A Teresina Vignola Bambini e linguaggio L’apprendimento della lingua orale e scritta nell’infanzia La letto–scrittura Copyright © MMXVI Aracne editrice int.le S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Quarto Negroni, Ariccia (RM) () ---- I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: aprile A mio marito Roberto Balestro e a tutti i miei cari Indice Introduzione Capitolo I Modelli di apprendimento .. Che cosa significa apprendere, – .. Il modello comportamentista o associazionista, – .. Il modello cognitivista o strutturalista, – ... Jean Piaget, – ... Lev Semenovic Vygotskij, – ... Jerome Seymour Bruner, – ... Howard Gardner, . Capitolo II Alfabetizzazione, sviluppo linguistico e sviluppo cognitivo, oralità e scrittura .. Il significato della parola “alfabetizzazione”, – .. Psicolinguistica e competenza comunicativa, – ... I contributi della Linguistica, – ... L’innovazione della teoria di Chomsky, – ... Lo sviluppo del linguaggio, – .. Sviluppo linguistico e sviluppo cognitivo, – .. Oralità e scrittura, – ... Confronti tra le caratteristiche dell’oralità e quelle della scrittura, – ... La comparsa della scrittura e la sua influenza sul pensiero, . Capitolo III Lingua orale e lingua scritta nel bambino .. Rapporti tra oralità e scrittura dal punto di vista filogenetico, etnogenetico ed ontogenetico, – .. Caratteristiche particolari della lingua orale nel bambino, – .. Relazioni tra la lingua orale e la lingua scritta nel bambino fino ai – anni d’età, – .. La competenza metalinguistica e la consapevolezza fonologica, – .. Primi approcci con la lingua scritta, . Capitolo IV La lingua scritta .. La psicogenesi della lingua scritta nel bambino: la teoria sulla “costruzione della lingua scritta nel bambino” delle due studiose Emilia Ferreiro ed Ana Teberosky, – .. Presupposti da cui sono partite Ferreiro e Teberosky, – .. Le ipotesi dei bambini a proposito della scrittura, – ... Indifferenziazione tra lo scritto ed il disegno, – ... Il livello (o stadio) presillabico, – ... Il livello (o stadio) sillabico, – ... Il livello (o stadio) sillabico–alfabetico, – ... Il livello (o stadio) alfabetico, – ... Alcune considerazioni sul nome proprio, – ... Schema riassuntivo del processo di costruzione della lingua scritta nel bambino secondo la teoria delle due studiose Emilia Ferreiro ed Ana Teberosky, Indice – .. Cosa si intende per “atto di lettura”, – .. Le ipotesi dei bambini a proposito della lettura, . Capitolo V Attività di letto–scrittura .. La metodologia, – ... Il bambino, – ... L’ambiente, – ... L’insegnante, – .. Attività nell’ambito della lingua orale, – .. Attività di metalinguaggio, – .. Attività di letto–scrittura: scrittura spontanea e lettura per anticipazione del significato, . Bibliografia Introduzione In questo libro viene analizzato il percorso di apprendimento della lingua orale e scritta nel bambino evidenziando gli aspetti della storia, della teoria e della prassi nell’ambito della letto–scrittura. Ad attirare la mia attenzione su questo argomento è stata principalmente l’attività svolta come insegnante di scuola dell’infanzia grazie alla quale ho conosciuto le ricerche della psicolinguistica nel campo dell’acquisizione della capacità di leggere e scrivere, indagini che hanno posto in rilievo come il bambino, nella sua qualità di soggetto attivo e costruttore del proprio sapere (così come è stato messo in evidenza dallo psicologo ginevrino Jean Piaget), costruisca anche la propria conoscenza del sistema scritto attraverso l’elaborazione di ipotesi e teorie che poi continuamente verifica nel contatto con la realtà, fino a giungere a scoprire spontaneamente il segreto del nostro codice alfabetico, cioè il fatto che ad ogni singolo fonema corrisponde un grafema e viceversa. Sono state soprattutto le due psicolinguiste piagetiane Emilia Ferreiro ed Ana Teberosky a porre in luce tale processo giungendo a verificare, grazie alle loro ricerche, che esso è cognitivo, spontaneo e geneticamente determinato, rovesciando in tal modo (come in una “rivoluzione copernicana”) le teorie precedenti nel campo dell’alfabetizzazione, che ritenevano l’apprendimento della scrittura e della lettura un fatto puramente percettivo in cui il bambino si presentava come il soggetto passivo della situazione educativa, come colui che non sa niente e deve apprendere tutto dall’adulto. Tali ricerche, così come altre ad esse collegate, hanno evidenziato, invece, che il bambino inizia la scuola primaria dopo aver, per diverso tempo (a partire dai anni e mezzo – anni), osservato l’“universo delle scritte” e riflettuto su di esso giungendo, a tal proposito, a conclusioni originali che devono essere considerate per poter impostare un discorso didattico autenticamente rivolto alla crescita del bimbo. Ecco perché, da alcuni anni a questa parte, studiosi e ricercatori nel campo delle scienze dell’educazione hanno indirizzato la loro attenzione sia alla scuola dell’infanzia come luogo in cui non si anticipano acquisizioni da parte del bambino nel campo cognitivo, ma come ambiente in cui si può favorire lo sviluppo dei processi di conoscenza (come quello della costruzione della lingua scritta) che il bimbo compie spontaneamente, sia alla scuola primaria considerata in un’ottica di continuità con il precedente ordine di scuola. Introduzione In questo libro vengono, quindi, presentate le teorie nell’ambito della psicolinguistica evidenziandone l’aspetto storico (con particolare attenzione a come si sono evoluti i concetti di “oralità” e “scrittura”), teorico e pratico in una prospettiva di continuità tra scuola dell’infanzia e scuola primaria partendo, nel Capitolo I, da una considerazione dei principali modelli di apprendimento, così come si sono presentati storicamente, per passare, poi, nel Capitolo II, ad analizzare il significato della parola “alfabetizzazione” ed a riflettere sui rapporti tra sviluppo linguistico e sviluppo cognitivo, tra oralità e scrittura tenendo conto di quanto evidenziato dalla neurologia, dall’antropologia, dalla storia, dalla filosofia, dalla psicologia, dalla linguistica; nei Capitoli successivi vengono presentati lo sviluppo della lingua orale e soprattutto l’analisi dettagliata del percorso di costruzione della lingua scritta nel bambino; infine, l’ultimo Capitolo è dedicato alle attività di letto–scrittura che si possono svolgere, facendo riferimento alle precedenti teorie, a partire dalla scuola dell’infanzia fino ai primi due anni della scuola primaria. Questo libro è, pertanto, rivolto in particolar modo agli insegnanti di scuola dell’infanzia e primaria che possono trovarvi indicazioni utili per conoscere tutti i passaggi, analizzati dettagliatamente, del percorso di costruzione della lingua scritta nel bambino ed anche alcune attività didattiche che fanno riferimento alla succitata teoria; inoltre a psicologi dello sviluppo, logopedisti ed operatori socio–sanitari che, occupandosi del recupero dei soggetti con disturbi specifici dell’apprendimento (D.S.A.), possono fare riferimento a questo lavoro che tratta di come si svolge, normalmente, il processo di acquisizione del leggere e dello scrivere, ed a tutti coloro, infine, che sono interessati più in generale a sapere come si realizza l’apprendimento della letto–scrittura. In conclusione intendo ringraziare tutti coloro che, con consigli e indicazioni bibliografiche, mi hanno aiutata nella realizzazione di questo lavoro ed in particolare ringrazio i bambini che sono stati miei allievi nel corso della mia carriera di insegnante per l’entusiasmo con cui hanno sempre accolto le attività da me proposte permettendomi di analizzare le loro ipotesi sulla lingua scritta. Capitolo I Modelli di apprendimento .. Che cosa significa apprendere Quando si parla di apprendimento, la definizione a cui si ricorre maggiormente è quella di Hilgard e Bower (), i quali, da un lato, lo identificano con il processo con cui si reagisce ad una situazione incontrata dando origine ad una nuova attività o modificandone una già appresa, dall’altro lo distinguono da tutte le altre attività che possono essere spiegate sulla base di meccanismi innati (come riflessi, istinti), o legati alla maturazione (che porta anch’essa ad un cambiamento del comportamento, ma indipendentemente dall’esperienza acquisita), oppure ancora a stati temporanei dell’organismo (come l’affaticamento, l’abitudine o i processi di pensiero). Altre definizioni di apprendimento pongono l’accento sulla modificazione della condotta, che presuppone una modificazione della personalità: « L’apprendimento [. . . ] consiste di mutamenti nel sistema neurologico dovuti al fatto che l’organismo aveva compiuto determinate azioni » (Wilson, Robeck, Michael, , trad. it. p. ); « l’apprendimento consiste in una modificazione sistematica di condotta in caso di ripetizione di una stessa situazione. [. . . ] la modificazione corrispondente al fenomeno dell’apprendimento deve essere relativamente duratura » (G. de Montpellier, cit. in Deva, ², p. ); « l’apprendimento è una modificazione durevole del comportamento, in funzione di acquisizioni dovute all’esperienza » (Piaget, , trad. it. p. ); « definirei apprendimento la capacità di modificare i nostri comportamenti oppure un determinato stato del Sistema cognitivo in funzione dell’esperienza » (Stella, , p. ). Ciò che emerge dalle succitate definizioni, e che sottolinea ulteriormente il significato della trasformazione prodotta dall’apprendimento, è che tutta l’attività conoscitiva è orientata verso la realizzazione di una nuova personalità: « Protagora diceva che, uscendo dal suo insegnamento, uno diventava un “altro”; non più istruito o più abile o più illuminato, ma “altro”. Diverso: cioè se stesso, ma un se stesso liberato, sciolto da ogni impaccio, avendo trovato il proprio stile e il proprio volto » (Reboul, , p. ); « l’apprendimento è la complessa attività con cui veniamo a conoscere noi stessi e il mondo che ci circonda » (Oakeshott, in Granese, a cura di, , p. ). Bambini e linguaggio Ritengo, però, che la definizione più esaustiva del significato della parola apprendimento, e che compendia tutte le altre prima citate, sia la seguente: Si parla normalmente dell’apprendimento come della conseguenza di stimoli provenienti dal mondo esterno che producono in noi una risposta, consistente generalmente in una modificazione della nostra personalità. Pertanto l’apprendimento si presenta come una serie di modificazioni, non provvisorie ma durature, che cambiano progressivamente la struttura stessa della nostra personalità psicofisica, modificazioni che permettono di affrontare in modo diverso da quello precedente uno stesso compito e che esternamente si manifestano appunto come l’acquisizione di nuove conoscenze e capacità (Deva, , p. ). A questo punto, dopo aver definito che cosa significa apprendere, sorge spontanea la domanda: ma come apprendiamo? Oppure: secondo quale itinerario (o modello) si effettua questo processo? Occorre anzitutto sottolineare che, storicamente, agli inizi del , si passò dallo studio del fenomeno dell’apprendimento negli animali all’applicazione di tali ricerche nel campo dell’apprendimento umano, soprattutto grazie ad un grande studioso di tali problematiche: Edward L. Thorndike (–), che insegnava psicologia nel Teachers College della Columbia University a New York, già alla fine del , e che aveva cominciato ad applicare i metodi della psicologia animale allo studio dei bambini. È proprio a lui, infatti, che si deve la prima delimitazione del campo d’indagine della psicologia dell’educazione e la sua stessa denominazione. Nel egli pubblicò la prima edizione di Educational Psychology, un’opera in cui si stabiliva il carattere applicativo della psicologia dell’educazione, che attingeva dalla psicologia leggi, metodi e tecniche per affrontare i problemi educativi e didattici. A partire da questo momento, le ricerche nell’ambito della psicologia dell’educazione hanno dato vita ad una serie di teorie sulla configurazione del processo di apprendimento, che hanno fatto capo a varie scuole, soprattutto psicologiche, dalle quali hanno preso origine i seguenti due principali modelli di apprendimento: quello comportamentista o associazionista e quello cognitivista o strutturalista. Questi due modelli si distinguono, sostanzialmente, per il diverso modo di considerare il tema del rapporto tra apprendimento e sviluppo, cioè tra fattori “esterni” (influenza dell’ambiente, dell’istruzione) e fattori “interni” (evoluzione di meccanismi interni all’individuo) che intervengono nel rendere possibile il cambiamento dell’uomo dalla nascita all’età adulta. « La complessità del rapporto è probabilmente dovuta proprio al significato che i due termini hanno assunto storicamente: apprendimento come tema centrale del comportamentismo, e dunque di una prospettiva che rifiuta il ricorso a fattori o meccanismi interni di cambiamento. . . » (Boscolo, , . Modelli di apprendimento pp. –); sviluppo come tema centrale, invece, dello strutturalismo, in cui il cambiamento è spiegato in termini di modificazione di strutture mentali. .. Il modello comportamentista o associazionista Thorndike partì nei suoi studi dalle ricerche condotte nel campo della psicologia animale dal grande fisiologo russo Ivan Petrovic Pavlov (– ), il quale scoprì che il funzionamento delle ghiandole salivari in animali da esperimento (cani) era eccitato non solo dalla ingestione del cibo (stimolo incondizionato o assoluto), ma anche da altre circostanze ad esso connesse, come ad esempio il suono di un campanello o l’accensione di una luce, o anche la comparsa in sala degli assistenti (stimolo condizionato). Da queste osservazioni egli dedusse la possibilità della comparsa di comportamenti “appresi”: la stretta associazione degli stimoli può essere imparata, e poi disimparata (estinta) e reimparata, se ne cambia la sequenza. L’insegnamento di Pavlov influenzò il pensiero di un altro studioso del comportamento animale (sui ratti albini): John Watson (–), che con un articolo del su Il punto di vista di un comportamentista diede l’avvio alla corrente che fu così chiamata “comportamentismo” (in inglese behaviorism) o anche corrente associazionista in riferimento all’associazione tra gli stimoli e le risposte ad essi (la tradizione associazionista degli studi sull’apprendimento è indicata anche con l’espressione learning theory). Scrive a proposito di questa corrente Ferruccio Deva: Il comportamentismo si appella a un modello abbastanza semplice, e precisamente S → R, in cui S indica gli stimoli, le eccitazioni che agiscono sull’organismo, R le risposte dell’organismo, cioè le variazioni che intervengono in esso in seguito agli stimoli. Questa scuola psicologica cerca pertanto di spiegare tutto il comportamento umano controllando i rapporti esistenti fra stimoli e risposte. Bisogna precisare che fin dall’inizio gli studiosi che la fondarono conoscevano benissimo che fra lo stimolo e la risposta esiste tutta una serie di processi interni all’organismo; scrive P. Fraisse: « Essa [scuola comportamentista] non nega che accade qualcosa fra la situazione [complesso di stimoli] e la risposta, ma non se ne interessa. Essa coglie ciò che è alla portata, l’osservabile », cioè non utilizza questo qualcosa per spiegare il comportamento in quanto non è direttamente e sicuramente controllabile, mentre invece possono essere più direttamente e sicuramente controllabili stimoli e risposte, pertanto ritengono che non sia il caso di riferirsi a ciò che resta tanto insicuro e di utilizzare, al fine della spiegazione del comportamento, ciò che è invece controllabile con una certa garanzia (², pp. –). Per il Watson la psicologia deve studiare le associazioni che si stabiliscono fra stimoli e risposte, entrambe realtà palesi e manifeste, evitando discorsi sul- Bambini e linguaggio l’anima, la coscienza e simili, che per noi sostituiscono soltanto l’ignoranza sui processi neurofisiologici interni al cervello. Nonostante la critica che si abbatté su questa posizione, giudicata “riduzionista” ed “elementarista”, o anche polemicamente psicologia “senz’anima”, la corrente si sviluppò. Oltre a Pavlov, Watson e Thorndike, che studiò lo sviluppo dell’apprendimento attraverso processi casuali di “prove ed errori” (“trials and errors”) e rivelò l’importanza ancora più decisiva dell’“effetto” soddisfacente nell’accrescere la probabilità di apprendimento di una risposta, fecero parte di questa corrente anche Edwin Guthrie (– ), che ritenne decisiva, per lo stabilirsi delle associazioni, la “contiguità” degli stimoli, Clark L. Hull (–), che ha creato, insieme ad un gruppo di collaboratori, la Scuola antropologica dell’Università di Yale e Burrhus Frederik Skinner (–), che diede alla teoria comportamentista il massimo sviluppo. Per Skinner il condizionamento non si riduce al tipo “rispondente” studiato da Pavlov sulle ghiandole salivari e sulla muscolatura involontaria; assai più importante negli animali superiori e nell’uomo è il comportamento “operante” affidato alla muscolatura volontaria, cioè ad un intervento sull’ambiente. Il risultato controreagisce (feedback) sul comportamento provocando un “rinforzo” (reinforcement) delle associazioni che producono effetti favorevoli. Skinner, quindi, applicando tali osservazioni nel campo della psicologia dell’educazione e, di conseguenza, in quello dell’“apprendimento scolastico” (etichetta che segnala i temi psico– pedagogici relativi alla dinamica dell’insegnare/apprendere nella situazione scolastica), si fece promotore della cosiddetta “istruzione programmata” mediante sequenze di piccoli passi (domande e risposte), ognuno dei quali subito rinforzato (mediante conferma della risposta giusta). Nacquero così le prime “macchine per insegnare” (teaching machines) che presentavano le sequenze mediante schede, rulli, diapositive; tale nuova tecnologia didattica avrebbe poi successivamente dato frutti all’epoca dei primi Personal Computer. L’educazione, così intesa, mira ad ottenere risultati rapidi e sicuri. Essi non vengono garantiti da castighi e imposizioni, ma da una facilitazione nel presentare i contenuti semplificati e posti in opportuna sequenza e dal coinvolgimento operante del soggetto, che viene costantemente rinforzato nella direzione desiderata. Ma, accanto all’“istruzione programmata”, si presentò un nuovo settore di ricerca, che rispondeva a finalità applicative meno direttamente attinenti alla situazione scolastica e il cui contributo alla psicologia dell’istruzione è stato, tuttavia, molto rilevante, poiché in esso vennero analizzate le situazioni in cui si promuove nel soggetto l’apprendimento di una competenza percettivo–motoria: si tratta della ricerca sull’addestramento militare (military training), che si sviluppò durante la seconda guerra mondiale, quando si rese necessario addestrare le reclute alle abilità utili per gli scopi mili- . Modelli di apprendimento tari, in particolare all’uso ed al controllo di macchine di vario genere e particolarmente complesse: l’obiettivo che ci si poneva qui era quello di realizzare forme di addestramento efficaci e in tempi limitati. Secondo questo approccio l’addestramento delle abilità percettivo–motorie può essere realizzato non in termini di semplici associazioni S–R, bensì in termini delle relazioni e interazioni tra l’uomo e la macchina, cioè tra l’insieme dei comportamenti da produrre nell’individuo e il complesso delle operazioni che rappresentano il funzionamento della macchina. Va però precisato che un’abilità comporta una sequenza ordinata di attività: i vari componenti di cui è costituita influenzano diversamente la prestazione generale e sono influenzati, a loro volta, in modo diverso dall’esercizio; inoltre la prestazione “abile” è orientata al raggiungimento di un obiettivo. A questo proposito non è un caso che alcuni importanti psicologi dell’istruzione, come, per esempio, Robert Mills Gagné, abbiano lavorato negli anni cinquanta in questo settore di ricerca, trasferendo poi i contributi di tale approccio nell’ambito della psicologia dell’apprendimento scolastico. L’attenzione rivolta ad una pedagogia che tenesse conto degli obiettivi educativi e dei curricoli attraverso cui raggiungere i risultati prefissati nell’ambito dell’intervento educativo ha coinvolto, oltre a Gagné, anche, in particolare, studiosi come Benjamin Samuel Bloom e J.P. Guilford, che fecero oggetto della loro ricerca soprattutto le condizioni dell’apprendimento (Gagné), le caratteristiche dell’apprendimento scolastico (Bloom), la classificazione e le categorie del comportamento umano (Guilford con i due studiosi prima citati) e più in particolare le teorie e la pratica del mastery learning (apprendimento per la padronanza): « Il nostro compito educativo basilare è di definire ciò che intendiamo per padronanza di un argomento e di scoprire metodi e materiali per aiutare il maggior numero possibile dei nostri studenti a raggiungerla » (Bloom, in Block, a cura di, , p. ). Altro dato comune è la convinzione che obiettivo dell’educazione, dell’istruzione non è soltanto l’apprendimento di contenuti, ma soprattutto l’acquisizione di conoscenze, di abilità, di competenze, di comportamenti. Risulta, però, particolarmente interessante, tra quelle dei tre studiosi citati, la posizione di R.M. Gagné, che sostanzialmente rientra nella tradizione comportamentista, anche se, specie dopo la seconda edizione della sua opera The Conditions of Learning (), questo psico–pedagogista si è notevolmente avvicinato al cognitivismo. La sua concezione di apprendimento è ancora tipica della tradizione associazionista secondo cui esso è una modificazione del comportamento che si manifesta quando uno stimolo colpisce l’individuo in modo tale che c’è un variazione nella sua “performance” da prima che lo stimolo si presenti a dopo. Egli, però, respinge l’opinione, presente in molti psicologi della learning theory, in base alla quale le varie forme di apprendimento si realizzerebbero secondo gli stessi meccanismi, Bambini e linguaggio e afferma, invece, quella, riconducibile all’impostazione del military training, dell’apprendimento come acquisizione di abilità molto diversificate. Propone, quindi, un modello secondo una sequenza comprendente otto tipi di apprendimento posti in ordine di complessità: apprendimento di segnali, apprendimento di connessioni stimolo–risposta, concatenazioni, associazioni verbali, apprendimento di discriminazioni, apprendimento di concetti, apprendimento di regole, risoluzione di problemi (problem solving). Questi tipi di apprendimento rappresentano i risultati del processo di istruzione, mentre le condizioni che rendono possibile il loro realizzarsi sono distinguibili in interne ed esterne: le prime sono rappresentate dai prerequisiti dei vari apprendimenti, cioè dalle capacità già possedute dal soggetto all’inizio del compito, mentre le seconde si riferiscono alle modalità di presentazione degli stimoli e di controllo della situazione di apprendimento. Occorre precisare che l’apprendimento di ciascun prerequisito ha un effetto facilitante per gli apprendimenti di livello direttamente superiore: una volta acquisite, le capacità di livello inferiore generano un effetto di transfert , che è chiamato da Gagné “verticale”, perché si esercita sull’apprendimento di capacità di livello più elevato. Poiché dunque i prerequisiti, una volta appresi, producono transfert per le nuove prestazioni, i bambini più grandi, avendo imparato di più, hanno anche maggiori capacità di transfert e, quindi, apprendono con maggiore rapidità. Sta proprio in questo punto il superamento, da parte di Gagné, della posizione comportamentista e l’avvicinamento al cognitivismo: mentre, infatti, il comportamentismo non si occupa dello sviluppo focalizzando la sua attenzione sul comportamento, considerato come non regolato da strutture mentali, ma determinato dall’apprendimento passato e dalle condizioni ambientali, Gagné propone un’interpretazione dello sviluppo in termini di apprendimento cumulativo. Secondo il modello cumulativo, il bambino avanza nello sviluppo non perché apprende, come sosteneva l’associazionismo storico, nuove « connessioni » o associazioni, ma perché acquisisce un complesso ordinato di capacità che si costruiscono l’una sull’altra in modo progressivo, attraverso processi cumulativi di discriminazione, rievocazione e transfert. . F. Deva definisce il transfert come la « possibilità di trasferire le conoscenze e le capacità precedentemente apprese alle nostre attività nuove tendenti ad affrontare nuove situazioni » (², p. ). . Modelli di apprendimento .. Il modello cognitivista o strutturalista Le origini del modello cognitivista o strutturalista vanno ricercate, innanzitutto, nella corrente denominata Psicologia della forma, o Gestaltpsychologie o Gestalt theorie (“Gestalt”, in tedesco, significa “forma”), che trova i suoi inizi in uno studio di Christian von Ehrenfels (–) Sulle qualità formali (), in cui lo studioso mette in evidenza che esistono degli “oggetti percettivi” (come le forme spaziali, le melodie, le strutture ritmiche) che non si riducono alla somma di sensazioni particolari, ma si presentano originariamente come “forme”, cioè come rapporti strutturati, come qualcosa di “diverso”, appunto, da una somma di “atomi” di sensazioni. In questo senso una melodia non viene concepita come la somma di singole note, tant’è vero che si possono mutare le singole note e percepire come invariata la “forma melodica”. Tale corrente si affermò agli inizi del XX secolo per opera di un gruppo di psicologi tedeschi, successivamente emigrati negli USA, fra cui Max Wertheimer (–), Kurt Koffka (–), Wolfgang Köhler (–) e Kurt Lewin (–). Essi partirono da una critica all’associazionismo psicologico, secondo cui il tutto è dato dalla somma delle parti, giungendo ad affermare che, invece, il tutto è più della somma delle sue parti, anzi è addirittura diverso dalla somma delle sue parti. Per questi studiosi la percezione ha un carattere sintetico e globale, per cui quella del tutto viene prima di quella delle singole parti. Inoltre per la psicologia della Gestalt « La percezione [. . . ] risulta [. . . ] determinata [. . . ] da una dinamica interna attivata per consonanza dall’insieme degli stimoli, o se si vuole da un’interazione tra organizzazione anatomo–fisiologica e stimolazione esterna » (Battacchi, Giovanelli, , p. ). Più tardi (nel ) è stata sottolineata da D.O. Hebb l’importanza dei fattori di origine centrale, cioè attivati dal sistema nervoso centrale e, quindi, affrontando il problema della percezione in termini neurofisiologici nel suo The organisation of behavior, egli ha portato ad un superamento del comportamentismo ed ha avviato lo sviluppo del cognitivismo. Infatti per Hebb nel sistema nervoso si trovano delle strutture (da qui il termine strutturalismo dato anche a questa corrente), cioè assembramenti cellulari capaci non solo di conservare l’eccitazione, ma anche, entrando in funzione per influenza reciproca, di mutarla ed elaborarla divenendo così equivalenti a processi di pensiero. Lo sviluppo cognitivo si fonda inizialmente su assembramenti cellulari innati molto semplici, poi, a causa dell’influenza della maturazione (come processo genetico di sviluppo) e dell’esperienza, su assembramenti cellulari sempre più complessi, di ordine superiore, la cui attività rappresenta il fondamento anche dei processi di astrazione e generalizzazione. Ad integrare la posizione di Hebb intervenne successivamente (nel ) la teoria cognitivista di U. Neisser, secondo cui il nucleo della struttura Bambini e linguaggio cognitiva nell’ambito della percezione è costituito dallo “schema”, cioè da un complesso attivo di strutture e processi biologici facente parte del sistema nervoso. Il compito dello “schema” è quello di accettare le informazioni trasmesse dalle superfici sensoriali e, mutato da queste, di dirigere le attività che gli consentono di ricevere una maggior quantità di informazioni, che, a loro volta, lo muteranno ulteriormente. È chiaro, quindi, quanto prima si diceva a proposito del fatto che la percezione e lo sviluppo cognitivo si verificano per influenza della maturazione e dell’esperienza, cioè non si esauriscono nel sistema nervoso, ma implicano anche la realtà esterna. Pertanto, a differenza del comportamentismo che si appella al modello S → R, L’orientamento che fa capo alla psicologia della forma e al più attuale strutturalismo propone invece un modello un poco più complesso indicabile con S → O → R, in cui S sono gli stimoli, O le variabili organiche dette anche variabili intermedie, R le risposte. Come si può notare la differenza consiste nel tenere direttamente presenti nel processo di apprendimento le variabili organiche o variabili intermedie (intermedie perché stanno fra lo stimolo e la risposta); [. . . ]. Per tali scuole le variabili organiche o intermedie hanno una loro realtà come componenti interne della personalità, sono una serie molto vasta di elementi costitutivi della personalità fra i quali lo stimolo deve passare per diventare una risposta, che possono modificare lo stimolo e che comunque lo inseriscono nel quadro delle strutture personali non lasciandolo come componente di apprendimento semplicemente accanto ad altre componenti. Ovviamente queste scuole prestano una particolare attenzione alle variabili intermedie e ne fanno il centro del loro tentativo di spiegazione del processo di apprendimento (Deva, ², p. ). Questa “particolare attenzione alle variabili intermedie”, così come sostiene Deva, deriva, in parte, da una reazione del cognitivismo al comportamentismo, ma soprattutto dallo stretto legame che, negli anni ’–’, si è instaurato tra la ricerca sui processi cognitivi e la ricerca sull’intelligenza artificiale (IA). La psicologia cognitivista ha preso il computer come modello dell’essere umano e un notevole contributo allo studio sul funzionamento del cervello umano e sulle relative capacità cognitive ci viene dato proprio dalle ricerche sull’intelligenza artificiale. Queste ultime hanno portato alla costruzione dei software per simulare nel computer comportamenti cognitivi complessi, come, ad esempio, la soluzione di problemi, che contraddistinguono il pensiero umano e dal confronto tra questo e il pensiero artificiale sono emerse interessanti ipotesi sui processi della cognizione nell’uomo. Inevitabilmente questi studi hanno fatto sì che si privilegiasse l’analisi delle strutture che controllano la processazione dell’informazione, soprattutto i meccanismi della memoria a breve ed a lungo termine (indicate rispettivamente dalle sigle M.B.T. e M.L.T.) ed i processi di controllo dell’attività cognitiva, a svantaggio dell’interesse per l’apprendimento concepito nel senso di una modificazione del comportamento.