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Indice
6
8
10
Presentazione Benedetto Gravagnuolo
Introduzione Stella Casiello
Testimonianze storiche e architettura contemporanea Lucio Morrica
Progetti e realizzazioni 1971-2007
ISBN 978-88-8497-127-2
Editing
Anna Maria Cafiero Cosenza
24
Restauro e valorizzazione della Reggia di Caserta, Museo dell’Opera, Tombe sannitiche
39
Sistemazione di Piazza Carlo III antistante la Reggia di Caserta
40
Restauro e sistemazione del giardino ottocentesco della Flora, Caserta
41
Valorizzazione dei resti del Castello di Quaglietta e dell’annesso Borgo, Calabritto (AV)
Ricerche bibliografiche
Giulia Morrica e Chiara Figliolia
43
Ricostruzione e restauro del Ponte Real Ferdinando sul Garigliano
55
Restauro e riuso della Caserma settecentesca di Nola per il secondo Tribunale di Napoli
Grafica
Chiara Figliolia
57
Restauro e adeguamento funzionale dell’edificio vanvitelliano di Mercato S. Severino, Municipio
65
Restauro, consolidamento e adeguamento funzionale del Convento di S. Francesco, Caiazzo, Municipio
Referenze fotografiche
Foto Archivio Morrica
68
Restauro e consolidamento dell’ex sede vescovile di Muro Lucano, Museo vescovile e archeologico
70
Valorizzazione e rifunzionalizzazione di un’area del centro antico di Molfetta
74
Restauro e rifunzionalizzazione dell’ex Centro annonario di Bari per la nuova
Biblioteca nazionale e Archivio di Stato
78
Ristrutturazione, completamento e restauro dell’ex Municipio di S. Maria Capua Vetere
80
Restauro e rifunzionalizzazione del complesso “Opere Pie” per il nuovo
Istituto Tecnico e Liceo scientifico, Caiazzo (CE)
82
Restauro e rifunzionalizzazione del Palazzo Merolla a Centro culturale e Biblioteca, Marano (NA)
84
Restauro e adeguamento funzionale della Biblioteca Universitaria di Napoli
89
Recupero funzionale, consolidamento e restauro del Palazzo “ex Gil” quale
Centro Culturale regionale, Campobasso
95
Restauro e adeguamento funzionale del “vecchio Ospedale civile SS. Annunziata” a
Biblioteca Universitaria e Archivio di Stato, Sassari
105 Restauro e rifunzionalizzazione del Convento di S. Chiara a Museo della città, Lecce
in copertina
Tombe sannitiche, Reggia di Caserta, 1990-93
112 Regesto delle opere
116 Bibliografia
6
Presentazione
7
Benedetto Gravagnuolo
L’interesse maggiore di questo volume sta nella selezione delle opere prescelte.
Lucio Morrica è un architetto prolifico. Docente di progettazione presso la Facoltà di
Architettura e presso la Scuola di Specializzazione in Restauro dell’Ateneo
Fridericiano, dopo l’apprendistato d’elezione alla scuola di autentici maîtres à penser
quali Carlo Cocchia e Giulio De Luca, Lucio Morrica ha saputo coniugare l’esperienza
didattica con la ricerca applicata sul campo della concreta verifica di cantiere.
La sua produzione ideativa spazia dalla piccola scala di calibrate costruzioni ex-novo,
come la concatenata serie di case in pietra realizzate a Palinuro a partire dagli anni
Settanta, fino alla più vasta scala della progettazione urbana nel recupero di sei piazze
di Fiuggi, del centro storico di Molfetta e di vari altri elaborati per concorsi nazionali ed
internazionali.
Nel limitare il campo illustrativo ai soli interventi esemplificativi della sua peculiare
maniera di interpretare la dialettica tra antico e nuovo, Lucio Morrica ha
opportunamente premesso un breve (ma denso) saggio che sintetizza la sua opinione
nel merito di questa vexata quaestio. I postulati concettuali sono distillati con equilibrio
critico, muovendo dalle tesi di autori della caratura di Roberto Pane, Ernesto Rogers,
Renato De Fusco, Manfredo Tafuri, Vittorio Gregotti e Giovanni Carbonara al fine di
pervenire ad una metodologia condivisa e per così dire “ragionata”. Dal punto di vista
più strettamente progettuale, si staglia con tutta evidenza quale paradigma
referenziale la lezione di Carlo Scarpa, benché integrata ed aggiornata con più recenti
opere esemplari di Alvaro Siza, Rafael Moneo, Norman Foster e di altri grandi architetti
contemporanei.
Si parva licet, al di là degli enunciati teoretici, ciò che più conta per valutare la validità
del metodo resta pur sempre il banco di prova della qualità delle opere costruite.
Certo, la dialettica tra conservazione e innovazione è stata in passato, e resta a
tutt’oggi una tematica nodale nella storia dell’architettura occidentale.
Con particolare enfasi in Europa, dopo gli sprechi ambientali del recente passato, si è
imposta all’attenzione della critica più avvertita la necessità di porre un freno alle
espansioni edilizie immotivate per incentivare all’inverso programmi di recupero e di
rivalorizzazione dei tessuti urbani preesistenti.
E ciò non foss’altro perché il territorio è esso stesso una risorsa preziosa, oltre che
finita e non riproducibile. Ne consegue che l’esistente è divenuto dovunque
patrimonio.
La maggior parte degli interventi contemporanei rientrano nella sfera della “architettura
della modificazione”, per dirla con Vittorio Gregotti. Si tratta di “costruire nel costruito”,
attraverso opere di restauro, di riuso o di riqualificazione. La stessa periferia urbana è
divenuta un non-luogo che cerca identità attraverso il consolidamento contestuale.
Il progetto come modificazione è anche lo strumento operativo ragionevolmente
praticabile quando si deve intervenire sul paesaggio, sia esso naturale che urbano.
Eppure, nonostante la centralità assunta dalla cultura del rispetto verso il passato
nell’attuale dibattito architettonico, non esistono - non possono esistere - formule
aprioristicamente valide per orientare le rotte della progettazione. La dialettica tra
antico e nuovo resta un problema difficile da risolvere, comunque non eludibile, ma
proprio per questo affascinante. Solo la sapienza dell’architetto può dare - di volta in
volta - risposte ideative al dilemma, scrivendo un nuovo testo nel contesto trovato, in
armonia o in deliberata dissonanza con il palinsesto già scritto. Ed a testimoniare la
perizia che Lucio Morrica ha saputo mostrare nell’attraversare nel corso del tempo
questo problematico campo progettuale valgano non solo i raffinati interventi insigniti
dai prestigiosi Europe Awards - quali il Museo delle Tombe Sannitiche della Reggia di
Caserta (premiato nel 1995) e il recupero del Palazzo Vanvitelliano di Mercato San
Severino (premiato nel 1996) - ma anche l’alta qualità esecutiva profusa nel restauro
del Real Ponte Ferdinando sul Garigliano (1992, con la collaborazione di Augusto
Vitale) e nelle altre opere documentate nel presente volume.
8
Introduzione
9
Stella Casiello
“…Il patrimonio d’arte e di storia non si pone oggi come una intimidazione a danno della
moderna creatività, ma esige invece di essere integrato in un’autentica creatività dato che
esso non è una parte morta della città ma la sua parte più viva e coerente”. È quanto
scriveva Roberto Pane nel 1965 riferendosi all’inserimento dell’architettura moderna nei
contesti antichi. La “moderna creatività” deve essere alla base anche degli interventi che si
realizzano su architetture di interesse storico-artistico che necessitano di ampliamenti o di
adeguamenti funzionali.
La produzione progettuale di Lucio Morrica è improntata proprio a tali principi e non è un
caso che l’architetto sia stato, come chi scrive, allievo di Pane, assimilando i principi
fondativi delle sue teorie.
Consapevole che l’accostamento dell’architettura del passato a quella di oggi ne
garantisce la continuità culturale, l’architetto nei suoi progetti ha manifestato con
schiettezza nuove forme che dialogano con l’antico senza prevaricarlo. Tuttavia la ricerca
delle caratteristiche proprie dei luoghi in cui è intervenuto, mediante una opportuna scelta
dei materiali, ma anche e soprattutto con l’equilibrio delle masse fanno sì che le peculiarità
della nuova architettura si integrino con quelle del passato.
Nella sua produzione, che va dalla piccola alla grande scala, sono presenti interventi su
monumenti di rilevante interesse storico-artistico, come la Reggia vanvitelliana di Caserta,
dove il progetto investe sia la scala architettonica che la scala urbana con la sistemazione,
da un lato, del museo dell’opera e del museo delle tombe sannitiche rinvenute durante gli
scavi, anche in piani interrati, dall’altro, della piazza antistante la Reggia.
Lucio Morrica, con la sua produzione, dimostra di basare l’attività professionale - che fa
prevalentemente riferimento alle preesistenze - sulla consapevolezza che una coscienza
critica del contesto e/o del manufatto storico in cui interviene deve guidare qualsiasi
operazione progettuale.
In un’epoca in cui l’atteggiamento progettuale tende sempre di più a manifestarsi con
arroganza rispetto a contesti ambientali costruiti o meno nei quali inserirsi, è
particolarmente apprezzabile un architetto che non cerca spettacolarizzazione nelle forme
e nei materiali, che non si compiace nella realizzazione di opere autocelebrative o
autopromozionali. Semplicemente sembra mettersi in ascolto di ciò che esiste al contorno
del suo progetto, realizzando oggetti che creino risonanze, armonie e riflettano, in maniera
mai banale, le naturali aspirazioni degli edifici accanto ai quali o all’interno dei quali creare
nuove relazioni.
In quasi tutti i lavori seria attenzione è posta all’incontro antico/nuovo con esiti di grande
rigore e qualità, ottenuti anche dialogando con le istituzioni.
Dalla sua produzione è comunque escluso il ripristino di antiche forme, fatta eccezione per
il Ponte sul Garigliano dove è stato realizzato un progetto di ricostruzione. In questo caso
comunque si era reso necessario tale tipo di intervento, non solo per la rifunzionalizzazione
del ponte, ma anche e soprattutto per motivi di ordine psicologico e sentimentale oltre che
per le ragioni dell’arte.
L’architetto è stato, infatti, chiamato a restaurare un monumento bombardato dalla guerra e
quindi, come per moltissimi altri monumenti, la ricostruzione è stata realizzata in deroga ai
documenti internazionali riguardanti il restauro e la tutela. Com’è noto, tali deroghe furono
giustificate, a partire dal 1945, anche dagli stessi estensori dei documenti, in quanto,
avendo il conflitto mondiale distrutto gran parte del patrimonio artistico italiano, si è preferito
ricostruirlo piuttosto che cancellarne la memoria; meglio le copie che la perdita totale.
Nel caso del Ponte sul Garigliano si è trattato inoltre di intervenire su una struttura
particolare, realizzata dall’ingegner Luigi Giura a partire dal 1828 e che costituisce il primo
esempio italiano di ponte sospeso e uno dei primi al mondo.
È tanto più interessante l’intervento di Morrica in quanto, alla finalità del recupero di una
preziosa struttura antica si è aggiunta quella della creazione di uno spazio vivibile
all’aperto, rendendo anche pedonale il ponte che si inserisce nella campagna come
elemento caratterizzante il paesaggio.
Tra le opere di Morrica è certamente una di quelle in cui la ricerca storica, anche
archivistica, è stata determinante per l’intervento, assicurando un risultato scientificamente
corretto.
Non posso in questa sede analizzare tutte le opere dell’architetto che con questo volume
fornisce anche uno strumento didattico per gli architetti allievi della Scuola di
specializzazione in Restauro in cui è da anni professore, mi piace tuttavia sottolineare
come il rapporto con il passato è da lui sentito con la sensibilità dell’architetto-restauratore.
D’altronde, come sosteneva Gaetano Miarelli Mariani, il Restauro “appartiene in modo
naturale ed inscindibile” all’architettura e viceversa.
10
Testimonianze storiche e architettura contemporanea
Lucio Morrica
Nessun uomo è così ricco da poter acquistare il proprio passato
O. Wilde
Facoltà di Magistero, Urbino, G. De Carlo,
1968-76.
nella pagina accanto
Centro Pompidou, IRCAM, R. Piano, Parigi,
1968-90.
Sede Municipale a Murcia, R. Moneo, 1991-98.
Nell’odierno dibattito sull’architettura contemporanea, divisa prevalentemente in due
indirizzi, le utopie totalitarie, colpevoli di aver prodotto spazi spazzatura e non luoghi
(Augé), da un lato, e il manierismo decostruttivista, creatore di oggetti di design fini a
se stessi come chance del contesto urbano (Derrida), dall’altro, sembra non esistere
altra via per l’architettura. All’interno del più ampio fenomeno della globalizzazione
culturale e dell’indebolimento delle specificità locali, prolificano indistintamente
architetture omologate, forme uguali in paesi diversi, astratte, autoreferenziate, senza
alcun rapporto con la funzione e con le caratteristiche storico-architettoniche del
luogo. La perdita di identità delle culture e dei luoghi nell’odierno scenario di
sconfortante degrado del territorio rileva un problema complesso legato ai profondi
mutamenti socioeconomici e culturali che negli ultimi decenni hanno interessato in
maniera massiccia la realtà italiana e, in particolare, quella meridionale, provocando la
modifica e la distruzione del patrimonio storico. Di fronte a questo sconcertante
situazione, oggi risulta necessario, se non doveroso, riportare l’attenzione sulla
responsabilità dell’architettura nei confronti del già costruito, anche perché, se
abilmente adoperato, il rapporto con la materia storica può rivelarsi eccellente
strumento dell’architettura contemporanea.
Se progettare e costruire sono opportunità per migliorare la qualità delle condizioni
dell’abitare in relazione alle metamorfosi naturali dei processi sociali, dobbiamo
convenire che il processo di trasformazione e adeguamento delle nostre città è
strettamente connesso alla salvaguardia del territorio e alla tutela delle risorse
esistenti. Pertanto in architettura è indispensabile, se non inevitabile, il continuo
confronto con il già costruito e, soprattutto, con l’antico. Sul difficile problema di
costruire nel costruito nel tempo gli studiosi si sono confrontati e scontrati formulando
una tale intensità di contributi culturali da rendere il problema “antico-nuovo” assai
difficile, sia in fase di studio che di progetto. Del resto neanche la ricerca attuale
percorre una strada unitaria essendo molteplici gli orientamenti nel rapporto con
l’antico che spesso tra loro si influenzano e si contaminano. Recentemente Marco
Dezzi Bardeschi1, valutando le opere nuove realizzate da grandi architetti in contesti
storici, ha individuato alcune delle principali tendenze odierne: minimalista, etica,
higth-tech, eretica, rievocativa. Dall’esame delle nuove realizzazioni in ambienti storici,
se sotto il profilo della qualità facciamo riferimento ad alcune esperienze elitarie, singoli
progetti di personalità di rilievo, di contro, sotto il profilo della quantità risulta evidente
che continua la sostituzione del patrimonio esistente e la cementificazione del
costruito con la realizzazione di numerose “cattive” architetture.
L’architettura degli ultimi cinquant’anni ha avuto con la memoria un rapporto difficile e
tormentato, fatto di odio e amore, di contrapposizione e di nostalgia, senza alcuna
serenità nella continuità del costruire. Il problema della mancanza di qualità
dell’architettura contemporanea, schiava dell’economia e della speculazione, da un
lato, e l’imbalsamazione del passato, frutto di un anacronistico atteggiamento,
purtroppo oggi assunto soprattutto dalle Soprintendenze, di esasperata difesa della
città storica e dei suoi monumenti, dall’altro, hanno prodotto un divario sempre più
crescente tra l’antico e il nuovo. In queste condizioni, appare assai difficoltoso aprire
un dialogo con l’antico che faccia della differenza delle condizioni storiche un
elemento essenziale della progettazione architettonica. Ne consegue che oggi le
nostre città sono sconvolte dalla diffusa mediocrità e volgarità di buona parte dei
recenti interventi edilizi senza alcuna capacità di rapportarsi con l’esistente e violando i
criteri insediativi consolidati da secoli, quasi sempre fuori scala e, spesso, come ha
scritto Vittorio Gregotti, «utilizzando uno stile consonante, mimetico o, al contrario
facendosi abusivi sostenitori risoluti di una esibita modernità di linguaggio»2.
«Il problema dell’architettura contemporanea e dell’“orrore”» delle città e periferie
italiane fu affrontato già nel 1956 da Roberto Pane3 entrando nel vivo di un problema
ancora attuale: considerata la definitiva frattura fra edilizia nuova ed edilizia
tradizionale, è possibile nei vecchi centri urbani un accostamento fra l’antico e il
nuovo? Per il significato corale della stratificazione storica, Pane sostenne già allora la
necessità di conservare vivi i centri antichi, non imbalsamandoli in un’impossibile
immobilità ma rinnovandone, come per il passato, le parti caduche con un
inserimento meditato e armonico e con un profondo rispetto per l’atmosfera
dell’ambiente. Consapevole che la mancanza di qualità sia un problema del nuovo e
non dell’antico, Pane afferma che la tutela degli aspetti del passato è da intendersi in
senso attivo e che quindi l’auspicato incontro fra antico e nuovo dovrà, secondo le
nostre aspirazioni, manifestarsi come continuità di cultura e non come separazione tra
passato e presente4. Gregotti, riprendendo recentemente il dibattito, aggiunge:
«Personalmente difendo l’idea che si possa intervenire all’interno della città storica
con edifici contemporanei. Anzi, credo che il moderno sia un elemento di grande
vitalità. Il problema non è dunque “se” intervenire ma “come”. Naturalmente ciò va
fatto dialogando con la città antica e con le sue caratteristiche. Non è sempre vero
che la città antica sia un corpo concluso. Al contrario una vitalità, esige trasformazioni,
che possano essere fatte a patto che si dialoghi con l’esistente»5.
Senza soffermarmi sull’orientamento del singolo autore nei confronti dell’antico,
ritengo opportuno a questo punto citare solo alcuni esempi interessanti di architetture
realizzate negli ultimi decenni nei centri storici europei, ognuna significativa per un
particolare aspetto, opere di architetti sensibili che sono stati capaci di dialogare con il
passato senza rinunciare alla propria identità. In Italia va citata la Facoltà di Magistero
di Urbino (1968-76) realizzata da Giancarlo De Carlo, autore di altri pregevoli interventi
11
12
Centro Culturale di Belem, Lisbona,
V. Gregotti, 1988-93.
Centro Gallego di Arte contemporanea,
Santiago de Compostela, A. Siza, 1988-93.
Museo del tesoro di S. Lorenzo, Genova,
F. Albini, 1952-56.
in tutto il centro storico della città, in cui i nuovi volumi, espressione di linguaggio
moderno particolarmente interessante, si sviluppano all’interno della cortina muraria
preesistente aprendosi verso il panorama circostante. Lo stesso Renzo Piano a Parigi,
dovendo realizzare vicino al suo più famoso Centro Pompidou, l’ampliamento IRCAM
(1988-90), dedica molta cura all’inserimento nella cortina edilizia del nuovo volume,
moderno sia negli aspetti architettonici che tecnologici. Più recentemente ricordiamo il
progetto di Rafael Moneo per il Municipio di Murcia (1991- 98): un edificio che, con la
partitura musicale delle diverse bucature, si pone come una pala d’altare rivolta verso
la Cattedrale e la piazza storica cui si integra perfettamente anche per l’uso della
pietra arenaria. Pur trattandosi di un edificio completamente isolato, il Centro Gallego
di Arte contemporanea a Santiago de Compostela (1988-93) progettato da Alvaro
Siza dialoga con la città storica in cui sorge, sia nell’articolazione planimetrica dei
volumi che nel trattamento murario esterno. Contemporaneo a quest’ultimo è il Centro
culturale di Belem a Lisbona (1988-93) di Vittorio Gregotti, un edificio che, aprendosi
solo nei percorsi interni e verso il fiume, è completamente chiuso, con alte pareti in
pietra calcarea locale dal taglio riconoscibilmente moderno, dal lato del vicino e
famoso convento.
Dall’analisi di queste esperienze e di molte altre che non cito per motivi di spazio, è
evidente che un architetto culturalmente sensibile è consapevole che realizzare
un’opera moderna in prossimità o in intersezione con antiche vestigia costituisce oltre
che una sfida compositiva anche un arricchimento di valore di posizione della nuova
costruzione. Ciò sostiene anche Jean Nouvel, uno degli architetti contemporanei più
all’“avanguardia”: «Preferisco costruire in luoghi storici, dove c’è una relazione con il
contesto per partecipare meglio all’evoluzione della città. Del resto, la modernità
dell’architettura oggi sta nel legame con il contesto. Quando si costruiscono edifici
generici, da piazzare ovunque, non specifici per un ambito urbano si fanno cose
senza valore»6.
Se il rapporto tra l’antico e il nuovo è un tema fondamentale dell’architettura, occorre
riflettere sulla relazione dell’architetto con il passato poiché «l’uomo nel corso della
storia ha sempre guardato indietro per riconoscere le proprie origini e trarre dal
passato suggerimenti per il presente»7. I segni, le tracce che i valori compositivi e
formali esprimono e svelano progressivamente al progettista quel significato profondo
di continuità, di armonia che egli deve perseguire per tendere al raggiungimento di
una nuova unità artistica dell’opera nell’ottica di un rapporto organico, quasi
osmotico, con la preesistenza. I nostri monumenti, testimoni della nostra civiltà,
continuano dunque a svolgere un’attiva funzione anche nei confronti dell’architettura
contemporanea. In quest’ottica, Paolo Portoghesi indica quello che dovrebbe essere il
principale compito degli architetti italiani: «lavorare sulla città non secondo il principio
dell’espansione indifferenziata e incondizionata ma secondo il principio della
valorizzazione dello straordinario patrimonio esistente (…). I giovani architetti
dovrebbero vedere nel restauro non una limitazione della loro capacità creativa ma
come una sfida che restituisce valore etico alla passione dell’architetto»8.
Gli stessi problemi riscontrati nell’analizzare il rapporto tra architettura contemporanea
ed edilizia storica li ritroviamo, anche se apparentemente meno evidenti, quando si
opera direttamente all’interno di preesistenze storico-artistiche, laddove il ruolo del
“moderno” si esprime attraverso un’attività strettamente legata al restauro. Anche in
quest’ambito, la logica del profitto, da un lato, e la concezione statica della
conservazione, dall’altro, hanno determinato, nel panorama internazionale, differenti
filosofie di intervento sul patrimonio edilizio esistente che, imperniate sulla poetica del
contenitore e del “guscio” o, all’opposto, sull’imbalsamazione degli edifici storici, ben
poco hanno a che vedere con il concetto di conservazione integrata.
Se Manfredo Tafuri, in un’intervista rilasciata a Casabella nel 1991, assunse una
posizione radicale e forse provocatoria, sancendo una distanza insanabile tra restauro
e progettazione, tra il «conservatore di architettura», volto esclusivamente all’operare
tecnico-scientifico, e l’architetto, fautore della trasformazione dell’esistente sulla base
della sua creatività, possiamo invece fermamente affermare che il restauro è una
un’opera creativa, una “sfida”, in cui conservazione e progettazione sono strettamente
legate. Si tratta di una nuova creatività, forse anche più stimolante, quella di inventare
soluzioni senza modificare l’esistente. Il restauro è un “atto critico” che comporta dei
giudizi in merito a valori riconosciuti di storia, arte e cultura del manufatto e la stessa
componente critica è presente nella composizione architettonica in quanto,
difficilmente, l’architetto “compositore” si troverà ad operare nel deserto, ma dovrà
sempre confrontarsi con preesistenze che orienteranno le sue scelte progettuali. «non
può esservi attiva continuità senza responsabilità, e cioè quanto dire senza scelta»9.
L’architetto restauratore deve saper coniugare, con rigore e competenza, due aspetti:
l’aspetto culturale atto alla conservazione scientifica di un bene e l’aspetto pratico atto
13
Museo di Castelvecchio,
Verona, C. Scarpa, 1961-63.
Palazzo Abatellis, Verona, C. Scarpa, 1961-63.
John Ruskin, 1880
Non inganniamoci su questo punto importante: è del tutto
impossibile, così impossibile come resuscitare i morti,
ricostruire una qualsiasi cosa che nell’architettura è mai
stata grande o bella.
Oscar Wilde (intorno al 1890)
Nessun uomo è così ricco da poter acquistare il proprio
passato.
Jean Jaurès (intorno al 1910)
Tradizione non significa conservare la cenere,
ma mantenere una fiamma in vita.
«Carta di Atene», 1934
I capolavori del passato ci dimostrano che ogni generazione
possedeva un proprio modo di pensare, una concezione
propria, una propria estetica, che faceva appello alla totalità
dei mezzi tecnici della sua epoca per servirsene come
trampolino della propria fantasia…L’applicazione della
moderna tecnica ad un ideale prescritto conduce sempre
solo ad una immagine ingannevole di tutta la vita.
Christian Norberg-Schulz, 1978
Il genius loci richiede sempre nuove interpretazioni per poter
sopravvivere. Non può essere «congelato», ma va invece
capito in rapporto alle esigenze del presente. Il dinamismo
del concetto di «luogo» è la condizione necessaria per un
adeguamento creativo ad un ambiente preesistente.
Renzo Piano
Non si è creativi soltanto disegnando nuove forme o
strutture, si è creativi inventando soluzioni senza modificare
l’esistente.
Jean Nouvel
Preferisco costruire in luoghi storici, dove c’è una relazione
con il contesto per partecipare meglio all’evoluzione della
città. Del resto, la modernità dell’architettura oggi sta nel
legame con il contesto. Quando si costruiscono edifici
generici, da piazzare ovunque, non specifici per un ambito
urbano si fanno cose senza valore.
Intervista, “Corriere della Sera”, 6 maggio 2004
Progetti e realizzazioni
1971-2007
24
Restauro e valorizzazione della Reggia di Caserta, Museo dell’ Opera, Tombe Sannitiche
1990-1993
Luogo: Caserta
Finanziamenti: Fondi europei F.I.O., 1992
euro 12.911.422,48
prog. Reg. Campania 1995
euro 2.582.284,50
Progetto: 1995
Gruppo di progettazione:
coord. EPC L. Morrica (c.gr.),
D. Rabitti (sistemazioni a verde),
R. Carafa (aspetti storici e restauro),
A. Aveta, F. Cristiano, A. Gandolfi
(strutture e consolidamento statico)
Impianti: S. Mandarini, A. Castaldo
Concessionario: Soc. Nova Vetera
Premi: Tombe sannitiche - premio europeo
EUROPA NOSTRA AWARDS 1995
Nel 1988 Fiatimpresit, capofila di un consorzio
denominato “Nova Vetera”, fu incaricato dal CIPE,
attraverso il FIO ’86, di realizzare il «progetto di
restauro, recupero post-sismico e adeguamento
funzionale della Reggia di Caserta» in stretta
collaborazione con la Soprintendenza ai
BB.AA.AA.AA.SS. per le province di Caserta e di
Benevento su iniziativa diretta dall’arch. G.M.
Jacobitti. Il progetto generale, con l’obiettivo di
valorizzare il complesso vanvitelliano per rilanciarlo su
scala internazionale, avrebbe indotto una maggiore
occupazione e un più elevato livello turistico nel
territorio con conseguenti vantaggi economici per la
città di Caserta. Nel 1990, fu affidato ad un gruppo di
professionisti il progetto generale finalizzato alla
realizzazione nella Reggia di Caserta, uno dei
maggiori monumentali italiani, di un polo culturale
connesso direttamente alla città ed in particolare al
suo centro storico.
Ai fini della stesura progetto molteplici furono i fattori
analizzati. Notevole peso hanno avuto lo studio
dell’originario progetto vanvitelliano, la
razionalizzazione della viabilità esistente e del traffico
automobilistico, il collegamento del sottovia
ferroviario e dei parcheggi già previsti dal Comune di
Caserta. Il progetto, basato su indagini accurate e su
un inedito rilievo architettonico dell’edificio, tende ad
eliminare le funzioni improprie e a migliorare quelle
compatibili, tenendo conto anche degli spazi
inutilizzati. Intervenendo solo in una parte dell’edificio,
il progetto prevedeva il consolidamento statico delle
strutture originarie, la riqualificazione funzionale degli
spazi interni ed esterni, la rilettura e il ripristino delle
caratteristiche architettoniche ed ambientali
preesistenti.
Nel primo livello interrato del palazzo, sono stati così
progettati e realizzati il Museo del Territorio, dove
sono raccolte importanti testimonianze artistiche
dell’area casertana e il Museo dell’Opera, nonché la
sala archeologica ipogea delle Tombe sannitiche
(IV sec. a.C.). Analizzando lo stato di abbandono di
alcune storiche aree verdi, si è progettato il restauro
dell’adiacente giardino ottocentesco della “Flora”, e,
sull’analisi delle aree libere adiacenti, è stata prevista
la realizzazione, nella porzione di territorio occupata
dall’autoparco dell’Aeronautica, di volumi interrati
contenenti un auditorium e un centro congressi, la
sistemazione della grande piazza Carlo III e del
vialone originario in stato di estremo degrado.
Base del progetto è stata la concezione che un
intervento di riuso di un edificio monumentale pone
una serie di problemi teorici progettuali e tecnici
come quelli relativi alla scelta dei criteri di ripristino e
di “restituzione” ma innanzitutto di adeguamento
dell’assetto originario degli spazi alla nuova
destinazione.
Ciò che era in gioco «non era la conservazione del
passato, ma la realizzazione delle sue speranze».
1. Manifesto della mostra del progetto della
Reggia di Caserta a Versailles.
25
2. Vista del vestibolo
ottagonale e dello scalone
d’onore.
3. Veduta della Reggia e della
grande cascata.
4. Volta del vestibolo.
5. Statua di Ercole.
(Foto di M. Jodice)
26
6-7-8. Primi schizzi originali di
Luigi Vanvitelli per la Reggia di
Caserta.
9. Planimetria generale ed individuazione
degli interventi
(progetto generale F.I.O.).
10. Particolare del modello del progetto della
Reggia e della piazza.
11. Modello del progetto generale.
12. Limite dell’intervento
(progetto generale F.I.O.).
13. Vista prospettica della nuova piazza
seminterrata di servizio turistico
(progetto generale F.I.O.).
29