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92 FDS 173 • La Bacchetta Magica • DISCHI AUDIOPHILE • di Antonio e Nazareno Scanferlato
SLOW
MUSIC
DIANA KRALL
ALL FOR YOU
(XRCD24 Impulse!/JVC 532 560-9)
Slow food, slow drink, slow smoke… il nostro mondo ha bisogno
di rallentare la sua corsa verso… verso… ehm…
boh, da qualche parte.
SLOW LIFE
Quando ero ‘gnorante (ora invece è cambiato tutto, meno male!) non sapevo che i
cibi preparati con tanto amore dalla mia
mamma, per il pranzo e la cena, appartenessero alla categoria dei cosiddetti slow
cooking. Identicamente ignoravo, non
senza una certa fellonia, lo ammetto, che
la consumazione di quei pasti viene definita slow food. Mentre il sontuoso panino
imbottito con provolone e mortadella, innaffiato da una Peroni da ¼ (anche detta
canadese) è, già da tempi non sospetti, un
pasto fast food...
Chi fuma sigarette pratica lo smart smoke,
chi invece si sollazza col sigaro o la pipa
(e perché no, con un bel narghilè) è dedito
allo slow smoke.
Fortissimi dubbi, data la mia capacità
d’assimilazione, permangono a carico
dello slow drink… credo che certuni attribuiscano a quell’accezione la prolungata
degustazione di vini pregiati e/o nobili
super alcolici quali Whisky, Cognac, Armagnac e alcune Grappe.
Effettivamente una lattina di chinotto la
bevo in pochi minuti, mentre un buon
bicchiere di Bowmore 12 anni… anche
meno, specie se accompagnato dall’aroma
di un ottimo Partgas serie D No.4 (durante
l’aperitivo), oppure dall’incredibile forza
dell’Hojo de Monterrey Epicure No. 1,
(dopo cena).
Ma sono ben altri i dubbi che affollano la
mia mente: chi ascolta musica liquida
(con o senza il mini player e/o le cuffiette) sta “consumando” fast music o wet
music?
La risposta a simili ed altri, non facili,
quesiti non credo la troverete in questo
articolo, poiché qui si narra di musica,
non di “definizioni”.
Beh, etichettare la musica, così come le
marmellate, le conserve e quant’altro
serve sicuramente a fare ordine, più che
altro mentale, anche se per me esiste un
solo ordine: il mio gusto musicale!
Quando sto per decidere di ascoltare qual-
cosa non penso mai: <<ora mi do alla
musica classica, quasi quasi metto su
Luigi Russolo e il suo bell’intonarumori>>, oppure: <<oggi è il giorno del
jazz… dagli di Giuseppi Logan…>>. Piuttosto è il mio stato d’animo a decidere o,
al minimo, la voglia di provare un determinato umore, di stimolare un certo tipo
d’emozioni.
Quando penso di ascoltare della musica è
sempre ad un preciso brano o album che
mi riferisco, mai ad un genere in particolare. Semplicemente credo che solo le esecuzioni che ho scelto, in quel determinato
momento storico della mia vita, possano
donarmi l’emozione che cerco o che non
sapevo di aver bisogno di provare.
E gli artisti che di solito prediligo sono
quelli che sanno iniettare una tensione
emotiva nella loro creazione/interpretazione.
Dopo l’ Hard Rock ed il Metal dei n. 170 e
171, soddisfatta la voglia di Jazz con gli
ottimi album del numero scorso, mi andava di proporre qualcosa di rilassato.
Credo di aver raggiunto il mio obiettivo
di massima qualità artistica (e audiofila)
attraverso i prossimi quattro dischi che vi
presento.
Intonarumori
La bella Diana Krall… la bella e controversa Diana
Krall. Quanti discorsi saccenti su di lei, quanti giudizi impertinenti e quante sciocchezze dette a suo
carico. Si dice sia la cantante degli audiofili… come
fosse un’offesa, come se gli audiofili si “cibassero”
solo di piatti raffinati ma insipidi. Non ci si stanca
mai di sottolineare il suo matrimonio con Elvis Costello, come fosse una colpa, come se l’aver sposato una pop star la privasse automaticamente
del suo innato talento. Ciò che gli audiofili cercano,
come credo quasi tutti gli appassionati di musica,
è la massima qualità artistica, unita al miglior
suono possibile. Alcuni parrucconi frignano e strepitano contrapponendole il nome di Ella Fitzgerlad
o Sara Vaughan o Billie Holiday… beh queste Ladies purtroppo non ci sono più, che facciamo?
Continuiamo ad ascoltare sempre e soltanto i loro
dischi (neanche tutti per la verità, perché alcuni
sono veramente deplorevoli) per amor di nostalgia? Io, ad esempio, se potessi mi “nutrirei” solo
della voce di Mina (la grande, l’immensa). Purtroppo la Tigre di Cremona non ha inciso solamente opere d’arte, anzi è vero il contrario. Che
fare? Beh, in attesa di una nuova rivelazione mi
consolo ascoltando Norah Jones; la nostrana
Elisa, sparute opere di Laura Pausini (direttore non
fare aaarrrgghh!!! N.d.R.), Sara K. e la “nostra” bellissima, sensualissima Diana Krall! Sensualissima
sì specialmente nella voce. La prima volta la sentii
per radio (RAI 3) e me ne innamorai. Di lei mi piacque il timbro seppiato, lo swing deciso ed il grande
feeling che permeava la sua interpretazione. Diana
non è un mostro di tecnica vocale e difetta un pochino d’estensione, ma il tutto è compensato dalla
sua anima musicale coinvolgente e convincente.
Fin qui potrebbe sembrare, da come ho descritto
la Krall, che lei possa rappresentare una figura
marginale all’interno dello scenario del Jazz vocale,
invece così non è. Lei è un’ottima Jazz singer ed è
anche un’ottima pianista: una entertainer a tutti gli
effetti, complimento più grande credo non le si
possa fare. Una volta gli entertainers erano dei
Juke Box viventi, venivano considerati merce talmente rara che nei saloon, nei bordelli, nelle bische
ed ovunque si esibissero nel leggendario west del
nuovo continente il gestore raccomandava vivamente attraverso un cartello: “NON SPARATE
SUL PIANISTA”, peccato che la maggior parte
degli avventori fossero analfabeti, inc… avolati a
morte e armati fino ai denti. All for You è uno degli
album più gradevoli mi sia capitato di ascoltare
negli ultimi tempi. Innanzitutto esso è un tributo al
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Nat King Cole Trio, dunque l’impegno assunto contiene in sé il desiderio di raggiungere un livello qualitativo molto alto. Sarà riuscita, la bella Diana, nel
suo intento? Lo scopriamo subito: l’impianto è lì apposta! I’m an Errand Girl for Rhythm è proprio un
pezzo di King Cole ed è eseguito nel modo giusto:
un pianoforte, una chitarra, un contrabbasso, una
bella voce suadente ed una musica swing ma non
troppo. Nat King Cole riuscì a piacere anche ai
bianchi perché aprì il suo swing al pop. Diana Krall
segue con successo il suo esempio. All for You è
molto divertente, ironico, cantabile, ballabile e soprattutto ascoltabile. Anche i puristi, se non troppo
ingessati nelle loro idee, possono trarre grande
ispirazione da queste esecuzioni. La maestria e la
gustosità dei divertissement fra chitarra e piano è
indice di esperienza specifica in campo Jazz.
Quanto detto è confermato, per esempio dai brani
Hit That Jive Jack: ottimo senso del tempo, ottima
articolazione e tecnica vocale, grandissima musicalità, eccellente interplay strumentale; I’m Thru
With Love: ballata Jazz dal non trascurabile impegno vocale e strumentale, risolta con molto calore
e feeling unito a tanta esperienza. Menzione
d’onore allo splendido chitarrista, Russel Malone,
davvero bravo! Ottima performance del bassista
contrabbassista, Paul Keller, sempre a proprio
agio con qualsiasi strumento (a quattro corde) e
repertorio. All for You meritò solo la nomination
all’ambitissimo “Grammy Award”, ma era il 1996
e fu Lena Horne (sic!) a papparsi il premio con un
disco molto più classico di questo. Di All for You
non si butta via niente: lo metti a girare e te lo ricordi solo quando finisce, perché ti dispiace. Disco
Audiofilissimo: ottimo repertorio, performance e
suono. Il master è di produzione Impulse! La creazione di questo prodotto fu curata da Johnny LiPuma in persona, la registrazione ed il missaggio
da Al Shmitt. La versione XRCD24, rispetto al normale CD è un mondo nuovo. I timbri rimangono gli
stessi, le informazioni a basso livello aumentano
notevolmente; svanisce il velo che appanna gli strumenti; si dissolve la melma che trattiene la musica
e aumenta la dinamica ed il microdettaglio; il suono
diviene incredibilmente fluido, abbandonando per
sempre la sensazione di metallica meccanicità
propria del CD. L’aumento della naturalezza e veridicità a tutti i livelli comporta l’immediato coinvolgimento nell’ascolto. La voce della biondina
canadese è presente al centro della scena e così
pure le sue dita. Il pianoforte, una volta tanto, non
incombe sull’ascoltatore con la sua potenza ed immanenza ma appare ridimensionato ad hoc. Voglio dire: non abbiamo mai avuto la sensazione di
trovarci al cospetto di uno Steinway gran coda, ma
ad uno strumento più piccolo, meno risonante e
dai bassi molto meno potenti e presenti.
Piacevolezza a qualsiasi volume è la caratteristica
di questo godibilissimo XRCD24.
GIL SHAHAM, GÖRAN SÖLLSCHER
PAGANINI FOR TWO
(XRCD24 Deutsche Grammophone/JVC 480 246-5)
Di Niccolò Paganini vidi uno sceneggiato (1976). Per
quel poco che ricordo, il Paganini uomo risultava essere alquanto umorale e scontroso; come musicista
era un virtuoso, ammaliatore di folle.
Il secondo incontro lo ebbi con la sua musica, attraverso le dita di un universitario coreano dalla testa incredibilmente grande e le gambe spiacevolmente
corte, che conobbi a Perugia nel 1985, in occasione di
quell’Umbria Jazz alla quale partecipò Lionel Hampton
(grande!), Cedar Walton (un pò spompato all’epoca) e
Stevie Ray Vaughan (da sogno). Quel simpatico ragazzo
orientale, dicevo, faceva volare le dita sulle corde della
sua chitarra con tale velocità e padronanza che ne rimasi incantato. Trovai che anche le musiche non erano
affatto spiacevoli, così volli saperne di più.
Fino ad allora avevo creduto, come tanti del resto, che
Niccolò Paganini si fosse occupato sempre e soltanto
di suonare violino, invece fu anche un chitarrista parimenti virtuoso ed eccellente. Infatti le sue composizioni
per chitarra, per violino e chitarra, per trii e quartetti
misti: archi e corde sono famosissime e tutt’ora molto
eseguite, insegnate ed ambite come obiettivo finale
d’ogni musicista classico (e non).
Presento gli artisti: Gil Shaham, nato negli U.S.A. nel
’71, si trasferì a Gerusalemme con la famiglia all’età di
due anni. A soli dieci anni debutta come solista con l’orchestra di Gerusalemme. Ora è uno dei più grandi violinisti viventi. Inutile aggiungere che ha suonato con i
migliori direttori, musicisti ed orchestre del mondo, ha
vinto numerosi premi e riconoscimenti.
Göran Söllscher, di nazionalità svedese, è chitarrista
classico. Studiò chitarra al conservatorio di Copenhagen. All’età di ventitré anni, nel 1978, vinse il prestigioso “Concours International de Guitare”, tenutosi a
Parigi. In seguito a questo successo fu scritturato dalla
Deutsche Grammophone, con la quale ha realizzato
circa una ventina di album, dei quali ha venduto milioni
di copie. Paganini for Two vede riunito un duo d’eccellenza per un repertorio fra i più belli della storia.
L’esperienza dell’ascolto di queste musiche può essere
consigliato anche ai neofiti del genere, magari, dapprima, assaporato in piccole dosi, godendone la dolcezza e l’ineccepibile esecuzione formale. Ma più si
penetrerà all’interno della partitura, attraverso la mirabile esecuzione del fantastico duo, più facile sarà entrare nel mistero dell’arte del Maestro genovese.
Paganini, proviene dalla scuola classica italiana, ma introdusse varie innovazioni nell’uso del suo strumento,
fra le quali la tecnica del pizzicato e lo staccato ma,
dato più importante, nessuno come lui “osava” improvvisare sulla parte solistitica con tale impeto, fantasia e
virtuosismo, tanto da lasciare letteralmente attonito
l’uditorio. I problemi cominciavano quando gli veniva
chiesto di ripetere… la celebre frase: <<Paganini non ri-
pete!>> nasce proprio dall’impossibilità del Maestro di
ricordare e ripetere quanto eseguito durante la sua
estasi creativa.
Il repertorio è quello dedicato alle “Musiche per violino e
chitarra”. C’è la “Sonata Concertata”; le “Sei Sonate”;
“Grand Sonata”; sonata n. 2 e 4 da “Centone di Sonata”; “Cantabile”; “Mosè Variations” e lo strafamoso
“Moto Perpetuo”.
I componimenti citati, ma anche tutte le altre musiche
di Paganini, richiedono agli esecutori una notevole capacità tecnica, grande sensibilità e moltissimo affiatamento.
Le scelte compositive comprendono antico e moderno,
tradizione popolare e respiro europeo. Nelle sue musiche possiamo udire il contrappunto e la melodia romantica. Una cosa è certa: i suoi spartiti, poteva
suonarli solo lui, perché appositamente scritti intorno
alle proprie capacità tecniche, infatti le insormontabili
difficoltà d’interpretazione erano tali da scoraggiare
qualsiasi concorrente suo contemporaneo, senza contare che, si dice, abbia avuto delle dita lunghissime, ‘sì
da raggiungere posizioni sulla tastiera delle strumento
impossibili per altri. Ma tutto questo lo può capire solo
un musicista, a noi “comuni mortali” non resta che coglierne i succulenti frutti.
Vi sono sonate allegre, romantiche o malinconiche,
tutte molto interessanti, perché molto musicalmente vivaci. Le alternanze fra violino e chitarra, che giocano
scambiandosi parti soliste e di accompagnamento, sfociano spesso in articolate variazioni di tema. Provando
ad ascoltare Paganini for Two ad occhi chiusi si può immaginare la tessitura di un grande tappeto con varie
fantasie. E man mano che questo viene completato assume sempre più chiaramente forme e colori dei quali
se ne apprezza l’armoniosa complessità.
Ora, grazie a questo album, ho conosciuto più da vicino
Paganini e ne sono rimasto incantato e perplesso ovvero: c’è ancora tantissima buona musica da scoprire
e… così poco tempo.
La dolcezza e il calore che contraddistingue questo
XRCD24 dona un fascino tutto particolare a questa musica. Sulle prime, ci sono rimasto un pò perplesso. Data
la notevole estensione, tipica del formato XRCD24, credevo che qualcosa non avesse funzionato col master o
stupidaggini del genere. Per la serie “Chi sono io per
parlare di Master?” ho aperto bene le orecchie ed ho
fatto una grande scoperta: era tutto a posto! Ma la seconda notizia è che il maestro Gil Shaham suona un violino Stradivari “Contessa di Polignac”, notoriamente
meno impetuoso del violino Guarneri “del Gesù”, usato
da Paganini e soprannominato, non per nulla, “Cannone”. Se a questo aggiungiamo la considerazione che
le chitarre classiche, con le corde in budello, non hanno
niente della sonorità brillante delle normali chitarre acustiche (anche dette “folk”), le quali notoriamente montano corde metalliche, si capisce che questa musica
NON deve suonare brillante, per essere realistica.
Per il JVC in esame è fin troppo facile avere ragione del
CD di normale produzione. Con questo non voglio denigrare il lavoro di nessuno, anzi onori e gloria agli illuminati che hanno prodotto, e spero che continuino per
sempre, a produrre opere di tale valore, vorrei solo sottolineare come la DG abbia scelto di non rivolgersi
espressamente agli audiofili, tutto qua.
Con i vari impianti da me utilizzati il risultato è stato
sempre coerente ma tanto migliore quanto (realmente) migliore era la catena utilizzata.
In sintesi: scena acustica “perfetta” in altezza, in profondità, focalizzazione e ambienza (si rileva perfettamente
la collocazione spaziale dei due outsider, i loro movimenti e soprattutto la dispersione sferica delle armoniche propagate dai due strumenti). Ottima la dinamica
(micro e macro) e l’articolazione. Paganini for Two… se
non lo avessi… lo vorrei!
94 FDS 173 • DISCHI AUDIOPHILE
HERBERT VON KARAJAN
ADAGIO
(XRCD24 Deutsche Grammophone/JVC 480 245-9)
In ogni luogo, in ogni ambito, in ogni storia c’è un
momento, uno spazio per le certezze. Ecco, Karajan è, nell’ambito della musica classica, una certezza. Fra noi semplici appassionati è così che ci
esprimiamo, per luoghi comuni, con modi elementari ma sinceri. Sento parlare in modo entusiastico di Karajan fin da quando ero solo un
bambino. Ricordo che se ne apprezzava il piglio
energico, sicuro e, per alcuni, anche un pò pirotecnico. Ma alla fine di ogni dissertazione il commento unanime in favore del direttore era:
coinvolgente! Con Adagio ci occupiamo di una
pregevole quanto fortunata raccolta, già edita da
Deutsche Grammophone nel semplice formato
CD, riguardante gli adagio eseguiti dalla Berliner
Philharmoniker, durante l’esecuzione di varie
opere musicali, quando diretta dal grande maestro austriaco. L’album è una selezione dei migliori
adagio della storia, interpretati al massimo delle
possibilità umane. Ci troviamo di fronte a partiture eterogenee per autori e relative epoche
storiche, per giunta registrate in tempi diversi. Interessantissimo! Il primo brano di questo assortimento è il suggestivo Canone e Giga in Re
maggiore di Johann Pachelbel (1653 - 1706).
Questa musica fu composta per tre violini e
basso continuo, intorno al 1680, nel furore del
barocco. La partitura fu continuamente adattata
ai costumi dei tempi in cui veniva eseguita, arrangiata di volta in volta aggiungendo sempre più
strumenti fino ad arrivare ad essere eseguita
dall’orchestra sinfonica, come in questo caso. Io
non so con quale spirito il signor Pachelbel abbia
concepito la sua opera e quale messaggio emotivo avesse in mente di trasmettere, probabilmente è un dato questo che conoscerà solo
qualche musicologo. Per il momento mi felicito
della magnifica interpretazione, la quale dona
maestosità ad una musica creata sulla base di
schemi tutto sommato “umili” (le virgolette sono
d’obbligo) come il canone e la giga.
Fanno parte della raccolta anche il teneramente
mistico “Meditation” di Jules Massenet; un solenne e sommesso “Andante” di Johannes
Brahms; un lieto “Adagio” di Mozart dal bel respiro malinconicamente primaverile; il classico
dei classici “Adagio” di Albinoni e Giazzotto dall’atmosfera particolarmente raccolta e spirituale;
l’Allegretto di Beethoven; un’ancora più classica
“Aria sulla quarta corda” di Bach, particolarmente ispirata e misteriosa; “Valse triste” di Sibelius. Cito a parte il commovente (per me)
“Aases Satz” di Grieg (fu scelto per rappresentare una scena molto drammatica della mia
prima opera teatrale “Maddalena di Canossa”),
questo è un brano di rara intensità e profondo
dolore, che l’autore ha descritto attraverso un
movimento d’archi ed un crescendo da accapponare la pelle (ho quasi le lacrime agli occhi), il finale invece vede un diminuendo fino al
pianissimo... In questa occasione la Berliner e il
Direttore hanno toccato la vetta massima in
quanto ad espressione e drammaticità. Adagio è
per me una riserva d’energia. Mi aiuta a rallentare il ritmo cardiaco, mi allontana le nubi dalla
mente, mi fa sentire migliore. Io l’ ho consigliato
agli amici. Di solito so già cosa aspettarmi da un
assortimento di brani di provenienza eterogenea:
qualità sonora eterogenea! In effetti il materiale
musicale confluisce in questo album dai tempi
del mitico 1968, fino all’anno della caduta del
maledetto muro di Berlino, il 1989. Anche se le
registrazioni sono differenti in tutto e per tutto,
qualche non trascurabile particolare le accomuna: la Berliner sembra essere stata ripresa
nello stesso ambiente e con le stesse modalità
(questo già è qualcosa); le variazioni timbriche fra
un’esecuzione e l’altra sono trascurabili; ciò che
udibilmente varia è la qualità sonora a livello di
definizione, microcontrasto, fluidità e, nel caso
dei brani più “antichi”, anche nell’articolazione
alle frequenze mediobasse. La costante di questo
XRCD24 è certamente il respiro. Tutte le presentazioni sono molto fresche ed incantano per coinvolgimento. Ci troviamo di fronte ad un oggetto,
questo argenteo disco plastico/metallico, tecnologicamente molto sofisticato eppure al suo cospetto (è una metafora) la tecnologia svanisce in
favore dell’arte… o meglio, è l’arte ad avere ragione di tutto. Io, per esempio, ho cominciato a
pensare al suono di Adagio solo ora, perché “obbligato” a badarvi. E qui vorrei introdurre un paio
di concetti a me cari: equilibrio e musicalità.
L’equilibrio in una registrazione serve a fare in
modo che nessun parametro audio prevalga
sugli altri, così come nessuno strumento musicale preponderi sull’insieme (se non espressamente previsto dalla partitura), perché ciò può
distogliere dal messaggio musicale. Purtroppo
molte registrazioni audiofile soffrono di questi
grossolani difetti (io li chiamerei danni). Infatti
troppi auditori di professione si lasciano incantare dalla nitidezza della riproduzione degli strumenti distraendosi inevitabilmente, dal discorso
musicale. La musicalità è invece un valore difficilmente quantificabile, raccontabile e standardizzabile. La musicalità ognuno ce la trova un pò in
quello che gli pare. Però esistono opere, come
questo XRCD24 che permettono di scoprire
cosa sia stato realmente inciso sul master, che
sono capolavori di musicalità. Il grande merito del
sistema JVC (costoso per quanto sia) è quello di
saper immagazzinare molte più informazioni all’interno di un disco red book di qualsiasi altro
metodo convenzionale. All’ascolto si guadagna il
100% di qualità. Dico questo dopo aver confrontato alcuni CD originali con il presente XRCD24.
Ne ha guadagnato la scena acustica: molto più
alta e dilatata in tutte le direzioni. Aumentata la
dinamica e la fluidità. Svanito completamente il
senso di compressione e granulosità del messaggio sonoro. Il godimento di Adagio è assicurato
dall’arte e dalla scienza al suo servizio, non capita spesso.
FDS 173 • DISCHI AUDIOPHILE 95
VARIOUS ARTISTS
BEST AUDIOPHILE VOICES III
(XRCD2 PREMIUM/JVC)
Mi piacerebbe conoscere il grafico che ha ideato le copertine di questa fortunata serie e i responsabili dell’ufficio marketing che le hanno approvate. No, perché se è
vero che anche l’occhio vuole la sua parte… con la terza
compilation ci si accontenta di un verdino pisello-acido
davvero poco attraente. Peccato perché il disco merita
davvero, con tutte quelle belle donne dalle voci meravigliose. D’altro canto sappiamo che non è saggio giudicare un libro dalla copertina, dunque non lo faremo
neanche col CD. La prima canzone è firmata e cantata
dall’autrice ed interprete Sara K. (oh, l’adoro). Che dire…
sono rimasto incantato. La canzone, estratta dal famoso album del 1992: Closer Than They Appear (Chesky Records) dal titolo Vincent, comincia con lo
scintillante arpeggio della sua chitarra folk a quattro
corde, poi la sua voce vellutata fa il suo delicato, femmi-
nile ingresso direttamente nel mio cuore. Il brano è di
quelli semplici, leggermente malinconici ma intrisi dell’emozione della donna che lo vive (proprio) e che ti attanaglia fino alla fine, quando anche il pubblico esplode
nell’applauso liberatorio. La bellezza è donna, c’è poco
da fare. Per nostra fortuna tutte le canzoni sono interpretate da donne, le quali si esibiscono in brani più famosi (Fields of Gold; Alfie; Morning Has Broken) e meno
(che ovviamente non cito). La cosa in cui riesce meglio
questa terza raccolta, al di la dei dichiarati scopi audiofili,
è il rilassamento: ritmi lenti, intenti pacifici e tanta tranquillità. Spesso questo genere di dischi vengono bollati
come noiosi. Ognuno è libero di pensarla come vuole. Io
trovo indispensabili queste musiche perché vanno a collocarsi in momenti precisi della vita. Presto o tardi per
me arriva sempre l’attimo in cui desidero ardentemente
ascoltare musica ma senza impegno e senza rinunciare
alla qualità. E allora ringrazio per la possibilità di poterlo
fare le deliziose cantanti in lizza quest’oggi. Ho esordito
citando Sara K. ma Allison Krauss dove la mettiamo? E
Salena Jones, e Noon e Rebecca Pidgeon… donano momenti di rara magia alle loro performances. Chi acquisterà questo XRCD2 deve sapere che esso è dedicato
alla femminilità, a quella parte di umanità che si dona
alle coccole, alla serenità del prossimo, alla pace interiore, alla bellezza. Il mondo ne ha bisogno. Se qualcuno
fosse tentato di utilizzare Audiophile Voices III per scopi
diversi, vedi “testare l’impianto” non avrebbe una cattiva
idea, basta sapere che l’assortimento musicale è eterogeneo. Ogni brano proviene da registrazioni differenti,
dunque da filosofie di ripresa diverse l’una dall’altra.
Manco a dirlo spiccano le registrazioni Chesky: Sara K.
con Vincent (brano 1) e Rebecca Pidgeon con Auid
Lange Syne/Bring it on Home to Me (brano 14), poi a
seguire vengono tutte le altre. Mediamente l’album è ottimo. So di qualche furbone che ne ha misurato la dina-
mica ed ha fatto una grande scoperta… che questo
XRCD2 non è un granché dinamico. Ma vuoi vedere che
la musica lenta e le ballads sono programmi musicali intrinsecamente poco dinamici? Devo dire che non mi
stupirò mai di scoprire cosa alcune persone s’inventano
pur di non accettare l’evidenza dei fatti. Questa terza
raccolta va ad integrare eventuali lacune lasciate delle
prime due, aumentando la varietà di scelta. Col mio
nuovo Classe A, costruito da un mio geniale amico, compare qualche sibilante. Sostituito col mio solito single
ended parallelo di 2A3 tutto ritorna a posto. Album godibile dall’inizio alla fine e senza fatica alcuna.
CONCLUSIONI
Le conclusioni sono un pò il modo per riassumere quanto detto ma io non lo faccio
quasi mai perché alcuni lettori cercano la
“verità” in queste poche righe… per poi trarre
il loro universo di conclusioni, spesso non
attinenti all’articolo. Tutto quello che posso
dire al termine della mio lavoro è che vale la
pena di approfondire la conoscenza del formato XRCD24. Vi prego di non credere a nessuna delle mie parole e di provare voi stessi a
fare un confronto fra un CD di normale produzione e questi CD a risoluzione estesa. Io,
per quanto mi riguarda ho lasciato decidere
al cuore. Sì, ho scelto il formato che mi ha
emozionato di più, quello che mi ha coinvolto di più, quello che, proponendomi la sua
versione sonora, ha fatto battere più forte il
mio cuore.
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