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L’espropriazione per pubblica utilità: dalle espropriazioni indirette all’acquisizione sanante. Il
nuovo art. 42bis del d.p.r. 327/2001 supera il vaglio della Corte Costituzionale e della
giurisprudenza amministrativa.
A cura di ADRIANO TORTORA
Sommario: 1. – L’espropriazione per pubblica utilità e il diverso significato del diritto di proprietà
nella Costituzione e nella CEDU; 2. - Le c.d. espropriazioni indirette: dalle occupazioni
appropriative e usurpative all’acquisizione sanante 3. Gli artt. 43 e 42bis del d.p.r. 327/2001 a
confronto; 4. L’acquisizione sanante e i nuovi sospetti di incostituzionalità 5. La sentenza della
Corte Costituzionale n. 71 del 2015. L’acquisizione sanante come un’alternativa costituzionalmente
ammissibile all’ordinario procedimento espropriativo; 6. L’acquisizione sanante sotto i riflettori
della giurisprudenza amministrativa; 7. Conclusioni.
1. L’espropriazione per pubblica utilità e il diverso significato del diritto di proprietà nella
Costituzione e nella CEDU.
L’espropriazione per pubblica utilità1 costituisce la limitazione più radicale che la proprietà privata
conosca.
Essa si sostanzia nel trasferimento coattivo e a titolo originario della proprietà (o di altro diritto
reale) da un soggetto privato (espropriato) ad un altro, al fine di consentire al beneficiario del
trasferimento (autorità espropriante o un terzo soggetto, pubblico o privato) il diritto di soddisfare
un interesse generale, con o senza trasformazione del bene.
L’istituto in questione, tra i più controversi nell’ambito del sistema amministrativo italiano, ha dato
luogo ad una molteplicità di questioni, che ancora oggi non hanno trovato una soluzione univoca,
sulle quali si è concentrata la riflessione e l’elaborazione giurisprudenziale degli ultimi due decenni.
1
Per un’esposizione aggiornata della disciplina cfr. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2015; cfr.
Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2013.
1
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E’ utile ricostruire il quadro normativo di riferimento ripercorrendo l’evoluzione che la disciplina
della proprietà ha subito, rimarcando le differenze tra regime nazionale e regolamentazione
europea2.
Lo sviluppo del fenomeno espropriativo, infatti, corrisponde all’evoluzione del diritto di proprietà.
Nella sua configurazione tradizionale3, tale diritto era concepito come sostanzialmente inviolabile;
il ricorso allo strumento ablatorio era, quindi, considerato meramente eccezionale e subordinato,
comunque, alla condizione della corresponsione di una giusta indennità al proprietario.
Tale concezione inizia a mutare nel codice civile del 1942, la cui relazione pone espresso risalto alla
funzione sociale della proprietà, rivelando l’avvio del processo di superamento del modello
individualistico dello ius dominicalis.
Detta evoluzione culmina con la svolta ideologica segnata dall’emanazione della Costituzione
repubblicana nel 19484.
Nella Carta costituzionale, infatti, il diritto di proprietà trova protezione nel contesto più generale
del Titolo III e si configura piuttosto come uno strumento idoneo a disciplinare i rapporti economici
tra i cittadini, non assumendo le caratteristiche di un diritto fondamentale della persona5.
Dalla qualificazione della proprietà in termini di diritto patrimoniale discende la possibilità di
limitarne l’esplicazione, fino alla sua massima compressione in virtù di una vicenda espropriativa,
che spogli il proprietario mediante il trasferimento del bene alla mano pubblica. In questo caso, la
compressione della proprietà viene garantita da una riserva di legge, la quale assicura che
l’espropriazione avvenga in presenza di taluni presupposti e mediante un procedimento disciplinato
dalla legge. Al legislatore viene attribuito il potere di determinare “i modi d’acquisto, di godimento
e i limiti allo scopo di assicurare la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”6.
2
Sull’incidenza dei principi europei sulla fisionomia attuale della proprietà, vd. i contributi raccolti in D’AMICO (a cura
di), Proprietà e diritto europeo, Esi, 2013; Trimarchi, Proprietà ed indennità di espropriazione, in Eur. E dir. Priv.,
2009, 1056.
3
Per una densa ricostruzione delle linee evolutive del diritto di proprietà in relazione alla CEDU, cfr. Manganaro, La
Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il diritto di proprietà, cit., 379 ss.; rilievi critici sono mossi da CRISAFULLI,
La tutela dei diritto di proprietà nella CEDU, con particolare riferimento alla ipotesi di confisca dei beni, in TUCCI (a
cura di), Occupazione usurpativa e confische, cit. 46 ss.
4
Sulla relazione tra proprietà e identità nazionale, v. SALVI, Proprietà, libertà e funzione sociale. Principi e regole, in
D’AMICO (a cura di), Proprietà e diritto europeo, cit., 45 e ss.; RAMACCIONI, La proprietà privata, l’identità
costituzionale e la competizione tra modelli, in Eur. E dir. Priv., 2010, 882 ss.
5
Sui LIMITI del diritto di proprietà si vd. F. MACARIO, art. 42, in R. Bifulco-Celotto-Olivetti, Commentario alla
Costituzione.
6
A riprova della natura che la Costituzione repubblicana attribuisce al diritto di proprietà e del potere che viene
riservato al legislatore nella definizione dei relativi limiti, cfr. BASSANINI, in Basi costituzionali della proprietà privata,
in Pol. Dir., n. 4-5, 1971, pag. 461, per cui “poiché la norma costituzionale dell’art. 42 non dispone nulla circa i
principi a cui la legge deve ispirarsi o i limiti a cui deve attenersi, il legislatore ordinario ha la facoltà di disciplinare il
riconoscimento o la garanzia del diritto di proprietà in quasi assoluta libertà, a seconda di quanto ritenga
maggiormente idoneo”.
2
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Se la Costituzione italiana opera la c.d. funzionalizzazione in senso sociale della proprietà privata,
ben diversa appare l’impostazione ideologica sottesa alla disciplina europea.
La Carta Europea dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea, infatti, riserva il rango di diritto
inviolabile della persona al diritto di proprietà, coerentemente con l’approccio di tradizione liberale
che caratterizza la Convenzione7.
Si stabilisce, infatti, che”ogni individuo ha il diritto di godere della proprietà dei beni che ha
acquistato legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità. Nessuno può essere privato
della libertà se non per causa di pubblico interesse, nei casi e nei modi previsti dalla legge e contro
il pagamento in tempo utile di una giusta indennità per la perdita della stessa. L’uso dei beni può
essere regolato dalla legge nei limiti imposti dall’interesse generale. La proprietà intellettuale è
protetta”
Ispirata ad una concezione individualistica del diritto di proprietà, la Costituzione europea non
menziona la funzione sociale della stessa, concentrando la propria attenzione sui diritti del
proprietario, comprimibili solo per causa di pubblico interesse e all’esito di una procedura
espressamente disciplinata dalla legge.
Dal carattere inviolabile del diritto di proprietà deriva, implicitamente, la stigmatizzazione degli
acquisti sine titulo8.
L’art. 17 CEDU, infatti, recependo l’insegnamento della Corte europea dei diritti dell’uomo,
considera meritevole di tutela solo la proprietà dei beni acquistata legalmente.
Ebbene, è proprio il diverso statuto riservato dalla CEDU al diritto di proprietà che ha generato un
accesso dibattito tra giurisprudenza nazionale e Corte Europea dei diritti dell’uomo, le quali si sono
confrontate sui presupposti per una legittima espropriazione, con particolare riferimento al
fenomeno italiano delle c.d. “espropriazioni indirette”.
2. - Le c.d. espropriazioni indirette: dalle occupazioni appropriative e usurpative
all’acquisizione sanante.
L’espropriazione per pubblica utilità è regolata da un procedimento amministrativo che, in base alla
disciplina recata dal T.U., si snoda attraverso tre fasi fondamentali: l’apposizione del vincolo
preordinato all’esproprio; la dichiarazione di pubblica utilità e, infine, l’emanazione del decreto
d’esproprio, previa determinazione dell’indennità.
7
MANGANARO, La Convenzione europea dei diritto dell’uomo e il diritto di proprietà, 379 ss.
La posizione della Corte Europea dei diritti dell’Uomo rispetto alla “espropriazione indiretta” è di assoluta ostilità: con
riferimento all’art. 43 t.u., Corte Eur. Dir. Uomo, 12.01.2006, Sciarrotta ed altri c. Italia; Corte Eur. Dir. Uomo,
15.07.2005, Carletta c. Italia.
8
3
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Quest’ultimo atto determina, da un lato, l’effetto ablativo a carico del soggetto proprietario e,
dall’altro, l’acquisizione del bene al patrimonio indisponibile dell’Amministrazione beneficiaria
dell’espropriazione.
I problemi sorgono, tuttavia, quando l’autorità espropriante non applica le garanzie previste dal
procedimento di esproprio e compie, comunque, una trasformazione della proprietà occupata.
In tale contesto, si collocavano tradizionalmente gli istituti di creazione giurisprudenziale
dell’occupazione “appropriativa” ed “usurpativa”, oggi superati dal meccanismo dell’acquisizione
sanante9.
In sintesi, la prima10 era caratterizzata da un’anomalia del procedimento espropriativo, a causa della
sua mancata conclusione con un formale atto ablativo, mentre la seconda11 era collegata alla
trasformazione del fondo di proprietà privata, in assenza di dichiarazione di pubblica utilità.
Nel primo caso (a partire dalla sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite civili, 26 febbraio
1983, n. 1464), l’acquisto della proprietà conseguiva ad un’inversione della fattispecie civilistica
dell’accessione di cui agli artt. 935 e seguenti cod. civ., in considerazione della trasformazione
irreversibile del fondo.
Secondo questa ricostruzione, la destinazione irreversibile del suolo privato, illegittimamente
occupato, comportava l’acquisto a titolo originario da parte dell’ente pubblico della proprietà del
suolo e la contestuale estinzione del diritto di proprietà del privato.
La successiva sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite civili, 10 giugno 1988, n. 3940,
precisò i confini dell’istituto dell’«occupazione acquisitiva», limitandola al caso in cui si
riscontrasse una valida dichiarazione di pubblica utilità che permetteva di far prevalere l’interesse
pubblico su quello privato.
L’«occupazione usurpativa», invece, ricorreva quando la pubblica amministrazione procedeva
all’occupazione di un fondo per la realizzazione di un’opera pubblica: - in assenza della
9
COMPORTI, L’occupazione illegittima di immobili da parte della p.a. fra la disciplina della proprietà e quella
dell’illceito, in Riv. Giur. Edil., 1981, 177 ss;
10
Per la lunga e annosa vicenda dell’occupazione appropriativa, cfr. GAMBARO, voce “Occupazione acquisitiva”, 854
ss; Id., L’occupazione acquisitiva e i dialoghi tra formanti, 389 ss; COMPORTI, L’occupazione illegittima di immobili da
parte della p.a. fra la disciplina della proprietà e quella dell’illecito, 177 ss; CONTI, L’occupazione acquisitiva: tutela
della proprietà e diritti umani, 3 ss. L’istituto ha sollevato numerose critiche: “i principali rilievi mossi nei suoi
confronti possono essere così sintetizzati: l’introduzione nell’ordinamento di un vulnus al c.d. numerus clausus dei
modi di acquisto della proprietà che ex artt. 42, comma 2, Cost. e 922 c.c., possono essere stabiliti solo dalla legge;
l’assenza in materia di norme giuridiche dotate dei requisiti della chiarezza e dell’accessibilità; l’inadeguatezza degli
strumenti di tutela attribuiti al privato per reagire alle indebite aggressioni al suo diritto di proprietà e dei criteri
risarcitori individuati per reintegrare il valore del bene perduto”così F. TEDESCHI; cfr. anche VIGNALE, L’espropriazione
per pubblica utilità nell’attuale carenza normativa, Napoli, 1986.
11
Sul tema delle occupazioni abusive della Pubblica Amministrazione cfr. in dottrina: F. VOLPE, Le espropriazioni
amministrative senza potere, Padova, 1996;
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dichiarazione di pubblica utilità; - quando la dichiarazione di pubblica utilità originariamente
rilasciata fosse stata poi annullata; - in caso di sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di
pubblica utilità per inutile decorso dei termini previsti per l’esecuzione dell’opera.
In tali casi, l’autorità amministrativa poneva in essere un’attività materiale integrante un illecito
extracontrattuale permanente, dando luogo ad una situazione di carenza di potere in concreto della
p.a.
Numerosi sono stati i profili di criticità sollevati contro tali istituti12, sui quali si è concentrato il
dibattito pretorio e dottrinario.
La Corte di Strasburgo, in plurime sentenze (cfr. sentenze Belvedere Alberghera S.r.l. c. Italia e
Crabonara e Ventura c. Italia del 2000), ha ravvisato una violazione del principio di legalità, inteso
come preminenza del diritto sulle situazioni abusive.
In particolare, secondo quanto osservato dalla Corte di Strasburgo, ad essere incompatibile con il
requisito della legalità, non era tanto il fatto che quello delle occupazioni indirette fosse un principio
di creazione meramente pretoria, ma la circostanza che l’applicazione di tali istituti sfociasse in
risultati imprevedibili e arbitrari, lesivi dei principi di certezza e garanzia dei diritti.
In secondo luogo, la Corte CEDU ha ritenuto che non apparisse comunque compatibile con il
principio di legalità un meccanismo che consentiva, in via generale, di trarre beneficio da una
situazione illecita.
3. – L’acquisizione sanante: dall’art. 43 e all’art. 42bis del d.p.r. 327/2000. I due istituti a
confronto.
Nel tentativo di adeguarsi ai principi della CEDU che escludono tou court le espropriazioni sine
titulo, il legislatore del Testo unico ha disciplinato la c.d. occupazione provvedimentale o
acquisizione sanante.
L’art. 43 del T.U. n. 327 del 200113 è stato introdotto al fine di risolvere i problemi dogmatici delle
c.d. espropriazioni indirette, consentendo all’amministrazione il potere discrezionale di acquisire in
sanatoria, con atto ablativo formale, la proprietà delle aree occupate nell’interesse pubblico in
carenza di titolo, escludendo acquisizioni di “mero fatto”.
12
La distinzione tra occupazione “acquisitiva” o “usurpativa” ad oggi appare priva di rilevanza ai fini del discorso in
ordine alle conseguenze dell’illecito della p.a., cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 24 aprile 2013 n. 2279 per cui
“La distinzione tra occupazione appropriativa ed usurpativa ha perso significato sia con riferimento alla giurisdizione
che alla decorrenza del termine di prescrizione, trattandosi nei due casi di un illecito permanente come affermato dalla
più recente giurisprudenza amministrativa, aderendo alle argomentazioni svolte in più occasioni dalla Corte europea dei
diritti umani”.
13
Sul punto cfr. ZAMPETTI, Acquisizione sanante e principi costituzionali, in Dir. Amm., fasc. 3, 2011, pag. 569.
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L’istituto dell’acquisizione per decreto comprendeva, quindi, sia le ipotesi riconducibili
all’occupazione acquisitiva, che le ipotesi riconducibili all’acquisizione usurpativa, con una
sostanziale equiparazione tra le due fattispecie.
Nonostante l’art. 43 del T.U. fosse adottato principalmente per rispondere all’esigenza di adeguare
l’ordinamento interno alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, l’espressa previsione di uno
strumento di legittima acquisizione del bene privato in assenza di tutte le garanzie previste dalla
procedura espropriativa non aveva posto fine alle perplessità dei giudici di Strasburgo, che hanno
continuato ad esprimere seri dubbi in ordine al nuovo istituto14.
Il Giudice delle leggi è intervenuto sulla questione con sentenza n. 293 del 2010, dichiarando
l’illegittimità costituzionale dell’art. 43, t.u. n. 327 del 2001, per violazione dell’art. 76 Cost., sul
rilievo che la legge-delega aveva conferito al legislatore delegato il potere di provvedere soltanto ad
un ordinamento “formale” delle disposizioni vigenti, mentre l’istituto de quo è connotato da
numerosi aspetti di novità15.
14
Per una ricostruzione delle critiche mosse al regime previsto dall’art. 43 cfr. FRANCESCO ROMANO, Illegittimità del
procedimento di esproprio e obbligo di restituzione del bene, in Riv. Giur. Edilizia, fasc. 2, 2012, pag. 376.
15
Corte Cost. sent. n. 293/2010, in cui il Giudice delle Leggi rileva come “La legge-delega aveva conferito, sul punto,
al legislatore delegato il potere di provvedere soltanto ad un coordinamento «formale» relativo a disposizioni
«vigenti». L’istituto previsto e disciplinato dalla norma impugnata, viceversa, è connotato da numerosi aspetti di
novità, rispetto sia alla disciplina espropriativa oggetto delle disposizioni espressamente contemplate dalla leggedelega, sia agli istituti di matrice prevalentemente giurisprudenziale.
In primo luogo, non è dato ravvisare nelle leggi indicate nel citato allegato I, alla legge n. 59 del 1997, alcuna norma
che potesse giustificare un intervento della pubblica amministrazione, in via di sanatoria, sulle procedure ablatorie
previste. Inoltre, neppure può farsi riferimento al contesto degli orientamenti giurisprudenziali sopra richiamati, in
quanto più profili della cosiddetta «acquisizione sanante», così come disciplinata dalla norma censurata, eccedono con
tutta evidenza dagli istituti della occupazione appropriativa e della occupazione usurpativa, così come delineati da
quegli orientamenti. Il citato art. 43, infatti, ha anzitutto assimilato le due figure, introducendo la possibilità per
l’amministrazione e per chi utilizza il bene di chiedere al giudice amministrativo, in ogni caso e senza limiti di tempo,
la condanna al risarcimento in luogo della restituzione. Peraltro, esso estende tale disciplina anche alle servitù,
rispetto alle quali la giurisprudenza aveva escluso l’applicabilità della cosiddetta occupazione appropriativa,
trattandosi di fattispecie non applicabile all’acquisto di un diritto reale in re aliena, in quanto difetta la non
emendabile trasformazione del suolo in una componente essenziale dell’opera pubblica. Infine, la norma censurata
differisce il prodursi dell’effetto traslativo al momento dell’atto di acquisizione. Si tratta di elementi di sicuro rilievo e
qualificanti, i quali dimostrano che la norma in esame non solo è marcatamente innovativa rispetto al contesto
normativo positivo di cui era consentito un mero riordino, ma neppure è coerente con quegli orientamenti di
giurisprudenza che, in via interpretativa, erano riusciti a porre un certo rimedio ad alcune gravi patologie emerse nel
corso dei procedimenti espropriativi. Siffatto carattere della norma impugnata trova conferma significativa nella
circostanza che, secondo la giurisprudenza di legittimità, in materia di occupazione di urgenza, la sopravvenienza di un
provvedimento amministrativo non poteva avere un’efficacia sanante retroattiva, determinata da scelte discrezionali
dell’ente pubblico o dai suoi poteri autoritativi. Nel regime risultante dalla norma impugnata, invece, si prevede un
generalizzato potere di sanatoria, attribuito alla stessa amministrazione che ha commesso l'illecito, a dispetto di un
giudicato che dispone il ristoro in forma specifica del diritto di proprietà violato. Il legislatore delegato, in definitiva,
non poteva innovare del tutto ed al di fuori di ogni vincolo alla propria discrezionalità esplicitamente individuato dalla
legge-delega. Questa Corte ha in proposito affermato, infatti, che, per quanta ampiezza possa riconoscersi al potere di
riempimento del legislatore delegato, «il libero apprezzamento» del medesimo «non può mai assurgere a principio od a
criterio direttivo, in quanto agli antipodi di una legislazione vincolata, quale è, per definizione, la legislazione su
delega» (sentenze n. 340 del 2007 e n. 68 del 1991)”.
6
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La declaratoria di incostituzionalità16 della norma censurata si è limitata alla sola verifica
concernente la violazione dell’art. 76 Cost., prospettando, solo in via incidentale, la sussistenza di
legittimi dubbi in ordine alla compatibilità dell’istituto con la CEDU17.
In tale panorama normativo e giurisprudenziale, il legislatore è intervenuto sulla questione
introducendo nel d.p.r. 327/2001 il nuovo articolo 42 bis18, deputato a ridisciplinare l’istituto
dell’acquisizione sanante dopo le censure mosse dalla Corte costituzionale, al fine di colmare il
vuoto normativo che si era prodotto all’indomani dell’abrogazione dell’articolo 43 TU
dall’ordinamento.
L’art. 42-bis ha certamente reintrodotto la possibilità, per l’amministrazione che utilizza senza titolo
un bene privato per scopi di interesse pubblico, di evitarne la restituzione al proprietario (e/o la
riduzione in pristino stato), attraverso un atto di acquisizione coattiva al proprio patrimonio
indisponibile. Tale atto sostituisce il regolare procedimento ablativo prefigurato dal T.U. sulle
espropriazioni, e si pone, a sua volta, come una sorta di “procedimento espropriativo semplificato,
che assorbe in sé sia la dichiarazione di pubblica utilità, sia il decreto di esproprio, e quindi
sintetizza uno actu lo svolgimento dell’intero procedimento, in presenza dei presupposti indicati
dalla norma”19.
Il legislatore ha riprodotto nella sostanza il meccanismo del provvedimento di “acquisizione
sanante”, con alcune novità, ricettive peraltro delle indicazioni che la giurisprudenza aveva già
fornito in sede di interpretazione dell’art. 43.
In primo luogo, l’art. 43 si limitava a richiedere una mera “valutazione degli elementi in conflitto”,
quale condizione per l’adozione del provvedimento di acquisizione, mentre l’art. 42bis, attualmente
in vigore, richiede che esso sia “specificamente motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali
ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l’emanazione, valutate comparativamente con i
contrapposti interessi privati ed evidenziando l’assenza di ragionevoli alternative alla sua
adozione”.
Un’ulteriore novità riguarda il calcolo dell’indennizzo, nel quale viene fatto rientrare non solo il
danno patrimoniale, ma anche quello non patrimoniale, forfetariamente liquidato.
16
MIRATE, L’incostituzionalità dell’acquisizione sanante per eccesso di delega: un “punto e basta” o solo un “punto a
capo?” Nota a Corte Costituzionale, 8 ottobre 2010, n. 293, in Responsabilità civile e Previdenza, fasc. 1, 2011, 69.
17
Corte cost. sent. 293/2010, in cui ammonisce che l’istituto nel merito “neppure è coerente con quegli orientamenti di
giurisprudenza che, in via interpretativa, erano riusciti a porre un certo rimedio ad alcune gravi patologie”).
18
Articolo aggiunto al Testo unico dell’art. 34, D.L. 6luglio 2011, n. 98 convertito con modificazioni dalla legge 15
luglio 2011, n.111.
19
Cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 71/2015.
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E’ previsto inoltre che gli effetti del provvedimento si producano solo al pagamento dell’indennità e
che lo stesso provvedimento sia immediatamente comunicato alla Corte dei Conti, ai fini della
valutazione di eventuali profili di responsabilità amministrativa20.
4. L’acquisizione sanante e i nuovi sospetti di incostituzionalità.
Nonostante l’evoluzione sopra descritta e il sistema di garanzie riservato al privato dal nuovo
meccanismo sanante, la disciplina in esame ha continuato ad alimentare dubbi di costituzionalità.
Il procedimento di acquisizione sanante sembrerebbe, infatti, consentire all’Amministrazione di
trarre un vantaggio da un proprio atto o comportamento illecito, garantendole un privilegio
ingiustificato alla luce del disposto dell’art. 3 Cost.
Tali dubbi di legittimità costituzionale sono stati riscontrati dalla Corte di Cassazione, a Sezioni
Unite21, la quale ha rimesso la questione al Giudice delle leggi.
In particolare, con l’ordinanza di rimessione 13 gennaio 2014, n. 442, la Corte di Cassazione ha
dichiarato rilevanti e non manifestamente infondate “le questioni di legittimità costituzionale
riguardanti l'art. 42 bis, del T.U. appr. con D.P.R. n. 327 del 2001: - per contrasto con il precetto di
eguaglianza nonchè di ragionevolezza intrinseca di cui all'art. 3 Cost., sotto ciascuno dei diversi
profili di cui in motivazione, involgenti anche l'art. 24 Cost.;- per contrasto con i precetti e le
garanzie posti dall'art. 42 Cost. a tutela della proprietà privata, nonchè con il principio di legalità
dell'azione amministrativa contenuto negli artt. 97 e 113 Cost.: sotto i diversi profili di cui in
motivazione; - per contrasto con l'art. 117 Cost., comma 1, anche alla luce dell'art. 6 e dell'art. 1 del
1^ prot. add. della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali,sotto i
diversi profili di cui in motivazione, con cui se ne è evidenziata la disciplina lesiva del diritto di
proprietà, nonchè del diritto al rispetto dei propri beni, in violazione dei vincoli derivanti dagli
obblighi internazionali; - per contrasto con l'art. 111, commi 1 e 2, nonchè art. 117 Cost., anche alla
luce dell'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nella
20
Sulle differenza tra il previgente art. 43 del d.p.r. n. 327 del 2001 e l’art. 42 bis cfr. SALVIA, Un “legale rimedio” per
acquisire la proprietà dei beni illegittimamente occupati dalla PA: l’acquisizione sanante supera il vaglio della Corte
Costituzionale, in Osservatorio Costituzionale 2015.
21
Cass. SS. UU. Ord del 13 gennaio 2014 n. 442: “In linea più generale, infatti, dottrina e giurisprudenza si sono
chieste se alla P.A. che abbia commesso un fatto illecito, fonte per qualsiasi soggetto dell'obbligazione
risarcitoria/restitutoria di cui agli artt. 2043 e 2058 cod. civ., possa essere riservato un trattamento privilegiato
(conforme alla normativa dell'art. 3 Cost.) ed attribuita la facoltà di mutare, successivamente all'evento dannoso
prodotto nella sfera giuridica altrui, e per effetto di una propria unilaterale manifestazione di volontà, il titolo e
l'ambito della responsabilità, nonchè il tipo di sanzione (da risarcimento in indennizzo) stabiliti in via generale dal
precetto del "neminem laedere" per qualunque soggetto dell'ordinamento. Soprattutto al lume del principio
costituzionale (ritenuto da Corte Costit. 204/2004 "una conquista liberale di grande importanza") che nel sistema
vigente è privilegiata la tutela della funzione amministrativa e non della p.a.come soggetto.”
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parte in cui, disponendo l'applicabilità ai giudizi in corso della disciplina in questione anche relativa
alla determinazione dell'indennizzo/risarcimento del danno per occupazione illegittima in essa
contenute, viola i principi del giusto processo, in particolare le condizioni di parità delle parti
davanti al giudice, che risultano lese dall'intromissione del potere legislativo nell'amministrazione
della giustizia allo scopo di influire sulla risoluzione di una circoscritta e determinata categoria di
controversie”22.
A detta delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, la nuova operazione “sanante” – in tutte le
fattispecie individuate dall’art. 42bis, compresa quella di utilizzazione del bene senza titolo “in
assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio” – presenterebbe numerosi ed
insuperabili profili di contrasto con le norme convenzionali, non risolvibili in via ermeneutica, sulla
base dell’interpretazione offerta dalla Corte di Strasburgo dalle tre norme dell’art. 1 del Primo
Protocollo addizionale della CEDU (principio generale di rispetto della proprietà; privazione della
proprietà solo alle condizioni indicate; riconoscimento agli Stati del potere di disciplinare l’uso dei
beni in conformità all’interesse generale).
Sempre nell’ordinanza de qua, la Corte di Cassazione ha ribadito la necessità di valorizzare “la
funzione del procedimento espropriativo, quale unica sede idonea a garantire la predeterminazione
degli interessi pubblici prodromici all’espropriazione, anche in contraddittorio con il destinatario
del provvedimento, non quale mero requisito formale, ma quale specifica garanzia costituzionale,
strumentale alla tutela di preminenti valori giuridici ”.
5. La sentenza della Corte Costituzionale n. 71 del 2015. L’acquisizione sanante come
un’alternativa costituzionalmente ammissibile all’ordinario procedimento espropriativo.
La sentenza 71/201523 rappresenta un ulteriore tassello nel “dialogo” costantemente in corso tra le
Corti in materia di tutela del diritto di proprietà.
La Corte Costituzionale, infatti, ha respinto i rilievi di incostituzionalità promossi dalla Corte di
Cassazione, sancendo definitivamente la legittimità del nuovo meccanismo “sanante”.
Quanto alla censura attinente il contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., il Giudice delle leggi ha rilevato
come, secondo il costante orientamento della giurisprudenza costituzionale, “la violazione del
principio di eguaglianza sussiste solo qualora situazioni sostanzialmente identiche siano
22
Cfr. Corte di Cassazione, Sezioni Unite, ord. 13 gennaio 2014, n. 442.
In dottrina, cfr. ARTARIA-BARILÀ, La nuova disciplina dell’acquisizione sanante secondo la Corte Costituzionale, in
Urbanistica e appalti, 2015, fasc. 7 pag. 773 – 784; FOLLIERI, La disciplina amministrativa dell'occupazione del suolo
senza seguire le regole ordinarie dell'espropriazione, con particolare riferimento all'art. 42 bis T.U.E.P.U, 2013.
23
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disciplinate in modo ingiustificatamente diverso, ma non quando alla diversità di disciplina
corrispondano situazioni non assimilabili, sempre con il limite generale dei principi di
proporzionalità e ragionevolezza”24.
Nel caso di specie, osserva la Corte costituzionale, i giudici rimettenti omettono di considerare che,
se pure il presupposto di applicazione della norma sia «l’indebita utilizzazione dell’area» – ossia
una situazione creata dalla pubblica amministrazione in carenza di potere – tuttavia l’adozione
dell’atto acquisitivo, con effetti non retroattivi, è certamente espressione di un potere attribuito
appositamente dalla norma impugnata alla stessa pubblica amministrazione. Con l’adozione di tale
atto, quest’ultima riprende a muoversi nell’alveo della legalità amministrativa.
Secondo l’impostazione della Consulta, la norma censurata delineerebbe pur sempre una procedura
espropriativa, che in quanto tale non può non presentare alcune caratteristiche essenziali25, anche se
caratterizzata da profili di “eccezionalità”.
Si è parlato, in proposito, di una procedura espropriativa “necessariamente semplificata nelle forme,
ma complessa negli esiti”, prevedendosi l’adozione di un provvedimento “specificatamente
motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano
l’emanazione, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando
l’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione”.
Quanto alla contestata violazione dell’art. 42 della Costituzione, i giudici di legittimità hanno
sottolineato che la potestà espropriativa ha carattere eccezionale, essendo l’adozione dell’atto
acquisitivo concessa alla P.A. esclusivamente allorché costituisca “extrema ratio per la
soddisfazione di attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico”, risultando così valorizzati i
motivi di interesse generale ex art. 42 Cost. La funzione sociale esprime, infatti, “accanto alla
somma dei poteri attribuiti al proprietario nel suo interesse, il dovere di partecipare alla
soddisfazione di interessi generali”.
In definitiva, “solo quando siano stati escluse, all’esito di una effettiva comparazione con i
contrapposti interessi privati, altre opzioni, compresa la cessione volontaria mediante atto di
compravendita, e non sia ragionevolmente possibile la restituzione, totale o parziale, del bene,
previa riduzione in pristino, al privato illecitamente inciso nel suo diritto di proprietà”26.
La Consulta ha peraltro evidenziato come il nuovo meccanismo acquisitivo presenti significative
differenze rispetto all’art. 43 del T.U. sulle espropriazioni.
24
Cfr. Corte Costituzionale, sent. n. 71 del 2015.
Sulla legittimità costituzionale e sulla compatibilità con le norma sovranazionali dell’attuale disciplina si era già
espresso anche Consiglio di Stato, Sez. VI, 16 marzo 2012, n. 1438, vedi commento di G. Cocozza, L’art. 42bis del
d.p.r. 8 giugno 2001, n. 327: la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale nella sentenza del
Consiglio di Stato, sez. VI, 15 marzo 2012, n. 1438, in Rivista giur edilizia, fascicolo 1, 2012, pag.1.
26
Cfr. Corte Costituzionale, sent. n. 71 del 2015.
25
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In tale prospettiva, è stato rilevato come la nuova disposizione disponga espressamente che
l’acquisto della proprietà del bene da parte della pubblica amministrazione avvenga ex nunc, vale a
dire solo al momento dell’emanazione dell’atto di acquisizione (ciò che impedisce l’utilizzo
dell’istituto in presenza di un giudicato che abbia già disposto la restituzione del bene al privato).
Inoltre, la norma censurata impone uno specifico obbligo motivazionale “rafforzato” in capo alla
pubblica amministrazione procedente, che deve indicare le circostanze che hanno condotto alla
indebita utilizzazione dell’area e se possibile la data dalla quale essa ha avuto inizio.
La motivazione, in particolare, deve esibire le «attuali ed eccezionali» ragioni di interesse pubblico
che giustificano l’emanazione dell’atto, valutate comparativamente con i contrapposti interessi
privati, e deve, altresì, evidenziare l’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione.
Ancora, nel computo dell’indennizzo viene fatto rientrare non solo il danno patrimoniale, ma anche
quello non patrimoniale, forfetariamente liquidato nella misura del 10 per cento del valore venale
del bene.
Il passaggio del diritto di proprietà, inoltre, è sottoposto alla condizione sospensiva del pagamento
delle somme dovute27, da effettuare entro 30 giorni dal provvedimento di acquisizione.
Non è stata più riproposta la cosiddetta acquisizione in via giudiziaria, precedentemente prevista dal
comma 3 dell’art. 43, ed in virtù della quale l’acquisizione del bene in favore della pubblica
amministrazione poteva realizzarsi anche per effetto dell’intervento di una pronuncia del giudice
amministrativo, volta a paralizzare l’azione restitutoria proposta dal privato.
Non secondaria, nell’economia complessiva del nuovo istituto, è infine la previsione (non presente
nel precedente art. 43) in base alla quale l’autorità che emana il provvedimento di acquisizione ne
dà comunicazione, entro trenta giorni, alla Corte dei conti mediante trasmissione di copia integrale.
27
Con la recente ordinanza n. 22096 del 29 ottobre 2015, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno chiarito che
la giurisdizione in materia di azione del privato volta a contestare l’indennizzo determinato dalla P.A. nei casi previsti
dall’art. 42-bis del T.U. n. 327 del 2001 appartiene al giudice ordinario (cfr. Corte di Cassazione, Sezioni Unite, ord.
n.22096 del 29 ottobre 2015: “In definitiva - alla luce di tutte le considerazioni che precedono e, in particolare, di
quelle svolte dalla Corte costituzionale con la più volte richiamata sentenza n. 71 del 2015 -, può affermarsi che, nella
fattispecie delineata dall'art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001, l'illecita o l'illegittima utilizzazione di un bene immobile
da parte dell'amministrazione per scopi di interesse pubblico costituisce soltanto il presupposto indispensabile,
unitamente alle altre specifiche condizioni previste da tale articolo, per l'adozione - si noti: nell'ambito di un apposito
procedimento espropriativo, del tutto autonomo rispetto alla precedente attività della stessa amministrazione (cfr. la
più volte citata sentenza della Corte costituzionale, nn. 6.7. e 6.8. del Considerato in diritto) - del peculiare
provvedimento di acquisizione ivi previsto (presupposto da indicare puntualmente nella motivazione di tale
provvedimento: «Il provvedimento di acquisizione, recante l'indicazione delle circostanze che hanno condotto alla
indebita utilizzazione dell'area e se possibile la data dalla quale essa ha avuto inizio, [...]»: comma 4), con la
conseguenza che, ove detto autonomo, speciale ed eccezionale procedimento espropriativo sia stato legittimamente
promosso, attuato e concluso, «l'indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale», in quanto previsto dal
legislatore per la perdita della proprietà del predetto bene immobile, non può che conferire all'indennizzo medesimo
natura non già risarcitoria ma indennitaria, con l'ulteriore corollario che le controversie aventi ad oggetto la domanda
di «determinazione [o di] corresponsione delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o
ablativa» sono attribuite alla giurisdizione del Giudice ordinario”).
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In definitiva, la Corte costituzionale ha qualificato l’acquisizione sanante come un’alternativa
costituzionalmente ammissibile all’ordinario procedimento espropriativo.
6. L’acquisizione sanante sotto i riflettori della giurisprudenza amministrativa.
La giurisprudenza amministrativa28, anche prima dell’introduzione del nuovo art. 42 bis e
dell’intervento della Consulta, ha manifestato un atteggiamento costantemente positivo nei
confronti dell’acquisizione sanante.
A proposito del previgente art. 43, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato29 aveva sostenuto che
la norma fosse conforme ai parametri fondamentali di costituzionalità e di conformità alla CEDU
(Adunanza Plenaria del 29 aprile 2005, n.2).
Stessa posizione favorevole è stata mantenuta in merito alla costituzionalità dell’art. 42 bis del d.p.r.
327/2001.
Si è osservato, in proposito, che la giurisprudenza della Corte di Strasburgo avrebbe stigmatizzato
non tanto il vecchio art. 43, quanto la prassi italiana di permettere il trasferimento del diritto di
proprietà alla P.A. in assenza di un provvedimento ablativo, sicché l’art. 42-bis è definito come una
“legale via d’uscita dal problema”30 .
A seguito della richiamata pronuncia della Corte costituzionale n. 71 del 2015, con la sentenza n.
4777 del 19.10.2015, il Consiglio di Stato ha consolidato il primo orientamento, affermando che
l’art. 42 bis elimina definitivamente quella situazione di “defaillance structurelle” lamentata dalla
Corte CEDU riguardo al fenomeno italiano delle espropriazioni indirette, in considerazione
dell’efficacia ex nunc del provvedimento, della rinnovazione della valutazione di attualità e
prevalenza dell’interesse pubblico all’acquisizione nonché nello stringente obbligo motivazionale.
28
Sui rapporti tra giurisprudenza costituzionale e giurisprudenza amministrativa, cfr. PONTE, L’acquisizione sanante: la
coincidenza Corte Costituzionale-Consiglio di Stato, in Giurisprudenza amministrativa 2015.
29
Cfr. MADDALENA, Dalla occupazione appropriativa alla acquisizione ad effetti sananti: osservazioni a margine
dell’Adunanza Plenaria n. 2 del 2005, in Foro amministrativo – Cds, 2005, pag. 2108.
30
vd. sul punto, Consiglio di Stato, sent. n. 1438 del 16 marzo 2012: “L’art. 42 bis è una norma costituzionalmente
legittima in quanto introduce una disciplina sensibilmente diversa rispetto al previgente art. 43 d.p.r. n. 327/2001, tale
da superare in maniera manifesta ogni possibile profilo di conflitto con la normativa costituzionale e con la disciplina
CEDU; ed ancora, Consiglio di Stato, sent. n. 1514 del 2012,: “L’art. 42 bis TU espr. regola i rapporti tra potere
amministrativo di acquisizione in sanatoria e processo amministrativo di annullamento, in termini di autonomia,
consentendo l’emanazione del provvedimento dopo che sia stato annullato l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato
all’esproprio, l’atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un’opera o il decreto d’esproprio o anche durante la
pendenza di un giudizio di annullamento degli atti citati. L’art. 42bis non ripropone, invece, lo schema del comma 2
dell’originario art. 43, che attribuiva all’amministrazione la facoltà e l’onere di chiedere la limitazione alla sola
condanna risarcitoria, ed al giudice il potere di escludere senza limiti di tempo la restituzione del bene, con il
corollario dell’obbligatoria e successiva emanazione dell’atto di acquisizione”.)
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Anche il Tar Lazio, nella recente sentenza n. 12025 del 20.10.2015, ha configurato il meccanismo
dell’acquisizione sanante tra i legittimi strumenti di acquisizione della proprietà in capo
all’Amministrazione pubblica.
Nella richiamata sentenza, infatti, si legge che “L’acquisto della proprietà in capo
all’Amministrazione può avvenire, infatti, oltre che per via negoziale, solo a seguito di
procedimento espropriativo o in virtù dello strumento di cui all’art. 42 bis del d.p.r. 8.6.2001 n.
327, introdotto dall’art. 34, comma 1, del d.l. 6.7.2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla
legge 15.7.2011, n. 111, e che ha superato positivamente il vaglio della Consulta”.
Sempre in tale sentenza, il giudice amministrativo si è pronunciato in punto di “rimedi” contro
l’occupazione sanante31, specificando che, in tal caso, essendo esercitata una nuova attività
amministrativa legittima, al proprietario è dovuto un quantum, non già a titolo di risarcimento, bensì
di indennizzo32.
7. Conclusioni.
Dall’esame complessivo della disciplina, emerge come ad oggi l’acquisizione sanante costituisca
effettivamente un’alternativa costituzionalmente ammissibile all’ordinario procedimento
espropriativo, nel limite in cui venga disposta esclusivamente in assenza di ragionevoli alternative
ed in presenza di urgenti ragioni di interesse pubblico.
Tuttavia, non possono ritenersi totalmente superati i sospetti di compatibilità del nuovo istituto
rispetto alla CEDU.
La nuova norma, infatti, seppur correda la procedura di occupazione di nuove e più pregnanti
garanzie, ripropone un meccanismo che conduce all’esito pratico di consentire l’acquisizione in
proprietà in favore della pubblica amministrazione all’esito di un comportamento illecito,
legittimando ed incentivando fenomeni di illegittimità diffusa nell’azione amministrativa.
In definitiva, ancora attuale sembra la censura articolata dalle Sezioni Unite della Corte di
Cassazione, in veste di giudice rimettente, secondo la quale “la legalizzazione dell’illegale non
sarebbe consentita dalla giurisprudenza di Strasburgo neppure ad una norma di legge, né tanto
meno ad un provvedimento amministrativo di essa attuativo, quale è quello che disponga la
cosiddetta acquisizione sanante”33.
31
Sui rimedi contro l’occupazione sanante, cfr. Gisondi, Rimedi risarcitori e restitutori contro le occupazioni illegittime
alla prova dell’art. 42bis del T.U.E.”, in Il nuovo diritto amministrativo, (a cura di) CARINGELLA.
32
Cfr. L’art. 42 sotto i riflettori della giurisprudenza amministrativa, in Il nuovo diritto amministrativo, fasc. 1, 2012.
33
Cfr. Ordinanza di rimessione, Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 13 gennaio 2014, n. 442.
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Alla luce di tutte le osservazioni svolte, nonostante le considerazioni positive pervenute dalla
giurisprudenza costituzionale e da quella amministrativa, resta forte il dubbio che un meccanismo di
acquisto della proprietà basato sull’espropriazione sanante, che inverte il rapporto di
consequenzialità cronologica e logica tra adozione di un legittimo provvedimento ablatorio ed
occupazione del bene, non sia coerente con il principio elaborato dalla CEDU, secondo cui deve
ritenersi intrinsecamente inammissibile ogni forma di espropriazione indiretta che configuri
l’acquisto della proprietà non come effetto di un procedimento espropriativo giusto e corretto, ma
come conseguenza, mediata o immediata, di un comportamento illecito.
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