Ritorno a Lussemburgo: la Corte di giustizia nuovamente
chiamata a pronunciarsi sul caso Taricco.
Di Matteo Aranci
1. Premessa. Con l’ordinanza n. 24/2017 (ud. 23/11/2016, dep. 26/1/2017), la Corte
costituzionale si è pronunciata sui ricorsi promossi, in via incidentale, dalla Corte d’Appello di Milano e
dalla Cassazione, poi riuniti e trattati congiuntamente dal Giudice delle leggi: entrambi, infatti, hanno
inteso sottoporre al vaglio di costituzionalità l’art. 2, L. 2 agosto 2008, n. 130, nella parte in cui autorizza
alla ratifica e rende esecutivo l’art. 325, paragrafi 1 e 2, il Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea1, come interpretato dalla nota sentenza della Grande Sezione della Corte di giustizia2 dell’8
settembre 2015 in causa C-105/14, Taricco3.
Merita subito sottolineare che la Consulta ha inteso formulare, ex art. 267 TFUE, rinvio
pregiudiziale alla CG, onde ottenere, dal Giudice di Lussemburgo, alcune fondamentali risposte in
merito all’interpretazione dell’art. 325 TFUE fornita nella già menzionata sentenza Taricco.
Pronunciamento che in pochi mesi ha suscitato reazioni immediate e contrastanti sia in dottrina, sia
nella prassi giurisprudenziale: l’“ordine” di disapplicazione della normativa nazionale controversa (al
verificarsi delle condizioni indicate dalla CG), infatti, è stato in taluni casi accolto (spicca, in tal senso,
Cass. Pen., sez. III, sent. 17 settembre 2015, n. 2210), in altri, invece, è stato ritenuto incompatibile con
l’ordinamento nazionale (Cass. Pen., sez. III, ord. 30 marzo 2016, n.2282; già in precedenza Corte
d’Appello di Milano, sez. II Pen., ord. 18 settembre 2015, n. 6421 RGA), in altri ancora, infine, non è
stato eseguito ritenuta l’insussistenza dei requisiti richiesti dalla Corte di Lussemburgo (Cass. Pen., sez.
IV, sent. 25 gennaio 2016, n. 7914). Se, da un lato, l’intervento dei giudici lussemburghesi è stato –
almeno nelle intenzioni – apprezzato per aver posto l’accento su uno degli istituti assiologicamente più
controversi del diritto penale nazionale, ovvero la prescrizione (come riformata dalla celebre legge “ex
Cirielli”), dall’altro lato, è stato oggetto di molteplici censure: la CG avrebbe infatti adottato una
pronuncia in alcuni passaggi lacunosa, in altri (a detta della dottrina più radicale) persino incompatibili
con l’architettura normativa e costituzionale italiana.
D’ora e in avanti TFUE.
D’ora in poi, CG.
3 Numerosissimi i contributi che la dottrina ha dedicato all’analisi della sentenza Taricco e agli scenari che essa ha
dischiuso. Si vedano, ex plurimis, AMALFITANO C., Da una impunità di fatto a una imprescrittibilità di fatto della frode in
materia di imposta sul valore aggiunto? in www.sidi-isil.org, settembre 2015; BASSINI M., Prescrizione e principio di legalità
nell’ordine costituzionale europeo. Note critiche alla sentenza Taricco, in Consulta online, febbraio 2016; CAMON A., La
torsione d’un sistema. Riflessioni intorno alla sentenza Taricco, online in Archivio della nuova procedura penale, 2016; CIAMPI A.,
Il caso Taricco impone la disapplicazione delle garanzie della prescrizione: un problema di rapporti tra diritto dell’UE e diritto nazionale e di
tutela dei diritti fondamentali, non solo di diritto processuale internazionale, in Int’l Lis, fasc. inverno 2015/2016, pp. 113 ss.; CIVELLO
G., La sentenza “Taricco” della Corte di giustizia UE: contraria al Trattato la disciplina italiana in tema di interruzione della
prescrizione del reato, online in Archivio Penale, n. 3/2015; EUSEBI L., Nemmeno la Corte di giustizia dell’Unione europea
può erigere il giudice a legislatore, online in Diritto Penale Contemporaneo, dicembre 2015; LUPO E., La primauté del diritto
dell’UE e l’ordinamento penale nazionale, online in Diritto Penale Contemporaneo, febbraio 2016; MAIELLO V., Prove di resilienza
del nullum crimen: Taricco versus controlimiti, Cass. Pen., 2016, pp. 1250 ss.; MAZZA O., Il sasso nello stagno: la sentenza europea sulla
prescrizione e il crepuscolo della legalità penale, in Rassegna Tributaria, n. 6/2015, pp. 1552 ss.; MICHELETTI D., Premesse e
conclusioni della sentenza Taricco: dai luoghi comuni sulla prescrizione al primato in malam partem del diritto europeo,
online in La legislazione penale, febbraio 2016; SALCUNI G., Legalità europea e prescrizione del reato, online in Archivio penale,
n. 3/2015; VENEGONI A., Ancora sul caso Taricco: la prescrizione tra il diritto a tutela delle finanze dell’Unione ed il diritto
penale nazionale, online in Diritto Penale Contemporaneo, marzo 2016; VIGANÒ F., Disapplicare le norme vigenti sulla
prescrizione nelle frodi in materia di IVA?, online in Diritto Penale Contemporaneo, settembre 2015. Ancora, si vedano i
contributi raccolti in BERNARDI A., I controlimiti. Primato delle norme europee e difesa dei principi costituzionali, Napoli, 2017.
1
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2. La sentenza Taricco. La pronuncia della CG nella causa Taricco è nata da un rinvio
pregiudiziale operato dal GUP di Cuneo nel gennaio 20144: i quesiti promossi dal magistrato italiano,
dopo un ampio maquillage realizzato sia dall’Avvocato generale Kokott5, sia dal collegio giudicante,
hanno portato la Corte a soffermarsi sul rapporto tra la disciplina italiana in tema di prescrizione per i
reati tributari – i quali attingono, come bene giuridico, l’IVA, una cui parte è destinata al bilancio UE –
e l’art. 325 TFUE, norma che tutela gli interessi finanziari dell’Unione e che ne esige analoga protezione
rispetto a quelli nazionali (c.d. principio di assimilazione, formulato dalla CG sin dal famoso caso “mais
greco”).
La sentenza in parola ha imposto ai giudici italiani, all’esito di un percorso argomentativo logico,
ancorché sbrigativo in alcuni passaggi, la disapplicazione degli artt. 160 e 161 c.p., ovvero di quelle
regole che fissano, in via generale, il decorso del termine massimo della prescrizione in caso di atti
interruttivi. Ovviamente, tale obbligo si riscontra soltanto al verificarsi di alcune condizioni, riassunte
nel punto 58 della sentenza e poi specificate nel dispositivo. In primo luogo, la disapplicazione deve
effettuarsi quando la normativa interna sia «idonea a pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri
[e] impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli
interessi finanziari dell’Unione europea» (corsivo aggiunto); in secondo ordine, l’obbligo corre altresì
ove la normativa nazionale «preveda, per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro
interessato, termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per i casi di frode che ledono gli interessi
finanziari dell’Unione europea» (corsivo aggiunto).
In sintesi, la CG effettua un ragionamento, di per sé, lineare: qualora l’intervento della
prescrizione sia tale da frustrare i procedimenti penali volti ad accertare i reati in materia di IVA, con
l’ovvia conseguenza di annichilire la capacità effettiva e dissuasiva delle irrogande sanzioni, viene violato
l’obbligo che agli Stati membri deriva dall’art. 325 TFUE, il quale impone di combattere la frode ed
ogni altra attività criminosa capace di vulnerare le finanze dell’UE. Da ciò, scaturisce un contrasto tra la
norma interna e l’obbligo di rispettare le prescrizioni pattizie, che si risolve – in virtù del principio del
primato (e sempre che non sia possibile l’interpretazione conforme della normativa nazionale al diritto
dell’Unione) – nel comando di disapplicare la disciplina interna contraria a quest’ultimo.
3. Le criticità della sentenza e l’immediato “appello” alla Consulta. Dieci giorni: così poco
è bastato ai giudici milanesi per ravvisare un primo conflitto tra l’obbligo imposto dalla sentenza Taricco
e l’impianto costituzionale italiano. Pochi mesi dopo, anche il Supremo Collegio italiano ha inteso
rimettere, con motivi più numerosi e meglio declinati, analoga questione alla Corte costituzionale.
Entrambi i collegi si erano trovati a dover negare la dichiarazione di estinzione di alcuni reati tributari –
i medesimi che, a Cuneo, furono contestati al signor Taricco – poiché avevano ravvisato la sussistenza
dei requisiti richiesti dal primo dei due casi in cui si articolava, come detto, l’obbligo di disapplicazione
sancito dalla CG. Tuttavia, in linea con la dottrina maggioritaria, tanto la Corte d’Appello quanto la
Corte di Cassazione hanno ritenuto il dictum proveniente da Lussemburgo incompatibile con alcuni dei
principi supremi dell’ordinamento costituzionale interno, così chiedendo l’innalzamento di un
“controlimite” nei confronti della pronuncia della CG.
3.1 (segue) L’ordinanza della Corte d’Appello di Milano. L’ordinanza dei giudici milanesi ha
posto l’accento soltanto su un principio, asseritamente leso dalla sentenza Taricco, ovverosia quello che
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Trib. Cuneo, ordinanza 17 gennaio 2014, GUP Boetti, online in Diritto Penale Contemporaneo.
Conclusioni dell’Avvocato Generale Juliane Kokott nella causa C-105/14, 30 aprile 2015, online in curia.europa.eu.
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stabilisce il divieto di irretroattività della norma penale a sfavore dell’individuo, ricavato come corollario
dal principio di legalità, di cui all’art. 25, co. 2, Cost.
La disapplicazione della disciplina di cui agli artt. 160 e 161 c.p. comporterebbe infatti l’impiego
di regole assolutamente più severe a danno degli imputati rispetto a quelle preesistenti, poiché
decadrebbe ogni termine massimo per la maturazione dell’estinzione del reato: un’ipotesi che si pone in
conflitto con il principio – ritenuto dalla Corte applicabile anche alla prescrizione – desunto dall’art. 25,
co. 2, Cost., il quale impone che non si applichi mai una norma sostanziale peggiorativa rispetto a quella
vigente al tempus commissi delicti.
La Corte d’Appello di Milano – che ritiene, in linea con l’insegnamento della Corte
costituzionale6, di ricondurre le norme in materia di prescrizione nell’alveo del diritto sostanziale, come
tali soggette al principio di cui all’art. 25, co. 2, Cost. – ha rilevato pertanto un’incompatibilità insanabile
tra l’obbligo di disapplicazione imposto dai giudici lussemburghesi e uno dei principi fondamentali
(invero, sul punto l’ordinanza di remissione non si è prodigata nella descrizione dei motivi per cui
quest’articolo del dettato costituzionale dovrebbe ergersi a valore insuperabile) dell’ordinamento
interno.
3.2 (segue) L’ordinanza della Corte di Cassazione. Ben più analitica è la riflessione del
Supremo Collegio, che identifica ulteriori – e più penetranti – punti d’attrito tra la sentenza della CG e
l’impianto dei valori costituzionali imprescindibili; a simili approdi era peraltro già giunta gran parte
della dottrina (penalistica) italiana, assai restia ad accettare che taluni principi supremi del nostro
ordinamento venissero posti in discussione7.
Tutto l’iter argomentativo muove, in ogni caso, da un assunto fondamentale: anche per i giudici
supremi la prescrizione deve intendersi – com’è tradizione nel nostro paese - quale istituto di diritto
penale sostanziale, coperto e garantito dal principio di legalità, di cui all’art. 25, co. 2, Cost.
La Cassazione ha ritenuto sussistere una lesione dell’art. 25, co. 2, Cost. in termini ulteriori e
diversi a quelli già ravvisati dalla Corte meneghina: questa disposizione sarebbe vulnerata sia sotto
l’aspetto della riserva assoluta di legge, sia con riferimento all’obbligo di precisione e tassatività del
precetto normativo.
L’articolo della Carta fondamentale in analisi – laddove riconosce alla sola “legge” l’esercizio delle
scelte di politica criminale – impone che solo tale fonte normativa possa avere voce nel diritto penale
sostanziale: al solo Parlamento nazionale, e a nessun altro soggetto, deve attribuirsi tale potere. Ad
avviso della Corte di Cassazione, la CG si sarebbe quindi ingerita in un campo che è di esclusivo
dominio dell’istituzione rappresentativa nazionale, con inaccettabile lesione del principio di legalità.
Altrettanto, sorge un ulteriore contrasto tra il dictum europeo e l’art. 25, co. 2, Cost. nella misura
in cui il giudice italiano sarebbe costretto alla disapplicazione in caso di “frodi gravi”, commesse in un
“numero considerevole di casi”. Evidentemente, si tratta di due formulazioni lessicali di carattere
generale, che non fissano alcun paradigma di riferimento per orientare la scelta del giudice di merito
chiamato alla (eventuale) disapplicazione: una simile ipotesi confligge chiaramente con l’obbligo di
chiarezza e precisione lessicale cui debbono ottemperare i precetti penali. Anche la dottrina meno
severa8 non ha potuto esimersi dal sottolineare come i due requisiti siano ampiamente problematici
nella loro definizione, in quanto declinati in termini estremamente generici, equivoci e superficiali. Non
6 Tra le pronunce più recenti sul punto, Corte costituzionale, sentenza 28 maggio 2014, n. 143; sentenza 11
febbraio 2013, n. 23; sentenza 23 novembre 2006, n. 393, tutte reperibili in www.cortecostituzionale.it.
7 Spiccano, in questo senso, le analisi condotte da CAMON A., La torsione d’un sistema; EUSEBI L., Nemmeno la Corte di
giustizia; MAZZA O., Il sasso nello stagno; CIVELLO G., La sentenza “Taricco”.
8 Tra cui i contributi di VIGANÒ F., Disapplicare le norme, AMALFITANO C., Da una impunità di fatto.
3
è possibile, quindi, che un giudice sia chiamato ad esercitare una valutazione che assumerebbe i canoni
di un mero arbitrio, poiché dovrebbe – prima di decidere per la disapplicazione o meno degli artt. 160 e
161 c.p. – darsi esso stesso il metro di giudizio.
Nell’alveo di questa considerazione, la Suprema Corte ha ravvisato altresì un’ulteriore collisione
con l’art. 101, co. 2 Cost., il quale stabilisce, quale principio fondamentale dell’ordinamento, la
subordinazione del giudice alla sola legge e, come pendant dell’art. 25, co. 2, Cost., concorre a definire la
separazione tra il potere legislativo e quello giudiziario. Nell’esercizio della giurisdizione, colui che è
chiamato a decidere deve dipendere da un solo criterio di valore, cui riferirsi in via esclusiva: si tratta,
appunto, della legge. Al giudice, in altre parole, non è dato sostituirsi al legislatore per creare, plasmare,
definire le norme da applicarsi. Invece, ove questi fosse chiamato a decidere quando una frode sia
grave, o quando sia considerevole il numero di casi in cui scatti la prescrizione, evidentemente
travalicherebbe i limiti imposti dalla Costituzione all’esercizio della propria funzione.
Si aggiungono poi, nell’ordinanza della Corte di Cassazione, ulteriori profili di conflitto tra la
sentenza Taricco e l’architettura costituzionale dell’ordinamento. Sarebbe violato l’art. 27, co. 3 Cost.,
poiché vi sarebbe un’alterazione nel teleologismo della pena, in quanto quest’ultima sarebbe funzionale
a proteggere – secondo l’impostazione della CG – gli interessi finanziari e la sanzione non
soddisferebbe le proprie finalità special-preventive.
Vi sarebbe una lesione degli artt. 3 e 24 Cost. perché l’applicazione di un precetto ondivago come
quello della sentenza Taricco potrebbe – come, in effetti, è accaduto – generare trattamenti sanzionatori
diversi a fronte di analoghi accadimenti; e gli imputati vedrebbero vulnerato il loro diritto alla difesa, in
quanto non sarebbe più loro possibile accedere a mezzi alternativi di definizione dei procedimenti di cui
non avevano inteso fruire ab origine.
Infine, il collegio remittente ritiene violato un ultimo principio cardine della Costituzione,
individuato nell’art. 11: per quanto l’Italia accetti di limitare la propria sovranità, ad avviso della Corte di
Cassazione è tuttavia necessario che i soggetti in favore dei quali avviene tale ritrazione agiscano
secondo le forme e le modalità loro consentite. In altre parole, facendo leva sugli artt. 4, par. 2 TUE
(rispetto dell’identità costituzionale degli Stati membri) e 6, par. 3 (rilevanza delle tradizioni comuni alle
Carte fondamentali dei paesi aderenti), il Supremo Collegio avrebbe ravvisato in capo alle istituzioni UE
l’obbligo di agire entro le proprie specifiche attribuzioni e, quindi, il divieto di violare, con le proprie
iniziative, il nucleo dei valori imprescindibili posti a fondamento delle Costituzioni nazionali.
4. L’ordinanza della Corte costituzionale n. 24/2017. La pronuncia della Consulta9 si apre (pt.
2) con una chiara, precisa enunciazione di alcuni elementi che costituiranno, come si vedrà, le
fondamenta dell’intero iter argomentativo.
Pur avendo riunito le due questioni di costituzionalità presentate dai due rimettenti, il Giudice
delle leggi ha focalizzato la propria attenzione soltanto sul principio di legalità, omettendo di valutare
tutti gli altri parametri di – presunta – collisione ravvisati dal Supremo Collegio.
Richiamati nozione e funzione dei controlimiti, la Corte ribadisce che il nullum crimen, nulla poena,
declinato in tutti i corollari, deve configurarsi quale principio supremo ed irrinunciabile
dell’ordinamento: la Corte avrebbe pertanto il dovere di bloccare un’applicazione dell’art. 325 TFUE (al
9 Per i primissimi commenti, v. AMALFITANO C., La vicenda Taricco nuovamente al vaglio della Corte di giustizia:
qualche breve riflessione a caldo, online in questa stessa Rivista; POLLICINO O., BASSINI M., When Cooperation Means
Request for Clarification, or Better for “Revisitation”, online in Diritto Penale Contemporaneo; CUPELLI C., La Corte
costituzionale ancora non decide sul caso Taricco, e rinvia la questione alla Corte di giustizia, online in Diritto Penale
Contemporaneo, tutti pubblicati nel gennaio 2017; GIGLIO V., La Consulta sul caso Taricco: analisi dell’ordinanza n. 24/2017,
online in FiloDiritto.
4
pari di qualsiasi altra norma) che violasse la disposizione di cui all’art. 25, co. 2 Cost. Per questo motivo,
allo scopo di evitare un aperto conflitto con la Taricco, la Consulta (pt. 3) indica immediatamente la
propria intenzione di «sollecitare un nuovo chiarimento da parte della Corte di giustizia sul significato
da attribuire all’art. 325 del TFUE», anziché – come invocato dalla maggior parte della dottrina
penalistica – opporre seccamente un controlimite alla pronuncia del giudice europeo.
La Corte costituzionale passa quindi alla disamina (pt. 4) della natura sostanziale della
prescrizione. Richiamate, sul punto, le proprie e più rilevanti pronunce sul punto10, l’ordinanza ribadisce
expressis verbis che l’istituto in parola afferisce all’esercizio dello jus puniendi, in quanto opzione attinente
all’opportunità di sanzionare (o meno) determinate condotte, pertanto ontologicamente coperta
dall’ombrello dell’art. 25, co. 2, Cost.
Osserva altresì la Corte che nessuna esigenza di uniformità sussiste, in materia, all’interno
dell’Unione, come si può facilmente rilevare dal fatto che in altri Paesi del continente (in Francia, ad
esempio) il decorso del tempo nel processo penale assume rilevanza – e trova disciplina – nel codice di
rito: in altre parole, ogni Stato membro è libero di dare all’istituto qualsiasi dimensione, in assenza di un
intervento armonizzatore proveniente dal contesto sovranazionale: anche in altri paesi, quali la
Germania e la Spagna, la collocazione dell’istituto è analoga a quella italiana.
Posto che non può essere sindacata – o impedita – una lettura sostanziale della prescrizione, a
giudizio della Corte costituzionale (pt. 5) si deve valutare se la regula juris imposta dalla Taricco sia
compatibile con l’ordinamento interno. Premesso che le norme penali debbono essere formulate in
termini chiari e determinati, onde consentirne la conoscibilità e un’applicazione non arbitraria da parte
dei giudici di merito - principio che la stessa CG11 ha ritenuto comune alle tradizioni costituzionali dei
Paesi membri – si debbono effettuare due verifiche.
Una prima attiene alla c.d. “prevedibilità” del precetto penale: tanto la giurisprudenza
costituzionale italiana quanto quella di Strasburgo esigono che la definizione della pena e del reato sia
conoscibile in modo chiaro dal soggetto sin dal tempo in cui il reato fu commesso. Declinato tale
principio nel contesto in analisi, viene da chiedersi se, prima della pronuncia della CG nella vicenda
Taricco, quivis de populo potesse ragionevolmente pensare che la prescrizione, nei reati tributari, non
dovesse (più) incontrare un termine massimo a causa del disposto dell’art. 325 TFUE, come inteso dalla
Corte di Lussemburgo nella sentenza del 2015. La risposta della Consulta, ancora una volta molto
diretta, è negativa.
Un secondo scrutinio deve compiersi sul grado di determinatezza della regola imposta dalla
Taricco, con riferimento specifico al margine discrezionale concesso al giudice. L’ordinanza rileva
chiaramente che, almeno sotto il profilo del “numero considerevole” delle frodi, vi è un’ambiguità
evidente, in re ipsa incompatibile con il principio di legalità (prima) e con il compito – mai creativo, solo
applicativo – del giudice (poi): non è ammissibile, quantomeno in un ordinamento di Civil Law,
assegnare ad un magistrato un obiettivo (qualsiasi esso sia e dovunque promani) e ammettere che usi
qualsiasi strumento perché esso si realizzi. Nel caso di specie, non sarebbe in alcun modo accettabile
assegnare ai giudici di merito il compito di tutelare gli interessi finanziari europei senza che siano
chiaramente fissate le fattispecie (e il trattamento) in cui tale obiettivo dovrebbe declinarsi.
Da quest’analisi discende un’evidenza: così inteso, il dictum della CG appare incompatibile con
l’ordinamento interno. La Corte costituzionale, tuttavia, con esercizio di un notevole self restraint, ritiene
di proporre ai giudici lussemburghesi una lettura alternativa della questione, in modo tale che l’art. 325
TFUE, da un lato, e i principi fondamentali dell’ordinamento, dall’altro lato, siano fatti contestualmente
10
11
Cfr. supra, nota n. 6.
Corte di giustizia, sentenza 12 dicembre 1996, cause riunite C-74/95 e C-129/95, X, pt. 25.
5
salvi. La Consulta (pt. 6) richiama, a tal fine, il principio di leale cooperazione (art. 4, par. 3 TUE), il
quale informa i rapporti tra Unione e Stati membri: dall’impegno al reciproco rispetto, discende, da un
lato, il riconoscimento del primato del diritto dell’Unione europea, dall’altro lato, la necessaria
conservazione delle singole identità nazionali, forti della consapevolezza che l’Unione può e deve
realizzarsi a fronte della diversità. È pertanto impensabile che l’Unione imponga ad uno Stato membro
di tradire o venire meno ad un principio supremo del proprio ordinamento costituzionale.
Pur ricordando che è competenza del giudice di Lussemburgo interpretare il proprio diritto, la
Corte costituzionale (pt. 8) offre alla CG una chiave di lettura differente – rectius, più completa ed
equilibrata – dell’art. 325 TFUE. A partire dai punti 53 e 55 della sentenza Taricco, in cui al giudice di
merito viene riservato il compito di assicurare il rispetto dei diritti fondamentali di coloro che sarebbero
interessati dalla disapplicazione della normativa interna, la Consulta ritiene che «con tali asserzioni si sia
inteso affermare che la regola tratta dall’art. 325 TFUE è applicabile solo se è compatibile con l’identità
costituzionale dello Stato membro e che spetta alle competenti autorità di quello Stato farsi carico di
una siffatta valutazione». Così inteso il dictum europeo, esso potrebbe certamente essere accolto in Italia,
poiché non importerebbe più una disapplicazione tout court della disciplina interna. Ciò non esime la
Consulta da un netto richiamo alla responsabilità della Repubblica italiana, che con l’attuale congegno
della prescrizione rischia di impedire, almeno in un buon numero di casi, l’irrogazione di sanzioni
effettive e dissuasive nei casi di reati in materia di IVA.
La Corte costituzionale (sempre al pt. 8) si prodiga inoltre ad osservare che l’interpretazione
“suggerita” nei passaggi precedenti dell’ordinanza non contrasterebbe con le esigenze di uniformità del
diritto dell’Unione e non porrebbe certo in discussione le necessità imposte dall’art. 325 TFUE. Il freno
opposto all’applicazione della sentenza Taricco nasce da un diverso convincimento: l’ordinamento
interno offre agli imputati una protezione ulteriore rispetto a quella sancita dall’art. 49 CDFUE e
dall’art. 7 CEDU e, di conseguenza, ai sensi dell’art. 53 CDFUE, non può essere imposto all’Italia di
fare “un passo indietro” nella tutela di un diritto ritenuto fondamentale. La Consulta osserva che, a
differenza del caso Melloni12 – in cui la Spagna, qualora avesse tenuto ferma la propria posizione,
avrebbe di fatto frustrato il funzionamento del mandato d’arresto europeo, normativa già armonizzata a
livello UE13 – non si intende scardinare l’unità (e il primato) del diritto dell’Unione, bensì rilevare
l’esistenza di un ostacolo costituzionale all’attuazione della regola proveniente dalla CG.
Prima di formulare le questioni rivolte al giudice di Lussemburgo, la Consulta si sofferma (pt. 9)
su un ultimo, fondamentale passaggio. Quand’anche alla prescrizione si dovesse dare natura
processuale, in modo tale da non incappare nell’intralcio del principio di legalità penale, a giudizio della
Corte costituzionale il comando formulato dalla sentenza Taricco sarebbe in ogni caso difettoso: infatti,
se si assegnasse al giudice un mero scopo senza precisare quale parametro normativo questi debba
impiegare, la funzione giurisdizionale travalicherebbe i limiti che le sono propri negli ordinamenti di
Civil Law, in chiara contrapposizione con ciò che postula l’art. 49 CDFUE.
In conclusione (pt. 10), dopo aver ribadito l’auspicio che la CG voglia confermare il tracciato
argomentativo suggerito dall’ordinanza onde evitare uno scontro frontale, la Consulta formula le tre
questioni pregiudiziali, di cui chiede la definizione con procedimento accelerato. In particolare, essa
chiede alla CG se l’art. 325 TFUE si debba interpretare nei termini sanciti dalla sentenza Taricco (i)
anche quando la disapplicazione delle norme sulla prescrizione sia priva di una base legale
sufficientemente determinata (ii) anche quando nell’ordinamento dello Stato membro la prescrizione è
Corte di giustizia UE, sentenza 26 febbraio 2013, causa C-399/11, Melloni.
Decisione quadro del Consiglio 2002/584/GAI del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle
procedure di consegna tra Stati membri, come modificata dalla Decisione quadro 26 febbraio 2009, n. 2009/299/GAI.
12
13
6
parte del diritto penale sostanziale e soggetta al principio di legalità e (iii) anche quando tale
disapplicazione contrasti con i principi supremi o i diritti inalienabili della persona stabiliti dalla
Costituzione dello stato membro.
5. Un diverso angolo visuale. Prima di valutare quali margini di manovra residuino alla CG a
fronte dell’ordinanza di rinvio della Corte costituzionale italiana, è senz’altro proficuo provare ad
analizzare la vicenda Taricco da un diverso punto di vista, quello – cioè – dell’Unione europea.
È fuor di dubbio la giurisprudenza di merito – e con essa buona parte della dottrina14 – abbia, per
ragioni evidenti, posto la lente d’ingrandimento sui motivi di frizione tra la pronuncia della CG e
l’ordinamento interno, sebbene non sia mancata qualche voce a sottolineare l’approccio marcatamente
funzionalistico assunto dalla Corte15; tuttavia, risulta pressoché pretermessa un’attenta analisi di quali
esigenze abbiano fondato una decisione tanto diretta e schietta da parte dei giudici di Lussemburgo.
In primo luogo, giova qui ribadire che l’Unione europea ha la marcata, fondamentale esigenza di
proteggere in modo effettivo le proprie finanze, indispensabili affinché l’ordinamento “comunitario”
possa continuare ad esistere e ad operare; essa, tuttavia, ha bisogno – in difetto di una propria
autonoma struttura in grado di riscuotere le somme dovute – che i singoli Stati riscuotano le somme
dovute e irroghino le giuste sanzioni (anche a scopo general-preventivo) affinché ciò accada.
Già in passato, il Tribunale dell’Unione16 aveva affermato – nei confronti, anche in quel caso,
dell’Italia – l’esigenza di prevenire le irregolarità e le frodi che attingono il bilancio UE, sia nelle ipotesi
di omissione di versamenti, sia in quelle di mancato recupero di fondi concessi ed indebitamente
utilizzati. In quella sentenza, il giudice europeo ha stabilito che, in fin dei conti, non rileva il mezzo con
cui avviene il recupero di tali somme, bensì importa che l’obiettivo finale sia raggiunto: l’incapacità
italiana di provvedere al recupero degli importi contestati ha comportato, almeno per quel caso, una
sanzione economica pari ad oltre trecento milioni di euro17.
Se si legge, in quest’ottica, la sentenza Taricco – che alcuni autori si sono spinti a definire
“sovversiva”18 – i fondamenti del pronunciamento della Corte di giustizia appaiono almeno
comprensibili, sebbene qualche passaggio della pronuncia meriti giusti rilievi critici. I giudici
lussemburghesi non avevano alcun interesse ad interferire, in modo aspro e diretto, con l’ordinamento
nazionale, né tantomeno si sono adoperati dolosamente al fine di introdurvi regole contrarie ai principi
fondamentali ivi sussistenti; hanno inteso ribadire la necessità di proteggere in modo effettivo gli
interessi “comunitari”, soprattutto se si desidera proseguire sulla strada dell’integrazione europea verso
la creazione di uno spazio giuridico che sia realmente comune.
Peraltro, si può condividere la riflessione di chi19 ha osservato che la protezione del bilancio e dei
fondi europei attinge non soltanto l’Unione, ma ogni cittadino che ne fa parte: esigere il versamento dei
Si vedano i contributi già richiamati alla nota n. 7, giusto per citare alcune esemplificazioni degli scritti più critici
nei confronti della pronuncia della CG.
15 AMALFITANO C., Da una impunità di fatto, pt. 5; BASSINI M., Prescrizione e principio, p. 7.; AMALFITANO C., Il ruolo
dell'art. 325 TFUE nella sentenza Taricco e le sue ricadute sul rispetto del principio di legalità penale. Possibile una diversa
interpretazione ad opera della Corte di giustizia? online in Forum costituzionale, ottobre 2016; una simile prospettiva emerge
anche dal contributo di CANNIZZARO E., Sistemi concorrenti di tutela dei diritti fondamentali e controlimiti costituzionali,
online in Forum costituzionale, ottobre 2016.
16 Tribunale di prima istanza UE, sentenza 12 settembre 2012, causa T-394/06, Repubblica Italiana c.
Commissione Europea.
17 VENEGONI A., Ancora sul caso Taricco, pp. 4-5.
18 CAMON A., La torsione d’un sistema; MANES V., La “svolta” Taricco e la potenziale “sovversione di sistema”: le
ragioni dei controlimiti, online in Diritto Penale Contemporaneo, marzo 2016.
19 VIGANÒ F., Il caso Taricco davanti alla Corte costituzionale: qualche riflessione sul merito delle questioni e sulla
reale posta in gioco, online in Diritto Penale Contemporaneo, maggio 2016.
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7
tributi ed imporre il corretto utilizzo dei fondi erogati sono attività che rientrano nell’interesse
collettivo, poiché si tratta di denaro appartenente alla collettività: basti pensare anche alla dimensione
marcatamente sociale del principio di capacità contributiva affermato dalla Costituzione italiana all’art.
53 Cost.
Vi è, poi, un’ulteriore prospettiva entro cui la pronuncia Taricco deve essere letta.
Da diverso tempo è in corso, tra le istituzioni europee, un forte dibattito circa la corretta base
giuridica per la c.d. direttiva PIF, ovvero quello strumento di armonizzazione destinato a prendere il
posto dell’omonima – e più risalente – Convenzione. Infatti, se da un lato la Commissione aveva
prescelto l’art. 325 TFUE quale fondamento per un simile atto, dall’altro il Consiglio dell’UE e il
Parlamento avevano invece proposto l’impiego del più “generale” art. 83 TFUE: la sentenza della CG
sembrava inserirsi, in questa diatriba, ribadendo il ruolo centrale dell’art. 325 TFUE quale fulcro di ogni
iniziativa (non solo di carattere penale) assunta dall’Unione a protezione dei propri interessi finanziari.
Infatti, nella misura in cui la norma paradigmatica per valutare la compatibilità della disciplina
penale nazionale con gli obblighi comunitari in tema di repressione dei reati lesivi degli interessi
finanziari UE è costituita dall’art. 325 TFUE, sarebbe stato logico trarre la conseguenza per cui a partire
dalla stessa norma dovrebbero scaturire gli interventi dell’Unione volti a proteggere anche penalmente i
propri interessi finanziari. Anche per questo motivo, dunque, si può comprendere per quale motivo la
Corte abbia inteso poggiare la propria decisione su questa norma pattizia: allo scopo, cioè, di ribadirne il
ruolo di fulcro delle iniziative in tema di protezione (anche) penale degli interessi finanziari UE.
Il richiamo della CG, tuttavia, pare non essere stato ascoltato: come si può ictu oculi rilevare dalla
lettura del testo della proposta di direttiva aggiornato ai giorni scorsi, nonostante i vari tentativi di
negoziazione, viene ancora indicata, quale base giuridica del (possibile e auspicabile) intervento di
armonizzazione, l’art. 83, par. 2, TFUE20.
6.– Quali prospettive? In attesa di conoscere – tra cinque o sei mesi, qualora la CG accettasse
l’invito della Corte costituzionale a pronunciarsi con procedimento accelerato sulla base dell’art. 105 del
regolamento di procedura – come i giudici lussemburghesi intenderanno rispondere alla Consulta, può
essere utile interrogarsi su quali siano i sentieri percorribili perché possa essere evitato lo scontro
frontale tra le due Corti21.
Il giudice italiano, ancorché l’ordinanza manifesti un’apertura dialogica fondamentale, ha in ogni
caso assunto una posizione chiara e difficilmente transigerà su quegli aspetti – la tutela dell’identità
nazionale, la fondamentale rilevanza del principio di legalità, la natura sostanziale della prescrizione –
ben rimarcati in più di un passaggio. «Se l’applicazione dell’art. 325 TFUE comportasse l’ingresso
nell’ordinamento giuridico di una regola contraria al principio di legalità in materia penale, come
ipotizzano i rimettenti, questa Corte avrebbe il dovere di impedirlo» (pt. 2): la CG, quindi, sarà ben
consapevole che, qualora la propria pronuncia non fosse compatibile con i principi scolpiti a chiare
lettere dalla Corte costituzionale, l’opposizione del controlimite sarebbe dietro l’angolo, con tutte le
temibili conseguenze del caso.
Certo, la prospettiva della CG non sarà mai quella propria della Corte costituzionale, bensì quella
esattamente opposta, poiché il Giudice di Lussemburgo si aspetta che siano proprio i singoli
ordinamenti a rendere la propria disciplina compatibile con gli obblighi derivanti dalla partecipazione
dei Paesi all’UE.
Cfr. il testo consultabile qui, aggiornato al giorno 1.2.2017.
Per qualche riflessione su questo specifico punto, sia consentito rinviare ancora una volta a AMALFITANO C., La
vicenda Taricco, sempre in questa stessa Rivista.
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21
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È, per questi motivi, auspicabile che il Giudice del Kirchberg possa, almeno in parte, tornare sui
propri passi e trovare una via che salvaguardi le (legittime) pretese invocate sia dall’Italia sia dalla
propria precedente pronuncia: la sentenza Taricco ha avuto il merito di puntare il dito sulla prescrizione,
un istituto che – così come costruito oggi – tende certamente a vanificare l’effettività della sanzione
penale, ma – d’altro canto – è arrivata ad un tale esito sulla base di un percorso argomentativo che ha
meritato giuste censure.
Un primo percorso che la CG potrebbe adottare muove dal riconoscimento, ai sensi dell’art. 4,
par. 2 TUE, della identità costituzionale italiana (e, conducendo una semplice ricognizione
comparatistica, si troverebbero molti paesi con cui tale impostazione è condivisa, vedasi la Spagna e la
Germania) e dell’interpretazione che essa offre del principio di legalità. La Corte, perciò, potrebbe
estendere la portata dell’art. 49 CDFUE fino a far ricomprendere, nel divieto di irretroattività, non solo
gli elementi che definiscono il reato e la pena, ma anche tutte quelle norme che, nella disciplina
nazionale, fondano od escludono l’esercizio dello jus puniendi. E, invero, una tale rivisitazione porrebbe
rimedio anche ad un’aporia di fondo della sentenza Taricco, la quale ha troppo acriticamente aderito
all’interpretazione dell’art. 7 CEDU fornita nella nota sentenza Coëme e a. c. Belgio22: se si ritiene che la
disciplina dei termini massimi della prescrizione penale comporti un vulnus all’esigenza di effettività delle
sanzioni e, quindi, si correli direttamente con l’irrogazione della sanzione, appare poi contraddittorio
smentire tout court l’appartenenza dell’istituto allo spettro applicativo del principio di legalità. Si
tratterebbe di un innalzamento della soglia della tutela degli individui ben possibile ai sensi dell’art. 52,
par. 3 CDFUE; non sarebbe, peraltro, la prima volta in cui un processo di elevamento delle garanzie
avviene grazie all’interazione con gli ordinamenti nazionali23.
Adottata questa diversa prospettiva, sarebbe tuttavia difficile – rectius, pressoché impossibile –
ammettere la prevalenza degli interessi finanziari europei a fronte di un principio di irretroattività così
esteso a tutela dei diritti degli imputati, pertanto l’obbligo di disapplicazione verrebbe, sostanzialmente,
meno.
Altrettanto lineare appare il sentiero interpretativo accennato anche dalla Corte costituzionale
italiana, fondato – nei suoi presupposti – su alcuni snodi decisivi della stessa sentenza Taricco. Ai punti
nn. 53 e 55 di quest’ultimo pronunciamento si legge che «Occorre aggiungere che se il giudice nazionale
dovesse decidere di disapplicare le disposizioni nazionali di cui trattasi, egli dovrà allo stesso tempo assicurarsi
che i diritti fondamentali degli interessati siano rispettati. Questi ultimi, infatti, potrebbero vedersi infliggere
sanzioni alle quali, con ogni probabilità, sarebbero sfuggiti in caso di applicazione delle suddette
disposizioni di diritto nazionale […] con riserva di verifica da parte del giudice nazionale, la disapplicazione
delle disposizioni nazionali di cui trattasi avrebbe soltanto per effetto di non abbreviare il termine di
prescrizione generale nell’ambito di un procedimento penale pendente»24.
La stessa CG, nella pronuncia del settembre 2015, aveva già rimesso al giudice nazionale la
verifica circa il rispetto dei diritti fondamentali dei soggetti che sarebbero stati attinti dagli effetti della
propria sentenza25: in ossequio al principio del primato e all’architettura dei controlimiti, tale scrutinio è
stato di fatto rimesso alla Corte costituzionale, la quale ha asserito che, se l’interpretazione dell’art. 325
Corte EDU, sentenza 22 giugno 2000, Coëme v. Belgio, ric. nn. 32492/96, 32547/96, 32548/96, 33209/96,
33209/96, 33210/96, in hudoc.echr.coe.int. Una tale impostazione è stata suggerita da AMALFITANO C., Il ruolo dell'art. 325
TFUE.
23 Corte di giustizia CE, sentenza 14 ottobre 2004, causa C-36/02, Omega; sentenza 14 febbraio 2008, causa C244/06, Dynamic Medien.
24 Corsivi aggiunti.
25 Sebbene si tratti, in effetti, di un’affermazione più che altro formale, poiché già la CG aveva stabilito non esservi
alcun conflitto tra la propria interpretazione dell’art. 325 TFUE e l’art. 49 CDFUE.
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TFUE rimanesse quella ipotizzata dai giudici a quibus, verrebbe violato (almeno) il diritto fondamentale
degli individui fissato, in Italia, dall’art. 25, co. 2, Cost.
La Consulta è, invece, persuasa della possibilità che la norma pattizia possa declinarsi in guisa tale
da non far sorgere alcun contrasto, senza dover ricorrere ad alcuna forzatura ermeneutica: a tale
conclusione potrebbe giungersi ove l’art. 325 TFUE, sulla base dei punti nn. 53 e 55 già richiamati,
fosse inteso nel senso che esso «è applicabile solo se è compatibile con l’identità costituzionale dello
Stato membro e che spetta alle competenti autorità di quello Stato farsi carico di una siffatta violazione»
(pt. 7 dell’ordinanza di rinvio).
Confermato quest’orientamento, ne seguirebbe semplicemente l’impossibilità di accogliere
l’imperativo della CG, perché, effettuata quella valutazione indicata proprio da Lussemburgo, verrebbe
rilevata una violazione di un diritto fondamentale: non si tratterebbe di una reazione alla sentenza
Taricco, ma di rispettare il cammino che essa stessa ha indicato.
Se il Giudice del Kirchberg adottasse quest’approccio, non dovrebbe far altro che ribadire
ulteriormente quanto già aveva scritto, semmai esplicitando più nettamente che, qualora la verifica del
giudice interno in merito al rispetto dei diritti fondamentali fosse di segno negativo, è del tutto lecito
non procedere con la disapplicazione.
Laddove la Corte facesse proprio uno di questi due itinerari argomentativi – o, comunque, ove
rifacesse un giudizio di bilanciamento di segno opposto a quello condotto nella causa Taricco – si
arriverebbe a depotenziare notevolmente la diretta portata precettiva dell’art. 325 TFUE, nella misura in
cui ad esso verrebbe anteposta inesorabilmente la tutela di altri principi fondamentali. Resterebbe però
impregiudicata la possibilità di sanzionare l’Italia, con una procedura ex art. 258 TFUE26, perché la
nostra legislazione, in ogni caso, espone (o, più prudentemente, rischia di esporre) a facili aggressioni gli
interessi finanziari europei, nella misura in cui non predispone misure efficaci ed atte tanto a contrastare
la frode quanto a recuperare il gettito dovuto.
Qualora, diversamente, la Corte volesse provare a fare salva la compatibilità del dictum Taricco a
fronte delle censure mosse dal giudice italiano, dovrebbe affrontare un percorso argomentativo più
complesso, finalizzato a specificare in modo sufficientemente determinato i requisiti della gravità e del
“numero considerevole” e a declinare nel tempo gli effetti della pronuncia, di talché non ci sia alcuna
applicazione irretroattiva.
Infatti, ben ha sottolineato la Corte costituzionale (pt. 9) che, quand’anche non fosse condivisa
l’impostazione italiana secondo cui la prescrizione è materia sostanziale, non può mai venire meno quel
principio di certezza del diritto, vero e proprio fondamento dello Stato moderno, costantemente
riconosciuto dalla CG sin da tempi più risalenti27.
In ossequio, perciò, alla indefettibile esigenza di chiarezza e precisione connaturata a ciascun
precetto, la Corte di Lussemburgo dovrebbe cercare, nella nuova sentenza, di specificare con sufficiente
esattezza i requisiti ai quali è subordinata la disapplicazione della disciplina nazionale contrastante con
l’art. 325 TFUE. Sul versante della “gravità”, la Corte potrebbe facilmente far riferimento
all’indicazione offerta dall’art. 2 della Convenzione PIF, che fissa in cinquantamila euro la soglia oltre la
quale una frode commessa a danno degli interessi finanziari europei assume un carattere “grave”. Più
problematica, invece, appare l’individuazione di un parametro efficace per stabilire quando sia
Previsione paventata anche da MASTROIANNI R., Supremazia del diritto dell’Unione e “controlimiti”
costituzionali: alcune riflessioni a margine del caso Taricco, online in Diritto Penale Contemporaneo, ottobre 2016.
27 Tra le più recenti pronunce in materia, si vedano Corte giustizia, sentenza 18 novembre 2008, causa C-158/07,
Förster; sentenza 10 settembre 2009, causa C-201/08, Plantanol.
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“considerevole” il numero dei casi di frode. Come ben messo in luce dalla dottrina28, infatti, non è
operazione semplice la ricerca, per questo requisito, di un elemento di riferimento, che possa orientare
la decisione del giudice di merito: qualora si volesse impiegare un dato statistico, sorgerebbe
immediatamente una congerie di interrogativi in merito alla provenienza, ai meccanismi di conteggio, ai
campioni oggetto di rilevazione, alle aree di riferimento – giusto per menzionare i profili più evidenti.
Ove, invece, si dovesse giudicare il “numero considerevole” sulla base del singolo caso rimesso al
giudice di merito, certamente si aprirebbe uno scenario oltremodo suscettibile di censura, poiché lo
scrutinio del caso di specie dipenderebbe da fattori – il numero di coimputati, le annualità di
riferimento, il loro accorpamento in un unico (o in più di un) procedimento – troppo soggetti ad
oscillazioni.
Mancherebbe, poi, un ulteriore, inevitabile passaggio per tentare di salvaguardare la precedente
pronuncia, ovvero la declinazione degli effetti temporali dell’obbligo di disapplicazione: se, infatti, la
Corte affermasse vincolati i giudici di merito solo per quei fatti commessi dopo la pubblicazione della
sentenza (id est, dal momento in cui per i singoli diventa possibile sapere che saranno sottoposti ad un
certo tipo di trattamento, qual è quello che deriva dalla pronuncia in analisi), potrebbe essere
quantomeno scongiurato il rischio di un impatto frontale con i principi di irretroattività e certezza del
diritto.
Tuttavia, la stabile giurisprudenza della CG, che – in materia di rinvii pregiudiziali interpretativi –
ha vietato che con una successiva sentenza possano limitarsi nel tempo gli effetti relativi ad una
precedente sentenza interpretativa29, consentirebbe un’articolazione cronologica di tali conseguenze
soltanto a partire dalla seconda pronuncia, con ciò lasciando tra color che son sospesi tutti i fatti collocabili
tra le due sentenze; inoltre, la declinazione nel tempo è possibile, per stabile giurisprudenza della Corte,
soltanto ove concorrano due presupposti, ovvero i rischi di gravi ripercussioni economiche e le
oggettive incertezze circa l’interpretazione della norma controversa prima del giudizio di rinvio, che nel
caso in esame – almeno con riferimento al primo dei due elementi – non sembrano verificarsi30.
Perciò anche la rimodulazione degli effetti nel tempo – soluzione percorribile per evitare di
incorrere nello strappo da parte della Corte costituzionale – postula in ogni caso l’esigenza che la CG si
interroghi su un proprio consolidato orientamento.
Pertanto, qualora la CG volesse avventurarsi lungo un percorso che permetta la piena
salvaguardia (e riaffermazione) del precetto imposto nel caso Taricco, dovrebbe operare scelte
estremamente precise in merito ai due presupposti della disapplicazione e, poi, accettare di mettere
mano alla precedente giurisprudenza relativa alla declinazione degli effetti temporali delle sentenze:
ammesso, poi, che la Corte costituzionale ritenga compatibile con i principi fondanti l’ordinamento
nazionale che una “modifica” della disciplina interna avvenga per effetto di una pronuncia che, in ogni
caso, promana da un’istituzione diversa dal Parlamento.
7.– Alcuni spunti di riflessione. In una congiuntura storica nella quale le forze anti-europeiste e
centrifughe si fanno sempre più insistenti, la decisione della Consulta – che non ha elevato, pur
avendone forse avuti i margini, alcun controlimite – appare saggia ed equilibrata, poiché dà
effettivamente modo di aprire un confronto diretto tra due interlocutori, quello nazionale e quello
europeo, che, in qualche occasione, hanno stentato quanto a capacità dialogiche.
28 Ex plurimis, VIGANÒ F., Disapplicare le norme, pp. 7-8; CIVELLO G., La sentenza “Taricco”, pp. 11 ss.; MICHELETTI
D., Premesse e conclusioni, p.3.
29 Ex plurimis, Corte di giustizia, sentenza 17 maggio 1990, causa C-262/88, Barber; sentenza 2 febbraio 1988,
causa C-24/86, Blaizot.
30 Il riferimento è ancora a AMALFITANO C., Il ruolo dell'art. 325 TFUE.
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Certo, la posizione della Corte costituzionale non è delle più flessibili, specie con riferimento al
punto di partenza indiscutibile, relativo, cioè, al totale assorbimento della prescrizione – istituto di
chiara matrice sostanziale – nell’ambito applicativo del principio di legalità, inteso quale vero e proprio
valore indiscutibile dell’ordinamento nazionale. Su questo specifico snodo, la Consulta, pur non
omettendo velati richiami al legislatore (in particolare, in chiusura del pt. 7 dell’ordinanza di rinvio), ha
deciso di tener fede ad un orientamento di lungo e consolidato corso, condiviso da tutte le giurisdizioni
nazionali e da ampia parte della dottrina. È altrettanto vero che, come hanno suggerito autorevoli voci
della penalistica italiana31, non sarebbe necessario ricondurre al principio di legalità anche quelle norme
che stabiliscono il termine massimo della prescrizione: se, infatti, il precetto costituzionale di cui all’art.
25, co. 2, Cost. risponde all’esigenza di consentire al cittadino scelte preventive libere e consapevoli,
non si può automaticamente ritenere che tale principio presidi anche la pretesa di conoscere per quanto
tempo sia necessario sottrarsi alla giustizia (allo scopo di ottenere l’impunità), né tantomeno postula la
immutabilità dei termini entro cui l’estinzione del reato possa maturare.
Un’ultima considerazione. Il giudice di Cuneo è stato tanto criticato perché, nella propria
ordinanza, ha invitato la CG a la cogliere la “grandissima opportunità” che le veniva offerta, ovvero
censurare, una volta per tutte, la disciplina italiana che spesso vanifica il lavoro di inquirenti e magistrati.
Si è correttamente detto32 che nel giudizio penale non possono trovare spazio “occasioni” da sfruttare,
poiché la dimensione umana degli imputati si antepone a qualsiasi distorto teleologismo, e di un singolo
caso non si può fare il grimaldello per forzare un intero sistema.
Altrettanta attenzione, però, dovrebbero porre la dottrina e la giurisprudenza italiana, perché –
attesa la ormai cronica ipoacusia del legislatore di fronte ai numerosi richiami circa la necessaria
rimodulazione della prescrizione dopo l’infelice intervento della legge “ex Cirielli” – esse stesse stanno
cercando di fare della Taricco la miglior “occasione” per contrapporsi a tutto ciò che promana dalle
istituzioni europee.
De hoc, satis: in attesa che, da Lussemburgo, la CG torni a far sentire la propria voce.
MARINUCCI G., DOLCINI E., Corso di diritto penale, Milano, 2001, pp. 263 ss., tesi che prende le mosse
dall’interpretazione di una pronuncia della Consulta (Corte cost., ordinanza 17 dicembre 1999, n. 452). Si tratta di un
orientamento poi riportato e condiviso da VIGANÒ F., Disapplicare le norme, p. 10.
32 SOTIS C., Il limite come controlimite, online in Diritto Penale Contemporaneo, ottobre 2016.
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