreme Court of the United States Before the Committee on
the Judiciary, 109th Cong., 1st Sess. 56 (2005) (testimony of John G. Roberts): «Umpire don’t make the rules, they apply them.
The role of an umpire and a judge is critical. They make sure everybody plays by the rules, but it is a limited role. Nobody
ever went to a ballgame to see the umpire». Per quanto coerente con questa linea di principio possa presentarsi, non si può
non ricordare che il giudice Roberts ha presieduto una Corte che si è dimostrata più volte incline a scardinare precedenti
fondativi del diritto costituzionale statunitense: si pensi a casi come Columbia v. Heller (2008) che ha sconvolto il significato
del II Emendamento sull’uso delle armi; Citizens United v. Federal Election Commission (2010) che ha aperto un nuovo corso
nell’ambito dei finanziamenti delle campagne elettorali; e soprattutto Shelby County v. Holder (2013) che ha svuotato il cuore
operativo del Voting Rights Act del 1965 e a proposito del quale si può segnalare il commento di B. Ackerman (We The People.
III. The Civil Rights Revolution, Cambridge-London, Belknap Press of Harvard University, 2014, p. 330-331) secondo il quale
il giudice Roberts ha dimostrato come l’uso di un «canone corte-centrico» possa distruggere una «eredità costituzionale»:
Roberts infatti insiste, e a ragione, sul fatto che lo scrutinio preventivo su ogni modifica del sistema elettorale statale ha
trasformato la nozione convenzionale di federalismo. Ma, si chiede Ackerman, questa rottura col passato (convenzionale)
rappresenta forse una violazione della Costituzione? Il giudice Roberts non ha basato la sua decisione su testi dei Padri dalla
Costituzione americana, sul suo significato originario — e, ancora una volta a ragione, giacché essi notoriamente rifiutarono
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
Nicola Giovanni Cezzi
Roberts critica l’attivismo giudiziale della maggioranza della Corte, ricorrendo a un linguaggio
emotivo che insinua nel lettore due suggestioni: a) la sentenza del caso Obergefell non è ‘buon diritto’; b)
la sentenza del caso Obergefell non è ‘affatto diritto’.
A) La prima suggestione è ottenuta rievocando lo spettro del caso Dred Scott20, che ha inaugurato
l’accezione sostanziale della clausola del Due Process (sussisterebbe una componente sostanziale di certe
libertà fondamentali che non può essere inficiata da alcun tipo di procedura pur disposta a norma di
legge), nel cui sciagurato filone si inserirebbe la sentenza del caso in questione. Dred Scott sarebbe stato
ripudiato solo sul campo di battaglia della Guerra Civile, ma l’approccio impiegato in quel caso sarebbe stato ripreso all’inizio del Novecento, con l’era Lochner21, durante la quale oltre duecento sforzi del
legislatore vennero invalidati dalla Corte in quanto ritenuti in violazione della libertà individuale: l’era
sarebbe terminata solo dopo aver portato, negli anni’ 30, a una crisi istituzionale tra Corte Suprema da
un lato e Congresso e presidenza dall’altro.
Il ricorso a casi «anti-canonici»22 come questi è un comune esempio di tecnica retorica intesa a provocare diffidenza, ostilità e allarme verso la sentenza da cui si dissente.
In questo caso, Roberts ricorre a questi due infamanti precedenti per indicare le uniche fondamenta
concettuali della sentenza da cui dissente: «L’approccio seguito dalla maggioranza non ha fondamento
nei principi o nella tradizione, tranne che nella tradizione priva di principio della politica fatta dai giudici che ha caratterizzato decisioni screditate come Lochner»23.
Si può notare incidentalmente come il ricorso proprio a Dred Scott al fine di minare la sentenza del
caso Obergefell possa non risultare, sotto certi versi, efficace. Trascurando per il momento il fatto che
l’introduzione del XIV Emendamento, sulle cui clausole del Due Process e dell’Equal Protection l’opinione
della maggioranza della Corte si basa, è spesso letta proprio come cosciente risposta alla sentenza del
caso Dred Scott e alla guerra che seguì, il giudice Roberts sembra creare una involontaria argomentazione a sostegno dell’opinione della maggioranza nel punto in cui questa argomenta il carattere fondamentale del diritto al matrimonio24. Come notò il giudice Curtis, uno dei due dissenzienti in quel caso,
non solo il transito del signor Dred Scott in uno territorio ‘libero’ avrebbe messo fine alla schiavitù di
quell’uomo, ma anche il solo fatto che in quel territorio due persone avessero potuto contrarre matrimonio liberava automaticamente la coppia dallo stato di schiavitù: non vi era anzi rimedio più effettivo
per liberare uno schiavo che consentirgli di contrarre matrimonio sotto le leggi di uno stato in cui non
vigeva la schiavitù, con i diritti e i doveri che da questa condizione sarebbero derivati25. Può sussistere
di trattare tutti gli stati in modo equo. Basandosi solo su un pugno di decisioni giudiziarie — prosegue l’autore — Roberts ha
completamente mancato di confrontarsi con il fatto che We the People ha ripetutamente e autoritativamente repudiato l’applicazione del suo supposto principio alla sfera del diritto di voto: il mancato riferimento alla Section 2 del XIV Emendamento,
infatti, rende drammatica la sua «hybris giudiziale» nell’imporre un principio di ‘equa sovranità statale’ quando questo è
stato esplicitamente rigettato da parte del XIV Emendamento. Il giudice Roberts, conclude Ackerman, apre così la strada che
può portare a «cancellare la Seconda Ricostruzione».
20 Dred Scott v. Sandford, 60 U.S. 393 (1857).
21 Lochner v. New York, 198 U.S. 45 (1905).
22 J. Greene definisce «anticanon» quell’insieme di «examples of how not to adjudicate constitutional cases» (The Anticanon, in
Harvard Law Review, 125, 2011, p. 386).
23 Dissenting opinion del giudice Roberts, p. 10: «[T]he majority’s approach has no basis in principle or tradition, except for the
unprincipled tradition of judicial policymaking that characterized discredited decisions such as Lochner […]». E ancora, a p.
19 della sua nota: «Ultimately, only one precedent offers any support for the majority’s methodology: Lochner […]».
24 In particolare nel quarto punto formulato dalla Corte a sostegno della sua tesi: «This Court’s cases and the Nation’s traditions
make clear that marriage is a keystone of our social order. […]There is no difference between same- and opposite-sex couples
with respect to this principle. Yet by virtue of their exclusion from that institution, same-sex couples are denied the constellation of benefits that the States have linked to marriage. This harm results in more than just material burdens. Same-sex couples
are consigned to an instability many opposite-sex couples would deem intolerable in their own lives. […]». Di conseguenza,
«laws excluding same-sex couples from the marriage right impose stigma and injury of the kind prohibited by our basic charter» (Obergefell, III, p. 16-18, corsivi aggiunti).
25 «If, in Missouri, the plaintiff were held to be a slave, the validity and operation of his contract of marriage must be denied.
He can have no legal rights, of course, not those of a husband and father. And the same is true of his wife and children. The
denial of his rights is the denial of theirs», Dissenting opinion del giudice Curtis in Dred Scott v. Sandford, 60 U.S. 393 (1857), p.
600.
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
Nicola Giovanni Cezzi
— si chiede Curtis — una legge in grado di menomare un’unione matrimoniale, negando i diritti della
coppia o declassandoli a uno stato inferiore?26
Al centro della disputa, allora come oggi, è l’impossibilità di dare un significato giuridico alle relazioni tra i membri della famiglia: il nesso tra matrimonio e libertà è evidente. Vi sono, è vero, benefici
materiali che accompagnano l’unione matrimoniale e l’eguaglianza delle unioni rende questi benefici
certi: ma il matrimonio è anche sanzione di stabilità familiare, istituzione centrale della società di uno
stato da cui non si può essere esclusi senza imporre uno ‘stigma’ di inferiorità. È sì uno status ma anche
una condizione dell’essere umano.
B) La seconda suggestione che il pathos di Roberts vorrebbe produrre, è ottenuta con la redazione
del periodo conclusivo della sua opinione, nel quale traccia le conclusioni delle proprie argomentazioni. La Corte si è elevata a organo normativo, superbo verso un dibattito pubblico ancora controverso,
privo di qualsiasi legittimità democratica in quanto «non eletto», ignaro delle priorità politiche degli
stati rispetto alla federazione, producendo così un esercizio di attivismo giudiziario degno della peggior
tradizione giurisprudenziale del substantive due process: se avesse seguito la Costituzione, la Corte non
avrebbe potuto mai decidere questo caso, per cui quanti si trovano oggi concordi con la sentenza della
Corte gioiscano pure per le nuove opportunità che essa dischiude, celebrino i nuovi benefici per le coppie dello stesso sesso, ma «che non si celebri la Costituzione», poiché la Costituzione «non ha niente a
che fare»27 con la decisione in questione.
Roberts sembrerebbe così voler privare di ‘legittimità costituzionale’ la (sentenza della) Corte Suprema: un’uscita di scena così drammatica da renderne arduo un commento, senza almeno provare a
formularlo dallo stesso palcoscenico. Difficile risulta, soprattutto, conciliare questa affermazione con
quella — citata sopra28 — secondo la quale l’aver deciso la questione in oggetto «in virtù della Costituzione» è equivalso ad averla sottratta al circuito decisionale democratico, per cui il testo costituzionale
sembra esprimere a un tempo ‘fonte’ della non-legittimità della sentenza ma anche argomento di fondazioni anti-democratiche.
La sintesi delle due emozioni è fornita dalla nota redatta dal giudice Scalia, secondo il quale la Corte si sarebbe ingerita nel — mettendo così fine al — dibattito in corso nella società riguardo il matrimonio tra persone dello stesso sesso, per mezzo di una decisione «priva del più minimo taglio giuridico»29.
Non si può qui aprire una coscienziosa riflessione su temi come l’origine e lo sviluppo del judicial
review statunitense, il ruolo della Corte Suprema (e delle corti) nei processi di crescita culturale del paese, il grado di ‘pericolosità’ del sindacato da essa prodotta, o l’uso (e l’abuso) della fondazione della
nozione di matrimonio as a matter of constitutional law: principalmente perché sono i giudici dissenzienti
a non cercare un confronto su questi temi, accennando sommariamente a molti di essi, lasciandone
impliciti altri, regalando al lettore molte suggestioni, ma privandolo della più semplicistica delle costruzioni di sistema.
Basterà, ai fini di questo commento, tenere presente che quella della Corte Suprema degli Stati Uniti
non può considerarsi una ‘irruzione’ all’interno un dibattitto irrisolto, col fine o col risultato di chiuderlo definitivamente: ciò soprattutto in considerazione del fatto che la Corte Suprema non ha il potere di
dare esecuzione alle sue decisioni30. Ed è proprio sotto questo punto di vista che gli infuocati dissensi
della minoranza della Corte sembrano assumere un primo valore degno di considerazione: al pari di
molti esponenti politici all’indomani della sentenza, i quattro giudici dissenzienti guidati da Roberts,
seppur senza giungere a invitare esplicitamente a disobbedire alla sentenza, indubbiamente forniscono
numerosi elementi che portano il lettore a non considerare vincolante la decisione e che in ogni caso
26 La domanda retorica posta da Curtis è, precisamente, la seguente: «Does any law of the State of Missouri impair the obligation of that contract of marriage, destroy his rights as a husband, bastardize the issue of the marriage, and reduce them to a state
of slavery?» Dissenting opinion del giudice Curtis in Dred Scott, p. 602 (corsivo aggiunto).
27 «[C]elebrate the opportunity for a new expression of commitment to a partner. Celebrate the availability of new benefits. But
do not celebrate the Constitution. It had nothing to do with it», Dissenting opinion del giudice Roberts, p. 29.
28 Si veda, supra, nota 17.
29 Dissenting opinion del giudice Scalia, I, p. 4: «[T]he Court ends this debate, in an opinion lacking even a thin veneer of law».
30 È vero che Marbury v. Madison, e l’eredità della tradizione giuridica del common law britannico, sanciscono che è la Corte ad
avere l’ultima parola sull’interpretazione della Costituzione e che, in virtù dell’Art. VI della stessa, tutti gli ufficiali governativi devono giurare sul rispetto della Costituzione prima di prendere servizio, ma la ‘tenuta’ di una sentenza costituzionale
non può che dipendere dall’accettazione sociale dei principi e dei valori su cui si basa. Come ha sintetizzato il giudice S.
Breyer, «history, not legal doctrine, tells us show Americans came to follow the Supreme Court’s rulings», nel suo Making Our
Democracy Work. A Judge’s View, New York, First Vintage Books Edition, 2011, p. 22-23.
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
Nicola Giovanni Cezzi
rappresentato ottime basi per fondare una resistenza31. Si considerino, in tal senso, il riferimento del
giudice Thomas alla libertà religiosa, «violata» dalla maggioranza della Corte32; oppure quello fatto dal
giudice Alito alla «tradizionale concezione di matrimonio», che la Corte ha ignorato, «diffamando» in
questo modo chi non si riconosce nella «nuova ortodossia»33; o ancora la prospettazione delle realistiche
controversie che la sentenza provocherà, prontamente esemplificate da Robert34.
Lo scopo perseguito dai dissenzienti sembra dunque quello di alimentare il c.d. backlash effect, con
la prefigurazione e la giustificazione delle ripercussioni sociali della sentenza in questione: i giudici
dissenzienti si fanno cioè cogliere in un esercizio volto minarne la stabilità, armando una discussione
politica già intricata. Non si potrebbe, tuttavia, arrivare a sostenere che abbiano fornito argomenti per
prospettare una sovversione della holding centrale. Al di là infatti della difficoltà di rimettere in discussione un ragionamento formulato in termini di libertà fondamentali, dalla portata a tratti effettivamente
totalizzante (come si avrà modo di spiegare più avanti), fomentare una limitazione delle potenzialità
operative della decisione tramite il ricorso alla libertà di coscienza richiederebbe un’attenta riflessione
sul godimento dei diritti (per quanto ‘nuovo’ e controverso sia il loro riconoscimento) che il ricorso alla
obiezione negherebbe, interrogandosi su quanto è compatibile l’introversione identitaria del singolo
(presupposto dell’appello alla coscienza) con i legami comunitari e con le funzioni pubbliche che egli
‘deve’ svolgere35: quantomeno per chiarire quella che apparirebbe una grave contraddizione, nell’argomentazione dei dissenzienti, circa la lettura delle dinamiche della rappresentanza, poiché da un lato
verrebbero denunciati gli abusi di una corte ‘non eletta da nessuno’ ma dall’altro si inviterebbe la pluralità delle individuali opzioni di coscienza a condizionare l’esercizio di diritti riconosciuti fondamentali
senza passare per il circuito politico che porta a rappresentarle e quindi a farle valere. Si tratta invero di
una riflessione su cui la minoranza della Corte non sente il bisogno di intrattenersi.
Che un giudice sancisca che una sentenza della Corte Suprema di cui è Chief Justice «non ha nulla
a che vedere con la Costituzione» rimane in ogni caso un gesto di gravità non ancora misurabile36.
Bisognerebbe almeno fermarsi a considerare che i giudici costituzionali danno vita a un soggetto
pubblico che non può non essere ritenuto parte attiva nel dibattito culturale dell’ordinamento, una loro
‘ingerenza’37 non sarebbe quindi impensabile e sicuramente l’intervento rappresentato da questa sen31 Si pensi alle varie forme di ostruzionismo che si possono escogitare tramite l’obiezione di coscienza, anche alla luce della
sentenza sul caso Burwell v. Hobby Lobby, 573 U.S. __ (2014) che ha allargato il raggio di validità delle «eccezioni per motivi
religiosi» disposte dagli organi legislativi. La cronaca non impiegherà molto tempo a fornire i primi esempi: http://nyti.
ms/1P9wiQW, http://nyti.ms/1LXJv1J, e la reazione del Congresso con la proposta di un “First Amendment Defense Act”
(https://www.congress.gov/bill/114th-congress/house-bill/2802/text).
32 Sul tema della libertà religiosa si veda, infra, nota 55. Il giudice Roberts scrive nella sua dissenting opinion (IV, p. 28): «[P]eople
of faith can take no comfort in the treatment they receive from the majority today». E ancora: «Perhaps the most discouraging
aspect of today’s decision is the extent to which the majority feels compelled to sully those on the other side of the debate».
33 Dissenting opinion del giudice Alito (III, p. 6): «The decision […] will be used to vilify Americans who are unwilling to assent
to the new orthodoxy».
34 Dissenting opinion del giudice Roberts (IV, p. 28): «Hard questions arise when people of faith exercise religion in ways that
may be seen to conflict with the new right to same-sex marriage — when, for example, a religious college provides married
student housing only to opposite-sex married couples, or a religious adoption agency declines to place children with samesex married couples. […] There is little doubt that these and similar questions will soon be before this Court».
35 Sul tema aiuta a riflettere A. Ratti, “Organizzazioni di tendenza” versus tutela del singolo sul luogo di lavoro al vaglio della Corte
suprema statunitense, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, 2013, vol.1, p. 234.
36 Il giudice S. Breyer, che vota il lavoro sopra citato (Making Our Democracy Work) principalmente a spiegare l’importanza della
comprensione e della condivisione delle decisioni della Corte Suprema, formula una riflessione la cui lettura fa quasi sorgere
il dubbio che il giudice Roberts, nel chiedere ai suoi colleghi della maggioranza ‘chi si credono di essere?’ non possa — rivolgendo la domanda a se stesso — interrogarsi almeno sulla sua responsabilità di statesman. Il periodo del lavoro di Breyer
cui ci si riferisce è il seguente: «[T]he public’s trust cannot be taken for granted. Public trust does not follow automatically
from the existence of a written constitution. It must be built, and once built, it must be maintained. To maintain the necessary
public confidence in the Court’s decisions, each new generation has certain obligations. It must learn how our constitutional
government works, become aware of its history, be encouraged to participate in the democratic process, and observe the
preceding generation as it builds on those public customs» (p. 71-72).
37 Ammesso pure che il sindacato di costituzionalità collochi la Corte in una posizione ‘contraria alla maggioranza’ della popolazione rappresentata negli organi legislativi (ma questa semplificazione è ormai equivoca e superabile) questa posizione
non porrebbe ‘difficoltà’ quando la Corte è chiamata a «affermare un principio, un valore con cui tale maggioranza può non
sentirsi in sintonia, ma che nella valutazione ampia profonda, meditata dei giudici è lo spirito più profondo e perdurante
della nazione, ossia quei valori che in qualsiasi momento storico, possono essere anti-maggioritari» — così, tra le ultime narrazioni sul tema, G. Calabresi, Il mestiere del giudice. Pensieri di un accademico americano, Bologna, Il Mulino, 2013, p. 79 (corsivo
aggiunto), il quale, riferendosi chiaramente alla teoria della «countermajoritarian difficulty» formulata da Alexander Bickel (di
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
Nicola Giovanni Cezzi
tenza non è certo il primo: se un cittadino americano di mezza età si è trovato a nascere in un paese in
cui alcune giurisdizioni locali gli impedivano di sposarsi con una persona di colore e si trova a vivere
oggi in paese in cui può sposare una persona dello stesso sesso, ciò è anche dovuto agli interventi della
giurisprudenza. Il retroterra culturale del caso Obergefell era stato diffusamente coltivato dagli stessi
giudici supremi negli anni precedenti.
È proprio il giudice Roberts, sostenitore del distacco dei giudici dai condizionamenti derivanti
dai movimenti interni alla società, a non poter fare a meno di menzionare e quindi di riconoscere le
conquiste ottenute dai sostenitori dei diritti degli omosessuali tramite riforme legislative e pronunce
giurisprudenziali38, mentre nel precedente di appena due anni prima — United States v. Windsor (2013)
— la questione della crescente sensibilità pubblica verso questi temi non viene degnato di alcun cenno.
Risale al 1971 il primo caso in cui la Corte si è occupata del matrimonio tra persone dello stesso
sesso39. Due uomini, residenti in Minnesota, sollevarono la questione relativa alla possibilità di potersi
sposare, visto il silenzio della normativa matrimoniale di quello stato riguardo il genere dei coniugi: la
Corte dismise ogni questione per mancanza di fondamento costituzionale.
Nel 1987 la Corte ha statuito, nel caso Bowers v. Hardick che le relazioni intime tra omosessuali
possono essere ritenute un crimine dalla legge e che un argomento in senso contrario sarebbe stato
«faceto»40.
Nel 1993 il divieto di matrimoni tra persone dello stesso sesso viene considerato dalla Corte Suprema delle Hawaii41 una forma di discriminazione sessuale, in quanto tale da sottoporre a strict scrutiny. Il
Congresso reagisce con l’approvazione, nel 1996, del Defense of Marriage Act (DOMA) che prevedeva,
tra le varie disposizioni, che quel tipo di matrimonio non sarebbe stato riconosciuto ai fini dell’applicazione della legislazione federale. In meno di dieci anni più di un terzo degli stati avrebbe poi adottato
leggi e riforme costituzionali volte a proibire la celebrazione o il riconoscimento di questo tipo di unione.
Sempre nel 1996 però la Corte Suprema degli Stati Uniti, nel caso Romer v. Evans, riprende la questione trattata in Bowers, e, senza giungere a ripudiare questo precedente, dichiara illegittimo un emendamento alla Costituzione di uno stato che vieti l’adozione di forme di protezione per omosessuali o
bisessuali: si tratterebbe di una violazione della clausola dell’Equal Protection, poiché nessuno stato può
rendere un suo cittadino — omosessuale o meno — «estraneo alle sue leggi»42.
Nel 1999 si registra una sensibile vittoria dei movimenti a tutela dei diritti degli omosessuali, con
la sentenza della Corte Suprema del Vermont (Baker v. State) con la quale si sancisce che privare persone
dello stesso sesso dei ‘benefici’ dell’istituto matrimoniale è una violazione della Costituzione dello stato
secondo la quale tutti i cittadini hanno eguale accesso a «common benefits»43: per dare esecuzione alla
cui si veda almeno Foreword: The Passive Virtues, in Faculty Scholarship Series, Paper 3968, Yale Law School, 1961, e The Least
Dangerous Branch, Bobbs-Merrill, 1962), prosegue: «Il problema del ‘countermajoritarianism’ esiste in tali casi, ma non è una
difficulty, quanto una scelta strutturale di assegnare alle Corti il dovere di proteggere valori fondamentali da pressioni popolari momentanee».
38 Dissenting opinion del giudice Roberts, I-B, p. 8-9: «Over the last few years, public opinion on marriage has shifted rapidly. In
2009, the legislatures of Vermont, New Hampshire Hampshire, and the District of Columbia became the first in the Nation
to enact laws that revised the definition of marriage to include same-sex couples, while also providing accommodations for
religious believers. In 2011, the New York Legislature enacted a similar law. In 2012, voters in Maine did the same, reversing
the result of a referendum just three years earlier in which they had upheld the traditional definition of marriage. In all, voters
and legislators in eleven States and the District of Columbia have changed their definitions of marriage to include same-sex
couples. The highest courts of five States have decreed that same result under their own Constitutions». E più avanti (II-B-1,
p. 15): «The opinion describes the “transcendent importance” of marriage and repeatedly insists that petitioners do not seek
to “demean,” “devalue,” “denigrate,” or “disrespect” the institution. Nobody disputes those points. Indeed, the compelling
personal accounts of petitioners and others like them are likely a primary reason why many Americans have changed their minds about
whether same-sex couples should be allowed to marry» (corsivo aggiunto).
39 Richard John Baker v. Gerald R. Nelson, 291 Minn. 310, 191 N.W.2d 185 (1971).
40 Bowers v. Hardwick, 478 U.S. 186 (1986): «Against a background in which many States have criminalized sodomy and still do,
to claim that a right to engage in such conduct is “deeply rooted in this Nation’s history and tradition” or “implicit in the
concept of ordered liberty” is, at best, facetious».
41 Baehr v. Lewin, 74 Haw. 530, 852 P.2d 44 (1993).
42 Romer v. Evans, 517 U.S. 620 (1996): «We must conclude that Amendment 2 classifies homosexuals not to further a proper legislative end but to make them unequal to everyone else. This Colorado cannot do. A State cannot so deem a class of persons
a stranger to its laws» (corsivo aggiunto).
43 Chapter I, Article 7th, della Costituzione del Vermont: «That government is, or ought to be, instituted for the common benefit, protection, and security of the people, nation, or community, and not for the particular emolument or advantage of any
single person, family or set of persons, who are a part only of that community; and that the community hath an indubitable,
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
Nicola Giovanni Cezzi
sentenza, l’organo legislativo del Vermont escogita il formato delle unioni civili (stessi benefits, nome
differente).
Nel 2003 viene finalmente superato il precedente del caso Bowers, con la sentenza della Corte Suprema federale nel caso Lawrence v. Texas: una legge che criminalizzi le relazioni intime tra omosessuali
viola la libertà fondamentale protetta dal XIV Emendamento, poiché gli omosessuali «mantengono ancora la dignità di persone libere»44.
Ancora a livello statale, punto di svolta è rappresentato dal caso Goodridge v. Department of Public
Health (798 N.E.2d 941, Mass. 2003), deciso dalla suprema corte del Massachusetts: le coppie formate
da persone dello stesso sesso devono avere la possibilità di sanzionare la loro unione esattamente negli
stessi termini in cui ciò è permesso alle coppie di sesso diverso, negare questo diritto equivale non solo
a negare dei ‘benefici’, ma a creare una classe inferiore di cittadini.
Nel 2013, con il caso United States v. Windsor45, la Corte Suprema dichiara che la citata previsione del
Defense of Marriage Act viola le garanzie del giusto processo e dell’eguale protezione della legge previste dalla Costituzione federale: alla luce, infatti, della deferenza della federazione, nell’amministrare
i suoi programmi, verso le determinazioni circa il diritto familiare elaborate dai singoli stati, il rifiuto
di considerare a questi fini una specifica tipologia di unione — quella tra persone dello stesso sesso —
costituisce una discriminazione «di carattere inusuale»46.
In tutti questi casi la giurisprudenza ha mostrato significativa sensibilità allo sviluppo degli abiti sociali riguardo i diritti degli omosessuali e la sentenza redatta dal giudice Kennedy si iscrive coerentemente in questo filone. È anzi l’istituto matrimoniale che nel caso Obergefell viene considerato
espressione fenomenologica dei cambiamenti sociali: «mutevoli concezioni del matrimonio — scrive
Kennedy — sono caratteristiche di una nazione dove le nuove dimensioni della libertà si manifestano
alle nuove generazioni spesso attraverso idee prospettate tramite petizioni e proteste, per poi essere
considerate nella sfera politica e in quella giudiziaria»47. Si potrebbe anzi aprire una riflessione — ma i
giudici dissenzienti si guardano bene dal farlo — circa il parallelismo dei percorsi seguiti dal giudizio
di costituzionalità riassunto in questa giurisprudenza da un lato e quello di emersione delle rilevazioni
sociologiche dall’altro48.
unalienable, and indefeasible right, to reform or alter government, in such a manner as shall be, by that community, judged
most conducive to the public weal».
44 Lawrence v. Texas, 539 U.S. 558 (2003): «It suffices for us to acknowledge that adults may choose to enter upon this relationship
in the confines of their homes and their own private lives and still retain their dignity as free persons».
45 United States v. Windsor, 570 U.S. __ (2013).
46 Il DOMA, secondo la Corte, imporrebbe «a disadvantage, a separate status, and so a stigma upon all who enter into samesex marriages made lawful by the unquestioned authority of the States», United States v. Windsor, 570 U.S. ___ (2013), IV, p.
21. Questa attenzione alle dinamiche istituzionali del federalismo, che portò il dissenziente Scalia a definire la sentenza una
«federalist opinion», non sembra essere equamente articolata anche nel caso Obergefell.
47 Obergefell, II-B, p. 7: «[C]hanged understandings of marriage are characteristic of a Nation where new dimensions of freedom
become apparent to new generations, often through perspectives that begin in pleas or protests and then are considered in
the political sphere and the judicial process».
48 Se ci si avvedesse che il primo ha ‘inseguito’ le seconde si porrebbe un non secondario problema: se da un alto, infatti, la
natura «contro-maggioritaria» della corte non può essere considerata una «difficoltà», come brevemente visto sopra (nota
37), dall’altro una eccessiva ricerca della popolarità della sentenza espresso con la deferenza al dato sociologico rischia di
far cadere la corte sul versante opposto, quello ‘maggioritario’: e questa sì che sarebbe una ‘difficoltà’. Su questo punto e
sulle sue declinazioni di fondamentale criticità si può già leggere R. Ibrido, Costituzioni in cammino. Argomento sociologico e
orientamento sessuale, in Omosessualità, eguaglianza, diritti (a cura di A. Schillaci), Roma, Carrocci editore, 2014, in particolare
p. 234: «Più che il problema della “tenuta” della supremazia della Costituzione, e dunque il rischio di una “sfaldatura” di
quest’ultima rispetto alla penetrazione di elementi di giudizio esterni al dato testuale, l’argomento sociologico sembra interrogare le componenti essenziali dell’identità del giudice costituzionale: se è vero infatti che questo percorso argomentativo
conduce a dare una cassa di risonanza a dinamiche sociali che tendono ad affermarsi in un determinato momento storico,
non può allora essere sottovalutato il rischio di ridimensionare la funzione contr-maggioritaria delle Corti». Fungono quindi
ancora da orientamento le parole usate da A. Hamilton (Federalist n.78) nel descrivere la concezione (statunitense) di judicial
review: «[W]here the will of the legislature, declared in its statutes, stands in opposition to that of the people, declared in the
Constitution, the judges ought to be governed by the latter rather than the former. They ought to regulate their decisions by
the fundamental laws, rather than by those which are not fundamental».
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Nicola Giovanni Cezzi
2.2 Libertà come locomozione49
Un altro tema trattato con significante enfasi retorica è quello relativo al significato della «libertà» di cui
nessuno può essere privato senza un «due process of law» (V e XIV Emendamento). A trattare l’argomento
è il giudice Thomas che scrive la sua opinione in modo più ordinato, ma mantenendo l’impostazione
didascalica di chi si rivolge a una classe di scolari ormai irrecuperabili.
L’argomentazione testuale50 cui Thomas ricorre è spesso declinata, in particolare dai giudici conservatori, in senso originalista, con l’obiettivo cioè di individuare e attribuire valore dispositivo al significato originario del testo considerato. Viene presentata, dunque, come approccio interpretativo ‘neutro’:
la Costituzione è un testo scritto, vincolante in quanto il testo è vincolante, e il ‘significato’ del testo è
(prima di tutto) fornito dal suo ‘significato originario’.
Sulla base di queste considerazioni, il giudice Thomas esprime le seguenti statuizioni:
a) La libertà originariamente intesa ai tempi della redazione e dell’adozione della Costituzione è solo
libertà fisica: in questo modo bisogna leggere il riferimento alla «libertà» contenuto tanto nel V Emendamento quanto nel XIV Emendamento: «Il fatto che Corte sembra abbia smarrito la retta via negli ultimi
tempi non giustifica la deviazione dall’originario significato delle Clausole»51.
b) Anche ammettendo che il concetto di libertà di cui alle clausole citate comprenda qualcosa di più
della libertà da vincoli fisici, libertà è «storicamente» libertà negativa, ovvero libertà dalle ingerenze del
potere, non libertà intesa come diritto a una prestazione o a un riconoscimento da parte del potere52: i
ricorrenti non possono seriamente sostenere di «esser stati arrestati o fisicamente vincolati dagli Stati per
aver intrattenuto relazioni omosessuali»53.
Dal mancato rispetto di questo canone, deriverebbero, secondo il giudice Thomas, vari danni collaterali:
i) è stato menomato il processo politico volto a determinare e proteggere le libertà dei cittadini54;
ii) è stato attaccato il matrimonio inteso come istituzione religiosa, inficiando così la stessa libertà
religiosa che la Costituzione impone di tutelare55;
49 Dall’opinione dissenziente del giudice Thomas (II, B, p. 9): «Whether we define “liberty” as locomotion or freedom from
governmental action more broadly, petitioners have in no way been deprived of it».
50 Bobbitt identifica l’argomentazione testuale (o testualismo) solo con quella relativa al significato contemporaneo del testo
considerato: tuttavia si registra anche un testualismo di carattere ‘storico’, volto a discernerne il significato originario (ed è
in questa declinazione che si legge l’opinione del giudice Thomas). In questa seconda accezione, stando alla classificazione
fornita dallo stesso Bobbitt (ricordata, supra, nota 11), l’argomentazione testuale si sovrapporrebbe con quella storica.
51 Dissenting opinion del giudice Thomas, II-A-1, p. 6-7: «Fourteenth Amendment almost uniformly [was] construed the word
“liberty” to refer only to freedom from physical restrain. […] In enacting the Fifth Amendment’s Due Process Clause, the
Framers similarly chose to employ the “life, liberty, or property” formulation” […]. If the Fifth Amendment uses “liberty” in
this narrow sense, then the Fourteenth Amendment likely does as well. […] That the Court appears to have lost its way in
more recent years does not justify deviating from the original meaning of the Clauses».
52 Dissenting opinion del giudice Thomas, II-A-2, p. 7: «Even assuming that the “liberty” in those Clauses encompasses something more than freedom from physical restraint, it would not include the types of rights claimed by the majority. In the
American legal tradition, liberty has long been understood as individual freedom from governmental action, not as a right to
a particular governmental entitlement».
53 Dissenting opinion del giudice Thomas, II-B, p. 9-10: «[R]eceiving governmental recognition and benefits has nothing to do
with any understanding of “liberty” that the Framers would have recognized».
54 Dissenting opinion del giudice Thomas, III-A, p. 13 ss.
55 Dissenting opinion del giudice Thomas, III-B, p. 14 ss. Il giudice Thomas è l’unico a organizzare compiutamente il suo dissenso attorno al tema della libertà religiosa: «In our society, marriage is not simply a governmental institution; it is a religious
institution as well. Today’s decision might change the former, but it cannot change the latter. It appears all but inevitable
that the two will come into conflict». Il giudice Kennedy, scrivendo per la maggioranza, aveva ‘liquidato’ la questione della
libertà religiosa in un paragrafo (IV, p. 27), assicurando che la decisione della Corte non costituisce una violazione della libertà religiosa delle persone, ma la Costituzione non può permettere che uno Stato vieti a coppie dello stesso sesso di sposarsi
negli stessi termini in cui ciò è consentito a coppie di sesso diverso: «[T]hose who adhere to religious doctrines, may continue
to advocate with utmost, sincere conviction that, by divine precepts, same-sex marriage should not be condoned. The First
Amendment ensures that religious organizations and persons are given proper protection as they seek to teach the principles
that are so fulfilling and so central to their lives and faiths, and to their own deep aspirations to continue the family structure they have long revered. The same is true of those who oppose same-sex marriage for other reasons». Secondo il giudice
Roberts la decisione non viola apertamente la libertà religiosa, ma pone «serie questioni» («Many good and decent people
oppose same-sex marriage as a tenet of faith, and their freedom to exercise religion is — unlike the right imagined by the
majority — actually spelled out in the Constitution», IV, p. 27). Il giudice Alito non parla apertamente di religione, ma della
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iii) l’asserzione della maggioranza secondo cui, con questa decisione, le coppie dello stesso sesso possono acquisire la stessa «dignità» delle coppie eterosessuali, è fallace perché la Costituzione non
contiene alcuna «clausola sulla dignità» e comunque il governo è storicamente incapace di «conferire
dignità» ai cittadini56.
La sintesi conclusiva di Thomas è dunque che la libertà di una persona, «per non parlare della sua
dignità», è qualcosa che deve essere protetta contro lo — e non assicurata dallo — Stato: «L’odierna decisione mette da parte questa verità»57.
La nota del giudice Thomas esprime tutti i connotati più epidermici del movimento culturale che ha
preso piede negli Stati Uniti nell’ultimo quarto del Novecento e che prende il nome di «originalismo»58.
Per quanto si proponga come teoria dell’interpretazione giuridica votata alla neutralità politica e dunque promotrice di judicial restraint, l’originalismo si fonda su un tipo di argomentazione a metà strada
tra quella «storica» e quella «etica»59: e se nella tradizione giurisprudenziale statunitense queste due
forme di argomentazione sono di per sé difficilmente distinguibili, l’originalismo le articola in modo
così «autoreferenziale»60 da declassarle a mere tecniche di persuasione delle pre-posizioni del giudice.
In quanto movimento culturale, l’originalismo è storicamente determinato e le adesioni che registra
sono giustificabili dal punto di vista ambientale. Lo scorrere di oltre duecentotrenta anni da quando
Washington, Jefferson, Franklin, Adams, Hamilton e Madison61 hanno creato la nazione ha prodotto
una canonizzazione di queste figure e basare l’autorità dell’originalismo sull’idea che i framers furono
eccezionalmente ‘saggi e lungimiranti’ non può che evocare un certo senso di orgoglio nazionale: come
è stato osservato, «visto l’impoverimento del discorso e l’assenza di visibili virtù pubbliche di autocontrollo nella politica nazionale odierna, una scelta espressa come posizione a metà tra i “Padri Fondatori” e chiunque si trovi a vivere oggi, rende probabile il trionfo della nostalgia»62. L’elemento emotivo
della persuasione originalista è inoltre accentuato dal connotato quasi religioso che ispira la tradizione
dell’esegesi dei testi63: la glorificazione del ‘significato originario’ della Costituzione è intrecciato con
la condanna delle deviazioni dal significato originale della Verità consegnata nella Costituzione. Anzi,
«tradizionale concezione di matrimonio» sul cui mantenimento o mutamento i cittadini non possono più esprimersi, poiché
la Corte ha «usurpato» loro questa possibilità (III, p. 6).
56 È forse questa la parte della nota del giudice Thomas più difficile da seguire. Dissenting opinion IV, p. 16 ss.: «[H]uman dignity
cannot be taken away by the government. Slaves did not lose their dignity (any more than they lost their humanity) because
the government allowed them to be enslaved. Those held in internment camps did not lose their dignity because the government confined them. And those denied governmental benefits certainly do not lose their dignity because the government
denies them those benefits. The government cannot bestow dignity, and it cannot take it away».
57 Dissenting opinion del giudice Thomas p. 17, corsivi aggiunti.
58 L’originalismo è una famiglia di teorie, secondo le quali sia il significato originario che la risoluzione delle controversie costituzionali deriva o dovrebbe derivare dal modo in cui il testo è stato originariamente inteso o dal modo in cui i suoi redattori
si sarebbero aspettati di affrontare e risolvere la controversia. Tra i numerosi studi sul tema, si possono consultare i seguenti:
J. Greene, On the Origins of Originalism, in Texas Law Review, 88 (2009); J. Greene, Selling Originalism, in The Georgetown Law
Journal, 97 (2009); J. Greene, N. Persily, S. Ansolabehere, Profiling Originalism, in Columbia Law Review, 111 n. 2 (2011).Vale forse
la pena notare che lo sforzo retorico profuso dal giudice Scalia nella formulazione del suo dissenso è talmente votato alla
polemica tout court, da non approfondire le sue argomentazioni informate ai principi dell’originalismo (che pure egli sposa
pienamente: si veda almeno il suo A Matter of Interpretation. Federal Courts and The Law, Princeton, Princeton Univ. Press, 1997).
59 Tenendo sempre a mente la sistemazione proposta da Bobbitt, supra, nota 11.
60 Così J. Greene, On the Origins of Originalism, in Texas Law Review, 88 (2009), p. 64.
61 I «Big Six» della cultura americana li definisce J.M. Balkin, Constitutional Interpretation and Change in The United States: The
Official and The Unofficial, Public Law Research Paper No. 542, Yale Law School, 2015.
62 V. C. Jackson, Constitutions as “Living Trees”? Comparative Constitutional Law and Interpretive Metaphors, in Fordham Law Review,
75 (2006), p. 942 (corsivo aggiunto).
63 Già negli anni ’20 E. C. Corwin «sospettava» che «this American aptitude for documentary exegesis, […] had its origin […] in
an earlier taste for theological disquisition» (The Progress of Constitutional Theory between the Declaration of Independence and the
Meeting of the Philadelphia Convention, in The American Historical Review, 30 n. 3, 1925, p. 521). L’attitudine americana verso la
Costituzione è stata descritta in terimini di culto, reverenza e fedeltà: M. Lerner (Constitution and Court as Symbols, in The Yale
Law Journal, 45, 1937, p. 1294-95) ha descritto la Costituzione come «totem e feticcio» dell’America: «[T]he very habits of mind
begotten by an authoritarian Bible and a religion of submission to a higher power have been carried over to an authoritarian
Constitution and a philosophy of submission to a “higher law;” and a country like America, in which its early tradition had
prohibited a state church, ends by getting a state church after all, although in a secular form».
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stando a questa concezione, la difficoltà di emendare la Costituzione tramite l’Articolo V «facilità l’iconografia della Costituzione come un testo sacro»64.
Le coppie dello stesso sesso, in conclusione, non avevano il diritto di sposarsi quando furono adottati il V Emendamento nel 1791 o il XIV Emendamento nel 1868, e non vi è mai stata una riforma costituzionale in tal senso adottata secondo le procedure dell’Articolo V: se questo era l’intendimento originario del tempo e se non è possibile individuare un preciso momento del relativo mutamento, questo
mutamento non è mai avvenuto65.
A voler considerare l’originalismo una teoria generale di interpretazione costituzionale, non si potrebbe fare a meno di evidenziare le conseguenze che la sua applicazione produrrebbe (e in parte ha
prodotto), solo per fare un esempio, nel campo del riconoscimento e della tutela di ‘nuovi’ o ‘maggiori’ diritti: politicamente il movimento nasce come cosciente reazione alla giurisprudenza delle Corti
Warren e Burger relativa ai diritti individuali (Griswold, Miranda v. Arizona, Roe v. Wade, Mapp v. Ohio,
e Brown), il cui ‘attivismo’ armò le critiche originaliste spingendole verso un anti-rights orientation66. E
se i riferimenti ideologici dell’orientamento originalista americano vengono rintracciati nel mito della
Fondazione americana, diviene allora ammissibile il disorientamento che una cultura costituzionale le
cui coordinate sono invece state fissate nella seconda metà del Novecento attorno alla dignità dell’uomo
come «premessa culturale» dello Stato costituzionale67 può provare di fronte a un apparente positivismo
feticistico che, incapace di intrecciare letture diacroniche e sincroniche della storia costituzionale, non
può cogliere le «cristallizzazioni culturali»68 raggiunte tramite il lavoro costituente delle generazioni
passate.
L’originalismo dunque non può che essere un fenomeno esclusivo della civiltà americana69, la cui
narrativa è stata tessuta, sin dalla sua fondazione, su trame «ad esito escatologico»70 e — sotto certi
versi — pare connotarsi in questo modo ancora oggi, alimentando un movimento di fuga dalla storia,
in avanti, alla conquista di sempre nuovi spazi e poi di «inesorabile ritorno dell’America in se stessa».71
Oggi l’atteggiamento di certe doctrines nei confronti della storia fondato sulla continua polemica morale contro il modo in cui avvengono le trasformazioni (la geremiade americana) può spiegare perché
«la società che più di ogni altra ha ormai caratteristiche post-moderne e post-industriali continua a
venerare valori, simboli e istituti costituzionali pre-moderni e pre-industriali e a soffrire della propria
consapevole sensibilità alle tensioni tra pratica e politica»72. La continua riproposizione del dibattito tra
virtù civile e tempo secolarizzato ha finito, infatti, per perpetuare una concezione della storia «come un
64 J. Greene, ivi, p. 69.
65 Così J.M. Balkin, Constitutional interpretation and Change cit., p. 15.
66 J. Greene, ivi, p. 10-12: fu il Procuratore Generale Edwin Meese a iniziare la campagna, durante il secondo mandato di Reagan, per promuovere pubblicamente la visione secondo cui l’originalismo è l’unico modo per controllare l’attivismo dei
giudici.
67 P. Häberle, Per una dottrina della costituzione come scienza della cultura (edizione italiana a cura di J. Luther), Roma, Carrocci
editore, 2001, p. 35.
68 Ivi, p. 186.
69 Così J. Greene, ivi, p. 54: «[T]he measure of originalism’s success lies not in originalism but in ourselves».
70 J.G.A. Pocock, Il momento machiavelliano. Il pensiero politico fiorentino e la tradizione repubblicana anglosassone, vol. II (La «repubblica» nel pensiero anglosassone), Bologna, Il Mulino, 1980. Secondo l’autore la retorica della «geremiade americana» (p. 859-862)
accomunò sia Federalisti che Repubblicani, coniugando il millenarismo dei primi con l’utopia dei secondi. I Repubblicani
credevano di trovarsi difronte a «una fuga dalla storia per tornare alla natura» (p. 916): in realtà «si trattava di una fuga dalla
civiltà moderna e da un certo futuro non meno che una fuga dall’antichità tradizionale e da un certo passato» e «la natura in
cui gli americani si immersero non era semplicemente il primitivismo puritano, lockiano o arcadico, ma quella vita activa»,
una vita activa, tuttavia, che, «dopo quanto aveva spiegato Machiavelli, si era rivelata sempre più difficile da conciliare con
l’esistenza nella dimensione di un tempo secolarizzato». I Federalisti, d’altro canto, adottando la visione neo-harringtoniana
del momento machiavelliano, ritenevano che «d’un colpo solo fossero individuati e subito condannati i mali della superstizione, del vassallaggio e della speculazione sui titoli»; ed ecco che «sia l’antica sia la nuova idea della corruzione» «potevano
essere inserite l’una nell’altra». Se dunque la repubblica americana «si prestava ad essere considerata come una rinnovazione
attuata in un Mondo Nuovo, era naturale che il distacco dalla corruzione fosse visto attuarsi in un singolo atto con cui veniva
troncata ogni relazione col passato»: lo stato di natura che ci si era costruito «era astorico» (p. 917).
71 Ivi, p. 923.
72 Ivi, p. 922. Per un approfondimento sulle reazioni della cultura giuridica nordamericana alla ‘crisi di modernità’ si può iniziare con la rassegna di G. Minda, Teorie postmoderne del diritto, Bologna, Il Mulino, 2001. L’originalismo si può forse cogliere
in questo contesto di inquietudine interdisciplinare — quella del «diritto e …» (…letteratura, …economia, …genere, etc.) —
con la differenza che gli originalisti, invece di reagire allo sfaldamento della fiducia nei progetti intellettuali della modernità
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movimento di allontanamento e distacco da quelle norme in cui si concreta e si precisa quella stabilità
e coerenza morale»73.
Quello che manca, cioè, è una lettura storicizzata della costituzione. La geremiade, mai totalmente
sopita neanche nei momenti di maggior consenso tra le istituzioni governative, riesplode infatti con la
impervia elaborazione di un approccio all’interpretazione costituzionale che si vuole sistematicamente e specificatamente fondato sulla reverenza verso l’autorità culturale degli eroi della fondazione74.
Questi formati meta-storici si sono riversati anche nella lettura della costituzione come testo politico/
antropologico/filosofico, i cui contenuti ivi vengono così intesi come fondativi di una realtà metafisica,
in quanto tale sostanzialmente immutabile: un po’ come le narrazioni bibliche della Creazione, le quali
non intendono raccontare degli eventi storici, ma spiegare la natura dell’uomo di tutti i tempi. Una concezione della storia e della storia costituzione del genere non può che configurarsi «come un movimento
essenzialmente privo di creatività ed entropico, a meno che non culmini nell’avvento di un ‘millennio’ o
nella realizzazione di un’utopia’»75. Tuttavia, «una rivoluzione, che venga dopo la fase della geremiade,
sarebbe, sul piano ideologico, ancora più drastica, almeno sotto certi aspetti», poiché «si terminerebbe di
discutere e contestare la storia nella sua forma specificamente americana». Che cosa poi verrebbe dopo
è arduo da immaginare: «gli indizi attuali sembrano far presagire […] che ci si avvia a forma diverse di
anarchismo conservatoristico»76.
3. Un’opinione immaginaria77
L’uso che la Corte fa della clausola sulla Equal Protection è forse il punto più delicato da commentare. È
la maggioranza stessa a renderne difficile l’apprezzamento, mescolando nella sua opinione l’argomento
basato sul Due Process con quello basato sulla clausola in questione. Ma anche i giudici dissenzienti non
prendono sul serio78 questa — per la verità non nuova — ambiguità, non provando neanche a formulare
una vera osservazione critica.
tramite la dimostrazione di quanto «le regole giuridiche [siano] legate ai loro contesti sociali, economici, politici e culturali»
(p. 133), resettano un secolo di storia fondando la propria reazione sulla mitologia della pre-modernità.
73 Ivi, p. 925.
74 Cfr. A. Scalia, Originalism: The Lesser Evil, University of Cincinnati, 1989. Si può invece ipotizzare che l’assetto costituzionale
americano abbia ‘retto’ nel tempo in quanto incardinato in un processo fondativo aperto «ad una molteplicità di apporti» e
di «processi costituenti» che esprimono «quell’istanza di equilibrio, di ‘modération politique’, che, da Montesquieu in poi,
è un motivo conduttore delle teorie costituzionali pluralistiche» (P. Ridola, L’esperienza costituente come problema storiografico:
bilancio di un cinquantennio, in Quaderni costituzionali, 1998, XVIII, n. 2, p 268). Il popolo è stato così incoraggiato a controllare
i suoi continui impulsi verso cambiamenti politici rivoluzionari, incanalandoli attraverso le molteplici fonti di emersione e
consolidazione del consenso. Se quindi si può ammettere che la ‘costituzione’ non è mai stata uguale a se stessa nel corso del
tempo, mentre la ‘Costituzione’ è rimasta intatta, potrebbe non essere inutile tentare una storicizzazione del testo, intendendo
con ciò l’inquadramento in un dato contesto storico del significato e dell’applicazione del diritto ‘contenuto’ in quelle clausole costituzionali particolarmente aperte ai processi di recezione (nel senso inteso da Häberle): la creatività secolarizzata della
storia così cattura permetterebbe di cogliere il continuo processo delle trasformazioni qualitative della vita dell’uomo, non
necessariamente dalla prospettiva dell’idealismo spiritualistico di Hegel e delle sue scuole. Verrebbe recuperato il valore del
testo costituzionale che è sì, come riteneva Thomas Paine, la sola ‘vera’ costituzione, quella cioè fatta con ‘la coscienza di fare
una costituzione’, ma è soprattutto il prodotto, per quanto «consapevole», di un’altra [fase] più antica e molto più lunga, in
cui le costituzioni erano pensate non come creazione ma come sviluppo, non come codice nazionale ma come eredità nazionale»
(C.H. McIlwain, Costituzionalismo antico e moderno, Bologna, Il Mulino, 1990, p. 44, corsivi aggiunti).
75 G.A. Pocock, ivi, p. 925.
76 Ivi, p. 915. Infine Pocock rassicura: «[M]a, d’altra parte, il termine del momento machiavelliano, a quanto pare, non è ancora
giunto»,
77 Il titolo del paragrafo è simile a quello impiegato nello studio di A. Romano nel suo studio sulle opinioni dissenzienti nella
sentenza del Tribunal Constitucional spagnolo relativa al riconoscimento del matrimonio tra coppie dello stesso sesso (I voti
particolari nella sentenza n. 198 del 2012 del Tribunal Constitucional spagnolo tra approcci alla relazione affettiva e dinamiche dell’interpretazione Costituzionale, in Nomos, 2013, 3, p. 9), il quale a sua volta si ispira a un intervento tenuto dalla Professoressa
Niccolai durante il seminario su “Il same sex-marriage nella sentenza del Tribunal Constitucional spagnolo del 6 novembre
2012” organizzato nell’ambito Dottorato di Diritto pubblico della Sapienza Università di Roma l’8 febbraio 2013.
78 Secondo Roberts (dissenting opinion, III, p. 23), «the majority does not seriously engage with this claim. its discussion is, quite
frankly, difficult to follow. […][T]he majority fails to provide even a single sentence explaining how the Equal Protection
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
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Il giudice Kennedy, nello scrivere per la maggioranza, basa la decisione del caso principalmente
sull’interpretazione della clausola sul giusto processo e, pur riferendosi anche alla clausola sull’eguale
protezione, manca colpevolmente79 di argomentare questa seconda fondazione. Si limita ad ammettere
che le leggi che vietano i matrimoni tra persone dello stesso sesso «limitano i precetti centrali dell’eguaglianza» e che sono «nella loro essenza» «non eque»: le coppie dello stesso sesso si vedono negati «tutti i
benefici accordati alle coppie di sesso diverso e sono escluse dall’esercizio di un diritto fondamentale»80.
Soprattutto sarebbe stato interessante approfondire, sviluppandone le numerose suggestioni, la seguente proposizione del giudice Kennedy: «Ciascun concetto — libertà ed eguale protezione — porta a una
maggior comprensione dell’altro. Infatti nell’interpretare la clausola sull’eguale protezione, la Corte
ha riconosciuto che nuovi sviluppi e intendimenti sociali possono svelare ingiustificate ineguaglianze
all’interno delle nostre più importanti istituzioni che in precedenza non erano state mai notate o messe
in discussione»81.
Tanto è dovuto, secondo la maggioranza, circa la fondazione della decisione sulla Equal Protection
Clause, quando un ragionamento più articolato avrebbe forse potuto smorzare le resistenze politiche (e
la minoranza della Corte probabilmente sarebbe stata costretta a formulare opinioni più armoniose con
la cultura giuridica che dovrebbe esprimere): decidere una questione così controversa come quella dei
matrimoni tra coppie dello stesso sesso esclusivamente o principalmente sull’interpretazione della Due
Process Clause, dichiarando che si tratta di un diritto fondamentale ‘in virtù della Costituzione’, qualunque argomentazione si usi a sostegno, equivale effettivamente a escludere questione dibattuta dalla
disponibilità della costituzione. I valori di chi non ritiene fondamentale quel diritto non sono cioè più
compresi nella costituzione82. Una sensibile lettura in termini di eguaglianza è invece certamente problematica e problematizzante e da ciò forse derivano le sue potenzialità dialogiche: come è stato osservato,
infatti, «le ragioni che presiedono alle decisioni basate sul due process sono mediamente più oppositive
nei confronti di alcune sensibilità e orientamenti rispetto a quelle fondate sull’equal protection»83.
Un approccio simile era stato adottato, sempre dal giudice Kennedy, nel caso Lawrence v. Texas, e
allora criticato nell’opinione concorrente della giudice Day O’Connor. Kennedy scrisse che la libertà
che non può essere inficiata da alcuna intrusione pubblica, cui si riferisce la clausola sul Due Process,
comprende il diritto delle coppie formate da persone dello stesso sesso di intrattenere rapporti intimi:
Clause supplies independent weight for its position, nor does it attempt to justify its gratuitous violation of the canon against
unnecessarily resolving constitutional questions».
79 Ciò soprattutto alla luce dell’argomentazione formulata dal Solicitor General Verrilli, per la quale si rimanda, infra, alla nota
102.
80 Obergefell (III, p. 22): «It is now clear that the challenged laws burden the liberty of same-sex couples, and it must be further
acknowledged that they abridge central precepts of equality. Here the marriage laws enforced by the respondents are in essence unequal: same-sex couples are denied all the benefits afforded to opposite-sex couples and are barred from exercising
a fundamental right».
81 Obergefell (III, p. 20): «Each concept — liberty and equal protection — leads to a stronger understanding of the other. Indeed,
in interpreting the Equal Protection Clause, the Court has recognized that new insights and societal understandings can
reveal unjustified inequality within our most fundamental institutions that once passed unnoticed and unchallenged». Procedendo ancora a ritroso nella sentenza, tuttavia, si può notare che il giudice Kennedy non risolve l’ambiguità della proposizione iniziale con la quale ammette genericamente che l’interpretazione combinata di Due Process Clause ed Equal Protection
Clause permette tutto ma anche il contrario di tutto: «Rights implicit in liberty and rights secured by equal protection may
rest on different precepts and are not always coextensive, yet in some instances each may be instructive as to the meaning and
reach of the other» (Obergefell, III, p. 19, corsivi aggiunti).
82 È indubbio che il ‘setaccio’ dei diritti effettuato tramite l’interpretazione sulle libertà, per come viene costruito nella giurisprudenza costituzionale statunitense, rappresenti uno strumento utile a rimettere in discussione la definitività delle valutazioni
circa il carattere fondamentale o meno di una libertà: ma la rete metallica che filtra queste valutazioni è spesso intrecciata
con letture della storia e della storia costituzionale che appaiono o funzionali alla ricostruzione evolutiva ed espansiva delle
libertà oppure arroccate su una visione pre-moderna degli equilibri costituzionali che non può che livellare verso il basso le
molteplici pulsioni di un ordinamento pluralista. Nel primo caso, comunque, un’argomentazione di tal fatta non può essere
autosufficiente nel sostegno di un nuovo claim, dovendosi bilanciare con tecniche interpretative più aperte al dialogo. Per un
confronto sulla difficoltà di ‘usare’ la storia da parte dei giudici europei (nello specifico da parte della Corte EDU) si veda A.
Buratti, L’uso della storia nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in Rivista AIC, www.rivistaaic.it, 2/2012.
83 G. Calabresi, Il mestiere del giudice cit., p. 69, del quale si può aggiungere (p. 68): «Potremmo dire che l’equal protection è, di
norma, uno strumento più propenso al dialogo di quanto non lo sia il due process». Significativa, in proposito, la seguente
affermazione del giudice Roberts (dissenting opinion, II, 3, p. 19): «The truth is that today’s decision rests on nothing more than
the majority’s own conviction that same-sex couples should be allowed to marry because they want to […]», così come quella
già citata del giudice Scalia (II, p. 8): «What possible “essence” does substantive due process “capture” in an “accurate and
comprehensive way”? It stands for nothing whatever, except those freedoms and entitlements that this Court really likes».
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le decisioni individuali riguardanti le relazioni fisiche, anche quando non volte alla procreazione, sono
forme di libertà protette dalla clausola in questione.
Il fatto che oggetto di quel caso fosse una norma penale che faceva del rapporto omosessuale una
fattispecie criminosa ha probabilmente agevolato la comprensione di un caso letto in termini di libertà
(consacrando il ‘buon diritto’ prodotto dalla sentenza), viste le evidenti ripercussioni che una condanna
penale ha sulla dignità della persona condannata, come quelle relative alla incarcerazione, alla notizia
pubblica del reato, ai condizionamenti posti alla vita lavorativa, alla stigmatizzazione come sex offender. Tuttavia, l’argomentazione in termini di eguaglianza rafforza la stessa conclusione, ponendo (alla
società, alla politica e alla giurisprudenza) interrogativi più stringenti: fino a che punto si è disposti a
trattare in modo diverso situazioni (‘sempre più’) uguali? Su cosa si fonda la diversità di trattamento e
quando questa diviene discriminazione? È possibile ritenere criminoso il comportamento di una classe
di persone per la sola disapprovazione morale dello Stato verso quella classe?84 Una disapprovazione
morale può rappresentare un «legittimo interesse statale» su cui fondare un trattamento differente?85
Le stesse domande, passando dal penale al civile, non perdono la capacità di mettere a disagio che
deve rispondere: non si noterebbe forse una government intrusion anche nel proibire il riconoscimento
di matrimoni tra due persone dello stesso sesso? Questa proibizione non equivale a porre su di esse un
marchio di inferiorità rispetto a coppie di sesso diverso?
L’opinione del giudice Kennedy, in Lawrence come in Obergefell, come detto, fonde i ragionamenti in
termini di eguaglianza e quelli in terimini di libertà: in entrambi i casi la sentenza è organizzata sui temi
del rispetto, quindi della dignità, della denigrazione, dello status. Kennedy in Lawrence per esempio
statuisce che la qualificazione di una norma che rende criminali le condotte omosessuali rappresenta un
«invito a sottoporre le persone omosessuali a discriminazioni tanto nella sfera privata quanto in quella
pubblica» e che conservare un precedente come Bowers equivale a «avvilire la vita degli omosessuali»86.
Anche in Obergefell sono numerosi i riferimenti al danno (harm), alle ferite (hurt, injury), all’avvilimento (demean), alla stigmatizzazione, alla umiliazione cui sono sottoposte le coppie formate da persone
dello stesso sesso, la cui unione non può essere riconosciuta negli stessi termini in cui viene riconosciuta
alle coppie formate da persone di sesso diverso: i trattamenti differenziati in base al sesso, conclude
Kennedy, «hanno negato l’eguale dignità di uomini e donne»87.
Il linguaggio impiegato nei due casi sembra così riallacciarsi a quella letteratura inaugurata dalla
Corte Warren con la sentenza Brown v. Board of Education of Topeka, 347 U.S. 483 (1954), che mise fine alla
segregazione razziale nelle scuole, seguendo un percorso argomentativo volto in primo luogo a definire
la natura del problema sociale, per sancire poi l’inadeguatezza dei precedenti metodi con cui è stato letto dal giurista, spiegando quindi perché una nuova luce su di esso illumina una nuova «sfera di preoccupazione costituzionale», e approfondendo infine il significato dell’umiliazione ‘istituzionalizzata’ dai
84 Risponde la giudice Day O’Connor (nella sua concurring opinion in Lawrence v. Texas, 539 U.S. 558, 2003): «A law branding one
class of persons as criminal solely based on the State’s moral disapproval of that class and the conduct associated with that
class runs contrary to the values of the Constitution and the Equal Protection Clause, under any standard of review» (corsivo
aggiunto). Quello avanzato dalla giudice è uno standard classico di scrutinio, basato sulla sola razionalità della normativa
oggetto di scrutinio.
85 Risponde ancora Day O’Connor: «Moral disapproval of a group cannot be a legitimate governmental interest under the Equal
Protection Clause because legal classifications must not be ‘drawn for the purpose of disadvantaging the group burdened by
the law’». La questione della legittimità del matrimonio tra due persone dello stesso sesso non è oggetto del caso Lawrence
e tantomeno dell’intervento concorrente della giudice Day O’Connor, la quale però parlando di legitimate state interest vuol
far intendere che questo può continuare a essere incarnato dalla volontà di uno Stato di preservare «la tradizionale istituzione del matrimonio”, poiché «[u]nlike the moral disapproval of same-sex relations — the asserted state interest in this case
— other reasons exist to promote the institution of marriage beyond mere moral disapproval of an excluded group» (corsivi
aggiunti). L’obiter sembra essere formulato in modo volutamente ambiguo: l’uso del verbo «promote» e la preposizione
«beyond» possono dar luogo a intendimenti e traduzioni ambivalenti: “esisterebbero altri motivi oltre alla disapprovazione
morale per promuovere (la conservazione de) l’istituzione del matrimonio”, oppure “esisterebbero altri motivi per promuovere
l’istituzione del matrimonio oltre la disapprovazione morale” (in questo secondo caso sembra suggerirsi proprio un superamento del giudizio morale per l’estensione del matrimonio anche a coppie dello stesso sesso).
86 Lawrence v. Texas, 539 U.S. 558 (2003), 575: «When homosexual conduct is made criminal by the law of the State, that declaration in and of itself is an invitation to subject homosexual persons to discrimination both in the public and in the private
spheres. The central holding of Bowers has been brought in question by this case, and it should be addressed. Its continuance
as precedent demeans the lives of homosexual persons».
87 Obergefell, III, p. 21: «[I]nvidious sex-based classifications in marriage remained common through the mid-20th century. […]
These classifications denied the equal dignity of men and women».
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
Nicola Giovanni Cezzi
pubblici poteri88. Un ruolo determinante nel legare questa impostazione al caso Obergefell ha sicuramente
avuto il precedente di Loving v. Virginia, 388 U.S. 1 (1967) nel quale, pur non riprendendo la judicial doctrine dell’umiliazione istituzionalizzata, la conclusione raggiunta dal giudice Warren — il matrimonio è
uno dei «basici diritti civili dell’uomo», «fondamentale alla nostra stessa esistenza e sopravvivenza»89,
per cui una legge che vieti il matrimonio tra due persone appartenenti a razze differenti viola le clausole della Equal Protection e del Due Process — sembrava segnare un altro passo verso l’infrangimento di
quelle barriere che separano la Equal Protection dal Due Process, invitando l’interprete a considerare la
specifica sfera del matrimonio come vista e vissuta nel «mondo reale»90. Il passo stilistico al caso Windsor, citato sopra, può quindi sembrare meno lungo dei circa cinquant’anni che lo separano da Brown e
Loving: la sentenza redatta dal giudice Kennedy è stata considerata «fondamentalmente una riaffermazione del principio di anti-umiliazione stabilito in Brown»91, e il parallelismo diviene particolarmente
pronunciato quando il giudice Kennedy enfatizza la «umiliazione» che il Defense of Marriage Act ha
imposto su «decine di migliaia di bambini ora cresciuti da coppie dello stesso sesso», disorientandoli
nella comprensione dell’ «integrità», della «coesione» delle loro famiglie e della relativa «armonia con
le altre famiglie»92. Si tratta di un lessico — cui la maggioranza in Obergefell attinge abbondantemente93
— effettivamente vicino alla «parafrasi virtuale»94 delle parole impiegate dal giudice Warren in Brown
nel denunciare la segregazione scolastica sulla base del fatto che essa procura ai bambini «un senso di
inferiorità» circa la propria posizione all’interno della comunità in cui vivono95: un lessico fondamentale
per portare a emersione quella «dimensione individuale»96 che è al centro di queste pronunce.
Il sintetico intreccio di questi precedenti rappresenta la punta emergente di un insieme di problematiche del processo di constitutional decisionmaking statunitense così penetranti e qualificanti questo
ordinamento da richiedere ben altro tipo di studio. Si pensi soltanto ai differenti livelli di scrutinio della
88 Secondo B. Ackerman questa cornice interpretativa descrive la c.d. sociological jurisprudence inaugurata dalla Corte guidata
dal giudice Warren: un ultimo tassello di questo percorso (la ‘nuova luce’) sarebbe poi rappresentato da un’argomentazione
che spieghi «perché le scienze sociali dovrebbero giocare un ruolo nel diritto costituzionale» — così in The Civil Rights Revolution cit., p. 130-133. Avverte però Ackerman (ivi, p. 131) che quello del giudice Warren è da considerarsi «semplicemente»
un invito rivolto «ai giudici, e a tutti noi», a formulare «commonsense judgments» circa il prevalente significato delle dinamiche
sociali: «Il contributo di Warren in questa fase dell’argomentazione riguarda il principio costituzionale, non il metodo di
giudizio». Sul tema si veda anche, di L. Guinier, G. Torres, Changing the Wind: Notes Toward a Demosprudence of Law and Social
Movements, in The Yale Law Journal, 123, 2740 (2014),
89 Così il giudice Warren, che scrive per una Corte unanime: «Marriage is one of the “basic civil rights of man”, fundamental to
our very existence and survival. […] To deny this fundamental freedom on so unsupportable a basis as the racial classifications embodied in these statutes, classifications so directly subversive of the principle of equality at the heart of the Fourteenth
Amendment, is surely to deprive all the State’s citizens of liberty without due process of law. The Fourteenth Amendment
requires that the freedom of choice to marry not be restricted by invidious racial discriminations. Under our Constitution, the
freedom to marry, or not marry, a person of another race resides with the individual, and cannot be infringed by the State»,
(Loving, II, p. 13, citazioni interne omesse).
90 È di questa opinione, vagamente contro-fattualista, B. Ackerman, ivi, p. 306.
91 Così B. Ackerman, ivi, p. 308.
92 United States v. Windsor, 570 U.S. ___ (2013), IV, p. 23: «The differentiation demeans the couple, whose moral and sexual
choices the Constitution protects, see Lawrence, 539 U. S. 558, and whose relationship the State has sought to dignify. And
it humiliates tens of thousands of children now being raised by same-sex couples. The law in question makes it even more
difficult for the children to understand the integrity and closeness of their own family and its concord with other families in
their community and in their daily lives».
93 In particolare, ma non solo, nel terzo argomento usato dal giudice Kennedy a sostegno del carattere fondamentale del diritto al matrimonio: «A third basis for protecting the right to marry is that it safeguards children and families and thus draws
meaning from related rights of childrearing, procreation, and education». E ancora più chiaramente: «Without the recognition,
stability, and predictability marriage offers, their children suffer the stigma of knowing their families are somehow lesser.
They also suffer the significant material costs of being raised by unmarried parents, relegated through no fault of their own to
a more difficult and uncertain family life. The marriage laws at issue here thus harm and humiliate the children of same-sex
couples” (Obergefell, III, p. 14,15, corsivi aggiunti).
94 Così B. Ackerman, ivi, p. 308. Nel caso Windsor, sempre secondo Ackerman, il giudice Kennedy non segue il precedente di
Brown solo su un punto: l’appello alle scienze sociali.
95 Brown v. Board of Education of Topeka, 347 U.S. 483 (1954), p. 495: «To separate them from others of similar age and qualifications
solely because of their race generates a feeling of inferiority as to their status in the community that may affect their hearts and
minds in a way unlikely ever to be undone» (corsivi aggiunti).
96 A. Schillaci “This case is not routine”. La Corte Suprema USA e il same sex marriage, tra tutela dei diritti e limiti della giurisdizione,
su Osservatorio AIC, www.osservatorioaic.it, 2013.
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
Nicola Giovanni Cezzi
legge in cui si articolano l’interpretazione ‘sostantivata’ del giusto processo da un lato e quella fondata
sulla eguale protezione di fronte la legge dall’altro. Il ragionamento in termini di libertà si pone sotto
certi versi in alternativa al ragionamento in termini di eguaglianza: ad esempio, optando per il primo, la
Corte del caso Lawrence ha stabilito che tutte le restanti proibizioni riguardi i rapporti intimi (tra persone
dello stesso sesso) sarebbero state invalide, conseguenza questa che non discenderebbe automaticamente da un approccio basato sullo ‘semplice’ scrutinio di razionalità proposto dalla giudice Day O’Connor:
seguendo questo infatti le leggi che proibivano atti di sodomia sia tra persone dello stesso sesso che tra
persone di sesso opposto sarebbero rimaste in vigore. Così ancora la maggioranza della Corte, ragionando in termini di libertà, non ha avuto bisogno di individuare una ‘classificazione sospetta’ nella considerazione che la norma fa dell’omosessualità degli individui (al pari di quelle classificazioni basate su
razza e genere), ciò che avrebbe aperto la strada a uno scrutinio più penetrante. La Corte ha così evitato
di affrontare nel caso Lawrence il tema della conformità a costituzione del mancato riconoscimento delle
unioni tra coppie dello stesso sesso, non pregiudicando gli sviluppi futuri.
L’intreccio è comunque sufficientemente complicato da permettere di cogliere una delle non poche
contraddizioni che l’ordinamento statunitense ha espresso a partire dalla seconda metà del secolo scorso, quando non si è trovata una via per metabolizzare la pluralità delle vie tramite cui è stato perseguito
il principale obiettivo della lotta per i diritti civili: la costruzione di un «ponte tra diritto e vita» per raggiungere «progressi egalitari» nel «mondo reale»97. La ‘tattica’ di fondare i sindacati circa le conquiste
civili cristallizzate nella legislazione prodotta sotto l’amministrazione di Lyndon Johnson esclusivamente sulla oramai pacifica interpretazione data durante New Deal della clausola sulla regolazione del
commercio interstatale, pur di raggiungere la simbolica solidità di una Corte unanime, ha sacrificato
forse il momento politicamente più propizio a un’interrogazione più profonda (ma anche più divisiva)
riguardo le potenzialità della clausola sulla Equal Protection98.
Come Lawrence, anche Obergefell appare un «ibrido»99: una sentenza fondata sull’interpretazione
sostanzialista della clausola sul giusto processo (la libertà è fondamentale e non esiste process of law che
possa negarla) ma modellata dalle stesse preoccupazioni che richiedono una eguale protezione della
legge100.
4. Osservazioni finali
L’equivoca dicotomia tra libertà ed eguaglianza, il cui superamento è invocato dalla dottrina statunitense101, e che sulla scorta del materiale niente affatto omogeno elaborato finora dalla giurisprudenza
richiederebbe un coraggioso atto di sistemazione, si manifesta con tutta la sua portata lacerante nei
dissensi alla sentenza Obergefell. Ne è testimonianza il rifiuto dei quattro giudici di ingaggiare un serio
confronto sul punto, irritati dall’uso da parte della maggioranza di una retorica ambigua che prima
divide graficamente i due argomenti (libertà ed eguaglianza), ma dopo non «spiega» come il secondo
97 Sono termini impiegati da B. Ackerman, The Civil Rights Revolution cit., p. 195, secondo il quale la c.d. Second Reconstruction
era precisamente volta a definire e attuare egalitarian advances. Si legga anche un estratto del discorso di Lyndon Johnson alla
Howard University nel 1965 (consultabile anche dal seguente sito: http://hustorage.wrlc.org/disk1/lbjathu/LBJatHU/#6):
«This is the next and the more profound stage of the battle for civil rights. We seek not just freedom, but opportunity. We seek
not just legal equity, but human ability; not just equality as a right and a theory, but equality as a fact and equality as a result».
98 Decisivo, secondo B. Ackerman (ivi, p. 316), sarebbe stato il rifiuto della Corte Suprema di fare del caso Heart of Atlanta Motel
(che dichiara conforme a costituzione l’uso della potere federale di regolare il commercio per proibire le discriminazioni razionali nelle public accomodations) il Brown degli anni ’60.
99 Questo aggettivo è riservato alla sentenza Lawrence v. Texas in di P. Brest, S. Levinson, J.M. Balkin, A.R. Amar, R.B Siegel, Process of Constitutional Decisionmaking. Cases and Materials, V edizione, New York, Aspen Publisher, 2006, p. 1504.
100 Per chiudere con le ‘immaginazioni’, si segnalano due Imagined Opinion che valorizzano esattamente il maggiore rigore
giurisprudenziale che sarebbe derivato dal corretto ricorso al ragionamento in termini di eguaglianza: R. Robsons, Justice
Ginsburg’s Obergefell v. Hodges, in University of Missouri-Kansas City Law Review, 19 novembre 2015; M.J. Perry, Obergefell v.
Hodges: An Imagined Opinion, Concurring in the Judgment, Emory Legal Studies Research Paper No. 15-356, 27 giugno 2015.
101 Oltre al già citato Ackerman, il riferimento è soprattutto a L. Tribe che del signor John Lawrence era stato avvocato, e al suo
Lawrence v. Texas: The “Fundamental Right” that Dare not Speak its Name, in Harvard Law Review, 117, p. 1895: «[T]he best we can
do now is take the measure of Lawrence as a landmark in its own right by placing its logic in the context of the larger project of
elaborating, organizing, and bringing to maturity the Constitution’s elusive but unquestionably central protections of liberty,
equality, and — underlying both — respect for human dignity».
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
Nicola Giovanni Cezzi
possa «dare peso» alla sua posizione102. Pur a voler condividere l’esattezza del disappunto103, la scelta
di ignorare questa vulnerabilità argomentativa della maggioranza, concentrando la polemica sull’uso
della screditata judicial doctrine del substantive due process, se da un lato conferma il carattere divisivo e
totalizzante di questo fondamento, dall’altro suggerisce la sensazione generale di una fuga dalle proprie
responsabilità culturali da parte degli autori del dissenso, il cui sforzo emotivo consegnato nelle note
si concentra nello strumentario concettuale che avrebbe deposto per la non-soluzione del caso (perché
‘non è compito’ della Corte104) e sembra profondersi principalmente nella prospettazione quando non
nell’alimentazione del backlash effect105.
Non viene considerata meritevole di seria analisi, in particolare, la considerazione basilare che la
maggioranza fa del valore emancipatorio e inclusivo del matrimonio. I termini di un approfondimento
sulla questione erano stati esposti chiaramente almeno dalla corte suprema del Massachusetts più di
dieci anni fa106, ma i dissensi, appellandosi alle tradizioni di Aztechi e Cartaginesi (Roberts)107, alla filosofia hippie (Scalia), al prerequisito della procreazione (Alito), allo spettro della poligamia (Roberts,
Alito), alle ‘disposizioni’ dei dizionari del XVIII secolo (Thomas), alzano un muro di incomunicabilità
che tarpa le potenzialità che invece il dialogo dischiude.
È dunque difficile osare una lettura prospettica delle conseguenze della veemenza di questi interventi. Se da un lato tutti i dissenzienti esplicitamente invitano a non accordare rispetto alla sentenza
redatta da Kennedy, dall’altro gli argomenti utilizzati potrebbero giocare a loro sfavore: non solo, come
si è già ricordato, il richiamo anti-canonico a Dred Scott potrebbe aprire in realtà a una valorizzazione del
caso Obergefell proprio in termini di piena rivendicazione della glorificata dissenting opinion del giudice
102 Così il giudice Roberts nel passo citato, supra, in nota 78.
103 E motivi invero ce ne sarebbero: non si può non ricordare, come giustamente fa il giudice Roberts, che il Solicitor General
degli Stati Uniti, Donald B. Verrilli, durante l’oral argument (http://www.supremecourt.gov/oral_arguments/argument_
transcripts/14-556q1_l5gm.pdf, p. 39.40), aveva basato la sua argomentazione esclusivamente sulla ‘eguale protezione’ cui
hanno diritto le coppie omosessuali, espressamente sconsigliando la fondazione sulla clausola del giusto processo. Vale la
pena riportare la lucidità del suo pensiero: «Justice Kennedy, forgive me for answering the question this way. We do recognize that there’s a profound connection between liberty and equality, but the United States has advanced only an equal protection
argument. We haven’t made the fundamental rights argument under Glucksberg. And therefore, I’m not sure it would be appropriate for me not having briefed it to comment on that». E Quando il giudice Kennedy gli chiede perché non sosterrebbe
la sua tesi su questa base, Verrilli risponde: «Well, because we think that while we do see that there is, of course, this profound
connection, we do think that […] this issue really sounds in equal protection, as we understand it, because the question is equal
participation in a State conferred status an institution. And that’s why we think of it in equal protection terms. And […] I’d
like to suggest this, that what the Respondents are ultimately saying to the Court is that with respect to marriage, they are not
ready yet. And yes, gay and lesbian couples can live openly in society, and yes, they can raise children. Yes, they can participate fully as members of their community. Marriage, though, not yet. Leave that to be worked out later. But the Petitioners
— […]these gay and lesbian couples are — …». Ma qui Scalia interrompe Verrilli: «Or not. Or not. I mean, that’s not what they
are saying. They are saying leave it to the people. It will be worked out later or not». Al che Verrilli risponde: «But what these
gay and lesbian couples are doing is laying claim to the promise of the Fourteenth Amendment now. And it is emphatically the
duty of this Court, in this case, as it was in Lawrence, to decide what the Fourteenth Amendment requires. And what I would
suggest is that in a world in which gay and lesbian couples live openly as our neighbors, they raise their children side by side
with the rest of us, they contribute fully as members of the community, that it is simply untenable […] to suggest that they can
be denied the right of equal participation in an institution of marriage, or that they can be required to wait until the majority decides that
it is ready to treat gay and lesbian people as equals. Gay and lesbian people are equal. They deserve the equal protection of the laws,
and they deserve it» (corsivi aggiunti).
104 Si segnala l’interesse che può suscitare il dibattito tra il canone interpretativo volto a evitare l’incostituzionalità della legge
(ogni qualvolta vi siano elementi per confermarne la conformità a costituzione) e il canone volto a evitare le problematiche
costituzionali tout court, recentemente riaperto sulle pagine della Harvard Law Review (124 n.8, 2015) da N. Kumar Katyal, T.
P. Schmidt (Active Avoidance: The Modern Supreme Court and Legal Change) e C. Nelson (Avoiding Constitutional Questions Versus
Avoiding Unconstitutionality).
105 Sulle problematicità del backlash effect e sul ruolo che il conflitto tra maggioranza e voti dissenzienti sul «concetto di cultura
giuridica» svolge nelle «tensioni che ruotano attorno al riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso», si
veda A. Romano, Diritti e dissenso. Pluralismo politico e resistenze argomentative nella giurisprudenza sul matrimonio tra omosessuali, in Omosessualità, eguaglianza, diritti (a cura di A. Schillaci), Roma, Carrocci editore, 2014, in particolare p. 248-252.
106 Goodridge v. Department of Public Health, 798 N.E.2d 941 (Mass., 2003): «That same-sex couples are willing to embrace
marriage’s solemn obligations of exclusivity, mutual support, and commitment to one another is a testament to the enduring
place of marriage in our laws and in the human spirit».
107 Sul riferimento a ‘fonti straniere’, che quasi aprono una contraddizione in seno ai conservatori della Corte (notoriamente
contrari all’uso del diritto di altri ordinamenti per interpretare la Costituzione statunitense) riflette e in parte provoca Z.D.
Kaufman, From the Aztecs to the Kalahari Bushmen. Conservative Justices’ Citation of Foreign Sources: Consistency, Inconsistency, or
Evolution?, in Yale Journal of International Law Online, Vol. 41, 2015.
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
Nicola Giovanni Cezzi
Curtis (e così intesa Obergefell si porrebbe anzi come l’anti-Dred Scott), ma più in generale il trasporto
patetico che tutto travolge sembrerebbe rivelare piuttosto l’incapacità di leggere in termini giuridici un
caso che la storia un giorno potrà a ragione indicare come una rottura del paradigma.
Certo è che l’articolazione dei conflitti culturali, fondamentali affinché si avvii il dialogo, è al cuore
dell’istituto della dissenting opinion, poiché il dissenso, se «proiettato all’interno delle Corti», «può rappresentare uno strumento centrale nell’accompagnare i processi di trasformazione sociale, nell’indirizzare le trasformazioni politiche e nel legittimare la Costituzione108. Gli esercizi dei quattro giudici, invece, difficilmente potranno rappresentare un contributo volto a correggere la motivazione della sentenza
nel suo complesso tramite l’indicazione di un percorso più chiaro rispetto alle più o meno coscienziose
in-decisioni della maggioranza: soprattutto, come già notato, non si vede come potrebbero inserirsi in
quel processo di attuazione della Costituzione nella realtà storica, senza provocare — al contrario — un
approfondimento delle fratture ideologiche cui danno sfogo. Quasi che l’estraneità al circuito democratico, dalla quale l’interprete costituzionale si deve ben guardare, fosse stata interpretata come necessità
di liberare una visceralità che non può che orientare il lettore critico della sentenza sul caso Obergefell,
e una futura riflessione sullo stesso tema, verso un suo completo rigetto, preparando il terreno per un
tempestivo e opportuno overruling: minando il fondamento democratico della sentenza, scendendo dal
punto di osservazione istituzionale che dovrebbero occupare, i giudici dissenzienti non si limitano a
fornire materiale per una nuova lettura della tormentata portata del principio dello stare decisis, ma
più radicalmente negano che esso possa trovare applicazione a questo caso usando il netto argomento
secondo cui il vincolo a un sistema democratico rende l’intervento della Corte nelle «marriage wars»109
fondamentalmente illegittimo.
108 A. Romano, ivi, p. 250.
109 L.H, Tribe, Equal Dignity: Speaking Its Name, in Harvard Law Review Forum (Vol. 129,16, 2015) p. 25, riferendosi all’argomento
principale usato da Chief Justice Kennedy.
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
Renato Ibrido
Renato Ibrido*
L’argomento sociologico nella giurisprudenza
costituzionale in materia di orientamento sessuale.
Esperienze e casi
Sommario
1. Premessa – 2. Il concetto di “argomento sociologico”: notazioni preliminari – 3 L’utilizzo, in chiave
“conservatrice”, dell’argomento sociologico – 4. Modalità di acquisizione dei dati sociali e principio del
“giusto processo costituzionale” – 5. La degradazione degli istituti familiari da “concetti” a “tipi” e i
percorsi di gestione della transizione al nuovo paradigma – 6. Verso una conclusione
Abstract
L’integrazione del dato sociale nell’ambito della giurisprudenza in materia di orientamento sessuale —
sia pure non senza alcune importanti contraddizioni e zone d’ombra — costituisce un punto di snodo
decisivo nella comprensione dei processi di trasformazione delle strategie interpretative delle corti costituzionali. Alla luce di questa premessa, il saggio si propone di mettere in evidenza l’esistenza di una
doppia anima — “sovversiva” e “conservatrice” — dell’argomento sociologico.
Despite some shadows and contradictions, the integration of the social element into the jurisprudence on the sexual orientation represents a crucial turning point in the analysis of the transformation processes of the constitutional courts interpretative strategies. In the light of this starting assumption, the essay tries to examine the double
soul — “subversive” and “conservative” — of the sociological argument.
1. Premessa
Nella ricostruzione dei percorsi di apertura degli stilemi argomentativi delle corti costituzionali alla
considerazione del dato sociale, la giurisprudenza in materia di orientamento sessuale individua un
punto di snodo decisivo. La rilevanza assunta dalla “realtà” in questo filone di pronunce ha infatti portato alla ribalta, pur non senza alcune importanti zone d’ombra, il problema della ricerca di possibilità e
alternative metodologiche idonee a veicolare nella interpretazione costituzionale i nuovi fatti caratterizanti le domande di riconoscimento nelle democrazie pluralistiche in trasformazione1.
*
Assegnista di ricerca in Istituzioni di Diritto pubblico presso il Dipartimento di Scienze Politiche della LUISS Guido Carli.
[email protected]. Il saggio rielabora e sviluppa, anche alla luce della giurisprudenza più recente, la ricerca dal titolo
“Costituzioni in cammino. Argomento sociologico e orientamento sessuale” già parzialmente anticipata nel volume Omosessualità,
uguaglianza, diritti, di A. Schillaci (a cura di), Roma, Carocci, 2014, pp. 215 ss. Il contributo viene pubblicato in seguito a referees
a doppio cieco.
1
Sul rapporto tra fatto, domande di riconoscimento e interpretazione costituzionale, cfr., da ultimo, R. Bin, Il fatto nel diritto
costituzionale, in Rivista AIC, www.rivistaaic.it, 2015, 3, spec. pp. 6-7, il quale sottolinea che «ognuna delle infinite componenti
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
Renato Ibrido
Ne sono una conferma, da ultimo, alcuni significativi passaggi delle recentissime decisioni Obergefell v. Hodges2 e Oliari e altri v. Italia3.
Appoggiandosi al contributo di diversi amici curiae briefs, la Corte suprema degli Stati Uniti, quasi
nella veste di un “sociologo”, ha affermato che «changed understandings of marriage are characteristic of a
Nation where new dimensions of freedom become apparent to new generations (…) This dynamic can be seen in
the Nation’s experience with gay and lesbian rights». A fondamento dell’estensione agli omosessuali del
diritto costituzionale di sposarsi, l’opinione della maggioranza ha poi richiamato, fra l’altro, la realtà
delle coppie omosessuali con figli, ritenendo che la stabilità e la permanenza del vincolo matrimoniale
risponda maggiormente al «children’s best interests»4.
Quanto al caso Oliari, la Corte EDU ha rilevato che il mancato intervento del legislatore italiano in
materia di riconoscimento delle unioni omosessuali disattende le indicazioni della «national community,
including the general Italian population (…) The statistics submitted indicate that there is amongst the Italian
population a popular acceptance of homosexual couples, as well as popular support for their recognition and protection». Dunque, «there exists a conflict between the social reality of the applicants, who for the most part live
their relationship openly in Italy, and the law, which gives them no official recognition on the territory».
Non è questa la sede per commentare tali decisioni. Né, tantomeno, potrò offrire una rassegna compiuta e analitica della intera giurisprudenza in materia di orientamento sessuale5. Obiettivo di questo
contributo è piuttosto mettere in luce la “doppia anima” assunta in queste sentenze dall’argomento
sociologico: da un lato, nelle decisioni che si richiameranno è possibile trovare tracce consistenti di una
vocazione “sovversiva” dell’argomento sociologico, di coscienza critica rispetto ai costumi sociali consolidati. Dall’altro lato, peraltro, le virtualità multiple di questo canone sono state utilizzate anche quale
strumento di freno al riconoscimento dei diritti delle persone omosessuali.
Perniciosi dunque appaiono quegli approcci i quali tendono a ridurre il problema dell’argomento
sociologico a un mero capitolo della più generale contrapposizione fra la galassia delle dottrine “originaliste” e quella delle teorie evolutive (rectius, fra metodi legati al tempo della scrittura e metodi legati
al tempo dell’interpretazione) così come a quella che divide letture “liberal” e letture “conservatrici”
della Costituzione.
Da un lato, infatti, l’argomento sociologico, oltrepassando la polemica classica fra le “scuole” interpretative, sembra aver portato alla luce una serie di questioni metodologiche “trasversali” alle tre gran-
(formazioni) sociali sviluppa una propria aspettativa di tutela e ne imputa il fondamento alla Costituzione. Non sono necessariamente “nuovi” diritti, ma più spesso coniugazione delle vecchie libertà con nuovi fatti — nuovi solo perché sinora non
si erano imposti all’attenzione sociale, vuoi perché non era matura l’opinione pubblica, vuoi perché il progresso scientifico
non li aveva ancora resi possibili. Questo mi sembra il dato più interessante. Le rivendicazioni dei diritti, nuovi o vecchi che
siano, si propongono sempre in relazione a un “fatto” (... ) Sposarsi o vedersi riconoscere nei documenti ufficiali la propria
identità sessuale non sono certo diritti “nuovi”: sono piuttosto una coniugazione inedita di diritti già acquisiti con situazioni
ancora non affrontate dal legislatore “imperiale”, situazioni dietro alle quali emergono rivendicazioni sostenute da formazioni sociali che nella Costituzione cercano il riconoscimento della propria visione dell’assetto dei principi costituzionali».
2
Si tratta della decisione del 26 giugno 2015 (redattore: giudice Kennedy) con la quale la Corte suprema, sulla base di una
maggioranza di 5 giudici su 9, ha stabilito che le coppie omosessuali possono esercitare il diritto di sposarsi in tutti gli stati
membri della federazione. Per un primo commento, cfr. A. Sperti, La Corte Suprema riconosce il diritto costituzionale al matrimonio delle persone gay e lesbiche, in Articolo29, www.articolo29.it, 2015; C. Vitucci, La sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti
sul matrimonio omosessuale e il diritto internazionale, in SIDIblog, www.sidi-isil.org/sidiblog/, 2015.
3
Con la decisione del 21 luglio 2015, la IV sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo, pur ribadendo che l’estensione del
matrimonio alle coppie omosessuali rientra nel margine di apprezzamento degli stati contraenti, ha ritenuto incompatibile
con l’art. 8 della Convenzione l’assenza di qualsiasi forma di riconoscimento delle unioni fra persone dello stesso sesso.
4«Under the laws of the several States, some of marriage’s protections for children and families are material. But marriage also confers more
profound benefits. By giving recognition and legal structure to their parents’ relationship, marriage allows children “to understand the
integrity and closeness of their own family and its concord with other families in their community and in their daily lives (…) Marriage
also affords the permanency and stability important to children’s best interests» (Obergefell v. Hodges del 26 giugno 2015 in questa
Rivista, p. 343).
5
Peraltro, per indicazioni di carattere comparativo sulla tutela giurisprudenziale dei diritti familiari degli omosessuali, nella
vasta letteratura, cfr. almeno R. Torino, La tutela della vita familiare delle coppie omosessuali nel diritto comparato, europeo e italiano,
Torino, Giappichelli, 2012; Omosessualità, uguaglianza, diritti, A. Schillaci (a cura di), cit.; F. Mastromarino, Il matrimonio conteso.
Le unioni omosessuali davanti ai giudici delle leggi, Napoli, Editoriale scientifica, 2014, pp. 39 ss.; A. Sperti, Omosessualità e diritti.
I percorsi giurisprudenziali e il dialogo globale delle Corti costituzionali, Pisa, Pisa university press, 2013; Same-Sex Couples before
National, Supranational and International Jurisdictions, D. Gallo, L. Paladini, P. Pustorino (eds.), Heidelberg, Springer, 2014; C.
Vitucci, La tutela internazionale dell’orientamento sessuale, Napoli, Jovene, 2012. Per una guida introduttiva alla lettura di alcuni
materiali giurisprudenziali e legislativi, cfr. anche il dossier di R. Ibrido, A. Romano, A. Schillaci, Same sex marriage e riconoscimento delle unioni fra persone dello stesso sesso: materiali di diritto comparato, in Osservatorio AIC, www.osservatorioaic.it, 2013.
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
Renato Ibrido
di contrapposizioni dicotomiche dell’interpretazione giuridica: testo/contesto6, tempo della scrittura/
tempo dell’interpretazione7, autore/destinatario8.
Dall’altro lato, inoltre, il canone sociologico può essere astrattamente utilizzato — ed è stato in
concreto utilizzato — sia in una prospettiva di protezione ed estensione dei diritti delle persone omosessuali, sia nell’ambito di percorsi ermeneutico-argomentativi ostili a pratiche di autodeterminazione
affettiva incompatibili con gli assetti familiari tradizionali.
Alla luce di queste premesse, mi soffermerò innanzitutto sul concetto di argomento sociologico e
sui suoi legami con alcuni canoni argomentativi affini (par. 2); nella seconda parte cercherò invece di
evidenziare come l’argomento sociologico sia stato utilizzato anche in chiave di difesa dei paradigmi familiari tradizionali (par. 3), occupandomi inoltre delle modalità attraverso le quali vengono acquisiti al
giudizio costituzionale i dati sociali (par. 4); infine, dopo alcune considerazioni sulle tecniche di gestione
della transizione dai vecchi ai nuovi paradigmi (par. 5), proporrò alcune riflessioni conclusive, sebbene
di carattere interlocutorio (par. 6).
Occorre chiarire fin da subito che la selezione ragionata di precedenti che verrà offerta nel corso
del contributo prenderà in considerazione esperienze di giustizia costituzionale caratterizzate da regole
processuali, tecniche di lavoro sul precedente, stili di redazione delle sentenze e modalità di formazione
del giudice profondamente eterogenee. Per esempio, non si può trascurare la variabile costituita dalla
dissenting opinion: in linea di tendenza, le corti prive di questo istituto risultano maggiormente impermeabili rispetto alla ostentazione dei dati sociali nel giudizio di costituzionalità. Dal mio punto di vista,
peraltro, la circostanza che tali elementi di diversità non abbiano impedito il formarsi di significativi
contatti, contaminazioni, interazioni e talvolta perfino convergenze nell’uso dell’argomento sociologico
amplifica e non già riduce l’utilità di uno studio comparativo a tutto campo.
So bene che una parte della dottrina comparatistica ha cercato di imbrigliare la selezione dei casi
studio secondo rigorosi criteri logici9. A me sembra, tuttavia, che sul terreno dei diritti legati alla sfera
6
Gli approcci legati al testo non costituiscono un blocco omogeneo. In questo macro-filone convergono indirizzi talvolta anche profondamente differenti, ma che nel complesso sono accomunati dal tentativo di porre l’accento su elementi in varia
misura connessi con il c.d. “codice linguistico”. Per farla breve, il dato grammaticale e sintattico. Quanto agli approcci legati
al contesto, in via di prima approssimazione è possibile individuare due fondamentali declinazioni delle correnti tese a ridimensionare il peso dell’elemento grammaticale e sintattico: il pragmatismo (o contestualismo) — per il quale il significato di
un enunciato si ricollega a parametri di volta in volta connessi con il contesto sociale in progress — e le impostazioni metodologiche fondate sulla centralità dell’interpretazione sistematica.
7
La contrapposizione dicotomica “tempo della scrittura/tempo dell’interpretazione” solo in parte si sovrappone a quella fra
testo e contesto. Non necessariamente, infatti, il testualismo si configura come un approccio di tipo statico-genetico. Basti
pensare ai filoni testualisti che ammettono una evoluzione del significato della norma in correlazione al mutamento semantico registrato dagli enunciati contenuti nel testo. Inoltre, se è vero che anche gli indirizzi legati all’intenzione del legislatore
sono nella maggior parte dei casi espressione di una prospettiva statica e genetica, è altresì vero che non mancano orientamenti che guardano alla volontà ipotetica del legislatore. In altri termini, tali correnti, dinnanzi al problema del mutare dei
contesti economici, politici e culturali, ricorrendo ad un argomento controfattuale, tentano di enucleare le scelte che l’autore
avrebbe compiuto qualora egli avesse potuto considerare i nuovi problemi e situazioni intervenute dopo il momento della
produzione del testo. Infine, sul versante opposto, è necessario tenere conto di tutti gli indirizzi legati al tempo della scrittura
che rifiutano di chiudere il proprio orizzonte di ricerca ad una prospettiva di tipo testuale: è il caso della variante psicologista
dell’originalismo, così come degli approcci che valorizzano il contesto storico originario in cui è stata prodotta la norma.
8
L’eterogeneo gruppo di orientamenti di ricerca che sposano un approccio interpretativo legato all’autore muovono dalla premessa che esista un polo esclusivo nella formazione del diritto (scritto) e che il compito dell’interprete sia quello di ricostruirne, talvolta in chiave psicologista come nel caso di alcune correnti dell’originalismo statunitense, la volontà, l’intenzione o
lo spirito dell’autore del diritto. Secondo il Savigny del System, ad esempio, interpretare significa porsi concettualmente nella
posizione del legislatore e ripetere artificialmente in sé l’attività di questi. Gli approcci metodologici legati al destinatario
sono invece accomunati da una immagine del fenomeno giuridico nella quale è riconosciuta ai consociati la possibilità di collaborare alla co-determinazione del senso da attribuire alla norma nonché alla identificazione dei percorsi di riconoscimento
del diritto. Basti pensare agli indirizzi che attribuiscono un ruolo nevralgico al «punto di vista pratico» (o «interno»), ossia al
punto di vista di coloro che “usano” il diritto. La prima teoria che si è aperta consapevolmente a questa prospettiva è, come
è noto, quella di Herbert Hart, il quale ha posto l’accento sugli atteggiamenti e i comportamenti di coloro che assumono il
diritto come guida delle loro azioni nel riconoscimento del diritto valido.
9
Mi riferisco in particolare al noto lavoro di R. Hirschl, The Question of Case Selection in Comparative Constitutional Law, in The
American Journal of Comparative Law, 2005, pp. 125 ss. Quanto al rapporto fra i criteri di controllo della comparazione giudiziaria e quelli impiegati dagli studi comparatistici, è merito di Repetto aver posto in evidenza la necessità di studiare i primi
attraverso una prospettiva di ricerca non del tutto radicata sul terreno metodologico proprio della scienza comparatistica,
ma neppure distaccata integralmente da quest’ultima. In altri termini, se è indubbio che anche la comparazione del giudice
richieda l’elaborazione di standard adeguati, ciò non significa peraltro che tali criteri metodologici debbano coincidere con
quelli imposti dalla comunità scientifica alla letteratura comparatistica (G. Repetto, Argomenti comparativi e diritti fondamentali
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
Renato Ibrido
dell’orientamento sessuale ancor più che in altri campi di studio occorra rifuggire da rigidi tentativi di
“burocratizzazione” della comparazione giuridica, la quale invece deve sapersi misurare dinamicamente con il fondamentale prisma dell’“esperienza giuridica”10 nonché con le radici storico-culturali delle
“migrazioni costituzionali”11. Un fenomeno, quest’ultimo, che sarebbe velleitario cercare di ricostruire
attraverso geometrici parametri selettivi e il quale richiede invece piena consapevolezza dello spessore
culturale dei processi di comunicazione fra esperienze costituzionali12.
2. Il concetto di “argomento sociologico”: notazioni preliminari
L’espressione “argomento sociologico” indica, nell’ambito di questo contributo, il canone metodologico
il quale — attraverso il riferimento a dinamiche sociali — esprime oppure oscura una ragione di giudizio che, sebbene esterna al dato testuale, si ripercuote sull’interpretazione di quest’ultimo e dunque
sulla soluzione del caso sub iudice.
L’argomento sociologico, inteso secondo questo significato ampio e non ristretto all’uso della sociologia da parte del giudice, ha radici antiche. Già nel 1908, nella decisione Muller v. State of Oregon13,
la Corte suprema statunitense, facendo riferimento al suddetto canone, e aderendo alla linea difensiva
proposta dall’avvocato Brandeis, confermò la legittimità costituzionale della legge che stabiliva un tetto
di ore massimo per le donne lavoratrici. Ad avviso della Corte, infatti, la fragilità della condizione fisica
femminile e l’esigenza di tutela della funzione della maternità giustificavano l’adozione di misure volte
ad arginare «l’ovvia» condizione di «svantaggio nella lotta» delle donne «per la sussistenza».
Nel 1953, in Brown v. Board of Education, altro leading case deciso sulla base dell’argomento sociologico, la Corte suprema affermò che la segregazione razziale dei bambini nelle scuole pubbliche privava
gli studenti afroamericani di pari opportunità educative, anche laddove le scuole loro riservate fossero
state in grado di assicurare standard non inferiori agli istituti riservati agli studenti bianchi. La dottrina
del “separate but equal” veniva così superata sulla base del rilievo che la segregazione razziale provocava
«l’insorgere di un sentimento di inferiorità riguardo al proprio status nella comunità, il quale può incidere sulla personalità» dello studente «in modo irreversibile»14.
Come emerge con particolare evidenza dalla giurisprudenza in materia di orientamento sessuale,
l’integrazione del dato sociale nel contenzioso costituzionale non necessariamente ambisce a esprimere
in Europa. Teorie dell’inte1pretazione e giurisprudenza sovranazionale, Napoli, Jovene, 2011). Contra, G. De Vergottini, Oltre il dialogo tra le Corti. Giudici, diritto straniero, comparazione, Bologna, Il Mulino, 2010.
10 Sul concetto di “esperienza giuridica” d’obbligo è il riferimento a R. Orestano, Della “esperienza giuridica” vista da un giurista,
in Id., Diritto. Incontri e scontri, Bologna, Il Mulino, 1981, pp. 487 ss. In argomento, cfr. anche E. Opocher, Esperienza giuridica,
in Enciclopedia del diritto, XV, Milano, Giuffrè, pp. 735 ss.; G. Capograssi, Studi sull’esperienza giuridica, Roma, Maglione, 1932,
ora anche in Id., Opere, II, Milano, Giuffrè, 1959, pp. 245 ss.; A. Giuliani, Ricerche in tema di esperienza giuridica, Milano, Giuffrè,
1957; G. Fassò, La storia come esperienza giuridica, Milano, Giuffrè, 1953; A. Punzi, Dialogica del diritto: studi per una filosofia della
giurisprudenza, Torino, Giappichelli, 1999, spec. pp. 77 ss.
11 Cfr. P. Haeberle, Die Entwicklungsstufe des heutigen Verfassungsstaates, in Id., Rechtsvergleichung im Kraftfeld des Verfassungsstaates, Berlino, Duncker & Humblot, 1992, pp. 105 ss., secondo il quale lo stato costituzionale si sta sviluppando nel quadro di
un globale processo di produzione e recezione, di interazione mondiale fra costituzioni, sicché i testi costituzionali vengono
“scambiati”, sviluppati, migliorati e integrati nei rispettivi contesti nazionali. Una proposta teorica, quest’ultima, profondamente agli antipodi rispetto a quella individuata dalla dottrina dei “legal transplants” (A. Watson, Legal Transplants: An Approach to Comparative Law, Edinburgh, Scottish Academic Press, 1974). Per una sottolineatura di come i processi di comunicazione fra esperienze costituzionali non si esauriscano nella recezione meccanica di testi e formanti, ma debbano essere studiati
nella loro natura dinamica e dialettica, cfr. altresì S. Choudry (a cura di), The Migration of Constitutional Ideas, Cambridge-New
York, Cambridge University Press, 2006, al quale si deve l’immagine delle “migrazioni costituzionali”.
12 Sul rapporto fra “paradigma comunicativo” e “paradigma interattivo”, cfr. P. Ridola, Il “dialogo tra le corti”: comunicazione
o interazione?, in Percorsi costituzionali, 2012, 3, pp. 273 ss. Per la sottolineatura di come il comparatista non sia un semplice
«répétiteur» di diritti stranieri ma uno studioso che si muove nella prospettiva di una «confrontation radicale avec l’altérité en
droit», cfr. P. Legrand, Droit comparé, Paris, Presses universitaires de France, 1999, pp. 8 ss., e spec. pp. 36 ss.
13 Muller v. State of Oregon, 208 U.S. 412 (1908), sulla quale, cfr. R. Schlesinger – H.B. Baade – P.E. Herzog – E.M. Wise (eds.),
Comparative Law. Cases, text, materials, New York, Foundation Press, 1998, pp. 8 ss.
14 Brown v. Topeka Board of Education, 347 U.S. 483 (1954), rip. in Giustizia costituzionale e diritti dell’uomo negli Stati Uniti. I giudici
Warren e Burger, J. Greenbaum (a cura di), Milano, Giuffrè, 1992, pp. 2 ss. Definisce Brown come il caso giurisprudenziale più
importante degli ultimi cento anni D.A. Strauss, The Living Constitution, New York, Oxford University Press, 2010, spec. pp.
5 e 77 ss.
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
Renato Ibrido
un canone di primo grado. Talvolta l’impiego dell’argomento sociologico mira piuttosto a oscurare una
ragione di giudizio ritenuta inidonea a ripercuotersi sull’interpretazione della norma costituzionale.
È questo il caso della sentenza del 16 agosto 2010 con la quale la Suprema Corte messicana ha riconosciuto la costituzionalità della legge sul matrimonio omosessuale introdotta dal Distretto federale di
Città del Messico15. Richiamando le opinioni tecniche formulate dall’Università nazionale autonoma del
Messico, la Corte ha evidenziato che all’epoca in cui fu redatto l’art. 4 della Costituzione, gli omosessuali — data la disapprovazione sociale verso orientamenti sessuali considerati non di rado alla stregua
di vere e proprie malattie — mantenevano celata la propria omosessualità. Questo «hecho innegable» ha
consentito dunque ai giudici supremi di de-contestualizzare e ricontestualizzare la scelta normativa
operata dalla Costituzione, la quale non ha previsto (ma neppure escluso espressamente), forme di tutela per modelli familiari che di fatto erano occulti al momento in cui fu redatto l’art. 4. In altre parole,
allorché la valutazione del legislatore (costituzionale) sia stata assunta in mancanza di quegli elementi
scientifici necessari ad una corretta comprensione del fenomeno sociale oggetto dell’intervento normativo, le interpretazioni legate all’autore ed al tempo della scrittura sarebbero da considerare come degli
itinerari ermeneutici difficilmente percorribili nella ricostruzione del dato positivo16.
Gli argomenti sociologici, storici, scientifici, culturali e consequenzialisti costituiscono alcune delle
manifestazioni più evidenti della tendenza alla valorizzazione del pluralismo disciplinare negli stilemi
argomentativi delle corti, ponendo in luce il carattere forse troppo angusto della tradizionale dicotomia
adjudicative facts/legislative facts. Come è noto, mentre i primi sono fatti che riguardano direttamente le
parti del processo, i secondi integrano fatti generali che rilevano indipendentemente dal loro collegamento con il caso sub iudice e che non sono acquisibili attraverso i soli strumenti dell’interpretazione di
testi giuridici17.
Il rapporto fra l’argomento sociologico e gli altri canoni sopra menzionati appare per alcuni aspetti
sfumato, ponendosi in termini di complementarietà piuttosto che non di reciproca esclusione18.
Con l’“argomento storico” (rectius, argomento fondato sull’uso della storia) si intende non un approccio legato alla volontà dell’autore — secondo l’accezione di Savigny19 — bensì quella «pratica di
interpretazione contestuale che valorizza i riferimenti alla storia» — ed in particolare alle tradizioni ed
al passato di un popolo — «nella ricostruzione dei casi e nelle motivazioni delle decisioni giudiziarie»20.
Sul punto, ricordo la polemica sull’uso della storia nella interpretazione costituzionale che ha contrapposto l’indirizzo sviluppato nella sentenza Bowers v. Hardwick (1986) e quello definito dalla successiva Lawrence v. Texas (2003). Con la prima decisione, la Corte suprema degli Stati Uniti ebbe modo di
affermare che «against a background in which many States have criminalized sodomy and still do, to claim that a
right to engage in such conduct is “deeply rooted in this Nation’s history and tradition” […] is, at best, facetious».
Evidenziando l’imprecisa ricostruzione delle radici storiche e culturali delle sodomy laws proposta da
15 Sulla sentenza del 16 agosto 2010, sia consentito rinviare a R. Ibrido, La Corte suprema messicana tra processi di precomprensione
comparativa e integrazione del dato sociale: la sentenza sul matrimonio homosexual, in Ianus, 4, 2011, pp. 206 ss., disponibile su www.
unisi.it/ianus, ora anche in versione spagnola con il titolo La Corte suprema mexicana tras los procesos de precomprensión comparativa e de integración del elemento social: la Sentencia sobre el “matrimonio homosexual”, in Revista de derecho constitucional europeo,
2012, 17.
16 Vi è da chiedersi peraltro, se, sullo sfondo dell’argomentazione sviluppata dalla Corte messicana, non si celi una linea di ragionamento “contro-fattuale” tesa a valorizzare la volontà ipotetica del costituente nell’ambito dell’attuale contesto storico.
Invero, se si tiene conto dell’impostazione complessiva della sentenza, più che alla volontà ipotetica del legislatore storico, la
Corte messicana sembra aver guardato al dato sociale considerandolo come un canone interpretativo di secondo grado, o più
precisamente come una sorta di meta-criterio interpretativo attraverso il quale determinare le regole di esclusione fra i canoni
di primo grado.
17 Sulla distinzione fra adjudicative facts e legislative facts, cfr. K.C. Davis, An Approach to Problems of Evidence in the Administrative
Process, in Harvard Law Review, 1942, pp. 364 ss.; R. Bin, Atti normativi e norme programmatiche, Milano, Giuffrè, 1988, spec. pp.
334 ss.; T. Groppi, La Corte costituzionale tra “fatto legislativo” e “fatto sociale”, in Giurisprudenza costituzionale, 1998, spec. pp.
2803.
18 Va da sé che l’argomento sociologico è spesso utilizzato in combinazione con altri canoni interpretativi, quali ad esempio
l’argomento comparativo e quello internazionale. Parlare di “pluralismo disciplinare” con riferimento a queste ultime due
figure argomentative appare tuttavia estremamente riduttivo (se non addirittura provocatorio), trattandosi di strumenti che
appartengono ab initio al bagaglio metodologico del giurista. In ogni caso, sulle intersezioni fra argomento sociologico e argomento comparativo si ritornerà più volte nel corso del contributo (cfr. in particolare infra par. 6).
19 F.C. Von Savigny, System des heutigen Römischen Rechts, Berlin, Veit und Comp., 1840, tr. it.: Sistema del diritto romano attuale,
Torino, Unione tipografico editrice, 1886.
20 A. Buratti, L’uso della storia nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Rivista AIC, www.rivistaaic.it 2012, 2,
pag. 3.
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Renato Ibrido
Bowers, con la sentenza Lawrence la Corte suprema ha proceduto a un overruling della precedente decisione, sottolineando in particolare che la storia e la tradizione — argomenti decisivi nell’impianto di
Bowers — devono essere considerati come dei punti di partenza e mai di arrivo del discorso giuridico21.
In ogni caso, l’argomento storico diviene anche argomento sociologico nel momento in cui i riferimenti alla storia impiegati dal giudice non si esauriscano in una ricognizione dell’evoluzione normativa
e istituzionale di una esperienza giuridica, ma in qualche misura si estendano anche all’osservazione
della realtà sociale e delle sue dinamiche di sviluppo.
Un esempio della possibile coincidenza di queste due tecniche può essere rintracciato, fra l’altro,
nel reference “Re Same-Sex Marriage”22, con il quale la Corte suprema canadese nel 2004 ha evidenziato la
non spendibilità della definizione di matrimonio impiegata da Hyde v. Hyde and Woodmansee del 186623.
Quest’ultimo precedente era maturato infatti in un contesto storico nel quale il matrimonio e la religione «were thought to be inseparabile», sicché la vecchia “common law definition” di matrimonio non poteva
considerarsi compatibile con i successivi itinerari evolutivi intrapresi dalla società canadese24.
Inoltre, l’argomento sociologico si sovrappone in parte al canone che nell’ambito di questo lavoro
verrà definito “argomento scientifico”, ossia l’approccio metodologico attraverso il quale il significato
del testo viene ricostruito alla luce dei dati scientifici raccolti o elaborati nelle ricerche dei non giuristi.
Precisamente, l’argomento sociologico coincide con quello scientifico ogni qualvolta l’interpretazione
delle dinamiche sociali proceda da un espresso richiamo delle indagini condotte da esperti anziché da
un autonomo riferimento del giudice a circostanze sociali considerate alla stregua di fatti notori o di
elementi immanenti alla “natura delle cose”25, e in ogni caso ritenuti tali da non dover essere motivati
sulla base delle informazioni acquisite dalle autorità scientifiche.
Una particolare valorizzazione dell’elemento scientifico è stata segnalata dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Nella sentenza Fretté c. Francia26 relativa al problema dell’adozione da parte degli omosessuali, la Corte EDU ha chiarito che, in mancanza di accordo nella comunità
scientifica in merito all’impatto psicologico che l’inserimento in una famiglia omosessuale è in grado
di determinare sul minore, deve essere riconosciuto ai legislatori nazionali un più ampio margine di
apprezzamento. Tale decisione ha in sostanza sperimentato una variante della tecnica del consensus
21 Ponendo l’accento sul grado di disapprovazione che questa massima ha ricevuto nella società americana, e appoggiandosi
altresì a un argomento di carattere comparativo, Lawrence ha rilevato che in una relazione affettiva il comportamento sessuale
integra uno degli elementi costitutivi di un legame stabile. Da qui l’incostituzionalità della legge texana. Proprio quest’ultimo
argomento di carattere sociologico è stato oggetto di un riferimento adesivo da parte di United States v. Windsor del 26 giugno
2013, con la quale la Corte suprema ha affermato l’incostituzionalità della Section 3 del Defense of Marriage Act (DOMA). Sul
tema dell’uso della storia nella interpretazione costituzionale è tornata infine la decisione Obergefell, la quale ha evidenziato
che «history and tradition guide and discipline this inquiry but do not set its outer boundaries».
22Sul reference “Re Same-Sex Marriage” del 9 dicembre 2004 e sulla giurisprudenza canadese in materia in orientamento sessuale,
cfr. P. Hogg, Canada: The Constitution and same-sex marriage, in International Journal of Constitutional Law, 2006, 4, pp. 712 ss.; E.
Mostacci, Different Approaches, Similar Outcomes: Same-Sex Marriage in Canada and South Africa, in Same-Sex Couples before National, Supranational and International Jurisdictions, D. Gallo, L. Paladini, P. Pustorino (eds.), cit., pp. 73 ss.; L. Marfoli, Il same-sex
marriage nel quadro della giurisprudenza della corte suprema canadese, in Ianus, 2011, 4, pp. 83 ss.
23 Come si legge in Hyde, «Marriage as understood in Christendom is the voluntary union for life of one man and one woman, to the
exclusion of all others».
24 Un ulteriore esempio di uso dell’argomento storico — sebbene ancorato all’osservazione dell’evoluzione normativa in materia — può essere rintracciato nel passaggio della memoria dell’Avvocatura dello Stato (pag. 19) nell’ambito del ricorso
contro la legge sul matrimonio omosessuale deciso dal Tribunal Constitucional spagnolo (STC 198/2012). Secondo l’Abogado
del Estado, una interpretazione etimologica dell’art. 32 CE risulterebbe impraticabile, in quanto il mancato riferimento della
disposizione costituzionale all’eventuale omosessualità dei coniugi trovava giustificazione nel fatto che in passato l’omosessualità era stata presa in considerazione dall’ordinamento giuridico esclusivamente per finalità repressive.
25 Individua nella “natura delle cose” «quella dottrina o quelle diverse dottrine che considerano possibile derivare dalla conoscenza dei caratteri rilevanti di alcune realtà sociali la disciplina giuridica più adatta a esse, indipendentemente da atti
soggettivi di scelta» V. Omaggio, Natura della cosa, in Enciclopedia filosofica, VIII, Milano, Bompiani, 2006, pp. 7759 ss., secondo
il quale «poiché non ci si riferisce a oggetti materiali, bensì a fatti sociali (da cui l’altra formula equivalente di “natura dei
fatti”), la loro natura non è data dall’essenza, ma dal complesso dei caratteri empirici presenti nei fatti sociali di un determinato tipo. Tali caratteri sono perciò rilevabili in termini descrittivi e non metaempirici (che risulterebbero “giusnaturalistici”),
e nel contempo, rappresentano fonti normative per il contesto cui appartengono». Un esempio di impiego dell’argomento
della “natura delle cose” nella giurisprudenza in materia di orientamento sessuale può essere rintracciato nella decisione
della Corte suprema indiana dell’11 dicembre 2013 (cfr. infra par. 3). Sull’argomento della “natura delle cose”, cfr. anche G.
Radbruch, La natura delle cose come forma giuridica di pensiero, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, 1941, 19, pp. 145 ss.;
N. Bobbio, La natura delle cose, in Id., Giusnaturalismo e positivismo giuridico, Milano, Edizioni di Comunità, 1965, pp. 197 ss.
26 Corte Edu, Fretté c. Francia, sentenza del 26 febbraio 2002, ric. n. 36515/97.
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
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standard27 la quale trovava applicazione all’interno della comunità scientifica anziché, come di consueto,
nell’ambito di una comparazione fra le legislazioni nazionali28.
Diverso è invece il percorso argomentativo seguito nella sentenza X. e altri c. Austria29. Secondo la
Corte EDU, in mancanza «di studi scientifici o di altri elementi di prova in grado di dimostrare che le
famiglie omoparentali non possono in alcun caso occuparsi di un figlio» va considerata illegittima la disparità di trattamento nell’accesso all’adozione. In altre parole, con una inversione rispetto al caso Fretté
dell’“onere della prova scientifica”, la Corte ha assunto il mancato impiego dell’argomento sociologico
a figura sintomatica della impraticabilità di una determinata soluzione interpretativa.
Non è da escludere, inoltre, che potenziali profili di sovrapposizione possano emergere con riferimento al rapporto fra l’argomento sociologico e i procedimenti intellettuali attraverso i quali il giudice
opera nella veste di interprete dei conflitti che intercorrono tra la maggioranza della società e le minoranze culturali: si tratta, per farla breve, del c.d. “argomento culturale”, per il quale Ilenia Ruggiu ha
evocato l’immagine del “giudice antropologo”30. In linea di massima, infatti, queste tecniche di composizione giurisprudenziale dei conflitti multiculturali presuppongono l’attivazione di processi argomentativi guidati dall’analisi delle dinamiche sociali.
Infine, si considerino le importanti affinità fra argomento sociologico e il “canone consequenzialista”, vale a dire il riferimento «alle conseguenze pratiche mediate (di secondo grado), esterne al sistema giuridico, che la decisione ipotizzata presumibilmente produrrebbe nel tessuto sociale»31. Invero,
l’argomento consequenzialista, e in particolare quello fondato sull’analisi economica del diritto32, ha
una portata più ristretta rispetto a quello sociologico, in quanto solo in alcuni casi quest’ultima figura
argomentativa finisce per elevare la realtà sociale a parametro di un giudizio prognostico.
Resta inteso che la “mappa” degli argomenti sviluppata ai fini di questo contributo va presa con
giudizio. Come d’altronde ha osservato Alexy33, a tutt’oggi nessuna classificazione degli argomenti trova un consenso generale. Rispetto al quadro confuso e incerto di proposte lessicali, vi è da chiedersi se
non abbia colto nel segno quella dottrina che ha denunciato l’esistenza di un certo demone classificato-
27 Sulla tecnica del consensus standard (c.d. “common ground”), cfr. J. García Roca, El margen de apreciación nacional en la interpretación del Convenio Europeo de Derechos Humanos: soberanía e integración, Cizur Menor, Thomson Reuters, 2010, spec. pp. 146 ss.;
Y. Arai-Takahashi, The margin of appreciation doctrine and the principle of propotionality in the Jurisprudence of the ECHR, Antwerpen/Oxford, Itersentia, 2002; G. Repetto, Argomenti comparativi e diritti fondamentali in Europa. Teorie dell’interpretazione e giurisprudenza sovranazionale, cit., 2011, pp. 115 ss.; Sui metodi di interpretazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo,
cfr. inoltre B. Randazzo, Giustizia costituzionale sovrannazionale. La Corte europea dei diritti dell’uomo, Milano, Giuffrè, 2012, spec.
pp. 78 ss.; G. Letsas, A Theory of Interpretation of the European Convention on Human Rights, Oxford, OUP, 2007.
28 In materia di diritti dei transessuali va segnalata invece la decisione Christine Goodwin c. Regno Unito del 2002 con la quale la
Corte EDU ha utilizzato esplicitamente il dato scientifico a sostegno di un revirement rispetto alla propria precedente giurisprudenza. Tale decisione rivela in particolare la centralità dell’evoluzione della ricerca scientifica ai fini di una attualizzazione dell’interpretazione delle disposizioni della Convenzione.
29 Corte Edu, X. e altri c. Austria, sentenza del 19 febbraio 2003, ric. n. 19010/07.
30 I. Ruggiu, Il giudice antropologo: costituzione e tecniche di composizione dei conflitti multiculturali, Milano, Franco Angeli, 2012.
31 L. Mengoni, L’argomentazione orientata alle conseguenze, in Id., Ermeneutica e dogmatica giuridica, Milano, Giuffrè, 1996, pp. 91
ss. e spec. pag. 95. In relazione al canone «che permette di valutare un atto o un evento in funzione delle sue conseguenze
favorevoli o sfavorevoli» utilizzano l’espressione “argomento pragmatico” C. Perelman – L. Olbrechts-Tyteca, Traité de l’argumentation: la nouvelle rhétorique, Bruxelles, Editions de l’Université de Bruxelles, tr. it.: Trattato dell’argomentazione, Torino,
Einaudi, 2013, pag. 288. In ogni caso, al di là delle denominazioni, occorre evidenziare il collegamento di questo canone con
la weberiana “etica della responsabilità”, ossia con un atteggiamento per il quale «si deve rispondere delle conseguenze
prevedibili del proprio agire» (M. Weber, La politica come professione [1919], in Id., La scienza come professione. La politica come
professione, Torino, Einaudi, 2004, spec. pag. 109). Sull’estensione fattuale del fenomeno dell’interpretazione e argomentazione consequenzialista, cfr. anche N. Luhmann, Ausdifferenzierung des Rechts: Beitrage zur Rechtssoziologie und Rechtstheorie,
Frankfurt/Main, Suhrkamp Verlag, 1981, tr. it.: La differenziazione del diritto: contributi alla sociologia e alla teoria del diritto, Bologna, Il Mulino, 1990, pp. 75 ss.
32 Insiste sull’importanza dell’analisi economica del diritto — e più in generale degli studi di diritto compiuti da non giuristi —
S. Cassese, Il sorriso del gatto, ovvero dei metodi nello studio del diritto pubblico, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2006, 3, pp.
597 ss. e spec. pag. 609, il quale osserva che questa metodologia richiede «studiosi meno obbedienti verso le norme, perché
non le esaminano per la loro coerenza con altre norme, bensì per la loro congruenza con una funzione. Per un caso esemplare
di analisi funzionale, cfr. lo studio di G. Calabresi, Costo degli incidenti e responsabilità civile. Analisi economico-giuridica, Milano,
Giuffrè, 1975. Mette in guardia da una adesione incondizionata all’analisi economica del diritto S. Ortino, La struttura delle
rivoluzioni economiche, Bari, Cacucci, 2010, spec. pp. 20 ss. Per l’opposto tentativo di introdurre il diritto all’interno dell’analisi economica, cfr. il noto teorema di R.H. Coase, La struttura istituzionale della produzione [1991], ora in Id., Impresa, mercato e
diritto, Bologna, Il Mulino, 1995, pp. 337 ss..
33 R. Alexy, Interpretazione giuridica, in Enciclopedia giuridica delle scienze sociali, Roma, Treccani, 1996, pp. 64 ss. e spec. pp. 97 ss.
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
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re nella letteratura giuridica. A tale obiezione non sfugge, probabilmente, neppure questo contributo,
sebbene l’obiettivo dell’indagine non sia quello di inserirsi nel travagliato dibattito sulle strategie di
classificazione dei canoni argomentativi, ma al contrario di individuare alcuni “punti di partenza” in
grado di rendere visualizzabile un insieme di problemi molto complesso, offrendo così una immagine,
sia pure approssimativa, dello spazio ermeneutico all’interno del quale è chiamato a muoversi il giudice
nelle decisioni in materia di orientamento sessuale.
In ogni caso, quale che la sia la corretta identificazione degli elementi morfologici alla base di ciascuno di questi canoni, occorre ribadire che solo in parte la collocazione degli argomenti sociologici, storici, scientifici, culturali e consequenzialisti fra gli argomenti meta o extra-giuridici può dirsi appagante.
Nel riproporre vecchie paratie rigide fra diritto e altre sfere di esperienza, infatti, il riferimento al carattere “extra-giuridico” dell’argomentazione sembrerebbe condurre ad una sottovalutazione dell’impatto
“normativo” dei dati sociali, economici e culturali, quando invece essi costituiscono un tassello imprescindibile del discorso giuridico.
A ulteriore conferma dell’impossibilità di tracciare una linea di separazione netta fra argomenti
“giuridici” e argomenti “extra-giuridici” è possibile osservare che in realtà gli stessi fautori del mantenimento di un registro rigorosamente giuridico nell’ambito del contesto di giustificazione si avvalgono,
talvolta, di argomenti difficilmente collocabili all’interno dell’una o dell’altra categoria. Il riferimento è
all’argomento etimologico fondato sulle definizioni contenute nei dizionari di lingua, il quale è utilizzato per lo più dai c.d. “originalisti” e che nel giudizio sulla costituzionalità del matrimonio omosessuale in Spagna è stato introdotto dai ricorrenti attraverso il riferimento alla definizione di matrimonio
riscontrabile nel Diccionario de la Real Academia de la Lengua. Una tecnica argomentativa — ha osservato
Lucilla Conte — la quale presenta «una tendenza alla conservazione, tanto in entrata, quanto in uscita»
e che «rappresenta uno strumento di cui il giudice può, legittimamente, servirsi, mantenendo tuttavia
uno sguardo critico»34.
3. L’utilizzo, in chiave “conservatrice”, dell’argomento sociologico
Non vi è dubbio che la giurisprudenza in materia di uguaglianza e non discriminazione abbia costituito
un laboratorio privilegiato all’interno del quale sperimentare le principali tecniche di impiego dell’argomento sociologico. Infatti, sia quando erano in gioco i diritti delle donne sia quelli dei neri o delle coppie omosessuali, l’argomentazione su basi sociologiche ha saputo individuare uno dei più dirompenti
percorsi di rimozione dei fattori di discriminazione, finendo così per chiamare in causa la fondamentale
funzione di integrazione della comunità politica svolta dall’interpretazione costituzionale.
Peraltro, secondo un luogo comune ricorrente, l’integrazione del dato sociale nei giudizi costituzionali avrebbe consentito sempre e comunque di veicolare nella giurisprudenza delle corti le domande
di riconoscimento di pari dignità sociale formulate da persone e famiglie omosessuali. Per converso, la
mancata valorizzazione del dato sociale avrebbe coinciso necessariamente con una giurisprudenza ostile a pratiche di autodeterminazione affettiva incompatibili con gli assetti familiari tradizionali.
Non di rado, questa schematica e ingannevole “mappa” della giurisprudenza costituzionale in materia di orientamento sessuale è stata poi accompagnata dalla identificazione degli approcci interpretativi sensibili al testo e/o al “tempo dell’autore” con un necessario fattore di resistenza all’ampliamento
degli spazi di libertà e garanzia degli omosessuali.
Invero, una lettura, anche superficiale, di alcune delle principali pronunce in materia di orientamento sessuale sembra squadernare scenari decisamente più complessi.
Beninteso, è senz’altro vero che le corti maggiormente attive nella protezione delle persone omosessuali e della loro vita familiare si sono spesso appoggiate a dati sociali e a interpretazioni orientate al
contesto. Anzi, sul piano quantitativo, si tratta della linea di tendenza probabilmente prevalente all’interno della giurisprudenza, per così dire, più “liberal”.
Ricordo, a titolo meramente esemplificativo, il già citato reference “Re Same-Sex Marriage” della Corte suprema canadese del 200435, nell’ambito del quale l’integrazione del dato sociale all’interno del giu-
34 L. Conte, La sentenza del Tribunale costituzionale spagnolo del 6 novembre 2012 sul matrimonio omosessuale, in Quaderni costituzionali, 2013, 1, pp. 149 ss. e spec. pag. 152.
35 Il matrimonio fra persone dello stesso sesso è stato introdotto in Canada con il Civil Marriage Act del 2005, il quale ha definito
il matrimonio come «the lawful union of two persons to the exclusion of all others». L’approvazione della legge era stata tuttavia
preceduta da una advisory opinion della Corte suprema, richiesta dal Governo, con la quale è stata confermato la compatibilità
del same-sex marriage con la Costituzione.
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
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dizio costituzionale si è andata a congiungere, o meglio a sfumare, nella dottrina del living tree36. «The
“frozen concepts” reasoning» — si legge nella decisione dei giudici supremi — «runs contrary to one of
the most fundamental principles of Canadian constitutional interpretation: that our Constitution is a living tree
which, by way of progressive interpretation, accommodates and addresses the realities of modern life»37.
È inoltre senz’altro vero che l’invito a non inquinare il “metodo” e a non porre a repentaglio la forza normativa della Costituzione è venuto soprattutto dai giudici che con le loro opinioni dissenzienti o
concorrenti si sono opposti al superamento dei paradigmi familiari tradizionali38.
E tuttavia la trasversalità del tema dell’argomento sociologico appare confermata da quelle pronunce nelle quali i riferimenti ai dati sociali hanno finito per tracciare un percorso ermeneutico-argomentativo di tipo statico-genetico oppure ostile alle coppie omosessuali.
Si pensi, per esempio, al caso Atala Riffo39, nel quale la Corte Suprema di Giustizia del Cile aveva negato l’affidamento del minore alla madre divorziata e convivente con un’altra donna sulla base dell’assunto che in una società a maggioranza eterosessuale il best interest del minore40 risultasse pregiudicato
dal suo inserimento in una famiglia di tipo omosessuale.
Oppure si consideri la dissenting opinion del giudice Borden alla decisione Kerrigan and Mock della
Corte suprema del Connecticut. Secondo Borden, gli omosessuali, lungi dal configurare una suspect o
quasi-suspect classification, risultano invece assai influenti nel processo di decisione politica, come confermato dal fatto che non pochi membri del Congresso statale avevano apertamente dichiarato la propria
omosessualità41.
Ma soprattutto si raffronti l’impostazione “conservatrice” dell’argomento sociologico contenuto
nella sent. n. 138 del 14 marzo 2010 della Corte costituzionale italiana42 con quello assai più “liberal”
36 La “living tree doctrine” è stata inaugurata dalla Corte suprema canadese nel 1930 in occasione del leading case Edwards v. Canada.
37 È significativo che il passaggio del reference Re Same-Sex Marriage con il quale la Corte suprema ha ribadito la validità della
“living tree doctrine” sia stato oggetto a sua volta di un riferimento adesivo esplicito nella STC 198/2012 del Tribunale costituzionale spagnolo relativa al tema del matrimonio omosessuale. Prendendo le mosse dalla teoria dell’“árbol vivo”, il Tribunale
costituzionale ha chiarito che l’interpretazione “evolutiva” del testo costituzionale trova il proprio fondamento nel concetto
di “cultura giuridica”. Quest’ultima — si legge nella sentenza — «no se construye sólo desde la interpretación literal, sistemática
u originalista de los textos jurídicos» ma anche attraverso «la observación de la realidad social jurídicamente relevante, sin que esto
signifique otorgar fuerza normativa directa a lo fáctico» ed il «Derecho comparado que se da en un entorno socio-cultural próximo». Sul
punto, cfr. R. Ibrido, L’interpretazione evolutiva ed il matrimonio omosessuale. Il caso spagnolo, in Forum di Quaderni costituzionali,
www.forumcostituzionale.it, 2014, spec. pp. 8 ss. e pp. 13 ss. Fra i primi commenti alla sentenza, cfr. inoltre F.J. Matia Portilla, Interpretación evolutiva de la constitución y legitimidad del matrimonio formado por personas del mismo sexo, in Teoría y realidad
constitucional, 2013, 31, pp. 541 ss.; M.A. Presno Linera, El matrimonio: ¿garantía institucional o esfera vital? A propósito de la STC
198/2012, de 6 de noviembre, sobre el matrimonio entre personas del mismo sexo y la jurisprudencia comparada, in Revista de derecho
constitucional europeo, 2013, 19; P. Benavente Moreda, Constitucionalidad del matrimonio entre personas del mismo sexo. La garantía
institucional del matrimonio y el derecho fundamental a contraerlo (A propósito de la STC de 6 de noviembre de 2012), in Revista jurídica
Universidad Autónoma de Madrid, 2013, 27, pp. 327 ss.; L. Conte, La sentenza del Tribunale costituzionale spagnolo del 6 novembre
2012 sul matrimonio omosessuale, cit., pp. 149 ss.; U. Adamo, Il matrimonio omosessuale in Spagna dalla l. n. 13/2005 alla S.T.C.
198/2012, in Rivista di diritto costituzionale, 2013.
38 Sulle opinioni dissenzienti nell’ambito della giurisprudenza in materia di orientamento sessuale, cfr. A. Romano, Diritti e
dissenso. Pluralismo politico e resistenze argomentative nella giurisprudenza sul matrimonio tra omosessuali, in Omosessualità, eguaglianza, diritti, A. Schillaci (a cura di), cit., pp. 233 ss. e, con particolare riferimento alla sentenza del Tribunale costituzionale
spagnolo, Id., I voti particolari nella Sentenza n. 198 del 2012 del Tribunal Consitutional spagnolo tra approcci alla relazione affettiva e
dinamiche dell’interpretazione costituzionale, in Nomos, 2014, 3.
39 A seguito della sentenza della Corte suprema del Cile del 31 maggio 2004, la signora Atala Riffo presentava ricorso alla Corte
interamericana dei diritti dell’uomo, la quale, con la decisione del 24 febbraio 2012, rilevava il carattere discriminatorio della
pronuncia dei giudici cileni. Su questa vicenda, cfr. F. Zúñiga Urbina, Comentario a la sentencia de la Corte Interamericana de
derechos humanos, caso “Atala Riffo y niñas vs. Chile”, de 24 de febrero de 2012, in Revista de derecho político, 2012, 85, pp. 351 ss.
40 Sul quale, cfr., tra gli altri, I. Ravetllat Ballesté, El interés superior del niño: concepto y delimitación del término, in Educatio Siglo
XXI, 2012, 2, pp. 89 ss.; F. Seatzu, Su alcuni recenti orientamenti della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di diritti sui fanciulli, in Revista de Direitos Fundamentais e Democracia, 2011, 9, pp. 376 ss.
41 Con la decisione Kerrigan and Mock v. Connecticut Department of Public Health (289 Conn. 135, 2008), la Corte suprema del Connecticut, assimilando l’orientamento sessuale ad un fattore di “suspect” o “quasi-suspect classification”, e facendo applicazione
dell’intermediate scrutiny, ha dato riconoscimento al same-sex marriage in via pretoria. Si osservi il particolare rilievo assunto in
questa decisione dai profili di ordine economico e sociale, i quali sono stati considerati come uno dei sei punti del test standard
utilizzato dalla corte.
42 Fra i commentatori della sentenza n. 138 del 2010 non vi è unanimità di giudizi circa la corretta lettura da dare a questa
decisione. Alcuni autori (A. Ruggeri, Il diritto “consentito” al matrimonio ed il diritto “garantito” alle coppie omossessuali in una
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proposto dalla già citata decisione della Suprema Corte messicana: mentre i giudici messicani avevano
definito come un «fatto innegabile» la tendenza delle coppie dello stesso sesso a mantenere celata la
loro identità all’epoca in cui fu approvata la Costituzione, nella sent. 138/2010 si legge al contrario che
«come risulta dai citati lavori preparatori, la questione delle unioni omosessuali rimase del tutto estranea al dibattito svoltosi in sede di Assemblea, benché la condizione omosessuale non fosse certo sconosciuta»
[cors.d.a.]. Due argomenti sociologici di segno inverso, dunque, i quali divergono sia sul merito (il
grado di conoscenza della questione omosessuale da parte dei costituenti) sia sul metodo, dal momento
che la Suprema Corte messicana, a differenza della Corte italiana, si è impegnata a motivare la propria
ricostruzione sociologica menzionando le conclusioni alle quali erano pervenute le autorità scientifiche.
Nella giurisprudenza in materia di orientamento sessuale, insomma, l’argomento sociologico risulta
impiegato sia come canone di esclusione di letture legate al tempo della scrittura, sia quale indicatore
della praticabilità di interpretazioni basate sui lavori preparatori.
Un caso particolare di utilizzo, in chiave conservatrice dell’argomento sociologico può essere poi
rintracciato nella sentenza dell’11 dicembre 2013 della Corte suprema indiana. Nell’affermare la costituzionalità di una norma del codice penale la quale considerava i comportamenti sessuali degli omosessuali «against the order of nature» (e dunque penalmente sanzionabili), la Corte suprema ha censurato le
modalità di impiego dei precedenti stranieri da parte della High Court di Delhi43. Questi ultimi — si legge nella sentenza del 2013 — non possono essere applicati ciecamente (“blindfolded”) ma il loro richiamo
appare subordinato alla loro compatibilità con le social attitudes tipiche del contesto culturale indiano.
È appena il caso di aggiungere che anche sentenze volte ad assicurare una maggiore protezione dello statuto costituzionale delle relazioni omoaffettive possono nascondere, tra le righe, una certa
spinta all’omologazione ed al conformismo degli stili di vita. È questo il caso di Obergefell, nella quale il
riconoscimento del same-sex marriage è avvenuto sulla base di una lettura “borghese” dell’immagine costituzionale della famiglia. In altre parole, la Corte suprema ha considerato la famiglia fondata sul matrimonio — eterosessuale o omosessuale che sia — come l’unica pratica di autodeterminazione affettiva
pienamente corrispondente al best interest del minore44. Vero è che su questo argomento della Corte suprema ha forse inciso una percezione dell’istituto matrimoniale diversa da quella dell’osservatore europeo. Non a caso, infatti, negli Stati Uniti, quanto meno nel medio-lungo termine, la soluzione spagnola
(‘‘stessi diritti con lo stesso nome”) ha segnalato un maggiore appeal rispetto a quella di derivazione tedesca (un istituto ad hoc per le sole coppie omosessuali). Rimane il fatto, peraltro, che anche in Obergefell
si ripropone il problema della tensione fra due diversi “filosofie” nella protezione dei diritti della sfera
affettiva: da un lato un approccio, per così dire, “pragmatico”; dall’altro lato, una opposizione a qualsiasi soluzione interpretativa tendente a piegare il riconoscimento di queste istanze «entro una direzione
di “normalizzazione”» che ne comporterebbe una delegittimazione delle «potenzialità emancipative»45.
pronuncia in cui la Corte dice “troppo” e “troppo poco”, in Giurisprudenza costituzionale, 2010, 2, pp. 1629 ss.; L. D’Angelo, La
Consulta al legislatore: questo matrimonio “nun s’ha da fare”, in Forum di Quaderni costituzionali, www.forumcostituzionale.it,
2010), nel rintracciare nella posizione della Corte una difesa del paradigma eterosessuale, hanno infatti posto l’accento sul
passaggio della sentenza nel quale la Corte sottolinea che, malgrado «i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono
ritenere cristallizzati con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore (…) detta interpretazione, però, non
può spingersi fino al punto di incidere sul nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e
problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata». Peraltro, secondo l’indirizzo accolto da altra dottrina, e
poi sposato da Cassazione prima sezione civile del 15 marzo 2012, n. 4184, la sentenza n. 138 del 2010, non nega affatto che la
discrezionalità del legislatore possa spingersi sino al riconoscimento del matrimonio omosessuale, «limitandosi ad escludere
che a tale risultato si possa pervenire direttamente per via ermeneutica». In questa prospettiva, gli argomenti utilizzati dalla
sentenza delineerebbero «limiti dell’interpretazione» che non possono certo essere convertiti «in limiti della legislazione» (B.
Pezzini, Il matrimonio same sex si potrà fare. La qualificazione della discrezionalità del legislatore nella sentenza n. 138/2010 della Corte
costituzionale, in Giurisprudenza costituzionale, 2010, 3, pp. 2715 ss.).
43 La quale, invece, aveva rilevato l’incostituzionalità dell’art. 377 del codice penale indiano. In argomento, cfr. A. Schillaci,
Indietro (non) si torna. La Corte Suprema indiana, i comportamenti sessuali “contro natura” ed il verso della comparazione, in Diritti
comparati, www.diritticomparati.it, 2014.
44 Un punto, quest’ultimo, colto efficacemente da C. Vitucci, La sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti sul matrimonio omosessuale e il diritto internazionale, cit.: «il lettore “laico”, formato alla scuola di David Cooper, avverte un certo disagio leggendo
le pagine dell’opinione di maggioranza in cui si esalta il ruolo del matrimonio quale quasi necessaria scelta di vita se si vuole
essere pienamente realizzati, dal punto di vista individuale e sociale. Probabilmente questo era il prezzo da pagare per ottenere il risultato. Ora finalmente anche un omosessuale (statunitense) sarà libero di non sposarsi».
45 Così A. Romano, Diritti e dissenso. Pluralismo politico e resistenze argomentative nella giurisprudenza sul matrimonio tra omosessuali,
cit., spec. pp. 236-237, il quale peraltro ritiene le preoccupazioni per una deriva assimilazionista del same-sex marriage fondate
su «un alto livello di astrazione e al momento» prive «di una solida pars costruens».
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A ulteriore conferma del carattere “trasversale” del tema dell’argomento sociologico, occorre infine
ricordare che nella giurisprudenza straniera non mancano casi nei quali l’argomento “originalista” è
stato utilizzato per dare riconoscimento alle istanze delle coppie omosessuali. Nella decisione Kerrigan
and Mock prima richiamata, ad esempio, la Corte suprema del Connecticut ha individuato nella volontà
originaria dei costituenti statali l’intenzione di accordare una lettura amplissima della equal protection
clause, tale da includere anche l’eguaglianza delle coppie omosessuali sul piano matrimoniale.
4. Modalità di acquisizione dei dati sociali e principio del “giusto
processo costituzionale”
A un esame più attento della giurisprudenza in materia di orientamento sessuale, ciò che sembra differenziare l’approccio delle corti non è tanto — o non è solo — il grado di integrazione del dato sociale
all’interno del percorso argomentativo, e neppure il livello di “fedeltà” al testo o alla volontà originaria
del costituente. Gli elementi di diversità possono invece essere apprezzati innanzitutto e in primo luogo
in relazione alle modalità con le quali vengono acquisiti al giudizio costituzionale i dati sociali. Modalità
le quali, ovviamente, sono condizionate in larga parte, dai caratteri del sistema di giustizia costituzionale e dalle regole processuali seguite dalle singole corti.
In alcuni casi, i giudici hanno commissionato a centri di ricerca specializzati vere e proprie “perizie”. È questo il caso della più volte richiamata decisione della Suprema Corte messicana, dove con
ordinanza, il giudice istruttore ha richiesto al principale ateneo universitario del paese l’elaborazione di
uno studio relativo ai profili psicologici, sociologici e bioetici che investono la tematica dell’adozione e
del matrimonio omosessuale.
In un secondo gruppo di decisioni, la strategia di legittimazione delle corti ha poggiato sulla citazione degli amici curiae briefs. Paradigmatiche, sotto questo profilo, sono le decisioni delle corti statali
del Massachusetts, del Connecticut e dell’Iowa, le quali hanno utilizzato gli apporti degli amici curiae
briefs pervenuti da medici e psicologici nonché da docenti universitari di storia e economia allo scopo di
scardinare una interpretazione delle norme costituzionali statali fondata sull’argomento naturalistico e
su quello economico-efficientistico46.
In base all’argomento naturalistico, il matrimonio si collega ipso facto alla procreazione naturale,
la quale è invece esclusa per le coppie omosessuali. Ritenendo i genitori di sesso diverso più inclini ad
assicurare la stabilità del nucleo familiare, l’argomento naturalistico conduce così a considerare l’inserimento del figlio in un contesto di tipo tradizionale come maggiormente rispondente al suo “best
interest”.
Attraverso l’argomento economico-efficientistico, i sostenitori del c.d. paradigma eterosessuale tendono invece a porre l’accento sull’impatto negativo che l’introduzione del same-sex marriage potrebbe
determinare sui bilanci pubblici.
Da questo punto di vista, può apparire quanto meno paradossale (e tutt’altro che rassicurante) che
proprio alcune corti “liberal”, anziché negare con decisione la spendibilità dell’argomento economicoefficientistico, abbiano cercato di “smontarlo” dal suo interno, così cercando di dimostrare che quello
omosessuale è per lo stato un matrimonio “a costo zero”.
46 Si tratta di tre decisioni (Goodridge v. Department of Public Health del 2003 della Corte suprema del Massachusetts; Kerrigan
and Mock v. Connecticut Department of Public Health del 2008 della Corte suprema del Connecticut; Varnum v. Brien del 2009
della Corte suprema dell’Iowa) le quali hanno introdotto il same-sex marriage in via pretoria. Più nel dettaglio, se per la Corte
suprema del Massachusetts «il matrimonio civile rafforza il benessere della comunità di riferimento» anche per i benefici
individuali «tangibili» e «intangibili» che è in grado di garantire a chi lo contrae, i giudici della Corte suprema dell’Iowa
hanno individuato nell’opposizione religiosa l’ostacolo più importante al riconoscimento sociale del same-sex marriage, utilizzando quindi il dato sociale per prendere le distanze da qualsiasi concezione confessionale del matrimonio. La necessità di
considerare l’argomento sociologico viene poi esplicitamente collegata dalla Corte suprema del Connecticut all’esigenza di
una interpretazione evolutiva e non originalista del testo costituzionale. In questo senso, la Corte ha definito la Costituzione
statale come uno «strumento di progresso» che necessita di essere interpretato in conformità con le domande della società
contemporanea. Sugli argomenti utilizzati nell’ambito di queste tre decisioni, cfr. amplius C. Fasone, Il same-sex marriage dinanzi alle corti supreme degli Stati Uniti: dall’argomento originalista all’interpretazione evolutiva, attraverso la valorizzazione del dato
sociologico, in Ianus, 2011, 4, pp. 9 ss. e spec. pp. 39 ss.
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In un terzo filone è poi possibile raggruppare le decisioni di quelle corti che, lungi dal citare le ricerche delle autorità scientifiche, hanno optato per la più collaudata categoria processualistica del “fatto
notorio”47, mantenendo così le proprie motivazioni entro un registro eminentemente giuridico.
Oltre al già citato passaggio della sentenza n. 138/2010 della Corte costituzionale italiana, è possibile in particolare ricordare la sentenza 41/2006 del Tribunale costituzionale spagnolo. Dinanzi ad un
caso di discriminazione di un lavoratore illegittimamente licenziato dall’Alitalia in ragione della propria omosessualità, il Tribunal Constitucional ha ricompreso nel nucleo duro del principio di eguaglianza
anche l’orientamento sessuale, benché quest’ultimo non fosse espressamente previsto dall’art. 14 della
Costituzione fra i fattori di non discriminazione. A sostegno della interpretazione estensiva dell’art. 14,
i magistrati costituzionali hanno osservato che «es notoria la posición de desventaja social y, en esencia, de
desigualdad y marginación sustancial que históricamente han sufrido las personas de orientación homosexual».
Infine, un ultimo filone di sentenze segnala il tentativo delle corti, attraverso i propri poteri istruttori, oppure appoggiandosi alle prospettazioni delle parti, di giocare di sponda con i risultati di indagini
scientifiche preesistenti al giudizio di costituzionalità.
Penso, ad esempio, al richiamo esplicito nella sentenza 198/2012 del Tribunal Constitucional di alcuni dati di carattere statistico e demoscopico dai quali emergerebbe l’ampia accettazione da parte della
società spagnola del matrimonio omosessuale, così ponendo l’accento sull’evoluzione dell’immagine
tradizionale di matrimonio. Ad avviso del Tribunale costituzionale, benché i risultati delle indagini
statistiche e demoscopiche menzionate nel testo della sentenza non siano di per sé un elemento in grado di determinare autonomamente la costituzionalità o l’incostituzionalità della legge sul matrimonio
omosessuale, «no es menos cierto que las mismas ofrecen una imagen refleja del grado de identificación de los
titulares del derecho al matrimonio con la institución en la que se integra progresivamente la unión entre personas
del mismo sexo».
Ma penso, soprattutto, alla sentenza con la quale il giudice del contenzioso amministrativo della
città di Buenos Aires, accogliendo il ricorso de amparo promosso dai signori Alex Freyre e José María di
Bello, rilevava l’incostituzionalità delle norme del Codice civile che limitavano alle sole coppie eterosessuali l’accesso all’istituto matrimoniale48.
Secondo il giudice argentino, la diversità di trattamento fra coppie eterosessuali e coppie omosessuali, pur non essendo illegittima in astratto, lo diviene in concreto quando, come nel contesto storico
attuale, essa si raccorda ad una considerazione dei soggetti esclusi da un determinato istituto giuridico nei termini di «seres humanos menos valiosos». Richiamando alcuni studi sociologici, il giudice ha
posto l’accento sul collegamento fra paradigma eterosessuale del matrimonio e sentimento omofobico,
anche facendo riferimento alla diffusione nel linguaggio parlato di espressioni offensive e stereotipi
gravemente lesivi della dignità degli omosessuali. Particolarmente significativo è il passaggio della
decisione nel quale si traccia un parallelismo fra i meccanismi d’azione dell’omofobia e quelli del
razzismo: identificazione, dapprima, di un gruppo di esseri umani considerati inferiori; creazione, in
secondo luogo, di un terreno d’azione in cui la “differenza” diviene fattore di pericolo per l’integrità
dell’omofobo; infine, dissimulazione dell’omofobia dietro il discorso sulla tolleranza, poiché — si legge
nella sentenza — solo si può tollerare chi viene definito in termini di contrapposizione. Con un ricco
impianto di riferimenti alla filosofia (Gilles Deleuze, Hannah Arendt, Theodor Adorno, Judith Butler),
alla narrativa (Honoré de Balzac), alla sociologia (Ernesto Meccia) e, naturalmente, alla letteratura giuridica, la sentenza Freyre ha così sviluppato una linea argomentativa tesa a evidenziare le ripercussioni
negative che il divieto di matrimonio omosessuale — in collegamento con gli altri fattori sociali di discriminazione delle coppie dello stesso sesso — ha assunto rispetto al valore della dignità della persona.
Insomma, alla luce delle indicazioni emerse da questa giurisprudenza, più che di “argomento sociologico” sembrerebbe doversi parlare, al plurale, di “argomenti sociologici”, ognuno dei quali finisce
per porre specifici problemi non solo sul terreno della individuazione di idonei criteri per il loro controllo, ma anche su quello della compatibilità fra le tecniche di acquisizione dei dati sociali utilizzate
47 Nell’ambito del diritto processuale si intende, per “fatto notorio”, «un fatto di pubblica conoscenza in un determinato ambito
territoriale (…) L’esistenza di un simile fatto è conosciuta dal giudice senza la necessità che le parti chiedano l’ammissione
di un determinato mezzo di prova: notoria non egent probatione. Occorre naturalmente che il fatto sia indubitabile e incontestabile». Diverso dal fatto notorio è invece il “fatto pacifico”, un fatto, cioè, di «conoscenza non pubblica; esso è affermato da
una parte ed è ammesso esplicitamente o implicitamente dalla controparte». Nel diritto processuale penale italiano, il fatto
pacifico non ha bisogno di essere provato, in quanto il giudice può direttamente utilizzarlo come “elemento di prova” per la
sua decisione (P. Tonini, Lineamenti di diritto processuale penale, Milano, Giuffrè, 2012, pag. 130).
48 Si tratta del “Fallo Seijas”: Juzgado de Primera instancia en lo Contencioso Administrativo y Tributario de la Ciudad Autónoma de
Buenos Aires: “Freyre, Alejandro y otro c/GCBA s/Amparo (Art. 14 CCABA) (expte. 34292/0)”; Sentencia del 10 de noviembre de 2009,
sul quale cfr. N. Vizioli, La legittimità costituzionale del matrimonio tra persone dello stesso sesso nella giurisprudenza argentina, in
Ianus, 2011, 4, pp. 139 ss., spec. pp. 158 ss.
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
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dalle corti e il principio del “giusto processo costituzionale”49. La fisiologica asimmetria fra l’individuo e
l’autorità pubblica all’interno del giudizio costituzionale impone infatti di individuare soluzioni processuali idonee a salvaguardare l’esigenza di “parità delle armi” nell’accesso alle conoscenze di carattere
scientifico.
Un tema, quest’ultimo, di importanza decisiva, il quale rischia forse di essere offuscato da prospettive che tendono a semplificare il problema dell’impiego dell’argomento sociologico riconducendolo ad
un mero prolungamento della alternativa fra originalismo e anti-originalismo.
5. La degradazione degli istituti familiari da “concetti” a “tipi” e i
percorsi di gestione della transizione al nuovo paradigma
Secondo la teoria del mutamento dei paradigmi elaborata da Thomas Kuhn è possibile individuare
due diversi stadi dell’attività di ricerca scientifica: nei periodi di “scienza normale”, l’accordo si forma
attorno ad un paradigma, ad un modello in grado di orientare le ricerche e a fornire le soluzioni ai
problemi. Nei periodi di “scienza straordinaria” al contrario, a causa del moltiplicarsi di anomalie che
sfuggono al modello esplicativo, il paradigma dominante entra in crisi, sicché la parte della comunità
scientifica più conservatrice tenterà, attraverso “ipotesi ad hoc”, di salvare il vecchio paradigma fino
a quando il nuovo modello non abbia ottenuto un consenso tale da porre termine alla “guerra delle
scuole”50.
Ebbene, con riferimento agli istituti familiari e in particolare al matrimonio, non vi è dubbio che il
tradizionale paradigma eterosessuale stia affrontando oggi il proprio periodo di “scienza straordinaria”. Infatti, più che alla affermazione integrale di un nuovo paradigma, non poche delle corti che hanno
fatto uso dell’argomento sociologico in chiave di riconoscimento dei diritti delle coppie omossessuali
sembrerebbero essersi attestate sulla linea di una trasformazione del matrimonio da “concetto” a “tipo”.
«Il tipo» — ha scritto Jünger — «è il modello con cui ci misuriamo», qualcosa di «più forte di
un’idea, per non dire di un concetto»51. In effetti, secondo una pista di ricerca sviluppata da autorevole
dottrina, “concetti” e “tipi” corrispondono a due forme di pensiero differenti. Mentre il concetto può
essere applicato a una circostanza concreta solo e soltanto quando vi si riscontrino tutti i tratti della definizione, «il tipo non può mai essere totalmente definito, ma solo indicato e spiegato, poiché la tipicità da
esso richiamata si basa su di un complesso di caratteristiche che ha un nucleo fisso, ma non rigidamente
chiuso». In altre parole, «il concetto divide, il tipo lega»52.
Dalle clausole generali, ai c.d. “standard”, senza dimenticare i tipi di frequenza, le varie forme di
tipizzazione hanno ormai da tempo fatto il loro ingresso prepotente nella legislazione, specialmente nel
diritto di famiglia, consentendo di lanciare nel procedimento applicativo del diritto un ponte tra norma
e caso vitale. Benché non esente da aspetti problematici sul versante della certezza del diritto, il tipo, in
questa ottica di incessante mediazione tra passato e presente, appare in grado di fronteggiare più efficacemente le discontinuità e le fratture sociali, culturali ed economiche che si manifestano nelle nuove
immagini prodotte e riprodotte dalla società.
Da questo punto di vista, la valorizzazione della forma di pensiero del tipo nell’ambito della ricostruzione del significato degli istituti familiari e in particolare del matrimonio può essere individuata
come una delle cifre di lettura fondamentali della giurisprudenza in materia di diritti degli omosessuali.
Basti pensare, ad esempio, ad alcuni passaggi della già citata decisione Freyre. Dopo una ricostruzione dell’itinerario evolutivo del matrimonio — «cuya historia es anterior al Concilio de Trento» — il giudice
amministrativo argentino giungeva a «descartar la idea de un significado natural o recto» di matrimonio,
rilevando il carattere intrinsecamente dinamico di tale istituto.
49 In relazione al problema della estensione del principio del “giusto processo” alla giustizia costituzionale, cfr. L. Buffoni,
Processo e pluralismo nell’ordinamento costituzionale italiano. Apologia e limiti dell’universalismo procedurale, Napoli, Jovene, 2012,
spec. pp. 347 ss.
50 Cfr. T.S. Kuhn, The structure of scientific revolutions, Chicago, University of Chicago Press, 1962, tr. it.: La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino, Einaudi, 1999, spec. pp. 65 ss. e 213 ss. Sull’uso dei paradigmi, cfr. anche G. Agamben, Che cos’è un
paradigma?, in Id., Signatura rerum: sul metodo, Torino, Bollati Boringhieri, 2008, 11 ss.
51 E. Jünger, Typus, Name, Gestalt, Stuttgart, Klett Cotta, 1963.
52 F. Viola, G. Zaccaria, Diritto e interpretazione. Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto, Roma-Bari, Laterza, 2009, pp. 268 ss.
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
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A conclusioni non dissimili era già pervenuta la Corte suprema messicana. Come si legge nella
sentenza, sebbene storicamente il matrimonio sia stato considerato «como la unión entre un hombre y
una mujer, teniendo la procreación, en determinado momento, un papel importante para su definición [...] no es
sostenible afirmar, sin más, que el matrimonio, en su definición tradicional, fuera un concepto completo y, por
tanto, inmodificable por el legislador, máxime derivado del proceso de secularización de la sociedad y del propio
matrimonio».
Significative indicazioni vengono poi dalla richiamata sentenza n. 198 del 2012 del Tribunale costituzionale spagnolo. Muovendo dall’assunto che la “realtà sociale” contribuisce a determinare i percorsi
di attualizzazione della cultura giuridica (e per questo tramite dell’interpretazione costituzionale), il
Tribunal Constitucional ha evidenziato che il canone dell’interpretazione della Costituzione conforme
alla CEDU e ai trattati internazionali previsto dall’art. 10, c. 2 della Costituzione spagnola (da ora CE)
consente di conferire spessore giuridico ad elementi culturali esterni al testo, confermando così che il
diritto è «fenómeno social vinculado a la realidad». In altri termini, l’art. 10, c. 2 CE consentirebbe di dotare
l’art. 33 CE di una struttura aperta ai mutamenti culturali, di una «contextura receptiva»53, per usare una
espressione della dottrina spagnola che difficilmente potrebbe essere tradotta in italiano in maniera
altrettanto efficace. Utilizzando l’argomento sociologico e quello comparativo quali strumenti di autocoscienza e critica dell’identità dell’ordinamento di partenza, e dunque veicolando le nuove domande
di giustizia direttamente sul terreno ermeneutico, il Tribunale costituzionale è in sostanza pervenuto ad
affermare che la definizione di matrimonio presupposta dai costituenti, benché valida nel 1978, non può
più trovare applicazione nel contesto attuale.
Quando poi il Tribunale costituzionale portoghese, nel difendere la legittimità del matrimonio per
le coppie omosessuali, ha avuto modo di definire il matrimonio come un «concetto aperto e plurale
adattabile alle necessità della realtà sociale», esso ha in sostanza degradato questa formula lessicale a
“tipo”, a elemento dinamico idoneo a porre in evidenza il ruolo indirettamente normativo dei comportamenti sociali54.
Una operazione, quest’ultima, replicata dal Tribunale supremo brasiliano nella sentenza sul matrimonio omosessuale del 5 maggio 201155. In questo caso, la critica dei concetti è stata estesa anche al
significato di “famiglia”, espressione la cui interpretazione impone, ad avviso della corte, una esegesi
«não-reductionista», finalizzata a mettere in luce il carattere «aberto» di un termine da ricostruire alla luce
del principio costituzionale del pluralismo.
Persino nella sentenza n. 138 del 2010 della Corte costituzionale, nella quale la natura eterosessuale
del matrimonio e la sua finalità procreativa sono state ricomprese nel nucleo duro dell’art. 29 Cost. non
modificabile in via interpretativa, si è ammesso che «i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere “cristallizzati” con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore perché sono
dotati della duttilità propria dei principi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non
soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi».
Insomma, sembrerebbe trovare conferma, almeno in questa giurisprudenza, l’intuizione di Koselleck56, il quale evidenziava che ogni concetto è legato a una parola, ma non necessariamente tutte le
parole appaiono in grado di esprimere un concetto.
Sarebbe peraltro prematuro concludere che si sia giunti alla fine della “guerra delle scuole”. Vero è
che alcune sentenze hanno tentato più di altre di configurare un nuovo paradigma. Così, in particolare,
la decisione Hillary Goodridge, nella quale la Corte suprema del Massachussets — anticipando Obergefell
— ha introdotto in via pretoria l’istituto del same-sex marriage, affermandone così la necessità costituzionale.
E tuttavia, l’impressione è che una delle linee di tendenza prevalenti sia quella di superare il precedente paradigma, senza peraltro sostituirlo integralmente con un nuovo e universale concetto di matrimonio.
53 M.A. Aparicio Pérez, La cláusula interpretativa del artículo 10.2 de la Constitución Española, como cláusula de integración y apertura
constitucional a los derechos fundamentales, in Jueces para la Democracia, 1989, 6, pp. 9 ss. e spec. pag. 14.
54 Si tratta della sent. n. 121 dell’8 aprile 2010, sulla quale cfr. E. Crivelli, Il matrimonio omosessuale e la ripartizione di competenze
tra legislatori e organo di giustizia costituzionale: spunti da una recente decisione del Tribunale costituzionale portoghese, in Rivista AIC,
www.archivio.rivistaaic.it, 2010.
55 Sulla tematica del same sex marriage in Brasile, cfr., fra gli altri, J.M. Cabrales Lucio, Same-Sex Couples Before Courts in Mexico,
Central and South America, Same-Sex Couples before National, Supranational and International Jurisdictions, in D. Gallo, L. Paladino, P. Pustorino (eds) cit., pp. 93 ss. e spec. pag. 114.
56 R. Koselleck, Storia dei concetti e storia sociale, in Id., Futuro passato: per una semantica dei tempi storici, Genova, Marietti, pp. 91
ss., spec. pp. 102 ss.
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Aggiungo che fra le strategie messe in campo per gestire la transizione dal vecchio al nuovo paradigma va ricompresa la tecnica del “rinvio”: così la Corte europea dei diritti dell’uomo, nel caso Schalk
e Kopf c. Austria, la quale ha individuato nell’esclusione delle coppie omosessuali dall’istituto matrimoniale la legittima manifestazione del margine di apprezzamento spettante agli stati membri57. Al
tempo stesso, la Corte, ponendo l’accento sull’evoluzione delle «social attitudes», quasi in un “prospective
overruling”, ha chiarito la propria competenza a rivedere in futuro questa posizione, richiedendo quale
presupposto per l’attualizzazione dell’interpretazione dell’art. 12 l’esistenza di una convergenza di soluzioni fra le legislazioni nazionali tale da consentire l’elaborazione di uno standard comune58.
6. Verso una conclusione
Fra le diverse esperienze fin qui analizzate, quella statunitense può essere probabilmente assunta a caso
esemplare di apertura all’argomento sociologico. In effetti, almeno due diversi fattori hanno contribuito
all’impiego di questo canone argomentativo da parte delle corti statunitensi.
Da un lato, gli studi del realismo giuridico e della giurisprudenza sociologica vantano nella letteratura nord-americana una gloriosa tradizione59, sicché, già su un piano culturale, il giudice statunitense sembrerebbe mostrare una maggiore familiarità rispetto a forme di integrazione del dato sociale
nell’ambito del contesto di giustificazione.
Dall’altro lato — e soprattutto — le corti statunitensi sono inserite all’interno di un ordinamento
nel quale le peculiari modalità di ragionamento del giudice di common law si combinano con le caratteristiche di un sistema di giustizia costituzionale diffuso. Ebbene, come è stato rilevato, il giudice comune
appare senz’altro più avvezzo a sfruttare il contributo di altre scienze rispetto alle corti costituzionali
inserite all’interno di un sistema di tipo accentrato60.
Quanto ai casi, una particolare menzione merita certamente la decisione United States v. Windsor
del 26 giugno 2013, con la quale la Corte suprema ha affermato l’incostituzionalità della Section 3 del
Defense of Marriage Act (DOMA). In tale occasione, i giudici supremi hanno rilevato che il trattamento differenziato riservato a livello federale agli omosessuali umilia («demeans») le coppie dello stesso
sesso, imponendo un vero e proprio «stigma» nei confronti di quanti hanno deciso di usufruire delle
possibilità accordate dagli stati membri che hanno optato per l’introduzione del same-sex marriage. In
57 Posizione ribadita nel caso Oliari e altri v. Italia del 15 luglio 2015. Come visto, peraltro, in quest’ultima decisione la Corte EDU
ha ravvisato una violazione dell’art. 8 della Convenzione nella mancata predisposizione legislativa di forme di riconoscimento delle unioni omosessuali.
58 L’art. 12 CEDU stabilisce che «Uomini e donne in età maritale hanno diritto di sposarsi e di formare una famiglia secondo le
leggi nazionali regolanti l’esercizio di tale diritto». Nel caso Parry c. Regno Unito del 2005, la Corte EDU ha respinto i ricorsi
di due coppie di coniugi inglesi i quali facevano valere l’illegittimità della legge nazionale che li obbligava a divorziare nel
caso in cui uno dei due coniugi si fosse sottoposto a un’operazione di mutamento di sesso. Come si legge nella pronuncia,
all’art. 12 CEDU non può essere attribuito altro significato che quello di consentire l’unione fra un uomo e una donna. Con
la successiva sentenza Schalk e Kopf c. Austria del 22 novembre 2010, la Corte EDU ha rilevato che la normativa austriaca che
preclude alle coppie omosessuali la possibilità di contrarre matrimonio non è in contrasto con la Convenzione, in quanto l’introduzione del matrimonio omosessuale rimane ancorato al margine di apprezzamento degli stati membri. Benché la Corte
non abbia riscontrato una violazione della Convenzione, la Corte ha mostrato importanti segni di apertura verso il riconoscimento del matrimonio omosessuale, segnalando la possibilità di una futura attualizzazione dell’interpretazione dell’art. 12.
Sulla giurisprudenza della Corte EDU in materia di matrimonio omosessuale, cfr., fra gli altri, G. Repetto, “Non perdere il proprio mondo”. Argomenti dei giudici e matrimonio “same-sex”, tra Corte di Strasburgo e Corte costituzionale, in Rivista critica del diritto
privato, 3, 2010, pp. 525 ss. Sul rapporto circolare fra interpretazione costituzionale e interpretazione convenzionale tracciato
dalla sentenza Schalk e Kopf c. Austria, cfr. R. Ibrido, I diritti degli omosessuali tra argomenti comparativi e pluralismo disciplinare,
in Percorsi costituzionali, 2012, 3, pp. 373 ss. e spec. pp. 392 ss.
59 Per una panoramica di sintesi di questi indirizzi, cfr. F. Bonsignori, Il realismo giuridico, in Prospettive di filosofia del diritto del
nostro tempo, A. Ballarini… [et. al] (a cura di), Torino, Giappichelli, 2010, pp. 245 ss. e spec. pag. 248.
60 Cfr. in particolare, R. Bin, La Corte e la scienza, in Bio-tecnologie e valori costituzionali. Il contributo della giustizia costituzionale,
A. D’Aloia (a cura di), Torino, Giappichelli, 2005, pp. 9 ss., il quale sottolinea come il giudice comune si trovi molto spesso
in una posizione di “dipendenza necessaria” dai risultati scientifici. Al contrario, per il giudice costituzionale italiano non si
pone il problema di verificare il nesso di causalità delle azioni umani e la ricerca della “copertura” delle leggi scientifiche. In
ogni caso, per un quadro di alcuni casi nei quali la Corte costituzionale italiana è stata chiamata a ripercorrere i dati fattuali,
le premesse scientifiche e i presupposti tecnologici delle leggi sottoposte al suo giudizio, cfr. R. Bin, Atti normativi e norme
programmatiche, cit., pp. 328 ss.
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altre parole, secondo i giudici supremi, la stigmatizzazione conseguente all’applicazione del DOMA
conduce a equiparare il same-sex marriage a un «matrimonio di seconda classe»61.
Tale argomento sociologico — il quale sembra presentare alcune analogie con l’analisi in Brown
delle conseguenze psicologiche della segregazione raziale — è stato ulteriormente ripreso e sviluppato
nella decisione Obergefell della Corte suprema62. Già prima di questa decisione, peraltro, il riferimento in
Windsor al rischio di una “stigmatizzazione” delle coppie omosessuali aveva determinato una sorta di
“effetto domino” nelle giurisprudenza delle corti supreme statali. Ricordo, tra le altre, la decisione di un
giudice dell’Ohio63, il quale, nel rilevare l’incostituzionalità di una sorta di “mini-DOMA” statale, aveva affermato che la differenziazione tra coppie omosessuali e coppie eterosessuali equivale a imporre
uno status separato e uno “stigma” su coloro che contraggono un matrimono same-sex in un altro stato
membro64.
Questo schematico (e certamente insufficiente) spaccato sulla giurisprudenza in materia di orientamento sessuale conferma il ruolo crescente che, nel panorama comparato, il dato sociale ha assunto
negli itinerari argomentativi dei giudici costituzionali.
Nel ricorso a questo canone non mancano, peraltro, zone d’ombra. Ciò non tanto con riferimento
al rischio di una “presa di congedo” dal testo. Mi vado anzi convincendo che, al pari dell’argomento
comparativo65, anche l’argomento sociologico vada apprezzato sul terreno dell’“ottimizzazione” dei
risultati, in quanto il confronto con il dato sociale, consentendo di risalire dal testo al contesto, rende
altresì più agevole l’individuazione o la comprensione dei Prinzipien, ossia, secondo la nota definizione
di Alexy, delle «norme che prescrivono che qualcosa» sia «da realizzare nella misura più alta possibile
relativamente alle possibilità giuridiche e fattuali»66.
61 Individua una delle fondamentali cifre di lettura della decisione nella scelta della Corte di astenersi da una astratta ricostruzione delle radici storiche e culturali dell’istituto matrimoniale, privilegiando il riferimento concreto agli interessi delle
persone coinvolte e al pregiudizio sociale da queste subito in conseguenza dell’applicazione della Section 3 A. Schillaci, “This
case is not routine”. La Corte Suprema USA e il same sex marriage, tra tutela dei diritti e limiti della giurisdizione, in Osservatorio AIC,
www.osservatorioaic.it, 2013.
62 Come si legge nella opinion of the Court, «The limitation of marriage to opposite-sex couples may long have seemed natural and just,
but its inconsistency with the central meaning of the fundamental right to marry is now manifest. With that knowledge must come the
recognition that laws excluding same-sex couples from the marriage right impose stigma and injury of the kind prohibited by our basic
charter (…) Many who deem same-sex marriage to be wrong reach that conclusion based on decent and honorable religious or philosophical premises, and neither they nor their beliefs are disparaged here. But when that sincere, personal opposition becomes enacted law and
public policy, the necessary consequence is to put the imprimatur of the State itself on an exclusion that soon demeans or stigmatizes those
whose own liberty is then denied».
63 Corte federale distrettuale per il distretto sud dell’Ohio, 22 luglio 2013, Obergefell et al. v. Kasich et al.
64 Sulla giurisprudenza delle corti statali che hanno fatto applicazione dei principi enunciati in Windsor, cfr. M.C. Vitucci, In
viaggio per i diritti. Coppie omosessuali e diritto internazionale privato, in Omosessualità, eguaglianza, diritti, A. Schillaci (a cura di),
cit., pp. 112 ss. e spec. pp. 118 ss.
65 Con particolare riferimento all’uso dell’argomento comparativo nella giurisprudenza in materia di orientamento sessuale,
si perdoni il rinvio a R. Ibrido, I diritti degli omosessuali tra argomenti comparativi e pluralismo disciplinare, cit., pp. 373 ss.; Id.,
“Ritorno alla comparazione”. Note a margine della sentenza del Tribunal Constitucional spagnolo sul matrimonio omosessuale, in Nomos, 2013, pag. 3. Più in generale, nella vasta letteratura che in Italia si è occupata del problema della comparazione nella
giurisprudenza costituzionale, cfr. almeno G. Repetto, Argomenti comparativi e diritti fondamentali in Europa. Teorie dell’interpretazione e giurisprudenza sovranazionale, Napoli, Jovene, 2011; G. De Vergottini, Oltre il dialogo tra le Corti. Giudici, diritto straniero,
comparazione, cit.; P. Ridola, La giurisprudenza costituzionale e la comparazione, in Il giudice e l’uso delle sentenze straniere. Modalità
e tecniche della comparazione giuridica, G. Alpa (a cura di), Milano, Giuffrè, 2006, pp. 15 ss., ora anche in P. Ridola, Diritto comparato e diritto costituzionale europeo, Torino, Giappichelli, 2010, pp. 293 ss.; T. Groppi, Bottom up globalization? Il ricorso a precedenti
stranieri da parte delle Corti costituzionali, in Quaderni costituzionali, 2011, 1, pp. 199 ss.; Corti nazionali e comparazione giuridica,
G.F. Ferrari, A. Gambaro (a cura di), Napoli, ESI, 2006; L. Pegoraro, P. Damiani, Il diritto comparato nella giurisprudenza di alcune Corti costituzionali, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 1, 1999, pp. 411 ss.; L. Pegoraro, La Corte costituzionale e il diritto
comparato nelle sentenze degli anni ’80, in Quaderni costituzionali, 1987, 3, pp. 601 ss.; A. Sperti, Il dialogo tra le Corti costituzionali
ed il ricorso alla comparazione giuridica nella esperienza più recente, in Rivista di diritto costituzionale, 2006, pp. 125 ss.; Id., Le difficoltà connesse al ricorso alla comparazione a fini interpretativi nella giurisprudenza costituzionale nel contesto dell’attuale dibattito
sull’interpretazione, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2008, 2, pp. 1033 ss.; A.M. Lecis Cocco Ortu, La comparaison en tant
que methode de determination du standard de protection des droits dans le systeme CEDH, in Rivista AIC, www.rivistaaic.it, 2011, 4.
Sul tema del richiamo ai precedenti stranieri, deve essere segnalata inoltre la ricerca condotta dall’Interest Group fondato nel
Convegno mondiale dell’Associazione Internazionale di Diritto Costituzionale tenutosi ad Atene nel giugno 2007, ora in The
use of foreign precedents by constitutional judges, T. Groppi, M.C. Ponthoreau (eds.), Oxford–Portland (OR), Hart, 2013.
66 Mentre dunque le regole (Regeln), nell’impostazioni di Alexy, sarebbero «norme che possono essere sempre realizzate o non
realizzate», in quanto contenenti «determinazioni (Festsetzungen) nello spazio di ciò che è fattualmente e giuridicamente
possibile», i principi individuerebbero «solo precetti-prima facie», ragioni «per giudizi giuridici concreti». La distinzione fra
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Più che il problema della “tenuta” della supremazia della Costituzione, e dunque il rischio di una
“sfaldatura” di quest’ultima rispetto alla penetrazione di elementi di giudizio esterni al dato testuale,
l’argomento sociologico sembra interrogare le componenti essenziali dell’identità del giudice costituzionale: se è vero infatti che questo percorso argomentativo conduce a dare una cassa di risonanza a
dinamiche sociali che tendono ad affermarsi in un determinato momento storico, non può allora essere
sottovalutato il rischio di ridimensionare la funzione contro-maggioritaria delle corti.
Come ha evidenziato Rodríguez Arribas nel voto particolare sulla sentenza del Tribunale costituzionale spagnolo in materia di matrimonio omosessuale, è proprio «para evitar que el legislador ordinario,
atendiendo al supuesto clamor de la calle, las estadísticas y los estudios de opinión, pueda vulnerar la Constitución,
se crearon los Tribunales Constitucionales». Un rilievo, quello di Rodríguez Arribas, il quale non a caso è
stato raccolto dalla recente pronuncia della Corte suprema statunitense. Come si legge infatti in Obergefell, «This is why “fundamental rights may not be submitted to a vote; they depend on the outcome of no elections
(...) It is of no moment whether advocates of same-sex marriage now enjoy or lack momentum in the democratic
process. The issue before the Court here is the legal question whether the Constitution protects the right of samesex
couples to marry».
Se è vero che le considerazioni di ordine problematico sviluppate in queste pagine non appaiono
sufficienti ai fini della elaborazione di una proposta generale e compiuta di utilizzazione dei dati sociali,
nondimeno è possibile provare a tracciare il profilo di un suo “anti-modello”. Da questo punto di vista,
mi soffermerò, in particolare, su due direttive metodologiche di carattere negativo.
In primo luogo, l’argomento sociologico non va impiegato in modo occulto, criptico, incontrollato e
non verificabile. Tale direttiva potrebbe apparire quanto meno scontata, dal momento che la trasparenza
e la verificabilità delle forme di ragionamento dei giudici costituiscono il presupposto di ogni buona
motivazione giudiziaria, indipendentemente dal tipo di canone argomentativo utilizzato67. E tuttavia,
come ha evidenziato Martin Kriele, il vincolo di motivazione al quale è sottoposto il giudice non è sempre uniforme, risultando in alcune circostanze particolarmente stringente e in altre assai più blando68.
Ebbene, uno dei casi nei quali si avverte l’esigenza di un supplemento di giustificazione è rappresentato,
appunto, dalla ipotesi di valorizzazione delle dinamiche sociali nella interpretazione della Costituzione.
Infatti, il modello haeberliano della Costituzione come processo pubblico (e non già come comando
eteronomo) può avvalersi delle potenzialità dell’argomento sociologico se e soltanto se quest’ultimo
risulti guidato dal principio di pubblicità e da una vocazione autenticamente discorsiva. Diversamente
ragionando, il giudice finirebbe per interrompere con un atto autoritativo ma non altrettanto legittimato
quel processo circolare di mutue correlazioni che consentono ai rule followers di concorrere alla interpretazione della Costituzione69.
In secondo luogo, l’argomento sociologico non va utilizzato in modo da trasformare le corti costituzionali nei portavoce della vox populi.
Da un lato, infatti, questa malintesa concezione dell’argomento sociologico rischia di tradire quella
funzione counter-majoritarian la quale, come detto, continua a cogliere uno degli elementi fondanti della
identità del giudice costituzionale. Per di più, l’argomento del consensus della opinione pubblica può
rappresentare una arma a doppio taglio: cosa succederebbe se un giorno la maggioranza dell’opinione
pubblica si dovesse esprimere a favore della pena morte o della criminalizzazione dei comportamenti
sessuali degli omosessuali? Insomma, il processo di avanzamento dei diritti è cosa troppo seria per essere lasciata in mano agli opinion pool.
principi e regole proposta da R. Alexy, Theorie der Grundrechte, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1994, tr. it.: Teoria dei diritti fondamentali, Bologna, Il Mulino, 2006, pp. 101 ss. e spec. pp. 106-107. presenta alcuni importanti profili di affinità rispetto a quella elaborata da R. Dworkin, Taking rights seriously, London, Duckworth, 1977, tr. it.: I diritti presi sul serio, Bologna, Il Mulino,
1982. Secondo quest’ultimo autore, le regole offrono solo l’alternativa tra integrale applicazione e integrale disapplicazione,
mentre i principi sfuggono alla logica del “tutto-o-niente”.
67 Sulla esigenza di motivazioni trasparenti, controllabili e verificabili d’obbligo è il riferimento a L. Lombardi Vallauri, Corso di
filosofia del diritto, Padova, Cedam, 1981; Id., Diritto libero, in Digesto civile, VI, Torino, UTET, 1990, pp. 279 ss., il quale identifica
tale direttiva quale precondizione per un corretto ricorso alla “metodologia dei risultati”.
68 Secondo M. Kriele, Theorie der Rechtsgewinnung: Entwickelt am Problem der Verfassungsinterpretation, Berlin, Duncker & Humblot, 1967 (cit. anche da G. Zaccaria, La giurisprudenza come fonte del diritto: una evoluzione storica e teorica, Napoli, Editoriale
scientifica, 2007) l’esigenza di un “supplemento di giustificazione” si verificherebbe in particolare nei casi di overruling giudiziario.
69 In relazione al modello haeberliano di “democratizzazione” dell’interpretazione costituzionale, cfr. P. Häberle, Die offene Gesellschaft der Verfassungsinterpreten, in JuristenZeitung, 1975, pp. 297 ss. Su questo passaggio del pensiero di Häberle, cfr. inoltre
P. Ridola, Prime riflessioni sullo “spazio pubblico” nelle democrazie pluralistiche, in Id., Diritto comparato e diritto costituzionale europeo, cit., pp. 31 ss. e spec. pp. 43 ss.
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Focus: Obergefell v. Hodges: il riconoscimento del diritto fondamentale al matrimonio
Renato Ibrido
Dall’altro lato, questo approccio all’uso del dato sociale rischia di banalizzare la portata autenticamente costituzionale della questione omosessuale. Il pericolo, in altre parole, è che un uso “sguaiato”
del canone sociologico conduca a rimuovere fattori di discriminazione legati alla sfera dell’orientamento sessuale solo e soltanto in ragione del fatto che “la società è cambiata”, così trascurando i dati costituzionali, in qualche caso anche di ordine letterale, che consentono l’inclusione dell’orientamento sessuale
nella immagine della persona umana costituzionalmente rilevante70. Un pericolo di banalizzazione a
mio avviso particolarmente evidente in quelle sentenze — fra le quali la decisione del Tribunale costituzionale spagnolo sul matrimonio omosessuale e la decisione Oliari della Corte EDU — nelle quali un
peso significativo è stato attribuito alle statistiche e alle indagini demoscopiche circa il livello di accettazione dei nuovi paradigmi familiari71.
Le conclusioni di questo contributo non possono che avere carattere interlocutorio. Sia consentito
tuttavia osservare che, pur con tutte le segnalate contraddizioni nell’uso dell’argomento sociologico, la
pretesa di espellere i dati sociali dalle strategie di ragionamento del giudice costituzionale appare velleitaria, se non altro perché tale pretesa riflette una decisa sopravvalutazione della capacità delle corti
di emanciparsi compiutamente dalle condizioni storico-politiche che le circondano. L’alternativa non
è dunque fra la “sacralisation du texte” e la valorizzazione dell’argomento sociologico, quanto piuttosto
fra due strategie attraverso le quali “governare” l’impiego dei dati sociali: da un lato, il ricorso occulto
all’argomento sociologico e la tendenza a schiacciarlo sul consenso della maggioranza dell’opinione
pubblica; dall’altro lato, un uso trasparente e verificabile di questo canone da parte di corti che non
intendono abdicare al proprio ruolo di “contropotere”72.
Se correttamente intesa, l’integrazione del dato sociale nelle dinamiche interpretative, agendo sul
piano del Selbstverständnis (autocomprensione, autochiarimento), appare in grado di contribuire alla
definizione dell’orizzonte culturale e assiologico all’interno del quale è chiamato a muoversi l’interprete
nella ricerca delle soluzioni ai propri problemi ermeneutici. La matrice innanzitutto “culturale” dell’argomento sociologico, la sua capacità di fungere da lente critica su modelli tradizionali di analisi degli
istituti di diritto familiare, fornisce all’operatore del giuridico non già uno strumento per “riscrivere”
le Costituzioni, ma semmai una occasione per emancipare il testo costituzionale da precomprensioni
maturate nel quadro di assetti sociali dominati dal conformismo degli stili di vita.
Una operazione, quest’ultima, le cui chances di successo appaiono peraltro strettamente legate alla
capacità dell’interprete di sganciare l’impiego dei dati sociali dalla mera “registrazione” del grado di
consenso della opinione pubblica verso determinati paradigmi familiari.
70 In particolare, per l’identificazione della dignità con la premessa antropologica e concettuale dello stato costituzionale, cfr.
P. Häberle, Lo Stato costituzionale: I) Principi generali, in Enciclopedia giuridica Treccani, XXX, Roma, Istituto della Enciclopedia
italiana, 2000. Per una interpretazione del principio di dignità umana e del diritto al libero sviluppo della propria personalità
particolarmente sensibile rispetto al principio di autodeterminazione individuale, cfr. P. Ridola, La dignità dell’uomo e il principio “libertà” nella cultura costituzionale europea, in Id., Diritto comparato e diritto costituzionale europeo, cit., pp. 77 ss.
71 Va detto, peraltro, che in queste ultime due decisioni — e in particolare in quella del Tribunale costituzionale spagnolo — i
riferimenti alle indagini statistiche e demoscopiche sembrano rappresentare un argomento ad adiuvandum, e quindi un riferimento aggiuntivo a sostegno di altre ragioni di giudizio.
72 Verificabilità — è importante precisare — la quale non costituisce una “grandezza certa” ma che è condizionata dalle possibilità implicite alla struttura processuale di ciascun sistema di giustizia costituzionale. Con riferimento alla Corte costituzionale
italiana, per esempio, il problema della verificabilità dell’argomento sociologico chiama innanzitutto in causa un adeguato
utilizzo dei poteri istruttori (sui quali, cfr. almeno T. Groppi, I poteri istruttori della Corte costituzionale nel giudizio sulle leggi,
Milano, Giuffrè, 1997; M. Luciani, I fatti e la Corte: sugli accertamenti istruttori del giudice costituzionale nei giudizi sulle leggi, in
Strumenti e tecniche di giudizio della Corte costituzionale, Milano, Giuffrè, 1988, pp. 521 ss.).
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Focus
La trascrizione dei matrimoni:
i confini di una domanda di giustizia
Focus: La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di giustizia
Barbara Pezzini
Barbara Pezzini*
I confini di una domanda di giustizia (profili
costituzionali della questione della trascrizione del
matrimonio same-sex contratto all’estero)
Sommario
1. Una domanda di giustizia – 1.1. Il matrimonio all’estero come domanda di dignità – 1.2. La richiesta
di trascrizione come Litigation Strategy – 2. Risposte istituzionali: una reazione a catena – 2.1. I confini
dei poteri: l’impropria curvatura rappresentativa di una funzione dei sindaci? – 2.2. La chiusura delle
istituzioni politiche – 2.3. Circolare Alfano e annullamenti prefettizi davanti alla giurisprudenza amministrativa di primo grado – 2.4. A proposito di confini: cosa pensa il Consiglio di Stato della riserva di
giurisdizione in materia di stato civile? – 2.5. Se la parola passa al giudice ordinario: c’è un orizzonte
oltre la sentenza 4184 del 2012 della Cassazione? – 3. In attesa della prossima puntata (considerazioni
di breve periodo con riguardo alla sentenza costituzionale 138/2010 come perimetrazione della discrezionalità)
Abstract
L’articolo considera la vicenda della trascrizione dei matrimoni same-sex celebrati all’estero, dal punto di
vista del diritto costituzionale analizzando la domanda di giustizia, le risposte della politica, le contraddizioni della giurisprudenza. I sindaci sono intervenuti con una forzatura rappresentativa del proprio
ruolo in materia di tenuta dei registri dello stato civile ed il ministro dell’interno ha reagito con una netta
chiusura nel merito e affidando ai prefetti un’azione repressiva che ignora la riserva di giurisdizione
prevista in materia di stato civile. La giurisprudenza si divide: rovesciando le decisioni prevalenti dei
Tar in primo grado, il Consiglio di Stato riconosce la legittimità del potere di annullamento dei prefetti;
fonda però la propria decisione su una interpretazione del matrimonio same-sex come inesistente che la
giurisprudenza ordinaria ha abbandonato definitivamente. La Litigation Strategy, che puntava a rendere
visibile il tema ed a stimolare il dibattito politico, fino ad oggi, non è riuscita né ad ottenere dai giudici
il riconoscimento del diritto alla trascrizione del matrimonio, né ad imporre alla politica un intervento
legislativo soddisfacente.
The article aims at providing an overview of the legal attempts to secure the registration of same-sex marriages
celebrated abroad from the point of view of constitutional law. As far as some Mayors forced their function as
registrars (which should be held on behalf of the State rather than as politically responsible actor), the Ministry of
the Interior ordered the Prefects to act against the Mayor’s registrations by an ex officio cancellation of recordings,
ignoring that any abrogating power remains an exclusive prerogative of the judiciary according to the law. The
Judges are divided: overruling the Tar judgements, the Council of State stated that the Prefect’s repeal was not
unlawful; according to this decision the same-sex marriage must be considered non-existent, but such an interpretation has been definitively overtaken by the civil justice. Up to now, the adopted Litigation Strategy, that was
intended to stimulate a political solution, hasn’t got the recognition of same-sex marriage neither by sentence, nor
by law.
*
Ordinaria di Diritto Costituzionale, Università di Bergamo.
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Focus: La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di giustizia
Barbara Pezzini
1. Una domanda di giustizia
Lo snodarsi della vicenda italiana delle trascrizioni nei registri di stato civile di matrimoni contratti
all’estero tra due persone dello stesso sesso ci offre, tra i molteplici punti di vista rilevanti in questa
materia, anche la possibilità (e, da un certo punto di vista, la necessità) di interrogare specifici profili
costituzionalistici che emergono dalla trama della questione, il primo dei quali consiste nella presenza
di una domanda di giustizia che approda davanti ad un giudice al quale viene chiesto di garantire la trascrizione nei registri dello stato civile italiano di un matrimonio tra cittadini/e italiani/e dello stesso
sesso celebrato in uno stato estero.
La pretesa di trascrizione dello status coniugale acquisito all’estero — che sottende la rivendicazione di uguaglianza rispetto al trattamento delle coppie eterosessuali e di garanzia del mantenimento
dei diritti acquisiti di fronte ad un diverso ordinamento — si rivela refrattaria al rispetto sia dei confini
nazionali (che tradizionalmente delimitano la disciplina dei rapporti familiari), sia dei confini definiti
dall’eteronormatività (che costruiscono il privilegio dell’orientamento eterosessuale e definiscono in
base alla tradizione l’istituto del matrimonio1). Ma, nello stesso tempo, costituisce manifestazione di
una tendenza incorporata nel costituzionalismo contemporaneo: una volta data la possibilità di una
dimensione giuridica in cui si configurano diritti inviolabili della persona umana, la loro tutela giudiziaria
rappresenta per ogni essere umano la possibilità di inveramento della forza precettiva della uguaglianza costituzionalmente garantita (e della pari dignità sociale senza distinzione di sesso, né di condizioni
personali e sociali), in una sorta di ricaduta della promessa universalistica dei diritti “umani” (che reagisce alla degradazione di una situazione giuridica soggettiva acquisita).
C’è dunque, e innanzitutto, una rilevanza costituzionale della vicenda nella stessa domanda di
accesso alla giustizia: chi si rivolge al giudice, esprime l’acquisizione nella coscienza sociale del riconoscimento e della garanzia di diritti inviolabili. Quanto, d’altro canto, sia importante interrogare le vicende
del costituzionalismo contemporaneo a partire dalle domande e dal basso, ci è stato ampiamente sottolineato dalla riflessione della dottrina più avvertita2, e specificamente in tutti i contesti in cui vengano
in gioco, anche in senso lato, comparazioni tra ordinamenti. La costituzionalizzazione del principio di
uguaglianza ha trasformato temi e modi dell’analisi del giurista moderno, indirizzandolo a concentrarsi sulle parti e sugli amministrati prima ancora che sui giudici, sui legislatori e sugli amministratori:
considerando i bisogni non soddisfatti, il bargaining power (in termini di risorse finanziarie, informative,
organizzative), il tipo di rapporti e di interessi in cui sono coinvolte le parti che agiscono davanti ad un
giudice e chiedono tutela; così come apprezzando l’esistenza di garanzie costituzionali che riguardano
gli interessi in gioco, nonché degli ostacoli all’accesso e delle modalità di superamento di essi nei vari
contesti e nei vari paesi3.
1.1. Il matrimonio all’estero come domanda di dignità
La scelta di una coppia di persone dello stesso sesso che si sposa all’estero, in assenza del riconoscimento giuridico del matrimonio same-sex in Italia, espone all’esperienza di cambiare status familiae attraversando un confine di stato.
La discontinuità dello status, se guardata nel quadro di riferimento delle qualificazioni giuridiche,
risulta coerente con l’assunzione della cittadinanza come criterio che determina lo statuto individuale
delle persone e con il processo consolidato di “nazionalizzazione” della famiglia in atto dal diciannovesimo secolo4; se guardata dal punto di vista esistenziale, però, rivela un’esperienza di cui non può
1
L’eteronormatività instaura una connessione lineare tra sesso, genere e sessualità, in una concezione rigidamente binaria dei
generi che naturalizza il desiderio eterosessuale e lo assume come condizione di riferimento (e, in realtà, di pensabilità: nel
senso che le forme di espressione non-eterosessuali non solo vengono viste come deviazione dalla norma eterosessuale, ma
sono comunque da essa regolate: non vi è, infatti, alcuna omo-, bi- trans- inter sessualità senza il riferimento alla eterosessualità e al genere come categoria binaria): si veda il vol. 4, n. 7 del 2015 della rivista About Gender, L’eteronormatività tra costruzione e riproduzione, in www.aboutgender.unige.it, http://www.aboutgender.unige.it/index.php/generis/issue/view/11.
2
Come osservato da S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Bari, Laterza, p. 7, “è all’opera un nuovo costituzionalismo, che porta in
primo piano la materialità delle situazioni e dei bisogni”.
3
M. Cappelletti, Giustizia, accesso alla, in Enciclopedia delle scienze sociali Treccani, Roma, Treccani, 1994, par. 4.
4
M.R. Marella, G. Marini, Di cosa parliamo quando parliamo di famiglia, Bari, Laterza, 2014, p. 123: un processo che oggi difficilmente riesce a reggere le sfide delle società pluraliste e multiculturali e viene messo specificamente in crisi dalla relativa
facilità della circolazione dei modelli giuridici e delle persone.
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Focus: La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di giustizia
Barbara Pezzini
sfuggire il carattere problematico, proprio per la soluzione di continuità a cui espone i componenti della
coppia nel processo di costruzione e nella percezione della propria identità personale.
Qual è la domanda di giustizia implicata in questa esperienza, in particolare quando la scelta di
celebrare all’estero un matrimonio che non sarà riconosciuto in Italia proviene da una coppia che non ha
specifici legami e collegamenti con il paese in cui viene celebrato il matrimonio5?
Le motivazioni di ordine soggettivo e psicologico che spingono la coppia hanno a che fare con la
dimensione della dignità personale, nello specifico aspetto che attiene alla costruzione dell’identità personale attraverso le relazioni sociali (sia la specifica relazione di coppia, sia la più ampia trama delle relazioni sociali dalle quali si viene interpretati e riconosciuti); come tali, rilevano e sono immediatamente
apprezzabili in una dimensione giuridicamente rilevante, della quale non può sfuggire il legame con il
principio fondamentale del personalismo espresso dall’art. 2 Cost.
Oltre che per mezzo del riconoscimento e della legittimazione della relazione di coppia, l’affermazione della dignità personale si realizza attraverso l’esperienza di appartenenza ad un ordinamento non
discriminatorio6; sotto questo secondo profilo, in particolare, proprio con l’atto di sposarsi la coppia stabilisce con l’ordinamento straniero un legame che non può essere liquidato come puramente strumentale o fittizio: al contrario, l’atto di sposarsi realizza una adesione volontaria ed una identificazione con
quell’ordinamento, prescelto per l’apprezzamento e l’adesione alla sua qualità “non discriminatoria” e
alle sue prestazioni “anti-subordinazione”, in una sorta di “elezione di cittadinanza”.
La dignità nella dimensione giuridica esprime il valore della singola persona in quanto tale, in
quanto puramente e semplicemente persona umana, prima che sia pensabile o apprezzabile qualsiasi
ulteriore qualificazione (cittadinanza, genere, condizione sociale) ed ha una specifica rilevanza nell’ambito di ogni riflessione costituzionale sull’uguaglianza7. E nella domanda di dignità emerge il secondo
profilo di indubbia rilevanza costituzionale della vicenda.
1.2. La richiesta di trascrizione come Strategic Litigation
Ma c’è anche dell’altro che possiamo apprezzare, sempre osservando la vicenda delle trascrizioni dal
lato della domanda.
Come è noto, il primo passo è stato mosso da due uomini di Latina sposati in Olanda nel 2002, la cui
vicenda ha portato, nell’arco di un decennio, ad una prima parziale apertura sul tema della sentenza n.
4184/2012 della Corte di cassazione8: pur confermando l’impossibilità della trascrizione, la Cassazione
ha, infatti, abbandonato la categoria dell’inesistenza del matrimonio same-sex9, sostituendovi l’inidoneità a produrre gli effetti di matrimonio.
Il punto merita di essere sottolineato in duplice prospettiva: innanzitutto perché nell’argomentazione della Cassazione il superamento dell’inesistenza è un adeguamento imposto dall’evoluzione della
5
Scelta possibile sia nei paesi in cui la celebrazione del matrimonio prescinde dalla residenza dei nubendi (come Norvegia,
Portogallo, stato di New York), sia in quelli in cui l’acquisizione della residenza risulta particolarmente semplificata; è chiaro,
invece, che, quando anche uno solo dei due coniugi ha una residenza effettiva nello stato estero di celebrazione del matrimonio, vengono in primo piano motivazioni di ordine eminentemente “pratico” connesse all’assunzione di uno status riconosciuto nel paese di residenza.
6
Anche la Corte europea dei diritti umani ha ripetutamente — si vedano da ultimo il par. 174 di Oliari e altri c. Italia, 21 luglio
2015; par. 81 di Vallianatos c. Grecia, 7 novembre 2013 — messo in evidenza come il riconoscimento legale della unione abbia
in sé un valore intrinseco, anche a prescindere da un più preciso apprezzamento della portata dei suoi effetti legali, recando
un senso di legittimazione alle coppie same-sex, connesso alla ufficializzazione del legame di coppia da parte dello stato e al
profilo antidiscriminatorio (che riconosce la capacità di impegnarsi in relazioni stabili non diversamente da coppie eterosessuali).
7
La rilevanza giuridica del concetto di dignità apre ad una bibliografia sterminata; imprescindibile almeno G. Resta, La dignità,
in Trattato di biodiritto, Ambito e fonti del Biodiritto, S. Rodotà, MC. Tallacchini (a cura di), Milano, Giuffrè, 2010, p. 259; per una
aggiornata ed originale riflessione sul rapporto tra dignità e uguaglianza v. anche S. Niccolai, Il dibattito sulla svolta universalistica e dignitaria del diritto antidiscriminatorio,in Diritto e Società, 2014, p. 313. M.C. Vitucci, La tutela internazionale dell’orientamento sessuale, Napoli, Jovene, 2012, p. 191 e ss, rilevando che nel concetto di dignità si attua la compresenza dell’autostima
e del riconoscimento, propone di assumere il principio del rispetto della dignità umana come possibile fondamento unitario
del diritto all’orientamento sessuale.
8
Corte di cassazione, prima sezione civile, sentenza del 15 marzo 2012, n. 4184, su cui Le coppie dello stesso sesso: la prima volta
in Cassazione, R. Torino (a cura di), Roma, RomaTrE-Press, 2013.
9
Che aveva enunciato, anche se come obiter dictum, in precedenti pronunce (7877 del 2000, 1304 del 1990 e 1808 del 1976)
espressamente richiamate anche dalla Corte costituzionale nella sentenza 138/2010 (par. 6 C.I.D.).
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Focus: La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di giustizia
Barbara Pezzini
CEDU e in quanto tale può essere considerato un punto di non ritorno10; in secondo luogo, in quanto
determina una prima incrinatura del paradigma eterosessuale del matrimonio, che apre alla prospettiva
di uno slittamento progressivo della configurazione giuridica del matrimonio e spinge a uno sforzo di
rielaborazione delle categorie concettuali utilizzate11.
Saranno poi due uomini sposati a New York nel 2012 a rivolgersi al Tribunale di Grosseto: otterranno, in un primo momento (3 aprile 2014), una sommaria pronuncia che ordina la trascrizione del loro
matrimonio e, dopo l’annullamento per motivi procedurali ad opera della Corte d’appello di Firenze (19
settembre 201412), un secondo decreto del medesimo Tribunale (17 febbraio 2015), che, più ampiamente
argomentando, riconoscerà la legittimità della trascrizione ordinando al sindaco di provvedere13.
La prima pronuncia positiva del Tribunale di Grosseto agirà come moltiplicatore delle richieste di
trascrizione indirizzate ai sindaci, sollecitati direttamente a fare propria, nella gestione degli atti di stato
civile che l’ordinamento affida loro in quanto “ufficiali di stato civile”14, l’interpretazione che ritiene
possibile procedere alla trascrizione dell’atto di matrimonio celebrato all’estero (sia pure nell’incertezza
— o nell’ambiguità — degli effetti di tale trascrizione: se pienamente costitutivi di status ovvero solo
dichiarativi di un fatto che resterebbe incapace di modificare per l’ordinamento italiano lo stato civile
della persona)15.
L’attivismo — che non ottiene avanzamenti della giurisprudenza rispetto agli esiti della Cassazione16 — è inquadrabile nel contesto di una vera e propria Litigation Strategy (apertamente sostenuta
nell’ambito dell’associazionismo per i diritti LGBTI da Rete Lenford e da Certi diritti17). Nel contenzioso
10 Così si legge a pag. 71 della sentenza: “il limitato ma determinante effetto dell’interpretazione della Corte europea … sta
nell’aver fatto cadere il postulato implicito, il requisito minimo indispensabile a fondamento dell’istituto matrimoniale costituito dalla diversità di sesso dei nubendi” e da ciò deriva, come esplicitato a p. 75 il superamento della giurisprudenza sulla
diversità di sesso come requisito di esistenza “essendo stata radicalmente superata la concezione secondo cui la diversità di
sesso dei nubendi è presupposto indispensabile, per così dire “naturalistico” della stessa “esistenza” del matrimonio”. V.
oltre anche par. 2.4.
11 B. Pezzini, La sentenza 4184/2012 della Corte di Cassazione in una prospettiva costituzionale: il paradigma eterosessuale incrinato e la
faticosa rielaborazione di categorie concettuali, in Le coppie dello stesso sesso, R. Torino (a cura di), cit., p. 9-36.
12 Le due pronunce sono pubblicate in questa rivista, n. 2/2014, p. 253 sg.; il Tribunale di Grosseto, decreto del 3 aprile 2014,
ordinava la trascrizione non avendo rilevato nell’ordinamento italiano alcun impedimento alla trascrizione nei registri dello
stato civile dell’atto di matrimonio contratto all’estero, secondo le forme previste dalla legge straniera, non avendo la trascrizione natura costitutiva, ma soltanto certificativa e di pubblicità di un atto già valido di per sé sulla base del principio “tempus
regit actum”; l’annullamento da parte della Corte d’appello si basa sulla erronea notifica del ricorso al comune, anziché al
sindaco nella specifica veste di ufficiale del governo (sul punto v. anche oltre par. 2.1.).
13 In particolare, il Tribunale afferma di dover decidere se il rifiuto di trascrizione possa considerarsi legittimo alla luce di un
quadro normativo “che non può evidentemente demandare la tutela di situazioni giuridiche soggettive a possibili interventi legislativi”
e valorizza, in negativo, il superamento degli argomenti dell’inesistenza così come della contrarietà all’ordine pubblico, rilevando che l’unico ostacolo alla trascrivibilità “sarebbe costituito da considerazioni sull’orientamento sessuale” che ritiene “inaccettabili” sia ai sensi della Convenzione EDU”, sia, “ancor prima” della Costituzione. Il decreto è pubblicato in Articolo29, www.
articolo29.it.
14 Sulle ambiguità dell’intreccio nella figura del sindaco della veste di rappresentante politico della collettività locale e di quella
di organo periferico dell’amministrazione centrale v. oltre par. 2.1.
15 Una duplice ed alla fine incerta configurazione dei presupposti e degli effetti del matrimonio estero che il decreto della Corte
d’appello di Milano, 6 novembre 2015, n. 2286 segnala anche nella prospettazione dei motivi di impugnazione da parte dei
ricorrenti, che: “risultano declinati sia nel senso di proporre la possibilità della trascrizione perché conseguente alla asserita
validità ed efficacia del matrimonio tra persone dello stesso sesso, sia nel senso di affermare comunque la trascrivibilità del
matrimonio contratto all’estero ... con riferimento all’efficacia parziale che dal matrimonio deriverebbe, o a limitati effetti
della trascrizione stessa”. Il decreto è pubblicato su Articolo29, www.articolo29.it, con nota di M. Gattuso, Corte d’appello di
Milano: no alla trascrizione, ma lettura aperta dell’art. 29.
16 Oltre al Tribunale di Grosseto, solo la Corte d’appello di Napoli, 13 marzo 2015, risulta, per il momento, avere ordinato la
trascrizione (in un caso peculiare, in quanto le due coniugi che hanno in comune la cittadinanza francese: una di loro ha anche la cittadinanza italiana). Respinge le istanze di trascrizione già rigettate dagli uffici di stato civile il Tribunale di Milano,
17 luglio 2014 (decisione confermata dal decreto della Corte d’appello citato nella nota precedente); il Tribunale di Pesaro 21
ottobre 2014, n. 1428, accoglie il ricorso del procuratore della Repubblica contro la trascrizione effettuata dal sindaco di Fano;
anche Corte di cassazione, sentenza del 9 febbraio 2015, n.2400, conferma, insieme con l’impossibilità delle pubblicazioni —
oggetto della sentenza — la non trascrivibilità. Tutte le pronunce sono reperibili in Articolo29, www.articolo29.it.
17 Rete Lenford indica esplicitamente tra le proprie attività di assistenza giudiziale e stragiudiziale alle persone LGBTI, il patrocinio “avverso il diniego di trascrizione del matrimonio tra persone dello stesso sesso celebrato all’estero, nel caso deciso con
la sentenza della Corte di cassazione n. 4184/2012 e in altri procedimenti” sottolineando che l’associazione è impegnata non
solo in attività di assistenza a molte coppie che hanno chiesto la trascrizione del loro matrimonio, ma anche “di consulenza
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Focus: La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di giustizia
Barbara Pezzini
strategico, infatti, la pronuncia giudiziaria non interessa solo le parti formalmente in giudizio, ma mira
ad avere ricadute su una pluralità di soggetti formalmente estranei al giudizio, distinguendosi dal modello tradizionale della controversia privata; inoltre, il rimedio giudiziario non è concepito solo come
ripristino di una situazione o in chiave risarcitoria, ma è pensato in prospettiva e volto ad orientare
l’azione del legislatore. Sono caratteristiche che qualificano le azioni propriamente giudiziarie, ma che
si estendono anche alle azioni richieste ai sindaci: il riconoscimento ottenuto nel singolo comune, cui
viene dato ampio risalto, viene contestualmente proposto come esempio positivo di analoghi atti di altri
sindaci e come “pungolo” nei confronti degli organi statali legislativi e di governo. E, in ogni caso, la riflessione sulle prassi ed esperienze di Litigation Strategy mette in luce che la singola azione inserita in un
contesto strategico può avere un impatto giuridico e politico significativo anche indipendentemente dal
risultato positivo del caso specifico, in quanto ottiene visibilità davanti all’opinione pubblica, consente
di rappresentare una visione alternativa a quella dominante o mainstream ed è spesso un primo passo
nella direzione di un processo di riforma anche legislativo (in funzione contro maggioritaria).
Nel caso specifico, coinvolgendo i sindaci, la strategia punta soprattutto a rendere visibile il tema
ed a stimolare il dibattito politico, agendo anche sulle contraddizioni e contrapposizioni tra un livello
locale di rappresentanza politica ed il livello nazionale.
2. Risposte istituzionali: una reazione a catena
Nel momento in cui si raggiungono i sindaci, il tema cattura l’attenzione delle cronache e del dibattito
pubblico e innesca una “reazione a catena” nelle istituzioni politiche18: interventi e provvedimenti di
sindaci, ministro e prefetti si susseguono intrecciandosi, a loro volta, con una serie di reazioni che riconducono la vicenda alle giurisdizioni civile ed amministrativa.
Sono diversi i comuni nei quali i sindaci “aprono” alla trascrizione di matrimoni celebrati all’estero
(fra i primi a giugno 2014 Napoli, luglio Bologna, settembre Empoli)19, facendo ricorso ad una varietà di
strumenti di azione, che attestano un certo grado di confusione ed improvvisazione (procede con decreto il sindaco di Empoli; emanano circolari o direttive agli ufficiali di stato civile i sindaci di Bologna e di
Napoli; adotta un ordine di servizio il sindaco di Pordenone; procedono materialmente alle trascrizioni,
senza atti particolari, i servizi dei comuni di Roma, Milano, Livorno, Udine, Bagheria, Montelupo Fiorentino, Fano).
Laddove sono noti gli atti dei sindaci a fondamento dell’attività di trascrizione, le argomentazioni,
muovendo oltre la struttura tipica della motivazione di atto amministrativo, propongono una complessa costruzione di interpretazione adeguatrice della legge in senso costituzionalmente e convenzionalmente
orientato, con ampi richiami alle norme CEDU e alla giurisprudenza costituzionale, nonché alla giurisprudenza della Cassazione: della sentenza 4184/2012, tuttavia, non si accettano gli esiti confermativi
della intrascrivibilità, ribaltati in una trascrizione senza “effetto costitutivo di diritti e obblighi giuridici
soggettivi” ma con “efficacia meramente dichiarativa, idonea a rendere pubblica l’esistenza di un atto già di per
sé valido, secondo la legge dello stato in cui è stato posto in essere”20.
In taluni casi sono i consigli comunali, organo collegiale della rappresentanza politica locale, a
sollecitare i sindaci ad operare le trascrizioni (così il consiglio comunale di Latina, il cui sindaco però
giuridica nei confronti di sindaci che intendono trascriverli o li hanno trascritti” e che patrocina il ricorso alla Corte europea
dei diritti umani contro la sentenza della Cassazione n. 4184/2012 (www.retelenford.it/avvocatura-lgbti/curriculum-associazione.html); Certi Diritti nel documento LGBTI Road Map Italia 2014, Strategie contenziose, pur osservando (a inizio 2014,
prima della decisione del 3 aprile di Grosseto) che le cause già esperite non hanno mai condotto ad un esito positivo, né ad
un rinvio interpretativo ad altra corte, rilevata la pendenza davanti alla Corte EDU di una serie di ricorsi con i quali si contesta il diniego alla trascrizione di matrimoni e altre unioni, ritiene “utile nelle more del giudizio di Strasburgo provvedere a
nuovi tentativi poggianti sulle recentissime aperture della Corte di cassazione, così come su rafforzate argomentazioni fondate sul diritto dell’UE e istanze di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia”, in http://www.certidiritti.org/wp-content/
uploads/2014/04/20140303-Roadmap-con-abstract-senza-filigrana.pdf, v. anche G. Viggiani, Same-sex, different States. The
registration of foreign same-sex marriage in Italy, in LGBTI Persons and Access to Justice, A. Lorenzetti, M.F. Moscati (eds.), Wildy,
Simmonds & Hill Publishing, London, 2015, p. 222.
18 M. Winkler, G. Strazio, Il nostro viaggio. Odissea nei diritti LGBTI in Italia, Milano-Udine, Mimesis, 2014, p. 80.
19 Le prime fasi della vicenda sono puntualmente ricostruite da G. Biagioni, La trascrizione dei matrimoni same-sex conclusi all’estero nel recente provvedimento del Tribunale di Grosseto, in questa Rivista, n. 2014, 2, p. 195.
20 La formula che compare, con minime varianti, nei provvedimenti di Bologna, Napoli ed Empoli.
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rifiuta, o il consiglio comunale di Milano21). Si rileva uno slittamento verso linguaggi e formule più pertinenti nel contesto di una vera e propria assunzione di responsività politica nei confronti della comunità
locale che li ha eletti, che diventerà ancora più evidente per i sindaci che agiranno dopo l’intervento del
ministro dell’interno ed in polemica dichiarata con lo stesso22.
A questo punto non può mancare, né stupire, l’intervento del soggetto a cui l’ordinamento attribuisce espressamente il potere di indirizzo in materia di funzione di tenuta dei registri dello stato civile
(art. 9 d.p.r. 396/2000: “1. L’ufficiale dello stato civile è tenuto ad uniformarsi alle istruzioni che vengono
impartite dal Ministero dell’interno. 2. La vigilanza sugli uffici dello stato civile spetta al prefetto”); da
un lato, il ministro ha la necessità di aggiornare le proprie direttive in materia23 alla luce dell’evoluzione
interpretativa che è stata imposta dalla sentenza 4184 della Corte di cassazione24; dall’altro, ha la responsabilità di garantire una applicazione uniforme sul territorio nazionale.
La circolare del ministro Alfano del 7 ottobre 2014 intende arrestare la prassi innovativa promossa
dai sindaci: nel merito, contestando la soluzione interpretativa con cui le trascrizioni sono state giustificate, e per quanto riguarda gli strumenti di intervento, sollecitando i prefetti ad una azione di controllo e
repressione (dopo avere formalmente invitato i sindaci al ritiro degli atti di indirizzo e alla cancellazione
delle trascrizioni, dovranno procedere, in caso di inerzia, all’annullamento d’ufficio degli atti illegittimamente adottati).
La circolare Alfano non ferma, come si è visto, l’iniziativa dei sindaci, ma sollecita a sua volta il seguito giudiziario delle vicende: in alcuni casi, alle trascrizioni operate dai sindaci aveva già fatto seguito
il ricorso da parte del procuratore della Repubblica (ex art. 95, co. 2, del regolamento di stato civile n.
396/2000) all’autorità giudiziaria che aveva ordinato la cancellazione (così, Tribunale di Pesaro cit. sopra in nota 15); in altri, è l’intervento del prefetto — l’annullamento e l’annotazione dello stesso a margine delle trascrizioni25 — a provocare la reazione di chi aveva richiesto la trascrizione in sede giudiziaria,
in particolare agendo per l’annullamento degli atti prefettizi davanti alla giustizia amministrativa.
2.1. I confini dei poteri: l’impropria curvatura rappresentativa di una funzione dei sindaci?
Nei confronti dei sindaci, la circolare Alfano rappresenta comunque uno spartiacque: se, prima di essa,
la trascrizione appare sorretta da un’attività, più o meno convincente, di interpretazione della legge autorizzata dalla novità marcata dalla Cassazione 4184/2012 — che quantomeno permette di considerare
superate le indicazioni delle precedenti circolari, nella misura in cui abbandona l’argomento del limite
dell’ordine pubblico su cui quelle si basavano —, una volta che il ministro ha preso una esplicita posi-
21 La mozione del 17 aprile 2014, del consiglio comunale di Latina, n. 35, è consultabile nelle delibere del consiglio: www.comune.latina.it, http://212.66.110.89/AlboPretorio/Bacheca/coatti03.aspx?id=2566664&noFirma=N&bac_codice=5&nal=3; per
il comune di Milano, la stampa ha dato notizia che il 6 ottobre 2014 il consiglio comunale ha approvato l’ordine del giorno
Gibillini-Cappato: “Il Consiglio Comunale INVITA il sindaco a trovare le migliori modalità al fine di poter trascrivere su
richiesta degli interessati gli atti attestanti la celebrazione di matrimoni contratti all’estero tra persone dello stesso sesso e a
farsi promotore, presso l’Associazione Nazionale Comuni Italiani, dell’attuazione di un documento di sostegno al matrimonio egualitario e al riconoscimento di pieni ed uguali diritti alle coppie dello stesso sesso. Invita la Giunta a promuovere iniziative inclusive di tutte le famiglie e rispettose dei diritti e doveri per ciascuna di esse”, v. sul sito di Pressenza – International
Press Agency, http://www.pressenza.com/it/2014/10/consiglio-comunale-milano-6-ottobre-2014-riconoscere-i-matrimonicontratti-allestero-sesso/.
22 Le dichiarazione del sindaco di Milano, che afferma apertamente di contrapporsi alla circolare Alfano, sono riportate dalla
stampa in data 9 ottobre 2014, si veda ad es.: http://milano.repubblica.it/cronaca/2014/10/09/news/nozze_gay_pisapia_
rilancia_contro_alfano_ho_trascritto_sette_matrimoni_celebrati_all_estero-97734882/.
23 Ancora nella circolare del 18 ottobre 2007, n. 55, il divieto di trascrizione era fondato sul con l’ordine pubblico interno: “si
ricorda che in mancanza di modifiche legislative in materia, il nostro ordinamento non ammette il matrimonio omosessuale e
la richiesta di trascrizione di un simile atto compiuto all’estero deve essere rifiutata perché in contrasto con l’ordine pubblico
interno”.
24 Che richiama esplicitamente, evitando comunque di riproporre l’argomento dell’ordine pubblico e richiamandosi alla riserva
al legislatore nazionale di ogni intervento implicante un superamento del paradigma eterosessuale del matrimonio, anche se
con effetti limitati alla conoscibilità e pubblicità di uno status che, in quanto tale, non sarebbe in grado di produrre effetti in
Italia (“nonostante la trascrizione abbia natura meramente certificativa e dichiarativa”).
25 Per quanto riguarda il comune di Roma, ad esempio, il prefetto, con decreto prot. 247747/2014 del 31 ottobre 2014, richiamata
la circolare Alfano del 7 ottobre 2014 e ritenuto che il sindaco non aveva proceduto all’annullamento della trascrizione di tali
matrimoni, cui era stato in precedenza invitato dallo stesso prefetto, decretava l’annullamento delle trascrizioni ed ordinava
al sindaco di annotare il provvedimento nel relativo registro dello stato civile; il 5 dicembre 2014 un delegato del prefetto
si recava negli uffici dello stato civile del comune per effettuare materialmente la cancellazione delle trascrizioni, mediante
annotazione del decreto prefettizio a margine.
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zione contraria la trascrizione risulta consapevolmente e apertamente disposta in contrasto con il potere
di indirizzo del ministro in questa materia.
È questo un nodo sottovalutato o eluso dalla Litigation Strategy.
Ai sindaci vengono rivolte domande che intrecciano e sovrappongono impropriamente due ruoli
— di ufficiale di governo e di organo monocratico esponenziale della collettività locale — distinti per
fondamento e legittimazione, rischiando di sollecitare un esercizio “sviato” dei poteri attribuiti nello
specifico; viene loro richiesto di agire in nome di una rappresentanza politica della collettività locale che,
nello svolgimento della funzione di tenuta dei registri dello stato civile, in realtà non c’è e non ci può
essere26: ne risulta una forzatura della rappresentatività dell’organo monocratico, che è ricorrente da
quando, in forza della legittimazione attribuita dall’elezione diretta, il sindaco è stato onorato e onerato
di un sovraccarico di rappresentatività, trovandosi direttamente investito a trecentosessanta gradi dalle
domande politiche che provengono dalla collettività locale27. La forza della componente rappresentativa della figura del sindaco prende il sopravvento, anche attraendo e catalizzando intorno a sé domande
di giustizia e dignità, alle quali però, nel caso di specie, non è oggettivamente nelle condizioni di fornire
risposta adeguata, tale non potendo evidentemente essere la costruzione di un sistema dello stato civile
“a macchia di leopardo”.
E per quanto la reazione a catena si espanda in orizzontale (ove è scattata tra i sindaci una sorta di
emulazione politica, di portata significativa benché quantitativamente limitata, che ha creato il “caso
politico”, guadagnando visibilità ai problemi delle coppie dello stesso sesso), fallisce nella dimensione
verticale (dove, nonostante il clamore mediatico, l’inerzia del legislatore non è ancora stata superata).
Una risposta di sistema in termini di riforma legislativa non si produce, e con essa si perde la possibile
funzione contro maggioritaria della Litigation Strategy.
La linea di demarcazione che separa distinzione i due ruoli del sindaco viene percepita problematicamente anche in giurisprudenza.
Da un lato, abbiamo già visto come la Corte d’appello di Firenze abbia annullato il primo decreto
del Tribunale di Grosseto constatando una violazione del principio del contraddittorio, perché in primo
grado era stato evocato in giudizio il Comune di Grosseto, mentre le attribuzioni in materia di stato
civile spettano al sindaco in quanto delegato del governo ed il ministro avrebbe dovuto essere parte
necessaria del procedimento. Sulla stessa linea, quando il comune di Udine interviene ad adiuvandum
nel giudizio davanti al Tar Friuli, il giudice amministrativo non solo ritiene inammissibile l’intervento,
rilevando che “l’interesse del Comune in quanto tale può essere di tipo ideologico, politico o di altro
genere, ma non certo giuridicamente apprezzabile in sede di giudizio amministrativo di legittimità e
tale da giustificare un intervento ad adiuvandum (e nemmeno in ipotesi un intervento ad opponendum)”,
ma trasmette gli atti di causa alla Procura regionale della Corte dei Conti, per l’eventuale danno erariale
in relazione alla somma stanziata dal Comune per il suo intervento in giudizio (1.459,12 euro) e posta a
carico del bilancio comunale28.
Il Tar Lombardia apprezza invece diversamente, e positivamente, l’intervento del sindaco e del
comune di Milano, non solo ad adiuvandum nei confronti della coppia dello stesso sesso coniugata all’estero che agisce contro l’annullamento prefettizio della trascrizione che aveva ottenuto, ma anche in
proprio 29; tanto che, una volta declinata la propria giurisdizione in merito al ricorso della coppia, ammette ed accoglie il ricorso del comune e del sindaco, perché la titolarità di una posizione sostanziale
conferisce la legittimazione ad agire a tutela delle funzioni attribuite direttamente dalla legge, senza che
assumano rilievo determinante la qualifica di ufficiale del governo del sindaco e la sottoposizione della
26 Per l’art. 1 del d.p.r. 396/2000: “Ogni comune ha un ufficio dello stato civile. 2. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, o chi
lo sostituisce a norma di legge, è ufficiale dello stato civile”; ai sensi dell’art. 54, co. 3, del d.lgs. 267/2000 “Il sindaco, quale
ufficiale del Governo, sovrintende, altresì, alla tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e agli adempimenti demandatigli dalle leggi in materia elettorale, di leva militare e di statistica”.
27 Innegabile l’analogia con l’impropria curvatura rappresentativa impressa alle ordinanze sindacali dalla riforma del 2008
dell’art. 54 del testo unico enti locali: v. Le ordinanze sindacali in materia di incolumità pubblica e sicurezza urbana. Origini, contenuti, limiti, A. Lorenzetti, S. Rossi (a cura di), Napoli, Jovene, 2011.
28 Tribunale amministrativo regionale Friuli Venezia Giulia, sentenza del 21 maggio 2015, n. 228, in Articolo29, www.articolo29.
it.
29 I ricorrenti avevano impugnato il decreto 4 novembre 2014, prot. n. 0084149/2014, con il quale il prefetto di Milano aveva disposto l’annullamento della trascrizione; successivamente, sindaco e comune hanno presentato un ricorso per motivi aggiunti chiedendo l’annullamento del provvedimento prefettizio dell’11 febbraio 2015, n. 0011886/2015, di delega al vice prefetto
e finalizzato all’annotazione del decreto prefettizio n. 84149/2014 di annullamento delle trascrizioni del matrimonio della
coppia ricorrente, unitamente alle tredici annotazioni effettuate in pari data, riguardanti ulteriori analoghi atti di matrimonio
ritenuti non trascrivibili.
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sua attività al potere gerarchico del prefetto o del ministro, giacché non si è al cospetto di una gerarchia
propria (che consentirebbe al superiore di annullare l’atto del sottoposto in via diretta, inibendo l’intervento del giudice)30.
2.2. La chiusura delle istituzioni politiche
Anche a prescindere dalle perplessità suscitate dall’intervento dei sindaci, non pare discutibile l’esigenza di un indirizzo sulla questione delle trascrizioni che sia univoco ed unitario su tutto il territorio
nazionale.
È semmai nel merito che la risposta delle istituzioni politiche alla domanda di giustizia si rivela
deludente.
La circolare Alfano, negando qualsiasi forma di riconoscimento del matrimonio all’estero, si limita
a ribadire che “ l’eventuale equiparazione dei matrimoni omosessuali a quelli celebrati tra persone di
sesso diverso e la conseguente trascrizione di tali unioni nei registri dello stato civile rientrano nella
competenza esclusiva del legislatore nazionale”.
Nessuna apertura alla sostanza della domanda di giustizia, nessuna dichiarazione che garantisca
un impegno del governo sul tema, nessuna prospettiva di soluzione alla condizione di degradazione
dello status e di incertezza giuridica delle coppie same-sex coniugate all’estero una volta rientrate in
Italia. Il governo non solo conferma nei fatti la chiusura alla prospettiva del matrimonio per tutti, ma
evita accuratamente di richiamare la discussione in corso in sede parlamentare sulla disciplina delle
unioni civili tra persone dello stesso sesso — all’interno della quale viene affrontato anche il tema delle
trascrizioni dei matrimoni —, omettendo qualsiasi impegno, fosse anche solo quello della definizione di
un orizzonte temporale certo. Si noti che, invece, la difesa del governo davanti alla Corte di Strasburgo
nella discussione sul caso Oliari31, aveva richiamato le dichiarazioni del presidente del consiglio sulla
massima priorità assegnata al riconoscimento legale delle unioni civili same-sex e sulla sostanziale corrispondenza dei contenuti del d.d.l. n. 14 in discussione al senato alla istituzione matrimoniale32; con una
certa qual spregiudicatezza, il governo si era persino spinto a sostenere che, in seguito alla decisione
del Tribunale di Grosseto, la registrazione dei matrimoni celebrati all’esterno sarebbe diventata prassi
comune in Italia33.
Affidata alla dialettica parlamentare (d.d.l. Cirinnà)34, la risposta consiste nella conversione dei
matrimoni esteri in unione civile: una “degradazione” che, per di più, utilizza una tecnica normativa di
rinvio (delegazione legislativa)35, particolarmente deludente in un contesto già segnato da ritardi oltre
ogni tollerabilità (che hanno condotto alla condanna dell’Italia nel caso Oliari).
Alla chiusura sul piano politico la circolare Alfano accosta una insolita durezza nell’esercizio del
potere di vigilanza e controllo nei confronti dei sindaci, non limitandosi ad utilizzare il potere di indirizzo indubbiamente — ed opportunamente — spettante al ministro in questa materia, né a sollecitare
30 Tribunale amministrativo regionale Lombardia, Sezione Terza, 29 settembre 2015, n. 2037.
31 Corte europea dei diritti umani, 21 luglio 2015, Oliari and Others v. Italy, C - 18766/11 e 36030/11, pubblicata in Articolo29,
www.articolo29.it, con nota di G. Zago, A victory for italian same-sex couples, a victory for European homosexuals? A commentary
on Oliari v. Italy.
32 Par. 126: “They referred particularly to the President of the Italian Council of Ministers, who had publicly claimed to have assigned top
priority to the legal recognition of same-sex unions and to the imminent discussion and examination in the Senate of Bill no. 14 on civil
unions for same-sex couples, which, in terms of obligations, specifically corresponded to the institution of marriage and the rights therein,
including adoption, inheritance rights, the status of a couple’s children, health care and penitentiary care, residence and working benefits”.
33 Par. 127: “they referred to … the decision of the Tribunal of Grosseto (see paragraph 37 above): according to the Government, subsequent
to the latter decision registration of such marriages became the common practice (an example was the decision of the Municipality of
Milan of 7 May 2013)”.
34 Nella quale, però, la difficoltà di raggiungere una sintesi sul tema tra le diverse componenti del governo Renzi gioca un ruolo
non secondario, come rendono noto le cronache politiche che accompagnano le varie fasi dell’iter parlamentare (da ultimo,
nell’ottobre 2015, in occasione dell’incardinamento in aula del d.d.l. Cirinnà bis e della discussione sulle ipotesi di calendarizzazione, vengono evidenziati i contrasti tra gli esponenti del Nuovo Centro Destra, la c.d. componente catto-dem e l’area
laica del Partito Democratici, paventando convergenze con parti dell’opposizione, in particolare del Movimento 5 Stelle, e
sottolineandone i rischi per la tenuta della maggioranza).
35 L’art. 7, 1, lett b) del ddl Cirinnà (conservato anche nella seconda versione d.d.l. Cirinnà bis), dispone la delega al governo ad
adottare d.lgs. di modifica e riordino delle norme in materia di diritto internazionale privato, prevedendo l’applicazione della
disciplina della unione civile tra persone dello stesso sesso regolata dalle leggi italiane alle coppie formate da persone dello
stesso sesso che abbiano contratto all’estero matrimonio, unione civile o altro istituto analogo.
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la vigilanza dei prefetti36, alla quale potrebbe seguire, quando fossero ravvisati comportamenti difformi
dalle direttive impartite, la segnalazione al Procuratore della Repubblica ai fini del suo intervento ex art.
95 del d.p.r. 396/2000; come visto sopra, la circolare chiede ai prefetti di procedere fino “all’annullamento d’ufficio degli atti illegittimamente adottati, ai sensi del combinato disposto degli articoli 21 nonies
della legge 241 del 1990 e 54, commi 3 e 11, del d.lgs 267/2001”37.
Ciò che la circolare sembra ignorare è il regime speciale che caratterizza l’ordinamento di stato civile,
configurando una “amministrazione pubblica di diritto privato esercitata da organi giudiziari”38, a cui
fondamento sta la necessità di una tutela svolta da organi giurisdizionali su ogni contestazione relativa
alle vicende degli atti di stato civile. La riserva di giurisdizione, che deriva dagli art. 95 d.p.r. 396/2000 e
453 c.c., non concerne il primo grado dell’atto (l’attività amministrativa di trascrizione ai fini di certezza)
ma un secondo grado della vicenda trascrittiva (quando viene messa a tema una rettificazione, ricostituzione, formazione di atto omesso, cancellazione di atto indebitamente registrato, opposizione al rifiuto), partecipando, secondo le forme della volontaria giurisdizione, delle garanzie della giurisdizione
(l’imparzialità tipica della giurisdizione restando presente, ma con l’attenuazione data dall’inidoneità
alla cosa giudicata).
La necessità di coordinare la riserva di giurisdizione in materia di stato civile con i poteri di indirizzo, vigilanza e intervento nella catena di comando ministro – prefetto – sindaco, impone di riflettere sui
confini tra giurisdizione e amministrazione.
2.3. Circolare Alfano e annullamenti prefettizi davanti alla giurisprudenza amministrativa
di primo grado
La giurisprudenza amministrativa, chiamata in causa a valle degli interventi prefettizi sulle trascrizioni,
individua in primo grado uno sconfinamento dell’esecutivo a danno della giurisdizione (con l’isolata
eccezione del Tar Veneto39).
Per il Tar Lazio40 e Friuli Venezia Giulia41 ne consegue l’annullamento del provvedimento del prefetto.
Per quanto riguarda il Tar Lazio, l’esercizio di un diretto di intervento del prefetto sui registri dello
stato civile non è legittimo, anche se va riconosciuta la legittimità della circolare Alfano nella parte in cui
afferma l’intrascrivibilità dei matrimoni tra persone dello stesso sesso in considerazione del difetto di
un requisito sostanziale richiesto dalla normativa vigente in materia di stato e capacità delle persone (la
diversità di sesso dei nubendi), che non può essere superato dalla mera circostanza dell’esistenza di una
celebrazione valida secondo la lex loci ma priva dei requisiti sostanziali prescritti dalla legge italiana relativamente allo stato e alla capacità delle persone. In particolare, la sentenza del Tar Lazio n. 3912/2015,
rileva che la normativa esclude qualsivoglia intervento sostitutivo del prefetto (se non quello, espressamente previsto, per il caso di inerzia del sindaco) e attribuisce ad un organo terzo, in via esclusiva, il
36 L’art. 104 del D.P.R. n. 396 cit. prevede che “il prefetto, o chi da lui delegato, si deve recare almeno una volta ogni anno negli
uffici dello stato civile compresi nella propria provincia per verificare se gli archivi sono tenuti con regolarità e con precisione”; si tratterebbe di rapporto di vigilanza generico, che non sottrae la titolarità della funzione all’organo vigilato, unico
soggetto individuato dalla legge a svolgere quel compito (in tal senso, Tribunale amministrativo regionale Abruzzo, L’Aquila,
I, sentenza del 3 dicembre 2014, n. 860; Tribunale amministrativo regionale Lombardia, Milano, II, sentenza del 8 febbraio
2011, n. 384).
37 Ai sensi dell’art. 54, co. 11, del d.lgs. 267 /2000 “nel caso di inerzia del sindaco o del suo delegato nell’esercizio delle funzioni
previste dal comma 10, il prefetto può intervenire con proprio provvedimento”.
38 G. Zanobini, Sull’amministrazione pubblica di diritto privato, Milano, Società editrice libraria, 1918.
39 Il Tribunale amministrativo regionale del Veneto, Sezione Prima, sentenza del 29 luglio 2015, n. 878, inquadra gerarchicamente la relazione tra ministro, prefetto e sindaco in ordine alla funzione di tenuta dei registri di stato civile e in tale contesto
ridimensiona la riserva di legge dell’art. 95 reg. ord. st. civ. leggendo la disposizione nel senso “che essa abbia quale punto di
riferimento il singolo individuo che chiede la rettificazione di un atto di stato civile che lo riguardi, e non anche il Ministro
dell’Interno, ovvero il prefetto, nell’atto di rimuovere l’illegittima trascrizione di una tipologia di matrimonio allo stato non
riconosciuto dall’ordinamento giuridico, a fronte, peraltro, del rifiuto espresso da parte del sindaco in questione di procedere
in tal senso”.
40 Tribunale amministrativo regionale Lazio, sentenze nn. 3907-3911-3912/2015; per un commento su questo punto v. F.V. Virzì,
La trascrizione del matrimonio omosessuale e la potestà amministrativa di autotutela dinanzi all’atto di certezza. Commento alla sentenza
Tar Lazio, Sezione I-ter, n. 3912, 2015, in Osservatorio AIC, www.osservatorioaic.it, 2015.
41 Tribunale amministrativo regionale Friuli Venezia Giulia, sentenza del 21 maggio 2015, n. 228, in Diritti fondamentali, www.
dirittifondamentali.it.
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potere di incidere sui registri dello stato civile così come risultano gestiti dal sindaco; aggiunge anche
che la particolarità dell’intervento dell’autorità giudiziaria trova fondamento nel diverso rilievo che
l’ordinamento attribuisce alla materia dello stato civile rispetto alla gestione della pubblica sicurezza,
che si caratterizza più per l’aspetto tecnico-operativo che ben giustifica l’esistenza di un rapporto di
dipendenza gerarchico-funzionale fra prefetto e sindaco.
Il Tar Friuli, nella sentenza n. 228/15, pur premettendo l’illegittimità della trascrizione disposta
dal sindaco di Udine, ritiene che il provvedimento prefettizio impugnato non sia idoneo a eliminarla
dall’ordinamento, per ragioni fondate sulla prevalenza della disciplina speciale dell’ordinamento di
stato civile su quella generale degli atti amministrativi. Osserva, infatti, che l’art. 9 del d.p.r. n. 396/2000
conferisce al ministro il potere di “indirizzo” ed al prefetto il potere di “vigilanza” sugli uffici di stato civile: quest’ultima trova specificazione nel medesimo decreto ove si indicano gli atti dei quali si deve dare
comunicazione al prefetto prevedendo, all’articolo 104, le verificazioni che egli deve compiere presso
gli uffici di stato civile che, ex articolo 105, si concludono con la redazione di un verbale e non con la
modifica delle risultanze dei registri di stato civile o con l’adozione di provvedimenti destinati a tal fine.
In sostanza, la normativa di riferimento non prevede un potere di annullamento o d’intervento diretto
dell’amministrazione dell’interno sugli atti dello stato civile e il potere sostitutivo può essere esercitato
solo nel caso di inerzia e non, come nel caso di specie, nell’ipotesi in cui il sindaco abbia esercitato —
ancorché illegittimamente — le funzioni; d’altra parte il prefetto, sostituendosi al sindaco, non potrebbe
esercitare poteri maggiori di quelli vantati da questo ultimo, il quale non può annullare le trascrizioni,
sicché atti del genere non può assumerli neanche il prefetto. La normativa speciale prevista per la tenuta
dei registri di stato civile prevede un unico mezzo per modificare e correggere un atto di stato civile
illegittimo, il ricorso all’autorità giudiziaria ordinaria ex articolo 95 del d.p.r. 396 del 2000; trattandosi di
una normativa esaustiva e compiuta al suo interno, non vi è alcuna necessità né di ricorrere alle norme
generali sul provvedimento amministrativo né ad alcun tipo di applicazione analogica o estensiva.
I Tar della Toscana42 e della Lombardia43, invece, traggono dalla riserva di giurisdizione la più radicale conseguenza dell’inammissibilità dei ricorsi delle coppie che avevano chiesto, e in un primo momento anche ottenuto, la trascrizione per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
Per il solo Tar di Milano la giurisdizione del giudice amministrativo sussiste, tuttavia, per prendere in esame la posizione del sindaco e del comune in quanto soggetti pubblici che hanno un interesse
qualificato alla corretta gestione del servizio, tipicamente statale, loro delegato; diversamente, infatti,
secondo il Tar, si potrebbe profilare un vuoto di tutela contrastante con l’art. 113 Cost. in relazione ad un
rapporto di diritto pubblico, quale è quello intercorrente tra comune, ministero e prefettura, avente ad
oggetto una potestà di tipo pubblicistico, quale è la tenuta dei registri dello stato civile. Secondo il Tar
lombardo, la posizione dei soggetti interessati dall’atto di trascrizione assume la consistenza di diritto
soggettivo perfetto che — laddove ritenuto sussistente dal giudice ordinario, quale giudice naturale dei
diritti — non potrebbe essere compresso o degradato per il tramite di un provvedimento amministrativo; in materia di stato delle persone, infatti, non può ammettersi un intervento atipico dell’autorità amministrativa, ma si deve affidare ad un organo indipendente la definitiva conformazione delle posizioni:
da ciò deriva che il comune e il sindaco non possono essere obbligati a modificare il contenuto degli atti
già trascritti, pena la violazione della normativa di settore — ossia dell’ordinamento dello stato civile
— e la concreta possibilità di produrre delle lesioni dello status giuridico di soggetti dell’ordinamento,
unitamente al concreto rischio di essere esposti a profili di responsabilità nei diversi ambiti.
2.4. A proposito di confini: cosa pensa il Consiglio di Stato della riserva di giurisdizione in materia
di stato civile ?
L’orientamento amministrativo, che pareva profilarsi nel senso di una individuazione nella sola giurisdizione civile della sede competente a conoscere di ogni eventuale contestazione in ordine alla possibilità di trascrizione di un matrimonio same-sex contratto all’estero, viene però contraddetto dalla sentenza del Consiglio di stato, terza sezione, 26 ottobre 2015, n. 489744.
Il Consiglio di stato, accogliendo l’appello proposto dal ministro dell’interno e dal prefetto, riconosce la legittimità dell’annullamento della trascrizione da parte del prefetto in esecuzione degli indirizzi del ministro: la potestà di annullamento, secondo il Consiglio di stato, è conseguenza del potere
gerarchico di sovraordinazione del prefetto al sindaco nella funzione di tenuta dei registri di stato civile
42 Tribunale amministrativo regione Toscana, I, sentenza del 25 settembre 2015, n. 1291.
43 Tribunale amministrativo regione Lombardia, sentenza del 29 settembre 2015, n. 2037.
44 E dalle contestuali n. 4898 e 4899, che ne riproducono testualmente la motivazione; le tre sentenze riformano, nell’ordine, i
giudizi del Tribunale amministrativo regionale Lazio n. 3912, 3907 e 5924 del 2015.
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Barbara Pezzini
e deve “intendersi implicitamente implicata dalle funzioni di direzione (art. 54, comma 12, d.lgs. cit.),
sostituzione (art. 54, comma 11, d.lgs. cit.) e vigilanza (art. 9, comma 2, d.P.R. cit.)».
D’altro canto, diversamente da quanto ritenuto in primo grado dal Tar, per il Consiglio di stato non
vi sarebbe stato alcuno sconfinamento nel territorio della giurisdizione riservata al giudice ordinario.
Sia per una lettura restrittiva dell’espressione “annotazione” usata nell’art. 453 c.c. (che non può
ritenersi ostativo all’esercizio dei poteri di eliminazione dell’atto da parte dell’autorità amministrativa
titolare della funzione di tenuta dei registri dello stato civile ma deve intendersi limitato all’affidamento
al giudice ordinario dei soli poteri di annotazione); sia in quanto la legge “postula, per la sua applicazione, l’esistenza di atti astrattamente idonei a costituire o a modificare lo stato delle persone”, mentre
la trascrizione di un matrimonio same-sex celebrato all’estero deve essere ritenuta un atto “radicalmente
inefficace” e “del tutto incapace di assegnare alle persone menzionate lo stato giuridico di coniugato”
rendendo l’esigenza del controllo giurisdizionale recessiva (se non inesistente).
Ed anzi, il sistema del controllo giurisdizionale appare al Consiglio di stato unicamente rivolto alla
tutela dei diritti e degli interessi delle persone fisiche contemplate nell’atto, mentre non sarebbe funzionale alla protezione di interessi pubblici (dal momento che il procuratore della repubblica avrebbe una
mera facoltà e non il dovere di intervenire in presenza di violazioni di legge); tale esigenza risulterebbe
“soddisfatta solo da un adeguato strumento amministrativo di correzione di atti dello stato civile abnormi ed eseguiti in difformità dalle istruzioni impartite dall’autorità statale titolare della funzione”,
identificato nell’intervento del prefetto in autotutela gerarchica, capace di garantire quell’uniformità di
indirizzo sul territorio nazionale che il giudice ordinario “per il carattere diffuso e indipendente della
sua attività rischia di vanificare”.
La sentenza, inoltre, respingendo l’appello incidentale proposto in relazione alla statuizione della
sentenza di primo grado relativa alla illegittimità della trascrizione, ricostruisce il requisito della diversità di sesso tra i coniugi come prima condizione di validità ed efficacia del matrimonio.
Nella pronuncia del Consiglio di stato emergono alcune incoerenze, che indeboliscono la trama
argomentativa.
La sentenza muove preliminarmente dal tema dell’appello incidentale, qualificando il requisito
della diversità di sesso dei nubendi non solo in base a quella interpretazione sistematico-originalista
condivisa anche dalla giurisprudenza costituzionale (“secondo le regole codificate negli artt. 107, 108,
143, 143 bis e 156 bis c.c.”), ma con esplicita evocazione degli argomenti tradizionalista e del diritto
naturale (sottolinea, infatti, “in coerenza con la concezione del matrimonio afferente alla millenaria
tradizione giuridica e culturale dell’istituto, oltre che all’ordine naturale costantemente inteso e tradotto nel
diritto positivo” – corsivo ns.). Questa ricostruzione fa da sfondo alla qualificazione del vizio “che affligge
il matrimonio celebrato (all’estero) tra persone dello stesso sesso”: la sentenza, da un lato, dichiara che si può
prescindere da qualsiasi qualificazione per rilevare che “un atto siffatto risulta sprovvisto di un elemento
essenziale … ai fini della sua idoneità a produrre effetti” — richiamando la giurisprudenza di Cassazione e
ad essa , apparentemente, allineandosi; dall’altro, però, qualifica l’atto di trascrizione, indicandolo via
via l’atto come: invalido (cioè nullo), inesistente, privo della indefettibile condizione che è connotazione
ontologica essenziale del matrimonio (così nel par. 2.1.), non solo illegittimo, ma inesistente “o, comunque, abnorme, nel senso etimologico latino di fuori dalla norma” (nel par. 3.3), radicalmente inefficace e del
tutto incapace di assegnare lo stato giuridico di coniugato (nel par. 3.6).
L’incertezza e l’ambiguità nel ricorso a figure di vizio ben diverse tra di loro, impiegate come se
fossero fungibili, non può non riflettersi sulla persuasività della ricostruzione: la sentenza non chiarisce
quanto l’esigenza di un potere di annullamento diretto del prefetto si fondi sulla abnormità del vizio e
quanto sulla esigenza di garantire la linea di comando ministro – prefetto – sindaco di fronte alla difformità dalle istruzioni impartite dall’autorità statale (“semplice” illegittimità).
D’altro canto, dichiarando che “dalla catalogazione squisitamente dogmatica del vizio” si può prescindere, la sentenza reintroduce l’argomento dell’inesistenza del matrimonio same-sex senza affrontare
esplicitamente il confronto con la Corte di cassazione per la quale, come già visto, l’abbandono di tale
categoria deve considerarsi definitivo, in quanto imposto da una interpretazione convenzionalmente
orientata45.
Contraddittoria appare anche quando afferma che allo stato la normativa escluderebbe “qualsivoglia
omologazione” tra le unioni omosessuali e quelle etero (par. 2.8), dimenticando che, richiamando la giurisprudenza costituzionale, ha osservato che la Corte nella sentenza 138/2010 si è riservata “di dichiarare
45 V. sopra par.1.2, nt. 12. La questione è diversa da quella che il Consiglio di stato affronta nel par. 2.5: pure escludendo che allo
stato la Cedu imponga agli stati membri il riconoscimento del matrimonio same-sex, si deve prendere atto della caduta del
presupposto della conformazione unicamente eterosessuale del matrimonio.
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Focus: La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di giustizia
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l’incostituzionalità di irragionevoli disparità in ipotesi particolari”: per le quali, quindi, il trattamento omogeneo non solo non sarebbe escluso, ma addirittura si impone (par 2.4).
Incerto resta anche il fondamento del potere di annullamento. La sentenza ritiene che l’annullamento di un atto illegittimo da parte di organo diverso da quello che l’ha emanato sia ammesso tutte
le volte in cui la legge attribuisce potestà di controllo e di sovraordinazione gerarchica “che implica
univocamente anche l’esercizio di poteri di autotutela”; però, di tale implicazione “univoca” non fornisce
dimostrazione: la giurisprudenza di Cassazione citata a questo proposito nel par. 3.2 non risulta decisiva, dal momento che richiama la dipendenza gerarchica del sindaco dal ministro per riconoscere la
legittimazione passiva dello stato e non del comune, senza definire in alcun modo l’estensione dei poteri
connessi al rapporto tra sindaco, prefetto e ministro, né tantomeno riconoscere esplicitamente il potere
di annullamento in sostituzione; d’altro canto, anche quando richiama il proprio precedente (Sez. V, 19
giugno 2008, n. 3076), il Consiglio di stato non argomenta specificamente sulle ragioni dell’assimilazione tra le funzioni della sicurezza pubblica, cui si riferisce la giurisprudenza citata, e quella dello stato
civile46, che risultano accostate un po’ sbrigativamente a fronte dell’esigenza di “assicurare la correttezza
e l’uniformità dell’amministrazione dei compiti statali delegati dalla legge al sindaco” — essendo correttezza
e uniformità carattere troppo generale e diffuso dell’azione amministrativa per risultare decisivo; e, infatti, torna a rendere “pregnante” l’esigenza di autotutela l’evocazione di un atto “non solo illegittimo, ma
inesistente o, comunque, abnorme, nel senso etimologico latino di <fuori dalla norma>”.
Ed è su questo nodo che si profila una divergenza sostanziale con la giurisprudenza ordinaria47,
per la quale, nelle parole usate dal decreto della Corte d’appello di Milano la cui pubblicazione segue
di poche settimane quella della decisione del Consiglio di stato: “l’inidoneità dell’atto alla produzione degli
effetti giuridici che gli sono propri [è] categoria non ignota al diritto [che] si caratterizza nella prospettiva della
Corte come una inefficacia in senso stretto, non conseguenza di altro vizio, e si propone come reazione dell’ordinamento nei confronti di un negozio di cui si riconosce, in relazione a quadro normativo e giurisprudenziale europeo
del quale l’ordinamento stesso fa parte, la intrinseca validità, oltre che la consistenza sociale, ma i cui effetti vitali
sono però preclusi nel nostro paese dalla mancata previsione legislativa”48.
2.5. Se la parola passa al giudice ordinario: c’è un orizzonte oltre la sentenza 4184/2012
della Cassazione?
Il passaggio attraverso la giurisdizione amministrativa non estromette dalla questione delle trascrizioni
il giudice ordinario; al quale, nelle forme indicate dall’art. 95 d.p.r. 396/2000, possono rivolgersi:
a) per opporsi al rifiuto, le parti le cui trascrizioni sono negate ab origine o prima effettuate dal
sindaco e successivamente annullate dal prefetto (secondo quanto ritenuto legittimo da Tar Veneto e
Consiglio di stato): in tale secondo caso, infatti, l’esercizio del potere di annullamento gerarchico persegue e realizza l’effetto di rifiuto della trascrizione che avrebbe dovuto essere — secondo le istruzioni del
ministro — garantito originariamente dal sindaco;
b) per ottenere la cancellazione di un atto indebitamente registrato, il prefetto e/o il ministro dell’interno per il tramite del procuratore della repubblica, il quale può comunque intervenire in ogni tempo.
Resta, quindi, necessario chiedersi se sia possibile, dopo che la giurisprudenza di cassazione ha
rimosso i limiti rappresentati dalla inesistenza e dalla contrarietà all’ordine pubblico, andare oltre e
rimuovere anche il limite della inidoneità assoluta a produrre effetti quale atto di matrimonio, affermata
dalla sentenza 4184/2012, ipotizzando entro quale cornice possano essere collocati e interpretati gli effetti di una trascrizione del matrimonio same-sex contratto all’estero.
in particolare, si tratta di valutare se si possa valorizzare la funzione della trascrizione — dichiarativa, di certificazione e di pubblicità — nei confronti di un atto che può essere considerato valido sulla
base del principio locus regit actum, anche se ai fini della costituzione dello status coniugale la validità
dell’atto di matrimonio non può essere apprezzata dall’ordinamento italiano come tale. Si tratterebbe
anche di condividere l’idea che il principio di tipicità delle attività dell’ufficiale dello stato civile49 non
precluda di apprezzare il matrimonio estero, nel caso di coppie formate da persone dello stesso sesso,
46 La distinzione tra le due funzioni è stata ritenuta decisiva, invece, dal Tribunale amministrativo regionale Friuli, come si è
visto nel par. precedente.
47 L. Morassutto, Il Consiglio di stato e la spallata alla giurisdizione ordinaria, in Articolo29, www.articolo29.it.
48 Corte d’appello di Milano, sentenza del 6 novembre 2015, n. 2286, p. 8.
49 Da ultimo chiaramente richiamato dalla Corte d’appello di Milano, citata, a p. 9.
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Barbara Pezzini
come atto anche se non come rapporto50, cosa che resterebbe riservata alle coppie eterosessuali. D’altra
parte, la trascrizione non è mai costitutiva di un fatto giuridico, ma dichiara un fatto nella sua giuridicità;
di conseguenza, le situazioni giuridiche accedono eventualmente al fatto e non alla sua dichiarazione (=
trascrizione) e le situazioni soggettive che, secondo la legge italiana, non accedono al fatto non vengono
create dalla dichiarazione: il matrimonio same-sex contratto all’estero continua ad essere un matrimonio
produttivo di status nell’ordinamento che lo riconosce come tale e che ne ha consentito la celebrazione,
mentre non è riconoscibile come tale nell’ordinamento interno. Tuttavia, se la trascrizione non appare
idonea a creare un matrimonio same-sex nell’ordinamento interno, essa rende comunque riconoscibile,
ai fini interni, che è stato acquisito all’estero uno status (si pensi, ad esempio, all’interesse che tale informazione potrebbe avere ai fini della conoscenza della piena libertà di stato della persona, che potrebbe
per la legge italiana contrarre un matrimonio con persona di sesso opposto al proprio esponendosi
però, nel diverso stato nel quale sono state celebrate le precedenti nozze same-sex, ad una situazione di
bigamia).
Non solo. Se si conviene sul fatto che la trascrizione produce l’obbligo di assumere come certezza
l’enunciato dell’atto51, conferendo ai soggetti interessati il vantaggio dell’esistenza di tale obbligo, è possibile cogliere un ulteriore effetto della trascrizione: per la coppia interessata, infatti, il “vantaggio” non
sarebbe quello una semplice agevolazione probatoria (peraltro, già di per sé non trascurabile) dell’esistenza di una unione stabile omossessuale, ma la sottrazione alla sfera della irrilevanza del rapporto di coppia in questione, che acquista una sua dimensione giuridica. Il legame di coppia, pur non riconosciuto
come matrimonio, esce dalla dimensione di puro fatto e diviene giuridicamente apprezzabile, manifestando una corrispondenza sostanziale a quella che la sentenza 138/2010 della Corte costituzionale ha
riconosciuto essere una formazione sociale in cui si realizza “il libero sviluppo della persona nella vita
di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico” ed a cui spetta tutela ex art. 2
Cost., nel senso di tutela del diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri.
E questo ci permette, infine, di comprendere quali effetti di uno status coniugale acquisito all’estero
siano già oggi riconoscibili ai fini interni, ed in quale modo lo siano.
Nel quadro complessivo della legittimazione pluralistica il riconoscimento delle unioni estere costituisce un “classico” problema di sostituzione o adattamento52, che già opera, a legislazione vigente, a
prescindere dall’approvazione della legge sulle unioni civili in discussione: la relazione non riconosciuta come matrimonio va riconosciuta ai sensi dell’art. 2 Cost. e sino a che il legislatore non intervenga
esplicitamente a regolarla ad essa deve essere garantita la tutela giudiziale caso per caso53. Una forma
di tutela imposta dalla giurisprudenza costituzionale in base al principio di uguaglianza, che richiede, oggi e per il futuro, di confrontare la condizione della unione stabile omosessuale con quella delle
coppie coniugate per accertare se e quando debba essere garantito uguale trattamento e che comunque
imporrà, nel momento in cui il legislatore dovesse regolamentare espressamente in modo differenziato,
di valutare se e quando le differenze di trattamento possano ritenersi giustificate). Una forma e modalità
di tutela debole, la cui insufficienza è stata recentemente riconosciuta nella sentenza Oliari dalla Corte
Edu alla luce dell’art. 8 Cedu; semmai, la trascrizione del matrimonio può rispondere ad un altro problema preso in considerazione dalla sentenza Oliari, vale a dire quello della necessità di garantire alle
coppie dello stesso sesso un riconoscimento che valorizzi il loro legame a prescindere dal requisito della
coabitazione54.
Per dare concretezza al vantaggio connesso alla trascrizione (ossia il vantaggio che è attribuito ai
soggetti interessati dall’esistenza di un obbligo di assumere come certezza l’enunciato dell’atto trascritto, che costituisce la funzione tipica della trascrizione) possiamo immaginare qualcosa di analogo ad
una “inversione dell’onere della prova”. Se l’unione stabile “semplice” è attualmente, per l’ordinamento
italiano, una condizione di mero fatto, che non ha altra strada che far valere di volta in volta davanti ad
50 Semmai, come vedremo poco oltre, l’atto, pur non potendo dare fondamento ad un rapporto coniugale fonda un rapporto qualificabile come unione stabile omosessuale tutelata ai sensi dell’art. 2 cost.
51 M.S. Giannini, Diritto amministrativo, vol. II, Milano, Giuffrè, 1988, p. 970.
52 M.R. Marella, G. Marini, Di cosa parliamo cit, p. 88.
53 B. Pezzini, La sentenza 138/2010 parla (anche ai giudici), in Unioni e matrimoni same-sex dopo la sentenza 138/2010: quali prospettive?,
B. Pezzini e A. Lorenzetti (a cura di), Napoli, Jovene, 2011, p. 95
54 Par. 169: “the Court has already accepted that the existence of a stable union is independent of cohabitation (see Vallianatos, §§ 49 and
73). Indeed, in the globalised world of today various couples, married or in a registered partnership, experience periods during which they
conduct their relationship at long distance, needing to maintain residence in different countries, for professional or other reasons. The
Court considers that that fact in itself has no bearing on the existence of a stable committed relationship and the need for it to be protected”.
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Focus: La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di giustizia
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un giudice una pretesa, da argomentare specificamente, a trattamento uguale a quello di coppia coniugata, l’unione stabile “qualificata” da un matrimonio estero trascritto potrebbe vedersi riconoscere la
pretesa ad essere generalmente trattata come un matrimonio, salvo i casi in cui possa essere dimostrata
l’esistenza di una specifica necessità di differenziazione.
Certo, alla fine del ragionamento, non si riesce a sfuggire all’impressione che la montagna della
stessa Litigation Strategy che si è concentrata sulle trascrizioni potrebbe, al più, partorire un topolino …
3. In attesa della prossima puntata
(considerazioni di breve periodo con riguardo alla sentenza
costituzionale 138/2010 come perimetrazione della discrezionalità55).
Nei confronti del potere giudiziario, d’altro canto, la giurisprudenza costituzionale ha stabilito un confine preciso, che non può essere superato in via interpretativa rileggendo le norme vigenti nel senso
di liberare il matrimonio dal vincolo del paradigma eterosessuale. Questo significa che è necessaria la
rimessione alla Corte costituzionale di una questione che implica un diretto riconoscimento dell’insussistenza di tale vincolo, per riconoscere che un matrimonio, in quanto celebrato in un ordinamento per
il quale l’eterosessualità non è un requisito necessario, sia costitutivo dello status coniugale tra due persone dello stesso sesso. Alla Corte costituzionale, cioè, si dovrebbe chiedere un esplicito revirement non
facilmente prevedibile allo stato, anche se obiettivamente non mancherebbero argomenti per sostenerne
la necessità, per le particolari e protratte inerzia e incapacità del legislatore nazionale in un contesto in
cui, invece, il quadro internazionale continua ad evolvere nella direzione del superamento del modello
tradizionale della famiglia e del matrimonio.
Mentre ciò che il giudice può e deve fare è riconoscere direttamente gli effetti di equiparazione
ragionevole (e di irragionevole differenziazione) delle situazioni di matrimonio eterosessuale e unione
stabile tra persone dello stesso sesso. Non solo. Non può sottrarsi al dovere di rispondere e colmare il
vuoto dell’omissione incostituzionale, come del resto è avvenuto nella complessa e discussa vicenda del
divorzio imposto al transessuale: di fronte alla perdurante inerzia del legislatore, che ignorava anche il
preciso dovere conseguente alla dichiarazione di incostituzionalità della sentenza 170/2014, è stata la
Corte di cassazione, investita della questione in quanto giudice del rinvio, a pronunciare una sentenza
che ha riconosciuto che la tutela della situazione della coppia divenuta dello stesso sesso imponeva di
riconoscere la sopravvivenza del vincolo matrimoniale sino a che non si fosse verificata la possibilità di
transitare in una condizione di unione civile registrata definita dalla legge, sottoponendo espressamente
la conservazione dello status matrimoniale alla condizione temporale risolutiva costituita dalla nuova regolamentazione legislativa (sentenza 8097/201556).
Potrebbe ammettersi una analogia tra le due situazioni? A me pare che la Corte costituzionale abbia
valorizzato massimamente nella sentenza 170/2014 la provenienza della coppia da una situazione di
matrimonio a suo tempo — prima della rettificazione del sesso di uno dei coniugi — regolarmente contratto entro i confini del paradigma eterosessuale57, e che tale situazione renda difficile l’assimilazione di
altra e diversa situazione, in cui è proprio l’esistenza del paradigma eterosessuale ad impedire il rilievo
pieno e diretto del matrimonio celebrato all’estero fra cittadini italiani dello stesso sesso. Ciò anche se non
sfuggono gli aspetti di sostanziale assimilabilità: l’assenza di una disciplina legale delle unioni registrate rende impossibile transitare dalla massima protezione giuridica (in origine garantita alla coppia dal
matrimonio) ad una protezione minore ma pur sempre — secondo la visione sostenuta dalla giurisprudenza costituzionale a partire dalla sentenza 138/2010 — adeguata alla condizione di coppia (divenuta)
dello stesso sesso e determina la degradazione ad una situazione di mero fatto, in cui la coppia può solo
aspirare alla defatigante tutela giudiziale caso per caso che la Corte costituzionale ha riconosciuto illegittima; l’assenza di una disciplina legale delle unioni registrate in Italia parimenti degrada la condizione
55 B. Pezzini, Il matrimonio same-sex si potrà fare. La qualificazione della discrezionalità del legislatore nella sentenza 138/2010 della Corte
costituzionale, in Giurisprudenza costituzionale, 2010, p. 799.
56 Su cui vedi, da ultimo, il focus dal titolo Quando scricchiola un paradigma. La Cassazione decide il caso Bernaroli, nel numero
1/2015 di questa Rivista.
57 Che poi la frammentazione e moltiplicazione degli status familiari e di coppia sia desiderabile e quanto possa considerarsi
conforme ad una idea forte dell’uguaglianza è materia di riflessione: G. Brunelli, Quando la Corte costituzionale smarrisce la
funzione di giudice dei diritti: la sentenza n. 170 del 2014 sul c.d. “divorzio imposto”, B. Pezzini, A prima lettura (la sent. 170/2014 sul
divorzio imposto), in Articolo29, www.articolo29.it, 2014.
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Focus: La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di giustizia
Barbara Pezzini
della coppia dall’attribuzione dello status coniugale (all’estero) alla condizione di mero fatto. Ciò che
diversamente caratterizza le due situazioni è che solo nel primo caso vi è un matrimonio pienamente
idoneo a produrre gli effetti tipici per l’ordinamento italiano.
La situazione relativa alla trascrizione del matrimonio same-sex contratto all’estero resta in stallo:
è difficile contestare che il ruolo e l’intervento del legislatore restino indispensabili per la saldezza e la
completezza della tutela; ed altrettanto è difficile contestare che l’orizzonte — non solo temporale —
dell’intervento legislativo resti incerto, tanto da indurre a chiedersi se la prossima puntata dovrà essere
scritta dalla Corte di Strasburgo58 che, come già ha fatto con la sentenza Oliari, non potrà che constatare
la violazione del diritto fondamentale alla tutela della vita familiare.
58 Diversi casi pendenti già dal 2012: C – 26431, 26742, 44057, 60088 del 2012.
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Focus: La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di giustizia
G. Palmeri, M.C. Venuti
G. Palmeri*, M.C. Venuti**
La trascrivibilità del matrimonio tra identità
personale e circolazione dello status coniugale
Sommario
1. La questione – 2. L’evoluzione del sistema – 3. Per un superamento dell’impasse – 4. Segue – 5. La
“portabilità” dello status coniugale – 6. Segue – 7. Identità e status personale
Abstract
Lo scritto affronta il tema della (in)trascrivibilità degli atti di matrimonio same-sex celebrati all’estero alla
luce della più recente giurisprudenza interna e sovranazionale. Esaminati criticamente gli argomenti a
sostegno della soluzione negativa e, in particolare, quello della contrarietà all’ordine pubblico vista la
indefettibile struttura eterosessuale del matrimonio in Italia, le Autrici giungono alla conclusione che
sia applicabile analogicamente la disciplina dei diritti e doveri nascenti dal matrimonio. Alla base della
proposta interpretativa sta la primazia dei diritti fondamentali in un sistema di fonti multilivello.
The paper deals with the (non-)registrability of same-sex marriage acts, officiated abroad, in light of the most recent
national and supranational jurisprudence. Through a critical evaluation of arguments supporting the negative
solution, specially the one of the contrariety to public policy with regard to the necessary heterosexual structure of
the marriage in the Italian legal system, the authors argue that the regulation about the right and duties deriving
from the marriage is mutatis mutandis applicable. The interpretative proposal is based on the primacy of the fundamental rights in a multilevel legal system.
1. La questione
È ormai frequente la richiesta di trascrizione del matrimonio omosessuale celebrato all’estero da cittadini italiani e, altrettanto frequente, a seguito del rifiuto opposto dall’ufficiale dello stato civile, il ricorso
al giudice per ottenere la revoca del provvedimento di diniego e conseguentemente l’ordine di trascrivere1. Esito finora negato con l’isolata eccezione — a quanto consta — della nota ordinanza del tribunale
*
**
Ordinaria di Diritto privato, Università di Palermo.
Ordinaria di Diritto privato, Università di Palermo.
Il contributo viene pubblicato in seguito a referees a doppio cieco.
1
Tribunale di Milano, decreto del 17 luglio 2014, in Articolo29, www.articolo29.it; Tribunale di Milano, decreto del 2 luglio 2014,
in Ilcaso.it www.ilcaso.it; Tribunale di Treviso, decreto del 19 maggio 2010, in Diritto di famiglia e delle persone, 2011, p. 1236 ss.,
con nota di M. Winkler; Tribunale di Latina, decreto del 10 giugno 2005, in Famiglia e diritto, 4/2005, p. 411 ss., con note di P.
Schlesinger e di M. Bonini Baraldi; in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2006, I, p. 86 ss., con nota di F. Bilotta; decisione confermata da Corte d’appello di Roma, decreto del 13 luglio 2006, in Famiglia e diritto, 2/2007, p. 166 ss., con nota di M.
Sesta; e poi in sede di legittimità da Corte di cassazione, sentenza del 15 marzo 2012, n. 4184, in La nuova giurisprudenza civile
commentata, 2012, I, p. 588 ss. con nota di D. Ferrari, D. Fiorato e con commenti di M. Meli, Il matrimonio tra persone dello stesso
sesso: l’incidenza sul sistema interno delle fonti sovranazionali e E. Bergamini, Riconoscimento ed effetti in italia di un matrimonio tra
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La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di giustizia
G. Palmeri, M.C. Venuti
di Grosseto dell’aprile 2014, successivamente annullata dalla corte d’appello di Firenze2, e confermata
dallo stesso tribunale nel febbraio 20153.
La magistratura è anche intervenuta, a seguito di ricorso del Procuratore della Repubblica, cassando la trascrizione eseguita nei registri dello stato civile di alcuni comuni4.
Le soluzioni negative si fondano sul monolitico argomento della necessaria natura eterosessuale
del matrimonio nell’ordinamento italiano; argomento che viene declinato sul versante della contrarietà all’ordine pubblico dell’atto straniero di matrimonio same-sex, che ne impedisce la trascrizione nei
registri dello stato civile (art. 18, d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396), e sul versante della sua inesistenza/
invalidità poiché il cittadino italiano che contrae matrimonio all’estero è in primo luogo soggetto alle
disposizioni nazionali (art. 115 c.c.).
In altre parole, il matrimonio celebrato all’estero tra persone dello stesso sesso, di cui almeno una
sia cittadina italiana, è inesistente/invalido in quanto manca del requisito della eterosessualità dei nubendi5. Difetto, questo, talmente grave da non consentire alla fattispecie di rintracciare nel sistema una
figura significativamente corrispondente, anche se non pienamente coincidente, con conseguente insuperabilità del vaglio dell’ordine pubblico posto all’art. 18 delle norme in materia di ordinamento dello
stato civile6.
persone dello stesso sesso contratto all’estero: la recente evoluzione della giurisprudenza italiana, nella parte II, rispettivamente a p.
451 ss., e p. 461 ss.
2
Tribunale di Grosseto, ordinanza del 9 aprile 2014, in Famiglia e diritto, 7/2014, p. 672 s., con nota di M. Segni, riformata da
Corte d’appello di Firenze, decreto del 23 settembre 2014, in Articolo29, www.articolo29.it. La Corte d’appello non ha affrontato alcuno degli aspetti di natura sostanziale, essendosi limitata, com’è noto, a dichiarare la nullità del decreto a causa della
notifica dell’atto introduttivo al Comune anziché al Sindaco, quale ufficiale del Governo, e della sua mancata costituzione in
giudizio. Ai sensi dell’art. 354 c.p.c., è stata, pertanto, disposta la rimessione della causa al primo giudice, il quale ha confermato la propria originaria statuizione.
Per il diverso profilo del rifiuto opposto alla richiesta di una coppia omosessuale di effettuare le pubblicazioni matrimoniali cfr., in giurisprudenza, Tribunale di Roma, decreto del 28 giugno 1980, in Giurisprudenza italiana, 1980, I, 2, c. 170 ss.,
con nota di Galletto; Corte d’appello di Firenze, del 27 giugno 2008, in Responsabilità civile e previdenza, 11/2008, p. 2344 ss.,
con nota di G. Ferrando; in massima anche pubblicata in Giurisprudenza di merito, 2009, p. 1225 s., con nota di Manassero; e
con data 30 giugno 2008, in Foro italiano, 2008, I, c. 3695 ss., con note di R. Romboli e di F. Dal Canto; Tribunale di Venezia,
ordinanza del 3 aprile 2009; Corte d’appello di Trento, ordinanza del 29 luglio 2009; Tribunale di Varese, decreto del 23 luglio
2010, in Giurisprudenza di merito, 2011, p. 1012; Corte costituzionale, sentenza del 15 aprile 2010, n. 138; Corte costituzionale,
ordinanza del 22 luglio 2010, n. 276; Corte costituzionale, ordinanza del 5 gennaio 2011, n. 4. Da ultimo il divieto di procedere
alle pubblicazioni matrimoniali per l’unione omosessuale è stato ritenuto conforme alla Costituzione da Cassazione, sentenza del 9 febbraio 2015, n. 2400, in Corriere giuridico, 7/2015, p. 909 ss., con nota di G. Ferrando.
3
Tribunale di Grosseto, decreto del 26 febbraio 2015, in Articolo29, www.articolo29.it.
4
Tribunale di Pesaro, decreto del 21 ottobre 2014, in Articolo29, www.articolo29.it.
Com’è noto, peraltro, in seguito alla circolare del Ministero dell’Interno del 7 ottobre 2014 in cui si è affermato che i prefetti, tenuti a vigilare sugli uffici dello stato civile, hanno potere di annullamento delle trascrizioni dei matrimoni tra persone
dello stesso sesso celebrati all’estero in caso di inerzia del Sindaco rispetto al «formale invito al ritiro di tali disposizioni ed
alla cancellazione», alcuni Tribunali amministrativi regionali hanno dichiarato l’incompetenza dei prefetti e di conseguenza
annullato i provvedimenti da loro emessi. In particolare è stato osservato che riguardo alla trascrizione di un matrimonio
contratto all’estero tra persone dello stesso sesso il Prefetto «non risulta avere alcuna potestà di intervento o rettifica, considerato che la normativa (…) affida soltanto all’autorità giudiziaria ordinaria il potere di rettificare o annullare gli atti indebitamente trascritti»: Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sez. III, sentenza del 29 settembre 2015, n. 2037, in
www.giustizia-amministrativa.it. Nello stesso senso Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I-ter, sentenza del 12
febbraio-9 marzo 2015, n. 3907, in Articolo29, www.articolo29.it, con nota di G. Zago; Tribunale amministrativo regionale Friuli Venezia Giulia, sez. I, 21 maggio 2015, in Articolo29, www.articolo29.it, con nota critica di L. Morassutto. Cfr. altresì Tribunale amministrativo regionale della Toscana, sez. I, sentenza del 25 settembre 2015, n. 1291, in www.giustizia-amministrativa.it,
che pur ribadendo l’assenza di una norma che facoltizzi il Prefetto ad intervenire in sede di verificazione sul contenuto degli
atti dello stato civile, ha dichiarato il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione reputando la questione di competenza
del giudice ordinario.
5
Va segnalato sin d’ora (con riserva di ritornare successivamente sul punto) che la S.C. nella sentenza 15 marzo 2012, n. 4184, in
Foro italiano, 2012, I, p. 2727 ss., con nota di R. Romboli, alla luce della giurisprudenza CEDU ha ritenuto non più conducente
la qualificazione in termini di inesistenza del matrimonio omosessuale e superata anche la contrarietà dello stesso all’ordine
pubblico. Tuttavia ne ha affermato l’inefficacia, ossia la «inidoneità a produrre, quali atti di matrimonio (…), qualsiasi effetto
giuridico nell’ordinamento italiano» (punto 4.3 della motivazione), bloccando così — se non la sua astratta rilevanza — l’operatività della fattispecie nel sistema municipale.
6
È stato sottolineato come non possa applicarsi alla fattispecie l’art. 65, l. 31 maggio 1995, n. 218, che pone quale limite al riconoscimento di provvedimenti stranieri la loro conformità all’ordine pubblico, e ciò sulla base della prevalente lettura della
norma che sarebbe da riferire esclusivamente «ai provvedimenti giurisdizionali stranieri costitutivi o modificativi di stati
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Anche nelle letture più progressiste, che superano lo scoglio della indefettibilità dell’eterosessualità
del matrimonio attraverso una visione costituzionalmente e convenzionalmente orientata del nostro
sistema giuridico e che di conseguenza pervengono alla qualificazione in termini di inefficacia del matrimonio celebrato all’estero, l’ostacolo alla trascrivibilità viene rinvenuto nell’assenza di una disciplina
interna in materia di unioni omosessuali7. Lacuna normativa ritenuta colmabile esclusivamente mediante l’intervento del legislatore, escludendosi che tale risultato possa conseguirsi in via interpretativa
in ossequio al principio della divisione dei poteri8.
Vale la pena di sottolineare che una simile valutazione non viene in considerazione quando a chiedere la trascrizione siano due cittadini stranieri residenti in Italia, applicandosi in questo caso la legge
di un altro ordinamento (art. 19, d.P.R. n. 396/2000; artt. 27 e 28, l. n. 218/1995)9.
2. L’evoluzione del sistema
A ben vedere, si assiste ad una evoluzione nell’approccio con cui si guarda alla fattispecie del matrimonio omosessuale nel nostro sistema. Ad una iniziale chiusura imperniata sulla imprescindibilità della
eterosessualità dei coniugi (giustificata in primo luogo dalla funzione procreativa assegnata all’istituto)10
che si traduce(va) sul piano delle categorie giuridiche nella nullità se non addirittura nell’inesistenza del
matrimonio, quindi vietato, si è giunti a considerare tale atto astrattamente ammissibile — e dunque
non più contrario all’ordine pubblico — perché, in una interpretazione “convenzionalmente conforme”
è caduto il «postulato implicito, il requisito minimo indispensabile a fondamento dell’istituto matrimoniale, costituito dalla diversità di sesso dei nubendi»11. Ammissibilità tuttavia in concreto non realizzabile in mancanza di una scelta in tal senso del legislatore, libero di individuare intensità e modalità di
tutela delle unioni omosessuali, alle quali comunque «spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia»12.
Va precisato che una sollecitazione alla emanazione di una normativa specifica sulle unioni civili,
volta a declinare tale diritto nelle sue diverse articolazioni, è stata indirizzata al Parlamento dalla Corte
costituzionale nel 201413. E di recente la Corte EDU ha chiaramente affermato l’obbligo dell’Italia di
personali o familiari»: G. Biagioni, La trascrizione dei matrimoni same-sex conclusi all’estero nel recente provvedimento del tribunale
di Grosseto, in questa Rivista, 2014, II, p. 195 ss., spec. p. 204. Nello stesso senso, in precedenza, M.M. Winlker, Ancora sul rifiuto
di trascrizione in Italia di same-sex marriage straniero: l’ennesima occasione mancata, nota a Tribunale di Treviso, 19 maggio 2010,
cit., in Diritto di famiglia e delle persone, 2011, p. 1239 ss., in part., p. 1244 ss.
7
In dottrina v., per tutti, P. Rescigno, Il matrimonio same sex al giudizio di tre Corti, in Corriere giuridico, 7/2012, p. 861 ss.. In giurisprudenza cfr. Corte di cassazione, sentenza del 15 marzo 2012, n. 4184, cit..
8
Il Tribunale amministrativo regionale del Friuli Venezia Giulia, sez. I, sentenza del 21 maggio 2015, cit., rimanendo al contrario legato ad una lettura tradizionale e restrittiva della disciplina del matrimonio e della trascrizione degli atti dello stato
civile, sottolinea come «nel quadro costituzionale della divisione dei poteri, spetta unicamente al Parlamento sovrano decidere con legge il riconoscimento nel nostro ordinamento dei matrimoni tra persone dello stesso sesso nonché il livello di
tale riconoscimento. Non spetta invece né al sindaco, né all’autorità giudiziaria ordinaria o amministrativa e — allo stato —
nemmeno alla Corte costituzionale, alla Corte di giustizia europea o alla Corte europea dei diritti dell’uomo, procedere in via
surrettizia o suppletiva a tale riconoscimento, perché ciò costituirebbe un evidente vulnus al sistema democratico nel suo insieme»:
punti 16.0 e 16.1 della motivazione.
9
Da ultimo Corte d’appello di Napoli, decisione del 13 marzo 2015, in Articolo29, www.articolo29.it. In dottrina sul punto cfr.,
ad esempio, R. Clerici, Il matrimonio dei cittadini all’estero e degli stranieri in Italia, in Trattato di diritto privato, diretto da Bessone,
Famiglia e matrimonio, T. Auletta (a cura di), I, Torino, 2010, p. 377 ss., in part. p. 384 ss.; M. Gattuso, “Matrimonio”, “famiglia”
e orientamento sessuale: la Cassazione recepisce la “doppia svolta” della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Articolo29, www.articolo29.it, § 8.
10 G. Palmeri, M.C. Venuti, L’inedita categoria delle unioni affettive con vissuto giuridico matrimoniale. Riflessioni critiche a margine
della sentenza della Corte costituzionale 11 giugno 2014, n. 170 in materia di divorzio del transessuale, in La nuova giurisprudenza civile
commentata, 2014, II, p. 553 ss., in part. p. 556 s.
11 Corte di cassazione, sentenza del 15 marzo 2012, n. 4184, cit., punto 4.1 della motivazione.
12 Corte costituzionale, sentenza del 15 aprile 2010, n. 138, cit., punto 8 della motivazione.
13 Corte costituzionale, sentenza del 11 giugno 2014, n. 170, punto 5.6 della motivazione.
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G. Palmeri, M.C. Venuti
provvedere a disciplinare la materia, in quanto l’omissione risulta in violazione dell’art. 8 della Convenzione sul diritto al rispetto della vita privata e familiare14.
Dunque il matrimonio tra persone dello stesso sesso è ammissibile, tuttavia non (ancora e chissà se
mai) ammesso. In ogni caso esso non è più vietato dall’ordinamento giuridico15.
Sicché la chiusura del nostro sistema rispetto alla trascrizione dei matrimoni celebrati all’estero è
espressione della volontà di perpetuare praeter legem un divieto che non trova più fondamento nell’attuale ordine costituzionale “integrato” 16 e, allo stesso tempo, di impedire che abbia ingresso una fattispecie non (ancora?) accolta dal legislatore interno. In sostanza si intende evitare che tale supposto
divieto venga aggirato mediante la celebrazione del matrimonio all’estero. Se ne afferma l’inidoneità a
«produrre, qual[e] att[o] di matrimonio (…), qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento italiano» e di
conseguenza viene postulata la sua intrascrivibilità17. Si finisce così per sanzionare la condotta elusiva
negando il riconoscimento dell’efficacia ad un atto validamente assunto nell’ordinamento straniero.
Tuttavia il meccanismo della trascrizione di atti stranieri e i limiti che esso pone con la clausola della
non contrarietà all’ordine pubblico non operano sull’atto sottoposto a vaglio, la cui esistenza e validità
sono state già positivamente considerate dall’ordinamento di provenienza. Riguardano, al contrario, gli
effetti che è destinato a dispiegare nell’ordinamento interno. Ciò significa, quindi, che oggetto di scrutinio in ambito municipale è la compatibilità di questi effetti con i valori fondanti del sistema, espressione
dei principi radicati nel tessuto giuridico e sociale attuale18. Compatibilità che, come si è detto, la Corte
di cassazione ha nitidamente ammesso quando ha escluso la contrarietà del matrimonio omosessuale
all’ordine pubblico.
3. Per un superamento dell’impasse
La non trascrivibilità, allora, non dipende dalla contrarietà all’ordine pubblico pur esplicitamente affermata nelle numerose pronunce che hanno affrontato la questione, bensì dall’asserita assenza nell’ordinamento interno di un istituto cui ancorare le ricadute giuridiche dell’atto straniero. Pacificamente
si esclude l’applicabilità della normativa sul matrimonio perché concepita e strutturata sulla diversità
di sesso dei coniugi; d’altra parte la mancanza di una legge sulle unioni civili impedisce di rinvenire
una diversa figura idonea a costituire il modello di riferimento per disciplinare il rapporto formatosi
all’estero19.
Tali argomenti si prestano a considerazioni critiche. La loro fragilità risiede fondamentalmente nella frizione con i principi costituzionali di tutela della persona.
Se si accoglie la premessa che i diritti personalissimi, fra i quali certamente vi sono quello al matrimonio e a costituire una famiglia (art. 9 della Carta di Nizza e art. 12 Convenzione Edu), vanno riconosciuti e garantiti nel loro esercizio con la massima estensione possibile, la circostanza che non esista
14 Corte Edu, IV sez., 21 luglio 2015, ric. nn. 18766/11, 36030/11, Oliari et al. c. Italia, in questa Rivista pag.
15 Ritiene che nel nostro sistema non esistano norme che in senso implicito o esplicito configurino un divieto di matrimonio
same-sex Tribunale di Grosseto, decreto del 26 febbraio 2015, cit.
16 Corte costituzionale, ordinanza del 7 giugno 2012, n. 150
17 Corte di cassazione, sentenza del 15 marzo 2012, n. 4184, cit., punto 4.3 della motivazione. La S.C. ha successivamente ribadito che «nel nostro sistema giuridico di diritto positivo il matrimonio tra persone dello stesso sesso è inidoneo a produrre
effetti perché non previsto tra le ipotesi legislative di unione coniugale»: Corte di cassazione, sentenza del 9 febbraio 2015, n.
2400, cit.
In dottrina stigmatizza questa soluzione dell’inefficacia come «espediente linguistico/dommatico (…) tanto astuto quanto fragile» C. Camardi, Diritti fondamentali e status della persona, in Rivista critica del diritto privato, 2015, p. 7 ss.
18 V. G. Palmeri, Riflessioni a margine della pronuncia della corte di appello di Torino 4 dicembre 2014 in tema di trascrizione dell’atto di
nascita formato all’estero in seguito a pma, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2015, II, p. 141 ss., p. 256; M.C. Venuti,
Coppie sterili o infertili e coppie «same-sex». La genitorialità negata come problema giuridico, in Rivista critica del diritto privato, 2015,
p. 259 ss., spec. p. 273 ss.
19 Segnala la criticità del passaggio dalla «fase meramente declamatoria» dei diritti fondamentali a quella qualificatoria e di rinvenimento dei dispositivi tecnici su cui ancorare l’approdo della fattispecie straniera nell’ordinamento interno C. Camardi,
Diritti fondamentali e status della persona, cit., p. 15 ss.
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Focus: La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di giustizia
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una norma “di appoggio” non costituisce un “controlimite” all’esercizio del diritto di volta in volta
considerato20.
Non potendo, in ragione dei limiti di questo contributo, diffondersi sul tema dei diritti fondamentali, va comunque ricordato che pacificamente la loro rilevanza è primaria e centrale nel nostro assetto
ordinamentale. Tuttavia non sempre al loro riconoscimento in astratto si accompagnano meccanismi
idonei a garantirne l’attuazione e il pieno godimento. È il caso del declamato «diritto fondamentale
di vivere liberamente una condizione di coppia» affermato dalla Corte costituzionale a favore di chi è
parte di una unione omosessuale, cui non ha fatto seguito l’auspicato intervento legislativo diretto ad
apprestare gli strumenti giuridici necessari al suo concreto esercizio.
E d’altra parte non può ritenersi una soluzione adeguata l’indicazione prospettata dalla stessa Consulta di dover agire in giudizio di fronte a «specifiche situazioni» reclamando un trattamento omogeneo
a quello riservato alle coppie coniugate21, giacché una simile ipotesi pone un gravoso onere di accesso
alla giustizia per rivendicare una condizione astrattamente riconosciuta e di fatto negata, senza certezza
in ordine al risultato. Questo farraginoso meccanismo oltretutto consentirebbe di dare visibilità solo a
una singola frazione del rapporto — quella oggetto del giudizio — restando esso nella sua interezza ai
margini della giuridicità.
La sostanziale irrilevanza della condizione di coppia determina, altresì, la lesione di un ulteriore
diritto fondamentale, quello all’identità della persona, irrimediabilmente compromesso dalla negazione
del riconoscimento dello status familiare (sul punto si tornerà infra, al § 7).
L’affermazione della centralità dell’individuo e della complessa articolazione della sua identità,
così come si viene a costruire anche nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità — considerata da una parte della dottrina come «fattore di destrutturazione del modello familiare tradizionale»22 —
fa recedere il limite dell’ordine pubblico come parametro di valutazione dell’ammissibilità degli effetti
di atti formati all’estero. L’unico limite deve essere rappresentato, nel sistema attuale, dalla presenza di
altri diritti di pari rango in posizione di conflitto23.
Nel caso in esame, tuttavia, non viene in rilievo l’esigenza di un bilanciamento tra diritti contrapposti o l’esigenza di salvaguardare interessi superiori: l’esercizio del diritto a vivere la condizione di
coppia viene ostacolato da un elemento di fatto costituito dal vuoto normativo. Al riguardo sembra
opportuno rilevare che malgrado l’art. 9 della Carta di Nizza e l’art. 12 della Convenzione EDU riservino alla discrezionalità del legislatore interno la regolazione della materia familiare, essi in primo luogo
affermano il diritto di ciascuna persona di sposarsi e di costituire una famiglia e ne impongono la garanzia. Peraltro, come la stessa Corte EDU ha sottolineato, laddove vengano in rilievo diritti fondamentali,
il margine di apprezzamento dei singoli Stati si fa ristretto, in quanto il loro effettivo godimento dipende
da una disciplina puntuale24.
4. Segue
Da un esame del complessivo sistema scevro da pregiudizi, la ricerca di riferimenti normativi cui “appoggiare” gli effetti del matrimonio celebrato all’estero dà esito positivo.
20 La stessa A. nello scritto citato (p. 31 ss.) sottolinea come non sia un limite al riconoscimento di una fattispecie straniera l’assenza di analoga fattispecie nell’ordinamento di destinazione e come, in ogni caso, la sua sussistenza non determinerebbe in
maniera automatica il superamento del vaglio di conformità all’ordine pubblico.
21 Corte costituzionale, sentenza del 15 aprile 2010, n. 138, cit., punto 8 della motivazione. In senso conforme v. di recente Corte
di cassazione, sentenza del 9 febbraio 2015, n. 2400, cit., p. 911, secondo cui «il nucleo affettivo relazionale che caratterizza l’unione omoaffettiva, invece, riceve un diretto riconoscimento costituzionale dall’art. 2 Cost., e mediante il processo di adeguamento e di equiparazione imposto dal rilievo costituzionale dei diritti in discussione può acquisire un grado di protezione e
tutela equiparabile a quello matrimoniale in tutte le situazioni nelle quali la mancanza di una disciplina legislativa determina
una lesione di diritti fondamentali scaturenti dalla relazione in questione».
22 Così C. Camardi, Diritti fondamentali e status della persona, cit., la quale sostiene che «il cammino dei diritti fondamentali concernenti l’identità della persona ha inserito nel nostro ordinamento un meccanismo giuridico di potenziale frantumazione del
modello costituzionale di famiglia, senza tuttavia rimpiazzarlo con un altro» (p. 11).
23 Corte Edu, V Sezione, 26 giugno 2014, ric. n. 65192/11, Mennesson c. France, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2014,
I, 1132 ss..
24 Corte EDU, Grande Camera, 7.11.2013, ric. nn. 29381/09, 32684/09, Vallianatos and Others v. Greece, reperibile in Articolo29,
www.articolo29.it ed in http://hudoc.echr.coe.int, punto 85.
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Non è, infatti, ammissibile giustificare a partire dalla struttura eterosessuale del matrimonio la non
estensibilità della regolamentazione del rapporto coniugale alla coppia omosessuale.
Va considerato preliminarmente che la diversità di sesso dei coniugi non è principio che connota
la disciplina costituzionale del matrimonio. L’art. 29 della Carta fondamentale individua quale unico
elemento indefettibile del matrimonio l’uguaglianza tra i coniugi. Il costituente ha sentito l’esigenza di
declinare il principio generale di cui all’art. 3 in àmbito familiare con specifico riferimento alla relazione
coniugale e alla posizione dei figli, nati fuori e dentro il matrimonio. E ciò tenuto conto della difforme
normativa codicistica dell’epoca informata al superato principio istituzionale della famiglia25.
La disciplina attuale dei diritti e doveri che nascono dal matrimonio benché chiaramente riferita a
marito e moglie non trova nella diversità di sesso dei coniugi il suo proprium, ma nell’esigenza di attuare il canone costituzionale dell’uguaglianza nei diversi profili della relazione guardata anche in senso
diacronico. Da questo punto di vista non v’è impedimento ad applicare analogicamente tali previsioni
al rapporto tra coniugi omosessuali a seguito della trascrizione.
Va al riguardo osservato che l’operatività di tale disciplina, specie nel momento in cui non esiste
una normativa ad hoc sulle unioni civili, non può essere paralizzata in ragione dell’orientamento sessuale dei partner. Essa, infatti, come sopra ricordato, è informata al principio costituzionale di uguaglianza
tra i coniugi, che si pone come unico elemento irrinunciabile della regolamentazione dei loro rapporti.
E poiché detto precetto non è imprescindibilmente legato alla diversità di genere, si può postulare l’estensibilità di quella normativa alle unioni omosessuali. Unica soluzione, questa, rispettosa del diritto
dei singoli e del principio di non discriminazione.
D’altra parte la compatibilità delle regole codicistiche sul matrimonio con le relazioni familiari instaurate da coppie same-sex è testimoniata in esiti ermeneutici provenienti dalle corti istituzionalmente
deputate alla interpretazione delle norme con riguardo alla loro legittimità costituzionale o alla nomofilachia dell’ordinamento. La Consulta e la Corte di cassazione hanno, infatti, ritenuto coerente con il
sistema il permanere del vincolo coniugale — con conseguente applicazione della disciplina matrimoniale — tra due persone divenute dello stesso sesso in conseguenza del mutamento di genere di una di
loro26. Approdo esegetico al quale la Corte costituzionale non sarebbe giunta laddove avesse rinvenuto
una insuperabile frizione tra matrimonio e omosessualità. Anche la pronuncia della S.C., che ha autorizzato la rettificazione di sesso nei registri dello stato civile in assenza dell’intervento chirurgico previsto
dalla legge 14 aprile 1982, n. 164 come necessario e reputato ora non indispensabile se si ha comunque
certezza della nuova identità di genere27, conduce ad affermare la potenziale operatività della disciplina
del matrimonio nei confronti di un soggetto che anagraficamente, ma non nei caratteri sessuali primari,
è di sesso opposto all’altro nubendo.
In sede applicativa una soluzione conforme a quella prospettata è stata assunta dal tribunale di
Grosseto nelle due richiamate pronunce di accoglimento della richiesta di trascrizione del matrimonio
same-sex celebrato all’estero. In particolare i giudici, nel riesaminare la questione, hanno considerato
discriminatorio negare il riconoscimento dello status coniugale legittimamente acquisito in uno Stato
straniero in ragione del riferimento nella normativa codicistica alle figure di marito e moglie28. L’applicabilità della disciplina sul matrimonio viene ammessa dopo una puntuale ricognizione del quadro
normativo interno e sovranazionale dalla quale emerge la priorità dei diritti fondamentali della persona
e la recessività del paradigma eterosessuale del matrimonio.
25 In altro scritto (G. Palmeri, M.C. Venuti, L’inedita categoria delle unioni affettive con vissuto giuridico matrimoniale. Riflessioni critiche a margine della sentenza della Corte costituzionale 11 giugno 2014, n. 170 in materia di divorzio del transessuale, cit., p. 556 ss.)
si è avuto modo di puntualizzare come la qualifica di “società naturale” che l’art. 29 Cost. attribuisce alla famiglia (fondata
sul matrimonio) non implichi che il matrimonio sia necessariamente diretto alla filiazione come fenomeno che naturalmente
richiede la presenza di uomo e donna per procreare.
26 Corte costituzionale, sentenza del 11 giugno 2014, n. 170, cit.; Cassazione, sentenza del 21 aprile 2015, n. 8097, in Corriere giuridico, 8-9/2015, p. 1048, con nota di S. Patti.
27 Cassazione, sentenza del 20 luglio 2015, n. 15138, in Dejure. La Corte ha affermato che «l’interesse pubblico alla definizione
certa dei generi, anche considerando le implicazioni che ne possono conseguire in ordine alle relazioni familiari e filiali, non
richiede il sacrificio del diritto alla conservazione della propria integrità psico fisica sotto lo specifico profilo dell’obbligo
dell’intervento chirurgico inteso come segmento non eludibile dell’avvicinamento del soma alla psiche».
Va segnalato che il Tribunale di Trento con ordinanza del 9 agosto 2014 (in Articolo29, www.articolo29.it) ha sollevato incidente di costituzionalità dell’art. 1, 1° comma, l. n. 164 del 1982 con riferimento agli artt. 2, 3 32 e 117 Cost., nella parte in cui
subordina la rettificazione di attribuzione di sesso alla intervenuta modificazione chirurgica dei caratteri sessuali (primari).
La Consulta con sentenza del 5 novembre 2015, in Articolo29, www.articolo29.it, ha quindi messo fine alla vicenda stabilendo
che la legge non impone la detta modificazione chirurgica.
28 Tribunale di Grosseto, decreto del 26 febbraio 2015, cit.
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G. Palmeri, M.C. Venuti
5. La “portabilità” dello status coniugale
Anche non volendo accogliere le argomentazioni svolte, va considerato come le pronunce che hanno
escluso la trascrivibilità del matrimonio finiscano per incidere sullo status della persona impedendo che
la qualità di coniuge e la conseguente relazione, fondate sul diritto straniero, possano essere vantate
anche nell’ordinamento interno.
Senza voler intervenire nell’articolato dibattito sul concetto di status e sulla sua attuale significatività29, con tale espressione qui si intende il fascio di situazioni e prerogative giuridiche che nascono da
una relazione rilevante per il diritto e che si proietta nella comunità statale e nelle formazioni sociali
intermedie. Ne deriva che lo status è elemento costitutivo dell’identità della persona anche nella sua
relazione con i consociati e con l’ordinamento, con la conseguenza che il suo mancato riconoscimento
cagiona un vulnus a tale diritto fondamentale30.
Per ciò che concerne, segnatamente, lo status coniugale, non può non osservarsi che esso è connotato dalla libertà e volontarietà del suo acquisto. Tratti che non possono venir meno pure con riferimento
alla sua continuità quando ciò è voluto anche dall’altro membro della relazione.
Se si condividono queste premesse deve ritenersi inammissibile una sua spoliazione autoritativamente imposta ai singoli in funzione di asseriti “superiori” interessi generali di cui si fa portatore l’ordinamento31. Esito che sembra prospettarsi nell’ipotesi di intrascrivibilità del matrimonio omosessuale
celebrato all’estero e in quella del cosiddetto divorzio “imposto” del transessuale, nel momento in cui
al diritto dei singoli viene opposta la conservazione del paradigma eterosessuale del matrimonio in
quanto espressiva di un superiore interesse della collettività.
In altri termini il diritto personalissimo di sposarsi e di vivere la relazione coniugale costituisce
una libertà degli individui che non può subire compressioni esterne mosse da motivazioni eccentriche
rispetto ai membri della coppia e che non esprimono interessi di rango primario di natura superiore né
un condiviso consenso sociale di cui lo Stato è interprete.
Sotto quest’ultimo ordine di considerazioni, va ricordato che nel diritto vivente si attesta un rifiuto
assoluto nei confronti della poligamia. Ciò per il pacifico e condiviso contrasto della fattispecie con il
principio di uguaglianza, cardine degli ordinamenti occidentali. Tuttavia benché le istanze di riconoscimento della qualità di coniuge delle mogli vengano rigettate, in molti paesi, compresa l’Italia, gli effetti
del matrimonio poligamico hanno trovato ingresso sotto taluni profili. Ne sono esempio il ricongiungimento familiare ammesso dalle corti in vista della salvaguardia dell’interesse della prole32, e il risarcimento del danno da uccisione del marito riconosciuto in ragione del venir meno dell’apporto morale
29 Tra i tanti cfr. P. Rescigno, Situazione e status nell’esperienza del diritto, in Rivista di diritto civile, 1973, I, p. 209 ss.; Id., voce «Status - I) Teoria generale», in Enciclopedia giuridica, XXX, Roma, 1993, e, più di recente, Le categorie civilistiche, in Fonti, soggetti,
famiglia, t. I, Le fonti e i soggetti, in Diritto civile, dir. da N. Lipari e P. Rescigno, coord. da A. Zoppini, Milano, 2009, p. 185 ss. V.
altresì F. Prosperi, Rilevanza della persona e nozione di status, in Rassegna di diritto civile, 1997, p. 810 ss; G. Bonilini, Lo status o gli
status di filiazione?, in Famiglia, persone e successioni, 8-9/2006, p. 681 ss.
30 La Corte Edu ha affermato che il mancato recepimento del certificato di nascita regolarmente formato all’estero in seguito
a maternità di sostituzione finisce per violare il diritto alla vita privata e familiare dei minori sotto il profilo dell’identità
personale nelle note decisioni del 26 giugno 2014, ric. n. 65192/11, Mennesson c. Francia, e ric. n. 65941/11, Labassee c. Francia,
reperibili in http://hudoc.echr.coe.int.
31 A voler diversamente ragionare si incorre in una palese violazione dell’autodeterminazione relativamente all’esercizio dei
diritti fondamentali, come può desumersi dalla vicenda oggetto della pronuncia della Corte costituzionale n. 170 del 2015, cit.
32 V. Corte d’appello di Torino, decreto del 18 aprile 2001, in Diritto di famiglia e delle persone, 2001, p. 1492 ss.; Tribunale di Bologna, ordinanza del 12 marzo 2003, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 3/2004, p. 775 ss., le quali hanno accolto le
domande di ricongiungimento della madre al figlio residente in Italia ritenendo irrilevante la presenza nel territorio dello
Stato di altre mogli del proprio marito sulla base del preminente interesse della prole. Va segnalato che di recente la Corte di
cassazione con ordinanza del 28 febbraio 2013, n. 4984, in Foro italiano, 2013, I, c. 2519 ss., ha espresso un diverso orientamento
sottolineando come il divieto posto all’art. 29, comma 1- ter del d.lgs. n. 286/1998, operi oggettivamente nei confronti delle
richieste di ricongiungimento familiare proposte in favore del coniuge di un cittadino straniero già regolarmente soggiornante con altro coniuge in Italia, non distinguendo soggettivamente la provenienza della domanda, «e al contrario mirando
ad evitare l’insorgenza nel nostro ordinamento di una condizione di poligamia, contraria al nostro ordine pubblico anche
costituzionale» (punto 4 della motivazione).
In dottrina v., ad es., R. Clerici, Le norme di diritto internazionale privato in materia di famiglia, in Famiglia e matrimonio, T.
Auletta (a cura di), I, nel Trattato di diritto privato, dir. da M. Bessone, IV – Il diritto di famiglia, Torino, 2010, p. 117 ss., spec. p.
142 ss..
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Focus: La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di giustizia
G. Palmeri, M.C. Venuti
e materiale della vittima a favore dell’intero nucleo familiare33. A ben vedere tali aspetti non possono
ritenersi (del tutto) disgiunti dallo status, come sopra definito.
6. Segue
Nel dibattito contemporaneo la complessità delle fonti e la tutela multilivello dei diritti umani con riguardo al tema in esame sollecitano una riflessione sull’ammissibilità della libertà di circolazione degli
status come ineliminabile portato della libertà di circolazione delle persone.
La visione che reputa possibile all’interno dello spazio comune europeo scindere quest’ultima libertà dal (la circolazione degli) status familiari34 viene contraddetta dagli approdi interpretativi in àmbito di
cognome e di ricongiungimento del coniuge, nei quali si ammette la “portabilità” di quella “frazione”
dello status legata alle situazioni soggettive di volta in volta implicate.
La Corte di giustizia ha ritenuto in contrasto con il diritto di circolazione e soggiorno di un cittadino europeo il rifiuto opposto da uno Stato membro alla conservazione del cognome familiare acquisito
secondo le regole di un diverso paese europeo35. I giudici sottolineano come il mancato riconoscimento
del cognome o l’imposizione della sua modifica in ossequio alla normativa dell’ordinamento di “destinazione”, impingendo autoritativamente sull’identità della persona, dia luogo a una irragionevole compressione della libertà di circolazione. Hanno inoltre evidenziato «che lo status di cittadino dell’Unione
è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri (…)», e hanno affermato
che la normativa primaria della Comunità non consente l’adozione di «provvedimenti nazionali che
abbiano l’effetto di privare i cittadini dell’Unione del godimento reale ed effettivo del nucleo essenziale
dei diritti conferiti dallo status suddetto»36.
Quanto al ricongiungimento, in presenza di una normativa sul diritto dei cittadini europei e dei
loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (d. lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, attuativo della direttiva 2004/38/CE), che individua nel coniuge uno dei soggetti cui
spetta tale diritto, in àmbito interno la S.C. ha precisato che la relativa condizione va apprezzata sulla
base della legislazione nazionale dello Stato che l’ha attribuita e che, una volta positivamente verificata
la sua sussistenza nel richiedente, lo status di coniuge va accolto come tale nel sistema italiano37. Tale
interpretazione, conforme alla ratio della direttiva38, è rispettosa anche delle Linee guida per il migliore
recepimento e applicazione della stessa, dettate nel 2009 dalla Commissione. Qui si sottolinea come la
direttiva debba essere applicata «conformemente al principio di non discriminazione, sancito in parti-
33 Ne danno notizia K. Rhazzali, M. Equizi, I musulmani e i loro luoghi di culto, in Le religioni nell’Italia che cambia. Mappe e bussole,
E. Pace (a cura di), Roma, Carocci editore, 2013, p. 47 ss., spec. p. 72.
Sotto altro profilo merita di essere ricordato che le Linee guida della Commissione europea per una migliore trasposizione
della direttiva 2004/38/CE (relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri) COM (2009)313, nel precisare che «in linea di principio i matrimoni validamente
contratti in qualunque parte del mondo devono essere riconosciuti ai fini dell’applicazione della direttiva» (punto 2.1.1),
dopo aver segnalato che a livello internazionale ed europeo i matrimoni “forzati” non possono ricevere tutela, individua nei
matrimoni poligamici un’eccezione alla regola della protezione piena dei matrimoni ovunque validamente contratti. Gli Stati
membri non sono tenuti a riconoscere i matrimoni poligami, contratti legalmente in un paese terzo, quando in contrasto con
il loro ordinamento giuridico; tuttavia ciò non pregiudica «l’obbligo di tenere conto dell’interesse superiore dei figli nati da
tali matrimoni » (punto 2.1.1).
34 Esemplificativamente sul punto nella recente letteratura C. Camardi, Diritti fondamentali e status della persona, cit., p. 23 ss.
35 Corte di giustizia Ue, 14 ottobre 2008, C‑353/06, e, in precedenza Corte di giustizia Ce, 2 ottobre 2003, C-148/02, entrambe
consultabili in http://curia.europa.eu.
36 Corte di giustizia Ue, 5 maggio 2011, C434/09, consultabile in http://curia.europa.eu, punto 47.
37 Cassazione penale, sentenza del 19 gennaio 2011, n. 1328, in Articolo29, www.articolo29.it. Risente dell’influsso di tale statuizione la Circolare del Ministero dell’interno del 26 ottobre 2012, n. 8996, con la quale, in ossequio anche ai principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 138 del 2010 sul riconoscimento alle coppie omosessuali del diritto a vivere
pienamente la condizione di coppia, si ribadisce che ai fini dell’applicazione del d.lgs. n. 30 del 2007, la nozione di coniuge
dev’essere interpretata alla luce della normativa dello stato estero in cui il matrimonio è stato celebrato.
38 In base al Considerando 2, infatti, «la libera circolazione delle persone costituisce una delle libertà fondamentali del mercato
interno che comprende uno spazio senza frontiere interne nel quale è assicurata tale libertà secondo le disposizioni del trattato». Ed inoltre le Linee guida emanate dalla Commissione Europea, per una migliore trasposizione della Direttiva 2004/38/
CE (COM(2009) 313 def.) rilevano che «la libera circolazione dei cittadini rappresenta una delle libertà fondamentali del
mercato interno ed è il fulcro del progetto europeo».
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Focus: La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di giustizia
G. Palmeri, M.C. Venuti
colare dall’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea»; circostanza, questa, che
rafforza l’indicazione ermeneutica cui s’è fatto cenno del pieno generale riconoscimento dei «matrimoni
validamente contratti in qualunque parte del mondo» - e dunque secondo la legislazione del paese di
celebrazione -, tranne quelli che urtano irrimediabilmente contro i principi fondanti dell’ordinamento
europeo. È il caso dei matrimoni forzati39.
Dunque, chi ha acquisito la qualità di coniuge in un paese membro, anche in quelli che ammettono
il matrimonio same-sex, ha diritto a vedere accolto il suo status nell’ordinamento in cui intende stabilirsi
per accompagnare o ricongiungersi al/la proprio/a marito/moglie.
Va tuttavia preso atto che una simile soluzione, di pieno recepimento della condizione personale
acquisita all’estero nel momento di valutazione della sussistenza dei presupposti (qualità di coniuge)
per l’accoglimento della domanda di circolazione e soggiorno40, finisce per chiudersi poi rispetto agli
altri momenti in cui il medesimo status, come condizione della persona, necessita di un preciso riconoscimento una volta che il soggetto è inserito nel nostro sistema. Limitando il ragionamento all’ipotesi
in esame, lo status matrimoniale (omosessuale) di colui che soggiorna stabilmente in Italia a seguito di
ricongiungimento con il proprio coniuge si dissolve a tutti gli altri fini rilevanti per l’ordinamento interno (lavorativo, previdenziale, sanitario, sicurezza sociale). Paradossalmente i due coniugi, di cui almeno
uno sia cittadino comunitario, autorizzati a stabilirsi e soggiornare sul territorio nazionale, non vengono
più considerati tali dallo Stato italiano “ospitante”.
Detto in altre parole, il risultato che ne discende è contraddittorio con le premesse da cui parte —
ossia il riconoscimento quanto più ampio possibile del matrimonio celebrato all’estero — e con la finalità che ispira la normativa europea e quella interna di recepimento41.
Questa contraddizione è visibile in quelle letture che operano una rigida e netta cesura tra regole
di matrice comunitaria in tema di libera circolazione delle persone, in ossequio alle quali si dà ingresso
alle categorie del diritto europeo anche rispetto alla qualifica di coniuge, e regole di diritto interno sui
rapporti familiari, alle quali viene attribuita una operatività in tutti gli altri ambiti. Si afferma, infatti,
che l’esigenza di garantire la libera circolazione delle persone è sganciata dalla disciplina municipale
in materia di famiglia. A questa stregua si sostiene la separazione tra i due piani di tutela: quello della
«libertà di circolazione (dominata dalla normativa sovranazionale) e del diritto di famiglia (informato
ai principi stabiliti dal legislatore nazionale)». Nel primo «assumono rilievo specifiche ragioni ed interessi anche di natura economica che informano l’Unione (integrazione economica, scambi commerciali,
concorrenza ecc...) e la materia è di specifica competenza dell’Unione Europea; nell’altro caso, oggetto
di tutela appare, invece, la protezione della famiglia e dei suoi componenti, materia non di competenza dell’Unione Europea, ove emergono distinte esigenze che devono essere risolte nell’ordinamento
nazionale»42. In questa prospettiva ermeneutica la nozione di coniuge contenuta nella normativa di ispirazione comunitaria deve essere interpretata secondo il diritto dell’Unione, nel quale spicca l’art. 9 della
Carta di Nizza. Quando, invece, non si tratta di decidere sulla libertà di circolazione delle persone nel
39 Linee guida, cit., punto 2.1.1. Con riferimento al matrimonio poligamico v. note 32 e 33.
40 Va segnalato che la condizione di componente di unione registrata non gode dell’automatico riconoscimento garantito al
coniuge sulla base del disposto dell’art. 2, 1° comma, lett. b), n. 2) del d.lgs. n. 30 del 2007, in forza del quale si intende per “familiare” il «partner che abbia contratto con il cittadino dell›Unione un’unione registrata sulla base della legislazione di uno
Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio e nel rispetto
delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante». L’assenza in Italia di una normativa
sulle unioni civili, prim’ancora della circostanza che in essa l’unione registrata sia equiparata al matrimonio, comporta un
vuoto di tutela per le coppie legalmente registrate all’estero che intendono risiedere nel nostro paese. Per superare l’impasse in
giurisprudenza si è “degradata” la posizione di componente di un’unione registrata a quella del partner di fatto, diversamente presa in considerazione dall’art. 3, 2° comma, lett. b) del medesimo decreto legislativo (cfr. Tribunale di Verona, ordinanza
del 5 dicembre 2014, in Articolo29, www.articolo29.it). Tale previsione rimette ad una valutazione discrezionale dello Stato
“ospitante” la possibilità di accogliere l’istanza di soggiorno nel momento in cui viene accertato che il compagno di vita abbia
con il cittadino europeo «una relazione stabile debitamente attestata con documentazione ufficiale».
41 In linea con l’esigenza di un riconoscimento ampio del matrimonio celebrato all’estero è il provvedimento del Tribunale di
Pescara (ordinanza del 18 maggio 2013, in Famiglia e diritto, 8-9/2013, p. 790 ss., con nota di G. Genova) in cui si legge che «la
qualità di coniuge del richiedente il permesso di soggiorno attiene ad uno status come riconosciuto dallo Stato comunitario
ove la coppia ha contratto matrimonio, e su cui lo Stato comunitario destinato ad accogliere la coppia ed in particolare il
coniuge (anche extracomunitario) che intenda ivi soggiornare e permanere con l’altro coniuge comunitario, non può opporsi
o introdurre impedimenti che non siano quelli previsti dal d.lgs. n. 30/07 e cioè le riportate ragioni di ordine pubblico e di
pubblica sicurezza». Anche se concerne non il matrimonio ma l’unione di fatto in questa stessa direzione si segnala Tribunale
di Firenze, ordinanza del 4 luglio 2005, in Articolo29, www.articolo29.it.
42 Così in giurisprudenza Tribunale di Reggio Emilia, decreto del 13 febbraio 2012, in Articolo29, www.articolo29.it, punto 2.
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Focus: La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di giustizia
G. Palmeri, M.C. Venuti
territorio comune europeo, la nozione di coniuge, così come tutte le altre rilevanti in materia di rapporti
familiari, viene integralmente assorbita nello strumentario concettuale del giurista nazionale.
Non si può non valutare criticamente l’incoerenza argomentativa di chi da un lato sottolinea «la
necessità per gli Stati membri di rispettare il diritto del cittadino dell’Unione di spostarsi nel territorio
dell’Unione conservando i propri rapporti familiari» e, dall’altro, riserva «all’autonomia dei singoli Stati
nazionali la definizione della nozione di matrimonio valida per il diritto interno»43.
7. Identità e status personale.
Malgrado la direttiva sulla libertà di circolazione e soggiorno e le Linee guida elaborate dalla Commissione per la sua applicazione muovano dal presupposto della piena attuazione del principio di non
discriminazione sancito all’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali, e pure accolto dalla normativa
interna di recepimento, va rimarcato come questo importante segmento di tutela della persona e della
famiglia (anche omosessuale) venga fortemente depotenziato nel momento in cui si inserisce in un sistema che nega visibilità e formale riconoscimento alla condizione coniugale omosessuale acquisita e
consolidata all’estero e allo svolgimento della relazione matrimoniale.
La mancata trascrizione del matrimonio same-sex quasi unanimemente affermata dalle nostre corti
e l’assenza di una disciplina sulle unioni civili che possa rappresentare ancoraggio normativo per il
rapporto coniugale validamente instaurato all’estero44, determinano un vulnus alla persona e alla sua
identità, la quale finisce per dispiegarsi diversamente a seconda dell’ordinamento giuridico in cui il
soggetto vive o temporaneamente si trova. Questo si traduce in una perdita secca di una parte — non
irrilevante — dell’identità e segnatamente, in primo luogo, quella inerente alle relazioni familiari che si
dipartono dal matrimonio e dalla filiazione45.
Ciò risulta in stridente contrasto con i principi che costituiscono la cornice e il fondamento dell’ordinamento interno e sovranazionale, tra i quali innanzitutto il principio del rispetto della vita privata e
familiare e di non discriminazione in base all’orientamento sessuale.
Peraltro il sistema nazionale, visto nella sua complessità e dinamismo, esibisce smagliature, che
sono il portato inevitabile delle aperture alle istanze di protezione avanzate dai singoli che reclamano il
pieno riconoscimento dei propri diritti personalissimi.
La strenua difesa di una compattezza del sistema delle relazioni familiari incentrato su paradigmi
risalenti mostra segni evidenti di cedimento in tutte quelle fattispecie, che non possono più considerarsi
eccezionali, in cui le regole di diritto positivo hanno subito una torsione “anomala” attribuendo situazioni soggettive a individui o coppie con orientamento omosessuale. Ci si riferisce ai casi già richiamati
del matrimonio che persiste nonostante il cambiamento di genere di uno degli sposi, della rettificazione
degli atti dello stato civile indipendentemente dalla modificazione chirurgica dei caratteri sessuali primari, della trascrizione dei certificati di nascita di bambini con genitori dello stesso sesso ed eccezionalmente di matrimonio same-sex46.
Alla luce delle considerazioni svolte, risulta nient’affatto convincente la soluzione maggioritaria richiamata in apertura che si arresta di fronte all’inesistenza di una normativa specifica cui agganciare gli
effetti nell’ordinamento interno del matrimonio celebrato all’estero del quale si chiede la trascrizione;
negando, così, la “portabilità” dello status e mutilando l’identità della persona nel momento in cui essa
viene a dispiegarsi sul territorio nazionale.
43 Si v. ancora Tribunale di Reggio Emilia, decreto del 13 febbraio 2012, cit., punto 3.2.
44 Il d.d.l. n. 2081, Cirinnà et al., comunicato alla Presidenza del Senato il 6 ottobre 2015, se approvato, prevede all’art. 8, 1°
comma, lett. b), l’emanazione di decreti legislativi che modifichino le norme di diritto internazionale privato nel senso di
applicare la disciplina interna sulla unione civile «alle coppie formate da persone dello stesso sesso che abbiano contratto
all’estero matrimonio, unione civile o altro istituto analogo».
45 Senza trascurare i profili concernenti l’acquisto della cittadinanza o la qualità di erede legittimo e necessario, per fare solo
qualche esempio.
46 Le fratture nel sistema sono rilevabili pure nei provvedimenti che hanno ammesso l’adozione in casi particolari della figlia
nata con inseminazione eterologa nell’ambito di una coppia omosessuale (Tribunale dei minori di Roma, sentenza del 30
luglio 2014, in Foro italiano, 2014, I, c. 2743 ss., con nota di G. Casaburi) e che hanno disposto la continuità dei rapporti tra la
mamma sociale e i figli della compagna, una volta cessata la relazione di coppia (Tribunale di Palermo, decreto del 6-15 aprile
2015, in Foro italiano, 2015, I, c. 1780 ss., con nota di G. Casaburi).
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Focus: La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di giustizia
G. Palmeri, M.C. Venuti
In questa impasse, a fronte anche delle statuizioni delle supreme corti, deve percorrersi la via che
conduce, nel sistema dato, al riconoscimento degli effetti del matrimonio della coppia omosessuale sposata all’estero attraverso l’applicazione analogica delle previsioni relative ai diritti e doveri che nascono
dal matrimonio47.
47 Come segnalato, va in questa direzione il decreto del Tribunale di Grosseto del 26 febbraio 2015 (v. nota 3), che ha ordinato
la trascrizione del matrimonio sulla base, tra l’altro, della considerazione dell’immediatezza degli effetti giuridici e sociali
dello status (coniugale), che non può essere paralizzata «sulla scorta di una pretesa inapplicabilità della disciplina codicistica
a coniugi aventi un orientamento omosessuale». La Corte giunge a tale soluzione anche ponendo l’accento sul principio di
non discriminazione, ritenendo irragionevole e sproporzionata una limitazione del diritto fondamentale della coppia samesex in assenza di un contrapposto interesse generale di pari o superiore rango. In definitiva la differenza di trattamento nella
trascrivibilità di matrimoni etero e omosessuali viene rinvenuta unicamente nell’orientamento sessuale dei richiedenti, in
violazione del principio di non discriminazione.
anno II, numero 2: dicembre 2015 · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · 102
Focus: La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di giustizia
Marco Magri
Marco Magri*
La giurisprudenza amministrativa sulla trascrizione
dei matrimoni omosessuali nei registri dello stato
civile: governo degli uomini o governo delle leggi?
Sommario
1. Il difficile quadro tracciato dalla giurisprudenza di primo grado – 2. La chiave di lettura del Consiglio
di Stato: gerarchia, potere implicito, interna corporis – 3. Far tabula rasa di uno status fuorilegge: chi, se
non l’amministrazione? – 4. La questione della «trascrivibilità» del matrimonio celebrato all’estero. La
possibile incostituzionalità della norma di conflitto (in tema di capacità matrimoniale) – 5. L’inevitabile
scivolamento della controversia sulla «trascrivibilità» tra le questioni relative allo stato delle persone,
su cui non c’è giurisdizione amministrativa – 6. Il radicamento della giurisdizione amministrativa nella
sola controversia sull’attribuzione, regolata dalle norme sulla tenuta dei registri di stato civile – 7. Argomenti a favore della nullità della «circolare Alfano» e dei provvedimenti prefettizi applicativi per difetto
assoluto di attribuzione (art. 21-septies l. n. 241/1990) – 8. Un orizzonte minaccioso per l’ideale del governo delle leggi: i pieni poteri dell’esecutivo contro il «gentle despotism» degli omosessuali
Abstract
Con la circolare adottata il 7 ottobre 2014 (Prot. N ° 10863), il Ministro dell’Interno ha ordinato a tutti i
prefetti della Repubblica (e al Sindaco dei comuni situati all’interno dei rispettivi distretti) di cancellare
dai registri di stato civile tutte le registrazioni di matrimoni fra persone dello stesso sesso celebrati all’estero, sottolineando che il matrimonio è disciplinato dal diritto nazionale anche se celebrato all’estero
e che di conseguenza si impone una nozione solo eterosessuale di matrimonio, essendo quest’ultimo
l’incontro di volontà tra “marito” e “moglie”. L’articolo si propone di delineare i primi risultati cui è
giunto il controllo giurisdizionale sui limiti delle competenze ministeriali, le quali sono state contestate
dalle persone coinvolte dall’annullamento della loro registrazione di stato. Alcune coppie hanno contestato difatti le decisioni prefettizie, assumendo che le misure dei prefetti fossero illegali ed inefficaci,
portando la questione innanzi ai tribunali amministrativi regionali e, infine, al Consiglio di Stato, che ha
tuttavia respinto da ultimo la domanda in ragione della pretesa struttura gerarchica dell’Amministrazione dello Stato e dell’affermato interesse pubblico all’eliminazione dei matrimoni fra persone dello
stesso sesso dai registri di stato civile.
With the circular adopted on October 7, 2014 (Prot. No. 10863), the Minister for the Interior ordered to all the
prefects of the Republic (and to the Major of the municipalities located within the respective districts) to withdraw
and delete all the registrations of same-sex marriages celebrated abroad from the civil status registers. The Minister
pointed out that the same-sex marriage relationship is governed by national law even whether it has been celebrated abroad; hence, it must be interpreted in the sense of the heterosexuality of the concept of marriage, being this
latter an encounter of will between “husband” and “wife”. The article aims to sketch the first outcomes of judicial
review scrutiny about the limits of the Ministerial powers, challenged by the persons involved by the annullment
of their status recording. Some couples challenged such a decision, applying for the declaration that the prefect’s
measures was unlawful and ineffective. They brought the matter before the administrative regional courts and
*
Associato di Diritto Amministrativo, Università di Ferrara.
anno II, numero 2: dicembre 2015 · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · 103
Focus: La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di giustizia
Marco Magri
ultimately before the State Council, who refused the application because of the hyerarchical structure of the State
administration and the public interest to eliminate same-sex marriages from the civil status registers.
1. Il difficile quadro tracciato dalla giurisprudenza di primo grado
Dopo non poche incertezze, il famoso dilemma di filosofia politica — «governo degli uomini o governo
delle leggi?»1 — è sembrato appropriato a corredare il titolo delle presenti note, benché possa far nascere
il sospetto di una critica pletorica o sproporzionata al caso.
Ma la sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, 26 ottobre 2015, n. 48972 suscita esattamente un interrogativo di questo tipo; chiama in causa i principi dello Stato di diritto, di fronte ad una decisione in cui
questi ultimi, sia pure con le migliori intenzioni, non sono stati ben governati.
Non v’è dubbio che spettasse al Consiglio di Stato mettere ordine in una giurisprudenza che, dopo
cinque differenti pronunce dei tribunali amministrativi regionali, appariva ancora complessivamente
incerta, e non sempre ben disposta, in merito al problema della legittimità della trascrizione nei registri
di stato civile dei matrimoni celebrati all’estero tra persone dello stesso sesso3.
Delle cinque decisioni di primo grado, due, una del TAR Lazio4 — poi riformata dal Consiglio di
Stato — ed una del TAR Friuli Venezia Giulia5, avevano accolto i ricorsi proposti dai diretti interessati
contro gli atti dei prefetti che avevano tolto efficacia alle trascrizioni. Altre due pronunce, del TAR Toscana6 e del TAR Lombardia7, avevano declinato la giurisdizione, ritenendo che la controversia sull’annullamento della trascrizione del matrimonio riguardasse diritti soggettivi, esattamente come accade
nel caso di lite sul rifiuto di un atto da parte dell’ufficiale di stato civile, devoluta per legge al giudizio
ordinario di rettificazione (art. 95 DPR n. 396/2000)8.
In tutte e quattro le decisioni di cui si è appena dato conto, il giudice amministrativo non ha deciso
in merito all’azione di nullità dell’atto del prefetto (art. 31 c.p.a.), che pure era stata proposta dai ricorrenti in via principale (l’azione di annullamento veniva in subordine). In Lazio ed in Friuli Venezia Giulia il vizio di nullità è stato derubricato a semplice annullabilità, per chiarire che il potere del prefetto,
pur privo di base legale, non è un potere inesistente, ma solo male esercitato. In Toscana ed in Lombardia viceversa non si è neppure arrivati a deciderne le sorti, avendo i TAR stabilito che, in conseguenza
della carenza di potere del prefetto, a giudicare dell’atto impugnato dovesse essere il giudice dei «meri
comportamenti»: quello ordinario. In Lombardia, a latere della declaratoria di difetto di giurisdizione,
è stato accolto il ricorso proposto del sindaco-ufficiale di stato civile a tutela delle proprie attribuzioni,
in origine sotto forma di intervento ad aiuvandum, ma riqualificato dal TAR come autonoma azione di
annullamento, correttamente promossa (questa sì) dinanzi al giudice amministrativo. In Friuli Venezia
Giulia lo stesso tipo di intervento è stato giudicato inammissibile, anzi temerario, tanto che il TAR ha
trasmesso gli atti alla Corte dei Conti per la valutazione di responsabilità erariale del sindaco, colpevole
1
E’ questo il titolo del capitolo finale di N. Bobbio, Il futuro della democrazia, Torino, UTET, 1984, 169 ss. Sui termini sostanziali
del problema tra gli altri, R. Bin, Lo stato di diritto, Bologna, Il Mulino, 7 ss.
2
In questa Rivista, p. 336, identica a quelle, in pari data, n. 4898 e n. 4899. Tra i primi commenti, L. Morassutto, Il Consiglio di
Stato e la spallata alla giurisdizione ordinaria, in Articolo29, www.articolo29.it. 2015.
3
Per una rassegna della recente giurisprudenza civile di merito, http://www.articolo29.it/matrimonio-indice/matrimoniocontratto-allesterotrascrizionemerito/
4
Tribunale amministrativo regionale Lazio, I-ter, sentenza del 23 aprile 2015, n. 5924.
5
Tribunale amministrativo regionale Friuli Venezia Giulia, I, sentenza del 21 maggio 2015, n. 228.
6
Tribunale amministrativo regionale Toscana, sentenza del 25 settembre 2015, n. 1291.
7
Tribunale amministrativo regionale Lombardia, III, sentenza del 29 settembre 2015, n. 4749.
8
Nella sentenza del Tribunale amministrativo regionale Lombardia, la declinatoria della giurisdizione era sorretta anche da
un altro assunto: che la pretesa dei ricorrenti alla trascrizione del matrimonio corrispondesse alla rivendicazione giudiziale
di una situazione di diritto soggettivo «incomprimibile». I giudici lombardi avevano fatto tesoro del criterio di riparto basato
sulla causa petendi, per desumerne che l’intrinseca natura della situazione giuridica azionata era l’interesse alla conservazione
della trascrizione, quindi che la contestazione cadesse in radice sulla esistenza del potere prefettizio. Giusta osservazione,
purtroppo non seguita dalla decisione più conseguente, e cioè l’applicazione dell’art. 21-septies l. n. 241/1990, che scientemente i giudici hanno citato, ma per inferirne la declaratoria di difetto di giurisdizione. Così il Tribunale amministrativo
regionale ha addossato ai ricorrenti l’onere di procedere alla translatio iudicii, anziché decidere come a mio giudizio meglio
sarebbe stato, ossia dichiarare la nullità dell’atto del prefetto per difetto assoluto di attribuzione.
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di aver esposto l’amministrazione ad inutili spese di giudizio. Dinanzi al TAR Veneto9, l’esito dei ricorsi
era stato negativo su tutti i fronti.
Era ondivaga, insomma, la giurisprudenza di primo grado; ma forse vi è qualcosa di più. Quella del
TAR Veneto è stata l’unica sentenza con dispositivo di rigetto, non l’unica in cui il diritto alla trascrizione
del matrimonio omosessuale è stato dichiarato inesistente. Gli accertamenti dei TAR sono stati, sotto
questo profilo, circospetti, a tratti persino monitori, verso le trascrizioni. Nessuno ha spiegato perché
l’azione di nullità non potesse essere accolta, ma ça va sans dire: non è stata trattata neanche da due TAR
che hanno accolto il ricorso, perché se fosse stata accolta avrebbe prodotto un giudicato di portata eccessivamente vantaggiosa, il riconoscimento di un interesse «illegittimo».
Tocchiamo così il punto fondamentale. Quando ho accennato al fatto che la giurisprudenza di primo grado non è stata sempre benevola verso i ricorrenti, alludevo proprio a questo aspetto della vicenda. Sia le due pronunce favorevoli ai ricorrenti (Lazio, Friuli Venezia Giulia), sia una delle due che
hanno declinato la giurisdizione (Toscana) sono state attentissime a precisare che mai, in Italia, il matrimonio
omosessuale potrebbe essere trascritto. Due di queste pronunce hanno ritenuto fondate le censure contro il
provvedimento prefettizio, che aveva tolto efficacia alla trascrizione del matrimonio; ma sia queste, sia
le altre sono state contrarie o, comunque, non favorevoli alla trascrizione.
Complessivamente, l’impressione è che la giurisprudenza regionale, anche sul suo versante di accoglimento, abbia voluto sanzionare, della «circolare Alfano», perlopiù l’abnormità di aspetti formali:
l’essere intervenuto, il ministro, in assenza di base normativa, per impartire ai prefetti l’ordine di annullare le trascrizioni consentite da alcuni sindaci. Ma anche laddove è stata accertata la violazione del
principio di legalità, i TAR non hanno voluto astenersi dal dire che pure le trascrizioni erano atti macroscopicamente privi di base normativa, meritevoli di una «qualche» sanzione, a causa della loro palese
antigiuridicità. E la sanzione è stata, appunto, l’inserimento di un capo di sentenza in cui si è espressamente giudicata la trascrizione del matrimonio omosessuale effettuata dagli ufficiali di stato civile.
Meglio si direbbe, a voler chiamare le cose col loro nome, che quella denunciata dinanzi ai TAR era
una vera e propria alterazione degli atti dello stato civile da parte di pubblici ufficiali (ministro e prefetto). Comportamento vietato dalla legge penale (art. 476 c.p.), che sarebbe stato contestato in condizioni
«normali» a qualunque funzionario pubblico che lo avesse posto in essere: si pensi al caso del medico,
reo di aver alterato una cartella clinica falsa, con l’intento di farla rispondere al vero10.
Solo che qui la manomissione dei registri pubblici deve aver dato ai TAR l’idea del reato impossibile, poiché gli atti di unione matrimoniale tra persone dello stesso genere, celebrati all’estero, sono tanto
lontani dalla concezione italiana, eterosessuale, del matrimonio, da apparire alla gran parte dei giudici
amministrativi come un nulla assoluto: una parvenza di status, che non poteva ingenerare alcuna pubblica fede, né conferire, di conseguenza, alcunché di offensivo alla loro distruzione.
Spigolando tra questioni processuali e di merito, le magistrature regionali hanno voluto arrivare,
in qualche modo, a non restare del tutto «neutrali» dinanzi allo scempio del paradigma dell’unione tra
marito e moglie, onde far quadrato con le giurisdizioni superiori sul problema di fondo: la validità della
«trascrizione» del matrimonio omosessuale. Anche in uno dei due casi in cui il ricorso degli interessati
è stato dichiarato inammissibile per carenza di giurisdizione (TAR Toscana), i giudici hanno tenuto a
puntualizzare che l’atto del prefetto era difettoso, appunto, sul piano dell’attribuzione, non dei contenuti. Una sorta di campanello d’allarme imponeva di chiarire che l’annullabilità o la nullità dell’atto del
prefetto si esauriva nella violazione di norme organizzative, non dei principi sulla sostanza dei diritti.
Dunque, la vicenda della trascrizione dei matrimoni omosessuali, per come si era evoluta dinanzi
alla giurisdizione amministrativa di primo grado, ricordava per certi aspetti quei casi in cui l’impugnativa di un atto porta il giudice a preoccuparsi degli effetti della propria pronuncia: un giudice che, nel
decidere se il ricorso debba essere accolto, respinto o dichiarato inammissibile, si lascia guidare, in tutto
o in parte, dallo scopo di non assumere la responsabilità di una pronuncia troppo dirompente.
Se esisteva un filo conduttore che legava queste pronunce di primo grado, era la volontà di impedire che gli interessati traessero dal giudicato amministrativo di accoglimento (o comunque non di rigetto,
considerate le due declinatorie della giurisdizione) elementi di «riviviscenza» della trascrizione dei loro
matrimoni, e, in ultima analisi, la universalità dello status di coniuge.
Si era andati così dall’unica pronuncia di rigetto «secco» del ricorso, quella del TAR Veneto, che
reputava la cancellazione prefettizia legittima, al punto che per questo Giudice gli stessi interessati ne
avrebbero tratto beneficio, in quanto saggiamente disillusi dal «falso affidamento» in uno status che
l’ordinamento avrebbe poi disconosciuto loro in ogni dove; alle sentenze dei TAR Lazio (di cui dirò tra
poco) e Friuli Venezia Giulia, nelle quali si leggeva che l’atto del prefetto è, invece, illegittimo, ma non
9
Tribunale amministrativo regionale Veneto, sentenza del 29 luglio 2015, n. 878.
10 Corte di cassazione penale, sezione quinta, sentenza del 21 novembre 2011, n. 42917.
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perché la trascrizione potesse essere effettuata da parte del sindaco — giacché, anzi, da questo punto di
vista la «circolare Alfano» era definita, dai giudici, «legittima» — bensì per la mancanza di una regola
generale che sancisse la supremazia gerarchica del prefetto sul sindaco quale ufficiale di stato civile, tale
da permettere al primo organo di annullare, in via di autotutela, gli atti del secondo.
Si pensi, ancora, alla sentenza del TAR Toscana, che ha declinato la propria giurisdizione con l’escamotage della astratta parificazione tra controversia sulla cancellazione prefettizia e controversia sul rifiuto di trascrizione da parte del sindaco (di competenza del giudice ordinario ex art. 95 d.p.r. n. 396/2000),
non senza aver precisato che il matrimonio tra persone dello stesso sesso, in Italia, non può produrre
effetti. In questo modo, oltre a scendere incidenter tantum in una questione relativa allo stato dei ricorrenti (non saprei definirla in altro modo, ma cercherò di spiegarmi in seguito), i giudici fiorentini avevano
dato l’impressione di non aver ponderato adeguatamente la tipologia di domanda loro rivolta: declaratoria di nullità, non semplice annullamento, del provvedimento impugnato.
Se non esisteva norma che sorreggesse il potere del prefetto, resta oscuro come mai il giudice amministrativo non ne abbia dichiarato la nullità per difetto assoluto di attribuzione (l’azione è prevista
dall’art. 31 c.p.a.), anziché statuire negativamente sulla giurisdizione in base alla semplice comunanza
della controversia a quella sulla rettificazione dei registri di stato civile. Non è forse l’azione di nullità
uno strumento di realizzazione del compito, storico e costituzionale, della giustizia amministrativa, e
cioè mettere la tipica efficacia «costitutiva» della sentenza amministrativa a disposizione degli interessi
che non potrebbero mai ricevere tutela equivalente dinanzi al giudice ordinario, al quale è ancora oggi
vietato l’intervento sull’atto, in forza dell’art. 4 della l. n. 2248/1865 all. E?
Analoghe osservazioni possono farsi riguardo alla decisione del TAR Lombardia, unica a non avere affrontato, neppure incidentalmente, la possibilità di trascrizione del matrimonio omosessuale nei
registri di stato civile. La declaratoria di difetto di giurisdizione è stata, da parte del Collegio milanese,
netta e senza postille: più marcatamente basata, a differenza del TAR Toscana, sulla carenza di potere
del prefetto e sulla natura «incomprimibile» del diritto azionato. Si ripropone tuttavia l’interrogativo
sopra formulato, visto che anche qui era stata proposta azione di nullità (ex art. 31 c.p.a.) e che il difetto
assoluto di attribuzione è una delle cause che possono dar luogo a questo giudizio. Si consideri che, se vi
è un aspetto che la giurisprudenza amministrativa tiene molto in conto, negli ultimi tempi, è la capacità
di essere giudice naturale del potere anche quando quest’ultimo incide su diritti costituzionalmente garantiti. La giustizia amministrativa va favorevolmente disponendosi a tutelare gli interessi legittimi correlati a diritti fondamentali, non meno effettivamente degli interessi legittimi privi di tale addentellato.
A rendere poco plausibile la decisione del TAR Lombardia, può stare dunque la «crisi» della teoria
dei diritti costituzionalmente garantiti come diritti «indegradabili». E viene da chiedersi come il TAR
abbia potuto conciliare questa sua posizione, che nega in radice il potere del prefetto di incidere sul
diritto soggettivo «incomprimibile», con il riconoscimento di un interesse legittimo in capo al sindaco
ufficiale di stato civile, la cui funzione è semplicemente quella di dar certezza al diritto stesso, così da
renderlo «incomprimibile» e sottrarlo alla giurisdizione amministrativa. La riqualificazione dell’intervento ad adiuvandum del sindaco di Milano come ricorso autonomo ha aperto un varco, che altrimenti
non vi sarebbe stato, verso l’annullamento del provvedimento di autotutela. Non sarà anche questo (la
sentenza è perspicace, ma le forzature non mancano) uno stratagemma per arrivare all’annullamento
dell’atto del prefetto, senza esorbitare dal giudizio su rapporti di natura strettamente organizzativa?
In conclusione — e tornando alle primissime battute di questo paragrafo — ci si poteva aspettare
che il Consiglio di Stato mettesse «ordine» sul problema della legittimità della trascrizione nei registri di
stato civile dei matrimoni celebrati all’estero tra persone dello stesso sesso. Anche il disordine però non
era del tutto involontario, né privo di contenuti ostili al matrimonio omosessuale. In realtà, nella giurisprudenza di primo grado vi erano già gli elementi dell’atteggiamento censorio che sarà poi assunto dai
giudici di palazzo Spada verso l’operato degli ufficiali di stato civile. Non può quindi meravigliare che
il Consiglio di Stato, riformando una di queste sentenze, abbia calcato la mano sulla necessità di proteggere, per prima cosa, l’integrità della «millenaria tradizione» che costituisce base dei principi costituzionali in materia di famiglia, riconoscendo al prefetto il potere di far tabula rasa di uno status fuorilegge.
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2. La chiave di lettura del Consiglio di Stato:
gerarchia, potere implicito, interna corporis
Anche il TAR Lazio, come si è visto, nella sentenza impugnata11 aveva recisamente condannato le trascrizioni dei matrimoni omosessuali disposte dal sindaco di Roma, ma aveva poi utilizzando parametri
distinti per giudicare il potere del prefetto di annullare le trascrizioni stesse.
Sulla «trascrivibilità» dell’unione omosessuale, il TAR aveva fondato la soluzione negativa sui noti
orientamenti della Corte Costituzionale12, della Corte europea dei diritti dell’uomo13, della Corte di Cassazione14, dai quali aveva desunto che, mancando il requisito dell’eterosessualità degli sposi, non vi può
essere matrimonio, né trascrizione del matrimonio, per il diritto italiano15.
Il secondo oggetto implicava invece una questione di pura e semplice riserva di legge. Era in gioco
la legalità dei poteri amministrativi, il fondamento del potere di annullamento d’ufficio esercitato dal
prefetto. Questo era il problema di fondo: l’invalidità della trascrizione del matrimonio — benché evidente, secondo il TAR Lazio — non abilitava il prefetto a sostituirsi al sindaco arrogandosi un potere di
autotutela che nessuna norma di legge gli attribuiva16. Coerentemente, il giudice di primo grado aveva
negato che si potessero attribuire conseguenze rilevanti, ai fini della decisione, alla relazione di «supremazia gerarchica» che intercorre tra l’ufficiale di stato civile, il ministro ed il prefetto17.
11 Tribunale amministrativo regionale Lazio, I-ter, sentenza del 23 aprile 2015, n. 5924.
12 Corte costituzionale, sentenza del 15 aprile 2010, n. 138
13 Corte E.D.U., I, 24 giugno 2010, Schalk e Kopf c. Austria.
14 Corte di cassazione civile, sezione I, sentenza del 15 marzo 2012, n. 4184.
15 Punto 1 della motivazione. Fin qui, secondo il Tribunale amministrativo regionale, il quadro giuridico nazionale ed internazionale è inequivocabile: la capacità matrimoniale e le altre condizioni per contrarre matrimonio sono regolate dalla legge
nazionale di ciascun nubendo (art. 27 l. n. 218/1995); il cittadino è soggetto alle disposizioni contenute negli articoli da 84 a
89 c.c. (sulle condizioni necessarie per contrarre matrimonio) anche quando contrae matrimonio in paese straniero secondo le
forme ivi stabilite (art. 115 c.c.); in Italia il matrimonio può formarsi solo per consenso tra «marito» e «moglie» (argomenta ex
artt. 108, 143, 143-bis c.c.; art. 64 d.p.r. n. 396/2000). Pertanto (punto 2) «la circolare del 7 ottobre 2014 del Ministro dell’Interno
non risulta illegittima nella parte in cui si afferma l’intrascrivibilità dei matrimoni tra persone dello stesso sesso derivante
“dalla loro inidoneità a produrre, quali atti di matrimonio, qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento italiano”, in considerazione del difetto di un requisito sostanziale richiesto dalla normativa vigente in materia di stato e capacità delle persone (la
diversità di sesso dei nubendi) che non può essere superato dalla mera circostanza dell’esistenza di una celebrazione valida
secondo la lex loci ma priva dei requisiti sostanziali prescritti dalla legge italiana relativamente allo stato e alla capacità delle
persone».
16 Punto 3 della motivazione. Anche su questo aspetto la trama motivazionale del Tribunale amministrativo regionale procedeva spedita: l’ufficiale dello stato civile è tenuto ad uniformarsi alle istruzioni che vengono impartite dal Ministero dell’interno; la vigilanza sugli uffici dello stato civile spetta al prefetto (art. 9 d.p.r. n. 396/2000). Ma, quantunque si possa parlare di
una «gerarchia» a proposito delle materie di competenza statale nelle quali in sindaco agisce quale ufficiale di governo — tra
le quali vi è anche la tenuta dei registri di stato civile — i poteri di direttiva e di vigilanza previsti dall’art. 9 d.p.r. n. 396/2000
soggiacciono pur sempre alla regola della tipicità e nominatività, che connota il regime giuridico di tutti i poteri amministrativi. Da essi non é dunque lecito inferire, in capo al ministro ed al prefetto, anche la titolarità di un potere di annullamento
in via di autotutela delle trascrizioni effettuate dal sindaco. Tanto più che l’art. 109 d.p.r. 396/2000 specifica che il potere di
vigilanza del prefetto è in realtà di mera «verificazione» (obbligo del prefetto di ispezionare la tenuta dei registri almeno
una volta l’anno e di redigere processo verbale). Ciò che più convince il Tribunale amministrativo regionale ad annullare
l’atto impugnato è però l’art. 453 c.c., a norma del quale «nessuna annotazione può essere fatta sopra un atto già iscritto nei
registri se non è disposta per legge ovvero non è ordinata dall’autorità giudiziaria» (art. 453 c.c.). Tale regola si applica anche
all’ufficiale di stato civile, che una volta chiuso l’atto con la firma, può soltanto aggiornarlo o correggere eventuali errori
materiali, dandone notizia al prefetto, al procuratore della repubblica competente e agli interessati (artt. 5, 11, 12, 98), mentre
la rettificazione dei registri è riservata all’autorità giudiziaria (art. 95 d.p.r. n. 396/2000). A conferma di questo quadro, sta la
norma per cui il sindaco può solo annotare eventuali provvedimenti giurisdizionali di rettificazione (art. 69 lettera i d.p.r. n.
396/2000) ed eventuali sentenze con le quali si pronuncia l’annullamento della trascrizione dell’atto di matrimonio (art. 69
lettera e d.p.r. cit.).
17 Punto 4 della motivazione, seconda ed ultima parte. Le norme di legge sulla relazione interorganica tra prefetto e sindaco,
nell’ordinamento dello stato civile, non convincono il Tribunale amministrativo regionale della esistenza di un potere di
annullamento gerarchico. L’art. 54, comma 11 d.lg. n. 267/2000, che attribuisce al prefetto il potere di intervenire con proprio provvedimento solamente in caso di inerzia del sindaco (la formula con la congiunzione «anche» in caso di inerzia, era
contenuta nell’art. 6 d.l. n. 92/2008, che ha modificato l’art. 54 d.lg. n. 267/2000, ma la parola «anche» è stata eliminata dalla
legge di conversione n. 125/2008). L’art. 21-nonies l. n. 241/1990 prevede che il provvedimento amministrativo possa essere
annullamento anche da organo diverso da quello che lo ha emanato, se «previsto dalla legge», sottoponendo anche questa
fattispecie ad uno stretto criterio di legalità-tipicità e negando quindi un intervento eliminatorio da parte del prefetto e del
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La sentenza, impugnata dal ministro dell’interno — come osserverà poi, lucidamente, il Consiglio
di Stato — si risolveva quindi in due accertamenti antitetici. Il primo, sfavorevole ai ricorrenti, «salvava» la circolare ministeriale nella parte in cui negava lo status coniugale e disconosceva il diritto dei
ricorrenti alla trascrizione del matrimonio. Il secondo dichiarava, ciononostante, illegittimi il provvedimento prefettizio e la circolare ministeriale, perché carenti di base legale.
Questa struttura «anfibologica» dell’oggetto del processo è stata il punto su cui ha fatto leva con più
forza, il Consiglio di Stato, per rovesciare l’esito del processo di primo grado. È stato sufficiente ricostruire in chiave gerarchica l’organizzazione dei servizi di competenza statale che vedono il sindaco agire
in veste di ufficiale di governo, tra i quali la tenuta dei registri di stato civile, per riportare ad un unico
«ordinamento» sia le norme sulla trascrizione del matrimonio omosessuale, sia quelle disciplinanti il
provvedimento sostitutivo del prefetto (cancellazione delle trascrizioni già disposte). Ed in tal modo, il
giudizio non poteva che divenire, sotto entrambi i profili, svantaggioso per i ricorrenti.
Nell’ottica del giudice di appello esiste un ordine delle censure, in cui la questione della «trascrivibilità» del matrimonio omosessuale è «logicamente antecedente» a quella sulla validità dell’atto di annullamento della trascrizione. Il Consiglio di Stato lo motiva affermando che tale pregiudizialità era imposta dall’appello incidentale proposto dagli interessati; i quali, pur vittoriosi, avevano insistito affinché
la invalidità dell’atto del prefetto fosse fatta dipendere dalla esistenza di un diritto alla trascrizione, non
soltanto dalla mancanza di una norma che autorizzasse l’annullamento gerarchico. Ma più che su un
«ordine logico», il percorso seguito dal giudice d’appello si spiega con il convincimento sul merito della
controversia. Nella prospettiva del Consiglio di Stato, tutto ha origine dal comportamento non dovuto
del sindaco di Roma: la gravità del vulnus provocato dalla trascrizione del matrimonio omosessuale al
buon andamento dell’amministrazione dello stato civile, l’esigenza di ristabilire l’ordine che il sindaco
ha patentemente violato, sono elementi che giocano essi stessi un ruolo giustificativo dell’annullamento
disposto dal prefetto. La gerarchia, principio informatore di un sottosistema che agli occhi dei giudici
ha tutti i caratteri dell’ordinamento interno, alimenta una ratio quasi securitaria, antagonista a quella
basata sul testo delle disposizioni di legge applicabili, che aveva ispirato la sentenza di primo grado.
L’impostazione seguita dal Consiglio di Stato è diversa metodologicamente, non muove dal principio di
riserva di legge — o perlomeno, non da principi di stretta tipicità e nominatività dei poteri amministrativi — bensì da schemi teorici avallati dai «criteri ermeneutici sistematico e teleologico»18.
L’attribuzione al prefetto di un potere generale di annullamento gerarchico della trascrizione del
matrimonio non si trova nella legge, secondo il Consiglio di Stato, ma nella relazione interorganica che la
legge istituisce, e nei doveri che ne derivano19. Razionalità, uniformità del servizio di tenuta dei registri di
stato civile, subordinazione funzionale cui sono tenuti gli ufficiali che vi operano: ecco i fondamenti di
un potere di amministrazione attiva intestato egualmente a tutti gli organi dell’ordinamento dello stato
civile. Giova notare che l’annullamento gerarchico non è intuito quale rimedio di natura giustiziale,
forse neppure di avocazione, ma è direttamente imputato alla natura concorrente, indistinta, della competenza
dell’apparato. Significativa, al riguardo, è l’analogia intravista dal Consiglio di Stato tra ordinamento
dello stato civile e ordinamento della pubblica sicurezza, che ha struttura gerarchica per legge (art. 65 e
66 l. n. 121/1981) e dove i poteri sostitutivi sono espressamente previsti (art. 15 comma 3)20.
ministro dell’interno. Il parallelo con l’ordinamento della pubblica sicurezza (l. n. 121/1981) è poi, secondo il Tribunale amministrativo regionale, fuori luogo, posto che quest’ultimo prevede espressamente una relazione di dipendenza gerarchica
funzionale tra prefetto (o questore) e servizi comunali (art. 15 l. n. 121/1981), mentre la materia dello stato civile si basa sulle
regole summenzionate, le quali impediscono d’intravedere similitudini tra i due plessi normativi, sulla base di un presunto
principio gerarchico inespresso.
18 Punto 3.3. secondo capoverso.
19 Una conferma della grande rilevanza attribuita dal Consiglio di Stato alla «supremazia speciale» del prefetto e del ministro
viene da una sua successiva sentenza (sez. III, 4 novembre 2015, n. 5039), la quale ha coerentemente stabilito che il sindaco, inferiore gerarchico, difetta di legittimazione e di interesse ad impugnare l’annullamento prefettizio della trascrizione.
Tra sindaco e prefetto, stante «la configurazione giuridica della relazione interorganica (…) deve ravvisarsi una necessaria
coincidenza di interessi (…) agendo, gli stessi, nell’esercizio del medesimo potere e a cura degli stessi interessi pubblici stabiliti dalla legge. Logico corollario di tale impostazione è che l’organo subordinato non possa agire in giudizio lamentando
l’illegittimità di un atto adottato dall’organo ad esso sovraordinato e deputato alla sua vigilanza, potendo tale contestazione
trovare composizione solo in sede amministrativa e non giurisdizionale». In pari data, la stessa sezione del Consiglio di Stato (III, 4 novembre 2015, n. 5043) ha aggiunto che soltanto le coppie omosessuali che hanno chiesto la trascrizione possono
affermarsi titolari di un interesse all’annullamento della circolare del ministro, per cui è inammissibile il ricorso proposto da
altre persone fisiche. E’ stato inoltre affermato che la posizione soggettiva qualificata dall’ordinamento di stato civile non si
può comunicare ad enti «esponenziali» (è stato pertanto respinto anche il ricorso del Codacons, per difetto di legittimazione
attiva).
20 Punto 3.3., quarto capoverso.
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Riconosciuto che il sindaco aveva esercitato un potere «abnorme, nel senso etimologico latino di
“fuori dalla norma”»21, per avere autorizzato la trascrizione dei matrimoni omosessuali — e cioè di
unioni di fatto tra persone che non sono «marito» e «moglie»; quindi, secondo il Consiglio di Stato, non
hanno celebrato alcun «matrimonio» (poco importa se il vizio dell’atto sia «inesistenza» o «inefficacia»)22
— ce n’era abbastanza per individuare l’elemento che attivava, in capo al prefetto e al ministro, la capacità di operare con «pieni poteri» onde ripristinare la regolarità del servizio23.
Dall’art. 54, comma 11 d.lg. n. 267/200024, il Consiglio di Stato ha tratto un generale «potere di sostituzione» (oltre il «caso di inerzia» del sindaco, ivi contemplato); dal comma 12 dello stesso articolo25,
un generale «potere di direzione»; dall’art. 9 d.p.r. n. 396/200026, un generale «potere di vigilanza».
Non importa che la potestà di annullamento gerarchico non sia prevista, poiché è la pura e semplice
conseguenza di questo costrutto. È implicita in quella competenza di natura concorrente, tipica degli
ordinamenti gerarchici, nei quali la coordinazione si intensifica fino ad attribuire, al superiore, la stessa
capacità di provvedere in merito ad un caso concreto, tramite riforma della decisione dell’inferiore.
Pertanto, spiega il Consiglio di Stato27, a rigore non si dovrebbe neppure parlare di annullamento
in via di autotutela ad opera di un organo diverso da quello che lo ha emanato, come previsto nell’art.
21-nonies l. n. 241/1990 (norma che il ministro aveva invocato nella propria circolare), ma di una pura e
semplice decisione interna corporis. In capo al prefetto va affermata la «potestà di annullare le trascrizioni in questione, quale potere compreso certamente, ancorché implicitamente, nelle funzioni di direzione, sostituzione e vigilanza attribuitegli dall’ordinamento nella materia in discussione»28.
21 Punto 3.3., quinto capoverso.
22 Tesi esplicitata al punto 2 della motivazione. Mi permetto di rinviare alla sentenza e di presumere noti gli argomenti, favorevoli alla «non trascrivibilità» del matrimonio omosessuale, seguiti dai giudici d’appello.
23 Punto 3.3., secondo e terzo capoverso, dove il Consiglio di Stato afferma che, senza il potere prefettizio di annullamento
gerarchico d’ufficio degli atti illegittimi adottati dal sindaco nella qualità di ufficiale di governo, «resterebbe vanificato» lo
scopo della legge (vedremo immediatamente nel testo quali sono le disposizioni di legge a cui il Giudice si riferisce), «agevolmente identificabile nell’attribuzione al Prefetto di tutti i poteri idonei ad assicurare la corretta gestione della funzione in
questione, resterebbe vanificato. (…) A ben vedere, infatti, se si negasse al Prefetto la potestà in questione, la sua posizione
di sovraordinazione rispetto al Sindaco (allorché agisce come ufficiale di governo), in quanto chiaramente funzionale a garantire l’osservanza delle direttive impartite dal Ministro dell’interno ai Sindaci e, in definitiva, ad impedire disfunzioni o
irregolarità nell’amministrazione dei registri di stato civile, rimarrebbe inammissibilmente sprovvista di contenuti adeguati
al raggiungimento di quel fine».
24 Disposizione che così recita: «Nelle fattispecie di cui ai commi 1, 3 e 4, nel caso di inerzia del sindaco o del suo delegato (…)
il prefetto può intervenire con proprio provvedimento» (il comma 3 prevede che il sindaco, quale ufficiale del Governo, «sovrintende, altresì, alla tenuta dei registri di stato civile»). Della genesi del comma 11, il cui testo originario disponeva «anche»
in caso di inerzia, si è accennato sopra, nota 7.
25 A norma dell’art. 54, comma 12 d.lg. n. 267/2000, «Il Ministro dell’interno può adottare atti di indirizzo per l’esercizio delle
funzioni previste dal presente articolo da parte del sindaco».
26 Trattasi del regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile. L’art. 9, al comma 1, prevede
che «L’ufficiale dello stato civile è tenuto ad uniformarsi alle istruzioni che vengono impartite dal Ministero dell’interno»; al
comma 2, che «La vigilanza sugli uffici dello stato civile spetta al prefetto».
27 Punto 3.5., in apertura.
28 In ogni caso (punto 3.5., secondo e terzo capoverso), ad avviso del Collegio non vi sarebbero ostacoli all’applicazione della
norma. Ciò in quanto, a giudizio del Consiglio di Stato, si deve presumere che la disposizione di cui all’art. 21-nonies l. n.
241/1990 abbia una autonoma capacità di disciplina del potere amministrativo. Il che non sarebbe deducibile, se la norma
fosse di semplice rinvio, andasse cioè interpretata nel senso che l’annullamento d’ufficio da parte di organo diverso da quello
che ha emanato il provvedimento richiede una apposita disposizione legislativa che lo preveda. Perciò la disposizione dovrebbe essere «viceversa, letta ed applicata nel senso che è ammesso l’annullamento d’ufficio di un atto illegittimo da parte
di un organo diverso da quello che lo ha emanato in tutte le ipotesi in cui una disposizione legislativa attribuisce al primo
una potestà di controllo e, in generale, di sovraordinazione gerarchica che implica univocamente anche l’esercizio di poteri
di autotutela».
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3. Far tabula rasa di uno status fuorilegge:
chi, se non l’amministrazione?
Questo lavorare sul concetto di interna corporis apre, al Consiglio di Stato, la strada verso il traguardo
più importante: superare la riserva di giurisdizione che la legge29 istituisce, a favore del giudice ordinario, in materia di cancellazione e rettificazione degli atti di stato civile. La sentenza di appello lo fa con
quattro argomenti; meglio si direbbe con l’illustrazione di quattro punti di vista chiarificatori di un solo
concetto: l’autonomia dell’amministrazione nel correggere le proprie decisioni.
1) Il primo argomento è la inidoneità del matrimonio omosessuale a costituire o modificare lo stato
delle persone. La omogeneità del sesso dei nubendi impedisce ictu oculi la formazione di qualsiasi status
coniugale. Si legge in sentenza che la riserva di giurisdizione ordinaria non impedisce l’esercizio del
potere amministrativo, dinanzi ad una trascrizione tanto abnorme da risultare radicalmente inefficace, «quindi, del tutto incapace (…) di assegnare alle persone menzionate nell’atto lo stato giuridico di
coniugato». «L’esigenza del controllo giurisdizionale, infatti, si rivela del tutto recessiva (se non inesistente), a fronte di atti inidonei a costituire lo stato delle persone ivi contemplate, dovendosi, quindi,
ricercare, per la loro correzione, soluzioni e meccanismi anche diversi dalla verifica giudiziaria»30.
2) Il secondo argomento è la «soggettività» del sistema di tutela giudiziaria contro le erronee trascrizioni nei registri di stato civile. Le procedure di rettificazione di cui all’art. 95 d.p.r. n. 396/2000 sarebbero deputate «(unicamente) alla tutela dei diritti e degli interessi delle persone fisiche contemplate
(o pretermesse) nell’atto, e non anche alla protezione di interessi pubblici, tanto che l’art. 95, comma 2,
d.P.R. cit., assegna al Procuratore della Repubblica una iniziativa meramente facoltativa (usando appositamente il verbo potere: “Il Procuratore della Repubblica può…promuovere”)»31.
3) Il terzo argomento deriva dal testo dell’art. 453 c.c., il quale, nel disporre che nessuna annotazione può essere fatta nei registri di stato civile se non per ordine dell’autorità giudiziaria, circoscriverebbe
la riserva di giurisdizione alla sola materia delle «annotazioni». Il che non può «ritenersi ostativo all’esercizio dei (diversi) poteri di eliminazione dell’atto [la trascrizione] da parte dell’autorità amministrativa titolare della funzione di tenuta dei registri dello stato civile»32.
4) Il quarto ed ultimo argomento è la maggiore efficienza, per l’interesse pubblico, dell’autotutela
gerarchica rispetto alla tutela su ricorso giurisdizionale. Soltanto «gli interventi dei Prefetti in autotutela
gerarchica valgono (…) a rimuovere, con garanzie di uniformità su tutto il territorio nazionale, un’apparenza di atto (che, finché resta in vita, appare idoneo a generare incertezze e difficoltà amministrative) e, quindi, in definitiva, ad assicurare la certezza del diritto connessa a questioni relative allo stato
delle persone»33. L’amministrazione, insomma, è l’amministrazione. La tutela dell’interesse generale da
essa garantito, dinanzi a vicende di eccezionale disvalore come quella delle trascrizioni dei matrimoni
omosessuali, non potrà mai essere surrogata dal «carattere diffuso e indipendente» della giurisdizione
ordinaria.
Il lettore avrà preso conoscenza da sé della sentenza dei giudici di Palazzo Spada, che certo non
pecca di chiarezza. Di seguito cercherò di passare in rassegna i profili che, a mio avviso, avrebbero potuto essere diversamente valutati, nel corso di questa vicenda.
29«Nessuna annotazione può essere fatta sopra un atto già iscritto nei registri se non è disposta per legge ovvero non è ordinata
dall’autorità giudiziaria» (art. 453 c.c.). L’art. 95 d.p.r. n. 396/2000 devolve infatti al tribunale civile il ricorso proposto da
chi intenda promuovere «la cancellazione di un atto indebitamente registrato». L’art. 98 abilita l’ufficiale di stato civile ad
intervenire sulle trascrizioni da lui effettuate nel solo caso di «errori materiali di scrittura in cui egli sia incorso», specificando (comma 3) che avverso tale correzione può essere proposta opposizione al tribunale civile da parte del procuratore della
Repubblica (a cui la correzione va comunicata) o da chiunque vi abbia interesse.
30 Punto 3.6. della motivazione.
31 Loc. ult. cit. «Se la norma fosse stata concepita anche a tutela di un interesse pubblico, infatti, la disposizione sarebbe stata
formulata con l’uso del verbo promuovere all’indicativo presente, e, cioè, con la previsione della doverosità dell’istanza,
quando risulta necessaria a ripristinare la legalità violata (sarebbe stata cioè formulata con l’espressione: “Il Procuratore della
Repubblica promuove il procedimento…”)».
32 Loc. ult. cit.
33 Punto 3.7.
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4. La questione della «trascrivibilità» del matrimonio celebrato
all’estero. La possibile incostituzionalità della norma di conflitto
(in tema di capacità matrimoniale)
Iniziando dal problema della trascrizione del matrimonio omosessuale celebrato all’estero, è preferibile
lasciare subito da parte, senza discuterla, la sentenza della Corte Costituzionale n. 138/2010. Diamo
pure per scontato che il matrimonio nell’ordinamento italiano sia una unione eterosessuale e che ciò
non contrasti con l’art. 29 Cost.
Problema completamente diverso è quello delle condizioni stabilite dalla legge italiana affinché si
possa trascrivere nei registri di stato civile il matrimonio celebrato all’estero, in conformità a leggi di
Stati nei quali non esiste un «paradigma eterosessuale».
Ammesso ma non concesso — poiché mi sembrano lecite le più ampie riserve, come dirò tra breve
— che l’amministrazione dell’interno abbia competenza ed il giudice amministrativo giurisdizione in
materia di rettifica dei registri di stato civile, la questione del diritto alla trascrizione del matrimonio
omosessuale andrebbe diversamente impostata.
Per prima cosa, mi pare eccessiva la facilità con la quale il Consiglio di Stato decide di riabilitare la
tesi, tradizionale, del matrimonio omosessuale come atto inesistente, precisando che se anche l’atto fosse
inidoneo o inefficace, poco cambierebbe, giacché i ricorrenti non sarebbero comunque titolari di interessi
protetti nei confronti dell’amministrazione34. La scelta tra le due opzioni comporta molta, moltissima
differenza; ed anzi, la problematica è forse profondamente mutata, dopo la sentenza Oliari c. Italia, anche rispetto alla sentenza della Cassazione n. 4184/2012.
Con la sentenza n. 4184/2012, la Corte di Cassazione, al di là di una certa imprecisione concettuale,
è addivenuta ad un importante chiarimento. Sforzandosi di far quadrare l’ordinamento interno con
gli articoli 8 e 12 CEDU, la Corte ha puntualizzato che il matrimonio omosessuale celebrato all’estero
tra cittadini italiani non è da ritenersi inesistente, ma semplicemente inidoneo a produrre effetti giuridici
come atto di matrimonio. Con questo inciso, la Cassazione ha specificato che i matrimoni omosessuali non
soltanto non sono inesistenti, ma non sono neppure del tutto inefficaci. Sono inidonei a produrre effetti
«quali atti di matrimonio, appunto»35.
Si potranno muovere critiche alla sentenza n. 4184/2012, per l’uso che ha fatto di un concetto ambiguo quale quello di inidoneità, in luogo di quello più riconoscibile, di inefficacia36. Nella sostanza, però,
la Corte non ha impiegato questo vocabolo per puro arbitrio. I cosiddetti matrimoni omosessuali sono
unioni diverse dal matrimonio, eppure sono pienamente assoggettate alla tutela di cui all’art. 8 CEDU,
che è norma a struttura aperta, capace di offrire una intensità protettiva variabile anche in funzione di
tradizioni storiche e culturali dello Stato. Questa natura si riverbera sul tipo di obblighi «negativi» e
«positivi», degli Stati che ne sono destinatari37. Se i matrimoni omosessuali non possono essere trascritti
come matrimoni nei registri italiani di stato civile, ben possono assurgere a fatti giuridici rilevanti ed
efficaci ad altri fini per l’ordinamento italiano e persino imporre allo Stato italiano obblighi «negativi»
o «positivi» verso le coppie omosessuali. Reputare tali atti tout court inefficaci sarebbe stato dunque
34 Punto 2.1, quinto capoverso: «che si tratti di atto radicalmente invalido (cioè nullo) o inesistente (che appare, tuttavia, la
classificazione più appropriata, vertendosi in una situazione di un atto mancante di un elemento essenziale della sua stessa
giuridica esistenza), il matrimonio omosessuale deve, infatti, intendersi incapace, nel vigente sistema di regole, di costituire
tra le parti lo status giuridico proprio delle persone coniugate (con i diritti e gli obblighi connessi) proprio in quanto privo
dell’indefettibile condizione della diversità di sesso dei nubendi, che il nostro ordinamento configura quale connotazione
ontologica essenziale dell’atto di matrimonio». In dottrina, tutti i principali insegnamenti ritengono che il matrimonio tra
persone dello stesso sesso sia inesistente (F. Finocchiaro, Matrimonio civile, in Enciclopedia del diritto, XXV, Milano, Giuffrè,
1975, 829; A.C. Jemolo, Il matrimonio, in Trattato di diritto civile italiano diretto da F. Vassalli, Torino, UTET, 1957, 49; per il diritto
canonico, P.A. D’Avack, Identità di sesso ed ermafroditismo, in Enciclopedia del diritto, XIX, Milano, Giuffrè, 1970, 965.
35 Punto 4.3. della motivazione, in ultimo, subito prima del dispositivo.
36 V. però, per un punto di vista più obbiettivo e sostanzialmente analogo a quello qui assunto, B. Pezzini, Un paradigma incrinato: la faticosa rielaborazione di categorie concettuali tra le sentenze della Corte Costituzionale 138/2010 e della Corte di Cassazione
4184/2012, in Forum di Quaderni costituzionali, www.forumcostituzionale.it , 15 ss.
37 In dottrina si veda, ad esempio, F. Salerno, Tutela internazionale e limiti del diritto all’autodeterminazione per il potenziamento biotecnologico della propria persona, in Genetics, Robotics, Law, Punishment, D. Provolo, S. Riondato, F. Yenisey (a cura di), Padova,
Padova university press, 2014, 459 ss., 464.
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inesatto; e questa è verosimilmente la ratio che può intravedersi dietro le conclusioni della Corte di
Cassazione38.
Esistono d’altronde casi giurisprudenziali che permettono di saggiare concretamente quanto appena osservato. Si ponga mente alla controversia sorta dal diniego dell’ufficiale di stato civile di trascrivere
l’atto di nascita del figlio generato a seguito di fecondazione eterologa da una donna coniugata in Spagna con un’altra donna. La Corte d’Appello di Torino39 ha riconosciuto che questo atto fosse trascrivibile
e che pertanto il rifiuto del sindaco fosse illegittimo, anche e proprio in forza dei principi costituzionali
ed europei (art. 8 CEDU). Lo ha fatto, la Corte d’Appello, senza avvertire l’esigenza di prendere, perciò
soltanto, posizione anche in merito alla «trascrivibilità» del matrimonio omosessuale entro il quale il
minore aveva maturato lo status di figlio.
Dirò tra breve della contraddizione, alla luce degli articoli 8, 12 e 14 CEDU, del fatto che un matrimonio non trascrivibile in Italia, perché omossessuale, provochi la nascita di uno status di filiazione
invece trascrivibile, in forza della tutela che la coppia riceve a prescindere dalla sua natura «non matrimoniale». Esporrò anche le cause di questa situazione (incostituzionalità della norma di conflitto). Per
ora, l’importante è sottolineare che un qualche effetto, il matrimonio omosessuale, lo produce. Si può
aggiungere Corte d’Appello di Milano, 16 ottobre 2015, che ha ordinato la trascrizione nei registri di
stato civile della sentenza del giudice spagnolo che aveva dichiarato l’adozione di una minore da parte
di una coppia omosessuale, anche qui riconoscendo che non è trascrivibile il matrimonio omosessuale
contratto all’estero tra quelle due stesse persone.
Altro esempio è quello del matrimonio poligamico contratto all’estero (di per sé trascrivibile, se è
solo «potenzialmente» poligamico40), quando diventa «attualmente» poligamico, ossia nel caso di seconde nozze celebrate all’estero dal bigamo in conformità alla lex loci, ma non in conformità alla norma
nazionale italiana (art. 115 e art. 86 c.c.), che annovera la libertà di stato tra le condizioni necessarie per
contrarre matrimonio anche all’estero. Se la legge italiana sulla capacità matrimoniale, applicabile in
forza dell’art. 27 l. n. 218/1995, non conosce altro che l’incontro tra «marito» e «moglie», è giocoforza
desumerne che essa non ammetta neanche il sodalizio eterosessuale tra marito e mogli. Eppure anche simili unioni, benché non trascrivibili, possono dar luogo a formazioni sociali non del tutto prive di tutela.
Da tempo la giurisprudenza ritiene illegittima, ad esempio, l’espulsione del soggetto che, coniuge del
bigamo, si rivela carente delle condizioni per contrarre matrimonio, quindi anche per il soggiorno sul
territorio italiano, fintanto che il matrimonio non è dichiarato nullo da un pronunciamento dell’autorità
giudiziaria41. Anche in tal caso dunque si verifica la circostanza per cui un matrimonio non trascrivibile,
perché nullo o inefficace, produce effetti, sia pure a certi fini o per limitati periodi di tempo, nell’ordinamento interno.
Tutto questo per sottolineare la grave inesattezza in cui cade il Consiglio di Stato, quando ritiene
che dalla inesistenza o inefficacia di un matrimonio non trascrivibile, quale è in ipotesi quello omosessuale, si desuma la inesistenza di situazioni soggettive protette nei confronti della pubblica amministrazione, quindi la potestà del prefetto e del ministro di intervenire, senza incontrare alcun ostacolo, per
cancellare la condizione coniugale illegittimamente certificata dal sindaco.
La giurisprudenza della Corte EDU, nella sentenza Schalk e Kopf c. Austria e ancor più segnatamente
nella pronuncia Oliari c. Italia, ha chiarito la portata dell’art. 8 CEDU. La norma convenzionale lascia lo
Stato libero di osservare le proprie tradizioni e di non chiamare «matrimonio» l’unione omosessuale. È
però da dimostrare che sia conforme all’art. 8 CEDU una legge che autorizza il governo ad intervenire
38 Esattamente osserva B. Pezzini, op. cit., 17, che «l’inidoneità riguarda l’atto considerato come tale nella specificità della sua
tipologia, lasciando aperta la possibilità che gli effetti che come matrimonio non può produrre siano “recuperati” dall’ordinamento per altra via : attraverso l’applicazione alla coppia omosessuale coniugata all’estero dello stesso trattamento riconosciuto dall’ordinamento italiano alle coppie eterosessuali coniugate, per riconosciuta “omogeneità” delle loro condizioni ai
fini della possibilità di vivere liberamente la vita di coppia».
39 Decreto 29 ottobre 2014, in Questione giustizia, www.questionegiustizia.it
40 Giurisprudenza da tempo pacifica. In dottrina, C. Campiglio, Matrimonio poligamico e ripudio nell’esperienza giuridica dell’occidente europeo, in Rivista di diritto internazionale privato e rocessuale, 1999, 853 ss., 855; B. Nascimbene, Matrimonio all’estero,
dichiarazione giudiziale di paternità naturale e ordine pubblico, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 1999, 773 ss., 776; più di
recente, G. Ferrando, Il matrimonio civile, in Famiglia e matrimonio, a cura di T. Auletta, in Trattato di diritto privato, diretto da M.
Bessone, vol. IV, Torino, UTET, 2010, 245 ss.
41 Corte di cassazione, prima sezione civile, sentenza del 13 aprile 2001, n. 5537, in Giustizia civile, 2001, 2379 ss. E’ di particolare
interesse il punto della sentenza nel quale la Cassazione rimprovera al tribunale civile, investito del giudizio di convalida
dell’espulsione, di aver deciso senza efficacia di giudicato una questione di stato, contravvenendo al principio per cui le
questioni di stato non possono formare oggetto, a sensi dell’art. 34 c.p.c., di accertamenti incidentali «atteso il loro carattere
di assolutezza e la loro efficacia erga omnes (Cass. n. 2220 del 1980, sez. un. n. 1615 del 1969)».
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in via amministrativa allo scopo eliminare, dai registri dello stato civile, atti, quindi status, formati all’estero secondo norme di ordinamenti che, al contrario del nostro, non hanno effettuato la stessa scelta,
riconoscendo cioè, nella parola matrimonio (o altra quale che sia), l’espressione una capacità che non
mette radici nella diversità di genere tra le persone che formano la coppia. A tutto voler concedere al
ragionamento del Consiglio di Stato, il potere di annullamento gerarchico esercitato dal prefetto sarebbe
legalmente riconoscibile in quanto concepito allo scopo di assicurare una sorta di difesa estrema alla
norma (art. 27 l. n. 218/1995) che dichiara la legge nazionale dei nubendi, quindi la legge italiana, nel
caso di cittadini italiani, applicabile in materia di «capacità matrimoniale» e di «condizioni per contrarre matrimonio». In questo modo il matrimonio celebrato all’estero tra cittadini italiani determina uno
status che non solo non è conforme al diritto interno, ma non è neppure assistito dalle garanzia della
«libera circolazione».
Tocchiamo così una seconda problematica, che il Consiglio di Stato avrebbe potuto, anzi, dovuto
sviluppare (una volta trattenuta la propria giurisdizione).
Sta qui il profondo mutamento al quale alludevo poco fa. Ragionando di nuovo sul principio affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza 4184/2012, si può anche ritenere che, ad ostacolare
la trascrizione nei registri di stato civile del matrimonio omossessuale celebrato all’estero, non siano
tanto i principi generali del sistema matrimoniale italiano (intendo dire il paradigma eterosessuale e
quant’altro gli si può connettere), ma il principio di tipicità degli atti trascrivibili nei registri dello stato
civile42, che autorizza l’ufficiale di stato civile a trascrivere solo il matrimonio tra marito e moglie. Principio di tipicità che discende, a sua volta, dalla scelta del legislatore italiano di prevedere senza alcuna
eccezione che, mentre il matrimonio è valido, «quanto alla forma», se è considerato tale alla stregua di
una pluralità di criteri di collegamento, alternativi, tra cui anche la sola lex loci (art. 28 l. n. 218/1995), la
capacità matrimoniale e le altre condizioni per contrarre matrimonio restano in ogni caso regolate dalla
legge nazionale di ciascun nubendo, che per i cittadini italiani è quella italiana, fermo restando il limite
dell’ordine pubblico stabilito dall’art. 18 l. n. 218/1995. L’opzione appena descritta mette radici nel fatto
che trattasi di «capacità», per la quale al tempo del codice civile si credeva che non esistessero regole di
diritto internazionale.
Se non vado errato, è proprio su questo terreno che vanno colte le ricadute delle sentenze Schalk
e Kopf c. Austria e Oliari c. Italia, le quali hanno chiaramente affermato che la regola, invece, esiste. La
teoria del «margine di apprezzamento» riguarda il quomodo della disciplina di riconoscimento delle
unioni secondo la legge nazionale, non il riconoscimento della capacità di instaurare la relazione, che
deve considerarsi già estesa alle coppie omosessuali in tutti gli Stati europei, per effetto degli articoli 8
e 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Riepilogando, quindi, che il concetto di matrimonio omosessuale sia sconosciuto alla legge italiana,
dipende dalla «millenaria tradizione giuridica e culturale dell’istituto». Che in Italia l’unione omosessuale possa continuare ad essere disconosciuta come matrimonio, è pure ammesso, per via del margine
di apprezzamento lasciato agli Stati (donde anche l’impossibilità di trascrizione di un «matrimonio
omosessuale»). Ma che il matrimonio omosessuale celebrato all’estero, il quale è invece perfettamente
concepibile nell’ordine internazionale, quindi anche nell’ordinamento interno, come atto formato all’estero secondo la lex loci, non sia trascrivibile in Italia, deriva semplicemente da una particolare norma
di conflitto, vale a dire da una scelta della legge italiana di riforma del sistema di diritto internazionale
privato: per la precisione, dalla «lettura combinata» degli art. 27 l. n. 218/1995 e 115 c.c. (fatta propria
del Consiglio di Stato43). È per questo che la diversità di sesso dei nubendi, condizione essenziale ad
aversi matrimonio secondo dalla legge italiana, osta anche alla trascrizione del matrimonio omosessuale celebrato all’estero. Non si estende, al matrimonio, il regime di riconoscimento dei provvedimenti stranieri
stabilito dall’art. 65 l. n. 218/199544, ove la trascrizione è senz’altro autorizzata, purché non contraria
all’ordine pubblico.
A questo punto però è lecito domandarsi, partendo dal riconoscimento, fatto dalla Corte europea
dei diritti dell’uomo, che in forza dell’art. 8 CEDU le coppie omosessuali hanno «la stessa capacità delle
coppie eterosessuali di instaurare relazioni stabili», e che si trovano «in una situazione significativamente simile a una coppia eterosessuale per quanto riguarda l’esigenza di riconoscimento giuridico e di
42 Da sempre ravvisato come asse portante del sistema; v. tra i tanti Autori, e per tutti, L. Ferri, Degli atti dello stato civile, in Commentario del codice civile, a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1973, 47 ss.
43 Punto 2.1, secondo e terzo capoverso.
44 «Hanno effetto in Italia i provvedimenti stranieri relativi alla capacità delle persone nonché all’esistenza di rapporti di famiglia o di diritti della personalità quando essi sono stati pronunciati dalle autorità dello Stato la cui legge è richiamata dalle
norme della presente legge o producono effetti nell’ordinamento di quello Stato, anche se pronunciati da autorità di altro
Stato, purché non siano contrari all’ordine pubblico e siano stati rispettati i diritti essenziali della difesa»
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tutela della loro relazione», se e fino a che punto possa «reggere» la norma interna che dichiara applicabile, alla capacità matrimoniale, sempre e solo la legge nazionale dei nubendi. A carico delle coppie
omosessuali italiane, che pure hanno quella capacità matrimoniale «europea» e che non possono essere
discriminate in ragione del luogo in cui essa viene esercitata (art. 14 CEDU), la norma di conflitto — data
dalla «lettura combinata» degli articoli 27 e 28 l. n. 218/1995 e 115 c.c. (per stare ancora alla ricostruzione
del Consiglio di Stato) — provoca una disparità di trattamento che potrebbe portare al promovimento
di una nuova questione di costituzionalità. Ed infatti, le cittadine ed i cittadini italiani risultano collocati
in una posizione deteriore, sia rispetto alle coppie eterosessuali italiane, che hanno tutto il diritto di
sposarsi all’estero e di trascrivere poi il matrimonio in Italia (la coppia eterosessuale, qui, ben può rappresentare un tertium comparationis45), sia rispetto alle coppie omosessuali straniere, che pure possono, se
sposate all’estero secondo la lex loci, ottenere in Italia la trascrizione dell’atto di matrimonio nei registri
dello stato civile (con il solo limite della non contrarietà all’ordine pubblico)46.
Senza dire della irrazionalità, rispetto alla tutela del diritto alla «vita familiare» di cui all’art. 8
CEDU, di un sistema giuridico che arriva al paradosso di creare le condizioni di una scissione interna della
stessa famiglia, nella quale può accadere che non sia permessa la trascrizione del matrimonio proprio a
quei due coniugi omosessuali che hanno ottenuto la trascrizione, nei registri di stato civile, degli atti di
filiazione e/o di adozione dei loro figli.
Esattamente la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 4184/2012, ha colto il forte impatto della
sentenza Schalk e Kopf c. Austria. La Corte europea dei diritti dell’uomo — ha osservato il Supremo Collegio — con un vero e proprio Overruling47 ha riconosciuto, sulla base del combinato disposto tra l’art. 12
CEDU e l’art. 9 della Carta di Nizza, che il diritto al matrimonio di cui all’art. 12 CEDU (anche alla luce
degli articoli 8 e 14) include anche il matrimonio tra persone dello stesso sesso. La Cassazione si è, in
quella occasione, anche rappresentata la possibilità di sollevare la questione di legittimità costituzionale
per contrasto con le norme CEDU «interposte», quindi per violazione dell’art. 117 comma 1 Cost. Non
lo ha fatto, la Corte, sviluppando una interpretazione che essa ha ritenuto conforme a Costituzione48,
nella quale ha giocato un ruolo decisivo il diritto delle coppie omosessuali di attivare, ove lo richiedano
specifiche situazioni — anche attraverso il controllo costituzionale di ragionevolezza —, i medesimi
strumenti di tutela concessi alle coppie eterosessuali, come per la famiglia more uxorio (nei termini stabiliti dalla Corte Costituzionale, sentenza n. 138/2010). Fissati questi limiti, che in parte certamente
pongono al riparo la coppia omosessuale da una condizione di totale discriminazione, la Corte ha concluso per la conformità a Costituzione della norma di conflitto (art. 27 l. n. 218/1995 e art. 115 c.c.) che
impedisce la trascrizione del matrimonio omosessuale, con la precisazione, già ricordata, che si tratta
di mera «inidoneità» a produrre effetti giuridici. Credo che qui il ragionamento della Cassazione abbia
assunto una piega non condivisibile. Ferma restando, infatti, la protezione di cui la coppia omosessuale
beneficia come «formazione sociale» (art. 2 Cost.), meglio avrebbe fatto la Corte a lasciare al centro del
proprio ragionamento il fatto da cui originava la controversia, cioè l’impedimento alla trascrizione del
matrimonio omosessuale contratto all’estero. Impedimento che, giuridicamente, non sembra poter essere messo in relazione, come se fosse «ricompensato», dalla estensione alla coppia omosessuale della
tutela sperimentata per la famiglia more uxorio.
Maggiormente consequenziale sarebbe stato che la Cassazione, dopo aver inquadrato la norma di
conflitto e dopo aver constatato che il matrimonio omosessuale celebrato all’estero è inidoneo a produrre effetti in Italia «come matrimonio», avesse sollevato la questione di legittimità costituzionale degli
articoli 27 e 28 l. n. 218/1995 e 115 c.c., nella parte in cui non permettono, in contrasto con gli articoli 8,
12 e 14 CEDU, dunque in violazione dell’art. 117 comma 1 Cost., che il matrimonio contratto all’estero
da una coppia omosessuale possa produrre effetti, anche in Italia, «come matrimonio» ed essere trascritto
nei registri di stato civile.
45 Poiché qui non si tratta più della diversità di sesso come requisito del matrimonio celebrato secondo il diritto italiano — per
intenderci, quelle già sottoposte alla Corte Costituzionale nel caso deciso con la sentenza n. 138/2010 — ma della diversità di
sesso come requisito imposto al matrimonio celebrato secondo leggi diverse da quella italiana.
46 J. Long, Le fonti di origine extranazionale, in Trattato del diritto di famiglia diretto da P. Zatti, vol. I, Famiglia e matrimonio, a cura di
G. Ferrando, M. Fortino, F. Ruscello, Milano, Giuffrè, 2011, 188. In giurisprudenza, Corte d’Appello Napoli, decreto 13 maggio 2015, in Articolo29, www.articolo29.it, che ha ordinato all’ufficiale di stato civile la trascrizione di un matrimonio contratto
in Francia tra due cittadine francesi.
47 Punto 3.3.4 della motivazione.
48 Punto 4.2. della motivazione.
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La sentenza Oliari c. Italia, sopravvenuta alla sentenza della Cassazione n. 4184/2012, ha ribadito
che «le coppie omosessuali hanno la stessa capacità delle coppie eterosessuali»49; ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 8 CEDU, ma ha anche ribadito (giudicando «manifestamente infondate»
le doglianze degli interessati rispetto agli articoli 12 e 14) che la Convenzione non impone agli Stati
di disciplinare le unioni omosessuali consentendo il loro accesso al matrimonio. Nella sentenza del
Consiglio di Stato però non si discuteva del diritto delle coppie omosessuali a contrarre matrimonio
secondo il diritto interno, ma della trascrizione, ossia del diritto delle coppie omosessuali a contrarre
matrimonio secondo il diritto internazionale. Un intero capo della pronuncia dei giudici di Palazzo Spada, individuata la norma di conflitto in materia di capacità matrimoniale, e la impossibilità di procedere
a trascrizione nei registri di stato civile, è dedicato a verificare se, per caso, non porti ad una diversa
conclusione «un’operazione ermeneutica imposta dal rispetto di principi costituzionali o enunciati in
convenzioni internazionali»50. Questa parte è però deludente, poiché il Consiglio continua a ragionare
non sui parametri della norma di conflitto, come invece dovrebbe, ma sui parametri della legge applicabile secondo la norma di conflitto, per comprendere se esista un ipotetico «diritto (di genesi nazionale
o sopranazionale) al matrimonio omosessuale»51, che ovviamente non esiste, né nel diritto interno, né
nel diritto europeo.
In conclusione, mi pare che oggi più di prima, dopo la sentenza Oliari, qualsiasi giudice italiano, nel
rendere la propria pronuncia sulla «trascrivibilità» del matrimonio omosessuale, non possa rinunciare
a porsi il problema della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 27 e 28 l. n. 218/1995. Anche il Consiglio di Stato, non meno ed anzi, forse più
della Cassazione, avrebbe dovuto considerarlo.
Ci si può chiedere però se esistesse davvero, in capo al giudice amministrativo, la potestà di giudicare del diritto a trascrizione del matrimonio omosessuale celebrato all’estero.
5. L’inevitabile scivolamento della controversia sulla «trascrivibilità»
tra le questioni relative allo stato delle persone,
su cui non c’è giurisdizione amministrativa
L’art. 8, comma 2 c.p.a.52 prevede che restino riservate all’autorità giudiziaria ordinaria le questioni pregiudiziali concernenti lo stato e la capacità delle persone.
Nella locuzione «questioni concernenti lo stato e la capacità delle persone» sembrano da comprendere tanto le controversie cadenti sullo status (in senso stretto), quanto le pregiudiziali di rettificazione
relative agli atti dello stato civile (art. 95 d.p.r. 396/2000). Giudizio di stato e giudizio di rettificazione,
come è noto, non possono esser confusi, se non, appunto, per il fatto che entrambi si collocano al di fuori
del perimetro della giurisdizione amministrativa.
Almeno in un altro caso, proprio il Consiglio di Stato, decidendo su un ricorso col quale si impugnava la decisione di un comune ligure di annullare d’ufficio atti di stato civile, aveva seguito tale interpretazione, confermando la pronuncia di primo grado che aveva declinato la propria giurisdizione. In
tale frangente, i giudici di palazzo Spada avevano ritenuto, in applicazione del criterio di riparto della
giurisdizione basato sulla causa petendi, che nonostante il ricorso avanzasse la richiesta di annullamento
del provvedimento impugnato, l’oggetto della pretesa azionata non fosse da ravvisarsi nella illegittimità del provvedimento medesimo, bensì nella conservazione dello status della ricorrente, quale risultava
dai registri dello stato civile53. Pretesa che riguardava un diritto soggettivo e doveva pertanto essere
proposta dinanzi al giudice ordinario.
49 Paragrafo 168.
50 Punto 2.3 della motivazione.
51 Punto 2.7.
52 Che al comma 1 riconosce in capo al giudice amministrativo, nelle materie in cui non ha giurisdizione esclusiva, il potere di
conoscere senza efficacia di giudicato di tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia
necessaria per pronunciare sulla questione principale.
53 Consiglio di Stato, V, sentenza del 14 settembre 2005, n. 4749. Nella giurisprudenza amministrativa di primo grado relativa
alla «nostra» vicenda, l’eccezione di difetto di giurisdizione fondata sull’art. 8 c.p.a. risulta sollevata soltanto dinanzi al Tribunale amministrativo regionale Friuli Venezia Giulia, il quale l’ha respinta ritenendo che oggetto del ricorso non fosse «lo
status della ricorrente, ma un atto amministrativo prefettizio».
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Che la questione sulla validità delle trascrizioni del matrimonio omosessuale nei registri di stato
civile dia luogo ad una questione «concernente lo stato e la capacità delle persone»; che essa non possa, pertanto, essere giudicata da autorità giudiziarie che non siano il tribunale civile, sembra piuttosto
evidente. In primo luogo, la locuzione adottata dal codice del processo amministrativo, contemplando
questioni «concernenti lo stato» è più ampia di quella riferibile alle sole «questioni di stato» ed è quindi tale da includere anche le controversie che riguardano la validità della trascrizione, ossia appunto
le azioni di rettificazione di cui all’art. 95 d.p.r. n. 396/2000. In secondo luogo si deve ricordare che
le procedure di rettificazione degli atti di stato civile, pur dovendosi distinguere dalle vere e proprie
questioni di stato, danno luogo a giudizi contenziosi e non sono assimilabili, come invece un tempo si
era soliti ritenere, ai procedimenti di c.d. volontaria giurisdizione. L’osservazione vale segnatamente
nel caso che ci occupa, previsto dall’art. 95 d.p.r. 396/2000, di ricorso volto alla cancellazione di un atto
indebitamente registrato (che ha naturale vocazione contenziosa). Anche le questioni sulla validità della
trascrizione, dunque, al pari delle autentiche questioni di stato, non dovrebbero poter formare oggetto
di accertamenti incidentali, né in sede giurisdizionale civile, né — tanto meno — in sede giurisdizionale
amministrativa.
Non è d’altronde così sicuro che i provvedimenti prefettizi di annullamento delle trascrizioni avessero finalità di «rettifica» degli atti di stato civile; ed ancor meno che le controversie insorte dinanzi
alla giustizia amministrativa concretizzassero azioni di rettifica. Vero è che la sostanza della posizione
assunta del ministro dell’interno, nella circolare del 7 ottobre 2014, era quella di voler correggere, per
mano dei prefetti, risultanze dei registri non conformi all’ordinamento di stato civile; e fin qui si può affermare che la circolare mirasse, in ultima analisi, a surrogare una pronuncia giudiziale di cancellazione
di un atto indebitamente trascritto.
Vero è anche, tuttavia, che per arrivare a tale risultato la circolare ministeriale negava lo status di
coniuge, implicava un accertamento svolto direttamente in sede amministrativa circa la inefficacia del
matrimonio omosessuale in quanto tale, prevedendone solo, di conseguenza, la cancellazione materiale
dai registri di stato civile ad opera del prefetto. E come insegna la dottrina, altro è il caso in cui la procedura di rettificazione dei registri di stato civile sia attivata in assenza di una retrostante controversia,
altro è il caso in cui la rettificazione nasca da una controversia: nel qual caso è pressoché certo che la
questione si debba classificare come questione di stato (Ferri) o, perlomeno, che dalla questione di rettificazione nasca una pregiudiziale di stato (Cicu, Attardi).
Il Consiglio di Stato, pertanto, una volta configurato l’accertamento sul regime giuridico del matrimonio omosessuale come pregiudiziale a quella sulla legittimità della trascrizione operata da sindaco e,
per questa via, anche a quella sulla validità dell’annullamento della trascrizione disposto del prefetto,
avrebbe dovuto, anziché scendere nel merito della «trascrivibilità», sospendere il processo in attesa della definizione del giudizio civile di status.
È sempre complicato, ovviamente, ricostruire la scacchiera dei ricorsi principali e delle impugnazioni incidentali, delle domande, delle eccezioni, di altre vicende processuali da cui può dipendere
l’obbligo di pronuncia del giudice amministrativo: vale sempre l’osservazione della dipendenza del
«pronunciato» dal «chiesto», e da una domanda posta in modo equivoco non ci si può mai attendere
una sentenza cristallina sui concetti o principi generali del diritto (beninteso, non sostengo che sia questo il caso, è una delle tante possibilità).
Credo però di poter concludere che chiunque, giudice o parti, nei processi che abbiamo fin qui analizzato, di primo o di secondo grado, abbia ipotizzato il collegamento tra invalidità del provvedimento
di annullamento delle trascrizioni ed esistenza di un «diritto a trascrizione», abbia per ciò soltanto, oggettivamente e comunque, posto una questione «relativa allo stato delle persone», coperta dalla clausola
di riserva di giurisdizione di cui all’art. 8 c.p.a.
6. Il radicamento della giurisdizione amministrativa
nella sola controversia sull’attribuzione, regolata dalle norme
sulla tenuta dei registri di stato civile
Ciò che tuttavia resta più difficile da vedere, nei processi che compongono il quadro giurisprudenziale
fin qui esaminato, sono i caratteri stessi della pregiudizialità della questione di status rispetto a quella sulla
validità del potere statale, contro il quale i ricorsi erano stati proposti.
Era proprio necessario, per il giudice amministrativo, statuire sul «diritto a trascrizione», per decidere sulla legittimità dell’atto di annullamento adottato dal prefetto?
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Questa è naturalmente una domanda che andrebbe rivolta ai ricorrenti, prima ancora che al giudice. Senza dubbio un provvedimento amministrativo il cui effetto è la eliminazione di un altro provvedimento costitutivo di un diritto è tanto più gravemente invalido, quanto più la posizione soggettiva
nascente dall’atto annullato è, in senso lato, «resistente».
Non vale però il contrario (al di là del problema di riparto della giurisdizione, che diventa inevitabile quando si afferma la natura «incomprimibile» di un diritto). Quando una situazione soggettiva
deriva da un atto favorevole della pubblica amministrazione, la sua debole consistenza o persino la sua
inesistenza, causata (per usare le parole del Consiglio di Stato) da una mera «apparenza di atto» favorevole, non è sufficiente ad organizzare la sua eliminazione dal mondo del diritto. L’atto favorevole resta
un mero fatto; la sua invalidità, una mera qualificazione, per di più del tutto soggettiva (cosa significa
e chi può dire quando si verifica una «apparenza di atto»?) finché non è chiaro a chi la legge attribuisce il
potere di annullamento d’ufficio.
Mancando questa fondamentale condizione, non vi è potere giuridico di autotutela in capo a chicchessia. Sia pure necessario per ovviare ad indesiderabili conseguenze, il potere di annullamento giuridicamente non c’è: non in capo all’organo che ha emanato l’atto, né in capo ad altro ufficio della pubblica
amministrazione, incluso il superiore gerarchico.
La riposta del Consiglio di Stato sta invece proprio tutta qui: nel concetto di «supremazia gerarchica», di «sovraordinazione», tra ministro dell’interno, prefetto e sindaco, funzionale «ad impedire
disfunzioni o irregolarità nell’amministrazione dei registri di stato civile». Il fatto che le funzioni del
sindaco come ufficiale di governo siano richiamate dall’art. 54 d.lg. n. 267/2000 significa, per il Consiglio di Stato, che esse finiscono di essere regolate da ordinamenti distinguibili. Si tratta di un «modello
organizzativo»54 caratterizzato dalla «soggezione» dell’ufficiale di stato civile al potere dell’organo superiore. Proprio come nell’ordinamento della pubblica sicurezza, il potere di annullamento si giustifica
da sé: interna corporis, appunto. Per ciò la questione del diritto delle coppie omosessuali alla trascrizione
del matrimonio sui registri di stato civile ha potuto assumere un ruolo così centrale: è soltanto l’eventuale (ma inesistente) «diritto a trascrizione» che, dal punto di vista del Consiglio di Stato, potrebbe rendere
illegittimo un potere gerarchico che, per il resto, non soffre censure, è in re ipsa rispetto alla struttura
verticale dell’ordinamento.
Da tempo la dottrina ha chiarito che anche nella organizzazione gerarchica della pubblica amministrazione non si ravvisano vincoli di subordinazione in senso proprio. La tesi di Amorth55 è forse ancora
oggi la più schematica, lucida e convincente, non fosse altro perché segna un punto di svolta nella concezione dei rapporti interorganici di disparità. Amorth distingue anzitutto il concetto giuridico dal concetto «politico» di gerarchia, che tende a coincidere con quello di mero «accentramento» delle competenze (il giudizio del Consiglio di Stato, e non solo, sulla legittimità della «circolare Alfano» non è privo
di addentellati a questa nozione). Ma occorre altresì distinguere, entro il concetto giuridico di gerarchia,
la nozione di «rapporto gerarchico», che è un rapporto di soggezione personale al comando altrui, dalla
nozione di «ordinamento gerarchico», che è pur sempre un ordinamento di competenze, e dove solo in
senso improprio si può affermare che un organo è sott’ordinato ad un altro organo: come ad esempio si
direbbe che l’amministrazione, in quanto tenuta ad eseguire il giudicato, è sott’ordinata al tribunale che
ha emesso la sentenza. Si potrà allora parlare di ordinamento gerarchico, ma non di supremazia speciale, o personale. L’esistenza di un potere di annullamento gerarchico — ecco il contributo fondamentale
tramandato da questa dottrina — si può anche ricavare (persino con una certa «larghezza», soggiunge
Amorth56), per interpretazione della legge, ma resta una questione di stretto diritto positivo.
L’importante è che l’interprete possa osservare le norme senza lo schermo protettivo degli interna corporis, libero dal dogma degli ordinamenti «interni», che sollecitano un bilanciamento costante
tra legalità e supremazia speciale: «Non correttamente dunque si afferma che al superiore gerarchico
spetta sempre ex se il potere di annullamento o il potere di risolvere i conflitti interni di competenza;
attributiva di tali poteri è solo la norma che stabilisce un ordinamento gerarchico di competenze, sia
poi l’esercizio di un certo potere espressamente contemplato, o lo si deduca per via d’interpretazione,
o dalla particolarità dell’ordinamento gerarchico (ordinamento gerarchico di controllo, di competenza
concorrente, ecc.), o dai principi generali della distribuzione di competenze. (…) a noi pare che un’esatta
applicazione di tali principi alla risoluzione di questioni singole, intorno all’ammissibilità o meno di
certi poteri di un ufficio nei confronti di un altro, possa semplificare il compito dell’interprete, non più
preoccupato di conciliare i principi della competenza con quelli della gerarchia (rapporto gerarchico),
54 Punto 3.2. della motivazione.
55 A. Amorth, La nozione di gerarchia, Milano, Vita e Pensiero, 1936,
56 Op. cit., 63.
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e di assicurare maggiormente la stretta aderenza della fattispecie alla legge»57. Trascrivibile o meno che
fosse il matrimonio omosessuale, nei registri di stato civile, il problema non era capire se i ricorrenti
avessero un interesse giuridicamente protetto a tale operazione, ma di acclarare se il prefetto, su ordine
del ministro dell’interno, potesse, con un proprio provvedimento, annullare le trascrizioni già eseguite.
Che la trascrizione dei matrimoni omosessuali nei registri di stato civile desse luogo ad atti nulli,
inesistenti, «apparenti», poiché inesistente era il «diritto alla trascrizione», non aveva il minimo rilievo.
Come si usa dire, delle due l’una: o il potere del prefetto esisteva ed allora avrebbe potuto sorgere sì
la questione summenzionata, la quale però, in quanto questione pregiudiziale relativa allo stato delle
persone, avrebbe dovuto subito essere riconosciuta come riservata al giudice ordinario in forza dell’art.
8 comma 2 c.p.a.; oppure il potere del prefetto non esisteva e la questione del «diritto a trascrizione»
sarebbe stata da considerare, in radice, irrilevante.
Con ogni evidenza, nell’un caso come nell’altro, la questione relativa alla «trascrivibilità» del matrimonio omosessuale non avrebbe potuto trovare accesso alla giurisdizione amministrativa. Per decidere
la controversia, avrebbero dovuto applicarsi le sole norme sulla competenza degli organi secondo l’ordinamento dello stato civile (d.p.r. n. 396/2000).
7. Argomenti a favore della nullità della «circolare Alfano»
e dei provvedimenti prefettizi applicativi per difetto assoluto
di attribuzione (art. 21-septies l. n. 241/1990)
La giurisdizione amministrativa restava dunque giustificata dalla domanda di accertamento della nullità (e solo in subordine, di annullamento) della circolare del ministro dell’interno e del decreto prefettizio
di cancellazione delle trascrizioni.
Come abbiamo visto, l’azione andava decisa indipendentemente da due elementi: la questione di
efficacia del matrimonio omosessuale contratto all’estero e la presupposizione della gerarchia come
principio di supremazia del prefetto sul sindaco.
Questa ultima puntualizzazione, se la si condivide, rende già precario il fondamento di due dei
quattro argomenti utilizzati dal Consiglio di Stato (elencati sopra, paragrafo 3); per la precisione, il
primo e il quarto, accomunati dalla intenzione dei giudici di Palazzo Spada di affermare il carattere
recessivo o inesistente della tutela giurisdizionale di fronte alla maggior capacità della pubblica amministrazione di eliminare status non conformi all’ordinamento.
Ciò chiarito, concludiamo venendo al nocciolo della questione: esiste, secondo la legge, un potere
del prefetto di annullare d’ufficio la trascrizione di un atto nei registri dello stato civile, una volta che
questa sia stata effettuata dal sindaco?
Il Consiglio di Stato, come il TAR Lazio, è ben consapevole della inesistenza di una disposizione
di legge che espressamente contempli un potere del prefetto di annullare d’ufficio le trascrizioni già
eseguite dagli ufficiali dello stato civile. Solo che, a differenza del TAR Lazio, ritiene che quel potere sia
implicito in altre disposizioni; le quali senza dubbio — conviene chiarirlo — testimoniano una organizzazione propriamente gerarchica delle competenze sulla tenuta dei registri di stato civile (art. 54 comma
11 d.lg. n. 267/2000, art. 9 d.p.r. n. 396/2000).
La debolezza dell’iter motivazionale del Consiglio di Stato non sta in questo: nell’aver dato conto,
cioè, di una possibilità d’interpretazione sistematica o «teleologica» delle norme sulla competenza del
prefetto e del sindaco. Non vi è nulla di peregrino nell’affermare che, in mancanza di base normativa
esplicita, il potere di un determinato ufficio possa essere dedotto per via di interpretazione dalla legge,
anche se quest’ultima non ne organizza il procedimento con apposite previsioni, e ciò non può non valere anche per il potere di annullamento gerarchico.
A rendere non condivisibile la soluzione adottata dal Consiglio di Stato, è il fatto che l’art. 54 d.lg.
n. 267/2000 e l’art. 9 d.p.r. 396/2000 contengono formule organizzative che si prestano a tradursi in
plurime relazioni gerarchiche. E che quello dello stato civile sia un ordinamento gerarchico «a competenza concorrente», è forse l’unica conclusione espressamente non consentita dalla legge. Direzione,
sostituzione e vigilanza, sono sicuramente caratteri della relazione organizzativa tra prefetto, ministro
e sindaco, ma recedono del tutto nel caso specifico della rettificazione di atti dello stato civile già trascritti. Lo dimostra non tanto l’art. 453 c.c. (ove si parla di «annotazioni», in modo da escludere che il
prefetto possa far «annotare» il proprio decreto), quanto l’art. 12 comma 6 d.p.r. n. 396/2000, che pre-
57 Op. e loc. ult. cit.
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vede che successivamente alla firma dell’ufficiale di stato civile gli atti trascritti si considerino chiusi e
«non possono subire variazioni» (vale a dire, né annotazioni, né tanto meno cancellazioni)58; e l’art. 95
d.p.r. n. 396/2000, a norma del quale chi intende promuovere la cancellazione di un atto indebitamente
registrato deve (non ci sono alternative) proporre ricorso al tribunale nel cui circondario si trova l’ufficio
dello stato civile presso il quale è registrato l’atto di cui si tratta. L’art. 95 è chiaro nello stabilire che
contro la trascrizione di un atto già effettuata nei registri di stato civile non è ammesso ricorso gerarchico;
e non si vede, di conseguenza, come poter costruire la figura, speculare, dell’annullamento gerarchico. La
legge lascia intendere che quello dello stato civile è un ordinamento gerarchico «di controllo»; non ha i
caratteri, attribuitigli dal Consiglio di Stato, dell’ordinamento gerarchico «di competenza concorrente».
Quanto alle funzioni di tutela dell’interesse generale, è chiaro che queste ultime spettano al pubblico ministero (art. 95 comma 2 d.p.r. n. 396/2000). Il confronto tra prefetto e pubblico ministero, tratteggiato dal Consiglio di Stato come se il primo potesse vantare una funzione più obbiettiva, solo in virtù
dell’essere organo del potere esecutivo, ricorda a tratti le vecchie tesi della funzione «amministrativa»
del p.m., da tempo abbandonata. Oggi l’atto di promovimento del procedimento di rettificazione non
sembra poter essere riguardato, se non arbitrariamente, entro una duplice dimensione, «oggettiva» e
«soggettiva». Come tutte le attribuzioni civili del pubblico ministero, è orientato al perseguimento di
interessi generali ed è, al tempo stesso, giurisdizionale: appartiene, per legge, ad un potere dello stato
diverso dal potere esecutivo.
Per queste ragioni, in via del tutto teorica, il provvedimento prefettizio di cancellazione dei matrimoni omosessuali dai registri di stato civile potrebbe persino lasciar immaginare l’eventualità di un
conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato, in una duplice direzione; tra esecutivo e giudiziario e,
d’altra parte, tra esecutivo e pubblico ministero, almeno se si condivide (come a me pare) l’orientamento
per cui anche le attribuzioni civili del pubblico ministero hanno fondamento costituzionale, trattandosi
di organo indipendente dal potere esecutivo59.
Al di là di questi aspetti, che non ho modo qui di approfondire, mi sembra palese che tanto la circolare ministeriale, quanto i provvedimenti prefettizi di attuazione, rappresentassero il più tipico caso di
difetto assoluto di attribuzioni ed andassero pertanto, in accoglimento del motivo principale del ricorso,
dichiarati nulli ai sensi dell’art. 21-septies l. n. 241/1990.
8. Un orizzonte minaccioso per l’ideale del governo delle leggi:
i pieni poteri dell’esecutivo contro il «gentle despotism»
degli omosessuali
Governo degli uomini o governo delle leggi? Qualche anno fa, polemizzando con «the Court’s docrine of
privacy rights», una studiosa americana, professoressa in una università cattolica della Florida, ha scritto
che il riconoscimento del matrimonio omosessuale negli Stati Uniti non è solo contro natura, richiede
anche una condizione di «soft despotism»60.
L’allusione è al titolo del celebre capitoletto conclusivo di A. De Tocqueville ne La democrazia in
America, dedicato a «quale specie di dispotismo devono temere le nazioni democratiche». Tocqueville
preconizza l’evoluzione di un potere pubblico che dimette i panni dell’autorità per assumere forma e
sostanza «tutelare», cooperativa, solidale, che lavora al benessere dei cittadini per allargare la sfera dei
loro diritti, ma reca in sé il pericolo di un dispotismo ancor più oppressivo. Il nuovo sovrano paventato
da Tocqueville, anziché «educare gli uomini alla virilità» come farebbe un padre, un padrone, un patriarca, «cerca di fissarli irrevocabilmente alla propria infanzia; ama che i cittadini si divertano, purché
non pensino che a divertirsi»61.
Le stesse pagine de La democrazia in America sono riprese da N. Bobbio, nel suo saggio Governo degli
uomini o governo delle leggi?, per ricordarci che la critica verso i nuovi diritti, il dispregio del «dispotismo
democratico», la diffidenza verso la sovranità popolare, l’encomio della sovranità nazionale e della sua
58 Nemmeno da parte dello stesso ufficiale di stato civile, come si deduce dall’art. 98 d.p.r. cit.
59 E. Spagna Musso, Problemi costituzionali del pubblico ministero, in Scritti di diritto costituzionale, II, Milano, Giuffrè, 2008, 737 ss,
756.
60 S. Sugrue, Soft Despotism and Same-Sex Marriage, in The Meaning of Marriage, R.P. George e J.B. Elshtain (a cura di), New York,
Scepter Publishers, 2010, 187 e passim.
61 A. De Tocqueville, La democrazia in America, Milano, Rizzoli, 1992, 733.
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capacità di proteggere gli interessi generali nei momentio di instabilità o di «crisi», è da sempre tipica
dell’elogio del governo degli uomini o, meglio, del «governo di un uomo». E non si può negare che «Il
collegamento tra il governo popolare e governo tirannico» — prosegue Bobbio — sia «un tema caro a
tutti gli scrittori antidemocratici».
Sull’antitesi tra governo degli uomini e governo delle leggi ci si può anche astenere da giudizi di
valore, come fa lo stesso Bobbio, almeno fin che si indossino i panni dell’osservatore scientifico, come
Lui stesso tiene a specificare. Ma la sentenza del Consiglio di Stato induce senz’altro a ricordare che
esistono pure le virtù del «governo delle leggi». Tutti concordano che in democrazia non sia consentito
costruire il fondamento del potere dell’esecutivo sul principio di legittima difesa dell’ordinamento. Eppure certe interpretazioni sembrano cadere nella tentazione di rievocare quel retaggio. L’approccio del
Consiglio di Stato ricorda molto quello della studiosa sopra citata: dovrà esistere un contrappeso a quella condizione politica di «gentle despotism», in cui «gays and lesbians are liberated with their heteerosexual
counterparts to gratify themselves as they see fit». Questo sembra ciò che il Consiglio si è rappresentato,
quando ha posto in risalto i paragrafi delle sentenze Schalk e Kopf c. Italia e Oliari c. Italia che valorizzano
il ruolo della «sovranità nazionale», dimenticando quelli in cui la Corte EDU spende argomenti pesanti
contro la inadeguatezza dell’ordinamento italiano. Al che si potrebbe obiettare che l’estensione della
tutela dei diritti umani oltre i confini nazionali, non meno della sovranità nazionale, è un elemento costitutivo dell’idea di Stato di diritto. La dimensione internazionale del problema della trascrizione dei
matrimoni omosessuali celebrati all’estero esige un canone di giudizio rigorosamente legale. Lo schema
del giudizio amministrativo non dovrebbe essere ostile questo compito. Decidere se il matrimonio omosessuale celebrato all’estero è trascrivibile spetta al giudice ordinario, in conformità ad una tradizione,
in materia di giudizi di stato, forse non millenaria, ma altrettanto consolidata di quella che accompagna
la eterosessualità del matrimonio. Per il resto, la legge non può essere interpretata come se autorizzasse
stati di eccezione al principio di legalità. Esistono, entro certi limiti, poteri legali d «atipici», ma non
poteri innominati. Nello stato di diritto, la funzione amministrativa è pubblica. Nasce dalla legge, anche
quando l’autorità della legge sembra in pericolo.
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Focus: La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di giustizia
Luca Morassutto
Luca Morassutto*
Circolare Alfano e trascrizione dei matrimoni
same-sex: all’ombra dei divieti e dei reati
Ne quid res publica detrimenti caperet
M. T. Cicerone, Catilinarie, 1.4
Sommario
1. Premessa – 2. Nostalgie giusnaturalistiche – 2.1. Un implicito disconoscimento degli status acquisiti
all’estero – 2.2. La spallata alla giurisdizione ordinaria – 3. Segregazione per orientamento sessuale
– 4. Una immobile… mobilità – 5. (Ir)ragionevoli motivi – 6. Aspetti penali della circolare Alfano –
6.1. L’invito ai Prefetti – 6.2. I contenuti della Circolare Alfano, in particolare le fonti normative poste
alla base dell’intervento prefettizio – 6.3. La riserva di giurisdizione in materia – 6.4. L’alterazione del
vero – 6.4.1. La lesione di una prerogativa – 6.4.2. Collisioni di doveri
Abstract
Rigettando le conclusioni a cui il Consiglio di Stato giunge nella vicenda relativa alla legittimità della
Circolare Alfano è possibile seguire un diverso tracciato che conduce ad una soluzione diametralmente
opposta. Impedire la trascrivibilità dei matrimoni same-sex contratti all’estero rappresenta un vulnus
alla libera circolazione degli status ma, ancor più, l’indebita ingerenza dell’autorità amministrativa appare non solo uno sconfinamento in una materia che non le compete ma configura altresì la possibile
realizzazione di una fattispecie penale.
Rejecting the conclusions the Council of State has reached regarding the legitimacy of the Ministerial Circular
know as “Circolare Alfano”, we would like to follow a different line of reasoning leading to a diametrically opposed
solution. Banning the transcription of same-sex marriages contracted abroad is a breach of the free movement of
persons provisions. Moreover, the unacceptable interference of the administrative authority seems not only to be
trespassing into a domain which does not concern it, but also to be relevant to the specifics of penal offence.
1. Premessa
Nelle more di pubblicazione del presente contributo sul tema delle trascrizioni dei matrimoni samesex è intervenuto infine il Consiglio di Stato – Sezione Terza, con sentenza emessa l’8 ottobre 20151. Va
premesso che le conclusioni a cui i giudici di Palazzo Spada giungono sono diametralmente opposte
a quanto qui si propone. Ho quindi scelto un percorso argomentativo forse inusuale, partendo dalla
fine di questa vicenda, con una critica alla sentenza del Consiglio di Stato. Tratterò quindi il problema
dei flussi transfrontalieri in quanto intimamente collegati al problema degli status personali acquisiti
*
Avvocato del Foro di Ferrara.
1
In questa Rivista, p. 336 ed in Articolo29, www.articolo29.it.
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all’estero e di come la Circolare Alfano si sia inserita nella richiesta di riconoscimento di tali status, per
quindi pervenire ad una possibile individuazione di una specifica fattispecie di reato. Le conclusioni
a cui si perviene sono così una possibile — diametralmente opposta — lettura di quanto proposto dal
Supremo giudice amministrativo
2. Nostalgie giusnaturalistiche
Il Consiglio di Stato, investito del ricorso da parte del Ministero dell’Interno e del Prefetto di Roma
avverso alla sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione I ter n. 05924/20152,
articola il suo intervento secondo una asserita progressione logica, prendendo le mosse dalla questione
della trascrivibilità dei matrimoni omosessuali contratti all’estero — in forza dell’appello incidentale
promosso dagli originari ricorrenti — per poi proseguire discutendo dell’esistenza o meno in capo al
Prefetto del potere di annullare le trascrizioni. Così posto, il problema contiene già di per sé una falla
logica. Non si coglie infatti il nesso tra analisi dell’esistenza del diritto alla trascrizione e legittimità
dell’ordine contenuto nella circolare Alfano. Tale nesso risulta comprensibile solo se letto in termini utilitaristici nell’economia del giudizio finale. Ossia, per fondare la legittimità dell’ordine contenuto nella
circolare Alfano, è necessario dichiarare illegittime le trascrizioni. Per farlo però bisogna a tal punto
storcere il naso di cera3 della legge che si rischia di staccarlo.
L’analisi del Consiglio di Stato prende le mosse dalla l. 218 del 1995 e specificamente dall’ art. 274 e
dall’art. 28 riguardante la forma del matrimonio5. L’ulteriore richiamo operato dal Consiglio di Stato è
all’art. 115 del codice civile che, riguardo al matrimonio del cittadino all’estero, ci dice che vanno seguite
le disposizioni contenute agli artt. 84 e seguenti c.c.6
Date le premesse segue la conclusione che vi è un “sistema regolatorio univoco circa l’identificazione degli elementi che condizionano la validità e l’efficacia del matrimonio tra cittadini italiani celebrato
all’estero” e che tale sistema esige l’enucleazione degli “indefettibili requisiti sostanziali” che permettono all’atto di produrre i suoi effetti. La deduzione successiva offre al lettore una prima perplessità di
fondo. La Corte infatti afferma che “risulta agevole individuare la diversità di sesso dei nubendi quale
la prima condizione di validità e di efficacia del matrimonio”. Si tratta di un agio che evidentemente riesce semplice solo alla Corte identificare considerando che nessuna delle norme richiamate dalla stessa
a fondamento del suo ragionamento fa menzione del requisito del sesso dei nubendi. Ed infatti la Corte
è costretta dopo un richiamo evidentemente insoddisfacente per la propria teoria a trovare sostegno
alla sua tesi nelle successive norme codicistiche ove si parla di marito e moglie (art. 107, 108, 143, 143
bis e 156 bis). Si tratta per la Corte di una lettura obbligata, in coerenza con la “concezione del matrimonio afferente alla millenaria tradizione giuridica e culturale dell’istituto, oltre che all’ordine naturale
costantemente inteso e tradotto nel diritto positivo come legittimante la sola unione coniugale tra un
uomo e una donna”, spingendosi così ben oltre i limiti che la stessa Corte costituzionale aveva disegnato
nella sentenza 138/2010 o — peggio — nella sentenza 170/2014 parlando di paradigma eterosessuale
del matrimonio7. La differenza di sesso assurge così a “connotazione ontologica essenziale dell’atto di
matrimonio”. Se sconcerta il ricorso ad un argomento che di autorevole non ha altro che il richiamo
alla tradizione, facendo di questa l’omaggio a sé stessa, inquieta il riferimento ad un ordine naturale
2In Articolo29, www.articolo29.it, 2015, con nota di G. Zago.
3
Il riferimento è alla nota affermazione di Alano di Lilla: “Auctoritas cereum habet nasum, id est in diversum potest flecti sensum”
in Contra haereticos libri quatuor, I, 30, PL 210, 333
4
Il quale afferma che “la capacità matrimoniale e le altre condizioni per contrarre matrimonio sono regolate dalla legge nazionale di ciascun nubendo al momento del matrimonio”.
5
Ove leggiamo che “il matrimonio è valido quanto alla forma se considerato tale dalla legge del luogo di celebrazione o dalla
legge nazionale di almeno uno dei coniugi …”.
6
Pertanto si dovrà prestare attenzione all’età, all’interdizione di mente, alla parentela affinità, adozione e affiliazione, al delitto, al divieto temporaneo di nuove nozze, all’assistenza del minore.
7
Vale il caso di ricordare quanto afferma G. Brunelli, Quando la Corte costituzionale smarrisce la funzione di giudice dei diritti: la
sentenza n. 170 del 2014 sul c.d. “divorzio imposto”, in Articolo29, www.articolo29.it, 2014: “il paradigma eterosessuale del matrimonio ha cominciato a sgretolarsi nel sistema CEDU al quale anche l’Italia appartiene [producendo] l’ingresso nel nostro
ordinamento di una nozione di matrimonio che non esclude dal suo orizzonte la dimensione omosessuale”.
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costantemente inteso e tradotto nel diritto positivo, in una lettura giusnaturalistica riscontrabile solo nel
Leviatano o nel diritto canonico esplicitato da San Tommaso8.
Mancando la differenza di sesso, dice il Collegio, si è in presenza di un atto sprovvisto di un elemento essenziale ai fini della sua idoneità, riecheggiando quanto affermato dalla Corte di Cassazione
nella nota sentenza 4184/2012. E per la seconda volta il lettore è posto di fronte ad una ulteriore passaggio errato. La Corte infatti interscambiando con leggerezza le categorie delle patologie che affliggono
gli atti confonde inidoneità ed inesistenza affermando “che si tratti di atto radicalmente invalido (nullo)
o inesistente (che appare tuttavia la classificazione più appropriata vertendosi in una situazione di un
atto mancante di un elemento essenziale della sua stessa giuridica esistenza) il matrimonio omosessuale
deve, infatti, intendersi incapace, nel vigente sistema di regole, di costituire tra le parti lo status giuridico proprio delle persone coniugate”. Con poche righe il Consiglio di Stato pone indietro le lancette
dell’orologio dei già scarni diritti per la comunità lgbti e riporta l’analisi giuridica a prima del 2012.
Con un revirement di non poco conto la Corte afferma quindi che il matrimonio same-sex contratto
all’estero non è atto a produrre alcun qualsivoglia effetto giuridico in Italia9.
2.1 Un implicito disconoscimento degli status acquisiti all’estero
Ai fini di verificare questa “inattitudine” Il Collegio ritiene decisiva la previsione di cui all’art. 64 del
d.P.R. n. 396/2000. La norma prevede l’esistenza di una serie di requisiti formulati in elencazione tassativa la cui esistenza è compito dell’ufficio di stato civile verificare. Ed è nella lettera “e” che il Consiglio
di Stato individua la prova, senza appello, del fondamento del suo ragionamento. Viene infatti richiesto
che gli sposi dichiarino di volersi prendere rispettivamente in marito e moglie.
La Corte però dimentica che l’art. 64 riguarda il contenuto dell’atto di matrimonio mentre la questione di cui si discorre è la trascrizione dello stesso. Continua in altre parole a confondere due fenomeni
tra loro diversi: l’atto e la pubblicità. Erra poi nella individuazione della norma di riferimento che per il
caso di specie non è l’art. 64 quanto l’art. 16, che si configura come lex specialis.
Due riflessioni si pongono all’attenzione del lettore. E’ assai debole il ricorso all’interpretazione
letterale compiuto dal Consiglio di Stato circa l’uso della parola “sposi” da intendersi necessariamente
come coniugi di sesso diverso. L’art. 16 utilizza la stessa dicitura in riferimento al matrimonio celebrato
all’estero secondo le leggi del luogo. Ebbene oramai per la quasi totalità degli Stati appartenenti all’area
UE il concetto di sposi esula dal paradigma eterosessuale. La legge del luogo quindi ben concepisce
che sposi possono essere anche persone same-sex. Vero è che per stabilire l’esistenza di un impedimento
occorre far riferimento alla legge nazionale dei nubendi che impone all’italiano che si sposa all’estero il
rispetto delle condizioni previste dalla legge italiana. E’ anche vero però che quello del riconoscimento
del matrimonio straniero non attiene alla cittadinanza ma all’esercizio di diritti [umani] fondamentali10. Non solo, è in discussione inevitabilmente il diritto alla libertà di circolare all’interno dello spazio
europeo portando con sé una identità acquisita e modifica dal momento in cui il soggetto ha contratto
matrimonio.
E’ la norma di raccordo di diritto internazionale che sconfessa il Consiglio di Stato che non se ne
avvede e perora una posizione piuttosto discutibile. E ciò si verifica doppiamente se si pone mente al
secondo elemento di riflessione rappresentato dall’art. 18 del d.P.R. 396/00 che individua come unico
limite alla trascrivibilità la contrarietà all’ordine pubblico.
Ecco che anche in questo caso assistiamo ad un ulteriore passaggio illogico. La Corte infatti non può
esplicitamente dire che l’identità di sesso dei nubendi è elemento che integra la violazione dell’ordine
pubblico internazionale11, anzi, è costretta a negarlo, ma afferma che la trascrizione deve intendersi
preclusa proprio dal difetto di uno degli indispensabili contenuti dell’atto di matrimonio trascrivibile
(la diversità di sesso per l’appunto). Quanto era, per così dire, uscito dalla porta, rientra quindi dalla finestra in quanto l’art. 18 viene interpolato dalla lettura del Consiglio di Stato inserendo un presupposto
elemento rappresentato proprio dalla differenza di sesso.
La sentenza, debole in punto di diritto su diversi passaggi, offre un ulteriore esempio di questa
fragilità — se non addirittura di inesistenza argomentativa— al punto 2.4 ove si afferma che “la com-
8
A. M. Hespana, Introduzione alla storia del diritto europeo, Bologna, Il Mulino, 1999, p. 157.
9
Smentendo indirettamente così quanto affermato dal Tribunale di Reggio Emilia nel decreto 13 febbraio 2012 (in Articolo29,
www.articolo29.it) circa il ricongiungimento del coniuge.
10 Cfr. M. M. Winkler – G. Strazio, Il nostro viaggio. Odissea nei diritti lgbt in Italia, Milano Udine, Mimesi, 2014, p. 71.
11 Osta in tal senso sia la giurisprudenza CEDU vds Schalk and Kopf quanto il consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi internamente vds Cassazione civile, sentenza n. 4184 del 15 marzo 2012, entrambe in Articolo29, www.articolo29.it.
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patibilità del divieto, in Italia, di matrimonio tra persone dello stesso sesso (e quindi si aggiunga come
logico corollario della trascrizione di quelli celebrati all’estero) è già stata scrutinata ed affermata dalla
Corte costituzionale”. Come già anticipato vi è una evidente confusione tra atto e pubblicità dello stesso,
ma, ancor più grave, vi è una confusione tra matrimonio celebrato in Italia e trascrizione di matrimonio celebrato all’estero. Quel che è peggio risulta essere la lettura delle fonti internazionali considerate
alla luce della teoria del margine di apprezzamento ma ignorando il principio enucleabile dalla loro
lettura in combinato, fornita da ultimo dalla sentenza CEDU Oliari vs Italia. Stupisce la miopia con cui
il giudicante si è mosso, di fatto però percorrendo un solco tracciato colpevolmente prima di lui dalla
Corte costituzionale. Se è vero infatti che la teoria del margine di apprezzamento lascia comunque al
legislatore il compito di pronunciarsi su quale sia la scelta migliore da operare per garantire un diritto,
l’appartenenza ad un ordinamento giuridico sovranazionale ci chiede comunque di garantire quel diritto. Questo significa anzitutto che quello specifico diritto è riconosciuto come esistente. Miopia o pigrizia
cuturale12 poco cambia. Sia gli interventi giurisprudenziali in sede CEDU e di Corte di Giustizia quanto
le relazioni del Parlamento europeo sono moniti di assoluta evidenza. Ed in tal senso la sentenza Oliari
da ultimo, nella sua lettura dei principi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, si pone come
fonte interposta non solo al legislatore ma anche ai giudici. Proprio il riconoscimento degli status è
espressione del principio di cui all’art. 8 Cedu che in forza del diritto alla libera circolazione assume un
carattere transfrontaliero e non può essere frustrato per una inerzia legislativa di uno Stato. Qui il Consiglio di Stato offre l’ennesima illogicità. Afferma infatti che è necessario per giudicare violate le libertà di
circolazione e soggiorno che “la fattispecie giudicata rientri entro i confini del diritto europeo” mentre
nel caso di specie la regolazione legislativa del matrimonio esula dai confini del diritto europeo. Si tratta
di una risposta al problema del mancato rispetto dei trattati internazionali completamente errata che
confonde discrezionalità legislativa nell’uso della regolamentazione da un lato e diritto alla libera circolazione dall’altro. Così facendo, si ha una inversione della lettura delle fonti che porta il Consiglio di
Stato ad affermare che non esiste un diritto fondamentale della persona al matrimonio omosessuale. Da
qui il limite posto all’interprete circa le opzioni ermeneutiche creative che possono condurre ad eventuali equiparazioni anche a meri fini dell’affermazione della trascrivibilità. Peggio ancora, in ossequio
alla più rigida dogmatica della separazione dei poteri, si chiede al giudice di abdicare alla sua funzione
ermeneutica interpretativa, tornando, in un’ottica settecentesca così rassicurante per l’amministrazione
pubblica ed il suo giudice, a far si che “les juges de la nation ne sont …que la bouche qui pronunce les paroles
de la loi”13. Si prospetta cioè un istitutional approach all’insegna di una modestia giudiziale, sostenendo
una idea ben precisa del ruolo che i giudici dovrebbero assumere, concentrati non a interpretare bensì a
“minimizzare le loro ambizioni interpretative, specialmente minimizzando i costi del processo decisionale e della incertezza giuridica”14. Una lettura quindi piatta e modesta, economicista15 nell’intendere
il ruolo e le funzioni. L’interpretazione così formulata può funzionare solo in una utopica condizione
ove la risposta alle istanze della società trova immediata risposta nella attività di un Parlamento. La
condizione italiana è quanto di più lontano vi sia per vedere applicato un institutional approach, ce l’ha
bene insegnato la Corte di Cassazione con sentenza della I sezione civile n. 21748/2007 sul caso Englaro.
E questo a tacere comunque che la funzione di riconoscere un diritto umano fondamentale non può
essere sottoposto alla pancia di un elettorato, a freddi dati statistici e a sordide manovre di palazzo.
I diritti fondamentali vanno invece posti al sicuro dalle vicissitudini della lotta politica16, messi fuori
dalla portata di maggioranze e soprattutto di autorità pubbliche che con un tratto di penna ne cancellano l’esistenza. L’effetto legislativo di una ratio decidendi è solo il frutto di una deformazione visuale17
poiché nulla impedisce al legislatore di far valere la propria volontà riversandola in nuove norme di
legge. In questo senso la sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America pronunciantesi nel
12 S. Rodotà, Solidarietà un’utopia necessaria, Roma-Bari, Laterza, 2014, p. 54.
13Montesquieu, Esprit des Lois (1788), XII, 15, Parigi, Garnier, 1949, p. 165.
14 A. Vermeule, Judging under uncertainty. An institutional theory of legal interpretation, Cambridge, Mass London, 2006, p. 150.
15 R. Bin, A discrezione del giudice. Ordine e disordine una prospettiva “quantistica”, Milano, Franco Angeli, 2014, p. 71.
16 Come non condividere quanto affermato dalla Corte Suprema americana: “The idea of the Constitution was to withdraw certain
subjects from the vicissitudes of political controversy, to place them beyond the reach of majorities and officials and to establish them as
legal principles to be applied by the courts. [West Virginia Bd. of Ed. v. Barnette, 319 U. S. 624, 638 (1943).] This is why fundamental
rights may not be submitted to a vote; they depend on the outcome of no elections”in Obergell et al v. Hodges, Director, Ohio Department
of health et al. in questa Rivista, p. 343.
17 Sempre R. Bin, ivi, p. 96.
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caso Obergefell appare senza dubbio illuminante quando esplicita che i diritti fondamentali non possono
attendere i comodi della politica18.
2.2 La spallata alla giurisdizione ordinaria
Nel merito dell’appello principale circa il giudizio di illegittimità del decreto prefettizio, il Consiglio di
stato ritiene questione preliminare la ricognizione dei caratteri della relazione interorganica tra Prefetto
e Sindaco. Questa parte della sentenza denuncia la sua visione di un sistema che si ispira all’organicismo fascista. La potestà di sovraordinazione dell’Amministrazione centrale che si dipana attraverso il
Prefetto per imporsi quindi sul Sindaco è posta a fondamento della invocata autotutela. Si riaffaccia
dopo ben quarant’anni la prospettazione della teoria dell’ordinamento interno su cui Angiolini aveva
speso ampie argomentazioni19.
Per fondare la relazione interorganica in termini di subordinazione il Consiglio di Stato utilizza
due argomentazioni, una riflessione, un esempio. Purtroppo si tratta di una logica argomentativa che
non convince. Circa il dato normativo vengono richiamati gli articoli 9 e 54 del d.P.R. 396/0020 mentre
per il dato giurisprudenziale il Collegio ricorre ai contenuti della sentenza delle Sezioni Unite n. 21658
del 2009 dove però il rapporto interorganico non è letto in termini di competenza per materia o di avocazione di un potere o di esercizio dello stesso in autotutela ma in termini di legittimazione passiva
nel giudizio di responsabilità civile. Ragioni quindi totalmente diverse ed inconferenti per essere quivi
richiamate e poste a fondamento della teoria che il Consiglio di Stato vorrebbe sostenere.
Lo stesso ragionamento, che dovrebbe porsi come conseguenza logica della teorizzazione e quindi
apparire come la conclusione della riflessione, si rivela poco convincente. La riflessione consiste nel dire
che se non si riconoscesse al Prefetto un potere di intervento diretto si avrebbe una lesione dell’uniformità di indirizzo nella tenuta dei registri dello stato civile in quanto i sindaci potrebbero operare senza
meccanismi correttivi interni. Ed infatti, si obietta, non sono previsti meccanismi correttivi interni bensì
esterni e precipuamente quelli di cui all’art. 95 del d.P.R. 396700 che prevedono il vaglio del giudice
ordinario.
Infine l’esempio proposto non appare essere pertinente. Il sistema di pubblica sicurezza è qualificato normativamente come sistema gerarchico. La sua stessa costruzione appalesa questa conclusione e
appare semplicistico il tentativo di mettere avanti le mani sostenendo che ci si trova in entrambi i casi di
fronte a disfunzioni amministrative imputabili al sindaco.
Quello che però allarma, che appare essere come una vera emergenza di democraticità, sono le
affermazioni utilizzate in merito all’ambito applicativo di cui all’art. 95 d. P.R. 396/00 e della riserva di
legge o giurisdizione indicata all’art. 453 c.c. Il Consiglio di Stato afferma che, affinchè si possano applicare le norme che indicano nella giurisdizione ordinaria l’organo di competenza, è necessario aversi
l’esistenza di atti astrattamente idonei a costituire o modificare lo stato delle persone, tanto da imporre
un controllo giurisdizionale sulla loro corretta formazione, con la conseguenza della estraneità al suo
ambito applicativo di atti radicalmente inefficaci, quali le trascrizioni in parola e quindi del tutto incapaci di assegnare alle persone menzionate nell’atto lo stato giuridico di coniugato. Gravissima, storicamente nostalgica, questa affermazione esautora il ruolo della magistratura ordinaria in una materia
riservatale ex lege e disconosce l’approdo — pur timido ed insddisfacente — della sentenza della Corte
di Cassazione 4184/12 degradando i matrimoni same-sex ad atti inesistenti.
L’escamotage usato per dare la spallata alla competenza giurisdizionale ordinaria prende le mosse
dall’analisi dell’art. 453 c.c. asserendo che questo fa riferimento unicamente alle annotazioni. Va quindi
inteso che non osta intervenire sull’atto di trascrizione con poteri di eliminazione diversi. Poche righe
prima il Consiglio di Stato riteneva che il potere dei Prefetti di intervenire in autotutela dovesse desumersi in ossequio ai criteri ermeneutici sistematico e teleologico. Si è detto che tale sistematicità e finalità
sono una creazione giurisprudenziale propria di questa sentenza e che non sono diversamente riscontrabili se non forzando — in maniera inaccettabile — le norme. Lo scrupolo di ossequiare sia l’invocato
criterio sistematico che teleologico avrebbe di contro dovuto inibire il Collegio ad affermare che l’art.
453 c.c. non circoscrive il potere prefettizio avendo riguardo unicamente alle annotazioni. Il sistema di
intervento disegnato dall’art. 95 d.P.R. 396/00 e dall’art. 453 c.c. contempla quello che può essere defini-
18 Cfr. A. Sperti, La Corte Suprema riconosce il diritto costituzionale al matrimonio delle persone gay e lesbiche in Articolo29, www.articolo29.it, 2015.
19 Cfr. V. Angiolini, Digesto delle discipline pubblicistiche, Direzione amministrativa (voce), 4^ ed., Torino, UTET, 1990, vol. V, 109 ss.
20 Circa le ragioni per le quali tale ricorso normativo appare errato si rinvia a L. Morassutto, La cassaforte dei diritti ed il grimaldello
della circolare Alfano in Questione giustizia, www.questionegiustizia.it, 2015.
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to un sistema perfetto e chiuso21 che, con l’individuazione di un nuovo potere di incidere sugli atti civili
ad opera del Prefetto, perde completamente la sua ragion d’essere.
La sentenza esplicita tutta la sua violenza dialettica nel punto 3.7 ove afferma che proprio la permanenza di un atto inefficace giustifica l’intervento in autotutela al fine di impedire richieste ed istanze alla
pubblica amministrazione sulla scorta di un atto che, seppure inefficace è materialmente esistente. Questo impone, a detta del Consiglio di Stato, la sua “eliminazione dal mondo del diritto”. L’affermazione22,
grave di suo, diventa inaccettabile quando il Collegio la porta all’estremo affermando che “solo gli
interventi dei Prefetti in autotutela gerarchica valgono […] ad assicurare la certezza del diritto connessa
a questioni relative allo stato delle persone”. Una esigenza che “non risulta garantita dalla riserva in via
esclusiva del potere di cancellazione delle trascrizioni al giudice ordinario che, proprio per il carattere
diffuso e indipendente della sua attività, rischia di vanificare, con interpretazioni diverse e contrastanti,
l’esigenza di uniformità di indirizzo su una questione così delicata”. E così il 2015 è l’anno Domini della
fondazione del potere del Prefetto di intervento diretto modificativo in materia di Stato civile. E mentre
in tutta Europa le legislazioni nazionali aprono al riconoscimento dei diritti per le persone omosessuali
il supremo giudice amministrativo grida: Hannibal ante portas.
Il Consiglio di Stato rivendica così un ruolo che non solo non è esplicitato dalla legge ma tantomeno
è da questa ricavabile. Lo scacco matto ai diritti delle coppie same-sex alla trascrizione del matrimonio
contratto all’estero avviene con una duplice mossa. Prima il Consiglio di Stato pone fuori dall’influenza
del giudizio ordinario un atto — afferente comunque i diritti soggettivi dell’individuo essendo questione riguardante lo status personae — dichiarandolo giuridicamente inesistente poi afferma che per
la correzione di atti dello stato civile abnormi può essere utilizzato anche uno strumento amministrativo e non necessariamente giurisdizionale. Viene così esautorato l’intervento del giudice ordinario,
ridisegnando la mappa topografica delle competenze delle giurisdizioni, con una aggressione senza
precedenti. Il principio di riserva di giurisdizione ordinaria come formulato viene sfrattato per lasciar
posto ad una doppia via su cui i meccanismi di interazione risultano completamente saltati, essendo
inimmaginabile un dialogo.
3. Segregazione per orientamento sessuale
“Le leggi dei singoli Stati trattano tanto diversamente le unioni tra persone dello stesso sesso, che il
passaggio del confine davvero può rappresentare la ragione giuridica del disfacimento di quella che altrove era considerata una famiglia a tutti gli effetti”. Questa considerazione di solo quattro anni or sono
oggi dovrebbe riformularsi in termini del tutto diversi affermando, di contro, che in Europa, solamente
per sparute realtà nazionali, il passaggio del confine comporta l’oblio dei diritti della famiglia altrove
formatasi. Tra queste realtà va annoverata, come è noto, l’Italia. Quella dei flussi transfrontalieri riguardanti le coppie same-sex richiedenti il riconoscimento del loro status di coniugi è vicenda che ha toccato
anche il nostro Paese ed ha determinato un braccio di forza tra i Sindaci di talune città (ricordando in tal
senso le città di Udine, Pordenone, Milano, Bologna, Livorno, Roma, Fano, Reggio Emilia) ed il Ministro
degli Interni. Si è così assistito a quella che una parte della dottrina costituzionalista, a cui si aderisce, ha
definito “la battaglia politica dei sindaci [che] ha il merito di testimoniare il grave ritardo della politica
nazionale sulla tutela delle coppie gay”23. A ben vedere l’operazione a cui si assisteva, fatte le necessarie
differenziazioni, non era poi concettualmente così diversa da quanto accaduto nei primi anni del 2000
quando, nel tentativo di superare il ritardo del legislatore nazionale nell’adeguamento della disciplina
matrimoniale alla mutata sensibilità sociale, alcune regioni, nei loro Statuti, proclamavano la volontà di
perseguire il riconoscimento di forme di convivenza differenti dalla famiglia legittima. In tale occasione la Corte costituzionale, investita della questione per violazione della competenza esclusiva statale
in materia di ordinamento civile, non dichiarava l’illegittimità di siffatte enunciazioni di principio. Il
Giudice delle leggi le collocava, di contro, sul piano dei convincimenti espressivi delle diverse sensibi-
21 Cfr. art. 12 comma 6 D.P.R. 396/2001.
22 Difficile non ritrovare assonanze con l’idea, di inizio secolo, per la quale la direzione poteva essere classificata come uno dei
contenuti della gerarchia amministrativa la quale si sostanziava precipuamente in varie facoltà spettanti all’organo superiore
talune delle quali non mancano mai come il potere disciplinare, il potere di vigilanza, il potere di impartire ordine o di avocazione e riforma. In tal senso: E. Presutti, Istituzioni di diritto amministrativo italiano, Messina, Principato, 1934, I, 377 ss. Viene
così teorizzata la gerarchia come meccanismo giuridico per coordinare gli uffici.
23 B. Pezzini in http://27esimaora.corriere.it/articolo/nozze-gay-sentenza-importante-ma-resta-il-vuoto-di-legge/.
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Focus: La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di giustizia
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lità politiche presenti nella comunità regionale ed esplicanti una funzione di natura culturale o anche
politica ma non normativa24. Similmente, i Sindaci, che avevano provveduto a trascrivere i matrimoni
same-sex contratti all’estero da cittadini italiani, specificavano che il loro “non è un atto che si sostituisce
a quello che è un vuoto legislativo e che può essere colmato soltanto dal Parlamento, ma vuole essere
un contributo concreto per spingere il Parlamento stesso ad armonizzare la normativa italiana a quella
della maggior parte degli altri Paesi europei”25. Non siamo di fronte ad un fenomeno nuovo. Come ci
ricorda Matteo Winkler “fino a poco meno di un secolo fa, nell’America della segregazione razziale le
coppie miste emigravano dagli Stati del Sud a quelli del Nord per potersi sposare […] In Italia oggi
avviene la stessa cosa. Ovvia conseguenza della perdurante claustrofobia che caratterizza il dibattito
sui diritti civili nel nostro Paese”26. Una impermeabile resistenza (interna ed esterna), quella espressa
dal Parlamento, non ad un capriccio, né ad un desiderio né ad una (innaturale) pretesa, ma al diritto
individuale alla propria identità personale27. Aspetto, quello della identità personale, che non sfugge
al Parlamento europeo che nella “Relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo nel
2013 e sulla politica dell’Unione europea in materia” presentata il 20 febbraio 2015 “prende atto della
legalizzazione del matrimonio o delle unioni civili tra persone dello stesso sesso in un numero crescente
di paesi nel mondo, attualmente diciotto28; incoraggia le istituzioni e gli Stati membri dell’UE a contribuire ulteriormente alla riflessione sul riconoscimento del matrimonio o delle unioni civili tra persone
dello stesso sesso in quanto questione politica, sociale e di diritti umani e civili”29. Diritti, ci ricorda il
costituzionalista, che trovano un accesso ad uno status privilegiato, quello di coniuge, cui l’ordinamento
collega un lungo elenco di diritti mancati30 e che fa sì che il matrimonio abbia anzitutto una dimensione
di diritto civile31, di più, che il diritto di sposarsi con chi si vuole sia un diritto umano elementare32. Ecco
quindi che l’incapacità giuridica di accedere al matrimonio nega alle persone omosessuali una dignità
nella loro propria e distinta identità, prolungano lo stigma33.
Il gioco di prestigio a cui si assiste è degno del miglior illusionista. Una coppia same-sex, sposata
secondo la lex loci in uno Stato europeo che riconosce l’istituto matrimoniale anche per le persone omosessuali è portatrice di una pienezza di diritti e doveri al pari di una coppia eterosessuale. Diritti che si
esplicano sia in un legame orizzontale (tra coniugi) che verticale (tra coniugi e figli). Il passaggio da uno
Stato ad un altro causa il disconoscimento dell’unione orizzontale facendo venire meno anche l’esplicarsi del più generale principio di solidarietà nelle relazioni familiari. Si generano così vere e proprie
situazioni di privilegio riservando solo alla famiglia fondata sul matrimonio, secondo un paradigma
eterosessuale, il naturale esplicarsi del principio di solidarietà34. Automaticamente però si scioglie anche il legame verticale esistente tra figlio e co-genitore35. In altre parole “crossing the border can mean the
difference between losing and retaining custody or being able to adopt as a gay or lesbian couple”36.
Ecco che questa impermeabilità rappresenta una negazione dello status stesso di cittadino europeo.
24 Si rinvia in tal senso a Corte costituzionale, sentenza del 29 novembre 2004 n. 372 e Corte costituzionale, sentenza del 29 novembre 2004 n. 378.
25 Così il Sindaco di Udine, Furio Honsell in una dichiarazione alla stampa. Confronta in tal senso: http://messaggeroveneto.
gelocal.it/udine/cronaca/2014/10/02/news/udine-trascritto-il-primo-matrimonio-same-sex-in-regione-1.10039609
26 M. M. Winkler, G. Strazio, Il nostro viaggio, odissea nei diritti lgbti in Italia, Milano-Udine, Mimesis, 2014, pag. 67
27 A. Pugiotto, L’altra faccia dell’eguaglianza (e dell’amore), in Forum di Quaderni costituzionali, www.forumcostituzionale.it, 2008,
pag. 8.
28 È del 27 novembre 2015, attraverso l’approvazione di una legge sulle unioni civili, l’aggiunta di Cipro agli Stati che riconoscono una legislazione inclusiva per le persone omosessuali.
29 Relazione consultabile direttamente dal sito del Parlamento europeo www.europarl.europa.eu/.
30 A. Pugiotto, ivi, p. 6.
31 M. Nussbaum, Disgusto e umanità, Milano, Il Saggiatore, 2011, p. 126.
32 H. Arendt, Riflessioni su Little Rock, in Responsabilità e giudizio, J. Kohn (a cura di) Torino, Einaudi, 2010, p. 169.
33 M. M. Winkler, In memoriam Robert A. Burt. “Continuity and change” nella sentenza della Corte Suprema americana sul matrimonio
tra persone dello stesso sesso, in Questione giustizia, www.questionegiustizia.it, 2015.
34 S. Rodotà, Solidarietà un’utopia necessaria, Roma Bari, Laterza, 2014, p. 52.
35 Come ci ricordano M.M. Winkler, G. Strazio, ivi, p. 68.
36 N.D. Polikoff, Lesbian and gay couples raising children: the law in the United States, in the legal recognition of same sex partners: a
study of National, European and International Law, R. Wintemute, M. Andenaes (eds), Oxford Portland, Hart Publishing, 2001,
pag. 153.
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4. Una immobile… mobilità
L’ossimoro del titolo non è in alcun modo casuale bensì evidenzia la sorte dei diritti delle persone lgbti
in relazione ai flussi transfrontalieri. La mobilità dei cittadini dell’Unione è infatti una realtà concreta e,
ad agevolare tale mobilità, contribuiscono i diritti connessi alla cittadinanza dell’Unione, in particolare
il diritto di libera circolazione che comporta, come corollario, che il soggetto, nel valicare i confini di
uno Stato dell’Unione, possa portare con sé il patrimonio di diritti di cui è titolare. Questo però è vero
in parte e solo per talune persone. Il Libro Verde della Commissione Europea37 datato 14 dicembre 2010
riferisce che su 122 milioni di matrimoni censiti nell’Unione, 16 milioni di questi presentano una dimensione transfrontaliera (il 13%). E’ lo stesso rapporto dell’Unione a evidenziare come i cittadini europei
trovino diverse difficoltà ad esercitare i loro diritti nella vita di tutti giorni, difficoltà che scaturiscono
dall’obbligo di presentare alle autorità di un altro Stato membro documenti pubblici per poter godere
di un diritto o essere soggetti a un obbligo. Il problema è però risalente; già nel 2004 la Commissione
aveva evidenziato l’importanza di agevolare il riconoscimento dei diversi tipi di documenti e il reciproco riconoscimento dello stato civile delle persone38. La Commissione evidenzia come “one of the
first priorities will have to be to continue and increase work provided for by the mutual recognition programme”
Questo avviene tra l’altro “facilitating the recognition of various types of documents […] in addition, it might
prove useful to facilitate mutual recognition in new fields such as the civil status of individuals, family or civil relations between individuals (partnerships) or paternity”. I cittadini dell’Unione trovano ostacoli in un
quadro normativo frammentario riconducibile a molteplici fattori: discipline nazionali diverse tra loro,
convenzioni internazionali multilaterali o bilaterali ratificate, a seconda dei casi, da un numero limitato
di paesi e spesso inadatte ad offrire le soluzioni necessarie alla libera circolazione dei cittadini europei,
un diritto dell’Unione non completo e che tocca solo qualche aspetto della materia e, nel caso delle
coppie same-sex italiane, una resistenza interna nazionale, rappresentata da forze politiche reazionarie,
dove la “contrarietà al matrimonio omosessuale come pure ad una qualsiasi legislazione a favore di
forme di unione (anche tra persone dello stesso sesso) diverse dalla famiglia tradizionale, nasce fondamentalmente da una paura: che quanto riconosciuto per legge diventi scelta possibile, costume diffuso,
mentalità corrente. Uscendo così dalla sfera della riprovazione sociale e morale e riuscendo a intaccare
paradigmi altrimenti consolidati”39. Una logica deliberativa che non diventa espressione di realizzazione dei contenuti dell’art. 2 e 3 della Costituzione ma che è altra cosa: quella del peccato che si fa reato,
del “io non voglio, dunque nessuno può”40. Gioca qui un pregiudizio di ordine morale, un malinteso
sentimento religioso — il più delle volte — che converte ogni peccato in un reato, con una classe politica, troppe volte culturalmente impreparata e giuridicamente digiuna dei contenuti basilari del testo
costituzionale, che si autoproclama maggioranza etica e castiga la minoranza eretica evidenziando così
sempre più lo spread etico che ci divide da tutti gli altri Paesi occidentali41.
Proprio per rimuovere questi ostacoli, con un Protocollo firmato a Berna il 25 settembre del 1950,
cinque Stati francofoni42 fondarono una organizzazione intergovernativa denominata Commissione internazionale dello stato civile ed individuata con l’acronimo CIEC43. Con il tempo è apparso chiaro che
al cittadino “non importa che le norme siano identiche nei diversi paesi. Per lui, se risiede in un altro
paese con la sua famiglia, quello che importa è che, se gli serve un estratto di nascita di un figlio per
l’iscrizione a scuola, un tale estratto rilasciato dalle sue autorità nazionali sia accettato ovunque senza
formalità. In altre parole se le persone circolano devono anche circolare gli atti e le decisioni che le concernano e tali atti devono essere sempre comprensibili e accettati”44. E’ la logica conseguenza della ne37 Libro Verde Meno adempimenti amministrativi per i cittadini Promuovere la libera circolazione dei documenti pubblici e il riconoscimento
degli effetti degli atti di stato civile, Bruxelles, 14.12.2010, reperibile all’indirizzo http://www.europarl.europa.eu/
38 Confronta il Com (2004) 401 del 2 giugno2004 reperibile all’indirizzo http://eur-lex.europa.eu/
39 A. Pugiotto, ivi, p. 2.
40 Id, ivi, p. 2.
41 Così M. Ainis, La piccola eguaglianza, Torino, Einaudi, 2015, pp. 10 – 11.
42 Nello specifico: Belgio, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Svizzera.
43 Secondo gli atti fondativi, la missione della CIEC è doppia: costituire una documentazione legislativa e giurisprudenziale
sul diritto dei paesi membri che riguarda la condizione delle persone, della famiglia e della nazionalità e di porre questa
documentazione a disposizione delle Autorità dei paesi membri. Il CIEC si propone poi un ulteriore obiettivo rappresentato
dall’armonizzare le disposizioni esistenti nei paesi membri con l’elaborazione di Convenzioni e Raccomandazioni al fine di
migliorare i servizi di stato civile nei paesi aderenti.
44 Confèrence de l’Association polonaise des officiers de l’état civil – Lublin 27 settembre 2000 in http://ciec1.org/
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cessaria unicità degli status personali che trae fondamento dalla innegabile circostanza che, all’interno
di uno spazio senza frontiere interne, ciascun cittadino deve poter circolare recando con sé l’insieme dei
requisiti che lo identificano come soggetto45. L’Italia entrò a far parte del CIEC nel 1958 e delle 31 convenzioni internazionali elaborate il nostro Stato ne ha ratificate 1746. In particolare rileva la convenzione
n. 3, firmata a Istanbul il 4 settembre 195847, la quale prevede lo scambio automatico di informazioni
riguardanti matrimoni e decessi48. In tale convenzione si dispone che quando un ufficiale di stato civile
di uno Stato contraente registra un matrimonio o un divorzio o un decesso ne dà informazione all’ufficiale di stato civile di un altro stato contraente presso il quale viene tenuto l’atto di nascita e/o l’atto di
matrimonio dell’interessato oppure del suo coniuge.
Abbiamo così per l’Italia un corto circuito nel sistema di informazione, rilevando unicamente le
comunicazioni che coinvolgono cittadini eterosessuali ma non quelle riguardanti cittadini omosessuali
in quanto l’ufficiale di Stato civile va ad ignorare una comunicazione ufficiale proveniente da un altro
Stato firmatario della medesima convenzione, generando così una — a questo punto inevitabile — discriminazione per orientamento sessuale. Inevitabile quindi chiedersi quali siano le ragioni di questa
irricevibilità, di questa trasparenza di un atto agli occhi di un pubblico ufficiale. Come correttamente
evidenziato dal Tribunale ordinario di Grosseto: “l’intrascrivibilità degli atti stranieri costituisce un’eccezione e che, dunque, non può che essere interpretata restrittivamente, in particolar modo quando gli
atti o i provvedimenti incidano sullo status o sulla capacità delle persone, stante la necessità di garantire
la più ampia circolazione degli stessi al di là dei confini entro i quali sono stati formati i relativi atti o
provvedimenti”49.
5. (Ir)ragionevoli motivi
Altrove si è detto che i motivi della opposizione al matrimonio same-sex od alla trascrizione nei registri
di stato civile del matrimonio contratto all’estero si possono ricondurre ad una cantilena troppe volte
sentita ed, onestamente, priva di una reale portata giuridica50. Si tratta spesso di posizioni espressione
della più reazionaria etica cattolica che “da sempre è una morale privata che diventa pubblica solo in
questioni di sesso, famiglia e bioetica, oltre che in vista delle competizioni elettorali” 51. Piace qui isolare,
seppure sommariamente, due ordini di motivi. Il primo, nel suo possibile utilizzo, paleserebbe tutto il
limite culturale dell’utilizzatore. Lo stesso Tribunale di Grosseto più sopra richiamato, affronta questo
nodo definendolo un medievalistico richiamo al concetto di contro natura52. Quello del paradigma eterosessuale, in una supposta lettura originalista dell’art. 29 Cost., come precipitato dell’espressione “società naturale fondata sul matrimonio” è una lettura che non può neppure essere definita reazionaria53
in quanto non trova nelle pagine dei Padri costituenti riferimenti di sorta. Va esclusa infatti ogni sugge-
45 C. Honorati, La legge applicabile al nome tra diritto internazionale privato e diritto comunitario nelle conclusioni degli avvocati generali,
in Nuovi strumenti del diritto internazionale privato, S. Bariatti G. Venturini (a cura di), Milano, Giuffrè, 2009, p. 482.
46 L’Italia ha anche firmato altre 6 convenzioni poi non ratificandole e ulteriori otto convenzioni non hanno ricevuto neppure la
firma.
47 In vigore in 11 paesi tra cui l’Italia.
48 Poi ampliata il 12 settembre 1997 da cinque Stati inserendovi gli scioglimenti di matrimonio, i riconoscimenti, le rettificazioni
degli atti di nascita, di matrimonio, di morte e di riconoscimento
49 La decisione del Tribunale di Grosseto del 17 febbraio 2015 N. V.G. 113/2014 è reperibile in Articolo29, www.articolo29.it,
2015.
50 L. Morassutto, La cassaforte dei diritti, cit..
51 M. Donini, Il diritto penale come etica pubblica, 2014, Modena, Mucchi, p. 31.
52 “società naturale non può ritenersi certamente riferita a medievali e discriminatorie concezioni secondo cui l’unione omosessuale sarebbe contro natura o secondo cui i diritti di famiglia possano essere riconosciuti soltanto a coniugi astrattamente
idonei alla procreazione ma va correttamente intesa come formazione sociale spontanea” vds Tribunale ordinario di Grosseto, decreto del 17 febbraio 2015, in Articolo29, www.articolo29.
53 Né tantomeno ci si può appellare alla tradizione poiché “servire la tradizione per mero riguardo verso la stessa tradizione
non rientra certamente tra gli scopi della giurisdizione” M. Gattuso, Appunti sulla famiglia naturale e il principio di eguaglianza,
Questione giustizia, 2007, p. 12.
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stione di stampo giusnaturalistico54 in quanto in quel “naturale” vi è unicamente il dichiarato obiettivo
di respingere la teoria dei diritti riflessi praticata durante il fascismo. Anzi, lungi dai Costituenti una
lettura cristallizzata della famiglia, poiché “naturale sta per razionale” e non si può “escludere che la
famiglia abbia un suo processo di formazione storica, né si vuol negare che vi sia un sempre più perfetto
adeguamento della famiglia a questa razionalità nel corso della storia”55 che avviene anche attraverso
l’agire di “una dottrina positiva secondo una determinata situazione storica”56.
Il secondo motivo, che aleggia nel testo della circolare Alfano57, è quello del profilo di ordine pubblico. Si tratta di una nozione elastica che deve raccordarsi non con la concezione di ispirazione statualista
ma necessariamente riferirsi alla comunità internazionale cui l’Italia partecipa. Il recente dato emesso
da Ilga Europe colloca l’Italia al 35° posto in Europa per l’equiparazione dei diritti civili alla comunità
lgbt58. In un contesto europeo sempre più inclusivo, il caso italiano spicca per l’evidente inettitudine di
un Parlamento a conferire pari dignità ai suoi cittadini tanto da meritarsi una condanna da parte della
Corte europea dei diritti umani59. Sempre più difficile quindi è invocare, in difesa della atrofia normativa nazionale, la teoria del margine di apprezzamento formulata in sede europea, stante il mutamento
politico del quadro sovranazionale dove la quasi totalità degli Stati dell’Unione hanno provveduto a
riconoscere alle coppie same-sex il diritto di contrarre matrimonio o unioni civili. L’indiscutibile doloso
ritardo, in capo all’Italia, stride con la dichiarazione del Parlamento europeo apparsa nella relazione
annuale sui diritti umani. In tale frangente si legge che il Parlamento europeo “incoraggia le istituzioni e
gli Stati membri dell’Unione europea a contribuire ulteriormente alla riflessione sul riconoscimento del
matrimonio o delle unioni civili tra persone dello stesso sesso in quanto questione politica, sociale e di
diritti umani e civili” inevitabile evoluzione del concetto che la relazione affettiva e sentimentale tra due
persone dello stesso sesso oramai è dato assodato da doversi qualificare come vita familiare e non solo
vita privata60. Principi che la Corte di Cassazione fa propri dichiarando che “il carattere dell’eterosessualità non costituisce più, di conseguenza, un canone di ordine pubblico né interno né internazionale”61.
Rimane quindi da comprendere quale ragione vi possa essere se non quella discriminatoria su
base dell’orientamento sessuale per negare il riconoscimento di uno status acquisito all’estero. Come
ottimamente ricorda il già citato provvedimento di Grosseto, la giurisprudenza Cedu ritiene che il mancato riconoscimento di uno status personale acquisito all’estero, appare legittimo unicamente quando
risponde ad un imperativo sociale e deve essere proporzionato allo scopo che si prefigge62. Ne discende così che l’intrascrivibilità del matrimonio same-sex si traduce in un mancato riconoscimento di uno
status acquisito validamente e tale diversità di trattamento rispetto ai matrimoni transfrontalieri poi
trascritti si fonderebbe unicamente su di una inaccettabile discriminazione per orientamento sessuale.
54 Come ci ricorda Paolo Veronesi in una splendida analisi sui “paletti valoriali” enucleabili dalla definizione di famiglia così
come presente in Costituzione. Si veda P. Veronesi, Costituzione, “strane famiglie” e nuovi matrimoni in Quaderni costituzionali,
2008, p. 579.
55 A. Moro, Commissione per la Costituzione, Ad. Plen. 15 gennaio 1947, p. 102.
56 G. Dossetti, Commissione per la Costituzione, Ad. Plen. 15 gennaio 1947, p. 104.
57 Attraverso il richiamo alla “esigenza di garantire coerenza con le norme attualmente vigenti”.
58 Cfr http://www.rainbow-europe.org dove in ambito di tutela contro gli hate speech e gli hate crimes l’Italia riceve uno 0% in
termini di tutela e in ambito di diritto di famiglia le viene riconosciuto un 4% in ragione della legge n. 164/1982.
59 Oliari e altri c. Italia, decisione del 21 luglio 2015 in Articolo29, www.articolo29.it, 2015.
60 Si veda Schalk e Kopf c. Austria cit., posizione ribadita con maggior intensità e forza nella sentenza Cedu, X e altri c. Austria,
sempre in Articolo29, www.articolo29.it,. Si afferma così il principio per cui non vi è un solo modo di intendere la famiglia e
la vita privata, in tal senso Vallianatos c. Grecia, in Articolo29, www.articolo29.it.
61 Corte di Cassazione, ordinanza del 6 giugno 2013 n. 14329, in Articolo29, www.articolo29.it.
62 Negrepontis Giannisis c. Grecia, decisione del 3 maggio 2011, in http://hudoc.echr.coe.int/
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6. Aspetti penali della circolare Alfano
6.1 L’invito ai Prefetti
Il Ministero degli Interni il 7 ottobre 2014 procedeva ad emettere la circolare63 n. 40^/ba-030/011/DAIT,
a firma del Ministro, indirizzata ai Prefetti della Repubblica, al Commissario del Governo per la Provincia di Bolzano, al Commissario del Governo per la Provincia di Trento e per conoscenza al Presidente
della Giunta Regionale della Val d’Aosta, avente ad oggetto: “trascrizione nei registri dello stato civile
dei matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all’estero” Nella circolare si afferma che “spetta
al Prefetto, ai sensi dell’art. 9 del d.P.R. 396/2000, la vigilanza sugli uffici dello stato civile, si richiama
l’attenzione delle SS.LL. sull’esigenza di garantire che la fondamentale funzione di stato civile, esercitata, in ambito territoriale, dal Sindaco nella veste di ufficiale di Governo, sia svolta in piena coerenza
con le norme attualmente vigenti che regolano la materia.” Il Ministro disponeva quindi che i Prefetti,
ove risultassero adottate “direttive sindacali in materia di trascrizione nei registri dello stato civile dei
matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all’estero” rivolgessero “ai Sindaci formale invito al
ritiro di tali disposizione ed alla cancellazione, ove effettuate, delle conseguenti trascrizioni, contestualmente avvertendo che, in caso di inerzia, si procederà al successivo annullamento d’ufficio degli atti
illegittimamente adottati, ai sensi del combinato disposto degli articoli 21 nonies della legge 241 del 1990
e 54 commi 3 e 11 del d.lgs 267/2001”. Si è così verificato un braccio di ferro tra civiltà politica da una
parte, incarnata dall’operato dei Sindaci che affermavano64 come: “Non è nostra intenzione, sulla base di
una circolare del ministro, di azzerare le considerazioni etiche e giuridiche che sono alla base della scelta
fatta. Porteremo un tema così importante davanti a un tribunale” e l’insensibile prepotenza del potere
esecutivo dall’altra, che ha prodotto le prime cancellazioni delle trascrizioni65.
E’ anzitutto doveroso anteporre al proseguo di questo intervento una premessa metodologica. Le
considerazioni che seguono non toccheranno gli aspetti di natura squisitamente amministrativistica (in
primis se il Sindaco potesse o meno trascrivere) se non per inquadrare il punto di partenza della nostra
riflessione. La domanda di fondo è in verità più semplice: poteva il ministro ordinare la cancellazione66?
Non si tratta infatti di chiedersi se i Sindaci potessero trascrivere o meno, si tratta di capire se il Ministro
potesse disporre la cancellazione delle trascrizioni attraverso un provvedimento preso in via gerarchica.
La risposta a nostro dire non può che essere negativa ed evidenzia l’abuso compiuto dal Ministro67.
63 Reperibile all’indirizzo del Ministero: http://www.interno.gov.it/sites/default/files/allegati/circolare_dait.pdf
64 Cfr http://espresso.repubblica.it/attualita/2014/10/10/news/nozze-gay-i-sindaci-in-rivolta-contro-alfano-1.183678
65 L’iter, seguito pressoché in tutti i casi, è stato quello dell’emissione di un decreto a firma del Prefetto competente per territorio
con il quale veniva disposto l’annullamento d’ufficio della trascrizione e con cui si ordinava al Sindaco di dare esecuzione al
provvedimento, annotando, a margine della trascrizione effettuata, il provvedimento prefettizio di annullamento. Nel caso
di mancato ottemperamento dell’ordine da parte del Sindaco, un Vice Prefetto, recandosi presso gli uffici dell’anagrafe comunale, provvedeva direttamente all’annotazione del provvedimento prefettizio di annullamento, a margine della trascrizione
effettuata nel registro degli atti di matrimonio. Appare necessario specificare come l’associazione Rete Lenford Avvocatura
per i diritti lgbt, che seguiva gli interessi di diverse coppie coinvolte nella vicenda, avesse preventivamente informato Sindaci
e Prefetti nonché Presidenza della Repubblica, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Consiglio superiore della Magistratura, dell’assoluta inesistenza di un potere di procedere all’annullamento delle trascrizioni tanto in capo agli Ufficiali di stato
civile, quanto, in via gerarchica, in capo al Prefetto. Veniva evidenziato altresì come qualsiasi atto in tal senso si sarebbe
caratterizzato per essere un palese abuso di potere ma anche una clamorosa invasione della sfera del potere giurisdizionale
(cfr. http://www.retelenford.it/761-esposto-alla-procura-di-udine-a-seguito-della-cancellazione-del-matrimonio-same-sextrascritto.html)
66 Proprio su questo punto bisognerebbe riflettere, soprattutto dopo l’intervento della Procura della Repubblica di Udine che,
pur in un procedimento di richiesta di archiviazione, qualificava comunque come sostanzialmente illegittimo quanto accaduto nel capoluogo friulano, tanto che sarebbe dovuto sorgere, in capo ai rappresentanti dell’Esecutivo che procedettero
successivamente alla alterazione dei registri, quantomeno il dubbio sulla liceità di tale ordine e sulla competenza dell’autorità
ordinante
67 E qualificato quindi come l’assenza di un potere giuridico conferito dall’ordinamento di interferire nella sfera giuridica altrui,
si veda L. Stortoni, L’abuso di potere nel diritto penale, Giuffrè, Milano, 1976, p. 13.
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6.2 I contenuti della Circolare Alfano, in particolare le fonti normative poste alla base
dell’intervento prefettizio
E’ possibile individuare, all’interno della richiamata circolare, tre distinti momenti: una affermazione di
partenza ove si considerano le disposizioni dei Sindaci circa le trascrizioni non conformi al quadro normativo nazionale68. Una parte centrale della circolare offre le ragioni di questa mancata equiparazione,
evidenziando come, sia a livello normativo interno69 che con riguardo al contesto europeo70 nonché con
riferimento al noto intervento della Corte costituzionale71 e a quanto affermato dalla Corte di Cassazione in materia di trascrizioni nei matrimoni same-sex72 non si possa sostenere ad oggi detta uguaglianza73.
La terza parte infine contiene le fonti normative in virtù delle quali il Ministero ordina ai Prefetti di
disporre la cancellazione. Il ragionamento è il seguente: poiché spetta al Prefetto la vigilanza sugli uffici
di stato civile, così da garantire una coerenza con le norme vigenti, egli dovrà attivarsi rivolgendo ai Sindaci un formale invito a ritirare le direttive con cui si disponevano le trascrizioni e conseguentemente
cancellare le stesse. In caso di inerzia si avrà l’annullamento d’ufficio delle stesse ai sensi del combinato
disposto degli articoli 21 nonies della L. n. 241 del 1990 e 54, commi 3 e 11 del D. lgs. 267/2000.
Il potere di intervento sui registri viene così fatto discendere da due fattori: potere di vigilanza in
capo al Prefetto ed inerzia del Sindaco. Si tratta, di contro, di due richiami profondamente errati. Decisamente troppo veloce la conclusione in virtù della quale se esiste un potere di vigilanza vi è anche
connesso un potere di intervento diretto. L’art. 9 del d. P.R. n. 396/2000 al suo secondo comma si limita
infatti ad enunciare il principio per cui “La vigilanza sugli uffici dello stato civile spetta al Prefetto”74.
Quindi, in merito a questo primo punto, non ritroviamo traccia alcuna di un espresso potere di annullamento o di intervento diretto dell’Amministrazione centrale sugli atti dello stato civile75.
Medesime conclusioni circa l’assenza di potere in capo al Prefetto possono essere tratte con riferimento al richiamato art 54, commi 3 e 11 del D. lgs. 267/2000 riguardante le attribuzioni del Sindaco
nei servizi di competenza statale. La norma infatti recita che il Sindaco, quale ufficiale del Governo,
sovraintende alla tenuta dei registri di stato civile e di popolazione. Il comma 11 esplicita poi il presup-
68 Tale mancata conformità è, a detta del Ministro, riconducibile al fatto che solo il legislatore nazionale può equiparare matrimoni same-sex e matrimoni tra persone di diverso sesso. E questo, sottolinea la circolare, nonostante la trascrizione abbia
natura meramente certificativa e dichiarativa
69 L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 27 comma 1; art. 115 c.c.; art. 107 c.c.
70 Artt. 12 CEDU e 9 Carta dei dritti fondamentali dell’Unione europea
71 Corte costituzionale n. 138/2010. Contro la lettura da più parti definita originalista della Corte rispetto all’art. 29 Cost. si
rimanda a chi ottimamente ha già scritto sul tema (la letteratura in materia è tale e tanta da rendere impossibile un adeguato
riferimento bibliografico ma si voglia comunque tenere presente: Corte Costituzionale 15 aprile 2010, n. 138, in Famiglia e diritto, 2010, 653, con nota di M. Gattuso; B. Pezzini, Il matrimonio same-sex si potrà fare. La qualificazione della discrezionalità del legislatore nella sentenza 138/2010 della Corte costituzionale, in Giurisprudenza costituzionale, 2010, p. 799-811; B. Pezzini, Riconoscere,
negare o giustificare la discriminazione matrimoniale delle persone omosessuali ‘A proposito dell’interpretazione sistematico-originalista
del matrimonio nell’articolo 29 Cost., in questa Rivista, anno I, numero 2: dicembre 2014, p. 12; G. Brunelli, Dimensione antidiscriminatoria del principio di eguaglianza e diritto fondamentale di contrarre matrimonio, in questa Rivista, anno I, numero 2: dicembre
2014, p. 12; G. Brunelli in Audizioni sui disegni di legge nn. 14 e connessi [disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili] contributi
degli auditi, in Articolo29 www.articolo29.it, 2015).
72 Corte di Cassazione n. 4184/2012, cit.
73 Si tratta di una analisi normativa e giurisprudenziale assolutamente insufficiente, che si fa portatrice di una certa pigrizia
culturale. Come autorevolmente scrive il Stefano Rodotà: “nel quadro costituzionale europeo esistono ormai due categorie
di unioni destinate a regolare i rapporti di vita tra le persone. Due categorie che hanno analoga rilevanza giuridica e dunque
medesima dignità: non è più possibile sostenere che esiste un principio riconosciuto — quello del tradizionale matrimonio tra
eterosessuali — e una eccezione (eventualmente) tollerata — quella delle unioni civili, eventualmente consentite anche a persone dello stesso sesso. Non si può trascurare questa diversa configurazione del sistema giuridico rifugiandosi, con una certa
pigrizia culturale, nell’argomento della discrezionalità degli Stati nel regolare la materia, alla quale rinvia lo stesso articolo 9.
Le scelte dei legislatori infatti non possono prescindere l’evidente logica paritaria alla quale si ispira la Carta dei diritti” in S.
Rodotà, Solidarietà un’utopia necessaria, cit., p. 54.
74 Come tale potere si esplichi viene delineato dall’art. 104 del richiamato decreto: “Il Prefetto, o chi da lui delegato, si deve
recare almeno una volta ogni anno negli uffici dello stato civile compresi nella propria provincia per verificare se gli archivi
sono tenuti con regolarità e con precisione”. Di tale verificazione, prosegue l’art. 105 d.P.R. n. 396/2000, viene redatto processo verbale nel quale sono indicati il giorno in cui ha avuto luogo la verificazione, il numero degli atti esistenti e verificati e le
osservazioni fatte.
75 In tal senso Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I – Ter, sentenza 12 febbraio – 9 marzo 2015 n. 3907, in Articolo29, www.articolo29, 2015.
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posto attraverso il quale il Prefetto può sostituirsi in tale attività al Sindaco, individuandolo nell’inerzia
di quest’ultimo. Passaggio doppiamente fallace sia da un punto di vista eso-procedimentale che endoprocedimentale in quanto non solo non è individuabile una inerzia in capo ai Sindaci — i quali hanno
trascritto e conseguentemente motivato il dissenso all’eseguire l’ordine di cancellazione in quanto ritenuto illegittimo — ma altresì poiché non è pensabile una sorta di avocazione del potere di cancellazione.
Questo infatti non verte in capo ai Sindaci i quali non possono né cancellare né alterare dei registri e
pertanto non si comprende come questo stesso potere possa — sulla scorta dell’art. 54 d.lgs. 267/2000 essere esercitato dai Prefetti.
6.3 La riserva di giurisdizione in materia
Non è eludibile il contenuto di cui all’art. 12 del d.P.R. 396/2000 rubricato “modalità di redazione degli
atti” il quale impone che gli atti dello stato civile siano redatti secondo le formule e le modalità stabilite
con decreto del Ministro dell’Interno, in particolare affermando che gli atti dello stato civile sono chiusi
con la firma dell’ufficiale dello stato civile competente. Successivamente alla chiusura gli atti non possono subire variazioni, tanto che, come recita l’art. 453 c.c., nessuna annotazione può essere fatta sopra un
atto già iscritto nei registri se non è disposta per legge ovvero non è ordinata dall’autorità giudiziaria.
Disposizione che trova riscontro nell’art. 95 che apre il titolo XI del d.P.R. 396/2000 “Delle procedure
giudiziali di rettificazione relative agli atti dello stato civile e delle correzioni”. La norma a tal proposito
è cristallina ed è stata di fatto il cardine su cui si sono incentrate le sentenze sia del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio che del Friuli Venezia Giulia con le quali si dichiara l’illegittimità dei
provvedimenti prefettizi. Essa dispone che per procedere alla rettificazione di un atto dello stato civile o
la cancellazione di un atto indebitamente registrato, si deve proporre ricorso al tribunale nel cui circondario si trova l’ufficio dello stato civile presso il quale è registrato l’atto di cui si tratta o presso il quale si
chiede che sia eseguito l’adempimento76. Il passaggio viene sottolineato all’art. 100 del richiamato d.P.R.
ove si afferma che i tribunali della Repubblica sono competenti a disporre le rettificazioni e le correzioni
anche per gli atti dello stato civile ricevuti da autorità straniere, trascritti in Italia ed a provvedere per la
cancellazione di quelli indebitamente trascritti. L’intervento della magistratura, secondo quanto stabilito dall’art. 95 d. P.R. 396/00 è, tra l’altro, una prassi operativa ben nota77 alla amministrazione centrale
in quanto nel Massimario per l’ufficiale di stato civile del Ministero dell’Interno78, compare al par. 15.1.1
a pag. 166: “Cancellazione di un atto. Quando si voglia procedere alla cancellazione di un atto indebitamente registrato negli archivi dello stato civile, considerato che non può esserne effettuata la materiale
cancellazione, la legge prescrive che si faccia ricorso a iniziativa del pubblico ministero (eventualmente
su segnalazione dello stesso ufficiale di stato civile) alla procedura di rettificazione di cui agli artt. 95
e 96 del DPR 396/2000 rimettendo la competenza a decidere esclusivamente all’autorità giudiziaria. Il
relativo decreto deve essere opportunamente annotato sui registri dello stato civile”. Il solo potere conferito all’ufficiale di stato civile in relazione ai registri è infatti quello di aggiornare gli stessi e correggere
gli errori materiali ivi contenuti79. Quello che certamente non viene conferito in alcun modo dalla legge è
invalidare i registri attraverso un intervento ex post non autorizzato dalla autorità giudiziaria ordinaria.
In altri termini non compare in alcun modo un potere costituito in capo al Ministro, al Prefetto o a qualsiasi altro ufficiale di stato civile di intervenire sopra i registri, manomettendone quindi la autenticità,
attraverso delle operazioni di creatività amministrativa, ex plurimis negata dall’art. 69 comma 1 lett. E
del d. P.R. 396/2000 ove si legge che negli atti di matrimonio si fa annotazione delle sentenze con le quali
si pronuncia l’annullamento della trascrizione dell’atto di matrimonio. Sentenze per l’appunto e non atti
76 Art. 95 d. P. R. 396/2000: “1. Chi intende promuovere la rettificazione di un atto dello stato civile o la ricostituzione di un atto
distrutto o smarrito o la formazione di un atto omesso o la cancellazione di un atto indebitamente registrato, o intende opporsi a un rifiuto dell’ufficiale dello stato civile di ricevere in tutto o in parte una dichiarazione o di eseguire una trascrizione,
una annotazione o altro adempimento, deve proporre ricorso al tribunale nel cui circondario si trova l’ufficio dello stato civile
presso il quale è registrato l’atto di cui si tratta o presso il quale si chiede che sia eseguito l’adempimento. 2. Il procuratore
della Repubblica può in ogni tempo promuovere il procedimento di cui al comma 1”.
77 http://www.retelenford.it/761-esposto-alla-procura-di-udine-a-seguito-della-cancellazione-del-matrimonio-same-sex-trascritto.html
78 Consultabile
le_2012_0.pdf
all’indirizzo:
http://servizidemografici.interno.it/sites/default/files/Massimario-Ufficiale-Stato-Civi-
79 Cfr. art. 5 comma 1 lett. A) e art. 98 del richiamato d.P.R. 396/2000
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amministrativi del Prefetto o del Ministro dell’Interno. In altre parole non appare appiglio creativo di
sorta in capo agli organi ministeriali80.
Superfluo a questo punto è il richiamo operato dalla circolare all’art. 21-nonies della l. 241/90.
Questo per due motivi: in primo luogo, perché le norme di legge sopra citate circoscrivono con precisione e accuratezza il procedimento attraverso il quale si può giungere ad una modifica, cancellazione,
rettificazione di quanto trascritto in relazione al peculiare atto di cui stiamo trattando. In secondo luogo
perché l’articolo 21 nonies fa espresso riferimento al “provvedimento amministrativo”. Nel caso di specie le trascrizioni nel registro dei matrimoni non sono provvedimenti amministrativi bensì atti pubblici
formali81 con effetto dichiarativo e di certificazione82, in quanto la trascrizione del matrimonio non ha
“natura costitutiva ma meramente certificativa e di pubblicità”83.
Si giunge ad un primo punto fermo, riassunto così dal Tribunale Amministrativo Regionale Lombardia: “Dalle disposizioni normative sopra menzionate si ricava con evidenza che, una volta effettuata
la trascrizione nei registri dello stato civile — peraltro riservata soltanto all’ufficiale dello stato civile
(cfr. art. 95, comma 1, D.P.R. n. 396 cit.) —, non è possibile procedere a modifiche o rettifiche, se non per
ordine dell’autorità giudiziaria ordinaria, tranne nel caso di correzione di errori materiali o di aggiornamento dei dati, per cui è previsto l’intervento dell’ufficiale dello stato civile (cfr. artt. 5 e 98 del D.P.R.
n. 396 cit.)84”.
Dall’analisi sin qui svolta prende le mosse un possibile diverso esito rispetto a quello postulato dal
Consiglio di Stato, cioè che la cancellazione delle trascrizioni dei matrimoni same-sex contratti all’estero,
operata dei commissari ad acta nominati dai prefetti che ottemperavano all’ordine impartito dalla circolare ministeriale, possa assumere rilevanza penale.
Tre, in particolare, i passaggi da esaminare: riguardo al registro pubblico; riguardo all’esercizio di
un potere; riguardo ad una possibile scriminante.
6.4 L’alterazione del vero
L’art. 12 comma 6 D.P.R. 396/2001 prevede che “Gli atti dello stato civile sono chiusi con la firma dell’ufficiale dello stato civile competente. Successivamente alla chiusura gli atti non possono subire variazioni”. Come richiamato, unicamente un intervento da parte della autorità giudiziaria può disporre in
materia85.
L’attività posta in essere dai commissari ad acta si configura così come una modificazione fisico
materiale della dichiarazione autentica e genuina dopo la sua definitiva formazione86. E’ necessario
soffermarsi quindi sulla natura di quanto si assume essere stato alterato87. Mentre nel diritto extrape-
80 In tal senso anche in dottrina ove unanime è l’affermazione per la quale detta competenza è unicamente in capo all’autorità
giudiziaria, cfr. D. Angelozzi, Stato civile, in Codice della famiglia, M. Sesta (a cura di), Milano, Giuffrè 2009, Tomo II, pag. 4072;
A. Zaccaria, M. Faccioli, R. Omodei Salè, M. Tescaro, Commentario all’Ordinamento dello stato civile, Rimini, Maggioli 2013, pag.
418; D. Berloco e R. Calvigioni, Manuale pratico per l’Ufficiale di stato civile, Rimini, Maggioli 2012, pag. 28; A. Quarta, Esame
dell’art. 12, in Lo stato civile, A. Quarta e L. Olivieri, Milano, Giuffrè 2001, pag. 94.
81 Cfr. in tal senso art. 451 c.c.
82 In dottrina, ex plurimis, B. Meoli, Della registrazione relativa agli atti di matrimonio, in P. Stanzione (a cura di), Il nuovo ordinamento dello stato civile, Milano, Giuffrè 2001, pag. 257; N. A. Cimmino, Art. 450, in Commentario al codice civile, P. Cendon (a cura
di). Milano, Giuffrè 2009, vol. IV, pag. 1354; I. Cevasco, art. 450, in Commentario al codice civile, G. Alpa e V. Mariconda (a cura
di), Roma, Wolter Kluwers, 2013, Tomo I, pag. 1511) quanto alla giurisprudenza di Cassazione si veda Corte di cassazione,
sentenza del 15 marzo 2012, n. 4184.
83 Cosi come è la stessa circolare Alfano ad indicare.
84 Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia (Sezione Terza), sentenza del 9 luglio 2015 depositata 29 settembre
2015.
85 Come nel caso di cui al decreto del Tribunale di Pesaro, 14 ottobre 2014, depositato in dato 21 ottobre 2014, cronologico 13064,
in Articolo29, www.articolo29.it, il quale dispone in relazione al ricorso presentato dal Procuratore della Repubblica presso
il Tribunale di Pesaro avverso le trascrizioni relative ad un matrimonio tra persone dello stesso sesso contratto all’estero. In
questo caso il Tribunale viene attivato per impulso del Procuratore della Repubblica e non di un soggetto terzo non ricompreso nel dettato normativo.
86 Trattato teorico pratico di diritto penale – Reati contro la fede pubblica, M. Pelissero e R. Bartoli (a cura di), Torino, Giappichelli,
2011, p. 201.
87 Nei procedimenti innanzi ai Tribunali Amministrativi Regionali del Friuli Venezia Giulia, Lazio, Toscana, Lombardia i ricorsi
sono stati presentati dalla associazione Rete Lenford la quale efficacemente ha identificato — secondo una teoria che si ritiene
corretta e qui si sposa — la natura delle trascrizioni quali atti pubblici formali con effetto dichiarativo. Contra si colloca il
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nale la nozione di atto pubblico è unica e coincide con quella di atto pubblico fidefacente, in ambito
penalistico si ha una nozione di atto pubblico in senso lato all’interno della quale si devono distinguere
due diverse tipologie: l’atto pubblico fidefacente ed il mero atto pubblico88. Proprio con riferimento a
quest’ultima figura sorgono dei problemi rispetto alla sua differenziazione dal certificato, qualificazione
richiamata dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio. Rispetto all’atto pubblico fidefacente, la
stessa attività di documentazione, è esercizio di una funzione pubblica (certificativa), mentre negli altri
atti provenienti dai pubblici ufficiali l’attività di documentazione è strumentale, collegata all’esercizio di
una determinata funzione pubblica. Si è però andata affermando l’idea che si debba fare riferimento alla
novità o riproduzione degli effetti, di modo che se si tratta di atti che costituiscono diritti ed obblighi o
comunque producono effetti nuovi prima inesistenti, offrendo un contributo di conoscenza all’interno
del procedimento amministrativo, tali documenti si devono qualificare come pubblici; se invece si tratta
di atti che non producono effetti costitutivi, né producono effetti nuovi, né aggiungono informazioni
e quindi nella sostanza riproducono quanto già esiste, allora si tratta di certificati89. In relazione alle
trascrizioni, l’ufficiale di stato civile è tenuto alla verifica che il matrimonio sia conforme alle leggi del
luogo in cui è stato celebrato e che non sia contrario all’ordine pubblico (art. 16 e 18, d.p.r. n. 396 del
2000) ed inoltre la trascrivibilità è condizionata al possesso della capacità matrimoniale. Si tratta quindi
di una attività che richiede un accertamento preciso da parte del pubblico ufficiale redigente e pertanto
ci troviamo di fronte ad un atto pubblico e non ad un certificato. Ancor più precisamente l’art. 451 c.c.
attesta che gli atti di stato civile fanno prova fino a querela di falso e tale efficacia si estende a quegli atti
formati all’estero e trascritti nei registri dello stato civile90. Tale norma, in combinato disposto con quanto previsto sub art. 2699 c.c. fa si che possa essere pacifica l’identificazione dell’atto pubblico fidefacente
con quanto individuato nelle norme civili richiamate.
I commissari ad acta pertanto, operando su un registro perfettamente formato, hanno creato una
immutatio veri. Siamo di fronte cioè ad una alterazione, intesa come modificazione fisico materiale della
dichiarazione autentica e genuina dopo la sua definitiva formazione. Profilo quest’ultimo tutt’altro che
secondario in quanto il momento da cui il documento può dirsi regolarmente formato comporta ricadute sulla problematica della correzione di errori e del delitto tentato. Se infatti il documento non si è
ancora formato non si avrà correzione e quindi la modifica apportata risulterà penalmente irrilevante,
inoltre fino alla regolare formazione dello stesso non sarà neppure configurabile il tentativo; mentre, di
contro, se il documento è già formato rileverà il problema della correzione. Nel caso di specie, di contro,
la sola correzione ammessa sui registri di stato civile ad opera dell’ufficiale di stato civile, come ben
individuato dall’art. 98 del d. P.R. 396/2000 è quella afferente le correzioni di errori materiali, ipotesi
questa ben diversa da quella che stiamo trattando.
Esiste in relazione alla condotta di alterazione di cui all’art. 476 c.p. una specificazione ulteriore.
Questa riguarda il rapporto tra atto e pubblico ufficiale. Va cioè considerato in che rapporto si pone il
soggetto attivo di reato rispetto alla formazione dell’atto. Si deve in altre parole considerare se il commissario ad acta procedente per nomina del Prefetto agisca nell’esercizio delle sue funzioni o diversamente si trovi in una situazione di vera e propria incompetenza assoluta. La risposta fornisce delle
coordinate codicistiche diverse: nel primo caso il soggetto sarà punito ai sensi e per gli effetti dell’art.
476 mentre nel secondo caso opererà l’art. 482 in combinato disposto con l’art. 476 c.p. Come chiarito
né il Ministro, né il Prefetto, né il Sindaco hanno poteri di alterazione rispetto al registro di stato civile
Tribunale amministrativo regionale Lazio nella sentenza 12 febbraio – 9 marzo 2015 n. 3907, il quale afferma che “è condivisibile l’orientamento secondo il quale la trascrizione nel registro dell’atto di matrimonio deve intendersi quale atto avente
natura amministrativa e non un mero atto pubblico formale con effetto dichiarativo e di certificazione sottratto alla disciplina
pubblicistica. Come correttamente osservato dall’amministrazione resistente infatti costituiscono atti amministrativi gli atti
giuridici di diritto pubblico compiuti dai soggetti attivi della pubblica amministrazione nell’esercizio di una potestà amministrativa. Tra tali atti, che possono concretizzarsi in atti di accertamento consistenti nella constatazione obiettiva di fatti o
situazioni, rientrano i certificati che integrano dichiarazioni di conoscenza di qualità personali di un soggetto o della titolarità
di status, capacità o diritti o dell’esistenza di rapporti giuridici”.
88 Trattato teorico pratico di diritto penale – Reati contro la fede pubblica, cit. p. 134.
89 Posizione che si ricava dalla elaborazione giurisprudenziale presente in Cassazione penale, sentenza del 14 marzo 2000. In
tal senso il Collegio afferma che per aversi certificato devono concorre due condizioni: che l’atto non attesti risultati di un
accertamento compiuto dal pubblico ufficiale redigente ma riproduca attestazioni già documentate; che l’atto pur quando
riproduca attestazioni desunte da altri atti già documentati non abbia una propria distinta e autonoma efficacia giuridica ma
si limiti a riprodurre anche gli effetti dell’atto preesistente. Conformi: Cassazione penale, sentenza del 24 gennaio 2007 n.
15773; Cassazione penale, sentenza del 26 settembre 2006 n. 35788.
90 Cassazione civile, sentenza del 7 giugno 1993 n. 6363.
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Focus: La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di giustizia
Luca Morassutto
in quanto esiste una “espressa e inderogabile garanzia giurisdizionale”91. Ciò postulerebbe quindi una
incompetenza assoluta del Prefetto e del Commissario ad acta incaricato della cancellazione, con la conseguenza che opererebbe il combinato disposto di cui agli artt. 482 e 476 c.p. Di contro la giurisprudenza
ha esteso il concetto di esercizio delle funzioni di pubblico ufficiale oltre l’aspetto della mera competenza funzionale potenziale ad adottare l’atto92. Si è infatti qualificata come falsità in atto pubblico l’alterazione non solo di atti di cui il pubblico ufficiale è pervenuto in possesso in ragioni del suo ufficio93 ma
anche qualora il soggetto eserciti attività di direzione e di controllo nei confronti di chi abbia l’incarico a
formare l’atto94. Poiché l’art. 9 del d.P.R. 396/2000 conferisce al Ministro il potere di indirizzo ed al Prefetto il potere di vigilanza, possiamo affermare che entrambe le figure si inseriscono — potenzialmente
— nell’iter vitae del documento.
Le considerazioni sin qui avanzate sulla natura del documento ed il rapporto tra soggetto agente
e atto pubblico alterato portano quindi ad ipotizzare una condotta materiale identificata al comma 2
dell’art. 476 c.p.
La motivazione sottesa nella circolare Alfano, ossia che la “fondamentale funzione di stato civile,
esercitata, in ambito territoriale, dal Sindaco nella veste di ufficiale di Governo, sia svolta in piena coerenza con le norme attualmente vigenti che regolano la materia”, non può essere posta a fondamento
giustificativo della condotta del Prefetto in quanto “le modifiche o le aggiunte all’atto, dopo che è stato
regolarmente e definitivamente formato, integrano un falso punibile anche quando il soggetto abbia
agito per stabilire la verità effettuale del documento”95. Ciò appare di per sé logico in quanto l’alterazione — al di là dell’ipotesi di correzione di meri errori materiali, espressamente contemplata in una norma
ad hoc del d. P.R. 396/00 — anche se compiuta nel senso della verità e quindi altresì “la soppressione di
una dichiarazione contenuta in un documento, la sostituzione di una diversa dichiarazione a quella preesistente,
l’aggiunta di una nuova dichiarazione anche se conforme a verità”96, determinano pur sempre una modificazione della realtà documentale in quanto, per effetto dell’aggiunta postuma, l’atto viene a rappresentare
e documentare fatti diversi da quelli che rappresentava e documentava nel suo tenore originario.
Va compiuta in verità una ulteriore riflessione, tanto più obbligata a seguito dell’intervento del
Consiglio di Stato che qualifica l’atto come inesistente. Si potrebbe obiettare che la condotta specifica
di cui stiamo discorrendo sia penalmente irrilevante in quanto la trascrizione del matrimonio same-sex
appare essere nulla. Questa obiezione di contro è fallace. La legge penale infatti tutela il documento non
per il suo contenuto, quanto per la sua attitudine probatoria. Ecco quindi che l’invalidità del rapporto
giuridico rappresentato nell’atto non esclude in alcun modo il delitto di falso previsto sub art. 476 c.p.
Altra cosa sarebbe se il documento alterato fosse insuscettibile di protezione penale, ipotesi che si verificherebbe al difettare di uno dei requisiti formali essenziali richiesti dalla legge per il raggiungimento
del suo scopo e non che l’atto al momento della falsificazione possa ritenersi valido per istituire o provare un rapporto. Si tratta cioè di muoversi all’interno delle categorie della invalidità o della inesistenza
dell’atto. La norma in altre parole non tutela l’atto per la sua validità intrinseca ma per la sua funzione
attestativa che è propriamente quella della annotazione nel registro di stato civile. E che di inesistenza
non si possa parlare lo si ricava altresì da Cassazione civile 15 marzo 2012 n. 4184 e dalla nota sentenza
Schalk e Kopf c. Austria emessa dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo del 24 giugno 2010, nella lettura
quindi di fonte interposta97.
91 M. M. Winkler, La guerra delle trascrizioni tra attivismo sindacale e silenzio del Parlamento: il decreto di Pesaro, in www.quotidianogiuridico.it, novembre 2014
92 Trattato teorico pratico di diritto penale – Reati contro la fede pubblica, cit. p. 196.
93 Cfr. Cassazione penale, sentenza del 30 aprile 1996 in CED rv 205132 e conforme Cassazione penale, sentenza del 14 giugno
2005 in CED 233036.
94 Cassazione penale, sentenza del 18 marzo 1998.
95 Cassazione penale, sentenza n. 23327 del 2004.
96 Cfr. Cassazione penale, sentenza n. 7990 del 2000.
97 Per i riferimenti sia alla sentenza della Corte di cassazione 4184/2012 che per la sentenza Schalk e Kopf c Austria si rimanda a
Articolo29, www.articolo29.it.
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6.4.1. La lesione di una prerogativa
Si è detto in precedenza che l’art. 95 del d.P.R. 396/2000 prevede una riserva di giurisdizione per quanto
riguarda la procedura di rettificazione di un atto dello stato civile. Posizione che i Tribunali amministrativi regionali intervenuti hanno sostenuto98: “in altre parole la Circolare del Ministro Alfano prima e
l’intervento del Prefetto poi non appaiono corretti sotto il profilo giuridico perché vanno a ledere prerogative e compiti propri della Procura della Repubblica ex art. 75 ordinamento giudiziario”99; “dal tenore
dell’insieme di tali disposizioni si evince che il sistema dello stato civile prevede puntuali possibilità
di intervento sui registri dello stato civile, tra cui non è compresa quella posta in essere dal Prefetto di
Roma”100; “in sostanza, dalle norme richiamate si evince che un intervento, quale quello posto in essere
nel caso di specie, compete solo all’Autorità giudiziaria ordinaria”101; “le disposizioni di legge e regolamenti in rassegna non contemplano il potere dell’ufficiale dello stato civile di intervenire in autotutela
a rimuovere o modificare i propri atti”102; “in materia di stato delle persone non può ammettersi un
intervento atipico dell’autorità amministrativa, ma si deve affidare ad un organo indipendente la sua
definitiva conformazione”103. Di contro non appare configurabile quanto sub art. 347 c.p. Secondo un
consolidato indirizzo esegetico, la previsione legislativa di cui all’art. 347 c.p., presidia l’interesse dello
Stato ad assicurare agli organi competenti l’esclusivo potere di disporre della titolarità dell’esercizio delle pubbliche funzioni e dei pubblici servizi104. Nel caso che ci riguarda, coinvolto non è solo l’interesse al
buon andamento, imparzialità, regolare funzionamento dell’amministrazione ma anche la struttura organizzativa105 dell’amministrazione in quanto lo Stato vede un soggetto sfornito di investitura arrogarsi
dei compiti che non gli sono propri scompaginando così, alle sue radici, la funzione stessa dell’amministrare in nome e per conto dello Stato106. L’art. 95 del d. P.R. 396/2000 pone in capo al giudice ordinario
il compito di procedere attraverso sentenza da annotarsi nei registri di stato civile alla rettificazione
dello status personae. Il giudice ordinario per l’appunto e non altre figure dell’ordinamento. Tale potere
in capo al Prefetto non può trovare fondamento in quello che è stato individuato come l’atto attributivo del potere stesso, ossia la circolare Alfano, in quanto il Ministro in primis non è individuato come
organo competente. In altre parole, prendendo in prestito la nota massima civilistica, potremmo altresì
dire che nemo plus iuris in alium transferre potest quam ipse habet. La delimitazione dello spazio applicativo
della norma non può non tenere conto del fatto che a svolgere la condotta usurpatrice è, di fatto, un
pubblico ufficiale. Appare in questo senso dirimente l’analisi compiuta in relazione al richiamato art. 95
del d. P.R. 396/2000 in quanto ai fini dell’applicazione dell’art. 347 c.p. è necessario che venga compiuta
una attività propria di una funzione del tutto estranea alla sfera delle attribuzioni del pubblico ufficiale
agente107. Si richiede in altre parole una incompetenza assoluta in capo al pubblico ufficiale e non solo lo
straripamento di potere (che configurerebbe al più un abuso di ufficio).
Se l’elemento oggettivo del reato è così ipotizzabile ben più delicata è la riflessione attorno all’elemento soggettivo che parrebbe invece escluderne l’applicazione. Il dolo richiesto è sì generico ma l’impossessamento delle funzioni, come noto, deve avvenire arbitrariamente. In altre parole non può mancare in capo al soggetto agente la consapevolezza dell’insussistenza di condizioni legittimanti l’esercizio
98 Contra Tribunale amministrativo regionale, Veneto, Sez. I, sentenza 29 luglio 2015 n. 878, in Articolo29, www.articolo29.it.
99 In tal senso la Procura della Repubblica di Udine con riferimento all’esposto presentato dalla associazione Rete Lenford:
http://www.retelenford.it/774-la-procura-di-udine-d%C3%A0-ragione-a-rete-lenford-e-riconosce-che-il-Prefetto-nonpu%C3%B2-cancellare-le-trascrizioni.html.
100 Così Tribunale amministrativo regionale, Lazio sez. I – ter, sentenza 12 febbraio – 9 maro 2015, n. 3907, in Articolo29, www.
articolo29.it.
101 Si veda Tribunale amministrativo regionale, Friuli Venezia Giulia, sez. I, 21 maggio 2015 n. 228, in Articolo29, www.articolo29.
it.
102 Tribunale amministrativo regionale, Toscana, sez. I, 25 settembre 2015 n. 1291, in Articolo29, www.articolo29.it.
103 Tribunale amministrativo regionale, Lombardia, sez. III, sentenza 29 settembre 2015, n. 2037, in Articolo29, www.articolo29.it.
104In Codice penale commentato, E. Dolcini e G. Marinucci (a cura di) 2^ ed. Milano, Ipsoa, 2006, volume 1: Artt. 1-384bis p. 238.
105 D. Minardi, sub art. 347 c.p. in Trattato di Diritto Penale - Parte Generale e Speciale - Riforme 2008-2015, A. Cadoppi, S. Canestrari,
A. Manna, M. Papa (a cura di), II, Torino, UTET, 2015, p. 719
106 A. Pagliaro, Usurpazione di funzioni pubbliche (voce), in Enciclopedia del diritto XLV Milano, Giuffrè, 1992, pp. 414 ss.
107 Cassazione penale, sezione VI, sentenza del12 novembre 2001 n. 45265.
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Focus: La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di giustizia
Luca Morassutto
di potere108. Arbitrarietà che, per di più, la dottrina ritiene sia un requisito implicito nella nozione stessa
di usurpazione tanto che si escluderebbe la sussistenza del reato allorché il titolo di nomina esistesse ma
fosse illegittimo109.
6.4.2. Collisioni di doveri110
Incombe, nell’economia di questa riflessione, un’ultima considerazione che richiama il postulato della
coerenza o non contraddizione dell’ordinamento giuridico111. Le azioni del Prefetto trovano ragione
nell’esecuzione di un ordine proveniente dal Ministro dell’Interno. Inevitabile quindi verificare se, nel
caso di specie, possa trovare applicazione la scriminante dell’adempimento del dovere derivante da un
ordine dell’Autorità. In altre parole incombeva sul Prefetto il dovere di interrogarsi se l’ordine ricevuto
fosse legittimo sia da un punto di vista formale112 (in particolare la competenza del superiore gerarchico ad emanare l’ordine e quella del subordinato ad eseguirlo) sia sotto profili sostanziali: ossia se il
Ministro poteva imporre ai prefetti, soggetti gerarchicamente sottordinati, determinati comportamenti
astrattamente configurabili come reato113. Secondo la ricostruzione proposta l’ordine proveniente dal
Ministro deve, per le ragioni più sopra esplicitate, configurarsi come illegittimo e pertanto dei possibili
reati — in specie del reato di cui all’art. 476 comma 2 c.p. — risponde non solo il superiore gerarchico che
ha istigato alla commissione ma anche l’esecutore. Gioco forza l’attenzione del giurista viene catalizzata
dall’art. 51 comma 3, ipotizzando che il subordinato stava eseguendo, a suo dire, un ordine legittimo,
aspetto questo che escluderebbe il dolo. Ne discende che si realizzerebbe un errore scusabile di interpretazione delle norme che disciplinano i poteri del soggetto che ha impartito l’ordine114. Eppure, a ben
vedere, nella storia della Repubblica non sono rinvenibili casi di un intervento diretto dei Prefetti, volti
alla cancellazione, sui registri di stato civile degli status dei cittadini Aspetto che avrebbe dovuto indurre, unitamente alle numerose diffide inviate nonché all’esplicito contenuto del Massimario per l’ufficiale
di stato civile emanato dallo stesso Ministero ad un sindacato circa il rispetto dei requisiti formali e
sostanziali ben più approfondito. La pronta ed incondizionata obbedienza che risiede nella presunzione
di legittimità accordata dall’ordinamento ai comandi espressi dai superiori gerarchici115 doveva trovare
infine, da parte dei prefetti intervenuti successivamente all’intervento della Procura di Udine116 una
smentita con un contestuale travolgimento del dovere di obbedienza. C’erano elementi sufficienti per
far nascere nei Prefetti (segnatamente quelli intervenuti con cancellazione successivamente al rappresentante dell’Esecutivo presso la provincia di Udine) il dubbio che la circolare fosse contra legem. Il dolo
richiesto — e qua si fa riferimento all’ipotesi contemplata dall’art. 476 c.p. — si esaurisce nella coscienza
e volontà dell’immutazione del vero117 e la giurisprudenza ricorda come questo vada sempre rigorosamente provato escludendolo tutte le volte in cui risulti essere dovuto a una leggerezza o negligenza non
essendo prevista la figura del falso documentale colposo e dovendosi escludere il dolo in re ipsa nel delitto di falso in atto pubblico118. Indubbiamente, nel reato de quo, il dolo non si presenta in forma eventuale, figura tipica dei reati di evento, di contro può essere recuperata la riflessione fatta dalle Sezioni
108 L’eventuale errore — e nel caso de quo non si può non considerare l’errore di fatto o su legge extrapenale — escluderebbe il
dolo ex art. 47 commi 1 e 3 c.p.
109 Cfr. A. Pagliaro, cit, p. 414 e M. Cassano, sub art. 347, in G. Lattanzi E. Lupo, Codice Penale, Rassegna di giurisprudenza e di
dottrina, Vol VII. In questo caso il titolo illegittimo è rappresentato dalla Circolare Alfano.
110 A. Baratta, Antinomie giuridiche e conflitti di coscienza, Milano, Giuffrè, 1963, p. 115.
111 Codice penale commentato volume 1: Artt. 1-384bis., E. Dolcini, G. Marinucci (a cura di) Milanofiori Assago, Ipsoa 2006, 2. Ed.
- sub art. 51 F. Viganò, p. 536.
112 Sul cui sindacato la dottrina ritiene che non vi siano ostacoli, come ricorda G. De Vero, La legge penale, il reato, il reo, la persona
offesa, Torino, Giappichelli, 2010, p. 355.
113 C.F. Grosso. M. Pelissero, D. Petrini, P. Pisa, Manuale di diritto penale, parte generale, Milano, Giuffrè, 2013, p. 296.
114 C.F. Grosso. M. Pelissero, D. Petrini, P. Pisa, cit., p. 297.
115 G. De Vero, La legge penale, il reato, il reo, la persona offesa, Torino, Giappichelli, 2010, p. 356.
116 i cui contenuti erano stati resi pubblici direttamente dalla Associazione Rete Lenford in http://www.retelenford.it
117 In tal senso la giurisprudenza prevalente: si veda quanto richiamato in G. De Amicis, Codice Penale, Rassegna di giurisprudenza
e di dottrina, G. Lattanzi, E. Lupo (a cura di), Milano, Giuffrè, 2010, p. 264.
118 Cfr. Cassazione penale, sentenza del 21 febbraio 2000 n. 1963.
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Focus: La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di giustizia
Luca Morassutto
Unite nel 2009 nella nota sentenza Nocera119 dove si afferma che il dolo eventuale è figura di costruzione
giurisprudenziale e dottrinale e non vi è ragione di ritenere che debba riferirsi unicamente al solo evento
del reato e che l’atteggiamento psicologico nel quale la si fa consistere possa riguardare anche i presupposti. E’ per l’appunto sul presupposto del potere in capo al Ministro che i prefetti dovevano rivolgere
una attenta riflessione. C’erano ragioni sufficienti per ritenere fondata l’opportunità di non eseguire
l’ordine illegittimo. Come ricordato infatti vi erano state intimazioni da parte della Associazione Rete
Lenford rivolte ai massimi vertici dello Stato, dichiarazioni dei Sindaci coinvolti i quali evidenziavano
come la circolare fosse illegittima; una normativa interna, ad uso e consumo proprio degli ufficiali di
stato civile emessa direttamente dal Ministero dell’Interno, assolutamente chiara, che evidenziava come
solo la magistratura ordinaria fosse titolata a disporre una eventuale cancellazione (tacendo di tutte
quelle norme che evidenziavano poi tale competenza); per arrivare addirittura ad un provvedimento di
un pubblico ministero — noto agli organi di stampa120 — il quale definiva la circolare nei termini sopra
richiamati. Vi erano in altre parole sufficienti ragioni per indurre i Prefetti ad un vaglio sulla eventualità
che tale circolare fosse illegittima suggerendo un più prudente atteggiamento di astensione dal porre in
essere una condotta modificativa dei registri di stato civile”.
119 Cassazione penale Sezioni Unite, sentenza del 26 novembre 2009 n. 12433 in Diritto penale contemporaneo www.penalecontempoeraneo.it 2010.
120 E appare difficile passare sotto silenzio quanto apparso sugli organi di stampa e in particolare quanto dichiarato da Franco
Bechis nel suo articolo pubblicato su Libero il 29 ottobre 2014 ove si legge che ad Alfano era stato suggerito dai suoi consulenti
politici che “se non vuoi sparire del tutto, mettiti al centro delle battaglie a difesa della famiglia tradizionale. Lì non presidia
più nessuno, nemmeno la Chiesa. Battiti contro i matrimoni gay, le unioni civili, le adozioni a coppie dello stesso sesso. Fai il
difensore dei valori tradizionali come aveva fatto la chiesa fino a papa Ratzinger. Secondo noi quel terreno in politica ha uno
spazio che vale almeno il sei per cento. Occupalo prima di avere concorrenti” (cfr http://www.liberoquotidiano.it/news/
politica/11713912/I-consulenti-ad-Alfano--Se.html).
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Focus: La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di giustizia
Silvia Marino
Silvia Marino*
La trascrizione degli atti di stato civile: quale futuro
per i matrimoni contratti all’estero fra persone
dello stesso sesso nell’ambito dell’Unione europea?
Sommario
1. Introduzione – 2. La trascrizione degli atti di matrimonio same-sex in Italia: punto di arrivo o punto
di partenza? – 3. Stimoli provenienti dall’Unione europea: il futuro regolamento sulla trascrizione degli
atti di stato civile – 4. (segue) il principio del mutuo riconoscimento come strumento per la circolazione
degli status personali – 5. (segue) …e i suoi limiti? – 6. Conclusioni: la necessità di un intervento legislativo e plausibili soluzioni
Abstract
Da qualche anno in Italia la lotta per il riconoscimento del matrimonio fra persone dello stesso sesso
si è focalizzata sull’ammissibilità della trascrizione dell’atto di stato civile formato all’estero. La giurisprudenza italiana non esprime un orientamento coerente a seguito delle due note sentenze della Corte
di cassazione del 2012 e del 2015. Il presente lavoro si concentra sul solo problema della trascrizione
dell’atto, valutando se e come il futuro regolamento dell’Unione europea in materia di accettazione
dei documenti pubblici e il principio del mutuo riconoscimento degli status giuridici possano influire
sull’impostazione della giurisprudenza. Nell’attesa degli stimoli provenienti dall’Europa, talune soluzioni parziali possono già essere rinvenute nel nostro ordinamento.
The fight for the recognition of same-sex marriages in Italy has moved in recent years towards the registration of
the public documents on civil status. In this moment, the Italian case law after the Supreme Court (Corte di cassazione) judgments in years 2012 and 2015 doesn’t seem coherent. The present paper addresses the question of the
registration of foreign public documents. The focus is on the effect in our jurisdiction of the future EU Regulation
on acceptance of certain public documents in the European Union and of the principle of mutual recognition of
civil status acquired abroad. In the meantime, some partial solutions can be already found in the Italian rule of law.
1. Introduzione
Il presente contributo intende analizzare la specifica questione della trascrivibilità in Italia dell’atto di
stato civile relativo al matrimonio contratto fra persone dello stesso sesso. Premessi alcuni cenni sulle
note posizioni della giurisprudenza italiana, si intende approfondire se esistono strumenti normativi in
grado di superare il costante diniego di trascrivere i certificati stranieri di matrimonio same-sex nei registri pubblici italiani, con particolare riferimento agli obblighi provenienti dall’Unione europea. Conclusivamente, saranno proposte alcune considerazioni relative alla coerenza stessa del nostro ordinamento,
fornendo una possibile base per un’immediata inversione di tendenza della giurisprudenza.
*
Ricercatore di Diritto dell’Unione europea, Università dell’Insubria. Il contributo viene pubblicato in seguito a referees a doppio cieco.
anno II, numero 2: dicembre 2015 · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · 140
Focus: La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di giustizia
Silvia Marino
La trascrizione di un atto di stato civile si distingue dal riconoscimento del rapporto sottostante,
poiché ha, come noto, effetto di pubblicità dichiarativa, e non costituisce, né introduce nell’ordinamento, lo stato certificato. L’ammissibilità o addirittura l’obbligatorietà della trascrizione non è lo strumento
idoneo per la garanzia della continuità di status della coppia1. Tuttavia, il discorso non è solo diretto a
individuare quali siano gli obblighi dell’ufficiale di stato civile di fronte a un atto pubblico straniero. Infatti, la trascrizione potrebbe avere nell’immediato un significato simbolico per la coppia, che vedrebbe
accettato e rispettato in Italia il rapporto formato all’estero2, e, in una prospettiva futura, costituire un
primo passo per il riconoscimento del matrimonio fra persone dello stesso sesso in quanto tale.
Sebbene idealmente la trascrizione dell’atto e il riconoscimento del rapporto siano due questioni
autonome, la loro netta separazione non è praticamente agevole. È infatti facile ritenere che dalla prima
consegua necessariamente la seconda, come traspare dalla stessa nota sentenza della Corte di cassazione nel 20123: poiché l’istituto è inidoneo a produrre effetti giuridici in Italia (questione relativa al riconoscimento), allora non può essere trascritto.
2. La trascrizione degli atti di matrimonio same-sex in Italia:
punto di arrivo o punto di partenza?
Non essendo l’inidoneità un vizio tipico dei negozi giuridici nel nostro ordinamento4, non sono ancora
chiarite le conseguenze di questa sentenza. La giurisprudenza italiana è incerta: sebbene sia prevalente
la tendenza a negare la possibilità di trascrivere i matrimoni fra persone dello stesso sesso contratti
all’estero, si riscontano importanti eccezioni.
Fra queste ultime rientrano le sentenze del tribunale di Grosseto e della Corte d’appello di Napoli,
che hanno fatto derivare dall’esistenza del matrimonio e dalla sua conformità con l’ordine pubblico interno la trascrivibilità del relativo atto di stato civile5. Le motivazioni contengono altresì valutazioni sul
rispetto dei diritti fondamentali e sulle recenti evoluzioni sociali e della giurisprudenza internazionale.
Nello stesso arco di tempo, tuttavia, il Tribunale di Milano6 ha motivato l’intrascrivibilità sul fondamento del principio di tassatività della trascrizione e dell’inidoneità del matrimonio fra persone dello
stesso sesso a produrre effetti giuridici nell’ordinamento italiano. Ancora qualche mese dopo il Tribunale di Pesaro si è pronunciato nel senso tradizionale dell’impossibilità di trascrizione per inesistenza
dell’istituto7. Più recentemente, il Consiglio di Stato ha fondato l’intrascrivibilità sull’inattitudine del
rapporto a produrre effetti giuridici in Italia8.
1
Per tutti: R. Baratta, La reconnaissance internationale des situations juridiques personnelles et familiales, in Recueil des Cours, 2010, t.
348, pp. 253 ss.
2
A. Bucher, La migration de l’état civil, in A Commitment to Private International Law, Cambridge, Antwerp, Portland, The Permanent Bureau of The Hague Conference on Private International Law (ed.), 2013, p. 111.
3
Corte di cassazione, sentenza del 15 marzo 2012, n. 4184, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2012, p. 747. Per
alcune osservazioni puntali e fondamentali sulla sentenza: M.M. Winkler, I matrimoni same-sex stranieri di fronte alla Cassazione,
in Int’l Lis, 2012, pp. 7 ss.
4
G. Viggiani, Il matrimonio “inidoneo”. Esistenza, validità ed efficacia del matrimonio tra persone dello stesso sesso in Italia, in Diritto e
questioni pubbliche, 2015, p. 146.
5
Tribunale di Grosseto, sentenza del 3 aprile 2014, in questa Rivista, 2014, pp. 253 ss., riformata per motivi attinenti alla notifica
del ricorso da: Corte d’appello di Firenze, sentenza del 23 settembre 2014, in questa Rivista, 2014, p. 255; e quindi, riassunto
il procedimento: Tribunale di Grosseto, decreto del 17 febbraio 2015, in Articolo29, www.articolo29.it, 2015; Corte d’appello
di Napoli, sezione persona e famiglia, sentenza del 13 marzo 2015, in Articolo29, www.articolo29.it, 2015. Il dibattito sulle
decisioni dei giudici toscani è molto vivo in questa Rivista: M. Acierno, Il ruolo delle Corti nella nozione di famiglia e matrimonio,
ibidem, 2014, p. 57; G. Biagioni, La trascrizione dei matrimoni same-sex conclusi all’estero nel recente provvedimento del Tribunale di
Grosseto, ibidem, pp. 196 ss.
6
Tribunale di Milano, decreto del 2 luglio 2014 e decreto del 17 luglio 2014, in Articolo29, www.articolo29.it, 2014. Gli esiti sono
confermati dalla Corte d’appello di Milano, sentenza del 15 marzo 2015 (9 novembre 2015), sebbene in quest’ultima decisione
si rilevi una maggior apertura rispetto ai matrimoni same-sex. Infatti, non sarebbero trascrivibili non in quanto inesistenti o
inidonei, ma perché non conformi alle legislazione ordinaria italiana (pur compatibile con il dettato costituzionale).
7
Tribunale di Pesaro, sentenza del 14 ottobre 2014, in questa Rivista, 2014, pp. 257 ss.
8
Consiglio di Stato, sentenza del 26 ottobre 2015, in Articolo29, www.articolo29.it, 2015.
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Focus: La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di giustizia
Silvia Marino
La confusione è tale per cui si è giunti persino a riconoscere lo status di coniuge ai soli fini del ricongiungimento familiare9. La nostra giurisprudenza quindi ammetterebbe la produzione di certi effetti
del rapporto (fondamentali anche per la politica migratoria italiana), ma non la formale trascrizione
dell’atto pubblico straniero.
In questo contesto, alcuni sindaci, in qualità di ufficiali di stato civile, hanno trascritto certificati
di matrimonio celebrati all’estero, ritenendo di esservi obbligati al fine di tutelare il diritto alla vita
familiare della coppia. Questa prassi ha suscitato l’ostilità del Ministro degli Interni che, nella circolare
del 7 ottobre 2014, ha richiesto ai Prefetti di invitare i sindaci a non trascrivere questi atti, o a cancellare
l’iscrizione o, in caso di inerzia, a procedere all’annullamento d’ufficio. Con sentenza del 2 febbraio 2015
il Tar Lazio10 ha annullato la suddetta nota circolare (e il “decreto di annullamento della trascrizione”
emesso dal Prefetto), poiché il d.p.r. 396/2000 non attribuisce ai Prefetti poteri di indirizzo dell’attività
del sindaco in quanto ufficiale di stato civile, né di interventi diretti sui registri di stato civile. Il Tar non
si limita alla valutazione della correttezza formale degli atti impugnati, ma si pronuncia anche sull’interesse controverso: ne è affermata l’intrascrivibilità per l’inidoneità del rapporto alla produzione di
effetti. Analoghe valutazioni sono contenute nella successiva sentenza del Tar FriuliVenezia Giulia11.
In estrema sintesi, non sarebbero sorti negli ultimi anni nuovi obblighi internazionali che inducano un
mutamento rispetto all’attuale orientamento negativo.
Le giurisdizioni richieste di risolvere questioni attinenti alla mera trascrizione, siano esse ordinarie
o amministrative, compiono quindi valutazioni sul contenuto del rapporto, deducendo dall’inidoneità
di quest’ultimo l’impossibilità di darne pubblicità nei registri anagrafici. La giurisprudenza italiana
ha, da un lato, superato il limite dell’ordine pubblico, previsto anche dall’art. 18 d.p.r. 396/2000 (ed è il
punto di arrivo)12, senza, dall’altro lato, ammettere la trascrizione degli atti di matrimonio, per motivi
attinenti al contenuto del rapporto. Questo è un nuovo punto di partenza: la prossima sfida è costituita
dal tentativo di superamento o almeno di arginamento dell’ostacolo posto dall’inidoneità del rapporto
a produrre effetti.
A tal fine, è opportuno ricordare che, ai sensi degli artt. 17 e seguenti del d.p.r. 396/2000, per l’aggiornamento dei registri pubblici è sufficiente la legalizzazione, laddove prevista e salvo l’ordine pubblico. Il riferimento all’inidoneità, e quindi al contenuto dell’atto consente tuttavia di verificare la tipologia di status certificato e di rifiutare eventualmente la trascrizione nonostante la regolarità formale13
e l’assenza di manifesto contrasto con l’ordine pubblico (art. 16). Lo stesso ragionamento sarebbe possibile, qualora fosse applicabile una delle Convenzioni internazionali di cui è parte l’Italia, con le quali
9
Tribunale di Reggio Emilia, decreto del 23 febbraio 2012, in Foro italiano, 2012, I, 2727; Tribunale di Pescara, ordinanza del 15
gennaio 2013 (18 maggio 2013), in Famiglia e diritto, 2013, pp. 790 ss., su cui: G. Genova, Anche il coniuge dello stesso sesso del
cittadino comunitario ha diritto di stabilirsi in Italia ai sensi del T.U. sulla circolazione e sul soggiorno dei cittadini dell’U.E., in Famiglia
e diritto, 2013, pp. 792 ss.
10 Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione prima-ter, sentenza del 12 febbraio 2015, n. 3907, in Articolo29, www.
articolo29.it, 2015.
11 Il Tribunale amministrativo regionale del Friuli-Venezia Giulia, prima sezione, sentenza del 13 maggio 2015, n. 228, in Articolo29, www.articolo29.it, 2015 si basa a fortiori su una più recente sentenza della Corte di cassazione (Corte di cassazione, prima
sezione civile, sentenza del 30 ottobre 2014, n. 2400, in Articolo29, www.articolo29.it, 2015) a conferma dell’intrascrivibilità
dell’atto di stato civile e dell’impossibilità di procedere alle pubblicazioni matrimoniali in Italia per una coppia dello stesso
sesso.
12 Alcune giurisdizioni hanno fatto anche riferimento agli artt. 65 e 66 della legge 31 maggio 1995, n. 218, sui provvedimenti
stranieri relativi alla capacità delle persone, e ai rapporti di famiglia, e sui provvedimenti di volontaria giurisdizione. Ad
avviso di chi scrive, il richiamo è improprio, poiché l’ambito di applicazione di queste norme non riguarda gli atti amministrativi. Nello stesso senso: A. Davì, Le questioni generali di diritto internazionale privato nel progetto di riforma, in La riforma del
diritto internazionale privato e processuale. Raccolta in ricordo di Edoardo Vitta, G. Gaja (a cura di), Milano, Giuffré, 1994, pp. 45 ss.;
R. Baratta, Scioglimento e invalidità del matrimonio nel diritto internazionale privato, Milano, Giuffré, 2004, p. 104; B. Nascimbene,
Il matrimonio del cittadino italiano all’estero e dello straniero in Italia, in Studi in onore di Vincenzo Starace, vol. II, Napoli, Editoriale
Scientifica, 2008, p. 1540; F. Mosconi, C. Campiglio, Diritto internazionale privato e processuale - Vol. I: Parte generale e obbligazioni,
Torino, UTET, 2015, p. 368. Contra: L. Scaffidi Runchella, Il riconoscimento delle unioni same-sex nel diritto internazionale privato
italiano, Napoli, Jovene, p. 284.
13 Quest’ultima invece andrebbe valutata in base alla legge del luogo dello Stato di formazione dell’atto, in quanto suo paese di
origine. Diverso è il discorso quanto alla forma del matrimonio che, ai sensi dell’art. 28 della l. n. 218/95, deve essere verificata sul fondamento della legge del luogo della celebrazione, o della cittadinanza di uno dei coniugi o della residenza comune
al momento della celebrazione.
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Focus: La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di giustizia
Silvia Marino
viene abolita la legalizzazione14. Il riferimento al tipo di rapporto certificato, infatti, sembra idoneo a
superare qualsiasi possibilità di facilitazione formale nella trascrizione del documento.
Deve tuttavia essere rilevato che lo stesso problema sussiste in altri ordinamenti. Laddove non sia
possibile riconoscere sic et simpliciter il matrimonio fra persone dello stesso sesso, le posizioni delle giurisdizioni nazionali sono prevalentemente due: o ne viene negato qualsiasi effetto, sulla base o dell’ordine pubblico, o dell’inesistenza dell’istituto nell’ordinamento15; oppure il matrimonio viene convertito in
un’unione registrata, come accade in Germania, Svizzera, Finlandia e accadeva nel Regno Unito prima
dell’introduzione dei matrimonio gender neutral16.
3. Stimoli provenienti dall’Unione europea: il futuro regolamento
sulla trascrizione degli atti di stato civile
In questo complesso quadro si inserirà il futuro regolamento dell’Unione europea sull’accettazione di
alcuni documenti pubblici17. La proposta è attualmente in discussione, ma le modifiche apportate dal
Consiglio nel giugno 2015 sembrano averne definito il contenuto.
L’obiettivo è dato dalla semplificazione dell’accettazione dei documenti di stato civile formati e certificati in uno Stato membro. Fondamentale, ad avviso di chi scrive, è il chiarimento stabilito nell’art. 2,
par. 2 della proposta, per cui la nuova disciplina non avrà ad oggetto il mutuo riconoscimento di status
acquisiti o costituiti all’estero18. Nell’ambito di applicazione del futuro regolamento rientrano i documenti pubblici relativi al matrimonio. La novità è costituita dall’esenzione di qualsiasi legalizzazione o
14 Sia sufficiente ricordare la Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961 sull’abolizione della legalizzazione per gli atti pubblici
stranieri, e la Convenzione del 25 maggio 1987 che abolisce la legalizzazione dei documenti negli Stati membri dell’Unione
europea, in vigore tuttavia in soli sette paesi. Lo strumento della postilla è stato di recente informatizzato: http://www.hcch.
net/index_fr.php?act=publications.details&pid=4945&dtid=49. In proposito: C. Bermasconi, The Electronic Apostille Program
(e-APP): Bringing the Apostille Convention in the Electronical Era, in Entre Brusela y la Haya: Liber Amicorum Alegrí Borrás, J. Forner, C. González, R. Viñs (a cura di), Madrid, Marcial Pons, 2013, p. 199. Per una recente analisi delle Convenzioni sulla facilitazione della circolazione degli atti di stato civile: C. Azcárraga Monzonís, New Developments in the Scope of the Circulation of
Public Documents in the European Union, in Zeitschrift für Zivilprozess international: Jahrbuch des internationalen Zivilprozessrechts,
2013, pp. 245 ss.
15 B. Tobin, Recognition of Canadian Same-sex Marriage: “Zappone and Gilligan v Revenue Commissioners and Others”, in Irish Human
Rights Law Review, 2010, pp. 217 ss.; C. O’Mahony , Principled Expediency: How the Irish Courts can compromise on Same-Sex
Marriage, in Dublin University Law Journal, 2012, pp. 199 ss.; P.A. Cornejo Aguilera, Matrimonios entre personas del mismo sexo
celebrados en el extranjero y sus efectos jurídicos en Chile. Análisis crítico del artículo 80 de la Ley de Matrimonio Civil, in Revista
Tribuna Internacional, 2013, pp. 9 ss. In Irlanda le difficoltà saranno con ogni probabilità superate a seguito del referendum
del maggio 2015, in cui il 62% dei votanti si è espresso a favore dell’introduzione del matrimonio fra persone dello stesso
sesso nell’ordinamento (http://www.irishtimes.com/news/politics/ireland-becomes-first-country-to-approve-same-sexmarriage-by-popular-vote-1.2223646). Il netto esito referendario non potrà che stimolare gli organi legislativi a una pronta
approvazione di una legge disciplinante l’istituto, alla quale non potrà che conseguire, logicamente (e giuridicamente sulla
base del principio di non discriminazione) la riconoscibilità dei matrimoni omosessuali contratti all’estero e la trascrizione
dei relativi atti di stato civile.
16 A. Röthel, Anerkennung gleichseschlechtlicher Ehen nach deutschem und europäischem Recht, in IPRax, 2006, pp. 250 ss.; C. Gonzáles
Beilfuss, The Proposal for a Council Regulation on the Property Consequences of Registered Partnerships, in Yearbook of Private International Law, 2011, p. 187; U.P. Gruber, Le mariage homosexuel et le droit international privé allemand, in Revue critique de droit
international privé, 2013, pp. 65 ss. Per talune considerazioni di diritto comparato: M. Sáez, Same Sex Marriage, in General Reports of the XVIIIth Congress of the International Academy of Comparative Law. Rapports généraux du XVIIIème congrès de l’Academie
Internationale de Droit Comparé, K.B. Brown, D.V. Snyder (ed.), Dordrecht, Heidelberg, London, New York, Springer, 2012, p.
130; R. Torino, La tutela della vita familiare delle coppie omosessuali, Torino, Giappichelli, 2012, pp. 172 ss.; D. Gallo, L. Paladini, P.
Pustorino (ed.), Same-Sex Couples before National, Supranational and International Jurisdictions, Dordrecht, Heidelberg, London,
New York, Springer, 2014.
17 Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che promuove la libera circolazione di cittadini e imprese semplificando l’accettazione di alcuni documenti pubblici nell’Unione europea e che modifica il regolamento (UE) n.
1024/2012, Bruxelles, 24 aprile 2013, COM(2013) 228 final, 2013/0119 (COD).
18 S. Marino, Cooperazione amministrativa e circolazione delle persone: verso il riconoscimento automatico degli atti di stato civile?, in
Rivista di diritto internazionale, 2013, pp. 964 ss. Il Libro Verde Meno adempimenti amministrativi per i cittadini. Promuovere la libera
circolazione dei documenti pubblici e il riconoscimento degli effetti degli atti di stato civile, Bruxelles, 14 dicembre 2010, COM(2010)
747 definitivo, suggeriva di introdurre norme sull’automatico riconoscimento di alcuni status, come la filiazione, l’adozione,
il nome. Non ne è seguita tuttavia la relativa proposta.
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Focus: La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di giustizia
Silvia Marino
formalità analoga (art. 4 della proposta), con una disciplina di favore per l’interessato quanto alla (generalmente non necessaria) presentazione di copie autentiche e di traduzioni dell’atto al momento della
richiesta di iscrizione, trascrizione, annotazione o qualsiasi aggiornamento dei registri pubblici (artt.
5 e 6). Solo qualora sussistano gravi dubbi circa l’autenticità dell’atto (art. 7 della proposta), l’autorità
competente può richiedere informazioni al paese d’origine. Inoltre, sono istituiti moduli standard multilingue, che secondo l’originaria proposta del 2013 avrebbero potuto sostituire gli atti pubblici nazionali
come forma alternativa di documentazione, ma che secondo l’ultima versione del giugno 2015 avrebbero un effetto più limitato, cioè di supporto per la traduzione, allegati ai documenti pubblici nazionali.
La semplificazione nella circolazione degli atti si ottiene pertanto eliminando qualsiasi formalità nel
momento della loro trasmissione19.
Il futuro regolamento non assume alcuna posizione sul matrimonio fra persone dello stesso, in
assenza di competenza dell’Unione europea in materia di diritto di famiglia. Pertanto, semplificando
l’accettazione del documento pubblico, apparentemente la sua entrata in vigore non sarà suscettibile di
modificare l’attuale posizione italiana, e in particolare lo stretto collegamento che si pone fra accettazione dell’atto e riconoscimento del rapporto sottostante. Tuttavia, alcuni elementi depongono in senso
contrario.
In primo luogo, nelle modifiche alla proposta apportate nel giugno 2015 traspare la perfetta neutralità sessuale. Il modulo multilingue relativo al matrimonio fa riferimento al “coniuge 1” e al “coniuge
2”, e consente di lasciare il sesso indeterminato. Come dovrebbe quindi procedere l’ufficiale di stato
civile davanti a documenti pubblici ed allegati che non specificano il sesso dei coniugi20? Ad avviso di
chi scrive, si tratterebbe di un dubbio sul contenuto dell’atto e quindi non potrebbe essere richiesta la
cooperazione dell’autorità amministrativa dello Stato d’origine. L’unica possibilità consisterebbe nella
trascrizione. Infatti, anche nell’ottica del solo ordinamento italiano, sarebbe molto più grave, in termini
di lesione dell’identità personale e del diritto alla vita familiare, non trascrivere un matrimonio eterosessuale (che tale è, sebbene non appaia) contratto all’estero, rispetto all’inserimento nei nostri registri
di un istituto sconosciuto.
In secondo luogo, l’espressa esclusione di qualsiasi conseguenza sul riconoscimento dello status
certificato nel documento pubblico potrebbe eliminare i timori circa gli effetti del matrimonio in Italia.
Infine, il considerando n. 5 come risultante dalle modifiche approvate a giugno 2015 stabilisce che
il regolamento dovrebbe applicarsi ai documenti pubblici “il cui obiettivo principale è accertare uno dei
seguenti fatti”, fra cui è indicata “la capacità di contrarre matrimonio”. L’atto pubblico straniero certifica
pertanto la capacità speciale in forza del diritto (materiale, o di conflitto, nel caso di coppie transfrontaliere) del paese di celebrazione del matrimonio. Ammesso che sia chiaro che si tratti di un matrimonio
fra persone dello stesso sesso, possono presentarsi due situazioni.
Se i coniugi sono cittadini italiani residenti in Italia, recatisi in un altro Stato membro al solo fine di
contrarre matrimonio, la valutazione operata all’estero quanto alla capacità degli interessati a contrarre
19 Nell’ambito del presente studio non si ritiene rilevante la semplificazione realizzata dal Regolamento (CE) n. 2201/2003 del
Consiglio del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e
in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000, in GUCE., L 338 del 23 dicembre 2003, p. 1 nella
circolazione delle decisioni giudiziarie e degli atti pubblici formati e aventi efficacia esecutiva in uno Stato membro nonché
gli accordi tra le parti aventi efficacia esecutiva. In primo luogo, infatti, l’atto di stato civile non corrisponde ad alcuno di
questi documenti. In secondo luogo, anche qualora si volesse forzare il dato letterale, il regolamento ha un campo di applicazione limitato “al divorzio, alla separazione personale e all’annullamento del matrimonio” (art. 1, par. 1, lett. a)), e quindi
alla fine del rapporto matrimoniale. Ciò non esclude che il regolamento sia applicabile allo scioglimento del matrimonio
omosessuale: A. Bucher, La famille en droit international privé, in Recueil des Cours, 2000, t. 283, p. 119; K. Boele-Woelki, Brüssel
II: Die Verordnung über die Zuständigkeit und die Anerkennung von Entscheidungen in Ehesachen, in Zeitschrift für vergleichendes
Rechtswissenschaft, 2011, p. 127; E. Calò, L’influence du droit communautaire sur le droit de la famille. Droit communautaire et droit
de la famille, in Mélanges en l’honneur de Mariel Revillard. Liber amicorum, J.P. Beraudo, R. Crône, F. Ferrand, J. Foyer (sous la direction de), Paris, LGDJ, 2007, p. 62; M. Meli, Il dialogo tra ordinamenti nazionali e ordinamento comunitario: gli sviluppi più recenti
in materia di diritto di famiglia, in Europa e diritto privato, 2007, p. 473. Pertanto, in Italia potrà essere riconosciuta automaticamente (art. 21 reg. 2201/2003) una decisione straniera di divorzio di una coppia sposata formata da due persone dello stesso
sesso. Alla produzione di effetti di questa sentenza non dovrebbe ostare il limite dell’inidoneità, dal momento che si tratta di
accettare la fine di un rapporto, e quindi la riacquisizione dello stato libero degli ex coniugi, mai considerati sposati nel nostro
ordinamento.
20 Secondo la circolare del Ministero dell’Interno del 18 ottobre 2007, nel caso di richiesta di trascrizione di un matrimonio contratto all’estero da parte di un cittadino italiano, l’ufficiale delle stato civile deve porre particolare attenzione alla diversità
di sesso dei coniugi. La circolare fa tuttavia riferimento al modulo allegato alla Convenzione di Vienna del 8 settembre 1976,
relativa al rilascio di estratti plurilingue di atti di stato civile, che ha quindi un oggetto diverso rispetto alla certificazione
dell’atto o al riconoscimento del rapporto sottostante. Si tratta inoltre di una Convenzione relativamente datata, che non poteva considerare l’evoluzione sociale e normativa a cui abbiamo assistito relativamente alla nozione dell’istituto matrimoniale.
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Focus: La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di giustizia
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il matrimonio sarebbe palesemente erronea. Infatti, sarebbe applicabile il diritto italiano, dal momento
che gli interessati presentano collegamenti con questo solo ordinamento21. Si potrebbe aggiungere il rilievo per cui l’art. 115 c.c., sul matrimonio del cittadino italiano contratto all’estero, è considerato di applicazione necessaria22, tale per cui la creazione ad hoc di una fattispecie transfrontaliera potrebbe essere
valutata in frode alla legge23. È vero che in taluni ordinamenti, come quello belga, una legge straniera
che non ammetta la capacità di contrarre un matrimonio fra persone dello stesso sesso è considerata
contraria all’ordine pubblico, e quindi è inapplicabile alla valutazione della capacità matrimoniale di
due cittadini italiani dello stesso sesso. Tuttavia, la corretta prevalenza di valutazioni di carattere morale
e sociale di un ordinamento al momento della costituzione del rapporto non può escludere la rilevanza
di considerazioni opposte, ma dello stesso valore, in un altro paese nel momento della circolazione
della coppia. Poiché, nell’ottica del nostro ordinamento, l’errore nell’applicazione della legge è palese,
sebbene ricada sul contenuto dell’atto (capacità matrimoniale), e viola una norma fondamentale del
nostro ordinamento, sarebbe agevole continuare a riferirsi all’inidoneità del rapporto per impedire la
trascrizione.
Diversa potrebbe essere la situazione qualora uno o entrambi i coniugi fossero cittadini italiani,
ma residenti all’estero, o tutti e due stranieri, indipendentemente dalla loro residenza al momento della
celebrazione del matrimonio. In entrambi i casi, infatti, non c’è un errore manifesto nella determinazione della capacità a contrarre matrimonio, vista la possibile applicazione di una legge diversa da
quella italiana. Spostare nuovamente la valutazione dall’autenticità dell’atto al suo contenuto sarebbe
più complesso rispetto all’ipotesi precedente. Infatti, nell’ambito dell’Unione europea, dovrebbe essere
estremamente eccezionale il controllo sia sulla legge applicata alla fattispecie, perché quest’ultimo è già
stato completamente eliminato nell’ambito della cooperazione giudiziaria civile nella circolazione delle
sentenze, sia sui suoi effetti, in forza del principio del mutuo riconoscimento e del carattere eccezionale
del limite dell’ordine pubblico.
4. (segue): il principio del mutuo riconoscimento come strumento
per la circolazione degli status personali
Non è questa la sede per affrontare dettagliatamente il principio del mutuo riconoscimento nell’ambito
dell’Unione europea e i suoi riflessi nella circolazione degli status. Tuttavia, un importante filone giurisprudenziale della Corte di giustizia dell’Unione europea può fornire alcune chiavi di riflessione ulteriore in relazione alla “mera” trascrizione dell’atto. Sebbene, come noto, il principio sia stato utilizzato
al fine di riconoscere situazioni giuridiche create all’estero, in questo studio si vuole verificare se il principio imponga una qualche considerazione del matrimonio. È possibile configurarne una versione per
così dire “minimale”, tale per cui debba almeno essere ammessa l’esistenza del rapporto all’estero e imposta la trascrizione dell’atto straniero che sia autentico, valido ed efficace nello Stato di formazione24?
La Corte di giustizia dell’Unione europea ha già avuto modo di affrontare il problema dell’accettazione di documenti pubblici stranieri in uno Stato membro diverso da quello di formazione. Nel noto
caso Dafeki25 la Corte ha ritenuto che le pubbliche autorità abbiano l’obbligo di attenersi ai certificati e
agli atti analoghi relativi allo stato civile prodotti in altri Stati membri “a meno che la loro esattezza non
sia gravemente infirmata da indizi concreti in relazione al singolo caso considerato”. Un’affermazione
siffatta conferma che nei due ultimi casi ipotizzati nel paragrafo precedente non esisterebbero (salve
21 Nel caso esaminato, ciò è conseguenza di qualsiasi criterio di collegamento impiegato dallo Stato di celebrazione del matrimonio per determinare la capacità a contrarre matrimonio, sia quello la cittadinanza, la residenza, il domicilio o la residenza
abituale (per indicarne i più comuni a livello comparatistico). Difetta quindi la capacità a contrarre matrimonio, poiché l’intera disciplina dell’istituto postula la diversità di sesso dei coniugi, nel quadro di «una consolidata ed ultramillenaria nozione
di matrimonio» (Corte costituzionale, sentenza del 15 aprile 2010, n. 138, in Articolo29, www.articolo29.it, 2010).
22 Su cui, ampiamente di recente: B. Nascimbene, Il matrimonio del cittadino italiano, cit., p. 1530.
23 F. Mosconi, Europa, famiglia e diritto internazionale privato, in Rivista di diritto internazionale, 2008, p. 350.
24 Già H.P. Mansel, Anerkennung als Grundprinzip des Europäischen Rechtsraums Zur Herausbildung eines europäischen Anerkennungs-Kollisionsrechts: Anerkennung statt Verweisung als neues Strukturprinzip des Europäischen internationalen Privatrechts?, in
RabelsZ, 2006, p. 663 distingue nettamente i due aspetti nell’ambito dell’ordinamento dell’Unione europea. A. Bucher, La
migration de l’état civil, cit., p. 106 suggerisce soluzioni diverse a livello internazionale a seconda che si voglia assicurare l’accettazione del documento pubblico, considerato un’esigenza di base, o il riconoscimento dello stato certificato.
25 Corte di giustizia Ue, 2 dicembre 1997, causa C-336/94, Dafeki.
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Focus: La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di giustizia
Silvia Marino
eccezioni) elementi che possano far sollevare gravi dubbi circa la correttezza dell’atto, tali per cui la
trascrizione possa essere negata in forza del contenuto non conforme al vero.
Questa conclusione parziale non risolve del tutto il problema. Può allora essere fatto riferimento
alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea nell’ambito del diritto al nome, in cui
il principio del mutuo riconoscimento ha avuto la sua massima espressione relativamente a questioni
di status. I problemi che erano sorti davanti alle giurisdizioni nazionali possono essere considerati affini a quelli in esame: si tratta pur sempre della mancata accettazione in uno Stato membro delle scelte
normative (di attribuzione del cognome) operate da un altro paese26. Il principio fondamentale espresso
dalla Corte di giustizia può essere sintetizzato in questa massima: sebbene “le regole che disciplinano
la registrazione negli atti di stato civile del cognome e del nome di una persona rientrino nella competenza degli Stati membri, questi ultimi, nell’esercizio di tale competenza, devono comunque rispettare
il diritto dell’Unione” e in particolare le libertà di circolazione e soggiorno27. La stessa deve trovare applicazione anche alle altre questioni relative allo status personale.
Nelle note sentenze Garcia Avello e Grunkin and Paul28 la Corte di giustizia ha imposto agli Stati di accettare gli status costituti in un altro paese membro, anche se la situazione è puramente interna al primo
e a prescindere dalla legge applicata. In caso contrario si creerebbe un ostacolo alla libera circolazione
delle persone; le esigenze di coerenza dell’ordinamento interno, invocate dai governi belga e tedesco,
non sono sufficienti per rifiutare il riconoscimento degli status creati altrove.
Questa conclusione può avere conseguenze sulla trascrizione degli atti di matrimonio conclusi
all’estero, anche qualora due cittadini italiani residenti in Italia si rechino in un altro Stato membro al
solo fine di contrarre il matrimonio. L’ufficiale di stato civile dovrebbe limitarsi a prendere atto della
certificazione proveniente da un altro Stato membro, senza sollevare alcun interrogativo circa le modalità di costituzione del rapporto sottostante. Né probabilmente sarebbe rilevante l’osservazione per cui
quel matrimonio ha solo tenui collegamenti con lo Stato di celebrazione del matrimonio, dal momento
che la validità del rapporto in quest’ultimo ordinamento dipende esclusivamente dalle proprie leggi.
Anche nel caso Garcia Avello, del resto, non è stata considerata necessaria la previa circolazione intracomunitaria dei minori interessati, rilevando solo il fatto che in applicazione della legge spagnola, quei
minori ne possedessero la cittadinanza. Infine, l’eccezione della frode alla legge che potrebbe essere
opposta alla coppia italiana sembrerebbe raramente invocabile, come dimostrato dalle altrettanto note
sentenze Centros e Zhu e Chen29. La creazione di una fattispecie transnazionale al fine della produzione di
determinati effetti giuridici non costituisce, infatti, un abuso del diritto di libera circolazione, ma l’esatto
esercizio dello stesso.
Il principio del mutuo riconoscimento a livello dell’Unione europea così inteso imporrebbe pertanto la più ampia accettazione degli status giuridici costituiti in un altro Stato membro. Tuttavia, la Corte
ne ha altresì rinvenuto alcuni limiti.
5. (segue) …e i suoi limiti?
Sempre nell’ambito del diritto al nome, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha considerato idonee
a giustificare il rifiuto del riconoscimento di un cognome attribuito in un altro Stato membro norme
poste a salvaguardia dell’identità nazionale (tutelate anche ai sensi dell’art. 4, par. 2 TUE; sentenze
Sayn-Wittgenstein e Runevič-Vardyn30). Fra queste ultime rientrano il divieto di discriminazioni e il principio democratico, e una politica di difesa e valorizzazione della lingua di uno Stato. Le misure nazio-
26 Inoltre in entrambi i casi sono coinvolti i dritti fondamentali dell’individuo, attinenti all’espressione della propria personalità.
Anche su questa tematica l’Italia ha avuto difficoltà ad accettare soluzioni provenienti da altri ordinamenti; per tutti: S. Tonolo, Il riconoscimento di atti e provvedimenti stranieri concernenti il diritto al nome nell’ordinamento italiano: problemi e prospettive, in
Diritto al nome e all’identità personale nell’ordinamento europea, C. Honorati (a cura di), Milano, Giuffré, 2010, p. 151.
27 Corte di giustizia Ue, 12 maggio 2011, causa C- 391/09, Runevič-Vardyn, par. 63.
28 Corte di giustizia Ue, 2 ottobre 2003, causa C-148/02, García Avello; Corte di giustizia Ue, 14 ottobre 2008, causa C-353/06,
Grunkin and Paul. Per un’analisi più ampia sui nessi fra status personali e principio del mutuo riconoscimento: C. Kohler, La
reconnaissance de situations juridiques dans l’Union européenne: le cas du nom patronymique, in La reconnaissance des situations en
droit international privé, P. Lagarde (sous la direction de), Paris, Pedone, 2013, pp. 67 ss.
29 Corte di giustizia Ue, 9 marzo 1999, causa C-212/97, Centros; Corte di giustizia Ue, 19 ottobre 2004, causa C-200/02, Zhu e
Chen.
30 Corte di giustizia Ue, 22 dicembre 2010, causa C-208/09, Ilonka SaynWittgenstein.
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Focus: La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di giustizia
Silvia Marino
nali devono essere proporzionate, cioè idonee e non eccessive al raggiungimento dei legittimi obiettivi.
Considerazioni relative all’identità nazionale italiana possano analogamente giustificare il diniego di
trascrizione dell’atto di matrimonio fra persone dello stesso sesso?
Ad avviso di chi scrive, la risposta è tendenzialmente negativa. Infatti, nelle sentenze menzionate
l’interessato richiedeva essenzialmente il riconoscimento dello status acquisito altrove, facendone valere
la necessaria continuità fra Stati membri. Laddove ci si soffermi sulla sola trascrizione, l’importanza
delle giustificazioni al mancato riconoscimento dovrebbero essere più stringenti, con un controllo più
rigoroso quanto al rispetto del principio di proporzionalità, perché non si tratta di dare effetto a quel
rapporto nel nostro ordinamento. Un approccio particolarmente severo in queste ipotesi è confermato
dalla menzionata sentenza del Tribunale di Grosseto di quest’anno, secondo il quale: “l’intrascrivibilità
degli atti stranieri costituisce un’eccezione e che, dunque, non può che essere interpretata restrittivamente, in particolar modo quando gli atti o i provvedimenti incidano sullo status o sulla capacità delle
persone, stante la necessità di garantire la più ampia circolazione degli stessi”. Dovendo considerare
come legittimi solo assoluti motivi attinenti a valori interni, il richiamo del rispetto dell’identità nazionale non sarebbe probabilmente coronato da successo. Anche ammesso che il carattere eterosessuale del
matrimonio sia parte dell’identità, sorge infatti il dubbio che quest’ultima non sia sostenuta, alla base,
da un diritto o un principio fondamentale, come la non discriminazione; addirittura potrebbe esservi
considerata contraria (e non a salvaguardia, come nel caso Sayn-Wittgenstein) in base all’orientamento
sessuale. Nemmeno l’aspetto identitario relativo alla tradizione religiosa dello Stato può essere configurato un limite stringente: vi ostano non solo l’espressa laicità dello Stato, ma anche la natura civile del
matrimonio di cui si discute. Giustificare in modo rigoroso la rilevanza dei motivi a base del rifiuto di
trascrizione e la loro proporzionalità sarebbe pertanto complesso31.
La giurisprudenza potrebbe essere comunque tentata di spostare il baricentro del problema dall’atto al rapporto, argomentando ulteriormente nel senso che la Corte Edu32 esclude l’esistenza di un diritto
al matrimonio fra persone dello stesso sesso. A maggior ragione, non sussisterebbe un obbligo di riconoscimento dei rapporti costituiti all’estero.
Tuttavia, ferme restando queste considerazioni, dal momento dell’entrata in vigore del futuro regolamento in materia di accettazione dei documenti pubblici, la Corte di giustizia difficilmente potrà
accogliere l’assimilazione fra autenticità dell’atto e riconoscimento del rapporto certificato, imponendo
sostanzialmente la trascrizione dei documenti pubblici (autentici, validi ed efficaci) formati all’estero.
Il regolamento, infatti, manterrà nettamente separate le due questioni, e il fatto che l’istituto certificato
risulti sconosciuto in un ordinamento non potrà avere rilevanza: l’accettazione del documento dipende
solo dall’autenticità e prescinde dal suo contenuto. Se la giurisprudenza farà salve norme specifiche a
salvaguardia dell’identità nazionale, il test di proporzionalità sarà particolarmente stringente. Le riserve italiane difficilmente potrebbero essere considerate legittime e ancor meno proporzionate.
Ne consegue che le prospettive di breve periodo nell’ambito dell’Unione europea, in una lettura
congiunta del principio del mutuo riconoscimento, dei suoi limiti, e del futuro regolamento sull’accettazione dei documenti pubblici, consentono di ammettere la trascrizione degli atti di matrimonio fra
persone dello stesso almeno se formati in uno Stato membro.
6. Conclusioni: la necessità di un intervento legislativo
e plausibili soluzioni
Il grande ostacolo alla trascrizione degli atti di matrimonio contratto fra persone dello stesso sesso in
Italia dipende (quasi) esclusivamente dal fatto che si tratta di un istituto sconosciuto che quindi non
produrrebbe alcun effetto nel nostro ordinamento. La situazione è destinata a mutare nell’arco di un
periodo ragionevolmente breve.
31 Se queste considerazioni non fossero ancora sufficienti, sarebbe facile per la Corte di giustizia sottolineare l’incoerenza del
nostro ordinamento, nel quale esiste sicuramente almeno una coppia di coniugi dello stesso sesso, cioè quella riconosciuta
a seguito della sentenza della Corte costituzionale del 11 giugno 2014, 170/2014, in questa Rivista, 2014, p. 232. Su un test di
proporzionalità rigoroso: C. Pamboukis, Les actes publics et la méthode de reconnaissance, in La reconnaissance, cit., p. 143.
32 Corte Edu, 24 giugno 2010, Schalk e Kopf c. Austria; Corte Edu, 15 marzo 2013, Gas e Dubois c. Francia; Corte Edu, 13 novembre
2012, H. c. Finlandia; Corte Edu, 16 luglio 2014, Hämäläinen c. Finlandia; Corte Edu, 21 luglio 2015, Oliari e a. c. Italia. L’approccio
della Corte Edu è stato tuttavia criticato; di recente: P. Johnson, The Choice of Wording Must Be Regarded as Deliberate”: Same-Sex
Marriage and Article 12 of the European Convention on Human Rights, in European Law Review, 2015, pp. 207 ss.
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Focus: La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di giustizia
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Gli sviluppi nell’ambito del diritto dell’Unione europea renderanno meno agevole l’assimilazione
fra la certificazione e il suo contenuto. Se il limite dell’ordine pubblico è superato a seguito della sentenza
Schalk della Corte Edu, l’ufficiale di stato civile non potrebbe più valutare il contenuto dell’atto, anche
qualora uno o entrambi i coniugi siano cittadini italiani per la scarsissima rilevanza della legge applicata
e dell’istituto della frode alla legge nell’ambito del principio del mutuo riconoscimento. L’unica verifica
ammessa sarebbe costituita dalla sua correttezza formale. Pertanto, l’atto autentico certificante il matrimonio same-sex proveniente da un altro Stato membro dovrebbe essere trascritto.
Inoltre, il rifiuto di accettazione di qualsiasi effetto del rapporto nel nostro ordinamento potrebbe
essere considerato contrario all’effetto utile dei regolamenti sulla cooperazione giudiziaria civile in materia di diritto di famiglia, che la dottrina ritiene applicabili anche ai matrimoni fra persone dello stesso
sesso33. Infatti, se il rapporto è inesistente, quegli atti dell’Unione europea non sarebbero invocabili, a
discapito dell’uniforme interpretazione (dell’ambito) e applicazione (del contenuto) dei regolamenti in
tutti gli Stati membri.
Infine, la sentenza Oliari della Corte europea dei diritti dell’Uomo pone all’Italia un preciso obbligo
di riconoscere effetti giuridici ai rapporti omoaffettivi. Le modalità rimangono nella discrezionalità del
nostro legislatore, ma si impone l’approvazione di una legge che almeno riconosca la possibilità di concludere unioni registrate. Quando sarà ammesso che anche persone dello stesso sesso possono vivere
una relazione di coppia formalizzata, non potrà che venir meno l’assoluta inidoneità del matrimonio
omosessuale a produrre effetti in Italia. Quest’ultimo infatti dovrà essere considerato almeno un’unione
registrata, come già avviene in diversi ordinamenti34 e il relativo atto essere trascritto nel registro che
sarà istituito. Il trattamento di un matrimonio come unione registrata può non essere considerato una
soluzione perfetta, perché si tratta di istituti deliberatamente diversi, ciascuno con i propri effetti giuridici (con particolare riguardo agli effetti personali e patrimoniali fra coniugi o fra partner, e il diritto
successorio)35. Tuttavia, consentirebbe di attribuire almeno una parziale rilevanza al matrimonio omosessuale, che potrebbe produrre taluni effetti fra gli interessati e fra la coppia e i terzi.
Nell’attesa che questi stimoli diventino realtà giuridica, il nostro ordinamento contiene una soluzione almeno parziale alla questione della trascrivibilità dell’atto di stato civile. Questa consiste nel
mantenere fin d’ora, senza attendere i prossimi sviluppi provenienti dall’ordinamento dell’Unione europea, la separazione fra rapporto certificato e pubblicità dello stesso, che la nostra giurisprudenza ha
33 Si pensa in particolare al reg. 2201/2003; al Regolamento (CE) n. 4/2009 del Consiglio, del 18 dicembre 2008, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari, in
GUUE, L 7 del 10 gennaio 2009, p. 1; al Regolamento (UE) n. 650/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 luglio 2012,
relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e all’accettazione e all’esecuzione degli
atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio europeo, in GUUE, L 201 del 27 luglio 2012, p.
107; nonché alla Proposta di Regolamento del Consiglio relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e
all’esecuzione delle decisioni in materia di regimi patrimoniali tra coniugi, presentata dalla Commissione il 16 marzo 2011,
COM(2011) 126 definitivo, 2011/0059 (CNS). Il Regolamento (UE) n. 1259/2010 del Consiglio del 20 dicembre 2010, relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale, in GUUE, L 343 del 29
dicembre 2010, p. 10 contiene una clausola di salvaguardia per cui lo Stato membro la cui legge non considera valido il matrimonio in questione ai fini del procedimento di divorzio non è tenuto ad emettere una decisione di divorzio in applicazione
del regolamento (art.13). Ne conseguirebbe che il divorzio di una coppia omosessuale è pronunciabile solo in uno Stato che
disciplina l’istituto a livello interno. Tuttavia, non dovrebbe essere negata nel nostro ordinamento quella minima efficacia al
matrimonio, che consenta di ammettere il suo scioglimento. In dottrina, ex multis: M. Castellaneta, A. Leandro, Il regolamento
CE n. 4/2009 relativo alle obbligazioni alimentari, in Le nuove leggi civili commentate, 2009, p. 1062; P. Franzina, The law applicable to
divorce and legal separation under regulation (EU) no. 1259/2010 of 20 december 2010, in Cuadernos de derecho transnacional, 2011, p.
102; D. Martiny, Die Kommissionvorschläge für das internationale Ehegüterrecht sowie für das internationale Güterrecht eingetragener
Partnerschaft, in IPRax, 2011, p. 437; S. Corneloup, Article 1, in Droit europeén du divorce. European Divorce Law, Corneloup (sous
la direction de), Paris, LexisNexis, 2013, p. 502; U.P. Gruber, Article 1, in Droit europeén du divorce, cit., p. 200; R. Espinosa Calabuig, Elección de una ley por las partes al divorcio y a la separación sudicia: la solución “LIMITADA” del Reglamento Roma III, in Le
nuove famiglie tra globalizzazione e identità statuali, I. Queirolo, A.M. Benedetti, L. Carpaneto (a cura di), Roma, Aracne, 2014, p.
224.
34 Cfr. supra, para. 2.
35 Parte della dottrina rileva che il mancato riconoscimento dell’esatto status creato all’estero sarebbe contrario al principio della
libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione europea, per analogia a quanto stabilito nelle sentenze Garcia Avello
e Grunkin and Paul: H.P. Mansel, Anerkennung, cit., pp. 712 ss.; P.A. Cornejo Aguilera, ivi, p. 18; U.P. Gruber, Le mariage homosexuel, cit., p. 72; G. Biagioni, On Recognition of Foreign Same-Sex Marriages and Partnerships, in Same-Sex Couples before National,
Supranational and International Jurisdictions, cit., p. 377. Per osservazioni analoghe, ancora precedenti alla sentenza della Corte
di cassazione del 2012: P. De Cesari, Il diritto della famiglia nell’Unione europea. Fondamenti e prospettive, in Persona e famiglia, P.
De Cesari (a cura di), Torino, Giappichelli, 2008, p. 225; M. Gattuso, Orientamento sessuale, famiglia, eguaglianza, in La nuova
giurisprudenza civile commentata, 2011, II, 596.
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Focus: La trascrizione dei matrimoni: i confini di una domanda di giustizia
Silvia Marino
ricordato ma raramente applicato in quanto tale. Alcuni effetti della trascrizione potrebbero essere importanti sia per le parti, sia per la coerenza del nostro ordinamento36. Per le prime, si prenderebbe atto
dell’esistenza e si darebbe visibilità a un rapporto valido ed efficace in un altro Stato, facendone venir
meno l’irrilevanza giuridica e ammettendone l’esistenza in un altro ordinamento37. Questo risultato non
sarebbe solo simbolico: infatti, la trascrizione ha efficacia probatoria. Ciò consentirebbe fin da ora di applicare i menzionati regolamenti europei e di consentire la produzione di effetti fra privati di una legge
straniera che regoli le conseguenze del matrimonio, in ossequio al principio della leale cooperazione38.
Inoltre, ne conseguirebbe un ulteriore effetto fondamentale (anche per il nostro ordinamento): i coniugi
same-sex non godrebbero di libertà di stato nemmeno in Italia. Se ulteriori successive nozze (eterosessuali in Italia) non costituiscono bigamia per inesistenza del primo matrimonio nell’ordinamento, le
conseguenze di siffatto comportamento possono ledere gli aspetti morali del nostro ordine pubblico in
maniera ben più incisiva della sola trascrizione di un atto straniero di matrimonio.
Ammettendo la produzione di questi effetti più limitati, e certo non contrari all’ordine pubblico, o
estranei al nostro ordinamento, e che dipendono dal fatto che un matrimonio all’estero esiste, si supera
il problema dell’attribuzione di effetti a un istituto sconosciuto al nostro ordinamento, e la riflessione
può davvero concentrarsi sulla sola validità, efficacia e autenticità — nello Stato d’origine —dell’atto
presentato per la trascrizione.
36 Questa soluzione è già adottata addirittura in Israele, Stato in cui l’unica forma matrimoniale è quella religiosa: Y. Merin,
Anglo-american choice of law and the recognition of foreign same-sex marriages in Israel, in Brooklyn Journal of International Law, 2011,
pp. 509 ss.
37 In forza della reciproca fiducia fra Stati membri, un Autore ricava la riconoscibilità de plano degli status acquisiti in altri Stati
membri, salvo il limite dell’ordine pubblico. Ciò tuttavia consentirebbe non la creazione di quello status nel paese di riconoscimento, ma la cristallizzazione della situazione giuridica validamente creata all’estero. Questa soluzione riscontrerebbe le
legittime aspettative delle parti a veder considerato il proprio rapporto in tutti gli Stati membri (I. Somarakis, The Method of
Recognition in European Private International Law and its Scope of Application, in Boundaries of European Private International Law,
J.S. Bergé, S. Franq, M. Gardeñes Santiago (ed.), Bruxelles, Bruylant, 2015, pp. 668 ss.).
38 Come è in effetti avvenuto nelle menzionate sentenze del Tribunale di Reggio Emilia e del Tribunale di Pescara, cfr. supra,
nota 9.
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Marilisa D’Amico
Marilisa D’Amico*
Famiglia e “famiglie” fra principi costituzionali
italiani ed europei
Sommario
1. Introduzione: brevi riflessioni a partire da Oliari e altri c. Italia – 2. Un passo indietro: la nozione di famiglia e di matrimonio nei lavori dell’Assemblea Costituente – 3. La nozione di famiglia nell’evoluzione
della giurisprudenza della Corte costituzionale: sui rapporti tra coppie coniugate e coppie conviventi
– 4. L’unione omosessuale come formazione sociale ex art. 2 Cost.: l’ambigua decisione costituzionale
n. 138 del 2010 – 5. La vita familiare nel sistema convenzionale: dalle convivenze eterosessuali a quelle
omosessuali – 5.1. I ricorsi depositati presso la Corte europea dei diritti dell’Uomo e la condanna dell’Italia in Oliari e altri c. Italia – 6. Il testo in discussione alle Camere, DDL nn. 14 e connessi – 7. Conclusioni
Abstract
L’autrice indaga le problematiche connesse al riconoscimento delle unioni familiari diverse dalla famiglia c.d. “tradizionale”, eterosessuale e coniugata, a partire dalla recente sentenza della Corte europea
dei diritti dell’Uomo sul caso Oliari e altri c. Italia, che ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 8
della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo. Attraverso la ricostruzione del dibattito in Assemblea
Costituente, della giurisprudenza costituzionale, passata e recente, sull’art. 29 Cost., e delle pronunce
del Giudice europeo in tema di famiglia, l’autrice critica l’inerzia del legislatore nazionale in punto di
omesso riconoscimento giuridico delle convivenze non matrimoniali, auspicando la tempestiva approvazione del progetto di legge attualmente in discussione alle Camere.
The Author investigates issues related to the legal recognition of civil unions that differ from the family in the
traditional sense, married and heterosexual, starting from the ECtHR’s judgement in Oliari and others v. Italy,
that condemned Italy for the violation of Article 8 of the European Convention of Human Rights. Moving from the
analysis of the constitutional framers’ debate, the Constitutional Court’s case-law on Article 29 of Italian Constitution and the case-law of the ECtHR regarding family life, the Author critizes the lack of legislation, hoping for
the prompt approval of the Law currently under examination by the Parliament.
1. Introduzione: brevi riflessioni a partire da Oliari e altri c. Italia
“[L]a Corte osserva che dall’esame di cui sopra del contesto interno emerge l’esistenza di un conflitto
tra la realtà sociale dei ricorrenti che prevalentemente vivono in Italia la loro relazione apertamente, e
la legislazione che non fornisce loro alcun riconoscimento ufficiale sul territorio [...]. La Corte osserva
inoltre che benché il Governo si trovi generalmente in una posizione migliore per valutare gli interessi
collettivi, nel caso di specie il legislatore italiano non sembra aver attribuito particolare importanza alle
indicazioni fornite dalla Comunità nazionale, in particolare dalla popolazione italiana in generale e
dalle supreme autorità giudiziarie italiane. La Corte osserva che in Italia le supreme autorità giudizia*
Ordinario di Diritto costituzionale, Università statale di Milano. Il contributo viene pubblicato in seguito a referee a doppio
cieco.
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Marilisa D’Amico
rie, comprese la Corte costituzionale e la Corte di cassazione, hanno dato ampio risalto all’esigenza di
riconoscere e tutelare tali relazioni. Si è fatto riferimento in particolare alla sentenza della Corte costituzionale n. 138/10 relativa alla causa dei due primi ricorrenti, le cui conclusioni sono state ribadite in una
serie di successive sentenze negli anni successivi. In tali cause la Corte costituzionale ha segnatamente e
ripetutamente sollecitato il riconoscimento giuridico dei pertinenti diritti e doveri delle unioni omosessuali [...] misura che poteva essere adottata soltanto dal Parlamento”1.
Con queste parole, la Corte di Strasburgo in Oliari e altri c. Italia2 ha motivato la violazione dell’art. 8
della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, a causa dell’assenza in Italia di una regolamentazione
organica delle unioni tra persone dello stesso sesso, sottolineando con efficacia la gravità della perdurante inerzia ed indifferenza del legislatore nazionale rispetto ai moniti della Corte costituzionale e agli
inviti e sollecitazioni della Comunità internazionale.
La sentenza è particolarmente significativa nel mettere in evidenza l’isolamento italiano nel quadro
delle soluzioni ormai da anni adottate dagli altri Stati membri del Consiglio d’Europa, rispetto ai quali
l’Italia è ormai sempre più un unicum, ed il ruolo, non però sufficiente, ricoperto dai giudici nel sistema costituzionale italiano. La Corte europea si dimostra, quindi, ben consapevole dell’assenza di una
volontà legislativa in materia e dell’inadeguatezza delle pronunce dei giudici a garantire la tutela del
diritto fondamentale a vivere liberamente una condizione di coppia, così come lo ha definito la Corte
costituzionale nella decisione n. 138 del 2010, richiamata più volte dal Giudice di Strasburgo.
Ancora più esplicita in questo senso è, poi, la ricostruzione offerta nell’opinione concorrente alla
sentenza dai giudici Mahoney Tsotsoria e Vehabović, in cui si legge che “a prescindere dal quadro costituzionale e dalla distribuzione delle competenze tra i poteri dello Stato che uno Stato contraente può
scegliere di adottare, esiste tuttavia un obbligo generale di fiducia e di buona fede che lo Stato e le sue
autorità pubbliche devono al cittadino in una società democratica governata dal principio dello stato di
diritto [...]. A nostro avviso, nonostante il margine di discrezionalità disponibile per lo Stato italiano, tale
obbligo di fiducia non è stato rispettato nel caso di specie per quanto riguarda il seguito alla sentenza
138/10 della Corte costituzionale, in cui è stata individuata come esistente nell’ordinamento giuridico
italiano una lacuna incostituzionale, che ha comportato il diniego di un ‘diritto fondamentale’. Esiste, ed
è rimasta per cinque anni, una discordanza tra la dichiarazione della Corte costituzionale sul diritto di
una data categoria di persone in base alla Costituzione, e l’azione, o piuttosto l’inazione del legislatore
italiano, quale competente potere del governo, ad attuare tale diritto. Ai beneficiari della dichiarazione
della Corte costituzionale sull’incompatibilità con la Costituzione della mancanza di adeguato livello di
riconoscimento delle unioni omosessuali è stato negato il livello di tutela della loro vita privata e familiare cui essi hanno diritto ai sensi dell’articolo 2 della Costituzione italiana”3.
In Oliari e altri c. Italia, insomma, la Corte europea dimostra di aver compreso profondamente la realtà italiana, fatta di un legislatore assente e di giudici che “più di così non possono fare”, e di aver avallato l’impostazione di principio già tracciata dal Giudice costituzionale nel 20104, poi ribadita nel 20145:
l’urgenza di garantire un diritto, quello delle coppie conviventi, omosessuali in particolare, di vedersi
riconosciute come famiglie; perché di “famiglia”, come si ricava anche immediatamente dal titolo della
relazione, non c’è n’è una sola, ma tante, e tutte, nelle loro diversità, titolari di un diritto fondamentale,
quello di vivere liberamente la loro condizione di coppia che sia la Corte costituzionale sia la Corte europea, con questa recente e importante sentenza, hanno contribuito ad affermare.
Tema, invece, lasciato scoperto da Oliari e altri c. Italia e mai affrontato dalla Corte costituzionale6 riguarda, poi, le questioni che sorgono in relazione all’ampliamento della nozione di “famiglia con figli”7:
1
Corte europea dei diritti dell’Uomo, Oliari e altri c. Italia, seconda sezione, 21 luglio 2015, §§ 179-180.
2
A commento della pronuncia si veda C. Nardocci, Dai moniti del Giudice costituzionale alla condanna della Corte europea dei diritti
dell’uomo. Brevi note a commento della sentenza Oliari e altri c. Italia, in Forum di Quaderni costituzionali, www.forumcostituzionale.it, 2015.
3
Opinione concorrente, sentenza Oliari e altri c. Italia dei giudici Mahoney Tsotsoria e Vehabović, § 7.
4
Il riferimento è a Corte costituzionale, sentenza n. 138 del 2010, su cui si veda infra.
5
Così, Corte costituzionale sentenza n. 170 del 2014, su cui infra.
6
Corte costituzionale che è stata, però, chiamata a pronunciarsi sulla questione di costituzionalità sollevata dal Tribunale dei
minorenni di Bologna (ordinanza di rimessione, 10 novembre 2014, n. 4701) ed avente ad oggetto le norme della disciplina
vigente in materia di adozione, che, precludendo una valutazione caso per caso che tenga conto del superiore interesse del
minore, ostano al riconoscimento in Italia della sentenza straniera che ha riconosciuto la cd. second parent adoption.
7
Nell’ambito della giurisprudenza della Corte Edu, si rinvia alle pronunce rese in materia di adozione: Frettè c. Francia (Terza
sezione, n. 36515/97, 26 febbraio 2002), E.B. c. Francia (Grande Camera, n. 43546/02, 22 gennaio 2008), Gas e Dubois c. Francia
(Quinta sezione, n. 25951/07, 15 marzo 2012), X e altri c. Austria (Grande Camera, n. 19010/07, 19 febbraio 2013).
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Marilisa D’Amico
è famiglia anche la coppia omosessuale con figli? Può la coppia omosessuale adottare un figlio oppure
ricorrere a tecniche procreative e a contratti di maternità surrogata per avere un figlio? Come si pone il
diritto e come i giudici di fronte a simili questioni?
In Italia, le coppie omosessuali non possono né adottare8, né avere accesso alle tecniche di procreazione artificiale di cui alla legge n. 40 del 2004, né, e questo vale anche per le coppie eterosessuali,
stipulare contratti di maternità surrogata vietati a norma dell’art. 12, comma 6, L. n. 40 del 20049. Pur a
fronte di simile quadro, il tema — a cui si consenta solo un accenno nell’introduzione — è stato al centro
di alcune pronunce con cui i giudici hanno cominciato ad allargare le maglie dei divieti nel tentativo di
rispondere, sebbene parzialmente e con efficacia circoscritta al caso concreto, alle istanze delle cd. ‘nuove famiglie’, in primo luogo quelle costituite da coppie omosessuali.
2. Un passo indietro: la nozione di famiglia e di matrimonio
nei lavori dell’Assemblea Costituente
Se Oliari e altri c. Italia ha posto l’accento sulla discordanza tra la realtà sociale italiana e la risposta legislativa, occorre, innanzitutto, partire dalla Costituzione e dai suoi principi, per chiarire che cosa i nostri
costituenti intendevano quando parlavano di “famiglia”, di “società naturale”, di “matrimonio” e in che
termini il dibattito in Assemblea costituente può illuminare i temi oggi in discussione: in primo luogo,
la trasformazione del significato di “famiglia” da nozione univoca e identificabile con i tratti della cd.
“famiglia tradizionale”, eterosessuale e fondata sul vincolo di coniugio, ad una pluralità di forme riassuntivamente espresse dalla nozione di famiglia latamente intesa come “comunità oggettiva”.
L’art. 29 della nostra Costituzione contiene importanti principi che sono da tempo oggetto di interpretazioni opposte e contraddittorie e che meritano di essere analizzati partendo da una ricostruzione
storica10.
In Assemblea costituente, si registrò un ampio ed acceso dibattito sull’art. 29 Cost., che portò ad un
“accordo preciso”11 sulla formulazione finale della norma: dopo lunga discussione, si optò per la formula “società naturale”. Tale proposta venne avanzata dall’onorevole Togliatti, d’accordo con gli onorevoli
Iotti e Corsanego12: con essa si voleva evidenziare la preesistenza della famiglia rispetto allo Stato e non
una limitazione dello Stato in favore di un ordine giuridico di diritto naturale. Tale definizione, si disse,
assegna alla famiglia un’autonomia originaria, che circoscrive i poteri di regolamentazione del legisla-
8
Cfr. M. D’Amico, Diritti LGBT e “nuove famiglie” in Italia, in Orientamento sessuale e diritti civili. Un confronto con gli Stati Uniti
d’America, M. D’Amico, C. Nardocci, M. Winkler (a cura di), Milano, Franco Angeli, 2014, e a B. Liberali, L’adozione dei single
e delle coppie omosessuali, intervento al Convegno annuale dell’Associazione “Gruppo di Pisa”, Catania 7-8 giugno 2013, La
famiglia davanti ai suoi giudici.
9
In relazione al divieto di maternità surrogata, si segnala la recente pronuncia, non definitiva, di condanna dell’Italia da parte
della Corte europea dei diritti dell’uomo, Paradiso e Campanelli c. Italia, seconda sezione, n. 25358/12, 27 gennaio 2015 con cui
la Corte di Strasburgo ha accertato la violazione dell’art. 8 CEDU per avere le autorità italiane disposto l’allontanamento del
minore e la sua messa sotto tutela non tenendo, quindi, in adeguata considerazione il superiore interesse del medesimo. Sul
punto, si segnala che è del primo giugno 2015 la notizia del deferimento del caso al riesame da parte della Grande Camera
dopo il ricorso del Governo italiano avverso la pronuncia della sezione. La sentenza contro l’Italia si inserisce nel filone
giurisprudenziale già tracciato dalle due pronunce di condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo contro la Francia,
Mennesson c. Francia (quinta sezione, n. 65192/11, 26 giugno 2014) e Labassee c. Francia (quinta sezione, n. 65941/11, 26 giugno
2014), in cui, analogamente al caso che ha visto protagonista l’Italia, la Corte di Strasburgo ha sindacato il rifiuto opposto
dalle autorità nazionali di riconoscere il rapporto di filiazione fra padre biologico e figli nati tramite la conclusione di contratti
di maternità surrogata all’estero, senza però, anche in questi casi, prendere apertamente posizione sulla pratica della surrogazione di maternità.
10 Sul tema, F. Biondi, Famiglia e matrimonio. Quale modello costituzionale, Relazione al Convegno annuale dell’Associazione
“Gruppo di Pisa”, Catania 7-8 giugno 2013, La famiglia davanti ai suoi giudici (paper).
11 A. Pugiotto, Alla radice costituzionale dei “casi”: la famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio”, in Forum di Quaderni
costituzionali, www.forumcostituzionale.it, 2010.
12 Ass. Costituente, I Sottocommissione, 5 novembre 1946.
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Marilisa D’Amico
tore13. E ancora, con riguardo all’art. 29 Cost., si precisò che non si trattava di una definizione, bensì di
una determinazione di limiti14.
Tuttavia, non si può non rilevare come la formula “società naturale” rappresenti oggi una nozione
che blocca la nozione della famiglia fondata sul matrimonio. Si è, infatti, sostenuto, da una parte (interpretazione giusnaturalistica), che tale espressione rinviasse al diritto naturale tale per cui la famiglia in
quanto sovrana attinge a valori e principi che si trovano al di fuori dell’ordinamento statale. Il riferimento al diritto naturale evidenzierebbe la preesistenza della famiglia e le limitazioni che lo Stato incontra
nel porre leggi in materia. Nel corso dei lavori dell’Assemblea costituente fu giustamente rilevata una
sorta di contraddizione tra la formula “società naturale” e “fondata sul matrimonio”. Si sottolineò come
“dal punto di vista logico [...fosse] un gravissimo errore, che rimarrà nel testo della nostra Costituzione
come una ingenuità, quello di congiungere l’idea di società naturale — che richiama al diritto naturale
— colla frase successiva “fondata sul matrimonio”, che è un istituto di diritto positivo. Parlare di una
società naturale che sorge dal matrimonio, cioè, in sostanza, da un negozio giuridico è […] una contraddizione in termini”15.
Le considerazioni di Piero Calamandrei, in effetti, colgono nel segno, perché l’introduzione del
termine “naturale”, pur chiaramente interpretato dalla maggioranza dei costituenti come necessario
limite dello Stato e dei suoi interventi rispetto alla società, introduce un forte elemento di ambiguità che
consente ancor oggi un’interpretazione dell’art. 29 Cost. riduttiva e antistorica.
Fin dai primi anni di vita della Repubblica, infatti, si faceva riferimento al carattere “naturale” della
famiglia come a qualcosa che appariva tale alla maggioranza, implicando una visione del matrimonio
indissolubile e nella quale il marito godeva di una posizione dominante16. A questo riguardo, già nel
corso dei lavori preparatori, si parlava della “legge armonica dell’universo intesa a determinare secondo un criterio naturale la supremazia del marito sulla moglie”17.
L’art. 29 Cost voleva essere, per la maggioranza dei costituenti, sicuramente espressione di una concezione della famiglia aperta ai cambiamenti storici e sociali18:“Lungi da evocare un astorico diritto di
natura, il riferimento al carattere ‘naturale’ della societas coniugale significa semplicemente che il primo
comma dell’art. 29 attribuisce al matrimonio la funzione di una struttura familiare storicamente aperta
ai processi di revisione del suo regime (e delle sue forme) di tempo in tempo occorrenti per conformare
l’istituto alle esigenze di una formazione sociale assolutamente peculiare”19.
La stessa volontà dei costituenti, peraltro, si è espressa in questa direzione, laddove l’obiettivo dichiarato non era quello di cristallizzare la famiglia con definizioni legate ad un certo momento storico o
di irrigidire la vita sociale. Posto quindi il nucleo essenziale di “società naturale”, si sottolineò (Togliatti)
che la disciplina e le diverse forme dell’istituto sarebbero state poi storicamente determinate. Fu inoltre
evidenziato (Calamandrei) come non passò l’idea di dare al matrimonio un carattere religioso e dunque
incidente sulla libertà di coscienza dei cittadini.
Si deve escludere, inoltre, che l’aggettivo naturale abbia “un significato zoologico o animalesco, o
accenni ad un legame puramente di fatto”20. Non si vuole dire “con questa formula che la famiglia sia
una società creata al di fuori di ogni vincolo razionale ed etico. Non è un fatto, la famiglia, ma è appunto
un ordinamento giuridico e quindi qui ‘naturale’ sta per ‘razionale’. D’altra parte, non si vuole escludere che la famiglia abbia un suo processo di formazione storica, né si vuole negare che vi sia un sempre
più perfetto adeguamento della famiglia a questa razionalità nel corso della storia; ma quando si dice:
‘società naturale’ in questo momento storico si allude a quell’ordinamento che, perfezionato attraverso
il processo della storia, costituisce la linea ideale della vita familiare. Quando si afferma che la famiglia è
una ‘società naturale’, si intende qualche cosa di più dei diritti della famiglia. Non si tratta soltanto di riconoscere i diritti naturali alla famiglia, ma di riconoscere la famiglia come società naturale, la quale abbia le sue leggi e i suoi diritti di fronte ai quali lo Stato, nella sua attività legislativa, si deve inchinare”21.
13 C. Mortati, Ass. Costituente, CII, 23 aprile 1947.
14 A. Moro, Ass. Costituente, XCV, seduta pomeridiana, 18 aprile 1947.
15 P. Calamandrei, Ass. Costituente, CII, seduta di mercoledì 23 aprile 1947.
16 M. Gattuso, Appunti sulla famiglia naturale e il principio di eguaglianza, in Questione Giustizia, n. 2 del 2007.
17 C. Rodi, Ass. Costituente, 17 aprile 1947.
18 A questo riguardo, si veda A. Moro, Ass. Costituente, I Sottocommissione, 30 ottobre 1946.
19 M. Bessone, Art. 29, cit., p. 31.
20 A. Moro, Ass. Costituente, Commissione per la Costituzione, Adunanza Plenaria, mercoledì 15 gennaio 1947
21 Ibidem.
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Interventi
Marilisa D’Amico
Si può, pertanto, ritenere che la famiglia, come società naturale, pur prestandosi ad equivoci, sulla
base di un’interpretazione meramente letterale del termine, non implica, alla luce di una lettura storica
e sistematica dell’art. 29 Cost., un’immutabilità della sua regolazione normativa, legata ad un ordine
assoluto e precostituito. Quest’ultima, al contrario, può mutare seguendo l’evoluzione della società, e
dunque tenendo conto dell’evolversi delle concezioni di famiglia che in quest’ultima si registrano. Si
può sostenere, inoltre, che la Costituzione ponga una norma ‘in bianco’, che per ciò stesso rimanda al
costume e alla coscienza sociale, che il legislatore dovrà dunque rispettare e alla cui evoluzione dovrà
conformarsi22.
In definitiva, “la famiglia è perciò ‘naturale’, in quanto peculiare aggregazione affettivo-solidale di
due persone ed espressione di un’esigenza oltremodo diffusa nonché connaturata alla volontà di realizzazione personale dei suoi componenti”23.
Le considerazioni appena svolte rendono quindi per lo meno problematica la situazione odierna,
una situazione in cui la politica e la stessa giurisprudenza costituzionale consentono all’art. 29 della
Costituzione di trasformarsi da fattispecie aperta e innovativa in una norma rigida e chiusa a qualsiasi
trasformazione della società.
3. La nozione di famiglia nell’evoluzione della giurisprudenza
della Corte costituzionale: sui rapporti tra coppie coniugate
e coppie conviventi
Dal dibattito in Assemblea costituente, occorre spostarsi all’interpretazione dei principi costituzionali
offerta dalla Corte costituzionale.
Si tratta di interpretazione, soprattutto inizialmente, piuttosto restrittiva e che, ancora oggi, poggia sull’assunto della eterogeneità tra coppia coniugata, eterosessuale, che è famiglia ai sensi dell’art.
29 Cost. e coppie conviventi, considerate, a partire dal 2010, titolari del diritto fondamentale di vivere
liberamente la propria condizione di coppia, radicato nell’art. 2 Cost.
La giurisprudenza costituzionale ha, però, contribuito già prima del 2010 ad un avvicinamento tra
coppia coniugata e coppia convivente, sebbene su materie e in relazione a diritti singolarmente considerati.
In un primo tempo, il principio di parità fra i coniugi sancito dal secondo comma dell’art. 29 Cost.
è stato valorizzato dalla Corte costituzionale non trascurando i principi di organizzazione e unità della
famiglia. La Corte ha argomentato tale posizione partendo dalla considerazione per cui il principio di
uguaglianza stabilito dall’art. 29 Cost. non gode di garanzia assoluta come invece per l’art. 3 Cost.24.
Dopo pochi anni, però, e a seguito dei profondi mutamenti sociali ai quali il giudice costituzionale
non è indifferente, la Corte costituzionale comincia a realizzare il principio di parità dei coniugi, sancito
dall’art. 29 Cost, svolgendo un ruolo fondamentale, che anticipa alcune delle soluzioni legislative adottate con la successiva riforma del 1975.
Viene innanzitutto dichiarato incostituzionale l’art. 151 c.c. nella parte in cui stabilisce che l’infedeltà del marito possa essere causa imputabile di separazione solo se si riscontrano circostanze particolarmente ingiuriose per la moglie25. E così pure, con sentenza n. 126 del 196826, è stata dichiarata
22 M. Gattuso, Appunti sulla famiglia naturale e il principio di eguaglianza, cit.
23 P. Veronesi, “Costituzione”, “strane famiglie” e “nuovi matrimoni”, in Quaderni costituzionali., 2008, p. 594.
24 Il riferimento è a Corte cost. sent. n. 64 del 1961 (in Giurisprudenza costituzionale, 1961, p. 1224 e ss. con osservazioni di C.
Esposito, Sulla punizione del solo adulterio femminile, ivi, p. 1230 e ss.), con cui la Corte costituzionale ha dichiarato la questione
di legittimità dell’art. 559 c.p. che puniva in modo diverso l’adulterio commesso dalla moglie rispetto al marito infondata;
Corte costituzionale, sentenza n. 46 del 1966, in Giurisprudenza costituzionale, 1966, p. 266 e ss.; Corte costituzionale, sentenza
n. n. 147 del 1969, in Giurisprudenza costituzionale, 1969, p. 2230 e ss., con nota di G. Gianzi, L’eguaglianza morale e giuridica dei
coniugi ed i diritti di relazione adulterina e di concubinato, ivi, p. 2237 e ss.; Corte costituzionale sentenze n. 126 e n. 127 del 1968,
in Giurisprudenza costituzionale, 1968, rispettivamente, p. 2175 e ss., p. 2208 e ss.
25 Corte costituzionale, sentenza n. 127 del 1968, in Giurisprudenza costituzionale, 1968, p. 2208 e ss.
26 Corte costituzionale, sentenza n. 126 del 1968, in Giurisprudenza costituzionale, 1968, p. 2175 e ss., con nota di F. Modugno,
L’adulterio come delitto e causa di seprazione, ivi, p. 2190 e ss.
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l’illegittimità costituzionale dell’art. 559 c.p. a causa del diverso trattamento riservato alla moglie in caso
di adulterio, con ciò modificando il proprio precedente che aveva dichiarato infondata la questione27.
È stato inoltre dichiarato incostituzionale il comma quinto dell’art. 156 c.c. con ciò liberando la moglie separata dal dovere di portare, in caso di pregiudizio, il cognome del marito28.
Con sentenza n. 133 del 197029, la Corte costituzionale si occupa, poi, dell’obbligo del mantenimento, tradizionalmente a carico del marito quale “capo-famiglia”, indipendentemente dalle condizione
economiche della moglie, dichiarando incostituzionale l’art. 445, comma 1, c.c., laddove non subordina
al fatto che la moglie non abbia mezzi sufficienti il dovere del marito di somministrarle, in proporzione
delle sue sostanze, tutto ciò che è necessario ai bisogni della vita.
La Corte è intervenuta anche nella materia della potestà sui figli minori, confermando la legittimità
del previgente art. 340 c.c., che negava alla moglie vedova che si era risposata l’amministrazione dei
beni dei figli minori30 e dell’art. 260 c.c. che attribuiva la potestà esclusiva al padre, in materia di filiazione naturale31.
Al contrario, nel bilanciamento rispetto al principio di unità della famiglia, la Corte costituzionale
non ha ritenuto fosse illegittima la disposizione che prevede l’automatica attribuzione del cognome del
marito ai figli32.
Si ricordi, infine, che la Corte ha dichiarato incostituzionali anche gli artt. 164, primo comma, c.c.,
nella parte in cui non ammette i terzi a provare la simulazione delle convenzioni matrimoniali33 e l’art.
781 c.c., che faceva divieto di donazioni fra coniugi34.
Nella prospettiva che qui interessa, è altresì opportuno fare riferimento, seppur succintamente, alla
giurisprudenza costituzionale che si è sviluppata in relazione all’art. 29 della Costituzione.
Un primo aspetto attiene all’interpretazione della locuzione “società naturale”, che il Giudice costituzionale ha escluso possa riferirsi a formazioni sociali diverse dalla cd. “famiglia tradizionale” fondata
sul matrimonio.
Un secondo profilo riguarda l’atteggiamento del Giudice costituzionale, in relazione ai rapporti
tra la famiglia cd. “tradizionale” e le cd. “nuove famiglie”, ossia le convivenze more uxorio. Principio
pacifico della giurisprudenza costituzionale, sinora mai smentito, è, infatti, costituito dalla ritenuta eterogeneità tra le due figure, tale da escludere una possibile violazione del principio di eguaglianza ex art.
3 Cost., in presenza di discipline che prevedano un trattamento più favorevole per la coppia coniugata
rispetto alla coppia ‘di fatto’ oppure per il coniuge rispetto al convivente more uxorio.
Così, ad esempio, già nel 198635, la Corte rilevava l’inapprezzabilità del rapporto di fatto poiché
privo esso delle caratteristiche di certezza e di stabilità, proprie della famiglia legittima’ e, nello stesso
senso, può essere citata l’ordinanza n. 491 del 2000, in cui si legge che “la diversità tra famiglia di fatto
e famiglia fondata sul matrimonio rappresenta […] un punto fermo di tutta la giurisprudenza costituzionale in materia ed è basata sull’ovvia constatazione che la prima è un rapporto di fatto, privo dei
caratteri di stabilità e certezza e della reciprocità e corrispettività dei diritti e dei doveri che nascono
soltanto dal matrimonio e sono propri della seconda”36; non si allontana da simile ricostruzione nemmeno la più recente sentenza n. 138 del 2010, che ha dichiarato manifestamente infondato il dubbio
di costituzionalità rispetto all’articolo 3 della Costituzione ritenendo non omogenee al matrimonio le
unioni omosessuali.
27 Corte costituzionale, sentenza n. 64 del 1961, in Giurisprudenza costituzionale, 1961, p. 1224 e ss.
28 Corte costituzionale, sentenza n. 128 del 1970, in Giurisprudenza costituzionale, 1970, p. 1576 e ss.
29 Corte costituzionale, sentenza n. 133 del 1970, in Giurisprudenza costituzionale, 1970, p. 1605 e ss.
30 Corte costituzionale, sentenza n. 49 del 1966 in Giurisprudenza costituzionale, 1966, p. 276 e ss.
31 Corte costituzionale, sentenza sent. n. 71 del 1966, in Giurisprudenza costituzionale, 1966, p. 376 e ss.
32 In tema si veda Corte costituzionale, sentenza ord. n. 176 del 1988, in Giurisprudenza costituzionale, 1988, p. 605 e ss Su analoga
questione, si vedano anche, più di recente, Corte costituzionale, sentenza n. 61 del 2006, in Giurisprudenza costituzionale, 2006,
p. 543 e ss., con nota di E. Palici di Suni, Il nome di famiglia: la Corte costituzionale si tira ancora una volta indietro, ma non convince,
ivi, p. 552 e ss.; Corte costituzionale, ordinanza n. 176 del 1988, in Giurisprudenza costituzionale, 1988, p. 605 e ss, e Corte costituzionale, ordinanza n. 586 del 1988, in Giurisprudenza costituzionale, 1988, p. 2726 e ss.
33 Così, Corte costituzionale, sentenza n. 188 del 1970, in Giurisprudenza costituzionale, 1970, p. 2158 e ss.
34 Corte costituzionale, sentenza n. 91 del 1973, in Giurisprudenza costituzionale, 1973, p. 932 e ss.
35 Il riferimento è a Corte costituzionale, sentenza. n. 237 del 1986, in Giurisprudenza costituzionale, 1986, p. 2056 e ss.
36 Corte costituzionale, ordinanza n. 491 del 2000, in Giurisprudenza costituzionale, 2000, p. 3785 e ss.
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Nonostante, dunque, un Giudice costituzionale restio a sindacare sul piano dell’eguaglianza le
disparità di trattamento tra coppie coniugate e coppie “di fatto”, la giurisprudenza costituzionale ha
però concorso a riconoscere anche alle convivenze more uxorio alcuni dei diritti propri della famiglia
legittima, adducendo una violazione dell’art. 2 Cost. e l’irragionevolezza della norma di volta in volta
sottoposta al suo sindacato.
In tal senso, si richiamano la sentenza n. 404 del 198837 che ha riconosciuto il diritto del convivente a
succedere nel contratto di locazione in caso di morte del conduttore attraverso un ragionamento imperniato sul carattere irragionevole della norma censurata, che risultava in una violazione del diritto fondamentale all’abitazione ex art. 2 Cost.38 e la sentenza n. 559 del 198939, in tema di diritto del convivente
a succedere nella posizione del convivente assegnatario dell’alloggio di edilizia residenziale in caso di
abbandono dell’alloggio da parte di quest’ultimo.
Ancora, questa volta nell’ambito del sistema penale, è stata la Corte costituzionale a sollecitare
l’intervento del legislatore, perché includesse anche il convivente tra i prossimi congiunti a cui è riconosciuta la facoltà di astenersi dal deporre nel processo penale40.
Interessante è da ultimo la sentenza n. 8 del 199641 in cui la Corte costituzionale è stata chiamata a
decidere sulla costituzionalità della mancata estensione al convivente della causa di non punibilità prevista nel caso di favoreggiamento personale quando il fatto sia stato commesso essendo costretti dalla
necessità di salvare il coniuge da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore. La Corte
costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione rispetto all’art. 3 Cost., in quanto mirando ad
una decisione additiva, essa implica l’esercizio di potestà discrezionali riservate al legislatore ed eccedenti quelle del Giudice costituzionale; non fondata rispetto all’art. 29, in quanto la valutazione, differenziatrice del rapporto di convivenza di fatto rispetto al vincolo coniugale, operata dall’art. 29, quale
punto di vista di principio assunto dalla Costituzione, costituisce criterio vincolante di comprensione
e classificazione, e quindi di assimilazione o differenziazione, dei relativi fatti sociali giuridicamente
rilevanti.
Tutto ciò premesso, può concludersi nel senso che, pur esprimendo un favor nei confronti della
famiglia legittima, la giurisprudenza costituzionale non considera le formazioni sociali diverse da
quest’ultima irrilevanti sul piano costituzionale, individuando nell’articolo 2 della Costituzione il fondamento costituzionale di una possibile regolamentazione giuridica delle medesime.
La Corte, dunque, riconosce e garantisce i diritti delle coppie di fatto alla luce dell’art. 2 della Costituzione, mentre utilizza in chiave negativa il principio di eguaglianza, in questo modo contribuendo
ad un’interpretazione chiusa dell’art. 29 della Costituzione, che limita la sua applicazione a un concetto
astratto di famiglia fondata sul matrimonio, giustamente ritenuto oggi non più rispondente alla realtà42.
37 Corte costituzionale, sentenza n. 404 del 1988, in Giurisprudenza costituzionale, 1988, p. 1789 e ss., con osservazioni di A. Pace,
Il convivente more uxorio, il “separato in casa” e il c.d. diritto “fondamentale” all’abitazione, ivi, p. 1801 e ss.
38 Così, la Corte costituzionale affermava che “l’art. 3 della Costituzione va qui invocato […] non per la sua portata eguagliatrice, restando comunque diversificata la condizione del coniuge da quella del convivente more uxorio, ma per la contraddittorietà logica della esclusione di un convivente dalla previsione di una norma che intende tutelare l’abituale convivenza. Se
l’art. 3 della Costituzione è violato per la non ragionevolezza della norma impugnata, l’art. 2 lo è quanto al diritto fondamentale che nella privazione del tetto è direttamente leso”.
39 Corte costituzionale, sentenza n. 559 del 1989, in Giurisprudenza costituzionale, 1989, p. 2564 e ss.
40 In questo senso Corte costituzionale, sentenza n. 6 del 1977, in Giurisprudenza costituzionale, 1977, p. 29 e ss., in cui il Giudice
costituzionale rilevava che “la normale presenza di quegli interessi — ossia l’esigenza di tutelare il sentimento familiare —
non dovrebbe rimanere senza una tutela per le dette situazioni omesse ed in particolare per quella che ricorre nella specie. E
sarebbe, quindi, compito del legislatore di valutare, per detti interessi, l’importanza e la diffusione”.
41 Corte costituzionale, sentenza n. 8 del 1996, in Giurisprudenza costituzionale, 1996, p. 81 e ss., con nota di A. Manna, L’art. 394
c.p.c. e la “famiglia di fatto”: ancora un ingiustificato “diniego di giustizia” da parte della Corte costituzionale?, ivi, p. 90 e ss.
42 Sul tema, si veda, in generale, C. Saraceno, Coppie e famiglie. Non è questione di natura, Milano, Feltrinelli, 2012.
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4. L’unione omosessuale come formazione sociale ex art. 2 Cost.:
l’ambigua decisione costituzionale n. 138 del 2010
Con la pronuncia n. 138 del 201043 , il giudice costituzionale ha deciso di non cogliere l’opportunità di
estendere l’istituto del matrimonio anche alle coppie composte da persone dello stesso sesso, avallando
un’interpretazione evolutiva del principio costituzionale a tutela della famiglia, ossia dell’art. 29 Cost.
La decisione nasce dal primo tentativo con cui alcuni tribunali hanno chiesto alla Corte costituzionale di giudicare intorno alla conformità a Costituzione di quelle norme del codice civile, che contengono la disciplina dell’istituto matrimoniale, postulando espressamente la diversità di sesso dei nubendi
quale requisito cui subordinare l’esistenza stessa del vincolo di coniugio.
La Corte costituzionale ha ritenuto, infatti, le questioni sollevate inammissibili, con riguardo ai profili attinenti agli artt. 2 e 117, comma 1, Cost. e infondate, in relazione agli artt. 3 e 29 Cost.
Nella sua decisione, la Corte costituzionale ha ritenuto che la scelta di porre una disciplina generale, astrattamente realizzabile non soltanto attraverso un’estensione del diritto al matrimonio, ma anche
in modi diversi, rientri nella sfera di discrezionalità che spetta al Parlamento, cui, il Giudice costituzionale ha rivolto un monito molto forte e non ignorabile44.
E tuttavia, in questa decisione la Corte fonda quella distinzione che ancor oggi alimenta lo scontro
ideologico, anche nelle aule parlamentari, fra “coppie omosessuali”, tutelate dall’articolo 2 della Costituzione 45 e “coppie eterosessuali”, a cui è riservata la disciplina matrimoniale dell’art. 29 Cost.
Con un ragionamento criticabile dal punto di vista dell’interpretazione costituzionale, il giudice
costituzionale ha eluso la domanda centrale sul principio di eguaglianza, unendo le due norme parametro (artt. 3 e 29 Cost.) e anteponendo l’argomentazione sull’art. 29 Cost. a quella sull’art. 3 Cost.
che, al contrario, avrebbe dovuto logicamente e costituzionalmente precederlo. Nella sentenza, infatti,
la questione afferente alla natura della discriminazione tra coppie è affrontata e risolta con una lettura dell’art. 29 Cost. cristallizzata alle scelte e allo scenario sociale e politico esistente all’epoca dei
costituenti, che certamente non potevano avere in mente il matrimonio fra persone dello stesso sesso.
Significativa la circostanza che, secondo il Giudice costituzionale, l’art. 29 Cost. dovrebbe essere interpretato alla luce di ciò che il codice civile prescriveva nel 1942 ed, infatti, sostiene la Corte “è vero che i
concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere ‘cristallizzati’ con riferimento all’epoca in
cui la Costituzione entrò in vigore, perché sono dotati della duttilità propria dei principi costituzionali
e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma
anche dell’evoluzione della società e dei costumi. Detta interpretazione, però, non può spingersi fino al
punto d’incidere sul nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e
problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata”46.
Secondo la Corte costituzionale, dunque, “il precetto costituzionale non può essere superato per via
ermeneutica, perché non si tratterebbe di una semplice rilettura del sistema o di abbandonare una prassi
interpretativa, bensì di procedere ad una interpretazione creativa”47.
Il giudice costituzionale non ha sinora mai smentito le affermazioni di principio contenute nella
sentenza n. 138 del 2010, ribadendo le conclusioni ivi raggiunte in due successive ordinanze, n. 276 del
201048 e n. 4 del 201149 e, di recente, nella decisione n. 170 del 201450.
43 Corte costituzionale, sentenza n. 138 del 2010, in Giurisprudenza costituzionale, 2010, p. 1604 e ss. A commento della pronuncia, v. M. D’Amico, Una decisione ambigua, in Notizie di Politeia, 2010, p. 85 e ss.; R. Romboli, La sentenza 138/2010 della Corte
costituzionale sul matrimonio omosessuale e le sue interpretazioni, in Rivista AIC, www.associazionedeicostituzionalisti.it, 2011; A.
Pugiotto, Una lettura non reticente della sent. n. 138/2010: il monopolio eterosessuale del matrimonio, in Forum di Quaderni costituzionali, www.forumcostituzionale.it, 2010.
44 Corte costituzionale, sentenza n. 138 del 2010, punto n. 8 del Considerato in Diritto.
45 Così, il punto n. 8 del Considerato in Diritto
46 Ibidem, punto n. 9 del Considerato in Diritto
47 Ibidem.
48 Corte costituzionale, ordinanza n. 276 del 2010, in Giurisprudenza costituzionale, 2010, p. 3386 e ss.
49 Corte costituzionale, ordinanza n. 4 del 2011, in Giurisprudenza costituzionale, 2011, p. 36 e ss.
50 Corte costituzionale, sentenza n. 170 del 2014, in Giurisprudenza costituzionale, 2014, p. 2694 e ss., con note di F. Saitto, L’incostituzionalità del “divorzio imposto” tra rettificazione di sesso e tutela del “pregresso vissuto” della coppia, ivi, p. 2706 e ss. e di F. Biondi,
La sentenza additiva di principio sul c.d. divorzio “imposto”: un caso di accertamento, ma non di tutela, della violazione di un diritto, in
Forum di Quaderni costituzionali, www.forumcostituzionale.it, 2014.
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La Corte costituzionale ha avuto ulteriore occasione per tornare ad esprimersi su queste problematiche in occasione della questione relativa al cd. divorzio imposto, in ragione del successivo mutamento
di sesso di un componente della coppia coniugata.
Con la sentenza n. 170 del 2014, infatti, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della disciplina dettata in materia di rettificazione dell’attribuzione di sesso, nella parte in cui non si prevede che la
relativa sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei coniugi — che determina lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio
— consenta, in ogni caso, laddove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia
giuridicamente regolato con un’altra forma di convivenza registrata, che tuteli in modo adeguato i diritti e gli obblighi della coppia medesima, con le modalità da stabilirsi da parte del legislatore.
La Corte, ancora una volta rivolgendo un chiaro e specifico monito al legislatore, ha in modo significativo richiamato espressamente la sentenza n. 138 del 2010, tenendo a sottolineare che la questione
sottoposta al suo giudizio rientra perfettamente in quelle specifiche situazioni in cui la stessa Corte ha
stabilito di poter intervenire per garantire un controllo di ragionevolezza51. Significativa la circostanza
che in applicazione della decisione della Corte costituzionale, la Corte di cassazione abbia fatto applicazione del principio, non essendo intervenuto il legislatore, negando lo scioglimento al vincolo matrimoniale della coppia stessa52. Una coppia omosessuale unita in matrimonio secondo il diritto italiano,
allora esiste.
5. La vita familiare nel sistema convenzionale:
dalle convivenze eterosessuali a quelle omosessuali
Anche a livello sovranazionale si è assistito alla progressiva evoluzione della nozione di famiglia, che
non sembrerebbe radicarsi sulla sola concezione tradizionale della famiglia fondata sul matrimonio, né
richiedere necessariamente la diversità di sesso dei nubendi.
Nella giurisprudenza del Giudice europeo, appare utile prendere le mosse dalla sentenza resa sul
caso Schalk e Kopf c. Austria53, in cui la Corte europea ha interpretato in modo innovativo gli articoli 8 e
9 della Convenzione.
Il caso muoveva dal ricorso presentato da una coppia di cittadini austriaci dello stesso sesso, che
lamentava la violazione dell’articolo 8, letto in combinato disposto con l’articolo 14 CEDU, e dell’art.
12 della Convenzione, a fronte dell’impossibilità di contrarre matrimonio all’interno dell’ordinamento
austriaco.
La Corte europea, pur escludendo la violazione dei principi convenzionali invocati da parte ricorrente — merita segnalare che nelle more del giudizio l’Austria aveva approvato una legge in tema
di riconoscimento delle coppie conviventi —, ha però riconosciuto che anche le coppie composte da
persone dello stesso sesso godono del diritto al rispetto della vita familiare e non soltanto di quello al
rispetto della vita privata54.
Inoltre, in relazione al diritto al matrimonio, la Corte si è espressa in favore di una lettura evolutiva dell’art. 12 CEDU, precisando che, pur a fronte del tenore letterale della norma, non può ritenersi
preclusa l’estensione del diritto al matrimonio anche alle unioni omosessuali, rimettendone, però, ogni
determinazione alla piena discrezionalità degli Stati contraenti55.
51 Punto n. 5.6. del Considerato. in Diritto
52 Il riferimento è a Corte di cassazione, prima sezione civile, sentenza n. 8097 del 21 aprile 2015.
53 Corte europea dei diritti dell’Uomo, Schalk e Kopf c. Austria, [Prima sezione], n. 30141/04, decisione del 24 giugno 2010. A
commento della sentenza, C. Ragni, La tutela delle coppie omosessuali nella recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti
umani: il caso Schalk e Kopf, in Diritti umani e diritto internazionale, 2010, p. 639 e ss.; G. Repetto, Il matrimonio omosessuale al vaglio
della Corte di Strasburgo, ovvero: la negazione “virtuosa” di un diritto, in Associazione italiana dei costituzionalisti www.associazionedeicostituzionalisti.it.
54 La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo aveva, infatti, escluso che all’unione omosessuale potesse essere
riconosciuta la titolarità del diritto al rispetto della vita familiare, circoscrivendone la tutela ex art. 8 CEDU alla solo vita privata. In questo senso, si rinvia alle pronunce rese sui casi Karner c. Austria, n. 40016/1998, decisione del 23 luglio 2003 e Mata
Estevez c. Spagna, n. 33290/1996, decisione del 10 maggio 2001.
55 Così, § 61.
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Interessa, infine, sottolineare come la Corte europea giunga a questa conclusione attraverso una
valorizzazione in chiave interpretativa dell’articolo 9 della cd. Carta di Nizza ove, a tutela del diritto al
matrimonio, manca qualsiasi riferimento alla diversità di sesso dei nubendi.
In senso analogo e, dunque, a rafforzare l’orientamento giurisprudenziale inaugurato con Schalk e
Kopf c. Austria, è intervenuta di recente un’ulteriore pronuncia della Grande Camera della Corte europea
dei diritti dell’Uomo, Vallianatos e altri c. Grecia56.
Il ricorso è stato promosso da due coppie di cittadini greci, composte da persone dello stesso sesso,
che lamentavano l’esclusione dalla possibilità di accedere all’istituto dell’unione civile registrata, così
come introdotto e disciplinato dalla legge greca che ne circoscriveva l’accesso alle sole coppie conviventi
eterosessuali. Parte ricorrente invocava, pertanto, la violazione dell’art. 8, in combinato disposto con
l’art. 14 CEDU, a motivo del carattere discriminatorio, fondato sull’orientamento sessuale, della normativa così congeniata.
La Grande Camera, prendendo le mosse dall’ormai consolidata tesi della perfetta sovrapponibilità
delle condizioni in cui versano rispettivamente coppie conviventi eterosessuali ed omosessuali57, ha
concluso per la violazione degli artt. 8 e 14 CEDU.
5.1. I ricorsi depositati presso la Corte europea dei diritti dell’Uomo e la condanna dell’Italia
in Oliari e altri c. Italia
Le difficoltà riscontrate sul piano dell’intervento legislativo di livello nazionale hanno indotto negli
ultimi anni molte coppie italiane a rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’Uomo al fine di ottenere
il riconoscimento per le unioni omosessuali del diritto al matrimonio e del diritto alla trascrizione del
matrimonio o dell’unione civile registrata conclusi all’estero all’interno dell’ordinamento giuridico italiano58.
Oliari e altri c. Italia è intervenuta in relazione ai ricorsi promossi da quelle coppie che lamentavano
l’impossibilità di vedere riconosciuta la propria unione coniugale entro il contesto ordinamentale italiano e, come già evidenziato in apertura, ha accertato la violazione del diritto alla vita privata e familiare
delle coppie ricorrenti, mentre ha escluso la violazione del diritto al matrimonio di cui all’art. 12 CEDU
in combinato disposto con l’art. 14 CEDU.
Sotto quest’ultimo aspetto, la Corte ribadisce la natura non convenzionalmente imposta del diritto
al matrimonio, la cui introduzione è rimessa alle scelte discrezionali degli Stati contraenti in accordo con
la sua giurisprudenza pregressa inaugurata con Schalk e Kopf c. Austria. Nella sentenza si legge, infatti,
che “nonostante la graduale evoluzione degli Stati in materia (undici Stati membri del Consiglio d’Europa hanno attualmente riconosciuto il matrimonio omosessuale) le conclusioni cui essa è giunta nelle
summenzionate cause rimangono pertinenti. La Corte ribadisce conseguentemente che l’articolo 12 della Convenzione non pone in capo al Governo convenuto l’obbligo di concedere accesso al matrimonio a
una coppia omosessuale quale i ricorrenti. Analogamente, nella causa Schalk e Kopf, la Corte ha ritenuto
che non si possa interpretare neanche l’articolo 14 in combinato disposto con l’articolo 8, disposizione
con finalità e campo di applicazione più generale, come se esso imponesse tale obbligo. La Corte ritiene
che lo stesso possa essere affermato dell’articolo 14 in combinato disposto con l’articolo 12. Ne consegue
che sia la doglianza ai sensi dell’articolo 12 considerato singolarmente, sia quella ai sensi dell’articolo
14 in combinato disposto con l’articolo 12 sono manifestamente infondate e devono essere rigettate in
applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione”59.
Assorbita rimane, infine, la doglianza rispetto all’art. 14 CEDU, in combinato disposto con l’art. 8
CEDU60.
56 Corte europea dei diritti dell’Uomo, Vallianatos e altri c. Grecia, Grande Camera, nn. 29381/09 32684/09, decisione del 7 novembre 2013.
57 Si veda § 78.
58 Il riferimento è al ricorso n. 36030/2011, depositato in data 10 giugno 2011, Felicetti e altri c. Italia, poi deciso dalla Corte Edu
con la sentenza Oliari e altri c. Italia e ai successivi ricorsi, tuttora pendenti dinanzi alla Corte Edu, promossi in conseguenza
del diniego della trascrizione entro l’ordinamento giuridico interno delle civil partnership concluse all’estero: Orlandi e altri c.
Italia, n. 26413/12, introdotto in data 20 aprile 2012; Isita e Bray c. Italia, ricorso n. 26742/2012, anch’esso depositato in data il
20 aprile 2012; Goretti e altri c. Italia, n. 44057/2012, introdotto il 6 luglio 2012.
59 Si vedano §§ 192, 193, 194.
60 Si veda § 188.
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Interventi
Marilisa D’Amico
In definitiva, la sentenza ha imposto allo Stato italiano di provvedere celermente all’introduzione di
una forma di regolamentazione delle unioni stabili tra persone dello stesso sesso stabili in ottemperanza
ad un obbligo internazionale che oggi segue i moniti, purtroppo rimasti inascoltati negli ultimi anni.
6. Il testo in discussione alle Camere, DDL nn. 14 e connessi61
Qualche cenno può infine essere dedicato alla proposta di legge, cd. disegno di legge Cirinnà62, Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze, che costituisce una
proposta di superamento della situazione ordinamentale italiana censurata dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo in Oliari e altri c. Italia.
La proposta di legge, DDL nn. 14 e connessi, — attualmente in discussione in sede referente presso
la Commissione Giustizia del Senato della Repubblica — è articolata in due Titoli, Delle unioni civili e
Della disciplina delle convivenze e si propone di introdurre la prima disciplina organica relativa da un
lato alle unioni fra persone che appartengono allo stesso sesso e dall’altro lato alla convivenza di fatto
che duri da almeno tre anni o da almeno un anno in presenza di figli Comuni.
In particolare, con il Titolo I si intende introdurre nel nostro ordinamento la disciplina della condizione giuridica dell’unione tra persone dello stesso sesso, sinora sprovvista di una regolamentazione
organica a livello di diritto nazionale, nonostante l’esplicito monito rivolto dalla Corte costituzionale al
legislatore ormai cinque anni fa con la nota sentenza n 138 del 2010 e ribadito con la sentenza n. 170 del
2014.
Un primo tratto caratterizzante della proposta in commento attiene alla scelta di circoscriverne
l’applicabilità alle sole coppie composte da persone dello stesso sesso.
In proposito, merita precisare che tale proposta si inserisce in un contesto che ha visto la stesura di
numerose proposte di legge suddivisibili schematicamente innanzitutto in due categorie: in una prima
categoria, possono collocarsi quelle proposte che miravano a un’estensione del diritto al matrimonio
anche alle coppie composte da persone dello stesso sesso; nella seconda, hanno trovato spazio proposte
che, analogamente alla presente, ritenevano necessario procedere alla creazione per via legislativa di un
istituto giuridico nuovo, analogamente a quanto accaduto in alcuni Stati membri dell’Unione Europea
tramite l’istituto delle cd. civil partnerships. Entro quest’ultima tipologia di intervento è, poi, possibile
operare un’ulteriore distinzione a seconda che l’istituto dell’unione civile venga riservato in via esclusiva alle sole coppie composte da persone dello stesso sesso oppure sia destinato anche alle coppie
eterosessuali.
La proposta di legge all’esame delle Camere risulta particolarmente vicina al modello tedesco, Eingetragene Lebenspartnerschaft (LPartG), nella sua scelta di voler riservare l’istituto dell’unione civile alle
sole coppie omosessuali63.
Quanto ai contenuti, la proposta prevede l’istituzione in ogni Comune italiano di un Registro delle
Unioni Civili nazionale, con contestuale elencazione delle cause impeditive all’iscrizione dell’unione
civile. L’iscrizione all’interno del Registro comporta il rilascio di un documento attestante lo stato dell’unione civile tra i due componenti.
Dal punto di vista della normativa applicabile all’unione civile, la proposta rinvia alla disciplina
dettata dal codice civile con riferimento al matrimonio con la sola eccezione dell’istituto dell’adozione
per il quale viene mantenuta ferma la disciplina attualmente vigente di cui alla legge n. 183 del 1984;
un’eccezione, però, temperata dalla previsione della cd. step-child adoption, istituto che consente l’adozione del figlio naturale del partner64.
61 Il riferimento è alla proposta di legge nel testo noto al momento della relazione, tenuta in data 2 ottobre 2015.
62 Per un’approfondita analisi del testo e dei suoi profili di compatibilità con il dettato costituzionale, v. M. D’Amico, presso la
Commissione Giustizia del Senato della Repubblica in data 14 gennaio 2015 e pubblicata su Osservatorio AIC, www.associazionedeicostituzionalisti.it..
63 Per un approfondimento intorno alla normativa tedesca, si vedano Il matrimonio tra persone dello stesso sesso in alcuni Stati europei, P. Passaglia (a cura di), reperibile al seguente link: http://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/
CC_SS_Il_matrimonio_tra_persone_stesso_sesso_12012010.pdf.; M. Bonini Baraldi, Le nuove convivenze tra discipline straniere
e diritto interno, Milano, Ipsoa, 2005.
64 Si tratta della modifica di maggiore rilievo rispetto al testo originariamente in discussione presso la Commissione Giustizia
del Senato della Repubblica e contenuta nel cd. Cirinnà bis.
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Interventi
Marilisa D’Amico
La proposta di legge, inoltre, mostra di colmare alcune delle lacune più evidenti e di sopperire
all’irragionevolezza delle disparità di trattamento riscontrabili tra coppie coniugate e coppie omosessuali con particolare riferimento all’assistenza, sanitaria e penitenziaria e alla materia successoria.
La proposta interviene, infine, anche sulla patologia dell’unione civile come emerge dalle disposizioni dedicate allo scioglimento dell’unione.
7. Conclusioni
In Europa, in altri Paesi, ci sono legislatori e giudici, in Italia, ci sono solo i giudici65.
Nelle decisioni della Corte costituzionale, l’articolo 29 Cost. è stato interpretato in modo limitato e
riduttivo e questo ha contribuito ad alimentare uno scontro ideologico sulla nozione di “famiglia”, che
accende il dibattito politico, che ritroviamo nelle aule del Parlamento, dove purtroppo la Costituzione
viene piegata alle esigenze partigiane, ma che è totalmente estranea alla società, dove esistono invece
tante Comunità affettive, tante famiglie.
Un aspetto al quale non segue quello che diceva Aldo Moro, secondo cui “c’è quello che solo vale
ed al quale bisogna inchinarsi, un modo nuovo di essere nella condizione umana. È affermazione di
ogni persona, in ogni condizione sociale, dalla scuola al lavoro, in ogni luogo del nostro Paese, in ogni
lontana e sconosciuta regione del mondo; è l’emergere di una legge di solidarietà, di eguaglianza, di
rispetto di gran lunga più seria e cogente che non sia mai apparsa nel corso della storia. E, insieme con
tutto questo ed anzi proprio per questo, si affaccia sulla scena del mondo l’idea che, al di là del cinismo
opportunistico, ma, che dico, al di là della stessa prudenza e dello stesso realismo, una legge morale,
tutta intera, senza compromessi, abbia infine a valere e dominare la politica, perché essa non sia ingiusta e neppure tiepida e tardiva ma intensamente umana”66; un’umanità che, come afferma il Giudice
costituzionale, è propria anzitutto della Costituzione che “non giustifica una concezione della famiglia
nemica delle persone e dei loro diritti”67.
65 Sulla vicenda che ha interessato l’istituzione in numerosi Comuni italiani dei Registri delle Unioni Civili nella volontà di colmare almeno a livello locale le lacune normative di livello nazionale, si vedano, M. D’Amico, Diritti LGBT e “nuove famiglie”
in Italia, cit. e L. Imarisio, Il registro delle unioni civili, in Convegno annuale dell’Associazione “Gruppo di Pisa”, Catania 7-8
giugno 2013, La famiglia davanti ai suoi giudici, 2013.
66 On. A. Moro, 21 novembre 1968.
67 Corte costituzionale, sentenza n. 494 del 2002, in Giurisprudenza costituzionale, p. 4065.
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Interventi
Joëlle Long*, Manuela Naldini
Joëlle Long*, Manuela Naldini**
“Turismo” matrimoniale e procreativo:
alcune riflessioni socio-giuridiche
Sommario
1. “Fare” famiglia oggi – 2. Quid iuris? – 3. Un tentativo di bilancio
Abstract
Uno dei corollari della globalizzazione è l’aumento del “turismo” matrimoniale e procreativo. Un numero sempre più consistente di individui infatti si reca transitoriamente all’estero al solo scopo di realizzare un progetto familiare impossibile o difficile nel Paese di origine per l’esistenza di limiti normativi o
comunque di vincoli che riducono le chance di successo del disegno. La comparazione diacronica e sincronica delle risposte date dai diversi ordinamenti giuridici a questi fenomeni consente di individuare
alcune linee di tendenza: a) la progressiva erosione dell’ambito di operatività dell’ordine pubblico quale
baluardo contro la trascrivibilità degli atti di famiglia formati all’estero nell’intento di eludere il diritto
interno; b) il superamento della contrapposizione tra il riconoscimento sostanziale dello status familiare
costituito all’estero e la trascrizione, la cui funzione com’è noto è meramente dichiarativa. Il riconoscimento della legittimità di queste “pratiche di resistenza” messe in atto contro il proprio diritto nazionale
vissuto come “in-giusto” promuove indubbiamente la tutela di diritti percepiti come fondamentali in
un numero crescente di Paesi, segnatamente sotto il profilo del diritto delle coppie dello stesso sesso
alla formalizzazione della loro relazione di coppia e del diritto di ciascuno a non subire ingiustificate
ingerenze in ambito procreativo. D’altro canto, tuttavia, a causa dei costi della realizzazione del progetto, appare concreto il rischio di una discriminazione censitaria nell’accesso e nel godimento dei diritti.
One of the consequences of globalization is the rise of marriage and reproductive “tourism”. Indeed, a growing
number of individuals temporarily go abroad to create a family project that is impossible or difficult to achieve in
their own country due to legal limits or other stumbling blocks. A diachronic and synchronic comparison of the
norms established by different legal systems regarding these phenomena enables us to identify a number of trends:
a) the gradual erosion of public order as a safeguard against the registration of civil status acts which were obtained
abroad to circumvent the limits established by domestic law; b) civil status registration, although a purely declaratory act, effectively legitimates the family status acquired abroad; furthermore, if registration is refused, this does
not prejudice the individual’s right to safeguard the family life established abroad. Acknowledging the legitimacy
of these “practices of resistance” against domestic laws perceived as “un-just” would undoubtedly contribute to
safeguarding rights perceived as fundamental in a growing number of countries, namely the right of same-sex
couples to formalize their relationships, and the right to avoid unjustified interference in reproductive choices. On
the other hand, however, because of the cost of the project, there seems to be a real risk of economic discrimination
when it comes to accessing and enjoying these rights.
*
**
Ricercatore di diritto privato, Università di Torino
Associato di Sociologia dei processi culturali e comunicativi, Università di Torino
Manuela Naldini ha scritto il par.1 e Joëlle Long il 2 e il 3. Il contributo viene pubblicato in seguito a referees a doppio cieco.
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Interventi
Joëlle Long*, Manuela Naldini
1. “Fare” famiglia oggi
La moltiplicazione nei modi di “fare” famiglia e di diventare genitori e figli è una delle più importanti
novità del XXI secolo. Da un lato la crescente instabilità coniugale (con l’aumento delle separazioni e
dei divorzi), dall’altro le opportunità aperte dalle tecniche di riproduzione assistita e l’introduzione dei
test del DNA, cui conseguono nuove possibilità per i figli di conoscere le proprie origini biologiche e
maggiori difficoltà per i padri di aggirare le responsabilità genitoriali, hanno ampliato i modi di diventare una famiglia. Famiglia e matrimonio non coincidono più. Si è coppia indipendentemente dall’orientamento sessuale. Figli e genitori si diviene, e si è, in molti modi. Oltre a ciò, la globalizzazione e le
migrazioni transnazionali rendono visibile non solo l’ampio ventaglio dei modi di concepire la famiglia,
ma anche le differenti opportunità e le differenze normative tra Paesi in tema di rapporti familiari.
E’ in questo corollario che si inserisce il fenomeno del “turismo” matrimoniale e, soprattutto, procreativo1. In un numero crescente di casi infatti alcuni individui si spostano transitoriamente all’estero
allo scopo di realizzare un progetto familiare impossibile o difficile nel Paese di origine (di solito quello
di cittadinanza e residenza abituale) per l’esistenza di specifici limiti normativi che riducono le chance
di realizzare la famiglia scelta2. I casi più ricorrenti oggi in Italia sono l’espatrio di coppie italiane dello
stesso sesso per la celebrazione delle nozze o il viaggio oltre i confini nazionali di coppie di donne per il
concepimento di un figlio mediante fecondazione eterologa. Meno diffusi, ma comunque presenti, sono
il ricorso all’estero alla gestazione per altri (GPA, Gestation pour autrui, nel linguaggio tecnico della Corte
europea dei diritti umani) da parte di partner eterosessuali o gay, l’adozione piena all’estero da parte di
una persona coniugata, seguita poi dalla richiesta in Italia di riconoscimento della genitorialità sociale
dell’altro coniuge tramite l’istituto dell’adozione in casi particolari o ancora la scelta di cittadini italiani
residenti in Italia di recarsi in un Paese islamico per ricevere in affidamento a tempo tendenzialmente
indeterminato un minore tramite l’istituto della kafala. Esistono peraltro anche esempi risalenti nel tempo di “turismo procreativo”: pensiamo al ricorso all’adozione internazionale prima dell’introduzione di
una disciplina organica della stessa mediante la legge n. 184 del 1983.
Le domande di ricerca cui intendiamo rispondere in questo lavoro sono essenzialmente due.
La prima concerne il ruolo dell’ordine pubblico nella battaglia sulla trascrivibilità degli status familiari costituiti all’estero nell’intento di eludere i divieti posti dal diritto del Paese di origine. Com’è noto,
infatti, l’individuazione dei principi che costituiscono l’ordine pubblico presuppone un’operazione di
selezione che è socio-culturale oltreché giuridica, e risulta in relazione a questi temi particolarmente delicata e anche controversa poiché il diritto familiare è fortemente radicato nell’etica e nel costume sociale
e quindi le sue norme sono spesso considerate di per sé come “fondamentali”3. Lo stesso principio del
superiore interesse del minore poi può giocare in funzione estensiva o restrittiva dell’ordine pubblico:
da un lato spingendo a qualificare come norme di ordine pubblico quasi tutte le norme di diritto minorile, dall’altro imponendo di tener conto degli effetti che dall’esclusione dell’ingresso del diritto straniero
deriverebbero sui minori coinvolti.
Il secondo quesito riguarda invece i risvolti sociali del turismo matrimoniale e procreativo nei Paesi
in cui il diritto non mostra di essersi adeguato ai mutamenti familiari e genitoriali. Appare in particolare
interessante indagare le discriminazioni nell’accesso al matrimonio e alla filiazione dovute a differenze
nelle risorse culturali e sociali degli individui e delle coppie coinvolte, ma anche a diversità di qualità e
costo della prestazione. Più in generale, occorre poi chiedersi quali siano gli effetti della circolazione dei
modelli familiari sulla nozione di “famiglia” che emerge dal corpus normativo interno.
Per rispondere a tali domande, integreremo alla prospettiva giuridica un approccio sociologico,
attento ai mutamenti familiari e ai risvolti sociali di fenomeni come quello oggetto di questo articolo. In
1
Siamo consapevoli del fatto che il termine “turismo” evoca l’immagine spensierata di una vacanza e che invece la percezione
che hanno i protagonisti di questi progetti migratori è piuttosto quella di un espatrio obbligato, un “esilio” (sul punto cfr.
M. C. Inhorn e P. Patrizio, Rethinking reproductive “tourism” as reproductive “exile”, in Fertility and Sterility, volume 92, 3, pp.
904–906). Ciononostante utilizzeremo tale locuzione essendo ormai invalsa nel linguaggio comune e degli addetti ai lavori.
Cfr. da ultimo M. C. Venuti, Coppie sterili o inferitili e coppie “same sex”. La genitorialità negata come problema giuridico, in Rivista
critica di diritto privato, 2015, pp. 259-295, in particolare p. 266.
2
In Italia, com’è noto, possono accedere alla procreazione medicalmente assistita solo le coppie di sesso diverso. Ne sono dunque esclusi i singoli e le coppie dello stesso sesso.
3
Per questa ragione nel diritto di famiglia italiano continuano ad avere una rilevanza peculiare norme implicite (alcune delle
quali riconducibili a veri e propri crittotipi) espressione di una dimensione sociale “pre-giuridica” della famiglia: pensiamo
al “postulato implicito” del carattere eterosessuale del matrimonio (così Corte di cassazione, sentenza del 15 marzo 2012,
n.4184) e alla regola della trasmissione del cognome paterno ai figli. Cfr. Questioni di genere nel diritto: impliciti e crittotipi, L.
Morra e B. Pasa (a cura di), Torino, Giappichelli, 2015.
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Interventi
Joëlle Long*, Manuela Naldini
particolare, cercheremo di confrontare la situazione italiana con quella di alcuni Stati ritenuti esemplificativi dei diversi modelli di diritto familiare. Per il turismo matrimoniale i Paesi di interesse saranno
Israele e Italia: in entrambi infatti le coppie same-sex sono escluse dall’accesso al matrimonio e non esistono — neanche per le coppie omosessuali — modalità di formalizzazione della relazione di coppia
alternative al coniugio. Oltre a ciò, Israele ha caratteristiche peculiari: il diritto di famiglia è di matrice
religiosa (non esistono pertanto né il matrimonio né il divorzio civile) ed è incentrato sul matrimonio religioso, malgrado i modelli “alternativi” di famiglia rappresentino ormai nella pratica quasi la metà dei
nuclei familiari. Quanto al turismo procreativo, il focus sarà sulla procreazione medicalmente assistita
e dunque sulla fecondazione eterologa scelta da coppie di lesbiche che vivano in Paesi — come l’Italia,
la Croazia e l’Ungheria — ove l’accesso alla procreazione medicalmente assistita non è consentito a
coppie omosessuali o a singoli e sulla gestazione per altri commissionata da coppie eterosessuali o gay
che vivano in uno dei tanti Paesi in cui essa è vietata. Anche qui l’Italia appare meritevole di specifica
attenzione a causa della rilevanza quantitativa del turismo procreativo. Secondo la più recente indagine
disponibile infatti il 32% circa di tutti i cicli di trattamento di procreazione medicalmente assistita su
pazienti stranieri — tra quelli effettuati da 46 cliniche operanti in Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca,
Svizzera, Slovenia e Spagna — vede coinvolti cittadini italiani, seguiti da tedeschi (nel 15% dei casi),
olandesi e francesi4.
2. Quid iuris?
La comparazione diacronica e sincronica delle risposte date dai diversi ordinamenti giuridici ai fenomeni del turismo matrimoniale e procreativo consente di individuare alcune linee di tendenza comuni: a) la progressiva erosione dell’ambito di operatività dell’ordine pubblico quale baluardo contro la
trascrivibilità degli atti di famiglia formati all’estero nell’intento di eludere il diritto interno; b) che la
trascrizione, sebbene abbia una efficacia meramente dichiarativa, promuove di fatto il riconoscimento
dello status familiare e che comunque la mancata trascrizione non pregiudica il diritto individuale alla
tutela della vita familiare costituita all’estero.
a) In materia matrimoniale la non annoverabilità della diversità di sesso tra i nubendi tra i principi
di ordine pubblico è oggi pacifica sia nei Paesi che — come Israele — ammettono la trascrizione del
matrimonio tra persone dello stesso sesso sia in quelli — come l’Italia — in cui essa è (ancora) negata.
Nella storica sentenza Ben-Ari la Corte suprema israeliana, prima di pronunciarsi a favore della
trascrivibilità degli atti di matrimonio di cinque coppie israeliane dello stesso sesso coniugate in Canada conformemente al diritto locale, tocca il tema della conformità di tali nozze all’ordine pubblico e
riferisce che il rappresentante del Governo — a domanda diretta della Corte — aveva precisato che non
intendeva valersi di tale argomento e porre la questione da un punto di vista di giudizio di valore sul
matrimonio same-sex5.
In Italia, il limite dell’ordine pubblico aveva inizialmente avuto un ruolo centrale per negare la
trascrivibilità. Nel 2005 il Tribunale di Latina, scriveva infatti che la contrarietà all’ordine pubblico del
matrimonio tra persone dello stesso sesso deriva dal suo contrasto “con la storia, la tradizione, la cultura della comunità italiana, secondo una valutazione recepita dal legislatore e trasfusa nelle norme di
legge”6. Tale richiamo è stato tuttavia com’è noto progressivamente abbandonato dalla giurisprudenza
di legittimità e di merito e dalla prassi amministrativa7. Le ragioni di tale abdicazione paiono essenzialmente due. La prima è la condivisione di principi e valori, tra cui il divieto di discriminazioni sulla base
4
F. Shenfield, J. de Mouzon, G. Pennings, A.P. Ferraretti, A. Nyboe Andersen, G. de Wert, V. Goossens, Cross Border Reproductive
Care in Six European Countries, in Human Reproduction, 2010, volume 25, 6, pp. 1361-1368.
5
HCJ 3045/05, Ben-Ari v. The Director of the Population Administration in the Ministry of the Interior, sentenza del 21 novembre
2006, par. 20.
6
Tribunale di Latina, sentenza del 10 giugno 2005, in Famiglia e diritto, 2005, p. 411 che cita il conforme parere espresso con
nota del 28 febbraio 2004 dal Ministero dell’Interno sulla vicenda e Circolari del Ministero dell’Interno del 26 marzo 2001 e
18 marzo 2007.
7
I successivi gradi di giudizio della controversia oggetto di esame del Tribunale di Latina nel 2005 già abbandonano i riferimenti all’ordine pubblico, pur ribadendo la non trascrivibilità: Corte d’appello di Roma, sentenza del 13 luglio 2006, in
Famiglia e diritto, 2007, p. 166 e Corte di cassazione, sentenza del 15 marzo 2012, n. 4184, in Articolo29, www.articolo29.it. Il
riferimento all’ordine pubblico è inoltre sparito nella Circolare Min. Interno del 7 ottobre 2014 che pure continua a negare la
trascrizione.
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Interventi
Joëlle Long*, Manuela Naldini
dell’orientamento sessuale (art. 14 CEDU e art. 21 Carta di Nizza), il diritto delle coppie dello stesso
sesso al rispetto della vita familiare (Corte Edu, 24 giugno 2010, Schalk e Kopf c. Austria) e, nello specifico,
alla formalizzazione della loro relazione di coppia (Corte Edu, 27 giugno 2015, Oliari c. Italia), nonché la
libertà di circolazione entro i confini dell’Unione (cfr. art. 3, paragrafo 2, Trattato sull’Unione europea e
art. 4, paragrafo 2, lettera a), e articoli 20, 26 e 45-48 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea)8.
L’appartenenza all’Unione europea e al Consiglio d’Europa dovrebbe infatti di per sé impedire di considerare contrario ai propri principi fondamentali un atto posto in essere in un altro Stato membro, conformemente al diritto locale. Al medesimo risultato dovrebbe poi contribuire in generale l’incremento
del numero di diritti nazionali “altri” che riconoscono alle coppie dello stesso sesso il diritto di contrarre
matrimonio9.
Con riferimento al turismo procreativo, invece, il percorso di riduzione del ruolo dell’ordine pubblico è più lento. Tutti i principi di ordine pubblico individuati stanno infatti progressivamente cedendo
rispetto alla necessità di garantire l’interesse dei minorenni10.
L’ordinamento francese, il più restio ad ammettere il riconoscimento di effetti nello Stato alla gestazione per altri11, ha recentemente ammesso la trascrizione dell’atto di nascita che indichi come genitori
la madre surrogata e il padre committente che sia anche genitore biologico12. Si è così sovvertito il consolidato orientamento secondo cui la trascrizione di tali atti sarebbe di per sé contraria all’ordine pubblico
poiché la GDA è lesiva della dignità delle madri surrogate e causa di una mercificazione dello stato di
filiazione. Il revirement francese si deve in gran parte a due condanne sul punto subite dall’ordinamento
d’oltralpe a opera della Corte Edu, 26 giugno 2014, Mennesson c. Francia e Labassee c. Francia, in cui la
Corte afferma che la discrezionalità dello Stato risulta limitata dall’esistenza di un legame genetico tra i
bambini e gli uomini delle coppie eterosessuali committenti. Secondo la Corte Edu, il diritto dei minori
al rispetto della vita privata imponeva il riconoscimento quantomeno del vincolo di genitorialità nei
confronti del genitore genetico.
Nel dicembre 2014 la Corte costituzionale tedesca ha affermato che non è contrario all’ordine pubblico il riconoscimento in Germania di una decisione giudiziaria californiana che indica come genitori
la coppia committente: ai fini della determinazione del contenuto dell’ordine pubblico devono infatti
essere considerati anche il migliore interesse del minore e l’interesse a evitare situazioni giuridiche
claudicanti13.
In Italia, una sentenza della Corte di appello di Torino ha ammesso la trascrizione dell’atto di nascita di un minore concepito e nato in Spagna da due donne residenti in Italia: la prima delle quali, di
cittadinanza spagnola, aveva portato avanti la gravidanza, mentre la seconda aveva fornito l’ovocita
poi fecondato con il seme di un donatore anonimo e impiantato nell’utero della compagna14. Nella
pronuncia l’argomento dell’ordine pubblico viene ribaltato: esso non solo non impedisce la trascrizione
ma impone di “garantire la copertura giuridica ad una situazione di fatto in essere da anni, nell’esclusivo interesse di un bambino che è stato cresciuto da due donne che la legge riconosce entrambe come
8
Cfr. Tribunale di Grosseto, sentenza del 26 febbraio 2015, in Articolo29, www.articolo29.it., che sottolinea la partecipazione
dell’Italia “a un sistema ordinamentale multilivello”, con la conseguenza che “il vaglio della trascrivibilità del matrimonio
omosessuale non può prescindere dal sistema di garanzie apprestato dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea
e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo alla luce della giurisprudenza della Corte di Strasburgo”.
9
Così Tribunale di Grosseto, sentenza del 26 febbraio 2015, cit., secondo cui “appare allora particolarmente rilevante il numero
di Stati che in Europa riconosce il matrimonio omosessuale..”. Il fatto che il progressivo consensus riduca il margine di discrezionalità da riconoscere agli Stati nella scelta delle modalità di implementazione dei diritti fondamentali è del resto principio
costantemente affermato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (sul tema cfr. in generale F. Viglione, Dubbi e ambiguità sul
ruolo del diritto comparato nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Europa e Diritto Privato, 2015, p. 177).
10 Così G. O. Cesaro, P. Lovati, G. Mastrangelo, La famiglia si trasforma. Status familiari costituiti all’estero e loro riconoscimento in
Italia, tra ordine pubblico ed interesse del minore, Milano, Franco Angeli, 2014.
11 Esiste nell’ordinamento un’apposita norma di diritto civile che dichiara nullo il contratto di gestazione per altri (art. 16-7 Code
civil). Significativo mi pare poi il dato culturale dell’animosità di buona parte della dottrina francese contro le sentenze della
Corte europea: cfr. G. Puppinck, C. de la Hougue, Paradiso et Campanelli c/ Italie: la CEDH entérine une vente d’enfant par GPA,
in Revue Lamy Droit Civil, n.126, 2015 e Id., Vers la libéralisation de la GPA - À propos des affaires Mennesson c/ France et Labassee c/
France, in Revue Lamy Droit Civil, n.128, 2014.
12 Cour de Cassation, Assemblée plénière, sentenza del 3 luglio 2015, n. 619 (ricorso n. 14-21.323) e n. 620 (ricorso n.15-50.002),
in www.courdecassation.fr.
13 Bundesgerichtshof, sentenza del 10 dicembre 2014. La Corte si riserva in modo esplicito la facoltà di decidere diversamente in
situazioni diverse, segnatamente il caso in cui nessuno dei committenti sia padre biologico o che la madre di parto sia anche
madre biologica (vd. par. 53).
14 Corte d’appello di Torino, sentenza del 29 ottobre 2014, in Articolo29, www.articolo29.it.
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Interventi
Joëlle Long*, Manuela Naldini
madri”15. La sentenza è stata peraltro oggetto di ricorso alla Cassazione da parte del Procuratore generale che fonda il suo atto proprio sulla contrarietà all’ordine pubblico degli effetti della trascrizione:
“che il principio per cui la filiazione sia necessariamente discendenza da persone di sesso diverso sia un
principio fondamentale, e addirittura immanente perché discendente dal diritto naturale, non sembra
possa in alcun modo essere messo in discussione, con conseguente contrasto con l’ordine pubblico”16.
Rimane invece in tutti gli Stati, con l’avallo della Corte europea dei diritti dell’uomo17, il diniego
di trascrizione dell’atto di nascita del minore concepito all’estero con GPA nel caso in cui manchi un
rapporto genetico di filiazione con entrambi i membri della coppia committente. In tal caso infatti il
principio di ordine pubblico che si assume violato è quello secondo cui gli aspiranti genitori di un minore con il quale non abbiano vincoli genetici debbano seguire le procedure e le garanzie previste dalla
normativa sull’adozione dei minorenni18. La ragione — evidente — della resistenza di questo principio
di ordine pubblico è che anch’esso è espressione del principio del superiore interesse del minore, inteso
in questo caso non con riferimento concreto a un singolo bambino, ma a tutti i bambini che potrebbero
astrattamente essere lesi nel loro diritto a una famiglia migliore possibile qualora si aprisse un canale
indiscriminato per il loro procacciamento a opera di aspiranti genitori.
b) Un altro elemento di interesse che emerge dalla giurisprudenza e dalla prassi amministrativa in
materia di turismo matrimoniale e procreativo è il carattere formalistico (e pretestuoso) della contrapposizione tra trascrizione e riconoscimento della situazione familiare. Nella pratica, infatti, la trascrizione,
sebbene abbia formalmente efficacia meramente dichiarativa, apre la strada al riconoscimento dello
status familiare. Oltre a ciò, la mancata trascrizione non pregiudica il diritto individuale alla tutela della
vita familiare costituita all’estero.
In effetti, in tutti i Paesi esaminati, la battaglia contro il turismo matrimoniale e procreativo coinvolge essenzialmente il piano della trascrivibilità degli atti di famiglia formati all’estero, segnatamente sotto il profilo della loro conformità all’ordine pubblico, che si tende a identificare con il diritto nazionale19.
Nel momento in cui — come illustrato supra — l’argomento dell’ordine pubblico “evapora”, si ammette
la trascrizione e, de plano, quasi come una conseguenza necessitata della stessa, il riconoscimento dello
status familiare costituito all’estero.
Nella già menzionata pronuncia della Corte suprema israeliana sulla trascrivibilità si sottolinea
che la trascrizione dell’atto di matrimonio è un passaggio obbligato per l’ufficiale di stato civile cui sia
presentata un’idonea certificazione formata da una pubblica autorità all’estero lege fori. La preoccupazione che emerge nella sentenza è di mantenere distinti i piani della trascrivibilità e del riconoscimento
dello status, evitando ogni giudizio sulla “validità” dei matrimoni tra persone dello stesso sesso e quindi
sullo status coniugale dei ricorrenti (“i ricorrenti non stanno chiedendo di riconoscere la validità del
loro matrimonio celebrato all’estero in Israele… i ricorsi pongono la questione dei poteri dell’ufficiale
dello stato civile di rifiutare la trascrizione e non una questione di validità del matrimonio… non stiamo
prendendo posizione sul riconoscimento in Israele di matrimoni tra persone dello stesso sesso avvenuti
fuori da Israele”). È tuttavia evidente che dopo la trascrizione le nozze same-sex celebrate all’estero producono nella sostanza gli effetti tipici matrimoniali20. A conferma di ciò, si può citare la giurisprudenza
israeliana successiva al 2006. Nel 2012, infatti, la Tel Aviv Family Court ha per la prima volta pronunciato
15 Ibidem.
16 Procura Generale di Torino, Ricorso per cassazione contro la sentenza della Corte d’appello di Torino, sentenza del 29 ottobre
2014, 5 marzo 2015, inedito (corsivo nostro).
17 Cfr. Corte Edu, 27 gennaio 2015, Paradiso e Campanelli c. Italia. La pronuncia può essere letta in Articolo29, www.articolo29.it e
in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2015, I, 834, con nota di A. Schuster.
18 Cfr. Corte di Cassazione, sentenza dell’11 novembre 2014, n. 2401, secondo cui “il legislatore italiano (…) ha considerato, non
irragionevolmente, che tale interesse (l’interesse superiore del minore NdA) si realizzi (…) affidando (…) all’istituto dell’adozione, realizzata con le garanzie proprie del procedimento giurisdizionale, piuttosto che al semplice accordo della parti, la
realizzazione di una genitorialità disgiunta dal legame biologico”.
19 Così anche M. C. Venuti, secondo cui, con riferimento all’atto di nascita del minore concepito all’estero con la gestazione
per altri, “anche figurativamente è come se su di esso si coagulasse la frizione tra la liceità della pratica di maternità per
sostituzione e la conseguente attribuzione della genitorialità al padre e alla madre “sociali” secondo la normativa dello stato
straniero” (M. C. Venuti, Coppie sterili o infertili e coppie “same sex”, cit., 267)
20 Il punto è sottolineato nella sua dissenting opinion dal giudice Rubinstein, secondo cui è evidente che la trascrizione determinerà il riconoscimento de facto del matrimonio celebrato all’estero (“La persona comune non distingue tra trascrizione
e riconoscimento dello status: se andassimo per strada e chiedessimo alla gente, penso proprio che nessuno metterebbe in
discussione il fatto che siano la stessa cosa …”).
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il divorzio di una coppia dello stesso sesso che si era sposata all’estero: ciò è evidentemente il segno di
come le situazioni transnazionali impattino sull’ordinamento interno!21.
Anche in Italia, peraltro, pur nella maggioritaria convinzione dell’intrascrivibilità dei matrimoni
tra persone dello stesso sesso celebrati all’estero, si moltiplicano i casi di riconoscimento de facto dello
status. Un esempio è il rilascio della carta di soggiorno al cittadino extracomunitario coniugato con un
cittadino italiano22.
Con riferimento invece alla relazione verticale tra adulti “committenti” e minori, a favore dell’esigenza di riconoscere rilevanza e quindi tutela alla vita familiare esistente de facto, gioca — com’è evidente
— un ruolo fondamentale il già richiamato principio del superiore interesse del minore. In quest’ottica,
lo stesso testo originario della legge n.40/2004, pur vietando la fecondazione eterologa23, ne disciplinava
le conseguenze in senso protettivo per la prole, vietando il disconoscimento della paternità al marito
della madre che abbia consentito all’intervento e l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità a entrambi i genitori “sociali” che non siano anche genitori genetici, nonché al donatore di gameti
di vantare qualsivoglia diritto (art. 9). Insomma, come rilevato dalla Corte costituzionale “il legislatore,
avendo consapevolezza della legittimità della PMA di tipo eterologo in molti paesi d’Europa, li ha opportunamente regolamentati, dato che i cittadini italiani potevano (e possono) recarsi in questi ultimi
per fare ad essa ricorso, come in effetti è accaduto in un non irrilevante numero di casi”24.
Nella sentenza Paradiso e Campanelli c. Italia (27 gennaio 2015) la Corte europea dei diritti dell’uomo
rileva che non contrasta con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo il rifiuto delle autorità italiane di trascrivere nei registri dello stato civile l’atto di nascita di un bambino nato in Russia mediante
GPA da una coppia italiana, ma che viola invece la Convenzione la decisione delle autorità minorili di
allontanare il minore dalla coppia “committente” ritenuta inidonea a prendersi cura dello stesso a causa
dell’illegalità del comportamento posto in essere per procacciarsi il minore, malgrado il minore vivesse
ormai da alcuni mesi con i coniugi, i quali peraltro erano stati alcuni anni prima valutati idonei all’adozione internazionale25.
Nella stessa linea di pensiero si pone in Italia la già menzionata pronuncia della Corte d’Appello di
Torino del 2014 che ammette la trascrizione dell’atto di nascita spagnolo indicante come genitori le due
co-mamme in quanto “Assume rilievo determinante la circostanza che la famiglia esista non tanto sul
piano dei partner ma con riferimento alla posizione, allo status e alla tutela del figlio”26. È infatti evidente che, indipendentemente dalla trascrizione, limitare o escludere il riconoscimento della vita familiare
costituitasi all’estero ed effettivamente esistente danneggia il minore.
Più recentemente, facendo espresso riferimento alla sentenza Paradiso e Campanelli, una recente pronuncia fiorentina ha dichiarato il non luogo a provvedere in ordine a una dichiarazione dello stato di
adottabilità di due gemellini nati in Ucraina con GPA27. La sentenza pare superare quell’orientamento a
21 La Corte ha precisato l’assenza di giurisdizione in materia del tribunale rabbinico poiché il diritto ebraico non riconosce il
matrimonio tra persone dello stesso sesso. La competenza dei tribunali civili deriva dal fatto che ai sensi della legge sull’ordinamento civile del 1984 i giudici civili hanno competenza nei casi in cui i tribunali religiosi non la abbiano e sia comunque
necessario rendere giustizia.
22 Cfr. Tribunale di Reggio Emilia, sentenza del 13 febbraio 2012, in Articolo29, www.articolo29.it. Si trattava nel caso di specie
di un cittadino uruguaiano, sposato in Spagna con un cittadino italiano: secondo il Tribunale, “la finalità di rimuovere gli
ostacoli alla libertà di circolazione delle persone è conseguita del legislatore europeo consentendo ai cittadini europei di circolare all’interno dell’Unione insieme ai loro familiari secondo la legislazione nazionale ove si è formata l’unità familiare”.
Recentissimamente la Questura di Parma ha riconosciuto il permesso di soggiorno per motivi familiari a un argentino sposato in Argentina con un italiano di origine argentina (si tratta qui di una fattispecie peculiare di turismo matrimoniale perché
il riconoscimento della cittadinanza italiana era stato chiesto in vista del progetto migratorio della coppia: Comune di Parma,
Permesso di soggiorno per Pablo e Ruben, 2015, in Comune di Parma, http://www.comune.parma.it/notizie/comunicati/
FAMIGLIA+E+PERSONA/2015-09-07/Coppia-gay-ottiene-il-permesso-di-soggiorno.aspx).
23 Divieto com’è noto poi dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte costituzionale, sentenza del 10 giugno 2014, n.
162.
24 Corte costituzionale, sentenza del 10 giugno 2014, n.162.
25 “Secondo la Corte, il riferimento all’ordine pubblico non può tuttavia essere preso come una carta bianca che giustifichi
qualsiasi misura, in quanto l’obbligo di tenere in considerazione l’interesse superiore del minore incombe allo Stato indipendentemente dalla natura del legame genitoriale, genetico o di altro tipo.” (Corte Edu, 27 gennaio 2015, Paradiso e Campanelli
c. Italia,m cit., par.80). Il riferimento è qui, com’è evidente, all’ordine pubblico interno.
26 Corte d’appello di Torino, sentenza del 29 ottobre 2014, cit.
27 Tribunale per i minorenni di Firenze, sentenza del 15 giugno 2015, inedita.
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oggi maggioritario, e autorevolmente avallato dalla Corte di cassazione28, che riteneva integrato lo stato
di abbandono dalla mancata genitorialità giuridica conseguente alla non trascrivibilità29.
Oltre a ciò, si stanno moltiplicando gli ambiti di riconoscimento de facto, pur in assenza di trascrizione, di filiazioni realizzate all’estero per eludere gli ostacoli del diritto interno. Pensiamo alla tutela
del diritto del minore e del genitore sociale30 alla frequentazione anche dopo la rottura della relazione
di coppia tra i genitori dello stesso sesso31, alla possibilità di adozione in casi particolari del minore da
parte del genitore sociale32 o anche, più semplicemente, al riconoscimento dal personale scolastico al
genitore sociale della possibilità di prendere il minore a scuola senza necessità di delega del genitore “di
diritto”, di partecipare alle riunioni ed elezioni scolastiche, di firmare il diario etc...
3. Un tentativo di bilancio
Uno degli aspetti della globalizzazione e dell’accesso alle nuove tecnologie di riproduzione assistita è
l’aumento dei modelli familiari e la diffusione di nuove pratiche di genitorialità. Essenzialmente per
due ordini di ragioni tra loro collegate. Anzitutto, si ampliano i contesti sociali, normativi e tecnologici
all’interno dei quali l’individuo effettua le proprie scelte e sviluppa le proprie strategie e pratiche familiari33. In secondo luogo, la visibilità di modelli familiari “altri” sollecita la società e i legislatori nazionali
alla ridefinizione dei modelli familiari socialmente e culturalmente dominanti: come già accennato, il
diritto comparato e il consensus tra gli ordinamenti giuridici costituiscono di per sé un fattore di legittimazione della bontà di modelli familiari “altri”.
Per quanto concerne poi specificamente il turismo matrimoniale e procreativo, espatriare onde realizzare un progetto familiare non consentito dal diritto interno ma ammesso all’estero ben può essere
interpretato come una “pratica di resistenza” messa in atto da individui che agiscono “contro” il loro
diritto nazionale, percepito come contrario al proprio sistema di valori e dunque “in-giusto”, onde “colmare la distanza tra la realtà delle relazioni affettive e il diritto”34. Nei confronti dell’esterno poi, l’effetto
indiretto di tale fenomeno è di corroborare socialmente e culturalmente alcuni principi già presenti
da tempo nell’ordinamento giuridico, ma talvolta ancora osteggiati: il principio secondo il quale la responsabilità genitoriale deriva dalla procreazione, prescindendo dunque per esempio dalla circostanza
dell’esistenza o meno di una unione coniugale tra i due genitori35; il principio secondo il quale il matrimonio non è volto alla procreazione; il principio cosiddetto della plurigenitorialità “ordinata”, che rico-
28 Corte di cassazione, prima sezione civile, 11 novembre 2014 n. 24001, in Articolo29, www.articolo29.it. La pronuncia avalla
la dichiarazione dello stato di adottabilità di un minore nato in Ucraina con gestazione per altri su richiesta di una coppia di
coniugi italiani con nessuno dei quali risultava avere un rapporto genetico di filiazione.
29 Occorre tuttavia osservare che nel caso sottoposto all’esame del Tribunale per i minorenni di Firenze i gemellini erano risultati figli biologici del padre “committente” e risultavano pendenti un procedimento civile di contestazione dello stato di figlio
(la sentenza parla curiosamente di “disconoscimento della maternità”) e un procedimento penale per alterazione di stato.
30 Con tale espressione, com’è noto, si intende qui fare riferimento a quella persona che, pur in mancanza di un rapporto genetico e giuridico di filiazione, ha costruito con il minore una relazione di fatto il cui contenuto corrisponde nella sostanza ai
diritti e doveri che per legge derivano dalla costituzione del rapporto giuridico di filiazione.
31 Tribunale di Palermo, decreto del 6 aprile 2015, in Articolo29, www.articolo29.it. In sede di impugnazione, la Corte d’Appello
ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 337 ter c.c. nella parte in cui non consente al giudice di valutare,
nel caso concreto, se risponda all’interesse del minore mantenere rapporti con il genitore “sociale” ex partner di quello biologico (Corte d’appello di Palermo, ordinanza del 31 agosto 2015, in Articolo29, www.articolo29.it).
32 Tribunale per i minorenni di Roma, sentenza del 30 luglio 2014, in Articolo29, www.articolo29.it.
33 In termini giuridici ciò implica, com’è evidente, il superamento di fatto dei limiti posti dal diritto nazionale. Di liberalizzazione indiretta della maternità surrogata anche nei Paesi in cui essa è vietata dal diritto interno parla la dottrina francese,
con riferimento ad alcuni recenti arresti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo: cfr. G. Puppinck e C. de la Hougue, Vers la
libéralisation de la GPA - À propos des affaires Mennesson c/ France et Labassee c/ France, cit.
34 R. Bosisio, Le relazioni di responsabilità nelle famiglie omogenitoriali italiane, in Le famiglie omogenitoriali, R. Bosisio e P. Ronfani,
Roma, Carocci, 2015, p. 113.
35 Come peraltro ancora lascia a intendere la lettera dell’art. 147 c.c.
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nosce la possibile compresenza nell’interesse del minore di diverse figure genitoriali, senza confusione
né di posti né di responsabilità36.
Da un punto di vista giuridico l’“evaporazione” del ruolo dell’ordine pubblico quale baluardo
contro l’ingresso nell’ordinamento di status familiari pretestuosamente acquisiti all’estero e la crescente
trascrivibilità dei relativi atti di famiglia segnano la tendenza degli ordinamenti giuridici ad aprirsi al
riconoscimento della legittimità di queste “pratiche di resistenza” messe in atto contro il proprio diritto
nazionale. In Italia, nel senso della fattibilità (e quindi in concreto della tolleranza) del turismo procreativo pareva del resto esprimersi addirittura il testo originario della legge 40/2004 che, malgrado il
divieto di fecondazione eterologa37, escludeva la punibilità di chi facesse ricorso a questa tecnica (prevedendo però gravose sanzioni per il personale sanitario!), con l’ovvia conseguenza di scoraggiarne l’uso
in Italia, ma non all’estero38. Recente giurisprudenza penale ha poi negato la ravvisabilità del reato di
cui all’art. 495 c.p. (falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità
personali proprie o di altri) nella richiesta di trascrizione dell’atto di nascita di un minore concepito e
nato all’estero da madre surrogata affermando che “a seguito delle due sentenze della Corte europea
dei diritti dell’uomo del 26 giugno 2014, è divenuto irrilevante il metodo di concepimento della prole,
quale presupposto per il riconoscimento della maternità e paternità, sicché la surrichiamata richiesta di
trascrizione, pur non conforme al vero, è però inidonea a vulnerare l’interesse legalmente tutelato, la
veridicità dell’attestazione, e costituisce un falso innocuo, non punibile”39.
Ove si riconosca la legittimità del turismo matrimoniale e procreativo, l’effetto è una “globalizzazione dei diritti”, cioè la promozione della tutela di diritti percepiti come fondamentali in un numero
crescente di Paesi. Anzitutto, viene in considerazione il diritto delle coppie dello stesso sesso alla formalizzazione della loro relazione di coppia, oggi affermato in termini espliciti dalla già menzionata
sentenza Oliari c. Italia. L’altro diritto interessato è quello a non subire ingiustificate ingerenze in ambito
procreativo, così come riconosciuto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte Edu, 3 novembre
2011, S H c. Austria) e dalla nostra Corte costituzionale (sentenza 10 giugno 2014, n.162)40.
D’altro canto, tuttavia, appare concreto il rischio di una discriminazione censitaria nell’accesso al
matrimonio e alla filiazione, e quindi nel godimento dei diritti fondamentali, a causa dei costi della
realizzazione del progetto all’estero41. In quest’ottica, sarebbe essenziale l’analisi dell’impatto socio-economico di questo tipo di turismo e del ruolo delle politiche sociali nella sua realizzazione. Occorrerebbe
in particolare chiedersi in che modo il sistema di welfare sostenga od ostacoli i rapporti e le relazioni
familiari che nascono a seguito di progetti di coppia e di genitorialità pensati al di fuori dei confini nazionali? Pensiamo alla possibilità per i coniugi dello stesso sesso coniugati all’estero di accedere ai diritti
36 Esemplari in questo senso mi paiono le parole della già menzionata pronuncia del Tribunale per i minorenni di Firenze, 15
giugno 2015 (cit.) che rileva l’assenza dello stato di adottabilità dei gemellini “in adesione… alla visione pluralista della famiglia” anche emergente dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e afferma che la donna committente
(moglie del padre biologico) “deve essere considerata madre sociale” dei figli concepiti con la gestazione per altri invocando
poi tale ruolo (assolutamente inedito per il diritto italiano) per argomentare sull’assenza dello stato di abbandono.
37 Tale divieto, com’è noto, è stato poi dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte costituzionale con sentenza 10 giugno 2014, n.162.
38 Rilevano la “schizofrenia legislativa” insita nella normativa M. D’Amico, M. P. Costantini, L’illegittimità costituzionale del divieto della “fecondazione eterologa”, Milano, Franco Angeli, 2014, p. 220.
39 Tribunale di Varese, sentenza dell’8 ottobre 2014 – 7 novembre 2014, in Articolo29, www.articolo29.it.
40 Secondo tale pronuncia, “la scelta di tale coppia di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli
costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi, libertà … è riconducibile agli artt. 2, 3 e
31 Cost., poiché concerne la sfera privata e familiare. Conseguentemente, le limitazioni di tale libertà, ed in particolare un
divieto assoluto imposto al suo esercizio, devono essere ragionevolmente e congruamente giustificate dall’impossibilità di
tutelare altrimenti interessi di pari rango”.
Non si può invece, com’è noto, parlare di un “diritto alla genitorialità” o di un “diritto al figlio” in senso proprio in quanto il generale principio del superiore interesse del minore impone nella relazione adulto-minore la prevalenza dell’interesse del minore
rispetto a quello dell’adulto (con la conseguenza, per esempio, che gli aspiranti adottanti non possono pretendere il rispetto
di un criterio cronologico nell’effettuazioni degli abbinamenti con i minori disponibili all’adozione o che appare legittimo
negare l’adozione a un soggetto che abbia una condizione soggettiva che rischi in concreto di pregiudicare l’adottando).
41 Cfr. Tribunale di Milano, ordinanza 8 aprile 2013 che solleva questione di legittimità costituzionale in relazione al divieto di
fecondazione eterologa di cui alla legge n.40/2004 anche poiché la disciplina discriminerebbe le coppie in base alla situazione
patrimoniale poiché “quelle abbienti possono, infatti, praticare la fecondazione eterologa all’estero, ricorrendo ad una sorta
di «turismo procreativo» che vanificherebbe il divieto censurato, nel quadro di una regolamentazione viziata da incoerenza,
poiché, da un canto, stabilisce il divieto di tale tecnica terapeutica, dall’altro, prevede la non punibilità di coloro che vi fanno
ricorso e disciplina compiutamente la situazione del nato”.
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sociali su un piano di parità con le coppie coniugate nello Stato, ma anche alla rimborsabilità delle spese
sostenute all’estero per la procreazione medicalmente assistita o ancora alla fruibilità del congedo di
maternità da parte della madre committente nel caso di gestazione per altri42.
42 Su quest’ultimo punto, la Corte di giustizia si è recentemente pronunciata nel senso della legittimità rispetto al diritto dell’Unione Europea del diniego da parte di uno Stato di riconoscere il congedo di maternità alla madre committente nel caso di
gestazione per altri realizzata all’estero Il caso concerneva una gestazione per altri effettuata da una donna irlandese nel
Regno Unito: il congedo di maternità era stato escluso proprio perché il diritto irlandese non prevede una disciplina per la
surrogazione di maternità (Corte di giustizia Ue, 18 marzo 2014, C-363/12, Z. v. A Government department, The Board of management of a community school).
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Denise Amram
Denise Amram*
Il cielo d’Irlanda si tinge di arcobaleno
Sommario
1. Introduzione. L’era delle grandi riforme irlandesi – 2. Dalle Civil Partnership al referendum sul matrimonio tra persone dello stesso sesso – 3. Il Children and Family Relationships Act – 4. Il Gender Recognition Act 2015 – 5. L’esperienza irlandese alla luce del dibattito italiano
Abstract
Con Referendum del 22 maggio 2015 l’Irlanda ha approvato il Thirty-fourth Amendment of the Constitution (Marriage Equality) Bill 2015 n. 5 che ha introdotto un modello matrimoniale c.d. “gender neutral”.
Leggendo il risultato referendario alla luce di una evoluzione sociale che ha attraversato il paese negli
ultimi anni, il presente contributo illustra la significativa attività legislativa che ha rivoluzionato il diritto della famiglia e delle persone irlandese, offrendo interessanti spunti di riflessione per il dibattito
italiano.
On May 22nd 2015 Ireland approved the Thirty-fourth Amendment of the Constitution (Marriage Equality) Bill
2015 n. 5, aiming at introducing a gender-neutral model for marriage in the Irish Constitution. This paper aims
at interpreting the Referendum result in light of the social evolution which brought Ireland to enact important
reforms on individual person and family law in the last years. As a conclusion, we will look at the Irish experience
as an opportunity to enrich the current Italian debate on these issues.
1. Introduzione. L’era delle grandi riforme irlandesi
Con il 62% dei voti favorevoli, l’Irlanda diventa il primo paese al mondo ad aver esteso l’istituto matrimoniale alle coppie dello stesso sesso attraverso una consultazione popolare.
In realtà, il referendum è parte di un più complesso iter di revisione della Costituzione irlandese:
ai sensi dell’articolo 46 Cost., la proposta di modifica di una norma costituzionale (Amendment of the
Constitution Bill) deve essere prima approvata da entrambe le camere (Seanad e Dáil) e poi sottoposta
a consultazione popolare. La stessa passa (o meno) con la maggioranza semplice dei voti espressi, non
essendo richiesto alcun quorum partecipativo. Infine, il Presidente della Repubblica, a seguito di un
*
Assegnista di ricerca in Diritto Privato Comparato, Scuola Superiore Sant’Anna (Pisa) e Avvocato del Foro di Pisa. Il contributo viene pubblicato in seguito a referees a doppio cieco.
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controllo formale, promulga la nuova norma1, che nel caso dell’art. 41, sub. 4, oggi recita: “Marriage may
be contracted in accordance with law by two persons without distinction as to their sex”2.
Dallo stretto margine con cui era stata abolita, al secondo tentativo, l’indissolubilità del matrimonio nel 1995, la società irlandese sembrerebbe aver interiorizzato un concetto laico di famiglia non più
vincolato alla concezione cattolica che aveva direttamente influenzato il testo costituzionale irlandese3.
Questa evoluzione sociale, accompagnata da una crescita economica e politica del paese4, ma soprattutto da una maggiore attenzione verso i diritti fondamentali della persona5, si è riflessa in una
copiosa stagione di riforme socio-economiche e, per quanto ci riguarda, in una significativa attività
legislativa.
In particolare, negli ultimi cinque anni, il diritto della famiglia irlandese ha subito una vera e propria rivoluzione, passando dal riconoscimento di un unico modello familiare, quale il matrimonio eterosessuale suscettibile di essere sciolto al verificarsi di specifiche condizioni, all’accoglimento di una
pluralità di modelli, volti a tutelare sia i rapporti tra adulti (cohabitants e civil partnerships) che quelli
adulti-figli (inclusa la genitorialità naturale e quella sociale).
L’esigenza di regolamentare modelli familiari diversi è stata particolarmente avvertita in occasione
del caso Mc D. v L. & Anor portato dinanzi alla Supreme Court nel 2009. Il caso concerneva il respingimento della richiesta di guardianship/access avanzata dal padre biologico di un minore nato attraverso
PMA e cresciuto dalla madre biologica e dalla sua partner omosessuale6. La questione ha fatto emergere, da un lato, la necessità di attribuire un riconoscimento formale alle unioni omosessuali registrate
all’estero, dall’altro, l’esigenza di disciplinare i rapporti tra genitori-figli in assenza di un vincolo matrimoniale, dall’altro ancora, l’urgenza di dare certezza nell’attribuzione dei ruoli genitoriali in caso di
fecondazione artificiale, non regolamentata in Irlanda7.
Orbene, in breve tempo, il legislatore irlandese parrebbe essersi dotato degli strumenti per colmare
dette lacune.
In primo luogo, le unioni omosessuali e i rapporti personali e patrimoniali tra conviventi sono stati
oggetto di regolamentazione nel Civil Partnership and Certain Rights and Obligations of Cohabitants
Act 20108.
Nel 2012 il Thirty-first Amendment of the Constitution (Children) Act (anch’esso approvato a seguito di referendum)9 ha introdotto una protezione costituzionale dei diritti dei fanciulli. Oltre a richiamare il principio del c.d. best interest of the child, il nuovo articolo 42A Cost. ha stabilito le condizioni di
intervento dello Stato nei casi di abbandono del minore, rimuovendo in particolare la disparità di trat-
1
Dal 1937 sono stati presentati 35 Amendments of the Constitution e in ben 11 casi il popolo irlandese si è opposto all’approvazione delle proposte di revisione costituzionale. In particolare, in materia di diritto della famiglia, l’avallo popolare è mancato
nel 1986 sulla proposta di rimuovere il divieto di divorzio, il cui esito è stato, tuttavia, ribaltato nel 1995 con l’approvazione
del nuovo articolo 41, sub. 3, contenente i presupposti per lo scioglimento del vincolo coniugale. Aborto e adesione ai trattati
internazionali e dell’Unione Europea sono i temi che hanno più volte sollecitato proposte di modifiche costituzionali, chiamando alle urne il popolo irlandese.
2
Il testo del Thirty-fourth Amendment of the Constitution (Marriage Equality) Bill 2015, n. 5, in questa Rivista, 2015, 1, p. 275.
3
CP James, Céad Míle Fáilte? Ireland Welcomes Divorce: the Irish 1995 Divorce Referendum and the Family (Divorce) Act 1996, in Duke
Journal of Comparative and International Law, 1997, Vol 8, p. 175 ss., 185.
4
Per un approfondimento N. Crafts, Interpreting Ireland’s Economic Growth, in United Nations Industrial Development Organization,
2005; Dan O’Brien Ireland, Europe and the world: writings on a new century, Dublin, Gill & MacMillan Limited, 2009; P. Breathnach,
The Service Sector, in Understanding Contemporary Ireland, Bartley, B. and Kitchin, R. (eds), London, Pluto Press, 2007, pp. 146-157.
5
Si pensi che la Convenzione Edu è stata incorporata nel tessuto normativo irlandese, diventando dunque direttamente applicabile, soltanto nel 2003 con l’European Convention on Human Rights (ECHR) Act (2003).
6
Mc D. v L. & Anor, 2009, IESC 81.
7
Facendo prevalere l’accordo tra le parti in occasione della donazione di sperma che prevedeva l’attribuzione della responsabilità genitoriale alle due donne sul legame di sangue, la Supreme Court ha respinto l’istanza del padre biologico, in quanto la
tutela accordata dagli articoli 41 e 42 della Costituzione non è suscettibile di applicazione in assenza di vincolo matrimoniale.
Nel precedente grado di giudizio, la High Court, interpretando la questione alla luce dell’Art. 8 della Convenzione Edu,
aveva definito il nucleo familiare come una de facto family, cfr. Mc D. v L. & Anor, 2008, IEHC 96. Per un approfondimento, K.
Carr, “Famiglia” e “Famiglie”. Circolazione delle persone e profili di armonizzazione: l’esperienza irlandese, in La famiglia e il diritto tra
diversità nazionali e iniziative dell’Unione Europea, D. Amram, A. D’Angelo (a cura di), Padova, Cedam, 2011, 69 ss.
8
Civil Partnership and Certain Rights and Obligations of Cohabitants Act 2010, in http://www.irishstatutebook.ie/2010/en/
act/pub/0024/
9
Thirty-first Amendment of the Constitution (Children) Act, in http://www.oireachtas.ie/viewdoc.asp?fn=/documents/
bills28/bills/2012/7812/document1.htm.
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Denise Amram
tamento che sussisteva tra figli naturali e quelli nati in costanza di matrimonio ai fini della applicazione
della legge sull’adozione.
Con legge del 6 Aprile 2015, n.14 è stato inoltre approvato il Children and Family Relatioships
Act10, che — oltre a disciplinare l’accesso alla procreazione medicalmente assistita — ha compiuto una
riforma epocale volta ad assicurare il benessere del fanciullo in ogni compagine familiare, dando rilevanza giuridica alla relazione con coloro che quotidianamente si prendono cura del minore al di là della
sussistenza di un vincolo di sangue.
Il dibattito sui diritti LGBT è, infine, proseguito con l’approvazione del Gender Recognition Act n.
25/201511 che disciplina i presupposti per richiedere la rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso
e i relativi effetti.
2. Dalle Civil Partnership al referendum sul matrimonio
tra persone dello stesso sesso
Il primo passo verso il riconoscimento di modelli familiari diversi da quello tradizionalmente incluso
nella Costituzione irlandese è stato compiuto con l’approvazione del Civil Partnership and Certain
Rights and Obligations of Cohabitants Act 2010, che ha istituito un sistema di registrazione limitato alle
coppie dello stesso sesso e disciplinato alcuni diritti personali e patrimoniali per le coppie eterosessuali
conviventi non unite in matrimonio.
In particolare, la legge definisce civil partner ciascuna delle parti di una civil partnership valida (recte
che non sia stata dichiarata nulla o dissolta). L’unione viene registrata su istanza di una delle parti (o
di entrambe, o di un terzo che dimostri di avere interesse) in forza di una sentenza del Tribunale. Alla
costituzione di un’unione civile ostano impedimenti derivanti da legami di sangue.
I rapporti patrimoniali tra i civil partner sono assimilati a quelli tra coniugi per molteplici aspetti: ad
esempio per la cessione della casa familiare è necessario il consenso di entrambe le parti, salvo dispensa
del Tribunale. In materia di successione mortis causa, al civil partner, al pari del coniuge, è riservata una
quota pari al 50% del patrimonio. Anche per lo scioglimento dell’unione registrata occorre un periodo
di separazione, in questo caso di due anni, anziché quattro. Tuttavia, le parti di una civil partnership non
possono (recte potevano, fino alle modifiche di cui parleremo) adottare congiuntamente, sebbene l’istituto sia (recte fosse) accessibile alle persone singole.
Sul mancato accesso all’adozione e alle tecniche di fecondazione artificiale, in mancanza in quest’ultimo caso di una regolamentazione ad hoc, si sono consolidate negli ultimi anni le rivendicazioni di
uguaglianza rispetto alle coppie eterosessuali sposate.
Dal primo studio sull’omogenitorialità in Irlanda12, presentato nel 2013 a valle di un questionario
sottoposto a 323 persone omosessuali, di cui 153 genitori di 272 figli e 170 con l’intento di diventare genitori, emergeva che soltanto il 10% delle coppie aveva dichiarato di essere sposato/unito in matrimonio.
Lo studio, che aveva fatto emergere una realtà sociale del tutto estranea allo stato dell’arte della
legislazione irlandese, si concludeva con alcune raccomandazioni volte riconoscere alcuni diritti alle
coppie LGBT, come l’accesso al matrimonio, alle cc.dd. second-parent adoption e adozione, alle tecniche
di procreazione medicalmente assistita senza discriminazioni e, più in generale, all’introduzione di una
regolamentazione dei rapporti genitori-figli e delle responsabilità genitoriali per le realtà emerse.
Infatti, con riferimento alla genitorialità i 2/3 hanno dichiarato di essere genitori biologici di figli nati durante una precedente relazione eterosessuale o attraverso tecniche di riproduzione assistita,
mentre soltanto il 7% attraverso adozione. Inoltre, il 16% dei genitori ha dichiarato di svolgere un ruolo
genitoriale attivo per i propri figli, pur in assenza di riconoscimento legale dello stesso. Relativamente
ai progetti di vita, i ¾ degli intervistati avrebbero fatto ricorso a tecniche di fecondazione assistita (di
questi, il 30% considera l’ipotesi di concepire attraverso donatori noti, il 14% di accedere alla gestazione
per altri).
10 Children and Family Relatioships Act, in http://www.oireachtas.ie/viewdoc.asp?DocID=28752&CatID=87.
11 Gender Recognition Act, in http://www.oireachtas.ie/documents/bills28/acts/2015/a2515.pdf.
12 J. Pillinger - P. Fagan, LGBT Parents in Ireland, Report from a study into the experiences of Lesbian, Gay, Bisexual and Transgender
People in Ireland Who Are Parents or Who Are Planning Parenthood, in LGBT Diversity, www.lgbtdiversity.com, 2013.
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Interventi
Denise Amram
I dati riportati non sono passati inosservati presso il Constitutional Convention13, l’organo consultivo per le riforme costituzionali istituito dal parlamento irlandese14, il quale ha fatto proprie le considerazioni che concludevano lo studio sociologico, fino ad indire il referendum sul Marriage Equality del
2015, i cui risultati sono noti.
All’indomani dell’introduzione del nuovo modello matrimoniale neutrale rispetto al genere degli
sposi, è stato approvato e promulgato il progetto di legge per l’adeguamento della legge ordinaria alla
modifica costituzionale, in vigore dal 16 novembre 201515. Il Marriage Act 2015, volto ad apportare le
modifiche sistematiche, letterali e di coordinamento, prevede — tra le altre — l’estensione degli impedimenti matrimoniali ai nubendi dello stesso sesso (art. 5), il dissolvimento automatico della civil partnership alla data della celebrazione del matrimonio tra le parti (art. 10), la disposizione di inefficacia del
cambio di sesso ai fini del mantenimento del vincolo matrimoniale (art. 24, su cui infra).
3. Il Children and Family Relationships Act
Come osservato nel paragrafo precedente, l’esigenza di dare certezza circa l’attribuzione di diritti, doveri e responsabilità nelle relazioni genitore-figlio ha, da un lato, contribuito in maniera decisiva al
dibattito sul same-sex marriage e, dall’altro, mantenuto una propria autonomia, tanto da divenire una
priorità per il legislatore irlandese, soprattutto alla luce del c.d. Children Referendum del 2012, con cui
il principio dell’interesse superiore del fanciullo ha acquisito rilevanza costituzionale16.
Con il Children and Family Relationships Act 2015 è stato, dunque, disciplinato l’accesso alla c.d.
step-parent adoption del coniuge, partner registrato, o partner stabile del genitore biologico, nonché le
condizioni per la regolamentazione dei diritti di visita, dell’affidamento e, più in generale, delle responsabilità genitoriali, a prescindere dal modello familiare in cui il minore è nato o cresciuto.
In altre parole, la nuova normativa costituisce una bussola orientativa per la determinazione
dell’interesse superiore del fanciullo nelle diverse compagini familiari al fine di identificare chi e a quali
condizioni debba garantire il benessere psicofisico del minore.
Il carattere rivoluzionario della riforma del 2015 riguarda la possibilità per una serie di figure genitoriali di poter chiedere l’attribuzione (eventualmente congiunta con i genitore biologico) della guardianship, l’istituto che regolamenta i diritti e doveri nei confronti della persona e del patrimonio del minore17. Spetta al guardian, infatti, prendere le decisioni più rilevanti per il minore, tra cui quelle relative
alla fissazione della residenza e della composizione del nucleo familiare, alle scelte sanitarie, educative,
linguistiche, culturali e spirituali del minore.
In particolare, l’art. 49 prevede che ciascun genitore del figlio concepito attraverso PMA (ovvero ai
sensi dell’art. 5 della legge si tratta della madre e del coniuge, civil partner o convivente della stessa) sia
titolare della guardianship.
Inoltre, l’art. 47 specifica che in caso di adozione congiunta da parte di civil partners e cohabitants, vi
sia una condivisione della guardianship. Infine, vi è la possibilità di richiedere l’attribuzione della stessa
con riferimento al figlio del quale si prenda cura quotidianamente da almeno due anni per il coniuge,
civil partner o convivente stabile (da almeno 3 anni) del genitore.
Nelle relazioni genitore-figlio, ciò che rileva per l’ordinamento irlandese è, da un lato, il progetto
di vita della coppia con l’assunzione delle responsabilità in ragione del concepimento naturale, o attraverso PMA, o in virtù dell’adozione; dall’altro, la volontà di accompagnare, assumendosene le relative
responsabilità, il minore che sia stato progetto di vita del proprio coniuge/partner/convivente nel suo
sviluppo psicofisico18.
13 La mozione del 14 aprile 2013, avente ad oggetto la modifica della Costituzione irlandese nella prospettiva di estendere l’istituto matrimoniale alle coppie omosessuali, è passata con il voto favorevole del 79% dei componenti l’assemblea, cfr. https://
www.constitution.ie/AttachmentDownload.ashx?mid=b4bee9f7-fda4-e211-a5a0-005056a32ee4.
14 Il Constitutional Convention è stato istituito con Resolution of the Houses of the Oireachtas del luglio 2012, in https://www.
constitution.ie/Documents/Terms_of_Reference.pdf.
15 Marriage Act n. 35/2015, in http://www.irishstatutebook.ie/eli/2015/act/35/enacted/en/html.
16 Supra nota 9.
17 Guardianship of Infants Act, 1964, in http://www.irishstatutebook.ie.
18 Si pensi alle famiglie ricomposte e alla difficoltà di attribuire un riconoscimento giuridico allo step-parent. Diversamente l’art.
49, comma 6C, 2, b) stabilisce la possibilità di richiedere la guardianship a colui che si prenda cura del minore da più di un
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Denise Amram
Di fronte alla richiesta di guardianship, il Tribunale è chiamato a valutare esclusivamente la relazione affettiva tra il proponente e l’interesse superiore del fanciullo (art. 49, comma 10).
Altro elemento di rilievo della riforma è la previsione di cui all’articolo 31 che enuclea alcuni fattori
per orientare il giudice nella determinazione del c.d. best interest of the child. Tra i criteri enunciati vi sono:
i benefici derivanti dal mantenimento di significativi rapporti con ciascun genitore, gli avi e le persone
che sono state coinvolte nella crescita del minore; l’opinione del minore se capace di discernimento; le
sue esigenze culturali, spirituali ed educative; l’età e ad ogni altra specifica circostanza19.
Con riferimento alle caratteristiche dell’istante, quest’ultimo deve dimostrare di sapersi relazionare
con (oltre che gestire e curare i) bisogni del minore e saper esercitare i poteri e le responsabilità conferiti.
La concretezza che emerge dalle disposizioni contenute nella riforma irlandese colma quelle lacune
che discriminavano fortemente i figli nati in un contesto diverso da quello tradizionale. Inoltre, l’approccio del legislatore irlandese volto a garantire il benessere del fanciullo nella situazione concreta, a
prescindere dal riconoscimento della relazione affettiva tra gli adulti e dai vincoli di sangue, valorizza
il concetto di responsabilità genitoriale alla luce di una definizione dinamica di famiglia e di genitore,
divenendo un faro per il quadro europeo20.
4. Il Gender Recognition Act 2015
Come accennato, lo scorso 22 luglio 2015 è stato promulgato il Gender Recognition Act che disciplina
le modalità per (e gli effetti del) il riconoscimento anagrafico del cambiamento di sesso per le persone
affette da disforia di genere.
La normativa colma quelle lacune normative che la High Court già nel 2007 aveva considerato
contrarie all’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo21 nel caso sollevato da Lydia Foy22,
donna transessuale che sin dal 1993 aveva richiesto invano la rettificazione di attribuzione di sesso
all’anagrafe.
anno, in mancanza del genitore che possa/voglia assumersi responsabilità verso il figlio.
19 L’articolo 31, comma due recita: “(a) the benefit to the child of having a meaningful relationship with each of his or her parents and
with the other relatives and persons who are involved in the child’s upbringing and, except where such contact is not in the child’s best
interests, of having sufficient contact with them to maintain such relationships;
(b) the views of the child concerned that are ascertainable (whether in accordance with section 32 or otherwise);
(c) the physical, psychological and emotional needs of the child concerned, taking into consideration the child’s age and stage of development
and the likely effect on him or her of any change of circumstances;
(d) the history of the child’s upbringing and care, including the nature of the relationship between the child and each of his or her parents and
the other relatives and persons referred to in paragraph (a), and the desirability of preserving and strengthening such relationships;
(e) the child’s religious, spiritual, cultural and linguistic upbringing and needs;
(f) the child’s social, intellectual and educational upbringing and needs;
(g) the child’s age and any special characteristics;
(h) any harm which the child has suffered or is at risk of suffering, including harm as a result of household violence, and the protection of the
child’s safety and psychological well-being;
(i) where applicable, proposals made for the child’s custody, care, development and upbringing and for access to and contact with the child,
having regard to the desirability of the parents or guardians of the child agreeing to such proposals and co-operating with each
other in relation to them;
(j) the willingness and ability of each of the child’s parents to facilitate and encourage a close and continuing relationship between the child and
the other parent, and to maintain and foster relationships between the child and his or her relatives;
(k) the capacity of each person in respect of whom an application is made under this Act—
(i) to care for and meet the needs of the child, (ii) to communicate and co-operate on issues relating to the child, and (iii) to exercise the relevant
powers, responsibilities and entitlements to which the application relates.”
20 Per un approfondimento sul contesto europeo, V. i contributi di C. Budzikiewicz M. Vonk, Legal Motherhood and Parental Responsibility. A Comparative Study on the Tensions between Scientific Knowledge, Social Reality and Personal Identity; C.G. Jeppesen
de Boer, A. Kronborg, The Incorporation of Intentional Parentage by Female Same-Sex Couples into National Parentage Laws. A Comparision between Danish and Dutch Law; D. Amram, Pursuing the Best Interest of Children in non-Traditional Families. A Comparative
Overview, tutti in Special Issue on Family Law, K. Boele-Woelki (ed.), European Journal of Law Reforms, 2015, Vol. 17, II , 215 – 272.
21 Foy v. An t-Ard Chlaraitheoir & Others [2007] IEHC 470.
22 Per un approfondimento, M. Farrell, Briefing Note on the Lydia Foy Case & Transgender Issues in Ireland, www.flac.ie, 2013.
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Denise Amram
In particolare, la Corte irlandese, a seguito alla nota pronuncia della Corte Edu sul caso Christine
Goodwin v. UK23 con cui la Corte di Strasburgo aveva ricondotto il rifiuto da parte delle autorità britanniche di rilasciare un certificato anagrafico a due donne transessuali ad una violazione degli articoli 8 e
12 della Convenzione, pur rigettando l’istanza della Foy, riconobbe con una Declaration of Incompatibility
che l’assenza di una normativa in grado di garantire il riconoscimento anagrafico all’identità di genere
fosse contraria all’ECHR Act del 2003, che rende direttamente applicabile in Irlanda la Convenzione
Edu24.
Nel 2011, una commissione di studio istituita presso il Ministero del Social Protection, il Gender Recognition Advisory Group, ha pubblicato delle raccomandazioni al fine di tutelare e riconoscere i diritti
alle persone transessuali. Queste ultime individuavano una serie di presupposti anagrafici (maggiore
età, libertà di stato), clinici (alternativamente una diagnosi di disforia di genere, una modificazione dei
caratteri sessuali primari, la prova di una avvenuta rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso
in un’altra giurisdizione) e psicologici (“clear and settled intention to live in the changed gender for the remainder of his or her life” e “minimum 2-year period of living full-time in the changed gender”), che sono stati
oggetto di dibattito parlamentare durante l’iter di approvazione del Gender Recognition Bill.
Il testo definitivo vede la rimozione dei presupposti medici e psicologici, consentendo alla persona
transessuale maggiorenne di dichiararsi di fronte allo stato civile appartenente al sesso opposto rispetto
a quello certificato alla nascita. Diversamente, per la persona transessuale con età compresa fra 16 e 18
anni, la dichiarazione deve essere accompagnata dal consenso dei genitori e parere medico favorevole.
L’Irlanda diventa così uno dei primi sistemi al mondo insieme a Danimarca, Malta, Argentina e
Colombia ad interpretare il diritto all’identità di genere in termini di necessità di privilegiare l’autodeterminazione della persona rimuovendo qualsiasi accertamento sanitario sia esso di tipo invasivo (come
l’intervento di demolizione e ricostruzione dei caratteri sessuali primari) o terapeutico.
Con riferimento agli altri requisiti individuati dalla commissione di studio, l’estensione dell’istituto matrimoniale alle persone dello stesso sesso ha vanificato il dibattito sulla questione sorta in ordine
all’opportunità o meno di subordinare alla libertà di stato il rilascio del certificato, che impone al transessuale sposato/civil partnership di scegliere tra il mantenimento del vincolo e il riconoscimento legale
della propria identità di genere25.
Infatti, nonostante il Gender Recognition Act abbia nella sua versione originale mantenuto tale presupposto, le difficoltà di coordinamento con la disciplina in materia di divorzio26 sono state superate con
il Marriage Act 2015. Quest’ultimo, infatti, all’art. 24 prevede che il cambiamento di sesso del coniuge
non abbia effetti sul vincolo matrimoniale attraverso l’abrogazione della clausola contenuta nell’articolo
9, § 2) lett. b.
Occorre tuttavia osservare che il Gender Recognition Act nulla prevede a proposito del riconoscimento del diritto all’identità di genere degli infrasedicenni transessuali e delle persone intersex.
23ECHR, Christine Goodwin v. UK, 11 luglio 2002, App. n. 28957/95 [2002] ECHR 583, in Articolo29, www.articolo29.it ed in http://
hudoc.echr.coe.int.
24 In altra sede era stato notato come gli effetti giuridici derivanti da detta Declaration si limitassero, tuttavia, soltanto a imporre al primo ministro di presentare una relazione alle Camere sulla questione, senza andare ad incidere direttamente sul
quadro normativo vigente. Sia concesso rinviare a D. Amram, Identità di genere e famiglia in Irlanda, Regno unito e Islanda: quali
spunti per l’Italia?, in questa Rivista, 2014, 1, 141. M. Farrell, The Lydia Foy Case – What It Means and What Happens Next, 2010,
in http://www.ucc.ie/law/CCJHRsymposiumGender/Michael%20Farrell%20UCC%20conference%20paper%20May2010.
pdf.
25 Così si legge nel rapporto presentato al Minister for Social Protection da parte del Gender Recognition Advisory Group in
data 15 giugno 2011: “The Group recognises that, while there would only be a small number of people for whom the preservation of
their existing marriage is a priority, the requirement to dissolve such a marriage would be very distressing for them. Nevertheless, any
recommendation which the Group makes must be constitutionally sound (…) Accordingly, the Group recommends that the criteria for
legal recognition of an acquired gender should include a provision whereby the applicant cannot be married or in a civil partnership”, in
http://www.welfare.ie/en/downloads/Report-of-the-Gender-Recognition-Advisory-Group.pdf, p. 30 - 32.
26 L’Art. 41.3.2 della Costituzione irlandese in seguito alla modifica apportata dal Family Law (Divorce) Act of 1996 non contempla cause specifiche di divorzio, consentendo lo scioglimento del vincolo coniugale solo in presenza di una crisi irreversibile
del rapporto (i) che abbia portato ad una separazione per almeno quattro anni nel corso dell’ultimo quinquennio (ii). in
http://www.irishstatutebook.ie/1996/en/act/pub/0033/; P. Ward, Family, Matrimonial Property and Succession Law, International Encyclopaedia of Laws, Kluwer Law International, 2006. Si ricorderà a tal proposito una pressoché contemporanea (ma
mai approdata in discussione) proposta di legge, intitolata Legal Recognition of Gender Bill 2013 presentata dalla senatrice
Katherine Zappone che considerava irrilevante la condizione della libertà di stato per l’ottenimento della rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso, in http://www.oireachtas.ie/documents/bills28/bills/2013/7513/b7513s.pdf
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Denise Amram
5. L’esperienza irlandese alla luce del dibattito italiano: cenni
La breve illustrazione delle riforme irlandesi che abbiamo fornito nei paragrafi precedenti presenta non
pochi spunti di riflessione per il dibattito italiano.
Si pensi alla recente ordinanza della Corte d’appello di Palermo del 31 agosto 2015, con cui è stata
rimessa alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 337 ter c.c. nella parte
in cui non consentirebbe al giudice di valutare se risponda all’interesse del minore mantenere rapporti
con il proprio genitore “sociale” (nella specie la ex partner, dello stesso sesso, della madre biologica)27.
A differenza di quella italiana, infatti, la normativa irlandese individua dei criteri per la valutazione
dell’interesse superiore del fanciullo e, tra questi, vi sono degli elementi che avrebbero dissipato i dubbi
della corte palermitana. Ad esempio, la capacità di discernimento del minore e l’esigenza di mantenere
rapporti significativi con i genitori e le relative famiglie, nonché con le persone che abbiano svolto un
ruolo fondamentale nella vita del fanciullo.
L’esperienza irlandese può altresì contribuire al dibattito in ordine alla definizione dei requisiti
necessari per la rettificazione anagrafica del sesso, conseguente l’interpretazione costituzionalmente
orientata dell’art. 1 della legge 164/1982 che consente il riconoscimento anagrafico del sesso opposto a
quello biologico “a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali”.
Come è noto, infatti, detta norma è stata recentemente oggetto di una innovativa interpretazione
da parte della Corte di cassazione, sentenza del 20 luglio 2015, n. 15138, che ha sancito il principio secondo cui l’interesse pubblico alla definizione certa dei generi non può richiedere il sacrificio del diritto
alla conservazione dell’integrità psico-fisica dell’interessato28. A poche settimane da tale decisione, la
Consulta, con sentenza del 5 novembre 2015, n. 22129, nel dichiarare infondata la questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Trento30, ha avallato l’interpretazione della Cassazione, che consente di
riconoscere all’art.1 della legge 164/1982 un “ruolo di garanzia del diritto all’identità di genere, come
espressione del diritto all’identità personale (art. 2 Cost. e art. 8 della CEDU) e, al tempo stesso, di strumento per la piena realizzazione del diritto, dotato anch’esso di copertura costituzionale, alla salute”.
Restano, tuttavia, aperti alcuni interrogativi in ordine a quali siano i parametri da utilizzarsi per accertare in via giudiziale “le modalità attraverso le quali il cambiamento è avvenuto e [de] il suo carattere
definitivo”.
Infine, le illustrate ricadute che la definizione dei rapporti tra adulti hanno sulla vita e sullo sviluppo dei fanciulli, non può passare inosservato al dibattito scaturito dalla discussione del c.d. Ddl Cirinnà
sulle unioni civili31. Infatti, se l’interesse superiore del fanciullo deve essere considerato di primaria importanza32, occorrerebbe valutare scrupolosamente le conseguenze che il riconoscimento (recte il mancato riconoscimento) di alcuni diritti/legami familiari possono determinare nello sviluppo psicofisico
dei figli che crescono in famiglie omoaffettive. Il rischio, altrimenti, è quello di mantenere vive quelle
discriminazioni, confermate dalla riforma della filiazione33 che, nell’opera di equiparazione dei diritti di
“tutti figli”, ha confermato quale unico modello di genitorialità sociale l’adozione, escludendo — tra gli
altri — i cc.dd. rainbow children dalla possibilità di essere inquadrati nello statuto giuridico di “figli” con
riferimento ad entrambe le figure genitoriali.
27 Corte d’appello di Palermo, ordinanza del 31 agosto 2015, in Articolo29, www.articolo29.it, 2015 con nota di M. Gattuso.
28 Corte di Cassazione, sentenza del 22 luglio 2015, n. 15538, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2015, 11, I, pp. 1068
ss. con nota di D. Amram e, in corso di pubblicazione, sulla Rivista italiana di medicina legale, 2016, I, con nota di G. Aprile,
G. Malgieri, F. Palazzi. Sul punto si veda S. Patti, Trattamenti medico-chirurgici e autodeterminazione della persona transessuale. A
proposito di Cass., 20.7.2015, n. 15138, ivi, II, pp. 643 ss.
29 Corte Costituzionale, sentenza del 5 novembre 2015, in Articolo29 www.articolo29.it.
30 Tribunale di Trento, ordinanza 20 agosto 2014, in G.U., Serie Speciale – Corte Costituzionale, n. 52 del 17.12.2014 in Articolo29
www.articolo29.it, i dubbi sollevati riguardavano la vanificazione o meno del diritto all’identità sessuale laddove l’interpretazione dell’art. 1 della legge n. 164/1982 (che risultava maggioritaria prima dell’intervento della Cassazione) considerasse
necessario sottoporre la persona transessuale ad «un doloroso e pericoloso intervento chirurgico» per la modificazione dei
caratteri sessuali primari.
31 DDL Nuovo testo unificato sulla Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze,
17.3.2015, in www.senato.it, 2015 ed in Articolo29 www.articolo29.it.
32 Si ricordi, fra tutti, l’art. 3 Convention on the Rigths of the Child, New York 20 novembre 1989.
33 L. 10 dicembre 2012, n. 219 attuata dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione,
a norma dell’art. 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219.
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Interventi
Elena Lauroba
Elena Lauroba*
La Ley catalana 11/2014 para garantizar
los derechos de los LGBTI y erradicar la homofobia,
la bifobia y la transfobia: ¿una declaración
de intenciones bienintencionada o una norma
de efectos jurídicos reales?
Sommario
1. Introducción – 2. Una iniciativa en un marco normativo pluri-level. 2.1. Las iniciativas europeas/internacionales – 2.2. Las iniciativas estatales – 2.3. Las iniciativas autonómicas – A. Actuaciones previas
del legislador catalán y de la administración – B. Otras regulaciones autonómicas – 3. Personas LGBTI y
causas de discriminación – 4. Una relación de definiciones técnica – 5. La atención a los derechos a partir
de los principios – 6. La atención recurrente a la heterogeneidad del hecho familiar. La diversidad afectiva – 7. Los sectores de intervención – 7.1. La educación – 7.2. Cultura, tiempo libre y deporte – 7.3. Los
medios de comunicación – 7.4. La salud – 7.5. La acción social – 7.6. El orden público y la privación de
libertad – 7.7. Participación y solidaridad – 7.8. El mercado de trabajo – 8. Los “mecanismos para garantizar el derecho a la igualdad” – 8.1. El derecho de admisión – 8.2. Derecho a la atención y la reparación.
8.3 – El régimen sancionatorio – 9. El soporte administrativo: un órgano consultivo/participativo y un
órgano coordinador – 10. La configuración futura de un marco jurídico antidiscriminatorio completo –
11. Una (breve) observación final.
Abstract
Il saggio illustra la nuova legge catalane n. 11/2014 in materia di protezione dei diritti delle persone
LGBTI e di norme volte ad eliminare l’omofobia, bifobia e transfobia alla luce delle altre esperienze
locali/nazionali spagnole e del quadro legislativo internazionale.
The paper illustrates the Cataluña Act n. 11/2014 on the protection of LGBTI rights and to eliminate homophobia,
biphobia and transphobia in light of the other Spanish local/national regulations as well as of the international
legal framework on the topic.
*
Professora de Dret Civil, Universitat de Barcelona, [email protected]. El trabajo se integra en las tareas del Grupo de investigación 2014 SGR 22 [IP Esther Arroyo]. Il contributo viene pubblicato in seguito a referees a doppio cieco.
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Interventi
Elena Lauroba
1. Introducción
El 18 de octubre del 2014 entró en vigor la Ley 11/2014, de 10 de octubre, para garantizar los derechos de
lesbianas, gays, bisexuales, transgéneros e intersexuales y para erradicar la homofobia, la bifobia y la transfobia1
-en adelante LDLGBTI-. Había sido aprobada el 2 de octubre por una amplia mayoría parlamentaria. El
título es suficientemente ilustrativo, pues identifica la doble finalidad de la norma. Por un lado garantizar unos derechos y por el otro, eliminar -erradicar- determinadas vulneraciones2. En buena medida, la
LDLGBTI implica el desarrollo del art. 40.8 del Estatuto de Autonomía de Cataluña -EAC- “Protección
de las personas y de las familias”.
“Los poderes públicos deben promover la igualdad de todas las personas con independencia de su
origen, nacionalidad, sexo, raza, religión, condición social u orientación sexual, así como promover la
erradicación del racismo, del antisemitismo, de la xenofobia, de la homofobia y de cualquier otra expresión que atente contra la igualdad y la dignidad de las personas”.
El vínculo se advierte incluso en la terminología, con el incisivo recurso al verbo “erradicar”. Otros
dos apartados del art. 40 EAC también delimitan el contenido de la ley: el art. 40.2, que prescribe la pluralidad de modelos familiares (y la protección de todos ellos) y el art. 40.7, centrado en la igualdad de las
uniones estables de pareja “teniendo en cuenta sus características, con independencia de la orientación
sexual de sus miembros”. Son los tres pilares que fundamentan la norma que aquí comentamos.
La LDLGBTI pretende (aunque no es evidente que lo logre) una regulación omnicomprensiva. Así
se deriva del art. 1.2 (Objeto) que señala que las medidas adoptadas para hacer efectivo el derecho a la
no discriminación afectan a “todas las áreas de la vida social” (a); a “todas las etapas de la vida” (b);
y a “todas las contingencias en el transcurso de la vida, como cualquier cambio en el estado civil, la
formación de una familia, la enfermedad, la incapacitación, la privación de libertad o la muerte” (c). Se
identifican, pues, tres parámetros, que acotan cualesquiera manifestaciones de la persona LGTBI -y de
las personas en general-.
La LDLGBTI se divide en 39 artículos, estructurados en 4 Títulos, 4 Disposiciones Adicionales, 2 Disposiciones Transitorias y 3 Disposiciones Finales. Su relación nos permite adelantar los contenidos de
la ley. Título preliminar: Disposiciones generales; Título primero. Organización administrativa: Capítulo I: Órgano participativo y consultivo permanente. Capítulo II, Ejecución y coordinación de las políticas
LGBTI; Título II. Políticas públicas para promover la igualdad efectiva de las personas LGBTI, capítulo
I. profesionales que actúan en ámbitos sensibles Capítulo II. Sectores de intervención. Capítulo III. Mercado de trabajo. Capítulo IV. Familias Título III. Transidentidad e intersexualidad. Título IV. Mecanismos para garantizar el derecho a la igualdad. Capítulo I. Disposiciones generales. Capítulo II. Derecho
de admisión Capítulo III. Derecho a la atención y a la reparación. Capítulo IV. Régimen de infracciones
y sanciones. Se completa, como decíamos, con 9 Disposiciones, si sumamos las Adicionales, Transitorias
y finales. Pese a su extensión, en determinadas materias es preciso un desarrollo reglamentario ulterior.
En ese caso, ex DF 1ª, el gobierno -en el ámbito de sus competencias- debe dictar, en el plazo de un año
a contar desde la aprobación de la ley, las disposiciones reglamentariamente necesarias para aplicarla y
desarrollarla.
La ley no surge de una iniciativa del gobierno catalán, sino de la “Proposición de Ley de los derechos de las personas gais, lesbianas, bisexuales y transexuales y para la erradicación de la homofobia,
la lesbofobia y la transfobia” que presentaron conjuntamente los grupos parlamentarios ERC [Esquerra Republicana de Catalunya], PSC [Partit de socialistes de Catalunya], Grup Parlamentari d’Iniciativa per
Catalunya Verds - Esquerra Unida i Alternativa y el Grupo Mixto en mayo del 20133. El colectivo protegido en la Proposición no coincide exactamente con el de la ley: durante el proceso parlamentario se
incorporaron los intersexuales. Asumió la tramitación parlamentaria la Comisión de Bienestar, Familia
e inmigración. El grupo parlamentario Popular -GPP- interpuso una enmienda a la totalidad, que fue
rechazada. Durante el iter parlamentario comparecieron representantes de los diversos colectivos y se
presentaron 208 enmiendas4. Asimismo, la Comisión de Garantías Estatutarias hizo un interesante dic-
1
Publicada en el Diario Oficial de la Generalitat de Catalunya -DOGC- n. 6730, de 17 octubre 2014, in http://dogc.gencat.cat/es
Luego en el Boletín oficial del Estado -BOE- n. 281, de 26 noviembre 2014, in www.boe.es.
2
Así se apunta en el Preámbulo (§1) “El objetivo de la presente ley es desarrollar y garantizar los derechos de lesbianas, gays,
bisexuales, transgéneros e intersexuales (LGTBI)” y evitar a esas personas “situaciones de discriminación y violencia, para
asegurar que en Cataluña se pueda vivir la diversidad sexual y afectiva en plena libertad”.
3
Butlletí Oficial del Parlament de Catalunya, X legislatura, n. 83, 21 mayo 2013, en http://www.parlament.cat/web/documentacio/publicacions/butlleti-bopc.
4
Butlletí Oficial del Parlament de Catalunya, X legislatura, n. 363, 15 julio 2014.
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tamen -a instancias también del GPP- en relación con las dudas de constitucionalidad de varios preceptos, en particular los referidos al sistema sancionatorio5. Atendiendo a sus directrices, se incorporaron
diversas enmiendas al texto final.
2. Una iniciativa en un marco normativo pluri-level
El § 4 Preámbulo señala que “el nuevo marco jurídico, tanto autonómico, como estatal o europeo, ha
hecho posible un cambio de visión social hacia lesbianas, gays, bisexuales, transgéneros e intersexuales…”. Efectivamente, encontramos importantes iniciativas legislativas que contribuyen a la tuición
efectiva. Procede, pues, identificarlas.
2.1. Las iniciativas europeas/internacionales
A nivel europeo, en la LDLGBTI se mencionan (Pr. § 9) las Resoluciones del Parlamento Europeo de 8
de febrero de 1994, de 18 de enero de 2006 y de 24 de mayo de 2012, relativas a la igualdad de derechos
de gays y lesbianas y la lucha contra la discriminación y la homofobia, así como la Directiva 2000/78/
CE del Consejo, relativa al establecimiento de un marco general para la igualdad de trato en el empleo y
la ocupación y el art. 21 de la Carta de Derechos fundamentales. No se incorpora -damos por hecho que
intencionadamente-, ninguna referencia a la Directiva 2006/54/CE del Parlamento europeo y del Consejo de 5 de julio de 2006 relativa a la aplicación del principio de igualdad de oportunidades e igualdad
de trato entre hombres y mujeres en asuntos de empleo y ocupación (refundición), pues los objetivos
difieren, pese a la definición (art. 2) de discriminación directa/indirecta. Lo hacemos notar porque, ciertamente, las modalidades de discriminación enlazan con las construcciones comunitarias.
Dicho esto, sorprende que en el Preámbulo no se mencionen algunos textos de referencia recientes,
como la Resolución del Parlamento Europeo, de 24 de mayo de 2012, sobre la lucha contra la homofobia en Europa (2012/2657(RSP)) o, en relación con los intersexuales, la muy importante Resolución
1952(2013) Children’s right to physical integrity. Tampoco se alude a los Principios de Yogyakarta -aunque
constituyen una declaración no institucional, son una guía recurrente, como avala su alegación por instituciones gubernamentales y por diferentes tribunales6-, al informe «Derechos Humanos e Identidad
de Género» de T. Hammarberg, comisario de Derechos Humanos del Consejo de Europa, publicado en
julio de 20097 o a las Directrices para promover y proteger el disfrute de todos los derechos humanos
por las personas lesbianas, gays, bisexuales, trans e intersexuales, aprobadas por el Consejo de la Unión
Europea en su reunión del 24 de junio de 20138. Y se estaba a tiempo de atender a la Resolución del Parlamento Europeo, de 4 de febrero de 2014, sobre la hoja de ruta de la UE contra la homofobia y la discriminación por motivos de orientación sexual e identidad de género9 (aunque fue mencionada en el pleno
el día de aprobación de la ley10). En esa necesaria formulación pedagógica, hubiera sido conveniente
incorporarlos, como sí han hecho otras leyes autonómicas. Y podemos apuntar que hubiera beneficiado
a la norma resultante, más allá de la mención -necesaria, por ese repetido componente pedagógico-,
tenerlas como material privilegiado para la reflexión.
5
Butlletí Oficial del Parlament de Catalunya, X legislatura, n. 381, 21 agosto 2014. En concreto, se discutía la posible adecuación
estatutaria/constitucional de los arts. 26 bis, 30 y 31 –a los cuales se añade el art. 32 en la fundamentación–, y del capítulo IV
del título IV en general, de la Proposición de ley (el capítulo es el de infracciones y sanciones).
6
Principios de Yogyakarta, Principios sobre la aplicación de la legislación internacional de derechos humanos en relación con la orientación sexual y la identidad de género, en http://www.yogyakartaprinciples.org/principles_sp.pdf.
7
T. Hammarberg, Derechos humanos e identidad de género, Serie de publicaciones de TvT, 2010, en http://www.transrespecttransphobia.org/uploads/downloads/Publications/Hberg_es.pdf.
8
Guidelines to Promote and Protect the Enjoyment of All Human Rights By Lesbians, Gay, Bisexual, Transgender and Intersex
(LGBTI) Persons, Lussemburgo, 24 Junio 2013, en http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cms_Data/docs/pressdata/
EN/foraff/137584.pdf
9
Resolución del Parlamento Europeo, de 4 de febrero de 2014, sobre la hoja de ruta de la UE contra la homofobia y la discriminación por motivos de orientación sexual e identidad de género, en http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.
do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P7-TA-2014-0062+0+DOC+XML+V0//ES.
10 Vid. Diari de Sessions del Parlament de Catalunya, 2 octubre 2014 (serie P núm.78).
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2.2. Las iniciativas estatales
En el ámbito estatal (Pr. § 8), la LDLGBTI menciona la Ley 13/2005, de 1 de julio, por la que se modifica
el Código civil en materia de derecho a contraer matrimonio, que supuso la implantación del matrimonio entre personas del mismo sexo -y que supone la segunda revolución del derecho de familia español11-;
la Ley 14/2006, de 26 de mayo, sobre técnicas de reproducción humana asistida; la Ley 3/2007, de 15 de
marzo, reguladora de la rectificación registral de la mención relativa al sexo de las personas (muy importante en relación con los transexuales); la Ley 62/2003, de 30 de diciembre, de Medidas Fiscales, Administrativas y del Orden Social (artículos 27 a 43) -esto es, el capítulo III: “Medidas para la aplicación
del principio de igualdad de trato”-; y la Ley Orgánica 10/1995, de 23 de noviembre, del Código Penal.12
2.3. Las iniciativas autonómicas
A. Actuaciones previas del legislador catalán y de la administración
Con anterioridad a la ley, el legislador catalán ya se había pronunciado expresamente sobre las personas
LGTB13. Baste mencionar la Resolución 242/III del Parlamento de 4 de diciembre de 1991, la Resolución
243/VI del Parlamento de Cataluña, de 11 de octubre de 2000, de defensa de la no discriminación por
motivo de opción sexual o la Resolución 446/VII, sobre la igualdad laboral y profesional de las minorías
sexuales en Cataluña.
La LDLGTBI menciona expresamente el Código de familia y la Ley de uniones estables de pareja -dos
normas del 1998- y el Código de Sucesiones (1991). No se entiende muy bien esa referencia, pues los dos
códigos sectoriales y la Ley de uniones… han sido derogados por los Libros del Código civil de Cataluña sobre persona y familia (Ley 25/2010, de 29 de julio -Libro Segundo-) y de Sucesiones (ley 10/2008,
de 10 de julio -Libro Cuarto-). Traerlos a colación como se hace, carece de sentido.
En realidad, probablemente el material más valioso para entender la LDLGBTI y la apuesta -persistente- de la administración catalana a favor de la integración de estas personas en la sociedad son los
Planes Interdepartamentales para la no discriminación de las personas homosexuales y transexuales,
11 E. Lauroba, El derecho de familia, hoy: del matrimonio indisoluble al matrimonio entre personas del mismo sexo, en Revista Jurídica de
la Universidad de Puerto Rico, vol. 75-3, 2006, pp. 935-1028.
12 Para un análisis de la ley 3/2007 y, en general, del tratamiento jurídico de los transexuales en nuestro país, vid., B. Sillero
Crovetto, Del derecho a la identidad de género al tratamiento integral de la transexualidad (normativa estatal y autonómica) en Boletín
del Ministerio de Justicia, n. 2170, sept. 2014; P. Benavente Moreda, Orientación sexual e identidad de género y relaciones jurídico
privadas en Revista General de Derecho constitucional, 17, 2013, pp. 1-75; T. Peramato Martín, Desigualdad por razón de orientación
sexual e identidad de género, homofobia y transfobia, Cizur Menor, Thomson Reuters Aranzadi, 2013; V. Cuesta López, D. M.
Santana Vega (dirs.), Estado de derecho y discriminación por razón de género, orientación e identidad sexual, Cizur Menor, Aranzadi
Thomson Reuters, 2014; L. Vázquez-Pastor Jiménez, El transexualismo primario y su contemplación legal en el ordenamiento jurídico español, en Teoría & derecho: revista de pensamiento jurídico, n. 8, dic. 2010, pp. 255-273; R.Mª Alonso-García, Dos ejemplos de la
difícil identidad de supuestos en unificación de doctrina: transexualidad y kafala en Revista del Ministerio de Trabajo e inmigración, n.
79, 2009, pp. 59-78; I. Espín Alba, Transexualidad y tutela civil de la persona, Madrid, Reus, 2008; E. Arroyo i Amanyuelas, Sexo,
identidad de género y transexualidad, en Matrimonio homosexual y adopción (Perspectiva nacional e internacional), S. Navas Navarro
(dir.), Ed. Reus/Díaz-Bastien 6 Truan, Madrid, Abogados, 2006. Más concreto -pero muy completo- J. Cabeza Pereiro, J.F.
Lousada Arochena, El Derecho fundamental a la no discriminación por orientación sexual e identidad de género en la relación laboral,
Albacete, Bomarzo, 2014; vid. también Y. Busto, La transexualidad de acuerdo a la ley 3/2007, de 15 de marzo, Ed. Dykinson, 2008;
M. Camps Merlo, Identidad sexual y Derecho. Estudio interdisciplinario del transexualismo, Pamplona, Eunsa, 2007 y -todavía
útil- MªD. Cervilla Garzón, Transexualidad, cambio de sexo y derecho a contraer matrimonio, en La Ley XXII nº 5295, 25-IV-2001;
Sobre los intersexuales, D. J. García López, la intersexualidad en el discurso médico-jurídico, en Eunomía. Revista en cultura de la
legalidad, nº 8, marzo-agosto, 2015, pp. 54-70; V. Ordoñez, Particularidades del consentimiento en el cambio quirúrgico de sexo por
hermafroditismo y ambigüedad sexual, en Actualidad de Derecho Sanitario, núm. 179, 2011, pp. 95-101. núm. 181, 2011, pp. 250256. Para un análisis desde otra perspectiva, P. Soley-Beltran, Transexualidad y transgénero: una perspectiva bioética, en Revista
de Bioética y Derecho, núm. 30, enero 2014, pp. 21-39; J. A. Nieto Piñeroba, Transexualidad, Intersexualidad y dualidad de género,
Barcelona, Eds. Bellaterra, 2008. Como trabajo académico reciente J. Mas-Grau, Subjetividades y cuerpos gestionados. Un estudio
sobre la patologización y la medicalización del transgénero, Ed. Universitat de Barcelona, 2014, en http://diposit.ub.edu/dspace/
handle/2445/64043. También O. Guash - J.Mas, La construcción médico-social de la transexualidad en España (1970-2014), en Gazeta de Antropología, 2014, 3’-3 artículo 06 y L. Sánchez Guillén, La cirugía de reasignación de sexo. Un paso más hacia la igualdad,
en Igualdad. Retos para el siglo XXI, A. Figueruelo Burrieza - M. del Pozo Pérez- M. León Alonso, A. Gallardo Rodríguez (dirs.),
Santiago de Compostela, Ed. Andavira, 2012.
13 En puridad, no había una mención concreta a los intersexuales, probablemente porque la atención a este colectivo es relativamente reciente. Lo avala la propia incorporación sobrevenida al ámbito de la ley.
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impulsados por la Generalitat de Catalunya14. La enumeración de las diferentes acciones de gobierno en
dichos Planes permite situar los capítulos de la ley.
B. Otras regulaciones autonómicas
En el momento actual, diferentes comunidades autónomas españolas han impulsado legislaciones
específicas y la ley catalana las tiene, presumiblemente, presentes (de dichas leyes se hace eco, en su informe, el Consejo de garantías Estatutarias). En algunos supuestos atienden a todas las personas LGTBI
y en otros se centran exclusivamente en las personas transexuales. En concreto, debemos mencionar
la ley foral [Navarra] 12/2009, de 19 de noviembre, de no discriminación por motivos de identidad de
género y de reconocimiento de los derechos de las personas transexuales15, que es una ley pionera en
muchos aspectos y de la que destacaríamos la atención específica a los menores transexuales (art. 5); la
Ley del País Vasco 14/2012, de 28 de junio, de no discriminación por motivos de identidad de género
y de reconocimiento de los derechos de las personas transexuales16; la Ley 2/2014 [de la comunidad
autónoma de Galicia], de 14 de abril, por la igualdad de trato y la no discriminación de lesbianas, gays,
transexuales, bisexuales e intersexuales17 y la Ley 2/2014, de 8 de julio [de Andalucía], integral para la
no discriminación por motivos de identidad de género y reconocimiento de los derechos de las personas
transexuales de Andalucía18.
Tras la ley catalana, se han aprobado la Ley 8/2014 [de Canarias], de 28 de octubre, de no discriminación por motivos de identidad de género y de reconocimiento de los derechos de las personas transexuales19 y la Ley 12/2015, de 8 de abril, de igualdad social de lesbianas, gais, bisexuales, transexuales,
transgénero e intersexuales y de políticas públicas contra la discriminación por orientación sexual e
identidad de género en la Comunidad Autónoma de Extremadura20 que en esa correlativa cronología
de normas, se considera a sí misma la más moderna del estado español.
3. Personas LGBTI y causas de discriminación
La ley catalana pretende garantizar los derechos de lesbianas, gays, bisexuales, transexuales e intersexuales. Opta, por tanto, por una protección conjunta/aglutinadora/integradora, a diferencia de otras
leyes autonómicas que se centran en los transexuales. Es verdad que, pese a todo, dedica un Título
específico (el III) a las “Personas transgénero y personas intersexuales” (art. 23, único precepto de dicho
Título, en una sistemática singular…). La referencia a los intersexuales se debe a la enmienda número 1,
presentada por los mismos promotores de la Proposición21. Ahora bien, más allá de la mención, no existe
ninguna clarificación de los problemas concretos de las personas intersexuales: no tenemos siquiera la
impresión de que se conozca exactamente cuáles son. Su inclusión explicita esa recurrente correlación
-también a nivel internacional- entre los intersexuales y, específicamente, los transexuales. Sabemos que
en un momento dado se ha definido a los transexuales como intersexuales, desde el criterio de que los
primeros eran supuestos de asignación errónea al nacer…22. Pero ahora la perspectiva ha variado, de
14 Planes Interdepartamentales para la no discriminación de las personas homosexuales y transexuales, impulsados por la Generalitat de Catalunya, en http://benestar.gencat.cat/web/.content/01departament/08publicacions/ambits_tematics/lgtb
/02planodiscriminacioesp08/2008PlaLGBTCastella.pdf.
15 BOE n. 307, 22 diciembre 2009. Sobre las primeras leyes, B. Sillero Crovetto, Del derecho a la identidad de género al tratamiento
integral de la transexualidad (normativa estatal y autonómica) en Boletín del Ministerio de Justicia, n.2170, septiembre 2014, pp. 1-31.
16 BOE n.172, 19 julio 2012.
17 BOE n. 127, 26 mayo 2014.
18 BOE n.193, 9 agosto 2014.
19 BOE n. 281, 20 noviembre 2014.
20 BOE n.108, 6 mayo 2015.
21 BOPC, n. 360, 14 julio 2014.
22 Vid. la exposición de L.A. Barnes, Gender Identity and Scottish Law: the Legal Response to Transsexuality, en The Edinburgh Law
Review, 2007, vol. 11, pp. 162-186; también L.Chau, J.Herring, Defining, Assigning and designing sex, en International Journal of
Law, Policy and the Family, 2002, pp. 333-334.
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modo que son los intersexuales -colectivo que preocupa a la UE23 desde hace muy poco- quienes se integran en la designación (secuencia) de personas LGBT, pese a que numerosos intersexuales discrepan
de esta adscripción, por estimar su problemática diferente24. Baste apuntar aquí que las cuestiones que
los individualizan no se abordan en la ley.
En realidad, la lectura de la ley revela que, a día de hoy, quienes verdaderamente preocupan son
las personas transexuales. La LDLGBTI los presenta en su formulación más amplia, para abarcar las
diferentes modalidades de adopción de género. Así, el Preámbulo (§ 3) informa de que “La presente ley
utiliza el término «transgénero» para referirse a las personas que se sienten del sexo contrario al que se les ha
atribuido al nacer según sus características biológicas y a las personas que no se identifican exactamente ni
con un hombre ni con una mujer según la concepción tradicional de los géneros, todo ello independientemente de que estas personas se hayan sometido o no a una intervención quirúrgica” y precisa “Las
personas transexuales, pues, quedan incluidas dentro de la denominación de personas transgénero. Así
mismo, la transexualidad está incluida dentro de la denominación genérica “transidentidad”, que designa la condición o calidad de transgénero”25. Es, no obstante, una explicación que luego no se menciona
en el precepto sobre las “Definiciones” (art. 4), centradas en aspectos calificables de técnicos.
En España, el gran avance normativo con relación a los transexuales -con el correlativo cambio de
paradigma social- tuvo lugar con la Ley 3/2007, de 15 de marzo, reguladora de la rectificación registral
de la mención relativa al sexo de las personas26. Esta norma se centraba -como avala su rúbrica- en los
requisitos necesarios para poder modificar la inscripción relativa al sexo de la persona en el Registro
Civil, si esa inscripción no se correspondía con la identidad de género que la persona solicitante sentía
como propia (además regulaba el cambio de nombre propio de la persona interesada, para que no resulte discordante con el sexo reclamado). La rectificación registral (art. 4 de la ley) iba ligada al diagnóstico
de la disforia de género (a) y a la acreditación de que la persona había sido tratada médicamente al menos durante dos años para acomodar sus características físicas a las correspondientes al sexo reclamado
(b)27. La ley catalana obvia cualquier exigencia médica y prescribe que “las personas transgénero y las
personas intersexuales deben poder acogerse a lo establecido en la presente ley sin necesidad de un
diagnóstico de disforia de género ni tratamiento médico” (art. 23.4) Dicho esto, los requisitos de la ley
3/2007 siguen vigentes si se solicita la rectificación registral, pues la Generalitat carece de competencias
para modificar la ley del 2007 en esta cuestión.
La atención a las personas LGTBI supone contestar tanto la discriminación por orientación sexual
como la discriminación por identidad de género, dos supuestos que a día de hoy sabemos deslindar,
pese a que todavía se encuentran confusiones en derecho comparado como hacía notar el Comisario
para los Derechos Humanos en el informe que elaborara en el 200928. Ahora bien, no estamos seguros
23 Baste recordar los informes S.Agius, C.Tobler, Trans and Intersex People. Discrimination on the grounds of sex, gender identity and
gender expression, European Network of Legal Experts in the non-discrimination field, supervisado por el Migration Policy
Group, 2012, en http://www.teni.ie/attachments/35bf473d-1459-4baa-8f55-56f80cfe858a.PDF y Human rights and intersex
people, del Comisionado de Derechos Humanos del Consejo de Europa (abril 2015) en https://wcd.coe.int/com.instranet.
InstraServlet?command=com.instranet.CmdBlobGet&InstranetImage=2768767&SecMode=1&DocId=2282716&Usage=2.
24 Vid. como ejemplo las declaraciones en “L’Estat de l’homofòbia a Catalunya 2014”. Este trabajo, obra del Observatorio contra la homofobia, es una muy interesante presentación de la situación en Catalunya, en http://www.lambda.cat/images/
CDAF/Actualitat/2015/EstatHomofobiaCat2014CAT.pdf. Justamente, presenta a las personas LGBTI como LGBT+I.
25 En definitiva, el concepto transgénero es más amplio que el de transexual. En la definición del Informe Trans and intersex
people Discrimination on the grounds of sex, gender identity and gender expression, cit. supra, se apunta “The term trans includes
those people who have a gender identity and/or a gender expression that is different from the sex they were assigned at birth. Indeed the
term trans is an umbrella term that includes, but is not limited to, men and women with transsexual pasts and people who identify as
transsexual, transgender, transvestite/crossdressing, androgyne, polygender, genderqueer, agender, gender variant or with any other
gender identity and gender expression which is not standard male or female, and who express their gender through their choice of clothes,
presentation or body modifications, including the undergoing of multiple surgical procedures”.
26 BOE núm. 65, de 16 marzo 2007. Sobre la ley, además de la bibliografía citada en nota 11, vid R. Valpuesta Fernández, Tratado
de Derecho de la persona física, dirigido por Mª del C.Gete-Alonso, t.I, Civitas-Thomson Reuters, 2013, pp. 552-560.
27 Añade el art. 4.2 que cabe la rectificación registral sin que haya habido una cirugía de reasignación sexual. Además, los
tratamientos médicos no serán un requisito necesario cuando concurran razones de salud o de edad que imposibiliten su
seguimiento, y una certificación médica lo constate.
28 Vid. Nota 7. En la p. 6 se recuerda que “Algunos marcos legales de los estados miembros del Consejo de Europa categorizan,
desafortunadamente, la identidad de género bajo el término de “orientación sexual”, lo que no es exacto ya que la identidad
de género y la orientación sexual son dos conceptos diferentes. La orientación sexual debería ser entendida como la capacidad de cada persona para una atracción emocional, afectiva y sexual hacia, y para las relaciones íntimas y sexuales con
individuos de diferente o igual género, o de más de un género (heterosexualidad, homosexualidad y bisexualidad).
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de que la ciudadanía conozca la noción de “expresión de género”, ligada a la forma en que se expresa el
género (indumentaria, determinadas actitudes…).
Junto a las causas de discriminación tipificadas, la ley menciona la tutela de “las distintas expresiones afectivas”, que se perfila como un concepto autónomo. Se observa con claridad en el art. 15.a),
cuando establece que el Consejo de Audiovisual de Cataluña debe velar para que no se vulnere “el respeto a la orientación sexual, la identidad de género, la expresión de género y las distintas expresiones
afectivas”. La atención a las distintas expresiones afectivas y la no discriminación por este concepto era
un principio nuclear en la Proposición de ley, pero -acaso porque está englobado en el principio de no
discriminación por orientación sexual, y porque es una aproximación más literaria que jurídico/técnica-, en la ley vigente es residual. Debemos no obstante destacarla porque permite entender mejor las
reiteradas menciones a la heterogeneidad del hecho familiar, que veremos infra.
4. Una relación de definiciones técnica
El art. 4 [Definiciones] parece entroncar con las técnicas legislativas en relación con las normativas europeas, pues contiene una relación de definiciones ad hoc para la inteligencia de la ley. Es una enumeración
parcial porque no incorpora -presumimos que voluntariamente- definiciones relativas a los conceptos
de identidad de género o expresión de género o a las personas beneficiarias29, a diferencia de otras normas autonómicas30. Quizás hubiera sido pertinente una mejor presentación del concepto «expresión de
género», aunque consideremos que la «identidad de género» ya no precisa a día de hoy de clarificación.
Tampoco se definen la homofobia, la bifobia y la transfobia, quizás porque también parecen evidentes.
El objetivo del art. 4 es identificar una serie de conceptos técnicos que integran el lenguaje propio de la
lucha a favor de la igualdad: «discriminación directa», discriminación indirecta», «discriminación por asociación»; «discriminación por error»; «discriminación múltiple»31; «orden de discriminar»; «asedio por
razón de la orientación sexual, la identidad de género o la expresión de género»; «represalia discriminatoria» y «victimización secundaria». En puridad su utilidad se revela en el capítulo de las sanciones,
porque apenas aparecen en los enunciados. Forman parte de la construcción teórica de la discriminación, y también el legislador catalán las contempla en la reciente Ley catalana 17/2015, de igualdad
efectiva de mujeres y hombres -en adelante LIEMJ-32.
En el articulado, pese a la existencia de este precepto unificador, encontramos otras definiciones aisladas. En concreto, en el art. 12 [Educación] se presenta el concepto “coeducación” a efectos de esta ley,
con un contenido más amplio que el tradicional referido a la no segregación por sexos. También debe
tenerse presente el art. 31.2 [Concepto de infracción]: “No se considera discriminación la diferencia de
trato basada en alguna de las causas establecidas en la presente ley derivada de una disposición, una
conducta, un acto, un criterio o una práctica que pueda justificarse objetivamente por una finalidad
legítima y como medio adecuado, necesario y proporcionado para alcanzarla”.
29 Baste recordar la definición en la Guía de las Naciones Unidas, en http://www.unitedexplanations.org/2015/03/02/identidad-de-genero/
30 Como ejemplo, el art. 3 Ley andaluza del 2014: “Identidad de género. A los efectos de la presente Ley, se entiende por identidad de género la vivencia interna e individual del género tal y como cada persona la siente, que puede corresponder o no con
el sexo asignado al momento del nacimiento, y que incluye la vivencia personal del cuerpo. Puede involucrar la modificación
de la apariencia o la función corporal a través de medios farmacológicos, quirúrgicos o de otra índole, siempre que ello sea
libremente escogido”.
31 La Proposición de Ley sólo contemplaba la distinción directa/indirecta. La ampliación conceptual permitirá afinar los análisis de la discriminación. Vid. F. Rey Martínez, El modelo europeo de lucha contra la discriminación y su incompleta incorporación en
el ordenamiento español, en Iguales y diferentes ante el derecho privado, Susana Navas Navarro (dir.), Valencia, Tirant lo Blanch,
2012, pp. 32-36 y, como monografía fundamental, A. Aguilera Rull, Contratación y diferencia. La prohibición de discriminación
por sexo y origen étnico en el acceso a bienes y servicios, Valencia, Tirant lo Blanch, 2013. En relación a la discriminación múltiple,
vid. R. Serra Cristobal (dir.), La discriminación múltiple en los ordenamientos jurídicos español y europeo, Valencia, Tirant lo Blanch,
2013.
32 BOE n. 215, 8 septiembre 2015.
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5. La atención a los derechos a partir de los principios
La ley tiene como objetivo y fundamento “garantizar los derechos de LGBTI”, pero no los identifica en
ningún precepto. Sólo se atiende in genere al derecho a la no discriminación (por ej., en el art. 20) y a
enumerar unos principios informadores/orientadores. La regulación - muy insatisfactoria en términos
jurídicos, a nuestro parecer-, se fundamenta en los arts.5 [Cláusula general antidiscriminatoria] y 6
[Principios orientadores de los poderes públicos]. Ex art 5:
1. Las administraciones públicas de Cataluña y el Defensor del Pueblo [Síndic de Greuges] deben velar
por el derecho a la no discriminación con independencia de la orientación sexual, la identidad de género
o la expresión de género de la persona o del grupo familiar al que pertenezca.
2. El derecho a la no discriminación debe ser un principio informador del ordenamiento jurídico
catalán, de la actuación administrativa y de la práctica judicial. Este derecho vincula tanto a los poderes
públicos como a los particulares.
En el precepto -tipificado como “cláusula general”, sin mayores consecuencias- identificamos el
derecho subjetivo de las personas LGBTI “a la no discriminación”. Pero ese derecho -y en definitiva la
salvaguarda del derecho fundamental- se traducirá en la tutela jurisdiccional individual, con el Tribunal Constitucional como última instancia. La LDLGBTI no atiende a esta vía -que presupone-, aunque
la protección de las personas LGBTI como titulares de derechos se concreta en los “Mecanismos para
garantizar el derecho a la igualdad” (Título VI, que identifica otros derechos sectoriales, en realidad
efectos derivados del derecho primario: el «derecho de admisión» y el «derecho a la atención y a la
reparación»).
Dicho esto, a partir de la redacción del art. 5 (que invitamos a releer), la LDLGBTI se centra en
la proscripción de la discriminación como “principio informador” del ordenamiento jurídico y de los
poderes públicos, con el plus de que también vincula al resto de la ciudadanía (una vinculación que,
pese a todo, nos aboca al plano anterior). Se trata de un principio informador que da lugar -intentamos
distinguir calificaciones más allá de los recursos narrativos- a una serie de “Principios orientadores de
la actuación de los poderes públicos” (art. 6), esto es, a una pluralidad de enunciados/prescripciones
de diverso cariz, que forman un peculiar cajón de sastre. Lo denominamos «cajón de sastre» -la ley está
llena de esos contenedores sin orden- porque tienen cabida prescripciones tan dispares como “Proteger
la integridad, la dignidad y la libertad de todas las personas, de acuerdo con los derechos fundamentales y los derechos humanos universales” (a); “garantizar el respeto de la pluralidad de identidades por
orientación afectiva y sexual” (c); “asegurar la cooperación interadministrativa” (h) o “establecer las
medidas de fomento de las entidades que trabajan para hacer efectivos los derechos y la no discriminación de las personas LGBTI” (k).
Con posterioridad en la LDLGBTI se mencionan “Los principios de no discriminación y de respeto
a la orientación sexual, la identidad de género y la expresión de género” (art. 13.2) -y en el art. 12.5 se
atiende a “los principios de la presente ley”- o los “principios de la presente ley en cuanto al respeto a la
orientación sexual, la identidad de género, la expresión de género y las distintas expresiones afectivas”
(art. 15.a), que es todavía una declaración más general.
Pero, pese a esos enunciados, la máxima preocupación de la ley -de hecho, su preocupación real- no
es la atención a las personas LGBTI como actores de la normativa (son destinatarios, pero no protagonistas activos). En realidad lo que la ley pretende es la implicación de los poderes públicos en la erradicación de situaciones que lesionan los derechos de las personas LGBTI. Son las instancias y servicios de
la Generalitat los destinatarios finales de unas acciones que han de posibilitar la definitiva integración
social de las personas LGBTI y por ello el núcleo de la ley lo conforman las “Políticas públicas para
promover la igualdad efectiva…” (Rúbrica del Título II). Es un objetivo necesario, pero hubiéramos
preferido que la LDGLBTI también integrase un precepto semejante al del art. 2 de la Ley andaluza, que
recoge el “Derecho a la autodeterminación de género”, derecho que desglosa en una serie de derechos
concretos, como “el derecho a reconocimiento de su identidad de género, libremente determinada” (2)
o al “libre desarrollo de su personalidad conforme a su identidad de género, libremente determinada”
(3)33.. La opción del legislador catalán, que declara pretender una protección integral, resulta aquí de-
33 Art. 2: “Toda persona tiene derecho: 1. A recibir una atención integral y adecuada a sus necesidades sociales, sanitarias, jurídicas, laborales y educativas, entre otras, en igualdad efectiva de condiciones y sin discriminación con el resto de la ciudadanía,
en relación con lo previsto en los artículos 35 y 37.1.2.º del Estatuto de Autonomía para Andalucía y el artículo 43.2 de la Ley
12/2007, de 26 de noviembre, para la promoción de la igualdad de género en Andalucía. 2. Al reconocimiento de su identidad
de género, libremente determinada. 3. Al libre desarrollo de su personalidad conforme a su identidad de género, libremente
determinada. 4. A ser tratada de acuerdo con su identidad de género y, en particular, a ser identificada de ese modo en los
instrumentos que acreditan su identidad en el ámbito de la Administración de la Junta de Andalucía.”. Vale la pena también
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masiado prudente. Dado que confluyen tantas normas programáticas, lo mejor hubiera sido -a nuestro
juicio- una relación de derechos específicos, como afirmación de las personas LDGLBTI. Sencillamente,
incluso la denominación de la ley permitía considerarlo [“Ley … para garantizar los derechos…”]. Creemos poder afirmar que numerosos juristas, al enfrentarse con el texto legal, buscarán una identificación
-siquiera enumerativa- de dichos derechos.
6. La atención recurrente a la heterogeneidad del hecho familiar.
La diversidad afectiva
Un hecho característico de la LDLGBTI es la atención continua a la pluralidad de modelos familiares,
que se identifican a partir de “la heterogeneidad del hecho familiar”. Esta expresión no es arbitraria. La
regulación de la familia en el Código civil de Cataluña parte justamente -art. 231-1, primer artículo del
Título III, “La familia”, y frontispicio de toda la regulación- de «La heterogeneidad del hecho familiar»34.
1. La familia goza de la protección jurídica determinada por la ley, que ampara sin discriminación
las relaciones familiares derivadas del matrimonio o de la convivencia estable en pareja y las familias
formadas por un progenitor solo con sus descendientes.
2. Se reconocen como miembros de la familia, con los efectos que legalmente se determinen, los hijos de cada uno de los progenitores que convivan en el mismo núcleo familiar, como consecuencia de la
formación de familias reconstituidas. Este reconocimiento no altera los vínculos con el otro progenitor.
El art. 231-1 desarrolla el art. 40.2 Estatuto de Autonomía de Cataluña [Protección de las personas
y de las familias]: “Los poderes públicos deben garantizar la protección jurídica, económica y social de
las distintas modalidades de familia previstas en las leyes, como estructura básica y factor de cohesión
social y como primer núcleo de convivencia de las personas (…)”.
El § 22 Preámbulo de la LDLGBTI anuncia que “En cuanto a la realidad familiar, la norma pretende
garantizar el reconocimiento de la heterogeneidad del hecho familiar, recogido en la legislación civil y
administrativa de Cataluña, en igualdad de condiciones y en todos los ámbitos” Previamente, el art. 6.g)
ya había establecido como Principio orientador “hacer efectivo el reconocimiento de la heterogeneidad
del hecho familiar en el derecho catalán…” Pero, tras estas declaraciones, hay que reconocer que el art.
22 LGDLGBTI no añade aspectos especialmente reseñables en relación con la situación anterior a la ley35.
El art. 22 se estructura en 6 apartados, el primero de carácter programático36 y los restantes centrados en aspectos concretos. Es una técnica legislativa mejorable -que caracteriza la ley- pues convierte
cada precepto en un macroprecepto, o -con mayor realismo- en un «cajón de sastre». Esta es una tipificación que ya hemos empleado antes -y que reaparecerá en nuestro comentario después- e insistimos
porque, a nuestro juicio, el recurso al expediente del «cajón de sastre» constituye una de las principales
rémoras de la ley. Una mayor división de los contenidos, aunque supusiera multiplicar los preceptos,
hubiera clarificado el artículo -y la norma en su conjunto-. Llama la atención, además, que sistemática-
mencionar el art. 3 de la Lex extremeña, que pese a tipificarlos como principios menciona “b) Reconocimiento de la personalidad: toda persona tiene derecho a construir para sí una autodefinición con respecto a su cuerpo, sexo, género y su orientación
sexual. La orientación, sexualidad e identidad de género que cada persona defina para sí es esencial para su personalidad y
constituye uno de los aspectos fundamentales de autodeterminación, dignidad y libertad. Ninguna persona podrá ser presionada para ocultar, suprimir o negar su orientación sexual, expresión o identidad de género”. Estas declaraciones anudan
la protección a cada individuo y pueden fundamentar pretensiones concretas en caso de lesión.
34 Vid. E. Roca Trías, Comentario al art. 231-1, en Persona. Familia, Libro Segundo del Código civil de Cataluña, P. Ortuño (coord.),
,Sepin, 2011, p. 515 ss. y P.S. Coderch - L. Alascio Carrasco, Comentari a l’article 231-1, en Comentari al Llibre segon del Codi civil
de Catalunya. Família i relacions convivencials d’ajuda mútua, J.Egea-J.Ferrer (dirs.) - E. Farnós i Amorós (coord.), Barcelona, Ed.
Atelier, 2014, pp. 55-59.
35 Debe leerse teniendo presente también esa preocupación por la «diversidad de relaciones afectivas», que en la Proposición
de ley, como ya hemos mencionado, parecía tener un ámbito propio, pero que debe reconducirse, justamente, a la noción -en
plural- de familias. Vid., para una cuestión concreta, pero muy ilustrativos, Mª D. Bardaji Gálvez, Transexualidad y Derecho
de visitas (Comentario a la STC 176/2008, de 22 de diciembre), en Revista Jurídica de Cataluña, 2010, 1, p. 125 ss. y A. M. Romero
Coloma, Transexualidad del progenitor y derecho de visitas (sentencia del Tribunal Constitucional de 22 de diciembre de 2008 y las limitaciones al derecho de visitas) en Diario La Ley nº 7471, 20 de septiembre de 2010, Ref.D-276; M.de la Iglesia Monje, Transexualidad
y restricción del derecho de visitas, en Revista crítica de Derecho inmobiliario, núm. 713, 2009, p. 1518 ss.
36 Basta cotejarlo con el art. 233-1 que transcribíamos en el texto “1. Las familias gozan de la protección jurídica determinada
por la ley, que ampara sin discriminación las relaciones familiares derivadas del matrimonio, la convivencia en pareja estable
y las familias formadas por un progenitor con sus descendientes”.
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mente este artículo es un capítulo (el IV) del Título II sobre “Políticas Públicas para promover la igualdad efectiva de las personas LGBTI”, lo que se traduce, en definitiva, en diversas prescripciones sobre
la actividad de las Administraciones.
En primer lugar, se establece que se debe garantizar que en la valoración de la idoneidad en los
procesos de adopción no haya discriminación por razón de orientación sexual, identidad/expresión de
género. Se afirma que el proceso de valoración de la idoneidad ha de ser “formador, transparente, contradictorio e informador, de acuerdo con la heterogeneidad del hecho familiar” (art. 22.2). Aquí tienen
tanto la adopción individual como la conjunta. En Cataluña, el matrimonio integra parejas homosexuales y heterosexuales y no hay diferencias con relación a la adopción. Lo mismo cabe decir para las uniones estables. Ciertamente, en Cataluña, en una primera etapa, la ley de 1998 distinguía entre uniones
estables de pareja heterosexuales y homosexuales, y esa distinción era, básicamente, para circunscribir
la adopción conjunta a las primeras. Pero la reforma del Código de Família en el 200537 permitió la
adopción conjunta de las parejas, con independencia de su orientación sexual. Ese criterio se mantiene,
por supuesto, en el Libro Segundo del Código civil catalán. En realidad, el problema -que supera el ámbito de actuación de la administración catalana- aparece en relación con las adopciones internacionales,
al concurrir países que no comparten nuestra visión del hecho familiar.
Asimismo, se establece que el miembro supérstite de la pareja es tratado en los mismos términos
que el cónyuge en relación con las cuestiones funerarias y de identificación del cadáver, así como a la recepción de los objetos personales (art. 22.5). Sin duda, se pretende superar esos conflictos que surgen entre los familiares del muerto y la pareja de este, cuando hay que tomar las primeras decisiones surgidas
del deceso. Pero las parejas de hecho estables ya están suficientemente reconocidas en Cataluña, y social
y jurídicamente no habría de producirse una situación de desprotección o postergación (en este caso del
supérstite). De hecho, la redacción lleva a sospechar que se piensa en una relación afectiva que todavía
no encaja en los parámetros de la convivencia estable, y que pretende evitar el trato de tercero/extraño.
Como otras prescripciones relevantes, se insta a la Generalitat y a los gobiernos locales a establecer programas de información que divulguen la pluralidad del hecho familiar, y que promocionen la
igualdad de trato de las personas más vulnerables por razón de género o edad (jóvenes y ancianos)
“para garantizar el disfrute total de sus derechos y el libre desarrollo de su personalidad en el ámbito
familiar” (art. 22.3), a atender coordinadamente a las víctimas de discriminación en el ámbito familiar
y a apoyarles en caso de violencia (art. 22.4) y a establecer los mecanismos para que la documentación
administrativa se adecúe a la heterogeneidad descrita (art. 22.5)
7. Los sectores de intervención
Ya hemos apuntado que la ley pretende abarcar “todas las áreas de la vida social”, una afirmación inexacta porque ignora aspectos como internet o la vivienda (como explicita la Recomendación CM / Rec
(2010) 5 del Consejo de Europa para combatir la discriminación por motivos de orientación sexual o
identidad de género [§ VIII]). Interesan los ámbitos que se denominan “sensibles” en el Preámbulo. En
concreto, la Educación (art. 12) -en puridad, educación primaria y secundaria-: las Universidades (art.
13); la Cultura, tiempo libre y deporte (art. 14); los Medios de comunicación (art. 15); la salud (art. 16);
la Acción social (art. 17), el Orden público y la privación de libertad (art. 18) -que en el art. 10.1 ha sido
identificado como ámbito de “la justicia y los cuerpos de seguridad”- y la Participación y solidaridad
(art. 19). Aunque, en base a la expresión adoptada, en este título habrían de tener cabida el Mercado de
trabajo y las familias, se opta por atribuirles títulos específicos.
El análisis de los preceptos muestra, una vez más, el objetivo de la LDLGBTI es sentar criterios
de actuación para las administraciones públicas. El núcleo de la regulación está -y queremos insistir
en ello- bajo la denominación general de “Políticas públicas para la igualdad efectiva de las personas
LGBTI”, una denominación habitual en las leyes que atienden a esta materia [como referente básico, el
Título II de la LO 3/2007, de 22 de marzo, para la igualdad efectiva de mujeres y hombres].
7.1. La educación
El art. 12 parte de la definición ad hoc de “coeducación”, como la “acción educativa que potencia la igualdad real de oportunidades y la eliminación de cualquier tipo de discriminación por razón de orientación
sexual, identidad de género o expresión de género” (art. 12). No es equivalente a la noción “clásica”
37 Ley 3/2005, de 8 de abril, de modificación de la ley 9/1998, del Código de Familia, en BOE n. 111, 10 mayo 2005.
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de coeducación en relación con hombres y mujeres [niños/niñas], que sigue a día de hoy utilizándose,
como avalan los arts. 2 y el 21 LIEMJ. Esa polisemia lleva a considerar si no hubiera sido más adecuado
optar por otra terminología, que no contestase la voluntad inclusiva.
Este concepto se eleva a principio [“principio de coeducación”] en los párrafos siguientes (que no
consideramos un principio orientador ex art. 6, por su carácter sectorial). Su implementación comporta
que “la diversidad sexual y afectiva, la identidad de género y los distintos modelos de familia sean
respetados en los distintos ámbitos educativos” (art. 12.2). Ha de incorporarse a los Planes de acción
tutorial y a los reglamentos de convivencia de los centros. Su ejecución efectiva comporta unas medidas,
que la ley desarrolla en los apartados 4 a 7. En concreto, se establece que los contenidos de los materiales escolares, educativos y formativos, así como el lenguaje que se emplee, ha de tener en cuenta la
orientación sexual, la identidad y expresión de género y evitar discriminaciones (§4); se prescribe que
“El respeto a la diversidad en lo relativo a la orientación sexual, la identidad de género o la expresión
de género y a los principios de la presente ley debe ser efectivo en todo el sistema educativo, en los centros y entidades de formación, en la educación de adultos, en la formación de madres y padres, en las
actividades deportivas escolares y en las actividades de tiempo libre infantil y juvenil” (§5); también se
promueven planes de convivencia que enfaticen las medidas de prevención y actuación contra el acoso
de las personas LGBTI en el medio escolar, y se estima que la administración debe “ofrecer mecanismos
a los centros para que detecten situaciones de discriminación o exclusión de cualquier persona por las
dichas razones. En este sentido, debe promoverse el desarrollo efectivo de planes de convivencia con un
especial énfasis en las medidas de prevención y de actuación contra el acoso de que pueden ser objeto
las personas LGBTI en el medio escolar”. El organismo responsable es el Departamento competente en
Educación de la Generalitat, que debe garantizar el desarrollo de los contenidos mencionados supra, y
“velar porque las escuelas, los institutos y los otros centros educativos constituyan un entorno amable
para la diversidad sexual y afectiva en el que alumnos y profesores puedan vivir de una manera natural
su orientación sexual, identidad de género o expresión de género, y se contribuya así a la creación de
modelos positivos para la comunidad educativa” (§7)38.
El precepto, tan bienintencionado como el resto de la ley, obliga a pensar, como cuestión preliminar,
en dónde sitúa a las personas LGBTI en el ámbito de la enseñanza. Por un lado en la colectividad en
general, como receptora de unos principios que afianzan la ciudadanía. Por el otro, se atiende -parece- a
los LGBTI estudiantes menores de edad (la ley no dedica a los menores un artículo específico, sino atención puntual en algunos preceptos). El último párrafo, no obstante, incorpora a los docentes LGBTI. No
se mencionan los familiares de los escolares, una carencia contestable, porque en el ámbito escolar, y en
aras de la prevención del bullying, es necesario atender a las familias de los menores en dos supuestos:
tanto si el menor es LGBTI como si es su familia la que se inscribe en dicho grupo39. Debería haberse
incorporado alguna mención explícita. No en vano, los menores que viven en familias LGBTI pueden
sufrir discriminación por la opción de sus progenitores, un caso paradigmático de esa “discriminación
por asociación” (modalidad definida en el art. 4). La voluntad de alcanzar todos los aspectos educativos
lleva a incorporar una mención a la formación de padres y madres, no necesariamente adscritos a las
personas LGBTI.
La LDLGBTI no atiende a la problemática de los lavabos en los colegios, que previsiblemente sea
objeto de análisis en los próximos años y que la ley sólo parece insinuar con relación a la acción social,
de modo genérico y para la tercera edad (art. 17). Sin duda ésta es una opción pragmática, porque pasa
por la habilitación de espacios específicos, lo que tiene -guste o no- una repercusión económica que en
38 Para una aproximación interesante, K.A. Zammitt, J.Pepperell, M.Coe, Implementing an Ally Development Model to Promote Safer Schools for LGB Youth: A Trans-Disciplinary Approach, en Journal of Homosexuality, 2015, 62:6, pp. 687-700. En nuestro país, en
el momento de cerrar este comentario, tenemos constancia de que el Departament d’Ensenyament ha constituido un grupo
para estudiar medidas concretas. El análisis de las experiencias extranjeras -así el artículo que mencionamos- podría contribuir a una mejor reflexión.
39 Sobre el bullyng, por todos, F.Grande-Marlaska Gómez, El acoso escolar por razón de orientación sexual: el bullying, en Igualdad.
Retos para el siglo XXI, A. Figueruelo Burrieza, M. del Pozo Pérez, M.León Alonso (dirs.), A. Gallardo Rodríguez (coord.),
Santiago de Compostela, Ed. Andavira, 2012, pp. 77-89. También hemos de mencionar el completo Estudio sobre homofobia
y bifobia en las Aulas 2013, http://www.cogam.es/secciones/junta-directiva/i/1126825/1911/estudio-homofobia-y-bifobiaen-las-aulas-2013, a partir de encuestas a más de 5200 estudiantes de la Comunidad de Madrid de entre 12 y 17 años.
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un período de crisis no resulta urgente40. Ahora bien, en el cotejo con otras leyes autonómicas se constata
que la canaria, menos de un mes después, sí incorpora una alusión específica41.
7.2. Cultura, tiempo libre y deporte
El art. 14 tiene, a nuestro juicio, una redacción particularmente desafortunada, quizás a causa de la
tramitación parlamentaria y de la diversidad de materias incluidas. Se estructura en dos apartados. El
primero estatuye que
“Las administraciones públicas deberán velar por la incorporación de actividades para la no discriminación por razones de orientación sexual, identidad de género o expresión de género en los siguientes ámbitos de la cultura, el tiempo libre y el deporte: a) certámenes culturales y acontecimientos
deportivos. b) Proyectos relacionados con la recuperación de la memoria histórica. c) Espectáculos y
producciones culturales infantiles y juveniles. d) recursos didácticos y fondos documentales en la educación no formal”.
La primera cuestión que surge es por qué, en un ámbito tan amplio, se priorizan estos aspectos y no
otros, que conlleva, acto seguido, reflexionar si otras materias ubicables en este ámbito no tienen cabida,
o por qué no se han mencionado. Por otro lado, declaraciones sucintas como “proyectos relacionados
con la recuperación de la memoria histórica”, en ese contexto, resultan ininteligibles. Este apartado es,
a nuestro juicio, un buen ejemplo de los aspectos mejorables de la ley, porque en su redacción actual
resulta -como poco- confuso-. De hecho, es necesario, para su comprensión, acudir al art. 14.b) de la
Proposición de Ley, de redacción mucho más clara, en que se establecía el deber de la administración de
“Impulsar y favorecer proyectos relacionados con la recuperación de la memoria histórica de las personas LGBT, mediante el Memorial Democrático”.
La lectura críptica o excesivamente concreta del primer párrafo se solventa -creemos- con el enunciado más genérico del segundo apartado, que establece que las administraciones públicas de Cataluña
deben garantizar:
“a) La promoción y difusión de las buenas prácticas de las asociaciones y las empresas de educación
en el tiempo libre y de las entidades juveniles en relación con los principios de la presente ley. b) Junto
con las federaciones deportivas, la libre participación de las personas LGBTI en las competiciones y el
trato correcto de estas personas en las instalaciones deportivas. c) La ampliación de las funciones del
Observatorio Catalán del Deporte en lo relativo a las acciones contra la violencia y la discriminación
en el ámbito deportivo, y la recogida de las buenas prácticas de sensibilización de los clubes, las agrupaciones y las federaciones deportivas. d) El acceso a bibliografía específica sobre la temática LGBTI.
e) La adopción de las medidas pertinentes en función de la competencia en materia de espectáculos y
actividades recreativas para evitar que se puedan cometer actos homofóbicos, bifóbicos o transfóbicos”.
Por último, debemos señalar que el § 16 Preámbulo apunta que en este ámbito “se han introducido
criterios de acción positiva contra cualquier tipo de discriminación por razón de orientación sexual,
identidad de género o expresión de género en las actividades deportivas, en la producción cultural y en
la educación no formal”.
7.3. Los medios de comunicación
Este ámbito se centra en el rol atribuido al Consejo del Audiovisual de Cataluña, que es la autoridad
de regulación de la comunicación audiovisual de Cataluña42. Se le encomienda velar porque el código
deontológico de los medios de comunicación no vulnere los principios de la ley en cuanto al respeto a
la orientación sexual, la identidad de género, la expresión de género y las distintas expresiones afectivas
40 Sobre esta cuestión, P. Benavente, Orientación sexual e identidad de género y relaciones jurídico privadas en Revista General de Derecho constitucional, 17, 2013, pp. 1-75, que se hace eco de la denominada “Bathroom Bill”, aprobada en agosto de 2013 por la
Asamblea Legislativa del Estado de California conforme a la cual se exige de las escuelas públicas que permitan a los estudiantes “transgénero” elegir el uso de los baños, vestuarios y equipo de deporte en función de su identidad de género, con
independencia de su sexo de nacimiento. Otros estados están analizando la cuestión.
41 Art. 14. Las administraciones públicas … “b) Asegurarán el derecho de estudiantes, personal y docentes transexuales al
acceso a servicios e instalaciones de los centros educativos, tales como vestuarios y baños, así como a la participación en
actividades donde se realice división por sexo, conforme a la identidad de género sentida por la persona.
42 Se rige por la Ley 2/2000, de 4 de mayo, del Consejo del Audiovisual de Cataluña y por la ley (marco del sector) 22/2005, de
29 de diciembre, de la comunicación audiovisual de Cataluña (vid. BOE n.137, de 8 junio 2000 y BOE 38, de 14 febrero 2006;
con posterioridad ha habido modificaciones puntuales y disensiones con la administración del estado que han afectado a
algunos preceptos).
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(art. 15 a) así como establecer recomendaciones sobre los usos lingüísticos y el tratamiento y el uso de
las imágenes en relación con la homosexualidad, la bisexualidad, la transidentidad y la intersexualidad
(art. 15.b); velar porque los contenidos y la publicidad en los medios de comunicación sean respetuosos
hacia las personas LGBTI (art. 15.c); velar porque los medios de comunicación traten con normalidad la
diversidad de opciones afectivas y sexuales, de modelos diversos de familia y de identidad o expresión
de género, de modo que se favorezca la visibilidad de referentes positivos (art. 15.d); velar porque la
programación muestre la diversidad en lo relativo a la orientación sexual, la identidad de género y la expresión de género y en cuanto a los modelos de familia (art. 15.e). Además, el Consejo ha de realizar un
seguimiento de las informaciones que ofrezcan un tratamiento contrario a la diversidad sexual, la identidad de género o la expresión de género y recogerlas en un informe que debe hacerse llegar al Síndic de
Greuges, al Parlamento de Cataluña y al Consejo Nacional de Lesbianas, Gays, Bisexuales, Transgéneros
e Intersexuales (art. 15.f). Se trata de un informe específico, diferente de su Memoria Anual.
7.4. La salud
El art. 16 es otro cajón de sastre. De nuevo la técnica legislativa escogida -y mejorable- opta por la unificación de contenidos sobre una materia en un único precepto. El resultado no es clarísimo. En primer
lugar, el art. 16.2 establece que:
2. El sistema sanitario de Cataluña debe garantizar, mediante protocolos de actuación específicos,
que los miembros de parejas estables, independientemente de su orientación sexual o identidad de
género, tengan los mismos derechos que la normativa sectorial sanitaria reconoce a los cónyuges o familiares más próximos. En cuanto al consentimiento por sustitución, el conviviente en pareja estable tiene,
respecto del otro miembro de la pareja, la consideración de familiar más próximo.”
Junto a esta prescripción, que podemos considerar ya asumida, se recuerda que las administraciones (art. 16.3) han de velar por una política respetuosa hacia las personas LGBTI y que “no trate directa
o indirectamente la condición de estas personas, especialmente transgéneros e intersexuales, como una
patología”. Este es un criterio/principio rector de la norma (y que hubiera encajado perfectamente en
el art. 6). En ningún caso se puede abordar su problemática como una enfermedad/disfunción médica.
Asimismo, se han de diseñar estrategias específicas para los problemas también específicos de dichas
personas y fortalecer la vigilancia epidemiológica sensible a las distintas situaciones de salud y de enfermedad que puedan tener con respeto, en cualquier caso, al derecho a la intimidad de los afectados (art.
16.c)). En la elaboración de esas políticas y estrategias -entendidas como compromiso gubernamentaldeben participar las personas concernidas. Asimismo (art. 16.f), las administraciones deben “promover
entre los distintos estamentos de las instituciones sanitarias el establecimiento de prácticas sanitarias
o terapias psicológicas lícitas y respetuosas, y en ningún caso aversivas, en lo relativo a la orientación
sexual, la identidad de género y la expresión de género”, además deben reconocer a los transexuales el
derecho de acceso a los métodos preventivos que garantizan prácticas sexuales más seguras (art. 16.g)).
Se prescribe -la disposición más relevante, en términos de políticas eficaces- la incorporación al sistema
sanitario de “la atención integral a personas transgénero y a personas intersexuales, de acuerdo con la
cartera de servicios vigente, teniendo en cuenta su revisión según los avances científicos, y definiendo
los criterios de acceso tanto al tratamiento hormonal como a la intervención quirúrgica” (art. 16.i)). Si
se han de adoptar decisiones en ese ámbito se debe tener en cuenta la voluntad de la persona afectada
siempre y cuando su vida no corra peligro o sus condiciones de salud no puedan verse perjudicadas,
de acuerdo con la normativa vigente. En esta sede (art. 16.i) in fine) por fin se alude específicamente a
los menores -transexuales e intersexuales-, para apuntar que “deben tenerse especialmente en cuenta,
además, su derecho al libre desarrollo de la personalidad y su capacidad y madurez para tomar decisiones”. Esta es una presentación a nuestro juicio claramente insuficiente, porque no se pronuncia sobre el
consentimiento ni sobre las cautelas. Por último, las administraciones se obligan a “establecer los mecanismos necesarios para que la documentación administrativa y los formularios médicos se adecuen a la
heterogeneidad del hecho familiar y a las circunstancias de las personas LGBTI.” (art. 16.j).
Como cierre de la regulación en esta materia, se debe “garantizar a las mujeres lesbianas la igualdad
de acceso a las técnicas de reproducción asistida” (art. 16.k)). En su formulación genérica comprende
tanto la posibilidad individual, como en el marco de una relación de pareja. En la actualidad, el código
civil de Cataluña establece que el consentimiento de la mujer respecto del hijo que genera su pareja por
técnicas de reproducción asistida de lugar a la determinación de la filiación (arts. 235-3, 235-8 y 235-13),
con lo cual existe una equiparación total con los otros modos de determinación43. Ciertamente, aquí lo
43 Vid. J.R. García Vicente, Comentari a l’article 235-3, en Comentari al Llibre segon del Codi civil de Catalunya. Família i relacions convivencials d’ajuda mútua, J.Egea-J.Ferrer (dirs.) - E.Farnós i Amorós (coord.), Barcelona, Ed. Atelier, 2014, p. 588.
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que se persigue es la interdicción de un trato preferente a parejas heterosexuales que también pretendan
recurrir a estas técnicas en caso de limitaciones o dificultades.
Como último aspecto relevante en este ámbito -que ya hemos apuntado supra-, nos sorprende que
no haya ninguna referencia a la temprana asignación de género en las personas intersexuales, que es el
presupuesto de toda su evolución posterior, y a menudo comporta intervenciones quirúrgicas de envergadura (ante la necesidad, por ejemplo, de una identificación en los registros civiles). Echamos en falta
un precepto como el art. 11.2 de la ley extremeña “El sistema sanitario público de Extremadura velará
por la erradicación de las prácticas de asignación de sexo en bebes recién nacidos atendiendo únicamente a criterios quirúrgicos y en un momento en el que se desconoce cuál es la identidad real de la persona
intersexual recién nacida. Todo ello con la salvedad de los criterios médicos basados en la protección de
la salud de la persona recién nacida”. Esta regulación no nos parece óptima -entre otras razones porque
sólo alude al sistema sanitario público-, pero al menos identifica el problema fundamental con relación
a las personas intersexuales44. Lo apuntamos aquí, con relación a la sanidad, aunque dado que hay un
Título específico para transexuales e intersexuales, también podía situarse sistemáticamente allí. Lo
que resulta objetable es el silencio de la ley. Es de temer que, en el momento de la aprobación de la ley,
todavía no existía una visión clara de las acciones pertinentes.
7.5. La acción social
El art. 17 es, a nuestro juicio, uno de los preceptos más importantes, pese a su presentación mejorable.
Ya hemos apuntado que la LDLGBTI quiere atender “a todas las etapas de la vida” y ese propósito se
advierte en este precepto con claridad, pues comienza centrado en los adolescentes y los jóvenes y concluye atendiendo a las residencias geriátricas
En concreto, se avala el especial cuidado (sic) de las administraciones en el apoyo a los adolescentes
y jóvenes LGBTI que se encuentren en situación de vulnerabilidad o aislamiento social. Además, las
administraciones deben trabajar en la prevención de situaciones que puedan atentar contra la vida o la
salud de estas personas a causa de su condición personal. Como precisión -pues el enunciado anterior
es en exceso generalista, de nuevo una manifestación de buena voluntad-, “La Administración de la
Generalidad debe impulsar medidas y actuaciones de apoyo para adolescentes y jóvenes LGBTI que
hayan sido expulsados del domicilio familiar o se hayan marchado voluntariamente del mismo debido
a situaciones de maltrato y presión psicológica” (art. 17.2). Esta medida es especialmente necesaria, más
cuando existen estudios que demuestran que un porcentaje significativo de menores debe abandonar
su hogar45. Asimismo, deben establecerse medidas de prevención para las personas LGBTI que puedan sufrir discriminación múltiple, con el objetivo de evitar situaciones de discriminación, riesgo de
exclusión social y vulnerabilidad -una medida predicable para todas las etapas de la vida. Por último
(art. 17.4), los servicios sociales, y específicamente las residencias para la gente de la tercera edad, tanto
públicas como privadas, deben velar porque no se produzcan situaciones de discriminación de las personas LGBTI, tanto si viven solas como si viven en pareja. Se destaca que las administraciones deben
velar porque en las residencias u otros equipamientos en que se diferencian los espacios por sexos, las
personas transgéneros puedan hacer uso de los espacios asignados al género sentido. Esta es una reivindicación concreta en nuestro país de las personas transexuales, que señalan que con la tercera edad
vuelven a hacerse invisibles46. Asimismo, debe fomentarse el respeto a la diversidad en lo relativo a la
orientación sexual, la identidad de género o la expresión de género entre los usuarios de los servicios
sociales -una norma más de educación de la ciudadanía…-.
7.6. El orden público y la privación de libertad
La pretensión, en este ámbito, es garantizar a las personas LGTBI un trato acorde con sus necesidades
en caso de detención o retención de algún tipo. De hecho, aunque se predica de todos los integrantes
del colectivo, se constata que la preocupación fundamental se centra en la protección de las personas
transgéneros. En concreto, el Gobierno (este artículo menciona al “gobierno”, frente a la habitual referencia a la administración, el departamento, la Generalitat…) debe establecer las medidas pertinentes para
garantizar un trato y una estancia adecuados de las personas LGTBTI en las dependencias policiales
44 Además, menciona la Resolución 1952 (2013) del Parlamento europeo “Children’s right to physical integrity”, que considera
una violación de la integridad física “early childhood medical intervention in the case of intersex children”.
45 M. Roumiantsevat, Because parents owe it to them: unaccompanied LGBTQ youth enforcing the parental duty of support, en 16 Cuny
Law Review, 363, 2012-2013, pp. 363-390.
46 Vid. Informe Estat de l’homofòbia a Catalunya, cit.
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(art. 18.a). También debe establecer normas de identificación y cacheo a las personas transgénero “de
acuerdo con la identidad sentida” (art. 18.b). Debe completarse con la garantía de que, durante su reclusión en un centro penitenciario, “reciban un trato y tengan unas condiciones de vida que correspondan
al género con que se identifiquen” (art. 18.d). Debe recordarse que en España, desde la Instrucción
7/2006, se permitió a las personas transexuales la reclusión en centros penitenciarios en base al género
psicosocial que tenían47. Asimismo, debe permitirse que dichas personas, mientras están detenidas o
internadas, continúen “cualquier tratamiento médico u hormonal que estén siguiendo”. Una manera
de facilitar las cosas es garantizando que el personal de seguridad -policías locales, cuerpo de mossos
d’esquadra [la policía autónoma catalana] y personal penitenciario- tenga una formación inicial y continua sobre la diversidad de la condición de aquellas y sobre la normativa civil, administrativa y penal
que las protege (art. 18.e). Por último, el gobierno debe aplicar un protocolo que trate íntegramente a las
víctimas de agresiones por razón de orientación sexual, identidad de género o expresión de género (art.
18.f) y promover que denuncien la violencia que padecen por tales conceptos (art. 18.g).
7.7. Participación y solidaridad
Este ámbito (art. 19) se centra en “las políticas de cooperación y fomento de la paz y de los derechos
humanos”, en las que debe promoverse la lucha por los derechos de las personas LGBTI e impulsar
proyectos que reconozcan sus derechos en los países en que se les discrimine. Ese propósito se concreta
-pues identificamos, pese a todo, una secuencia entre los dos párrafos que integran el precepto- en dos
acciones que no se ajustan exactamente con el enunciado expuesto, pues no son de política exterior,
sino interior. En concreto, “introducir la diversidad en la relativo a la orientación sexual, la identidad de
género o la expresión de género como un área más de trabajo en el ámbito de la inmigración. Apoyar a
las personas que han sufrido persecución o represalias en sus países de origen” por dichas razones (art.
19.2.a) y “establecer una comunicación estable con el conjunto de los representantes de las creencias
religiosas que conviven en Cataluña” (art. 19.2.b). Esta última medida va ligada a la convicción de que
los líderes religiosos de las comunidades, a día de hoy, son los principales detractores de esas personas
e incluso si no lo son, su aceptación es clave para integrarlas. Si se consigue su cooperación, la discriminación de las personas LGBTI será menor o, en otras palabras, su entorno les resultará más favorable
para el desarrollo de su identidad. Es una medida interesante, porque reconoce una situación real, pero
pendiente de concreción.
7.8. El mercado de trabajo
En este ámbito -ubicado en un capítulo específico dentro del Título II- se parte de la voluntad de integrar el derecho a la igualdad de trato y oportunidades (art. 20). Para ello, las empresas deben adoptar
medidas dirigidas a evitar cualquier tipo de discriminación laboral. Se explicita que “estas medidas
deben ser objeto de negociación y, en su caso, deben acordarse con los representantes legales de los
trabajadores” (art. 20.2 in fine). Se impulsa la adopción voluntaria de planes de igualdad y no discriminación, “mediante las medidas de fomento pertinentes, especialmente dirigidas a las pequeñas y medianas empresas, que deben incluir el apoyo técnico necesario” (art. 20.3). En buena medida, se intenta
un paralelismo sobrevenido con las medidas en pro de la igualdad real de los sexos, pues los Planes de
igualdad son una realidad desde la LO 3/2007, de 22 de marzo, para la igualdad efectiva de mujeres
y hombres (arts. 45 - 49)48 -obligatorios para las empresas con más de 250 trabajadores, recomendados
para las medianas y pequeñas-. En este caso no son obligatorios, sino una recomendación, entre otras
razones -y lo afirmamos desde el pragmatismo-, porque en términos estadísticos el número de personas
LGBTI trabajadoras es menor.
En este ámbito, interesan las medidas y actuaciones para la ocupación que debe adoptar e implementar el Departamento de trabajo (art. 21). El punto de partida es garantizar, mediante la Inspección
de Trabajo, que no existe discriminación “y el pleno ejercicio de los derechos de las personas LGBTI,
en materia de contratación y de condiciones de trabajo y ocupación, al personal de la Administración
de la Generalitat”. Asimismo, impulsar actuaciones y medidas de difusión y sensibilización en las empresas, como -por ejemplo- “incorporar a las nuevas convocatorias de subvención criterios de igualdad
de oportunidades” (art. 21.b.2º) o incentivar a la fuerzas sindicales y empresariales para que realicen
campañas divulgativas (art. 21.b 3º). Corresponde también al Departamento fomentar la implantación
progresiva de indicadores que tengan en cuenta la realidad de las personas LGTBI en los sectores públi-
47 Acaip, en https://www.acaip.es/areas/legislacion/circulares-instrucciones?start=80.
48 BOE n.71, 23 marzo 2007.
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co y privado, y la creación de un distintivo que sirva para reconocer a las empresas que destaquen por la
aplicación de políticas no discriminatorias; desarrollar estrategias para la inserción laboral de personas
transgénero; promover la formación específica del personas de inspección de trabajo en este ámbito o
“impulsar nuevas formas de organización y gestión del tiempo de trabajo en las empresas y desarrollar
medidas y actuaciones dirigidas al conjunto del tejido productivo catalán que faciliten la conciliación
de la vida laboral, personal y familiar de acuerdo con la heterogeneidad del hecho familiar” (art. 21.e).
Hemos transcrito esta medida porque refleja, una vez más, esa reiteración de contenidos, sólo que ahora
ligados a un colectivo concreto. La voluntad de avanzar hacia la conciliación, más que una reivindicación o problemática de las personas LGBTI es un problema de la ciudadanía en general. No hallamos
diferencias entre los problemas cotidianos de una pareja heterosexual clásica, en la difícil conciliación de
la vida profesional y la familiar y una pareja homosexual en esta materia.
8. Los “mecanismos para garantizar el derecho a la igualdad”
El Título IV se concentra en los mecanismos -o herramientas- para “garantizar la igualdad”, esto es, para
evitar la discriminación. Ex §24 Preámbulo, “otros aspectos regulados en el presente texto son el derecho
a la igualdad de trato, la tutela judicial y la legitimación para la defensa del derecho a la igualdad, el
derecho de admisión, el derecho a una protección integral, a la atención y reparación, la garantía institucional, el establecimiento de un servicio integral y el régimen de infracciones y sanciones”. La sola
enumeración ya avala la sistemática perfectible, porque establece una secuencia variopinta, un nuevo
cajón de sastre. No obstante, está identificando algunos aspectos importantes para la tutela de los colectivos, que merecen mayor atención.
En concreto, como “disposiciones generales”, se menciona la tutela judicial y administrativa del
derecho a la igualdad de las personas LGTBI (art. 24), que deberá comprender. “Están legitimados para
la defensa del derecho en los procedimientos administrativos, además -obviamente de los afectados- los
“interesados” (si lo autoriza la persona afectada), que son las entidades, asociaciones y organizaciones
legalmente constituidas que tengan entre sus finalidades la defensa y promoción de los derechos humanos”. También los sindicatos, las asociaciones de profesionales y las organizaciones de consumidores
y usuarios. En relación con los procesos civiles, contencioso-administrativos y sociales (y de acuerdo,
obviamente, con las leyes procesales correspondientes) las entidades mencionadas (exceptuando asociaciones de profesionales y organizaciones de consumidores) tienen legitimación para defender a sus
asociados.
Tras esta formulación general, se identifican los mecanismos siguientes: derecho de admisión (art.
26); derecho a la atención y reparación (capítulo III, arts. 27-30) y el régimen de infracciones y sanciones
(capítulo IV, arts. 31-39).
8.1. Derecho de admisión
Ex art. 26 LDLGBTI, se prohíbe la discriminación en relación “tanto a las condiciones de acceso como
a la permanencia en los establecimientos, y el uso y disfrute de los servicios prestados en los mismos”.
Esa proscripción va ligada al deber de los propietarios de expulsar a quienes violenten a otros por razón
de su orientación sexual, identidad o expresión de género, así como a quienes lleven símbolos o vistan
una indumentaria u objetos que inciten a la violencia, a la discriminación o a la homofobia/bifobia/
transfobia.
8.2. Derecho a la atención y a la reparación
Bajo esta denominación se integran el derecho a la protección integral, real y efectiva (art. 27) y a la atención y asistencia jurídica (art. 29). Su presentación es muy genérica y, al mismo tiempo, acotada. Baste
ver la redacción del art. 29: “Las administraciones públicas de Cataluña deben establecer los mecanismos necesarios para garantizar que las personas LGTBI tengan derecho a recibir toda la información
y asistencia jurídica especializada relacionada con la discriminación y los distintos tipos de violencias
ejercidas contra estas personas”. Fuera pertinente una mayor concreción de esos mecanismos…
Pero en este capítulo hay dos artículos relevantes, sobre la contravención de la ley en el ámbito
contractual (art. 28) y en relación con la inversión de la carga de la prueba (art. 30), que en puridad sí
son dos herramientas concretas. Ex art. 28, “son nulos de pleno derecho las disposiciones, los actos o
las cláusulas que constituyen o causan discriminación por razón de orientación sexual, identidad de
género o expresión de género y pueden dar lugar a responsabilidades de acuerdo con lo establecido
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por la legislación vigente”49. Por último, se establece que cuando en un proceso la parte actora alegue
discriminación y aporte indicios fundamentados -que puede probar por cualquier prueba admitida en
derecho, pudiendo también tenerse en cuenta pruebas estadísticas y tests situacionales (art. 30.2)-, es la
parte demandada quien debe aportar “una justificación objetiva y razonable, suficientemente probada,
de las medidas adoptadas y de su proporcionalidad”. Se puntualiza que este criterio “no es aplicable a
los procesos penales ni a los procedimientos administrativos sancionadores” (art. 30.4). Este principio
es una constante en las leyes antidiscriminatorias, con el referente primero de las normativas de la UE.
Lo encontramos, por ejemplo, en el art. 36 [Carga de la prueba] de la ley 62/2003 -citada en el Preámbulo- y en el art. 13 LO 3/2007, de ahí que los reproches que se hicieron a su inclusión en la ley durante la
tramitación parlamentaria muestren, sencillamente, ignorancia.
8.3. El régimen sancionatorio
Como buena ley administrativa, la clave para la protección va ligada a una pormenorizada relación
de infracciones y las correlativas sanciones, en un capítulo específico (IV) -que fue en su momento una
novedad respecto de otras leyes autonómicas-. De acuerdo con la clasificación habitual, las infracciones
que recoge la ley se dividen en “leves, graves y muy graves … siempre y cuando no sean constitutivas
de falta o delito” (art. 34.1). Las diferencias pueden ser, sencillamente, de periodicidad. Así, por ejemplo, constituyen infracciones leves el uso de “expresiones vejatorias, por cualquier medio, que inciten
a ejercer la violencia contra las personas o sus familias, por causa de la orientación sexual, la identidad
de género o la expresión de género, de un modo intencionado” (art. 34.3 a)) en tanto que son infracciones graves las mismas expresiones vejatorias en que ese “modo intencionado” sea además “reiterado”
(art. 34.4 a)). Como infracciones muy graves se identifican “el acoso o comportamiento agresivo hacia
personas o sus familias por causa de la orientación sexual, la identidad de género o la expresión de género” (art. 34.5.a)) así como “convocar espectáculos públicos o actividades recreativas que tengan como
objeto la incitación al odio, la violencia o la discriminación de las personas LGTBI”. Es curioso que la
regulación apenas se sirve, pese a las definiciones previas, de la discriminación como criterio técnico. De
hecho, en este capítulo sólo se menciona en el art. 31, para recordar que “cualquier discriminación por
orientación sexual, identidad de género o expresión de género que tenga lugar en el ámbito del trabajo,
tanto en la selección o la promoción de personal como en el desarrollo de las tareas, incluido el acoso,
constituye una infracción y puede ser objeto de investigación y, si procede, de sanción, de acuerdo con
el procedimiento y la tipificación establecidos en la legislación laboral”. Por tanto, no hay, en la relación
de infracciones, ninguna ligada de manera directa a la discriminación explicitada como tal. Esta sólo se
menciona de manera accesoria, con relación a la identificación de las penas, para establecer (art. 34.6)
que la discriminación múltiple y la victimización secundaria incrementan en un grado el tipo de infracción establecido por la ley.
9. El soporte administrativo: un órgano consultivo/participativo
y un órgano coordinador
La ley, en el título dedicado a la “Organización administrativa” constituye e identifica dos organismos
específicos: un órgano consultivo y participativo permanente, el “Consejo Nacional de Lesbianas, Gays,
Bisexuales, Transgéneros e intersexuales” (art. 7) y un órgano coordinador de las Políticas LGBTI (art.
8). El Consejo Nacional sustituye al anterior Consejo Nacional de Lesbianas, Gays, hombres y mujeres
bisexuales y transexuales, creado en el 2007 por el Decreto 141/2007, de 27 de junio50. Existe una sucesión clara entre ambas instituciones, como avala la DT 1ª, que en tanto no exista un nuevo reglamento,
el Consejo se rige por el Decreto 141/2007 “en todo cuanto no contradiga la presente ley”. Resaltamos
ese carácter básicamente consultivo, aunque también la ley lo define como “un espacio de participación
ciudadana superior en materia de derechos y deberes de las personas LGBTI”51. El carácter consultivo se
manifiesta, por ejemplo, en que puede informar sobre proyectos normativos y no normativos así como
“recibir información sobre la aplicación de lo establecido por la presente ley y formular propuestas de
49 Sobre esta cuestión, por todos, A. Aguilera Rull, Prohibición de discriminación y libertad de contratación, en InDret, en http://
www.indret.com/pdf/618_es.pdf, 1, 2009,
50 DOGC 4914, 8 junio 2007. El ayuntamiento de Barcelona también se ha dotado de un organismo parangonable.
51 Sobre estos organismos, Rey Martínez, El modelo europeo de lucha contra la discriminación…, op.cit. , ps.46-59.
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mejora en la actuación de los servicios públicos de las administraciones catalanas y del resto de ámbitos…” (art. 7.2 in fine).
El órgano que se postula como realmente efectivo es el coordinador de las políticas LGBTI (art. 8).
Se contempla como función específica la prestación de un “servicio integral para atender a las
personas que sufran, hayan sufrido o estén en riesgo de sufrir discriminación…” (art.9), que atenderán
profesionales con “formación relacionada con los derechos civiles y en materia de no discriminación”52.
Dicho órgano deberá informar periódicamente al Consejo, al Parlamento y colaborar, entre otros, con el
Síndico y con la Fiscalía (art. 8.4 y 3)
Durante la tramitación se discutió la posible creación de un Observatorio. La DA 4ª establece que
podría crearlo -como posibilidad, no como decisión imperativa- la futura ley integral de discriminación.
Dicho órgano podría asumir “las políticas de atención, información, asesoramiento, evaluación y la
potestad sancionadora” que establece la LDLGBTI. Todo queda en conjeturas, a la espera de un marco
legal completo (vid. infra).
10. La configuración futura de un marco jurídico
antidiscriminatorio completo
La DA 4ª contempla una futura -pero, aparentemente, en un futuro muy próximo- Ley para la no discriminación, cuyo borrador debía ser remitido al parlamento en el plazo de 8 meses a partir de la fecha de
publicación de la ley (ergo antes del 20 de julio del 2015). Este objetivo no ha sido posible, con el dato
añadido de que en Cataluña se conoció con mucha anticipación la convocatoria de elecciones autonómicas (septiembre 2015), con la correlativa imposibilidad de tramitar una norma de estas características.
Eso no obsta para que se sitúe su contenido. Ex párrafo 2 de la DA 4ª LDLGBTI, “La ley para la no discriminación debe regular, desde una perspectiva integral transversal, medidas destinadas a prevenir,
eliminar y corregir las distintas formas de discriminación en el sector público y privado, de acuerdo con
las competencias que la Generalidad tiene reconocidas, y debe establecer un régimen sancionador que
contenga la tipificación, la clasificación y los criterios de graduación de las infracciones relacionadas
con las distintas formas de discriminación”. Lo que sí ha hecho la Generalitat en este período -ya lo
hemos mencionado al inicio- es aprobar la Ley 17/2015, de 21 de julio, de igualdad efectiva de mujeres
y hombres.
11. Una (breve) observación final
La norma deja un sabor agridulce en cuanto a sus resultados y un necesario reproche en relación con la
técnica legislativa empleada. El título permitía imaginar un contenido más ambicioso, con una mejor
identificación/reconocimiento de los derechos de las personas LGBTI. Como hemos dicho, en realidad
es una norma dirigida a las administraciones públicas, en la línea de las normas europeas que marcan la actuación de los estados. Por criterios de proximidad, hubiéramos preferido otro desarrollo y otra manera
de encarar las diversas etapas de la vida (ya hemos apuntado que echábamos en falta una atención/
protección específica de los menores)
En cuanto a la técnica legislativa, hemos mencionado repetidamente que algunos preceptos son
ampulosos “cajones de sastre”, donde caben regulaciones diversas y se acaba teniendo la sensación de
un patchwork. En ocasiones son más declaraciones de principios que construcciones jurídicas que trascendencia inmediata. Asimismo, creemos que determinados aspectos relativos a las personas LGTBI
podrían, a nuestro juicio, estar mejor ordenados en otras sedes. Sería interesante debatir, por fin, el encaje en las normas estrictamente civiles, que atienen al estatuto jurídico de las personas y a su mejor protección. Ciertamente, esa protección tiene encaje en la Constitución y da lugar a una protección pública,
pero sería adecuada una lectura jurídico-privada de algunas cuestiones. Un ejemplo: Cataluña regula en
el Libro Segundo de su Código civil determinadas materias vinculadas al derecho de la persona, como
la “Autonomía de la persona en el ámbito de la salud”, que atiende al consentimiento informado y al
52 La mención a los derechos civiles podría iniciar un debate sobre derechos civiles y LGBTI si no fuera porque sólo aparece
aquí, casi como un desliz terminológico, si atendemos a las categorías jurídicas del ordenamiento catalán.
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internamiento [Título I capítulo II]. Incluye el art. 212-7 CCCat [Decisiones sobre el propio cuerpo]53, un
precepto singular entre los códigos civiles de nuestro entorno y cuyo análisis -que ya posibilitaría una
contribución específica- se centró, dada la situación en el momento de la discusión, en el último inciso,
esto es, en la salud reproductiva (léase libertad reproductiva). Pero su regulación trasciende ese ámbito
para poder integrar, con garantías, la tuición de los intersexuales, por ejemplo.
Dicho esto, y pese a que criticamos la factura de la ley (y tenemos la sensación de que ha existido
una cierta improvisación en su elaboración/ tramitación), queremos destacar que es un paso más, y por
ello aplaudible. Desde hace más de veinte años, la adecuada protección e integración de las personas
LGTB es objetivo de las administraciones públicas. Probablemente la implementación de las políticas
proyectadas no ha tenido los resultados deseados, entre otras cosas porque el advenimiento de la crisis
ha recortado significativamente los presupuestos de que se disponía, pero existe una voluntad real de
mejorar en este sentido, con el soporte de la ciudadanía. Comenzábamos el análisis mencionando la
existencia de un marco normativo multi-level. Es de desear que dé lugar a actuaciones también multilevel, que nos permitan avanzar en la erradicación ya no de la homofobia, bifobia… sino tout court de la
discriminación.
53“La libre decisión de las personas es determinante en las cuestiones que puedan afectar a su dignidad, integridad y bienestar
físico y mental y, en particular, en cuanto al propio cuerpo y a la salud reproductiva y sexual”.
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Giuseppa Palmeri
Giuseppa Palmeri*
Spunti di riflessione su maternità di sostituzione
e trascrivibilità del certificato di nascita a partire
dalla sentenza 6 febbraio 2014, n. 835/2013
del Tribunal Supremo de Madrid (ricorso 245/2012)
Sommario
1. Il fondamento della genitorialità – 2. Il caso deciso dal Tribunal supremo di Madrid – 3. Le ragioni del
ricorso – 4. La soluzione del Tribunal Supremo – 5. L’opinione dissenziente – 6. Autodeterminazione e
status familiari – 7. Il riesame della questione da parte del Tribunal supremo di Madrid alla luce delle
pronunce 26 giugno 2014 della Corte Edu Mennesson v. Francia e Labassee v. Francia – 8. La casistica italiana – 9. Ordine pubblico internazionale e dignità umana – 10. Il primato dei diritti fondamentali
Abstract
Il tema esaminato è quello della (in)trascrivibilità dei certificati di nascita formati all’estero in conseguenza del ricorso di coppie dello stesso sesso a metodiche di procreazione artificiale (eterologa e maternità di sostituzione) o istituti (adozione piena) non ammessi in Italia. L’indagine tiene conto degli
esiti interpretativi cui si è pervenuti in Italia e in paesi di tradizione giuridica affine oltre che della giurisprudenza sovranazionale. In presenza di plurime soluzioni, l’Autrice, mettendo l’accento sui diritti
fondamentali del bambino, giunge alla conclusione dell’ammissibilità della trascrizione in funzione
della salvaguardia del best interest of the child.
The analysed subject is the (im)possibility to trascribe the born certificates written abroad of those kids who have
been conceived with the artificial insemination by homosexual couples in specialized institute not allowed in Italy.
The survey takes into account the result of interpretation that has been reached in Italy and in countries of similar
legal tradition as well as the supranational jurisprudence. There are many solution and the author of the study,
focusing on the fundamental rights of the child, assume that is possible to transcribe the born certificates of those
kids according to the best interest of the child.
1. Il fondamento della genitorialità
Il tema della trascrivibilità nei registri dello stato civile del certificato di nascita attestante la filiazione
a favore dei genitori sociali in seguito all’attuazione della pratica di maternità di sostituzione effettuata all’estero, in paesi in cui questa metodica è ammessa (pur se con modalità differenti), è sempre più
frequentemente presente nella giurisprudenza di quegli ordinamenti che vietano la maternità di sostituzione, impegnando gli interpreti nella difficile opera di ricerca di un punto di equilibrio, non sempre
scevro da influenze di natura ideologica e spesso condizionato dalla valutazione in termini di illiceità dell’atto, con conseguente trasposizione del divieto di diritto interno attraverso il filtro dell’ordine
*
Ordinaria di Diritto privato nell’Università di Palermo. Il contributo viene pubblicato in seguito a referees a doppio cieco.
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pubblico che, come è noto, costituisce invece lo scandaglio mediante il quale verificare la compatibilità
degli effetti che tale atto determina all’interno dell’ordinamento di appartenenza dei genitori sociali, e,
dunque, della applicabilità del diritto altro e dell’efficacia dei provvedimenti e delle sentenze stranieri
(artt. 16 e 64 e ss., l. 31 maggio 1995, n. 218 e art. 18, d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396).
Il presente lavoro trae spunto da una vicenda giudiziaria che ha riguardato l’ordinamento spagnolo, ma che ben si presta ad una riflessione più generale su filiazione e (criteri di imputazione della)
genitorialità anche alla luce delle pronunce presenti nella casistica italiana e nel panorama europeo.
Fatta eccezione per l’istituto dell’adozione modellato, comunque, in Italia sulla falsariga della genitorialità naturale, il superamento della tendenziale unicità del parametro biologico nell’attribuzione
della genitorialità, intimamente connesso al presupposto della naturalità della procreazione, è dovuto
all’attuarsi di metodiche procreative “artificiali”, che aprono la via al livello normativo alla scelta di
fondare il rapporto di filiazione a partire dalla assunzione volontaria e consapevole della responsabilità
genitoriale.
Le leggi che disciplinano la procreazione medicalmente assistita ricorrono a questo parametro nei
casi di inseminazione eterologa e, ove ammessa, di maternità di sostituzione. Il risultato viene realizzato
mediante le previsioni dell’anonimato dei donatori, della non assunzione da parte loro di diritti-doveri
nei confronti del nato, dell’attribuzione della genitorialità alla coppia (o alla donna single) che ha attivato la metodica, della rinuncia alla maternità della madre di gestazione, accompagnata dal consenso del
partner o del coniuge (ove esistente).
Seppure con molte cautele, il criterio della responsabilità genitoriale quale elemento di determinazione del correlativo status ha trovato ingresso anche nel nostro ordinamento oltre il caso dell’adozione,
come attestano la l. 10 dicembre 2012, n. 219 (e il d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154) di riforma della filiazione e la l. 19 febbraio 2004, n. 40 in materia di procreazione medicalmente assistita.
La prima, nel porre una limitazione temporale all’esercizio dell’azione di disconoscimento di paternità fissando in cinque anni il termine di prescrizione per il marito e per la madre, permette che l’attribuzione della paternità si cristallizzi anche ove sia assente una discendenza genetica con il figlio (unico
soggetto legittimato ad agire in ogni tempo: artt. 243 bis e ss. cod. civ.)1.
La seconda, nel prevedere all’art. 9 che nell’ipotesi “di applicazione delle tecniche di tipo eterologo
il donatore dei gameti non acquista alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può fare valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi”, unitamente al divieto per la madre di
dichiarare la volontà di non essere nominata e per il coniuge o il convivente di esercitare le azioni volte
a eliminare il rapporto di filiazione (rispettivamente l’azione di disconoscimento della paternità di cui
all’art. 235 cod. civ. e l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità di cui all’art. 263), attribuisce la genitorialità alla coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche di procreazione
assistita, prescindendo dal legame biologico con il figlio2.
Nel sistema sono presenti altri esempi di genitorialità slegata dal dato genetico. Si è più volte richiamato l’istituto dell’adozione dei minori di età rispetto al quale, con specifico riguardo al ragionamento
che qui si intende svolgere, una particolare rilevanza riveste l’art. 44, comma 1, lett. b), della l. 4 maggio
1983, n. 184 in tema di adozione in casi particolari del minore da parte del coniuge del genitore (genetico
o adottivo)3.
1
Con riguardo alle azioni di stato la stessa giurisprudenza si è progressivamente allontanata dal favor veritatis in funzione
della massima protezione dell’interesse del minore al mantenimento della propria identità, in qualunque modo acquisita.
In questo prospettiva deve leggersi quell’orientamento interpretativo che non ammette l’impugnativa del riconoscimento
per difetto di veridicità esercitata da chi ha effettuato il riconoscimento nella consapevolezza della sua non corrispondenza
al vero (c.d. riconoscimento di compiacenza). Fra le tante v. Tribunale di Napoli, sentenza dell’11 aprile 2013, in Foro italiano,
2013, I, 2040.
2
La previsione dell’art. 9 nasce all’interno di una normativa diretta ad autorizzare esclusivamente le tecniche di fecondazione
omologa in funzione della risoluzione di problemi di infertilità e sterilità della coppia non altrimenti superabili, con conseguente divieto di ogni altra metodica (eterologa, post mortem, di maternità di sostituzione).
Come è noto, l’impianto originario della legge 40/2004 è stato, però, incisivamente modificato in seguito ai ripetuti interventi della Corte costituzionale, da ultimo quello con cui è stata dichiarata l’illegittimità del divieto della procreazione
eterologa medicalmente assistita: Corte costituzionale, ordinanza del 9 aprile-10 giugno 2014, n. 162, in G.U., 18 giugno 2014,
n. 26, I serie speciale.
3
La l. 184/1983 non consente l’adozione piena del single e neppure l’adozione del figlio (biologico o adottivo) del partner,
possibilità ammessa invece in altri ordinamenti attraverso la c.d. second parent adoption. Alcuni Paesi prevedono meccanismi
per il riconoscimento giuridico del ruolo genitoriale svolto dal coniuge o dal partner nei confronti del figlio dell’altro (così, ad
esempio, in Francia) ovvero la condivisione della responsabilità genitoriale da parte del convivente di una unione registrata
(si pensi in Germania alla c.d. piccola potestà genitoriale).
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Le questioni da risolvere ruotano intorno alla risposta che l’ordinamento può e deve dare quando
il rapporto di filiazione nasce sulla base di un atto vietato dal diritto interno (adozione del single, maternità di sostituzione, e fino a poco tempo fa procreazione eterologa), in seguito al quale si acquista lo
status genitoriale in forza delle norme straniere e si instaura in concreto la relazione affettiva.
Nella valutazione di una situazione di questo genere, in Italia, gli interpreti hanno fatto riferimento
ai principi fondamentali di matrice interna e sovranazionale in tema di persona e famiglia, a partire
dalla clausola generale del superiore interesse del minore.
2. Il caso deciso dal Tribunal supremo di Madrid
Il Tribunal supremo di Madrid, in adunanza plenaria, ha affrontato la questione dell’ammissibilità della
trascrizione nel Registro civile della filiazione di due bambini, nati in seguito a gestazione di sostituzione in un paese straniero ove questa pratica è ammessa (nella specie la California), a favore dei genitori
sociali, in particolare due uomini legati da una relazione amorosa4.
Il caso trae origine dall’impugnazione ad opera del Procuratore della Repubblica della determinazione adottata dalla Direzione generale dei registri e del notariato di iscrivere nel registro civile spagnolo consolare la filiazione a favore dei padri intenzionali, filiazione attestata dalle autorità della California
conformemente alla propria legislazione che ammette l’accordo di maternità di sostituzione e l’acquisto
dello status genitoriale della coppia che intende prendersi cura dei bambini nati in seguito a questa tecnica, in ragione della rinuncia della donna gestante ai propri diritti parentali nei confronti della prole.
L’iscrizione della nascita, avvenuta nello stato nordamericano, era stata effettuata nel registro consolare di Spagna a Los Angeles. In primo grado il Tribunale di Valencia ha accolto l’impugnazione della
Procura volta ad ottenere la sua cancellazione per contrarietà del provvedimento all’ordine pubblico
spagnolo; decisione confermata in sede di appello.
Avverso tale pronuncia i genitori hanno fatto ricorso in Cassazione, denunciando la violazione
dell’art. 14 CE per lesione del principio di uguaglianza in relazione al diritto ad un’unica identità del
minore e al suo superiore interesse, consacrato nella Convenzione di New York sui diritti del fanciullo.
La questione è stata rimessa all’Adunanza plenaria, nella consapevolezza della sua complessità e
delicatezza, e della rilevanza al livello interpretativo della conseguente soluzione del caso concreto5.
3. Le ragioni del ricorso
Occorre qui sottolineare come l’iscrizione nel Registro civile consolare di Los Angeles sia stata eseguita
per ordine della Direzione generale dei registri e del notariato, adita dai ricorrenti in seguito al rifiuto
dell’incaricato del Registro civile consolare di procedervi a causa del divieto di maternità di sostituzione
fissato dall’art. 10 della l. spagnola 14/2006 in materia di Tecniche di riproduzione assistita.
La Direzione generale dei registri e del notariato, nell’accogliere il ricorso, ha ordinato l’iscrizione
della nascita, così come attestata dalla certificazione straniera esibita dai genitori, nella quale ambedue
i ricorrenti figuravano come padri dei minori. Secondo la Direzione generale la soluzione volta a garantire l’iscrizione non è suscettibile di ledere l’ordine pubblico internazionale spagnolo, evitando al
contrario una discriminazione legata al sesso e proteggendo il superiore interesse dei bambini.
Sul punto in dottrina: G. Ferrando, Famiglie ricomposte e nuovi genitori, in Bilanci e prospettive, del diritto di famiglia a trent’anni dalla riforma, T. Auletta (a cura di), Milano 2007, pag. 285, ss.; G. Oberto, Problemi di coppia, omosessualità e filiazione, in Diritto
di famiglia e delle persone, 2010, pag., 802, e ss., spec. 821 s.; A. D’Angelo, La famiglia nel XXI secolo: il fenomeno delle famiglie
ricomposte, in La famiglia e il diritto fra diversità nazionali ed iniziative dell’Unione Europea, D. Amram e A. D’Angelo (a cura di),
Padova, 2011, p. 13 ss., spec. p. 28 ss; M.G. Stanzione, Rapporti di filiazione e “terzo genitore”: le esperienze francese e italiana, in
Famiglia e diritto, 2/2012, pag. 201 e ss. part. 205 ss.
4
Tribunal Supremo di Madrid, Sala de lo Civil, 6 febbraio 2014, n. 835/2013, in questa Rivista, p. 354 e in Articolo29 www.
articolo29.it
5
Nel corso dell’adunanza plenaria il giudice Josè Antonio Seijas Quintana avendo espresso un voto difforme, di minoranza,
non ha proceduto all’estensione della motivazione, affidata ad un altro magistrato, Rafael Sarazà Jimena, espressione dell’orientamento della maggioranza.
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Contro questa determinazione è stato proposto ricorso in sede giurisdizionale. Secondo la Procura,
infatti, il diritto californiano verrebbe a confliggere irrimediabilmente contro la normativa interna di divieto della maternità di sostituzione con conseguente nullità del relativo accordo e determinazione dello
stato di filiazione in base al parto, salva la possibilità di esercitare eventualmente l’azione di reclamo
della paternità nei confronti del padre biologico.
Ad opporsi all’accoglimento del ricorso sono sia i genitori sociali che l’Avvocatura dello Stato.
Il Tribunal supremo sottolinea, preliminarmente, come nonostante non siano stati prodotti in giudizio l’accordo di gestazione per sostituzione e la sentenza del Tribunale californiano, l’esistenza di tali
atti non sia contestata e rappresenti il presupposto del procedimento. Individua, quindi, il motivo di
ricorso prospettato dai genitori nella violazione dell’art. 14 CE per lesione del principio di uguaglianza
in relazione al diritto ad un’unica identità del minore e al suo superiore interesse. Ripercorre, infine, gli
argomenti posti a base di tale motivo, tutti imperniati intorno ad alcuni principi considerati fondamentali in materia di diritti della persona e di filiazione, e segnatamente il principio di non discriminazione,
di responsabilità (assunta mediante la manifestazione di volontà diretta a farsi carico della crescita dei
bambini), di garanzia del superiore interesse del minore, che si traduce nel suo diritto ad avere in ogni
Paese il medesimo status personale. In questa prospettiva — secondo i ricorrenti — il riconoscimento
della filiazione determinata dalla certificazione dei registri californiani non contraddice l’ordine pubblico internazionale spagnolo, che, certamente, non consente di ritenere valido ed efficace un contratto di
maternità di sostituzione ma che non impedisce l’inserimento nei registri dello stato civile della filiazione, trattandosi di una “conseguenza ultima e periferica” del suddetto negozio.
4. La soluzione del Tribunal Supremo
Nella lunga e articolata decisione assunta dal Tribunal Supremo di Madrid vengono puntualmente spiegate le ragioni che non permettono di recepire nell’ordinamento interno la certificazione straniera in
ordine al rapporto di filiazione sorto per maternità di sostituzione, allo scopo di dissipare ogni dubbio
circa la possibile, surrettizia conclusione della non compatibilità della relazione filiale rispetto alle unioni omosessuali.
Al riguardo si sottolinea come nella pronuncia d’appello il diniego all’iscrizione del rapporto di
filiazione non si fondi sulla circostanza che i genitori siano entrambi uomini ma che la filiazione tragga
origine dall’accordo di maternità di sostituzione concluso in California per aggirare il divieto vigente
in Spagna. Nessuna disparità di trattamento è, dunque, configurabile nella fattispecie in oggetto, trovandosi i ricorrenti in posizione profondamente differente da quella in cui versano due donne unite
in matrimonio al momento della nascita di un figlio avuto con l’ausilio delle tecniche di procreazione
medicalmente assistita di tipo eterologo, giacché in questo caso è la stessa l. 14/2006 a stabilire i criteri
per la determinazione legale della filiazione (cfr. artt. 7 e ss.)6.
Il Tribunal Supremo, preliminarmente, affronta il tema del riconoscimento delle decisioni straniere
e della loro necessaria conformità all’ordine pubblico internazionale; un ordine pubblico c.d. attenuato
in quanto funzionale al rispetto dei diritti e delle libertà garantiti dalla Costituzione e dalle Convenzioni
internazionali ratificate dalla Spagna, funzionale, cioè, all’osservanza del sistema di valori e principi
costitutivi dell’ordine vigente.
L’oggetto del giudizio — secondo i giudici — non riguarda il conflitto fra leggi, bensì l’ammissibilità del riconoscimento di una decisione, già adottata ad opera di una autorità straniera, identificativa
di uno status personale — la filiazione — sulla base della legislazione californiana. In sostanza, ciò che
occorre stabilire è se la determinazione straniera può produrre i suoi effetti in Spagna e, conseguentemente, determinare la filiazione a favore dei ricorrenti nel sistema giuridico spagnolo.
La questione è di notevole rilievo in un contesto ove la correlazione tra ordinamenti presuppone e
sollecita la libertà di circolazione delle persone, dando origine a una puntuale riflessione in merito ai limiti ammissibili rispetto al mantenimento delle condizioni personali e familiari già acquisite (cognome,
status coniugale e di filiazione)7. La concreta possibilità che in presenza di interazione tra ordinamenti
e di elementi di estraneità sia data una risposta giuridica differente e contraddittoria deve indurre il
6
Secondo la legge spagnola il bambino nato a seguito di trattamenti di riproduzione assistita con gameti di donatori (sperma,
ovociti, embrioni) è figlio della coppia che ha prestato il proprio consenso al trattamento (art. 8).
7
Sul punto nella recente letteratura C. Camardi, Diritti fondamentali e status della persona, in Rivista critica del diritto privato, 2015,
p. 7 ss.; G. Palmeri, M.C. Venuti, La trascrivibilità del matrimonio tra identità personale e circolazione dello status coniugale, in questa
Rivista, 92, § 5 s.
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diritto internazionale privato a individuare norme di bilanciamento e non di supremazia, in conformità
con l’unico limite indefettibile costituito dall’ordine pubblico internazionale.
Il controllo dello Stato relativamente all’ingresso nell’ordinamento interno delle decisioni straniere
deve tendere alla verifica della rispondenza di tali provvedimenti ai principi fondanti della convivenza
civile. Nel ragionamento del Tribunal, non deve trattarsi di un controllo inerente ai soli aspetti formali
(regolarità e autenticità della certificazione del registro straniero), ma deve estendersi agli aspetti sostanziali del provvedimento.
Nella materia in esame questi principi vanno rintracciati nel diritto delle persone e della famiglia e
nella disciplina di protezione dell’infanzia, ambiti normativi a loro volta espressivi di valori e precetti
di rango costituzionale, il primo dei quali è rappresentato dalla dignità come fondamento dell’ordine
politico e della pace sociale. L’integrità fisica e morale della persona, il libero sviluppo della personalità
dell’individuo che si traduce nel potere di autodeterminazione e nella libertà di agire responsabilmente,
il rispetto alla vita privata, familiare e matrimoniale, la protezione della famiglia e dell’infanzia sono i
valori cardine che devono essere tenuti presenti nella definizione del giudizio.
In motivazione si osserva come, se in un contesto così articolato e sensibile all’affermazione piena
dei diritti fondamentali, la discendenza biologica non è più considerata la fonte esclusiva del rapporto
di filiazione potendo tale rapporto instaurarsi in conseguenza di altri elementi (l’adozione, il consenso
alla procreazione assistita, anche eterologa) senza che ciò comporti la violazione dell’ordine pubblico,
deve allora essere consentito che il vincolo di filiazione possa legittimamente instaurarsi anche rispetto
a genitori dello stesso sesso. Tuttavia, pur essendo questo un risultato acquisito in molti ordinamenti,
compresa la Spagna, ciò che per il Tribunal Supremo non è ammesso né accettato è che mediante l’adozione ovvero le tecniche di riproduzione assistita possa ledersi la dignità della donna gestante e del
figlio, che la gestazione e la filiazione possano essere negoziate, che possa permettersi a terzi di porsi
come intermediari sul mercato rispetto alla conclusione di contratti di maternità di sostituzione, che
possa sfruttarsi lo stato di bisogno di donne giovani dandosi vita ad una sorta di “cittadinanza censitaria” in cui soltanto chi dispone di elevate risorse economiche può realizzare una paternità non accessibile al resto della popolazione.
Il divieto dell’art. 10 della l. spagnola sulle tecniche di riproduzione assistita, secondo i giudici, integra, dunque, un principio di ordine pubblico internazionale. Si tratta di una legge relativamente recente,
frutto di un ampio dibattito politico e sociale e che riflette una posizione risalente dell’ordinamento
spagnolo di rifiuto della maternità di sostituzione per le implicazioni insite in questa pratica rispetto alla
dignità umana. In sentenza si sottolinea come di ciò siano consapevoli i ricorrenti, i quali sostengono,
però, che l’iscrizione nel registro dello stato civile rappresenti una conseguenza periferica del contratto,
come tale non confliggente con l’ordine pubblico.
Il Tribunal supremo non ritiene di potere condividere questa impostazione qualificando l’iscrizione
un effetto principale e diretto del negozio di gestazione per sostituzione, non potendosi effettuare una
dissociazione tra accordo di gestazione e filiazione. La consapevolezza dell’intrinseca connessione tra
contratto e filiazione ha indotto il legislatore spagnolo ad accompagnare la previsione della nullità della
maternità surrogata con l’individuazione dei criteri di attribuzione della genitorialità: il parto rispetto
alla maternità; l’azione di reclamo esercitabile nei confronti del padre biologico con riguardo alla paternità.
L’assoluta incompatibilità della previsione californiana con l’ordine pubblico impedisce il riconoscimento della pronuncia straniera.
Secondo i giudici, neppure la prospettiva del superiore interesse del minore può condurre ad una
diversa conclusione. Il ricorso a questa clausola generale non consente, infatti, di violare norme di diritto positivo dettate proprio in vista della protezione dell’infanzia, come sono quelle contenute nella legge
in materia di procreazione medicalmente assistita e nel testo Costituzionale; non consente neanche di
considerare sempre e comunque prevalente il principio dell’interesse del minore rispetto ad altri beni
giuridici fondamentali con riferimento ai quali deve realizzarsi una necessaria ponderazione (la dignità
e l’integrità morale della donna gestante, la non commerciabilità della gestazione, la dignità del minore
che non permette di identificarlo con l’oggetto di un contratto). D’altra parte, l’obiezione secondo cui
la mancata iscrizione della genitorialità nel registro dello stato civile comporterebbe la condizione di
orfano del nato, malgrado l’assunzione della responsabilità genitoriale effettuata mediante il consenso alla gestazione di sostituzione prestato in Paese straniero dove è ammesso il contratto (oneroso) di
maternità surrogata, non può determinare l’accettazione acritica delle conseguenze di una pratica non
condivisa nell’ordinamento interno. In una situazione di questo tipo, l’interprete è tenuto a trovare nel
sistema, cioè nelle previsioni normative vigenti, nelle Convenzioni internazionali applicabili e nell’interpretazione che la giurisprudenza ne fa, la soluzione che consenta al minore di realizzare il suo diritto
a una famiglia.
In presenza di una relazione genitoriale di fatto l’ordinamento deve prendere atto di tale vincolo e
garantire il suo sviluppo e la sua protezione, facendo ricorso, ove possibile, ai diversi istituti che consen
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tono di raggiungere un simile risultato: il reclamo della paternità ad esempio, con la conseguenza che
se uno dei due ricorrenti dovesse essere il padre biologico si potrebbe determinare nei suoi confronti il
rapporto di filiazione; l’affidamento familiare e l’adozione che permettono la formalizzazione giuridica
dell’inserimento dei minori nella compagine familiare in concreto costituita.
Secondo i giudici, nella fattispecie in esame, in attuazione della Convenzione internazionale sui
diritti del fanciullo e della Convenzione europea dei diritti umani, è demandato al Procuratore della
Repubblica il compito di azionare le procedure più appropriate per determinare la filiazione e per realizzare la protezione dei bambini, tenendo in considerazione la loro effettiva integrazione nel nucleo
familiare in cui di fatto sono già inseriti.
5. L’opinione dissenziente
La decisione del Tribunal supremo è stata assunta con cinque voti favorevoli e quattro contrari. L’opinione
dissenziente si fonda sul convincimento che la soluzione giuridica avrebbe dovuto vertere intorno al
riconoscimento della decisione straniera inerente lo stato di figlio dei minori e al suo recepimento nel
Registro degli atti civili spagnolo e che nessuna questione avrebbe dovuto porsi rispetto alla legge
applicabile, dovendosi concentrare la valutazione sul riconoscimento in Spagna di un documento
autentico dell’autorità amministrativa straniera, assunto nel rispetto della legislazione ivi vigente. Sulla
base di tali premesse, si sarebbe dovuta consentire l’iscrizione, in attuazione dell’art. 81 del Regolamento del Registro civile, senza necessità di controllare la conformità del provvedimento straniero al diritto
spagnolo, stante la sua legittimità rispetto al diritto californiano.
L’ordine pubblico internazionale, qui coincidente con l’interesse generale dell’ordinamento alla
protezione dell’infanzia sulla base di uno statuto giuridico indisponibile delineato dalla normativa interna e sovranazionale a tutela dei minori di età, non avrebbe dovuto considerarsi violato dalla suddetta
iscrizione.
I giudici dissenzienti ritengono, inoltre, che non possa generalizzarsi ed esasperarsi il timore connesso a possibili forme di sfruttamento della maternità di sostituzione, specie in presenza di accordi
liberi e consapevoli riguardo ai quali la garanzia del rispetto dell’interesse della prole e della dignità e
autodeterminazione della donna viene assicurata dallo Stato (straniero) mediante apposite discipline.
Un simile timore non tiene conto del diritto a procreare — anch’esso protetto dagli ordinamenti — e
sottovaluta la capacità di scelta della donna gestante. In proposito si ricorda che al livello internazionale
la tendenza è nel senso dell’attuazione di una progressiva flessibilità, funzionale all’effettiva preservazione dell’interesse del minore e dunque al riconoscimento dell’iscrizione della filiazione attestata da
Autorità straniere sulla base di presupposti differenti da quelli operanti negli Stati in cui si intende fare
valere la certificazione. D’altra parte, l’ordine pubblico riveste un’importanza centrale nella relazione
preliminare alla Conferenza di diritto internazionale privato dell’Aja 10 marzo 2012 sui problemi derivanti dalla maternità surrogata, avente come obiettivo l’uniformazione degli accordi internazionali e
l’elaborazione di una regolazione che sia rispondente al sentire sociale.
Secondo l’opinione di minoranza la verifica dell’eventuale violazione dell’ordine pubblico avrebbe
dovuto essere effettuata in concreto, caso per caso, rifuggendo da soluzioni precostituite sulla base di
una asserita incompatibilità prefigurata in via astratta senza considerare gli interessi effettivamente
coinvolti, da ponderare, invece, in un difficile lavorìo di bilanciamento.
Nella specie una valutazione attenta delle peculiarità del caso concreto, delle posizioni di tutti i soggetti interessati, del miglior interesse della prole, avrebbe dovuto condurre all’iscrizione della filiazione
nel Registro civile spagnolo.
6. Autodeterminazione e status familiari
La pronuncia del Tribunal Supremo di Madrid offre l’occasione per svolgere alcune considerazioni in
tema di meccanismi di imputazione del rapporto di filiazione e responsabilità genitoriale.
Una questione risalente nel nostro ordinamento verte sulla presunta indisponibilità degli status
familiari, quale espressione al contempo di un principio di ordine pubblico e di un limite non superabile
dell’estensione dei poteri di autonomia privata [in questo senso è emblematico il dibattito che in epoca
non troppo risalente ha riguardato la (in)validità degli accordi in vista del divorzio e l’orientamento
monolitico tradizionalmente assunto in proposito dalla giurisprudenza]. Una autonomia privata cui
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oggi, invece, si riconosce il ruolo di fulcro delle scelte di natura esistenziale, comprese quelle inerenti
allo status coniugale (si pensi, in aggiunta alle discipline in precedenza richiamate, alle misure della
negoziazione assistita e alla semplificazione dei procedimenti di separazione e divorzio introdotte dalla
legge 10 novembre 2014, n. 162 e ancora alla legge 6 maggio 2015, n. 55 di modifica della normativa sullo
scioglimento del matrimonio in vista di una riduzione significativa dei tempi per la proposizione della
relativa domanda)8.
In attuazione del dogma dell’intangibilità negoziale degli status familiari la relazione genitoriale,
per lungo tempo, è stata incentrata sulla discendenza genetica, piuttosto che sulla, e indipendentemente
dalla, assunzione di responsabilità connessa a un progetto procreativo e di cura collegato alla nascita di
un bambino. Per quanto l’espandersi del sistema di protezione dell’infanzia — anche alla luce dell’emanazione di numerosi testi sovranazionali — abbia condotto gli ordinamenti ad accogliere quale principio guida in ambito di filiazione la responsabilità procreativa, tuttavia la tendenza è rimasta quella di
mantenere fortemente ancorato sotto il controllo dello Stato il momento costitutivo del vincolo, relegando sullo sfondo, e talvolta ignorando, il ruolo dell’autodeterminazione rispetto al processo procreativo.
La vicenda di cui si è occupato il Tribunale supremo di Madrid rappresenta un esempio di questa
contrapposizione e delle aporie di un sistema che nel professare la tutela forte dei diritti fondamentali
della persona si irrigidisce di fronte a talune pratiche, al punto da sottovalutare, o non adeguatamente
considerare, altri interessi pure meritevoli di protezione perché parimenti espressivi di principi fondanti della convivenza civile quali sono, ad esempio, l’interesse ad avere una famiglia e al mantenimento
delle relazioni affettive di fatto, la cui soglia di tutela dipende dal punto di bilanciamento di volta in
volta raggiunto.
Una conferma in tal senso è indirettamente data dall’esigua maggioranza con cui è stata adottata
la decisione, indice dell’emersione di una nuova sensibilità non contrastante, tuttavia, con i valori che
fungono da tessuto connettivo della comunità sociale. La prospettiva interpretativa abbracciata dai giudici di minoranza è nel senso di lasciare ai margini la valutazione della maternità di gestazione, ritenuta irrilevante ai fini del recepimento dell’atto dell’Autorità straniera in presenza di tutti i presupposti
fissati dalle norme di diritto internazionale privato, e di muoversi nella direzione della promozione ed
attuazione del superiore