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Severino, Municipio 65 Restauro, consolidamento e adeguamento funzionale del Convento di S. Francesco, Caiazzo, Municipio Referenze fotografiche Foto Archivio Morrica 68 Restauro e consolidamento dell’ex sede vescovile di Muro Lucano, Museo vescovile e archeologico 70 Valorizzazione e rifunzionalizzazione di un’area del centro antico di Molfetta 74 Restauro e rifunzionalizzazione dell’ex Centro annonario di Bari per la nuova Biblioteca nazionale e Archivio di Stato 78 Ristrutturazione, completamento e restauro dell’ex Municipio di S. Maria Capua Vetere 80 Restauro e rifunzionalizzazione del complesso “Opere Pie” per il nuovo Istituto Tecnico e Liceo scientifico, Caiazzo (CE) 82 Restauro e rifunzionalizzazione del Palazzo Merolla a Centro culturale e Biblioteca, Marano (NA) 84 Restauro e adeguamento funzionale della Biblioteca Universitaria di Napoli 89 Recupero funzionale, consolidamento e restauro del Palazzo “ex Gil” quale Centro Culturale regionale, Campobasso 95 Restauro e adeguamento funzionale del “vecchio Ospedale civile SS. Annunziata” a Biblioteca Universitaria e Archivio di Stato, Sassari 105 Restauro e rifunzionalizzazione del Convento di S. Chiara a Museo della città, Lecce in copertina Tombe sannitiche, Reggia di Caserta, 1990-93 112 Regesto delle opere 116 Bibliografia 6 Presentazione 7 Benedetto Gravagnuolo L’interesse maggiore di questo volume sta nella selezione delle opere prescelte. Lucio Morrica è un architetto prolifico. Docente di progettazione presso la Facoltà di Architettura e presso la Scuola di Specializzazione in Restauro dell’Ateneo Fridericiano, dopo l’apprendistato d’elezione alla scuola di autentici maîtres à penser quali Carlo Cocchia e Giulio De Luca, Lucio Morrica ha saputo coniugare l’esperienza didattica con la ricerca applicata sul campo della concreta verifica di cantiere. La sua produzione ideativa spazia dalla piccola scala di calibrate costruzioni ex-novo, come la concatenata serie di case in pietra realizzate a Palinuro a partire dagli anni Settanta, fino alla più vasta scala della progettazione urbana nel recupero di sei piazze di Fiuggi, del centro storico di Molfetta e di vari altri elaborati per concorsi nazionali ed internazionali. Nel limitare il campo illustrativo ai soli interventi esemplificativi della sua peculiare maniera di interpretare la dialettica tra antico e nuovo, Lucio Morrica ha opportunamente premesso un breve (ma denso) saggio che sintetizza la sua opinione nel merito di questa vexata quaestio. I postulati concettuali sono distillati con equilibrio critico, muovendo dalle tesi di autori della caratura di Roberto Pane, Ernesto Rogers, Renato De Fusco, Manfredo Tafuri, Vittorio Gregotti e Giovanni Carbonara al fine di pervenire ad una metodologia condivisa e per così dire “ragionata”. Dal punto di vista più strettamente progettuale, si staglia con tutta evidenza quale paradigma referenziale la lezione di Carlo Scarpa, benché integrata ed aggiornata con più recenti opere esemplari di Alvaro Siza, Rafael Moneo, Norman Foster e di altri grandi architetti contemporanei. Si parva licet, al di là degli enunciati teoretici, ciò che più conta per valutare la validità del metodo resta pur sempre il banco di prova della qualità delle opere costruite. Certo, la dialettica tra conservazione e innovazione è stata in passato, e resta a tutt’oggi una tematica nodale nella storia dell’architettura occidentale. Con particolare enfasi in Europa, dopo gli sprechi ambientali del recente passato, si è imposta all’attenzione della critica più avvertita la necessità di porre un freno alle espansioni edilizie immotivate per incentivare all’inverso programmi di recupero e di rivalorizzazione dei tessuti urbani preesistenti. E ciò non foss’altro perché il territorio è esso stesso una risorsa preziosa, oltre che finita e non riproducibile. Ne consegue che l’esistente è divenuto dovunque patrimonio. La maggior parte degli interventi contemporanei rientrano nella sfera della “architettura della modificazione”, per dirla con Vittorio Gregotti. Si tratta di “costruire nel costruito”, attraverso opere di restauro, di riuso o di riqualificazione. La stessa periferia urbana è divenuta un non-luogo che cerca identità attraverso il consolidamento contestuale. Il progetto come modificazione è anche lo strumento operativo ragionevolmente praticabile quando si deve intervenire sul paesaggio, sia esso naturale che urbano. Eppure, nonostante la centralità assunta dalla cultura del rispetto verso il passato nell’attuale dibattito architettonico, non esistono - non possono esistere - formule aprioristicamente valide per orientare le rotte della progettazione. La dialettica tra antico e nuovo resta un problema difficile da risolvere, comunque non eludibile, ma proprio per questo affascinante. Solo la sapienza dell’architetto può dare - di volta in volta - risposte ideative al dilemma, scrivendo un nuovo testo nel contesto trovato, in armonia o in deliberata dissonanza con il palinsesto già scritto. Ed a testimoniare la perizia che Lucio Morrica ha saputo mostrare nell’attraversare nel corso del tempo questo problematico campo progettuale valgano non solo i raffinati interventi insigniti dai prestigiosi Europe Awards - quali il Museo delle Tombe Sannitiche della Reggia di Caserta (premiato nel 1995) e il recupero del Palazzo Vanvitelliano di Mercato San Severino (premiato nel 1996) - ma anche l’alta qualità esecutiva profusa nel restauro del Real Ponte Ferdinando sul Garigliano (1992, con la collaborazione di Augusto Vitale) e nelle altre opere documentate nel presente volume. 8 Introduzione 9 Stella Casiello “…Il patrimonio d’arte e di storia non si pone oggi come una intimidazione a danno della moderna creatività, ma esige invece di essere integrato in un’autentica creatività dato che esso non è una parte morta della città ma la sua parte più viva e coerente”. È quanto scriveva Roberto Pane nel 1965 riferendosi all’inserimento dell’architettura moderna nei contesti antichi. La “moderna creatività” deve essere alla base anche degli interventi che si realizzano su architetture di interesse storico-artistico che necessitano di ampliamenti o di adeguamenti funzionali. La produzione progettuale di Lucio Morrica è improntata proprio a tali principi e non è un caso che l’architetto sia stato, come chi scrive, allievo di Pane, assimilando i principi fondativi delle sue teorie. Consapevole che l’accostamento dell’architettura del passato a quella di oggi ne garantisce la continuità culturale, l’architetto nei suoi progetti ha manifestato con schiettezza nuove forme che dialogano con l’antico senza prevaricarlo. Tuttavia la ricerca delle caratteristiche proprie dei luoghi in cui è intervenuto, mediante una opportuna scelta dei materiali, ma anche e soprattutto con l’equilibrio delle masse fanno sì che le peculiarità della nuova architettura si integrino con quelle del passato. Nella sua produzione, che va dalla piccola alla grande scala, sono presenti interventi su monumenti di rilevante interesse storico-artistico, come la Reggia vanvitelliana di Caserta, dove il progetto investe sia la scala architettonica che la scala urbana con la sistemazione, da un lato, del museo dell’opera e del museo delle tombe sannitiche rinvenute durante gli scavi, anche in piani interrati, dall’altro, della piazza antistante la Reggia. Lucio Morrica, con la sua produzione, dimostra di basare l’attività professionale - che fa prevalentemente riferimento alle preesistenze - sulla consapevolezza che una coscienza critica del contesto e/o del manufatto storico in cui interviene deve guidare qualsiasi operazione progettuale. In un’epoca in cui l’atteggiamento progettuale tende sempre di più a manifestarsi con arroganza rispetto a contesti ambientali costruiti o meno nei quali inserirsi, è particolarmente apprezzabile un architetto che non cerca spettacolarizzazione nelle forme e nei materiali, che non si compiace nella realizzazione di opere autocelebrative o autopromozionali. Semplicemente sembra mettersi in ascolto di ciò che esiste al contorno del suo progetto, realizzando oggetti che creino risonanze, armonie e riflettano, in maniera mai banale, le naturali aspirazioni degli edifici accanto ai quali o all’interno dei quali creare nuove relazioni. In quasi tutti i lavori seria attenzione è posta all’incontro antico/nuovo con esiti di grande rigore e qualità, ottenuti anche dialogando con le istituzioni. Dalla sua produzione è comunque escluso il ripristino di antiche forme, fatta eccezione per il Ponte sul Garigliano dove è stato realizzato un progetto di ricostruzione. In questo caso comunque si era reso necessario tale tipo di intervento, non solo per la rifunzionalizzazione del ponte, ma anche e soprattutto per motivi di ordine psicologico e sentimentale oltre che per le ragioni dell’arte. L’architetto è stato, infatti, chiamato a restaurare un monumento bombardato dalla guerra e quindi, come per moltissimi altri monumenti, la ricostruzione è stata realizzata in deroga ai documenti internazionali riguardanti il restauro e la tutela. Com’è noto, tali deroghe furono giustificate, a partire dal 1945, anche dagli stessi estensori dei documenti, in quanto, avendo il conflitto mondiale distrutto gran parte del patrimonio artistico italiano, si è preferito ricostruirlo piuttosto che cancellarne la memoria; meglio le copie che la perdita totale. Nel caso del Ponte sul Garigliano si è trattato inoltre di intervenire su una struttura particolare, realizzata dall’ingegner Luigi Giura a partire dal 1828 e che costituisce il primo esempio italiano di ponte sospeso e uno dei primi al mondo. È tanto più interessante l’intervento di Morrica in quanto, alla finalità del recupero di una preziosa struttura antica si è aggiunta quella della creazione di uno spazio vivibile all’aperto, rendendo anche pedonale il ponte che si inserisce nella campagna come elemento caratterizzante il paesaggio. Tra le opere di Morrica è certamente una di quelle in cui la ricerca storica, anche archivistica, è stata determinante per l’intervento, assicurando un risultato scientificamente corretto. Non posso in questa sede analizzare tutte le opere dell’architetto che con questo volume fornisce anche uno strumento didattico per gli architetti allievi della Scuola di specializzazione in Restauro in cui è da anni professore, mi piace tuttavia sottolineare come il rapporto con il passato è da lui sentito con la sensibilità dell’architetto-restauratore. D’altronde, come sosteneva Gaetano Miarelli Mariani, il Restauro “appartiene in modo naturale ed inscindibile” all’architettura e viceversa. 10 Testimonianze storiche e architettura contemporanea Lucio Morrica Nessun uomo è così ricco da poter acquistare il proprio passato O. Wilde Facoltà di Magistero, Urbino, G. De Carlo, 1968-76. nella pagina accanto Centro Pompidou, IRCAM, R. Piano, Parigi, 1968-90. Sede Municipale a Murcia, R. Moneo, 1991-98. Nell’odierno dibattito sull’architettura contemporanea, divisa prevalentemente in due indirizzi, le utopie totalitarie, colpevoli di aver prodotto spazi spazzatura e non luoghi (Augé), da un lato, e il manierismo decostruttivista, creatore di oggetti di design fini a se stessi come chance del contesto urbano (Derrida), dall’altro, sembra non esistere altra via per l’architettura. All’interno del più ampio fenomeno della globalizzazione culturale e dell’indebolimento delle specificità locali, prolificano indistintamente architetture omologate, forme uguali in paesi diversi, astratte, autoreferenziate, senza alcun rapporto con la funzione e con le caratteristiche storico-architettoniche del luogo. La perdita di identità delle culture e dei luoghi nell’odierno scenario di sconfortante degrado del territorio rileva un problema complesso legato ai profondi mutamenti socioeconomici e culturali che negli ultimi decenni hanno interessato in maniera massiccia la realtà italiana e, in particolare, quella meridionale, provocando la modifica e la distruzione del patrimonio storico. Di fronte a questo sconcertante situazione, oggi risulta necessario, se non doveroso, riportare l’attenzione sulla responsabilità dell’architettura nei confronti del già costruito, anche perché, se abilmente adoperato, il rapporto con la materia storica può rivelarsi eccellente strumento dell’architettura contemporanea. Se progettare e costruire sono opportunità per migliorare la qualità delle condizioni dell’abitare in relazione alle metamorfosi naturali dei processi sociali, dobbiamo convenire che il processo di trasformazione e adeguamento delle nostre città è strettamente connesso alla salvaguardia del territorio e alla tutela delle risorse esistenti. Pertanto in architettura è indispensabile, se non inevitabile, il continuo confronto con il già costruito e, soprattutto, con l’antico. Sul difficile problema di costruire nel costruito nel tempo gli studiosi si sono confrontati e scontrati formulando una tale intensità di contributi culturali da rendere il problema “antico-nuovo” assai difficile, sia in fase di studio che di progetto. Del resto neanche la ricerca attuale percorre una strada unitaria essendo molteplici gli orientamenti nel rapporto con l’antico che spesso tra loro si influenzano e si contaminano. Recentemente Marco Dezzi Bardeschi1, valutando le opere nuove realizzate da grandi architetti in contesti storici, ha individuato alcune delle principali tendenze odierne: minimalista, etica, higth-tech, eretica, rievocativa. Dall’esame delle nuove realizzazioni in ambienti storici, se sotto il profilo della qualità facciamo riferimento ad alcune esperienze elitarie, singoli progetti di personalità di rilievo, di contro, sotto il profilo della quantità risulta evidente che continua la sostituzione del patrimonio esistente e la cementificazione del costruito con la realizzazione di numerose “cattive” architetture. L’architettura degli ultimi cinquant’anni ha avuto con la memoria un rapporto difficile e tormentato, fatto di odio e amore, di contrapposizione e di nostalgia, senza alcuna serenità nella continuità del costruire. Il problema della mancanza di qualità dell’architettura contemporanea, schiava dell’economia e della speculazione, da un lato, e l’imbalsamazione del passato, frutto di un anacronistico atteggiamento, purtroppo oggi assunto soprattutto dalle Soprintendenze, di esasperata difesa della città storica e dei suoi monumenti, dall’altro, hanno prodotto un divario sempre più crescente tra l’antico e il nuovo. In queste condizioni, appare assai difficoltoso aprire un dialogo con l’antico che faccia della differenza delle condizioni storiche un elemento essenziale della progettazione architettonica. Ne consegue che oggi le nostre città sono sconvolte dalla diffusa mediocrità e volgarità di buona parte dei recenti interventi edilizi senza alcuna capacità di rapportarsi con l’esistente e violando i criteri insediativi consolidati da secoli, quasi sempre fuori scala e, spesso, come ha scritto Vittorio Gregotti, «utilizzando uno stile consonante, mimetico o, al contrario facendosi abusivi sostenitori risoluti di una esibita modernità di linguaggio»2. «Il problema dell’architettura contemporanea e dell’“orrore”» delle città e periferie italiane fu affrontato già nel 1956 da Roberto Pane3 entrando nel vivo di un problema ancora attuale: considerata la definitiva frattura fra edilizia nuova ed edilizia tradizionale, è possibile nei vecchi centri urbani un accostamento fra l’antico e il nuovo? Per il significato corale della stratificazione storica, Pane sostenne già allora la necessità di conservare vivi i centri antichi, non imbalsamandoli in un’impossibile immobilità ma rinnovandone, come per il passato, le parti caduche con un inserimento meditato e armonico e con un profondo rispetto per l’atmosfera dell’ambiente. Consapevole che la mancanza di qualità sia un problema del nuovo e non dell’antico, Pane afferma che la tutela degli aspetti del passato è da intendersi in senso attivo e che quindi l’auspicato incontro fra antico e nuovo dovrà, secondo le nostre aspirazioni, manifestarsi come continuità di cultura e non come separazione tra passato e presente4. Gregotti, riprendendo recentemente il dibattito, aggiunge: «Personalmente difendo l’idea che si possa intervenire all’interno della città storica con edifici contemporanei. Anzi, credo che il moderno sia un elemento di grande vitalità. Il problema non è dunque “se” intervenire ma “come”. Naturalmente ciò va fatto dialogando con la città antica e con le sue caratteristiche. Non è sempre vero che la città antica sia un corpo concluso. Al contrario una vitalità, esige trasformazioni, che possano essere fatte a patto che si dialoghi con l’esistente»5. Senza soffermarmi sull’orientamento del singolo autore nei confronti dell’antico, ritengo opportuno a questo punto citare solo alcuni esempi interessanti di architetture realizzate negli ultimi decenni nei centri storici europei, ognuna significativa per un particolare aspetto, opere di architetti sensibili che sono stati capaci di dialogare con il passato senza rinunciare alla propria identità. In Italia va citata la Facoltà di Magistero di Urbino (1968-76) realizzata da Giancarlo De Carlo, autore di altri pregevoli interventi 11 12 Centro Culturale di Belem, Lisbona, V. Gregotti, 1988-93. Centro Gallego di Arte contemporanea, Santiago de Compostela, A. Siza, 1988-93. Museo del tesoro di S. Lorenzo, Genova, F. Albini, 1952-56. in tutto il centro storico della città, in cui i nuovi volumi, espressione di linguaggio moderno particolarmente interessante, si sviluppano all’interno della cortina muraria preesistente aprendosi verso il panorama circostante. Lo stesso Renzo Piano a Parigi, dovendo realizzare vicino al suo più famoso Centro Pompidou, l’ampliamento IRCAM (1988-90), dedica molta cura all’inserimento nella cortina edilizia del nuovo volume, moderno sia negli aspetti architettonici che tecnologici. Più recentemente ricordiamo il progetto di Rafael Moneo per il Municipio di Murcia (1991- 98): un edificio che, con la partitura musicale delle diverse bucature, si pone come una pala d’altare rivolta verso la Cattedrale e la piazza storica cui si integra perfettamente anche per l’uso della pietra arenaria. Pur trattandosi di un edificio completamente isolato, il Centro Gallego di Arte contemporanea a Santiago de Compostela (1988-93) progettato da Alvaro Siza dialoga con la città storica in cui sorge, sia nell’articolazione planimetrica dei volumi che nel trattamento murario esterno. Contemporaneo a quest’ultimo è il Centro culturale di Belem a Lisbona (1988-93) di Vittorio Gregotti, un edificio che, aprendosi solo nei percorsi interni e verso il fiume, è completamente chiuso, con alte pareti in pietra calcarea locale dal taglio riconoscibilmente moderno, dal lato del vicino e famoso convento. Dall’analisi di queste esperienze e di molte altre che non cito per motivi di spazio, è evidente che un architetto culturalmente sensibile è consapevole che realizzare un’opera moderna in prossimità o in intersezione con antiche vestigia costituisce oltre che una sfida compositiva anche un arricchimento di valore di posizione della nuova costruzione. Ciò sostiene anche Jean Nouvel, uno degli architetti contemporanei più all’“avanguardia”: «Preferisco costruire in luoghi storici, dove c’è una relazione con il contesto per partecipare meglio all’evoluzione della città. Del resto, la modernità dell’architettura oggi sta nel legame con il contesto. Quando si costruiscono edifici generici, da piazzare ovunque, non specifici per un ambito urbano si fanno cose senza valore»6. Se il rapporto tra l’antico e il nuovo è un tema fondamentale dell’architettura, occorre riflettere sulla relazione dell’architetto con il passato poiché «l’uomo nel corso della storia ha sempre guardato indietro per riconoscere le proprie origini e trarre dal passato suggerimenti per il presente»7. I segni, le tracce che i valori compositivi e formali esprimono e svelano progressivamente al progettista quel significato profondo di continuità, di armonia che egli deve perseguire per tendere al raggiungimento di una nuova unità artistica dell’opera nell’ottica di un rapporto organico, quasi osmotico, con la preesistenza. I nostri monumenti, testimoni della nostra civiltà, continuano dunque a svolgere un’attiva funzione anche nei confronti dell’architettura contemporanea. In quest’ottica, Paolo Portoghesi indica quello che dovrebbe essere il principale compito degli architetti italiani: «lavorare sulla città non secondo il principio dell’espansione indifferenziata e incondizionata ma secondo il principio della valorizzazione dello straordinario patrimonio esistente (…). I giovani architetti dovrebbero vedere nel restauro non una limitazione della loro capacità creativa ma come una sfida che restituisce valore etico alla passione dell’architetto»8. Gli stessi problemi riscontrati nell’analizzare il rapporto tra architettura contemporanea ed edilizia storica li ritroviamo, anche se apparentemente meno evidenti, quando si opera direttamente all’interno di preesistenze storico-artistiche, laddove il ruolo del “moderno” si esprime attraverso un’attività strettamente legata al restauro. Anche in quest’ambito, la logica del profitto, da un lato, e la concezione statica della conservazione, dall’altro, hanno determinato, nel panorama internazionale, differenti filosofie di intervento sul patrimonio edilizio esistente che, imperniate sulla poetica del contenitore e del “guscio” o, all’opposto, sull’imbalsamazione degli edifici storici, ben poco hanno a che vedere con il concetto di conservazione integrata. Se Manfredo Tafuri, in un’intervista rilasciata a Casabella nel 1991, assunse una posizione radicale e forse provocatoria, sancendo una distanza insanabile tra restauro e progettazione, tra il «conservatore di architettura», volto esclusivamente all’operare tecnico-scientifico, e l’architetto, fautore della trasformazione dell’esistente sulla base della sua creatività, possiamo invece fermamente affermare che il restauro è una un’opera creativa, una “sfida”, in cui conservazione e progettazione sono strettamente legate. Si tratta di una nuova creatività, forse anche più stimolante, quella di inventare soluzioni senza modificare l’esistente. Il restauro è un “atto critico” che comporta dei giudizi in merito a valori riconosciuti di storia, arte e cultura del manufatto e la stessa componente critica è presente nella composizione architettonica in quanto, difficilmente, l’architetto “compositore” si troverà ad operare nel deserto, ma dovrà sempre confrontarsi con preesistenze che orienteranno le sue scelte progettuali. «non può esservi attiva continuità senza responsabilità, e cioè quanto dire senza scelta»9. L’architetto restauratore deve saper coniugare, con rigore e competenza, due aspetti: l’aspetto culturale atto alla conservazione scientifica di un bene e l’aspetto pratico atto 13 Museo di Castelvecchio, Verona, C. Scarpa, 1961-63. Palazzo Abatellis, Verona, C. Scarpa, 1961-63. John Ruskin, 1880 Non inganniamoci su questo punto importante: è del tutto impossibile, così impossibile come resuscitare i morti, ricostruire una qualsiasi cosa che nell’architettura è mai stata grande o bella. Oscar Wilde (intorno al 1890) Nessun uomo è così ricco da poter acquistare il proprio passato. Jean Jaurès (intorno al 1910) Tradizione non significa conservare la cenere, ma mantenere una fiamma in vita. «Carta di Atene», 1934 I capolavori del passato ci dimostrano che ogni generazione possedeva un proprio modo di pensare, una concezione propria, una propria estetica, che faceva appello alla totalità dei mezzi tecnici della sua epoca per servirsene come trampolino della propria fantasia…L’applicazione della moderna tecnica ad un ideale prescritto conduce sempre solo ad una immagine ingannevole di tutta la vita. Christian Norberg-Schulz, 1978 Il genius loci richiede sempre nuove interpretazioni per poter sopravvivere. Non può essere «congelato», ma va invece capito in rapporto alle esigenze del presente. Il dinamismo del concetto di «luogo» è la condizione necessaria per un adeguamento creativo ad un ambiente preesistente. Renzo Piano Non si è creativi soltanto disegnando nuove forme o strutture, si è creativi inventando soluzioni senza modificare l’esistente. Jean Nouvel Preferisco costruire in luoghi storici, dove c’è una relazione con il contesto per partecipare meglio all’evoluzione della città. Del resto, la modernità dell’architettura oggi sta nel legame con il contesto. Quando si costruiscono edifici generici, da piazzare ovunque, non specifici per un ambito urbano si fanno cose senza valore. Intervista, “Corriere della Sera”, 6 maggio 2004 Progetti e realizzazioni 1971-2007 24 Restauro e valorizzazione della Reggia di Caserta, Museo dell’ Opera, Tombe Sannitiche 1990-1993 Luogo: Caserta Finanziamenti: Fondi europei F.I.O., 1992 euro 12.911.422,48 prog. Reg. Campania 1995 euro 2.582.284,50 Progetto: 1995 Gruppo di progettazione: coord. EPC L. Morrica (c.gr.), D. Rabitti (sistemazioni a verde), R. Carafa (aspetti storici e restauro), A. Aveta, F. Cristiano, A. Gandolfi (strutture e consolidamento statico) Impianti: S. Mandarini, A. Castaldo Concessionario: Soc. Nova Vetera Premi: Tombe sannitiche - premio europeo EUROPA NOSTRA AWARDS 1995 Nel 1988 Fiatimpresit, capofila di un consorzio denominato “Nova Vetera”, fu incaricato dal CIPE, attraverso il FIO ’86, di realizzare il «progetto di restauro, recupero post-sismico e adeguamento funzionale della Reggia di Caserta» in stretta collaborazione con la Soprintendenza ai BB.AA.AA.AA.SS. per le province di Caserta e di Benevento su iniziativa diretta dall’arch. G.M. Jacobitti. Il progetto generale, con l’obiettivo di valorizzare il complesso vanvitelliano per rilanciarlo su scala internazionale, avrebbe indotto una maggiore occupazione e un più elevato livello turistico nel territorio con conseguenti vantaggi economici per la città di Caserta. Nel 1990, fu affidato ad un gruppo di professionisti il progetto generale finalizzato alla realizzazione nella Reggia di Caserta, uno dei maggiori monumentali italiani, di un polo culturale connesso direttamente alla città ed in particolare al suo centro storico. Ai fini della stesura progetto molteplici furono i fattori analizzati. Notevole peso hanno avuto lo studio dell’originario progetto vanvitelliano, la razionalizzazione della viabilità esistente e del traffico automobilistico, il collegamento del sottovia ferroviario e dei parcheggi già previsti dal Comune di Caserta. Il progetto, basato su indagini accurate e su un inedito rilievo architettonico dell’edificio, tende ad eliminare le funzioni improprie e a migliorare quelle compatibili, tenendo conto anche degli spazi inutilizzati. Intervenendo solo in una parte dell’edificio, il progetto prevedeva il consolidamento statico delle strutture originarie, la riqualificazione funzionale degli spazi interni ed esterni, la rilettura e il ripristino delle caratteristiche architettoniche ed ambientali preesistenti. Nel primo livello interrato del palazzo, sono stati così progettati e realizzati il Museo del Territorio, dove sono raccolte importanti testimonianze artistiche dell’area casertana e il Museo dell’Opera, nonché la sala archeologica ipogea delle Tombe sannitiche (IV sec. a.C.). Analizzando lo stato di abbandono di alcune storiche aree verdi, si è progettato il restauro dell’adiacente giardino ottocentesco della “Flora”, e, sull’analisi delle aree libere adiacenti, è stata prevista la realizzazione, nella porzione di territorio occupata dall’autoparco dell’Aeronautica, di volumi interrati contenenti un auditorium e un centro congressi, la sistemazione della grande piazza Carlo III e del vialone originario in stato di estremo degrado. Base del progetto è stata la concezione che un intervento di riuso di un edificio monumentale pone una serie di problemi teorici progettuali e tecnici come quelli relativi alla scelta dei criteri di ripristino e di “restituzione” ma innanzitutto di adeguamento dell’assetto originario degli spazi alla nuova destinazione. Ciò che era in gioco «non era la conservazione del passato, ma la realizzazione delle sue speranze». 1. Manifesto della mostra del progetto della Reggia di Caserta a Versailles. 25 2. Vista del vestibolo ottagonale e dello scalone d’onore. 3. Veduta della Reggia e della grande cascata. 4. Volta del vestibolo. 5. Statua di Ercole. (Foto di M. Jodice) 26 6-7-8. Primi schizzi originali di Luigi Vanvitelli per la Reggia di Caserta. 9. Planimetria generale ed individuazione degli interventi (progetto generale F.I.O.). 10. Particolare del modello del progetto della Reggia e della piazza. 11. Modello del progetto generale. 12. Limite dell’intervento (progetto generale F.I.O.). 13. Vista prospettica della nuova piazza seminterrata di servizio turistico (progetto generale F.I.O.). 29