ANICA SCENARIO
01 - 12 gennaio 2015
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INDICE
ANICA SCENARIO
12/01/2015 Yahoo Finanza 08:15
Golden Globe:'Boyhood' vincitore della 72esima edizione
6
12/01/2015 Il Mattino - Nazionale
Il cinema di Rosi e il grande racconto del Mezzogiorno
7
12/01/2015 Il Manifesto - Nazionale
Il cinema come impegno civile
8
12/01/2015 La Stampa - Nazionale
L'avvocato allungava le arringhe per salvare il film sul bandito
10
12/01/2015 La Stampa - Nazionale
Addio Anita, diva-icona della Dolce Vita
12
12/01/2015 Il Messaggero - Nazionale
Addio Anita leggenda della dolce vita
14
12/01/2015 La Repubblica - Nazionale
"Rosi come un padre con lui ho riscoperto l'Italia e il cinema"
16
12/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
La dolce Anita Addio a Ekberg, musa di Fellini Incantò accanto a Mastroianni
17
12/01/2015 La Repubblica - Torino
Banana, commedia tra vita e pallone E' il film d'esordio del torinese Jublin
19
11/01/2015 Yahoo Finanza 10:51
Cinema in lutto: addio a Francesco Rosi, "faccio film sul potere per far riflettere" foto
20
11/01/2015 Messaggero Veneto - Nazionale
Zanussi sarà la star del Trieste Film Festival
21
11/01/2015 Il Messaggero - Nazionale
Addio Rosi maestro di impegno
22
11/01/2015 Il Tempo - Nazionale
Nuovo cinema videogioco
24
11/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Il regista che sfidò il malaffare italiano
26
11/01/2015 Il Messaggero - Marche
L'arte di girare film Il set e' la 'provincia'
28
11/01/2015 Il Messaggero - Nazionale
Con i film di indagine ha creato un genere
29
11/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Addio Rosi, le mani sul cinema
31
11/01/2015 Corriere della Sera - Milano
«Giù i costi, via il dg». La disfida del cinema
32
10/01/2015 Gente
Stallone resuscita rocky e rambo
34
10/01/2015 Il Messaggero - Nazionale
«Il troppo amore fa paura»
35
10/01/2015 Il Messaggero - Nazionale
James Bond, ecco le scene che saranno girate nella Capitale
37
10/01/2015 La Notizia Giornale
Il cinema non abita più a Roma
38
10/01/2015 La Stampa - Torino
Una camera fissa al cimitero ed ecco "Morituri"
39
10/01/2015 La Stampa - Nazionale
"I tartari di Buzzati signori del cinema"
40
10/01/2015 Brescia Oggi
L´«Hotel» di Anderson in corsa 11 volte
42
10/01/2015 Gente
i peccati di exodus falsita 'e razzismo
43
10/01/2015 La Repubblica - Torino
Riso nero
45
10/01/2015 Il Piccolo di Trieste - Nazionale
Ciak si gira, e appare la Trieste degli Anni '70
47
10/01/2015 Il Tempo - Nazionale
Costanzo e Rohrwacher «Il nostro film sull'ideologia che rovina i sentimenti»
48
10/01/2015 Gente
sono geniale come forrest gump
50
10/01/2015 Il Manifesto - Nazionale
L'ossessione mortale di una neomamma
52
10/01/2015 La Nuova Venezia - Nazionale
Oscar inglesi "Birdman" in pole position
53
10/01/2015 La Stampa - Nazionale
"Il bello di poter essere donne mai rassicuranti"
54
10/01/2015 Il Giornale - Nazionale
«Io, timido e comico vi faccio vedere come si fa il cattivo»
55
10/01/2015 Il Giornale del Piemonte
«Morituri» rompe le barriere tra cinema e teatro
57
09/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Falsi storici e invenzioni su Mosè La Bibbia stravolta di Ridley Scott
58
09/01/2015 Il Messaggero - Nazionale
Il guardaroba delle star
60
09/01/2015 Il Venerdi di Repubblica
che si fa dopo la laurea? questo film non è a tesi...
62
09/01/2015 Avvenire - Nazionale
«Exodus», anche Mosè entra in politica
63
09/01/2015 Il Venerdi di Repubblica
Lo stato dell'arte del cinema italiano (in tre parti)
65
09/01/2015 Libero - Nazionale
IL FILM FRANCESE «Indovina chi viene a cena» 2.0 I mariti migliori sono immigrati
66
09/01/2015 Il Messaggero - Nazionale
Angelina Jolie dal Papa per presentare il suo film
68
09/01/2015 La Repubblica - Nazionale
Il Festival di Roma riparte da zero via il presidente, si cerca il direttore
70
09/01/2015 Corriere della Sera - Roma
Cinema, vestiti da sogno
71
09/01/2015 Il Fatto Quotidiano
John Travolta, ritorno alle origini
73
09/01/2015 Il Fatto Quotidiano
Il dramma Eternit diventa un film
74
ANICA SCENARIO
46 articoli
12/01/2015
08:15
Yahoo Finanza
Sito Web
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Golden Globe:'Boyhood' vincitore della 72esima edizione
News
(AGI) - Los Angeles (California), 12 gen. - La 72esima edizione dei Golden Globe sorprende con la consegna
del primo premio come miglior film drammatico a 'Boyhood' di Richard Linklater e miglior commedia a Gran
Budapest Hotel di Wes Anderson. I riconoscimenti sono attribuiti a Hollywood dalla stampa estera e da
sempre considerati un ottimo indicatore per gli Oscar. Durante la cerimonia di consegna dei premi le grandi
star di Hollywood hanno reso omaggio ed espresso solidarieta' alle vittime della strage di Parigi. Sfilando sul
tappeto rosso della 72esima edizione del Golden Globe George e Amal Clooney, Helen Mirren, Kathy Bates
e Diane Kruger con spillette con la scritta ormai icona "Je Suis Charlie", dal nome del settimanale satirico
Charlie Hebdo colpito a morte il 7 gennaio. Altre star sono state piu' prudenti, stessa linea seguita dalla
stampa Usa che ha deciso, tra molte polemiche, a differenza dei colleghi europei, di non ripubblicare le
vignette di Charlie Hebdo. FILM Miglio dramma "Boyhood" Miglior commedia "The Grand Budapest Hotel"
Miglior attore, dramma Eddie Redmayne, "The Theory of Everything" Migliore atrice, dramma Julianne
Moore, "Still Alice" Miglior attore, commedia Michael Keaton, "Birdman" Miglior attrice, commedia Amy
Adams, "Big Eyes" Miglior attore non protagonista J.K. Simmons, "Whiplash" Migliore atrice non protagonista
Patricia Arquette, "Boyhood" Miglior regista Richard Linklater, "Boyhood" Miglior film in lingua straniera
"Leviathan," Russia Miglior film d'animazione "How to Train Your Dragon 2" Migliore sceneggiatura Alejandro
Gonzalez Inarritu, Nicolas Giacobone, Alexander Dinelaris, Armando Bo, "Birdman" Miglior testo originale
Johann Johannsson, "The Theory of Everything" Migliore canzone originale "Glory," for "Selma" - John
Legend, Common TELEVISIONE Migliore serie drammatica "The Affair" Migliore serie commedia
"Transparent" Migliore miniserie "Fargo" Miglior attore per serie drammatica Kevin Spacey, "House of Cards"
Migliore attore per serie drammatica Ruth Wilson, "The Affair" Migliore attore per serie commedia Jeffrey
Tambor, "Transparent" Migliore attrice per serie commedia Gina Rodriguez, "Jane the Virgin" . (AGI)
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
6
12/01/2015
Il Mattino - Ed. nazionale
Pag. 59
(diffusione:79573, tiratura:108314)
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Il cinema di Rosi e il grande racconto del Mezzogiorno
Guido Trombetti
È morto Francesco Rosi. Se n'è andato uno dei più grandi registi del novecento. Il cinema è uno dei miei
grandi amori. Quasi una malattia. Contratta a otto o nove anni. Forse proprio vedendo La sfida, film del 1958.
Le serate ideali del sabato e della domenica si passano a cinema (e poi in pizzeria). Per mia fortuna non
sono diventato un esperto. Per carità. Il mio rapporto con il cinema è rimasto semplice. Quasi infantile.
Quando giudico un film ricorro a parametri elementari. Ed a giudizi ancor più elementari. Mi è piaciuto il film?
Si. No. Così così. Preso dall'emozione della scomparsa del grande regista ho riletto l'elenco dei suoi film.
Forse non ho mai visto ( o semplicemente non li ricordo) "Camicie Rosse" del '52 ed "Il momento della verità"
del '65. Gli altri li ho visti e rivisti tutti. E tutti mi sono rimasti impressi. Da "La sfida" a "Le mani sulla città"
('63). Da "Il caso Mattei"('72) a "Cadaveri Eccellenti" ('76). A "Cristo si è fermato ad Eboli"('78). Per non dire di
"Salvatore Giuliano"('61) che, secondo Mereghetti, è "un modello per il genere del film-inchiesta e un
caposaldo di quel cinema d'impegno civile che oggi si sta tentando di riportare in auge". Fu un autore
d'inchiesta, dunque (ma non solo).
Il cinema, per me, è fondamentalmente racconto. Narrazione. E Rosi fu narratore semplice e lineare. Al
tempo stesso emozionante. In grado di tenere lo spettatore inchiodato allo schermo. Con quella capacità
ipnotica che hanno soltanto i grandissimi maestri. Dicono di lui: capace di passare con grande maestria dal
linguaggio realista a quello metaforico. A proposito di "Cristo si è fermato ad Eboli", dice testualmente Tullio
Kezich "il regista affida la sua ricerca alla macchina da presa in un'ottica tutt'altro che neorealistica ,anzi
stilisticamente molto raffinata". Ed ancora Kezich, commentando "Cadaveri eccellenti", afferma "L'opera di
Rosi è importante e resiste nel tempo... perché affida i suoi significati a una scrittura cinematografica di alto
rigore. La ricerca della verità storica, nei grandi film meridionalisti di Rosi, si sviluppa attraverso un recupero
di paesaggi, monumenti, facce, mimiche e suoni che conservano il loro carattere di reperti e tuttavia
diventano elementi di uno stile...".
Rosi fu molto legato ai temi e alla storia del Mezzogiorno. Nel suo percorso artistico incontrò grandi scrittori
meridionali. Ne cito due. Raffaele La Capria. Che sceneggiò Le mani sulla città. Uomini contro. Cristo si è
fermato ad Eboli... E Leonardo Sciascia dal cui romanzo "Il Contesto" è tratto Cadaveri eccellenti.
Dimentichiamo per un attimo le raffinate valutazioni dei critici più dotti. Realismo, neo-realismo, metafora...
Da consumatore di cinema mi domando perché i film di Rosi mi piacciano tanto. Perché io sia capace di
rivedere ancora una volta La sfida, circa sessant'anni dopo la sua prima proiezione. Perché i suoi film non si
dimenticano? La mia risposta è semplice. Il cinema è racconto. E Rosi sa raccontare. Ha sempre trattato temi
avvincenti facendosi capire. D'altro canto se un racconto non si capisce che racconto è ? Mai mi è accaduto
di vedere una pellicola di Rosi ed avere dubbi interpretativi. Pur guardando ogni genere di film, non ho mai
amato il linguaggio cinematografico complesso. I film da interpretare...Li lascio volentieri ai veri
competenti...quelli doc! Ho sempre prediletto i registi dal linguaggio chiaro. Piano. Lineare. Perciò ho amato
immensamente Francesco Rosi. Ed il suo cinema mai superficiale e sempre intellegibile. Sempre acuto e
profondo. Mai noioso. Con lui se ne è andato un fuoriclasse della macchina da presa forse irripetibile. I suoi
capolavori restano.
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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12/01/2015
Il Manifesto - Ed. nazionale
Pag. 5
(diffusione:24728, tiratura:83923)
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MAESTRI Muore a 92 anni il regista Francesco Rosi, una visione lucida sulla nostra epoca e sui guai della
sinistra. Da «Le mani sulla città» passando per «II caso Mattei»
Il cinema come impegno civile
Senza censure nei suoi film ci si confrontava sempre con i lati più oscuri della Storia del nostro paese
Cristìna Piccino Giona A. Nazzaro
Solo pochi mesi fa era al Cinema America, la vecchia sala romana, occupata da un gruppo di ragazzi a
parlare con loro della comune passione, il cinema, e della politica e della vita. Francesco Rosi è morto ieri a
Roma, nella sua casa di via Gregoriana, e con lui se ne va un altro dei registi che incarnavano il mito del
cinema italiano, anche agli occhi del mondo, quella manciata di nomi, Fellini, Visconti, Rosi, che ogni cineasta
o cinefilo di qualsiasi paese cita immediatamente se gli si chiede quali sono i suoi riferimenti nel nostro
Paese. Lui, Francesco Rosi, era l'emblema del cinema politico, dell'impegno, generoso e veemente come le
sue proverbiali sfuriate, quel cinema che nell'Italia alle soglie delle grandi trasformazioni economiche e
sociali, ma anche antropologiche il suo film d'esordio, La sfida, è del 1958 - racchiude già in sé i germi di un
paradosso politico che ne segneranno il destino sino al presente. Corruzione, avidità, le colate di cemento
che divorano i nuovi paesaggi urbani, e quel sud, messo da parte, che di questo diviene quasi un laboratorio,
a cominciare dalla sua Napoli, la città dove Rosi era nato, il 15 novembre del 1922, figlio della borghesia
napoletana - il padre gestiva una compagnia marittima - e che attraverserà in modo obliquo la sua opera.
Studi di giurisprudenza, il giovane Rosi vanta tra i suoi amici Raffaele La Capria, Napolitano, Patroni Griffi,
Luchino Visconti, e ai libri di legge sembra prediligere le illustrazioni per bambini. Il cinema arriva nella sua
vita con il regista di Rocco e i suoi fratelli che lo chiama come suo assistente sul set de La terra trema (1948).
Sarà poi sceneggiatore di Bellissima (1951) e collaboratore in Senso (1953). Qualche anno dopo Rosi firma il
suo primo film da regista, La sfida (da un suo soggetto e con la sceneggiatura scritta insieme a Suso Cecchi
D'Amico, aiuto regista era Giulio Questi), costruito sulla parabola di un giovane napoletano (Jose Suarez)
distrutto dalla sua brama di soldi. Dietro si affacciano banditismo, ricatto dei contadini, controllo della malavita
sui mercati generali. Il film vince un premio speciale a Venezia^ la eritica lo accoglie piuttosto bene (a parte
qualcuno tra cui Moravia). «In quei tempi credevamo che denunciare all'opinione pubblica certi mali
significasse in qualche modo combatterli e forse eliminarli. Il cinema sembrava l'arma più efficace per
raggiungere questo scopo, e da questa convinzione fortemente radicata sono nati i film più belli di Francesco
Rosi» scriveva l'amico Raffaele La Capria (in Francesco Rosi, a cura di Sebastiano Gesù, 1991) che
partecipa alla scrittura di Le mani sulla città. E da qui, dopo il secondo film, / magliari, tra gli italiani emigrati in
Germania, partono i capolavori rosiani come Salvatore Giuliano (1962), Le mani sulla città (1963), Uomini
contro (1970), II caso Mattei (1972). E non si tratta soltanto di confrontarsi senza censure o autocensure con i
lati oscuri della storia del nostro paese, come il cadavere del bandito Giuliano, morto ammazzato dopo la
strage di Portella delle Ginestre, strage mafiosa in un Primo maggio di lotta, contro i lavoratori e a favore del
latifondo che Rosi smaschera con potenza. «Di sicuro c'è solo che è morto» scrivono le cronache nel luglio
del 1950 su Giuliano. Si parlerà di film-inchiesta, Rosi documenta sempre in modo assai scrupoloso le sue
ricerche trattando fatti «realmente accaduti». Ma questo non gli basta: ognuno di questi film trova infatti la sua
verità in una scelta visiva, e narrativa, forte, spiazzante, che in quei frammenti di cronaca non divenuta Storia
cerca gli interrogativi aperti, e i problemi irrisolti. Sarà per questo che i film di Rosi sono più che sgraditi alla
critica andreottiana, e anzi Le mani sulla città, col suo denudare il sacco di Napoli, così simile al sacco di
palazzinari e politici compiuto ovunque in Italia, subisce gli attacchi della censura. E non saranno in molti
nell'Italia democristiana a vedere la mano dei poteri economici nella morte di Enrico Mattei, che a capo
dell'Agip pensa di rivedere gli accordi sul petrolio con la Libia, e difatti il suo aereo precipita fuori Milano.
Protagonista ne è Volontè icona di altri film del regista, tra cui Cristo si è fermato a Eboli. Il cinema di Rosi,
fino a un certo punto, è dunque un cinema che vive nello scontro (e nel confronto) col proprio tempo, e che
nel racconto caustico, nella denuncia di quei silenzi di stato, fatta a gran voce, senza spaventi, trova anche
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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12/01/2015
Il Manifesto - Ed. nazionale
Pag. 5
(diffusione:24728, tiratura:83923)
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l'impeto per mettersi alla prova, e per inventare una forma che saggia, a ogni film e al massimo, i suoi limiti.
«Fare cinema significa contrarre un impegno morale con se stessi e con lo spettatore. Gli si deve l'onestà di
una ricerca della verità senza compromessi. Più ci si addentra nel reale e più si ha la coscienza che il vero e
il giusto non esistono. Quel che conta è la nitidezza della ricerca» aveva detto Rosi ricevendo tre anni fa il
Leone d'oro alla carriera alla Mostra di Venezia. È certo che per diverse generazioni è stato un riferimento,
pure se il senso di «cinema politico» è stato declinato in modo molto meno netto, e oggi, nell'era social di s u
p e r n a lisce il suo significato esige di essere ripensato. Questo intreccio polemico necessario con la realtà
del suo tempo, è forse quello che si perde negli ultimi film del regista. Dopo Tre fratelli, nel quale compare
anche il brano Je so pazzo di Pino Daniele in un'allegorica sequenza onirica, gli anni Ottanta si riveleranno
problematici e irrisolti per il regista. Se Carmen, reca ancora tracce del cineasta geniale autore di Cera una
volta, uno dei suoi titoli meno celebrati, il successivo e disastroso Cronaca di una morie annunciata insin u a
>1 sospetto che Rosi si sia perso nei meandri delle coproduzioni da festival, tanto il film è lontano dal suo
respiro ;iù schietto. Le cobe non migliorano ; purtroppo con Dimenticare Palermo dove il regista tenta di
ritrovare il passo di una volta. È il 1990. Forse non era nemmeno giusto chiedere di più a un cineasta che
aveva dato tantissimo. L'ultimo sussulto rosiano giunge con Diario napoletano, un ritorno alla sua città e al
suo film più proverbiale. Un tentativo a cuore aperto di riprendere un dialogo interrotto. La tregua, purtroppo
ultimo film di Francesco Rosi, evidenzia solo una confezione inerte. Un film testamento che non rende
giustizia all'opera di Francesco Rosi, tra le più ricche e affascinanti del cinema mondiale.
Foto: FRANCESCO ROSI E IL SUO CINEMA. TRE SCENE DALL'ALTO VERSO IL BASSO - DA
«SALVATORE GIULIANO» «I MAGLIARI» E «LUCKY LUCIANO»
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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12/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 29
(diffusione:309253, tiratura:418328)
La pretura voleva bloccare il "Salvatore Giuliano" di Rosi
MARCELLO SORGI ROMA
Franco Rosi l'ho conosciuto da bambino, avrò avuto cinque anni quando venne a Palermo per girare
Salvatore Giuliano , la storia del bandito che era passato alla macchia come una specie di Robin Hood,
rubando ai ricchi per dare ai poveri, ed era finito a sparare sui contadini siciliani di Portella della Ginestra. Il
consiglio di Carlo Levi Rosi aveva chiesto consiglio a Carlo Levi, l'autore di Cristo s'è fermato a Eboli , su
come prepararsi a girare un film sulla mafia e sul grande mistero che circondava la morte del bandito. Chi
aveva ordinato a Giuliano di sparare a Portella, a pochi giorni dalla vittoria delle sinistre unite nelle elezioni
regionali siciliane del '47? Soltanto la mafia o anche qualche frangia nascosta dei poteri dello Stato? E chi lo
aveva spinto a fondare l'esercito indipendentista che avrebbe dovuto portare alla secessione della Sicilia? Gli
americani? E perchè? Chi aveva messo in scena l'eliminazione del bandito così maldestramente da rendere
evidente che era stato ucciso in un luogo diverso da quello in cui era stato ritrovato il cadavere? Levi, che
conosceva bene la Sicilia, disse a Franco che la prima cosa di cui aveva bisogno era un avvocato, e gli fece il
nome di mio padre. Nino Sorgi divenne così il suo legale, e prima ancora un suo grande amico e compagno
di quell'avventura che fu la realizzazione del film. Insieme andarono a fare i sopralluoghi a Montelepre, il
paese di Giuliano in cui è celebrato ancor oggi come un eroe. Scontarono coraggiosamente e con un pizzico
di incoscienza diffidenze, ostacoli, difficoltà che sorgevano giorno dopo giorno sul loro cammino. Nel 1960
avevano entrambi 38 anni. Il lavoro di mio padre consisteva nell'impedire il blocco della lavorazione del film
che la magistratura e i carabinieri tentavano di imporre. Si erano ribellati il sindaco di Montelepre e i
maggiorenti del luogo, poi gli stessi familiari di Giuliano; il pretore di Partinico, l'ufficio competente, si
orientava al sequestro delle attrezzature cinematografiche. Ogni mattina, mentre Franco girava, Nino
pronunciava arringhe lunghissime nell'aula della pretura, parlando anche per tre o quattro ore di seguito,
finché un fattorino della produzione non veniva a fargli segno che per quel giorno la troupe aveva finito.
L'indomani tutto ricominciava allo stesso modo. Le pizze delle pellicole venivano spedite ogni giorno a Roma.
Perfino sui cartelli dei ciak il titolo del film non veniva indicato. Al suo posto un generico: «Sicilia 1943 1960». Il motto di Rosi era: «Per carità non facciamo il cinema!». Se vedeva una comparsa presentarsi con il
vestito della domenica e la faccia ben rasata, andava su tutte le furie. Voleva che tutto fosse naturale e
aderente alla realtà, come se di nascosto avesse potuto filmare scene di vita quotidiana. A Portella della
Ginestra Io e mia sorella fummo ammessi sul set in cui era ricostruita la strage di Portella della Ginestra.
Giuliano e la sua banda avevano mirato dalle alture sui contadini giunti a dorso di mulo e riuniti a celebrare il
1° maggio, sparando indistintamente su bestie e cristiani. Ma i muli che dovevano essere addormentati per
sembrare morti, quel pomeriggio, ricevettero una dose di sonnifero insufficiente. Rimasero a vagare ubriachi
in campagna fino a sera. Poco prima della conclusione, uno degli attori reclutati per strada da Rosi fu ucciso.
Sembrò un avvertimento lanciato dalla mafia, le indagini tuttavia non approdarono a nulla. A riprese ultimate,
Rosi ripartì per Roma. Tornò qualche mese dopo, perché volle che l'anteprima del film si tenesse nella piazza
di Montelepre. Le donne del paese, riconoscendosi sullo schermo, durante la proiezione si mettevano a
piangere. Il legame tra Rosi e mio padre continuò. Si telefonavano e si incontravano spesso, tornarono a
collaborare dieci anni dopo nel film sul caso Mattei. Franco fu pure per me un punto di riferimento, un
appoggio solido e sicuro quando decisi di trasferirmi a Roma. E fu vicino a Nino qualche tempo dopo, nei
giorni della malattia: quando morì, ventidue anni fa, volle scrivere proprio su La Stampa un ricordo del suo
amico avvocato. Così adesso che se n'è andato anche lui, fa una grande tristezza pensare di restituirgli, con
queste parole, un segno di rimpianto e di amicizia.
Foto: «Non faccio il cinema» Il motto di Francesco Rosi si applica perfettamente a «Salvatore Giuliano»: qui a
destra, una scena molto vicina alla realtà del film uscito nel 1962
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
L'avvocato allungava le arringhe per salvare il film sul bandito
12/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 29
(diffusione:309253, tiratura:418328)
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Foto: AFP
Foto: Francesco Rosi (qui sul set) è morto a Roma sabato a 92 anni
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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12/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Addio Anita, diva-icona della Dolce Vita
Fulvia Caprara
Fulvia Caprara A PAGINA 28 Nell'affresco della Dolce vita rappresentò l'enigma dell'eterno femminino, il
simbolo della donna che sa essere tutto, madre e insieme amante, l'ideale di un corpo generoso, talmente
perfetto da suscitare, oltre al desiderio, ammirazione e anche soggezione. Decidendo di raggiungerla tra le
acque della Fontana di Trevi, in una delle scene più celebri della storia del cinema, Marcello Mastroianni, nei
panni del cronista che scorta la star Sylvia nella sua scorribanda notturna, supera l'iniziale riluttanza, scavalca
la barriera tra vita e sogno, si avvicina alla meravigliosa silhouette senza profanarla, come abbagliato da una
visione soprannaturale. L'incontro muto «Bello era bello - raccontò tanti a anni dopo a La Stampa Anita
Ekberg, scomparsa ieri a Roma a Rocca di Papa, nella clinica San Raffaele dove era stata ricoverata subito
dopo Natale -, però non parlava inglese, così quello tra me e Marcello fu un incontro muto. So che io gli
sembrai fredda e distante, probabilmente perchè non eravamo riusciti a scambiarci altro che un saluto. Però
questo suo giudizio, riportato dai giornali, mi dispiacque molto». Durante le riprese la situazione non migliorò:
«Ci capivamo con lo sguardo, senza parole, del resto Fellini non mi aveva dato neanche un copione, mi
aveva detto: "Scrivi tu le battute", ma io , abituata a Hollywood, mi ero ribellata». In verità, a Ekberg e
Mastroianni, inquadrati da Fellini, i discorsi non servivano. Bastavano loro due, un maschio smarrito e
confuso e una donna di scintillante bellezza, tutto il resto era istinto puro: «Ho recitato adeguandomi a
Marcello, che preferiva la naturalezza, la sua recitazione veniva dal cuore, dal cervello, dall'anima». La
sequenza, svelò poi Ekberg, era stata ispirata da un suo bagno, vero, nella Fontana: «Alcuni mesi prima,
camminando per Roma, mi ero ferita ed ero entrata nell'acqua per sciacquarmi, un fotografo mi aveva vista e
aveva fatto molti scatti, l'immagine aveva colpito Federico che poi aveva voluto riproporla nel film». Un attimo
magico che, nel tempo, si era trasformato in maledizione: «Sono 50 anni che mi fate queste domande sulla
Dolce vita - sbottò l'attrice sul palcoscenico del Festival di Roma nel 2010 -. Io voglio dimenticare. Il successo
mi ha fatto piacere, mi ha fatto pensare che allora come attrice non ero così male, ma tutto è cominciato e
finito con quel film». L'addio all'America Considerazione amara, ma realistica, perchè di Anita Ekberg, oltre
alle memorie legate a Fellini, non è rimasto granché. Portabandiera della categoria delle maggiorate, esplosa
negli Anni 50, come naturale reazione ai tempi bui e affamati della guerra, Ekberg, nata a Malmoe nel 1931,
era stata eletta Miss Svezia a 19 anni. Forte di quel titolo, ma soprattutto delle curve burrose, della criniera
biondo grano, degli immensi occhi felini, aveva iniziato la sua carriera a Hollywood, benedetta dal pigmalione
Howard Hughes che la mise sotto contratto e le chiese di sposarlo ricavandone un netto rifiuto. Oltreoceano,
insieme alle tante piccole apparizioni, Anitona collezionò flirt importanti come quello con Frank Sinatra, anche
lui pronto al matrimonio, ma non pensò mai, come altre dive coeve, a capitalizzare successo e avvenenza.
Con Fellini lavorò di nuovo, nei Clowns , in Intervista , e soprattutto nell'episodio di Boccaccio '70 intitolato Le
tentazioni del dottor Antonio , satira del regista sui moralisti di professione. Immensa e accattivante, Anitona,
nel film, campeggia su un manifesto pubblicitario turbando la quiete del represso protagonista, mentre un
coretto intona il ritornello: «Bevete più latte, il latte fa bene, il latte conviene a tutte le età...».
La "donna fosforescente" che entrò nei sogni del regista e vi rimase per sempre
«Non è più la gloriosa diva, la dea olimpica di un tempo, ma mi sembra un bellissimo esempio di
serenità»
«Anita? Ora è una donna di una certa età che ha messo su un po' di peso, che vive con i suoi cani, le
sue papere, come una felice contadina»
«Anita fu una gloriosa apparizione! Pensai: bene, queste sono le orecchie, gli occhi, i capelli, e questi... Era
come fosforescente, con un pallore lunare nel volto e nei capelli. Era la rappresentazione dell'eterno principio
di creazione, lo ying e lo yang, il buio nella luce»
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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MUORE LA EKBERG
12/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:309253, tiratura:418328)
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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«È molto tempo ora che non vedo Anita. Si è sempre ben mantenuta... In particolare mi piace in uno dei miei
ultimi film, un «filmetto» intitolato «Intervista». Vidi che era invecchiata graziosamente, un invecchiamento
tranquillo, sobrio, saggio» Federico Fellini Scrisse e parlò di Anita Ekberg per tutta la vita Confessioni di un
maestro Le immagini ispirate a Anita Ekberg sono tratte da «Il libro dei sogni» (Rizzoli), il diario onirico tenuto
da Federico Fellini (1920-1993) dalla fine degli Anni 60 fino all'agosto 1990; le frasi sono di «Fellini - Sono un
gran bugiardo» (Elleu), il documentario di Damian Pettigrew uscito nel 2002, costruito con interviste raccolte
un anno prima della morte del regista e testimonianze di amici, tecnici e attori
Foto: Anita Ekberg nel 2010 ASSOCIATED PRESS PHOTO/ARCHIVIO LA STAMPA ROLANDO
BRAMBATTI/UPI PHOTO/ARCHIVIO LA STAMPA La Svezia, Hollywood e poi l'Italia Anita Ekberg con tre
grandi italiani: Federico Fellini (qui sopra), che la volle ne «La dolce vita» (1960); Alberto Sordi (a sinistra),
con cui nel 1966 fece «Scusi, lei è favorevole o contrario?», secondo film da regista dell'attore; Marcello
Mastroianni (in alto a sinistra), con lei ne «La dolce vita» e nella celeberrima scena girata alla Fontana di
Trevi (qui a destra) FOTO MOISIO/ARCHIVIO LA STAMPA
Foto: JOHN KOBAL FOUNDATION/GETTY
12/01/2015
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 24
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Addio Anita leggenda della dolce vita
DA TRENT'ANNI VIVEVA IN UNA VILLA VICINO A GENZANO, SOLA CON DUE CANI E I RICORDI.
L'ULTIMA PARTE IN UNA SERIE TV
Gloria Satta
IL PERSONAGGIO Anita Ekberg, la diva svedese simbolo della Dolce Vita , se n'è andata a 83 anni sola,
povera e malata in un ospedale di Rocca di Papa. Nel 1960 il bagno nella fontana di Trevi con Mastroianni, la
sua bellezza giunonica, la frase "cult" «Marcello, come here» (Marcello vieni qui), l'incanto abbagliante della
Roma notturna, proiettarono l'attrice e il capolavoro di Fellini nella leggenda. E contribuirono a fare della
"dolce vita" un periodo storico ancora oggi citato, rivisitato, rimpianto. Anita, soprannominata Anitona da
Fellini, con il maestro aveva poi girato altri tre film: un episodio di Boccaccio '70 (era l'ossessione erotica del
moralista Peppino De Filippo), I clown , Intervista . Aveva continuato a lavorare con altri registi, sia in Italia sia
in America, e interpretato qualche fiction come Il bello delle donne . Da oltre trent'anni viveva ai Castelli
Romani, in una villa alle porte di Genzano in compagnia di due cani, i disegni di Fellini, delle maschere
africane e un mare di ricordi. GLI AMORI Mezzo secolo fa la sua vita è stata la quintessenza del divismo: le
copertine, i paparazzi, la Ferrari d'argento, gli amori turbolenti. Sposata e divorziata due volte (prima con l'
attore inglese Anthony Steele, poi con l'americano Erik Van Nutten), aveva collezionato dei flirt eccellenti: con
Frank Sinatra che avrebbe voluto portarla all'altare (ma lei rifiutò), con Dino Risi, con Gianni Agnelli.
Quest'ultima love-story, la Ekberg si decise a rivelarla solo dopo la morte dell'Avvocato: «E' stato l'uomo più
importante della mia vita», spiegò. La sua filmografia conta una settantina di titoli, ma la fama e il mito di
Anitona rimangono indissolubilmente legati alla Dolce Vita : un privilegio e al tempo stesso una condanna,
per l'attrice, che dai fasti del successo era progressivamente scivolata in una vecchiaia solitaria e funestata
dall'indigenza. «Fellini è diventato famoso grazie a me e non viceversa», continuava a ripetere con la sua
voce roca e l'accento straniero marcato, man mano che il suo corpo si appesantiva e il ricordo degli anni
d'oro si faceva più straziante. Nel 2011, dopo l'irruzione dei ladri nella sua villa, la Ekberg chiese la Legge
Bacchelli, che non ottenne perché non era italiana, e un contributo alla Fondazione Fellini. Non lavorava più e
non ce la faceva a tirare avanti. Ad aiutarla fu la generosità di alcuni privati. La sua parabola amara ha avuto
l'epilogo ieri mattina nella clinica San Raffaele di Rocca di Papa, dove l'attrice era ricoverata da mesi per i
postumi delle fratture di entrambi i femori. L'ultima apparizione pubblica risale al 2010, al Festival di Roma
che celebrava il restauro della Dolce Vita : la diva svedese fece il red carpet appoggiandosi al bastone tra le
ovazioni della folla. E fu la prima a stupirsi che la gente l'amasse ancora tanto. Ormai in sedia a rotelle, Anita
veniva accudita dalle suore dell'ospedale, da una signora di Genzano, Maria, e dalla persona che amava
come una figlia: Anne-Louice Dahlgren, l'addetta culturale dell'Ambasciata di Svezia, temporaneamente
rientrata in patria dove ha appena avuto un bambino. «Anita è morta felice per la nascita del piccolo che
considerava il suo nipotino», racconta da Stoccolma, in lacrime, Anne-Louice. «L'ho chiamato Adolfe Manolo,
come voleva lei. E le sue ultime parole al telefono sono state per me: "ti amo tanto", mi ha detto».
HOLLYWOOD Anita era nata a Malmö il 29 settembre 1931 e a vent'anni diventò Miss Svezia. Il potente
produttore Howard Hughes le spalancò le porte di Hollywood dove l'attrice interpretò una decina di film (tra i
quali Viaggio sul pianeta Venere accanto a Gianni e Pinotto, Artisti e modelle con Jerry Lewis e Dean Martin)
e vinse un Globo d'oro come migliore emergente. Fellini la intercettò a Roma, dov'era venuta a girare Guerra
e pace di King Vidor. «Mi propose di interpretare la Dolce vita ma mi spiegò che non esisteva una
sceneggiatura, avremmo improvvisato. Pensai che era pazzo ma firmai il contratto», raccontava la Ekberg. Il
resto è storia. Anita gira il capolavoro di Fellini e diventa una star. Poi rimane sola, senza più soldi né un
compagno. Si ammala e smette di essere autosufficiente. I funerali verranno celebrati martedi o mercoledi a
Roma con rito luterano. Poi Anitona verrà cremata e le ceneri torneranno a Malmö. Toccherà ai notai aprire il
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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La Ekberg, 83 anni, è morta ieri in una clinica a Rocca di Papa. Gli inizi come Miss Svezia, l'America,
l'incontro-svolta con Federico Fellini gli amori da copertina e l'ultima stagione di povertà e solitudine
12/01/2015
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 24
(diffusione:210842, tiratura:295190)
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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testamento e stabilire a chi andrà la villa dei Castelli. Ma l'eredità che rimane al mondo è il ricordo di una
diva-icona che con la sua femminilità esplosiva ha riempito l'immaginario di un secolo. E non sarà mai
dimenticata.
Artisti e modelle Nel 1955 gira la commedia di Tashlin al fianco di Jerry Lewis e Dean Martin
L'albo d'oro
Guerra e Pace 1956: è sul set del kolossal di Vidor con Audrey Hepburn, Mel Ferrer e vittorio Gassman
Boccaccio '70 E' nell'episodio "Le tentazioni del dottor Antonio" di Fellini al fianco di Peppino De Filippo
Intervista Nell'87 torna a essere diretta da Fellini e al fianco di Mastroianni nel ruolo di se stessa
Foto: Da "La dolce vita" la celebre immagine della Ekberg nella fontana di Trevi
Foto: SUL TAPPETO ROSSO Anita Ekberg partecipa al Festival del Film di Roma. È il 30 ottobre 2010 e la
rassegna proietta il restauro della "Dolce Vita". L'attrice viene accolta da un'ovazione
Foto: Quella celebre frase rivolta a Mastroianni: «Marcello, come here»
12/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 28
(diffusione:556325, tiratura:710716)
"Rosi come un padre con lui ho riscoperto l'Italia e il cinema "
JOHN TURTURRO
HO PERSO un caro amico che amavo profondamente.
È molto difficile esprimere con le parole l'effetto che Francesco Rosi ha avuto sulla mia vita. Era un'
ispirazione, un maestro, un regista, un mentore e un vero amico. C'era un modo speciale di capirci senza
parlare, tra di noi. Vide qualcosa in me che nessun altro aveva visto. Martin Scorsese mi scrisse
presentandomi Rosi come uno dei grandi del cinema italiano. E gli sono molto grato per averlo fatto. Abbiamo
lavorato insieme per cinque anni a "La tregua", condividendo tutte le difficoltà, mettendolo su insieme,
finanziandolo, affrontando i rinvii, le riprese, i problemi meteorologici, la scomparsa del suo grande amico e
direttore della fotografia Pasqualino De Santis durante la produzione, la lotta per la distribuzione, e tutto
questo non ha fatto che rafforzare il nostro legame. Mi ha fatto conoscere il grande cinema italiano, Primo
Levi, Eduardo de Filippo, Napoli, Pietro Di Donato, i sigari De Nobili, e tante altre cose.
Era un uomo difficile ma così tenero verso di me. L'ho conosciuto poco tempo dopo aver perso mio padre e
ha colmato un grande vuoto nella mia vita. Ogni volta che sono stato a Roma sono andato a trovarlo. Siamo
andati in molti posti e abbiamo fatto tante cene memorabili insieme.
Era un meraviglioso narratore.
Un uomo che amava la musica e la danza. Ricordo che ballammo insieme nei nostri grandi cappotti invernali
sul set de "La tregua" o in smoking la sera del nostro debutto a Cannes.
Era sempre pronto a darmi il suo aiuto, soprattutto quando ho diretto qualcosa. "Passione" non sarebbe mai
stato realizzato senza i suoi suggerimenti. La sua presenza in sala di montaggioe la sua entusiastica risposta
al nostro mixaggio finale sono qualcosa di cui farò tesoro per sempre.
Tra le cose di cui vado più fiero è aver preso parte a "La tregua".
Ogni giorno, dopo il lavoro, mi chiedeva: «Hai chiamato la tua famiglia?» «Sì, ho chiamato».
«Bene». Era preoccupato che deperissi perché mangiavo troppo poco. Una volta, dopo aver avuto una forte
discussione con lui, soprattutto a causa del mio non mangiare, gli scrissi delle scuse.
Il giorno dopo, rivolgendosi alla figlia Carolina che lavorava al film insieme a lui, le disse: «Carolina, ti
presento tuo fratello».
I suoi film, che ho avuto il piacere di vedere sul grande schermo, rimangono scolpiti nel mio cervello, il suo
geniale senso della composizione, la sensibilità e la complessità con cui toccava un argomento, il suo uso del
suono, la miscela di non attori e grandi attori da "Salvatore Giuliano" a "Le mani sulla città", e poi "Il momento
della verità", "Il caso Mattei", "Cadaveri eccellenti", "Cristo si è fermato a Eboli", "Tre Fratelli", "Carmen".
Era un grande uomo. È stato un uomo importante nella mia vita. Mi mancheranno le sue mani espressive, il
suo sorriso gentilee il calore della sua presenza. Chiudeva sempre le sue telefonate dicendomi: «I love you».
Anch'io ti amo, Francesco. (traduzione di Luis E.
Moriones) I PUNTI IL SET INSIEME Rosi e Turturro diventarono amici nei cinque anni trascorsi per per
realizzare "La tregua", tra molte difficoltà NAPOLI NEL CUORE Rosi aiutò Turturro nei panni di regista per il
film "Passione", sulla musica napoletana LA CERIMONIA Alla Casa del cinema di Roma, oggi dalle 9 camera
ardente; dalle 12 la cerimonia civile. È atteso Napolitano
Foto: LUNGA AMICIZIA John Turturro in una scena del film La tregua , diretto da Gianfranco Rosi, a sinistra il
regista con l'attore
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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L' attore e regista racconta l'amicizia con il maestro scomparso. "Ci presentò Martin Scorsese, ma la nostra
amicizia nacque lavorando a La tregua" R2 Il personaggio
12/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 32
(diffusione:619980, tiratura:779916)
La dolce Anita Addio a Ekberg, musa di Fellini Incantò accanto a
Mastroianni
«Marcello, come here!» Non fu difficile «La dolce vita», ero me stessa, potevo girare le scene a occhi bendati
Maurizio Porro
Ieri mattina alle 10.30 è morta definitivamente la dolce vita. Se l'è portata via per sempre Anita Ekberg, da
tempo malata e ricoverata indigente in una clinica di Rocca di Papa, vicino Roma. Ora Anitona sarà cremata
e le sue ceneri torneranno a casa, in Svezia, dove non la attende nessuno: a Roma, cerimonia in una chiesa
luterana.
Di quel mondo, di quel film, di quella via Veneto era l'ultima testimone: forse Anita Ekberg ha fatto in tanti
anni un solo film e di quel film una sola scena, ma il bagno nella Fontana di Trevi nella Dolce vita , con la
giunonica bellezza che chiama Marcello, mentre le note di Rota sgocciolano sull'alba, è un'icona immortale
del cinema, il biglietto da visita, un'istantanea del 1960 che vale oro in tutto il mondo.
Così la Ekberg, nata a Malmö il 29 settembre 1931, passa alla storia e diventa prigioniera di se stessa, in
alleanza con Fellini per cui era l'idea stessa della donna madre, moglie, terra. Quando la vide disse di aver
provato meraviglia, incredulità, lo stupore che si prova vedendo le giraffe o i baobab. Con lei girerà tre film (e
una presenza nei Clowns , ma gli agenti di Anita sulle prime non volevano farle firmare il contratto, non c'era
un soggetto, non si sapeva nulla. Raccontò: «Non fu difficile La dolce vita , io ero un po' me stessa, potevo
girare con gli occhi bendati».
Kustin Anita Marianne Ekberg aveva iniziato con piccoli ruoli in titoli strappacuore di Sirk e Daniel Mann
vincendo un Golden Globe come promessa. Misure anatomiche mozzafiato (andò negli Stati Uniti per Miss
Mondo, lei Miss Svezia 1950), girò le ultime commedie della coppia Martin-Lewis (in Hollywood o morte!
facendo se stessa) poi sbarcò nella Hollywood sul Tevere, come gli yankees chiamavano Cinecittà.
Qui subì il meglio e il peggio del cinema italiano, basti dire che La dolce vita si inserisce tra due peplum, Nel
segno di Roma (di Guido Brignone ma fu Antonioni a girare gli interni!) dove è la regina Zenobia e i Mongoli
in cui è la perfida Huluna ma partecipò anche a Guerra e pace .
Se in Come imparai ad amare le donne si permise ancora di nuotare nuda sott'acqua, venne poi il cinema di
serie B, quando la taglia forte diventò XL e oltre, assetata com'era dei buoni vini che coltivava nella sua
fattoria di Genzano, dove si era stabilita protetta da una coppia di dobermann coniugati, Takero e Kuthara.
Scelta antologica di eccessi: in Malenka è nipote di vampira; in Bianco rosso giallo rosa castratrice di maiali;
nel Divorzio assatanata e scambista; in Debito coniugale moglie di un benzinaio doppiata in marchigiano; nel
Conte Max raccoglie calchi dei genitali; in Suor Omicidi una Gertrude paranoica e morfinomane, in Bambola è
la mamma di Valeria Marini e ha il cattivo gusto di chiamarsi Greta Gustafsson, come la Garbo; nel Nano
rosso è una cantante legata a un nano 30enne senza contare la tv, il «Bello delle donne»; in «Casa di
appuntamento» è la tenutaria di un bordello.
Come si vede, sempre fuori dal comune senso del pudore. Anche nella vita privata non fu banale: due
matrimoni andati a male (con il collega Anthony Steel e con Rick Van Nutter), focose love story con Tyrone
Power, con Dino Risi; e grandi speranze.
Resta Fellini a risplendere nella sua vita, è lui che scrittura la 28enne gigantesca dea. Immortalò quella divina
che nella Dolce vita , intervistata, confessa di dormire con due gocce di Chanel n. 5 e che il giorno più bello
della sua vita «was a night, dear».
Non si scorda il girovagare notturno con Marcello, il gattino bianco arrampicato tra i capelli, il vestito da sera
nero appeso chissà dove nel décolleté, il ritorno in via Veneto con lo schiaffone all'alba dalla manona dell'ex
Tarzan Lex Barker.
La carriera felliniana proseguirà, in diretto riferimento con la Dolce vita , con l'episodio le «Tentazioni del
dottor Antonio» di Boccaccio '70 in cui lei è una gigantesca maxi pubblicità che prende vita dall'enorme poster
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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1931-2015 I primi successi, la grande fama e gli ultimi anni
12/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 32
(diffusione:619980, tiratura:779916)
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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e canta «Bevete più latte», incubo e super ego sexy del moralista Peppino De Filippo.
Era la vendetta del regista contro i censori, ma Anitona torna protetta dalla memoria nell' Intervista , in cui
Federico Fellini, insieme all'amico Marcello, la dirige nella recherche della scena della Fontana che si
ricompone dietro un telone del salotto, mentre il regista stesso, mago dei prodigi, ci spiega come si realizzano
e si tramandano i miracoli del cinema.
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Il profilo
Anita Ekberg era nata in Svezia il 29 settembre del 1931. Dopo aver vinto Miss Svezia nel 1950 si è trasferita
a Hollywood per recitare in film come «Artisti e modelle» ('55) o «Hollywood o morte!» ('56) Il grande
successo arriva con il ruolo che la trasformerà in un'icona: quello di Sylvia in «La dolce vita» ('60) di Federico
Fellini. Nel '61 ha recitato in «A porte chiuse» di Dino Risi, con cui ebbe un flirt Dalla seconda metà degli anni
60
si è trasferita
in Italia. Tra
i film a cui ha preso parte: «Boccaccio '70» ('62), diretta di nuovo da Fellini, «Scusi, lei è favorevole o
contrario?» ('66) di Alberto Sordi, «Sette volte donna» ('67) di Vittorio De Sica, « I clowns» ('70)
e «Intervista» ('87) Gli anni 70
la vedono impegnata soprattutto
in commedie sexy. Il suo ultimo ruolo
è in due episodi della serie tv
«Il bello
delle donne 2»,
nel 2002
Foto: Miss Svezia Anita Ekberg negli anni 50, quando fu eletta Miss Svezia. In seguito
si recò negli Usa per partecipare al concorso di Miss Universo
Foto: Con Fellini Anita Ekberg con il regista Federico Fellini (1920 - 1993) durante una pausa sul set di «La
dolce vita» (1960) il film che la rese l'icona di un'epoca
Foto: Sorriso La diva
svedese
in foto per i suoi 80 anni: l'artista
è morta ieri, a 83 anni, all'ospeda-le San Raffaele
di Rocca di Papa (Roma)
Foto: Anita Ekberg bacia Marcello Mastroianni (1924 - 1996)
in una delle scene culto della
«Dolce vita».
Il film, costato 800 milioni
di lire, dopo
due mesi di programmazione superò
il miliardo e mezzo di incassi
12/01/2015
La Repubblica - Torino
Pag. 10
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Banana, commedia tra vita e pallone E' il film d'esordio del torinese Jublin
CLARA CAROLI
BANANA. Arriva giovedì nelle sale il lungometraggio di esordio di Andrea Jublin, regista torinese pupillo di
Spike Lee, candidato all'Oscar nel 2008 per il corto "Il supplente". Questa volta dirige una commedia tra vita e
pallone: protagonista il Banana del titolo, che per salvarsi dalla mediocrità adotta, nel calcio come
nell'esistenza, la filosofia "brasiliana" fatta di cuore, coraggio e fantasia. Produce Good Films con il Mibac.
Direttore della fotografia è Gherardo Gossi, anche lui torinese. Le musiche sono di Nicola Piovani. Elenco
sale su www.mymovies.it.
Capolavori restaurati. Torna sullo schermo uno dei cult di tutti i tempi, "Barry Lyndon" di Stanley Kubrick,
affresco storico tratto dall'omonimo romanzo di Thackeray, la più grandiosa rappresentazione del Settecento
che il cinema abbia mai prodotto. Lo proietta il Museo oggi e domani in apertura del nuovo ciclo di classici
restaurati che propone sempre domani "Boomerang, l'arma che uccide" di Elia Kazan. Info
www.cinemamassimotorino.it. Perturbazione in Valsusa. Il Valsusa Filmfest lancia un crowdfunding- "Io sto
con il Vals u s a F i l m f e s t " , www.produzionidalbasso.com - annunciato da un live dei Perturbazione,
venerdì alle 18 nella Chiesa di Santa Croce, ad Avigliana. Info www.valsusafilmfest.it. Habana Blues. Ruy e
Tito sono due ragazzi cubani che sognano di diventare star della musica caraibica e finiscono sfruttati da
produttori senza scrupoli. È la trama di "Habana Blues", il film di Benito Zambrano che il Piccolo Cinema
proietta domani alle 21 per il ciclo "Peliculas imperfectas"a cura di Associazione Italia-Cuba. Info
www.ilpiccolocinema.net.
Una famiglia spaziale. L'Amnc con Videocommunity, Scuola Parini e l'associazione E.C.O. presentano
domenica alle 16.30 al Cecchi Point "I Robinson, una famiglia spaziale", film di animazione targato Disney.
Dopo la proiezione "Astrolaboratorio" per ragazzi.
Info www.amnc.it.
Vermeer al cinema. Evento speciale, domani, in molte sale piemontesi: si proietta "La ragazza con
l'orecchino di perla di Vermeer e altri tesori dal Museo Mauritshuis", documentario sul ritornoa casa, nel
museo dell'Aia riaperto dopo due anni di restauri, della Monna Lisa del Nord (già protagonista del celebre
romanzo e film). L'elenco dei cinema su www.nexodigital.it
Foto: A fianco: una scena di "Banana" film d'esordio di Andrea Jublin
Foto: A destra: ritorna restaurato "Barry Lyndon" di Stanley Kubrick
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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>CAMPO LUNGO
11/01/2015
10:51
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Sito Web
News
(AGI) - Roma, 11 gen. - La camera ardente per il regista Francesco Rosi, scomparso ieri, sara' aperta domani
a mezzogiorno. Il cineasta era nato a Napoli il 15 novembre del 1922. Uno dei grandi del cinema italiano,
inventore del cinema d'inchiesta vinse il Leone d'oro per 'Le mani sulla citta'' nel 1963 e la Palma d'Oro a
Cannes per 'Il caso Mattei' nel 1972. Francesco Rosi sara' celebrato in una cerimonia civile lunedi' mattina a
partire dalle 9, alla Casa del cinema di Roma, mentre alle 12 ci sara' la commemorazione alla presenza di
Napolitano. La morte di Francesco Rosi arriva come un fulmine a ciel sereno a meta' mattinata e subito su
twitter si inseguono e si accavallano i messaggi di cordoglio e gli attestati di stima per un regista che ha
segnato il nostro cinema inventando un genere, quello dell'inchiesta cinematografica. Da 'Salvatore Giuliano'
a 'Le mani sulla citta'', da 'Uomini contro' al 'Caso Mattei', da 'Lucky Luciano' a 'Cadaveri eccellenti', i suoi film
hanno segnato un'epoca e contribuito a volte addirittura a riaprire inchieste. Su twitter in tantissimi ricordano il
grande cineasta napoletano che si congedo' dal cinema nel 1997 col film 'La tregua', tratto da Primo Levi con
John Turturro. Guarda la galleria fotografica Tra i primi a piangere il maestro anche il sindaco di Napoli, Luigi
de Magistris. La sua citta' ha perso in pochi giorni due dei suoi figli piu' grandi, Pino Daniele e Francesco
Rosi. Il sindaco scrive: "E' morto Francesco Rosi, uomo di immensa cultura, regista straordinario, orgoglio di
Napoli, terra che ha amato e difeso dai soprusi dei poteri". Francesco Rosi: il cinema come impegno civile e
politico Anche Roberto Saviano dedica un pensiero commosso a Rosi. Postando una sua foto col regista, lo
scrittore ricorda che "nessuno come Francesco Rosi ha saputo raccontare il potere. Uomo coerente fino alla
fine". "I miei film erano legati ad un discorso sul potere e sulla realta' sociale e storica dell'Italia, ma la mia
preoccupazione era di coinvolgere lo spettatore, di farlo riflettere senza influenzarlo con tesi precostituite. Per
questo i miei film hanno dei finali aperti che non danno soluzioni, ma focalizzano l'attenzione sui problemi e
sulla realta'". Cosi', in un'intervista di alcuni anni fa per il libro '1969: un anno bomba' di Italo Moscati,
Francesco Rosi spiego' il suo cinema e quel genere da lui inventato, il film-inchiesta. Rosi fu protagonista del
fervore culturale degli anni della contestazione ed era vicepresidente dell'Anac insieme a Marco Ferreri
quando il presidente era Cesare Zavattini e gli autori di cinema decisero di boicottare la Mostra di Venezia del
'68. "Non partecipai all'occupazione perche' personalmente non credevo utile un'azione clamorosa - spiego' il
regista napoletano -. Pensavo, come altri colleghi quali Pasolini e Liliana Cavani, che sarebbe stato piu'
opportuno lottare all'interno del sistema democratico per far valere i nostri diritti. Io non volevo abolire i
festival, come sostenne invece il mio collega francese Louis Malle che blocco' Cannes". Rosi fu un
intellettuale a tutto tondo e rimase sempre indipendente. "Non sono mai stato iscritto ad alcun partito; sono
sempre stato di sentimenti socialisti, ma di ispirazione liberale e democratica - disse -. Ho fatto 'Le mani sulla
citta'' convinto dell'alleanza di centrosinistra. Per questo ho partecipato alla contestazione senza farmi
prendere dalla smania della pura negazione che, a mio giudizio, era solo autolesionistica. Le inquietudini di
quegli anni si registrano anche nel mio cinema che, come quello di Petri, Ferreri, Scola, Bellocchio voleva
rappresentare la realta' del Paese".
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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Cinema in lutto: addio a Francesco Rosi, "faccio film sul potere per far
riflettere" - foto
11/01/2015
Messaggero Veneto - Ed. nazionale
Pag. 54
(diffusione:51393, tiratura:61353)
Zanussi sarà la star del Trieste Film Festival
Zanussi sarà la star del Trieste Film Festival
Il regista terrà una masterclass il 18. Ad aprire la rassegna sarà venerdì Fiennes con "Two women"
TRIESTE Torna il Trieste Film Festival, il principale appuntamento italiano con il cinema dell'Europa centroorientale. Giunta alla sua ventiseiesima edizione, la rassegna, diretta da Annamaria Percavassi e Fabrizio
Grosoli, dopo l'affollata edizione 2014, si allunga di un giorno. I luoghi del festival saranno ancora il Teatro
Miela e la Sala Tripcovich di Largo Santos.Il programma, come di consueto, darà spazio ai tradizionali
concorsi internazionali (lungometraggi, cortometraggi, documentari), a eventi speciali, omaggi e incontri
(quelli con il pubblico e la stampa si terranno all'Antico Caffè San Marco). Tra gli ospiti del festival, Krzysztof
Zanussi, che terrà un'attesa masterclass il 18 gennaio e presenterà a Trieste in anteprima italiana il suo
ultimo film Foreign Body, un dramma psicologico che è anche sguardo sulla Polonia contemporanea, una
coproduzione italiana girata in parte nel nostro Paese. Ad aprire il festival sarà il 16 gennaio alla Sala
Tripcovich Two Women, della regista russa Vera Glagoleva, interpretato dal celebre attore inglese Ralph
Fiennes (il Voldemort di Harry Potter e M negli ultimi 007, protagonista anche di Strange Days, Red Dragon,
Grand Budapest Hotel) e dall'attrice francese Sylvie Testud. Il film, un'anteprima internazionale, è una
sontuosa produzione in costume, ed è tratto dalla pièce teatrale di Turgenev Un mese in campagna. Ci
immerge nella Russia di metà Ottocento, nella tenuta di un ricco proprietario terriero, dove un amico di
famiglia torna da un viaggio all'estero, ma viene ignorato. Nucleo centrale del programma rimangono i tre
concorsi internazionali che ogni anno fanno il punto sulla produzione più interessante dei paesi di riferimento
del festival. E anche quest'anno i premi al Miglior lungometraggio, al Miglior cortometraggio e al Miglior
documentario saranno attribuiti dal pubblico.
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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Zanussi sarà la star del Trieste Film Festival Il regista terrà una masterclass il 18. Ad aprire la rassegna sarà
venerdì Fiennes con "Two women"
11/01/2015
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 22
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LA FIGLIA CAROLINA: «AVEVA SCRITTO UNA SCENEGGIATURA SU BRUTO E CESARE MA ERA UN
PROGETTO TROPPO IMPEGNATIVO» SCOPRÌ LA SUA VOCAZIONE GRAZIE A VISCONTI DOMANI
CAMERA ARDENTE ALLA CASA DEL CINEMA PRESENTE IL CAPO DELLO STATO
Gloria Satta
È morto a Roma, all'età di 92 anni, Francesco Rosi. Il regista di "Salvatore Giuliano", "Le mani sulla città",
"Uomini contro", "Cadaveri eccellenti", "Lucky Luciano", "Il caso Mattei", "Cristo si è fermato a Eboli", "La
tregua" era nato a Napoli il 15 novembre 1922 e, dopo la laurea in Giurisprudenza, aveva cominciato a
lavorare nel cinema come "aiuto" di Luchino Visconti e si era trasferito a Roma. Il suo debutto da regista
avvenne nel 1956 quando co-diresse con Vittorio Gassman il film Kean-genio e sregolatezza. Due anni dopo,
il primo lungometraggio "La sfida" impose nel mondo intero il suo cinema di denuncia, un cinema-inchiesta
caratterizzato dall'impegno civile e sempre alla ricerca degli intrecci tra potere e malaffare, politica e
corruzione. Grazie ai film di Rosi, Gian Maria Volonté diventò una star. Premiato con la Palma d'oro a
Cannes, con il Leone d'oro e il Leone alla carriera a Venezia, ma anche a Berlino e Locarno, Rosi realizzò
anche film diversi come la favola "C'era una volta" e il film-opera "Carmen". Il regista lascia la figlia attrice
Carolina, nata nel 1966 dal matrimonio con Giancarla Mandelli, morta tragicamente in un incendio nel 2010. Il
grande regista si è spento ieri nella sua casa a Roma a 92 anni fino all'ultimo uomo curioso, lucido e
indignato. La passione civile, i tanti premi, le inchieste dedicate all'Italia del malaffare IL PERSONAGGIO
Francesco Rosi se n'è andato nel sonno nel suo attico-studio di via Gregoriana, assistito dall'amatissima figlia
Carolina e circondato dai libri, dagli oggetti, dai ricordi di una vita. Già da giorni, da quando si era capito che
la bronchite non avrebbe lasciato scampo al suo fisico ormai indebolito, erano accorsi a confortarlo Marco
Tullio Giordana, Roberto Andò, Giuseppe Tornatore. Più che colleghi, amici e discepoli. Ma andava a trovarlo
anche lo scrittore Raffaele La Capria, 92 anni, conosciuto ai tempi del liceo Umberto I che Rosi aveva
frequentato insieme con lui, con il Presidente Napolitano e un piccolo gruppo di amici - Patroni Griffi,
Barendson, Ghirelli- tutti animati dagli stessi ideali intellettuali e morali, e destinati a farsi strada a Roma. Fino
all'ultimo, il regista delle Mani sulla città non ha smesso di essere lucido, curioso, indignato per la violenza
dilagante e l'incertezza del futuro del nostro Paese. Un vecchio leone sempre pronto a ruggire. «Guardava il
telegiornale e si arrabbiava», racconta tra le lacrime Carolina, attrice, che per stare accanto al padre ha
interrotto una tournée teatrale. «Io sono i miei film, diceva sempre, e la sua curiosità, la sua passione per il
cinema e l'attaccamento alla vita gli hanno impedito di andare in pensione». L'ultimo film di Rosi è La tregua ,
del 1997, ma il maestro non aveva abbandonato del tutto l'idea di tornare sul set: «Dieci anni fa aveva scritto
una sceneggiatura su Bruto e Cesare», rivela la figlia, «ma era un progetto troppo impegnativo».Lui stesso
aveva spiegato: «La voglia di fare il film c'è, visto che ho dedicato settant'anni della mia vita al cinema, ma ci
vorrebbero troppo tempo e troppi soldi». IMPEGNO Lui, che aveva inventato il cinema-verità, i film-inchiesta
intrisi di passione civile e ricerca della verità, è stato combattivo fino all'ultimo: solo pochi mesi fa era al
cinema America di Roma e ai ragazzi che l'avevano occupato parlava di cinema, vita, politica. Anche se
confessava di «seguire a fatica» i teatrini italiani: «Troppe energie in contrasto, troppe regole travolte». A
novant'anni, Rosi aveva accettato di scrivere a quattro mani con Giuseppe Tornatore il magnifico libro
intitolato Io lo chiamo cinematografo (Mondadori), una lunga cavalcata nella sua avventura artistica e umana.
Nel 2012, ricevendo il Leone d'oro alla carriera a Venezia, rese omaggio al suo mestiere: «Il cinema ha
cambiato il modo di guardare il mondo», disse, «e rimane il mezzo più potente di comunicazione, a dispetto
della tv che tocca la realtà ma senza approfondirla. E, allo spettatore, noi registi dobbiamo l'onestà di una
ricerca senza compromessi». SCOMODO La carriera del maestro è stata costellata di premi: Leone d'oro a
Venezia nel 1963 per Le mani sulla città , Palma d'oro a Cannes nel 1972 per Il caso Mattei , nomination
all'Oscar nel 1981 per Tre fratelli , e poi il Leone alla carriera, una pioggia di Nastri e David, i tributi di Berlino
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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Addio Rosi maestro di impegno
11/01/2015
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 22
(diffusione:210842, tiratura:295190)
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e Locarno, la cittadinanza onoraria di Matera. I suoi film sono stati acclamati, premiati ma anche attaccati per
i loro contenuti scomodi: nel 1963 Le mani sulla città che denunciava gli intrecci tra politica, corruzione e
speculazione, venne contestato a Venezia e Uomini contro , sulle atrocità della Grande Guerra, gli procurò
una denuncia per vilipendio dell'esercito. E sembrava impossibile che la realtà, con tutta la sua crudezza, non
si intersecasse con il cammino del regista: il 13 maggio del 1981 la notizia dell'attentato a Giovanni Paolo II
piombò a Cannes mentre Rosi presentava ai giornalisti il film Tre fratelli . «Hanno sparato al Papa!», esclamò
il regista terreo e fu così che la stampa internazionale venne informata di quel fatto incredibile che nessuno
sceneggiatore avrebbe saputo immaginare. PASSIONE Nato in una famiglia borghese (il padre gestiva una
compagnia marittima), laureato in legge, Rosi scoprì la sua vocazione al cinema grazie a Luchino Visconti del
quale fu assistente sul set di La terra trema . Passione, senso dell'umorismo, rigore: la sua lunga vita si è
svolta all'insegna di questi valori, ma amava anche Charlot, il jazz, l'opera. E il suo più grande dolore fu la
morte dell'adorata moglie Giancarla Mandelli, sorella della stilista Krizia e punto di riferimento della Roma
intellettuale: quattro anni fa fu vittima di un incendio scoppiato nell'appartamento di via Gregoriana. Domani
alla Casa del Cinema, dalle 9 alle 18, sarà allestita una camera ardente e ci sarà una cerimonia civile in
memoria di Rosi. Parteciperà anche il Presidente, anzi l'amico Napolitano.
Foto: CINEASTA CONTRO Un'immagine del regista Francesco Rosi, scomparso ieri all'età di 92 anni
Foto: PREMIATISSIMO Francesco Rosi nel 2008 a Berlino, Orso d'Oro alla carriera. Nel '62, sempre a
Berlino, Orso d'Oro per per "Salvatore Giuliano". Nel '63, Leone d'Oro a Venezia per "Le mani sulla città". Nel
'72, a Cannes, Palma d'Oro per "Il caso Mattei"
11/01/2015
Il Tempo - Ed. nazionale
Pag. 21
(diffusione:50651, tiratura:76264)
Nuovo cinema videogioco
Da Resident Evil a Tomb Raider il grande schermo si ispira al gaming Una marcia in più I software sempre
più perfetti conquistano registi e produttori Non solo intrattenimento Il fenomeno è in forte ascesa e affascina
fan di tutte le età
Francesco Pellegrino Lise
Da anni, sono moltissimi i film che, ispirati ai videogames, sono apparsi sul grande schermo e che spesso e
volentieri vedono nel loro cast attori famosi come protagonisti. Alcuni esempi? Milla Jovovich, Angelina Jolie,
Jean Claude Van Damme, Christopher Lambert, Timothy Olyphant, Sienna Guillory, Ali Larter e molti altri
ancora. Il fenomeno videogames vola a braccetto con il cinema e man mano che le storie diventano più
complesse, i personaggi più caratterizzati e la grafica sempre più realistica, la possibilità che i software
incontrino il grande schermo è diventata sempre più concreta. Volendo osservare più da vicino l'evoluzione di
questa tendenza, basta fare un salto nel tempo di almeno due decenni e pensare ai primi film ispirati ai
videogames: Street Fighter e Mortal Kombat. Questi titoli, essendo dei «picchiaduro» anni 90, erano carenti
di una vera e propria trama e hanno consentito che molto venisse lasciato alla fantasia del regista,
considerato anche che avvicinare un gioco di lotta al grande schermo era per l'epoca effettivamente una cosa
davvero difficile. Nonostante le idee di fondo fossero buone, però, i tempi non erano ancora maturi, e il
risultato ottenuto non fu dei migliori, anche se gli appassionati apprezzarono molto l'idea. Fortunatamente,
negli anni che seguirono, l'uscita di giochi maggiormente dettagliati, sia dal punto di vista della trama che
della grafica, come Resident Evil, Tomb Raider, Hitman, Silent Hill e Max Payne hanno potuto fornire basi più
solide per riuscire a mettere in cantiere produzioni sempre più complesse, dando la possibilità di creare una
continuità e un filo logico vero e proprio. In particolare, Resident Evil, titolo cult per gli appassionati, divenuto
negli anni un vero e proprio fenomeno di costume, avendo inventato il genere «survival horror», e di cui fra
qualche giorno sarà messo in commercio il remake in alta definizione del classico originale, ha rappresentato
un vero e proprio fenomeno di tendenza che in diversi casi (5 film) ha ispirato il mondo del cinema. Le
produzioni contemporanee, infatti, sono quelle che hanno da offrire di più in materia, anche se al momento
sono ben pochi i film in circolazione. Tuttavia, recentemente il regista di Alien e Blade Runner, Ridley Scott,
ha prodotto una serie su Halo, il videogame simbolo di Xbox, la console Microsoft. Le puntate che
compongono questo piccolo capolavoro sono la dimostrazione di come le potenzialità delle nuove piattaforme
di gioco ,unite a una trama ben costruita, possano fornire il materiale giusto per creare produzioni di
spessore. Attualmente le pellicole più attese dai gamers sono quelle su Assassin's Creed, Gears of War e
The Last of Us, e i forum, i siti specializzati e le discussioni sui social network ne sono la prova evidente. È
palese, quindi, che Il videogioco, essendo un fenomeno di massa che ormai contagia un pubblico anche
adulto, può garantire all'industria cinematografica uno sbocco tutto nuovo. In ogni caso, c'è da dire che anche
il cinema ha dato il suo apporto al mondo del gaming. Infatti, sono molti gli attori che hanno prestato il proprio
volto o la propria voce per la realizzazione di un videogame di successo. L'esempio più evidente di tale
fenomeno è dato da Beyond Two Souls che vede fra i personaggi niente meno che William Dafoe.
Utilizzando la tecnica del motion capture i linemanti del viso e le espressioni facciali sono state fedelmente
riprodotte sullo schermo facendo letteralmente entrare l'attore all'interno del videogame. Ma quello di Dafoe è
solo uno dei tanti nomi che compongono la lista di star hollywoodiane che hanno preso parte a un gioco, fra
di essi infatti figurano anche Bruce Willis, Daniel Craig, Pierce Brosnan, Ellen Page, Aaron Staton e Kevin
Spacey. Guardando indietro nel tempo, i personaggi dei videogiochi erano creati sfruttando un agglomerato
di pixel. Chi più chi meno riusciva a somigliare a esseri umani, mantenendo però quella forma «pixellosa»
che ha caratterizzato i primi modelli 3D. Adesso tutto ciò è un ricordo e la realtà dei fatti è ben diversa. In
conclusione, alla luce di questa «collaborazione» tra videogiochi e cinema, è spontaneo chiedersi: cosa ci
riserverà il futuro? Il passo più vicino al momento potrebbe essere la realtà virtuale. Presto, quindi, ci
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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I personaggi virtuali lasciano il posto ai grandi di Hollywood
11/01/2015
Il Tempo - Ed. nazionale
Pag. 21
(diffusione:50651, tiratura:76264)
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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potremmo trovare tutti con un visore «VR» sugli occhi a chiacchierare con le star del cinema al proprio fianco
magari bevendo una birra.
Foto: Lara Croft È stata interpretata da Angelina Jolie in due pellicole
Foto: La tecnica del motion caputure L'attore William Dafoe ha prestato il volto per il videogame «Beyond
Two Souls»
Foto: Street Fighter Lo storico picchiaduro da sala giochi è stato uno dei primi esperimienti cinematografici
ispirati al mondo del gaming
Foto: Call of Duty Nell'ultimo capitolo dello shooter più famoso l'attore Kevin Spacey ricopre il ruolo principe
del grande antagonista
11/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1.34.35
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Il regista che sfidò il malaffare italiano
Paolo Mereghetti
A ddio al regista dell'impegno civile. Addio a Francesco Rosi, morto a Roma a 92 anni. Esordì nel 1958 (La
sfida) e divenne famoso con Le mani sulla città, Il caso Mattei, Salvatore Giuliano. alle pagine 34 e 35 Bufi,
Porro, Ulivi con il ricordo di Raffaele La Capria
I film? «Mi piace vederli al cinema, in una sala di proiezione col pubblico. Voglio sentire la reazione della
gente, capire se è diversa dalla mia. Il cinematografo è un miracolo, un grande sostegno per l'affermazione
della democrazia. [...] Perché il cinematografo sa sempre mostrarti la verità dei comportamenti».
Sono risposte di Francesco Rosi a Giuseppe Tornatore per quello straordinario libro-conversazione che è Io
lo chiamo cinematografo (Mondadori) e vi si può leggere l'amore e l'entusiasmo che non ha mai abbandonato
il regista, morto ieri a Roma a 92 anni (era nato a Napoli il 15 novembre 1922).
In quelle affermazioni c'è la passione civile che ha fatto di Rosi il più importante (e il più bravo) dei registi
«politici» italiani, ma c'è anche la passione cinefila che l'aveva spinto, poco tempo fa, a dare il proprio
sostegno ai ragazzi che lottavano per tener aperto il cinema America. «Puoi usare il cinema come vuoi diceva ancora a Tornatore - ma è difficile che il cinema tradisca la realtà». Ed è proprio nel rispetto di quella
«realtà» che è nato e cresciuto il suo cinema e che Rosi ha firmato i suoi capolavori.
Avvocato mancato, anonima comparsa per il cinema e per la rivista, disegnatore senza lavoro, trovò la sua
strada grazie a Visconti che lo chiamò sul set di La terra trema e poi per collaborare alla sceneggiatura di
Bellissima . Assistente di Emmer, Matarazzo, Giannini, Antonioni e Monicelli, esordì nella regia nel 1958 con
La sfida , rielaborazione di un fatto di cronaca (l'ascesa e la caduta di un trafficante di sigarette nei mercati
generali di Napoli) dove la lezione neorealistica si intreccia a quella del cinema americano. Anche in I magliari
(1959) ritroviamo la lotta tra il vecchio boss e il nuovo arrivato in una Germania di piccoli e grandi truffatori,
ma è con i due film successivi che Rosi modificherà radicalmente il modo di fare cinema politico in Italia. E
non solo. Il primo è Salvatore Giuliano (1961, Orso d'argento a Berlino): le gesta del bandito e la sua
misteriosa uccisione sono scomposti e ricostruiti attraverso una lunga serie di flashback dove finzione e
documentario si fondono magistralmente. Il nodo economico-politico che ha portato all'affermazione della
mafia viene presentato con grande chiarezza e in modo cinematograficamente esemplare. La stessa
esemplarità all'origine di Le mani sulla città (1963, Leone d'oro a Venezia), dove un caso inventato di
speculazione edilizia a Napoli gli serve per mostrare i compromessi del potere economico e politico (ancora
una volta) e come si adatti ai cambiamenti della città. Scavare nel reale - della Storia, della Cronaca, della
Politica - sarà sempre il faro che illuminerà il suo cammino di regista, sia nei film più liberi e fantasiosi, come Il
momento della verità (1965, un povero andaluso cerca il riscatto nella tauromachia), C'era una volta... (1967,
una favola ispirata a Basile, sulla furbizia popolaresca) o Carmen (1984, dove l'opera di Bizet è riletta in un
rigoroso verismo), sia in quelli più impegnati e «militanti», come Uomini contro (1970, da Lussu, sulla prima
guerra mondiale), Il caso Mattei (1972, sulla morte del padre dell'Eni), Lucky Luciano (1973, sulla carriera del
boss mafioso), C adaveri eccellenti (1976, sulle trame degli anni di piombo), Cristo si è fermato a Eboli (1979,
dal romanzo di Carlo Levi) o Tre fratelli (1981, sui destini di tre italiani variamente «impegnati». Per me il suo
vero, struggente canto del cigno).
Tutte opere, per usare le parole di un grande esegeta di Rosi, il francese Michel Ciment, dove le «risposte
contengono ulteriori domande, in una spirale infinita che viene svelata da film taglienti come una lama
d'acciaio, duri e nello stesso tempo brillanti». Gli ultimi film - Cronaca di una morte annunciata , 1987;
Dimenticare Palermo , 1990 e La tregua , 1997 - non ritrovano la forza delle opere precedenti ma non
inficiano minimamente un'opera di grandissimo livello, capace di «rappresentare la vita e i personaggi in un
contesto sociale e politico», come disse lo stesso Rosi, «sperando così di aiutare il pubblico a conoscere la
realtà del nostro Paese». Beh, possiamo proprio dire che l'ha fatto, e di questo gliene saremo sempre grati.
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ADDIO A FRANCESCO ROSI, AVEVA 92 ANNI
11/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1.34.35
(diffusione:619980, tiratura:779916)
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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Foto: «Amico di una vita, rappresentò la realtà italiana con vigore» Sguardo Francesco Rosi era nato
a Napoli il 15 novembre 1922 Venti i film da regista nella
sua carriera «La tregua»
è stato l'ultimo: lo aveva girato nel 1997 «Era uno fra i pochi autori in grado di creare dei mondi» «Persona
integra che avrebbe voluto un Paese come lui» «Nessuno come lui è stato capace di raccontare il potere»
1922-2015 I film, i premi: l'album di una carriera Il caso Mattei Gianmaria Volontè
(al centro) è Enrico Mattei nel film
del 1972 sul presidente dell'Eni
con cui Rosi vinse a Cannes Salvatore Giuliano Diretto da Francesco Rosi nel 1962, il film indaga sulla morte
del bandito siciliano (interpretato da Pietro Cammarata, nella foto) Cronaca
di una morte annunciata Irene Papas (a sinistra) e Ornella Muti protagoniste della pellicola del 1987 ispirata
al romanzo di Gabriel García Márquez
Foto: Lucky Luciano Gianmaria Volonté (a sinistra) in «Lucky Luciano» (1973), ritratto che Rosi fece del boss
mafioso Salvatore Lucania La tregua John Turturro (foto) è un deportato in «La tregua» (1997). Tratto dal
romanzo di Primo Levi, è l'ultimo film girato dal regista napoletano Leone alla carriera Rosi con il Leone d'Oro
alla carriera nel 2012. Anche «Le mani sulla città» (1963) gli valse
il massimo premio a Venezia
11/01/2015
Il Messaggero - Marche
Pag. 47
(diffusione:210842, tiratura:295190)
L'INTERVISTA
«L'idea è quella di fare un corso a se stante, per chi vuole imparare a scrivere una sceneggiatura, ma durante
il corso si realizzerà la sceneggiatura per un film che finirà nelle sale».
Il regista Alessandro Valori, maceratese doc trapiantato a Roma con alle spalle film quali Radio West e Chi
nasce tondo, è un ricercatore di atmosfere, tinge di rugiada un mondo secco di emozioni, cerca le lenti giuste
per mostrare le storie che sceglie, un po' come l'ottico deandreiano.
E sarà uno degli insegnanti del corso di sceneggiatura, insieme alle sceneggiatrici Valentina Capecci e
Barbara Petronio, rispettivamente sceneggiatrici de I Cesaroni e la serie televisiva Romanzo criminale, e al
docente dell'Accademia di Belle arti di Macerata Massimo Puliani.
Il corso, ideato dai due scrittori Jonathan Arpetti e Paolo Nanni, è promosso da Confesercenti Macerata
che lo ospiterà, ogni sabato e domenica fino ad esaurimento delle centoventi ore previste, nei suoi locali a
partire dal prossimo sabato 17 gennaio. Ma cosa dice il principale protagonista dell'evento?
«L'idea è nata grazie a Lavoricidi, libro collettivo di scrittori marchigiani coordinato proprio da Paolo e
Jonathan, perché leggendo il libro, la sua attualità, le problematiche affrontate e le storie di provincia, a me
era venuto in mente di farci un film. Ma il progetto deve essere marchigiano a tutti gli effetti, allora abbiamo
pensato che un libro scritto da scrittori marchigiani avrebbe dovuto avere una sceneggiatura scritta da
marchigiani, il corso era perfetto, ideale per realizzarla come prova pratica, importante per non rimanere solo
all'insegnamento teorico e astratto».
Un film denso di sfumature da provincia, non trova?
«Deve essere così, mi piace l'idea di raccontare la provincia in modo globalizzato, perché la globalizzazione
la trovi ovunque, ma le storie vere e le persone vere si trovano solo in provincia, non nelle metropoli, la
provincia è autentica, spontanea».
Oggi è più facile fare cinema in provincia?
«Partiamo da presupposto che il cinema è in crisi, quindi non è facile in genere fare cinema, ma bisogna
ammettere che la centralizzazione sta lasciando il freno, ad esempio un mio corto, Eccomi, l'abbiamo girato
tutto in provincia, con maestranze locali, manodopera locale, addirittura le scene ambientate in Africa le
abbiamo girate qui, alla Selva Bandini».
In Radio West lavorò con Pietro Taricone, come lo ricorda?
«Era una persona disponibile, generosa e curiosa. All'epoca facemmo moltissimi provini, e Pietro fu quello
che diede molto al personaggio, più degli altri».
Per info 0733240962
Simone Palucci
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ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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L'arte di girare film Il set e' la 'provincia'
11/01/2015
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 23
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Prima "Salvatore Giuliano" poi "Il caso Mattei" e "Lucky Luciano" hanno rivoluzionato i rapporti tra cinema e
ricostruzione storica NEL GENIALE LAVORO SUL BANDITO SICILIANO IL PROTAGONISTA SI VEDE
SEMPRE E SOLO DI SPALLE
L'AUTORE «Il regista deve solo far capire moralmente da che parte sta». - «E tu da che parte stai?». «Contro». In questo scambio di battute tra Francesco Rosi e Tullio Kezich c'è tutto il meglio di ciò che l'autore
di Salvatore Giuliano ha fatto in mezzo secolo. Lo scavo dietro le apparenze per svelare i rapporti di potere e
dominazione celati da norme e consuetudini. La ricerca della "giusta distanza" tra il regista e la sua materia,
ma anche tra il film e lo spettatore, sempre spinto a ragionare su ciò che vede e a non perdersi nello
spettacolo. L'imperativo categorico di una vita, scavare in cerca della verità, pur sapendo che la verità vera è
inafferrabile. Infine l'ostinata ricerca dell'autenticità - ne La sfida o in Salvatore Giuliano volti, luoghi, gesti,
perfino accessori di scena erano spesso quelli veri - non per banale feticismo ma per aggiungere un brivido
metafisico alla ricerca senza fine che è il senso ultimo dei suoi film-mosaico. Sempre pronti a trasformare
l'inchiesta nel romanzo di un'inchiesta, magari con il regista in scena tra i personaggi. O a rovesciare
un'ipotesi nel suo contrario, suggerendo mille altre interpretazioni dietro ogni parvenza di verità. Pochi
cineasti hanno avuto un impatto più decisivo sul rapporto fra il cinema e la realtà. Prima di Rosi c'erano i
documentari o i film di finzione, punto. Dopo Salvatore Giuliano (e più tardi Il caso Mattei e Lucky Luciano ), la
faccenda si rivelò molto più aggrovigliata. Oltre che molto più ricca di significato. Parafrasando il celebre
reportage di Tommaso Besozzi sulla fine misteriosa del bandito siciliano («Di sicuro c'è solo che è morto»), di
sicuro nei film di Rosi c'era solo il nome del protagonista. Il resto era un vertiginoso castello di congetture che
usava tutti i mezzi noti e qualcuno in più per dissipare, ma solo in parte, le mille ombre di un "caso" ancora
aperto. Rivedere per credere Salvatore Giuliano , il primo, il più radicale e inventivo dei suoi film-inchiesta,
tanto che il protagonista non si vede mai se non di spalle o da lontano. Un film che lascia ancora a bocca
aperta per l'audacia della concezione e delle implicazioni politiche. Anche se forse proprio la sua estrema
novità permise a Rosi di arrivare in fondo, superando mille ostacoli. Produttori che sparivano, banche che
ritiravano i finanziamenti, parenti del bandito che intimidivano il regista, Venezia che lo rifiuta scambiandolo,
scusa patetica, per un documentario... INTRECCIO DI POTERI Mentre in Salvatore Giuliano tutto è stato
girato ex novo ma sui luoghi e a volte con i personaggi stessi del dramma. In un alternarsi di materiali, punti
di vista, piani temporali, stili di regia, che fa girare la testa e ricrea in tutta la sua complessità l'intreccio di
poteri (i latifondisti, la mafia, la politica) nascosti dietro la parabola del bandito che con i suoi picciotti fece la
strage di Portella della Ginestra. Senza mai un momento di emozione, espediente facile, se non per la scena
straziante e insieme brechtiana della madre che piange sul cadavere del figlio (nel bel libro-intervista a
Tornatore, Rosi si commuove ancora a ricordarla). In queste inchieste "espanse", progressivamente segnate
da prove d'attore sempre più importanti (il Volonté del Caso Mattei e di Lucky Luciano ), sta il contributo più
alto di un regista intellettuale, appassionato, aperto a mille curiosità e suggestioni. Dalla lezione del thriller
impegnato americano, fusa al lavoro sulla realtà sociale napoletana ( La sfida e Le mani sulla città ),
all'istrionismo di Alberto Sordi, che domina ma non compromette il sottovalutato I magliari , fino alle favole del
Basile ( C'era una volta , con una grande Loren). Dal Carlo Levi di Cristo si è fermato a Eboli , al Lussu di Un
anno sull'Altipiano , da cui nascerà Uomini contro , allo Sciascia del Contesto , sullo schermo Cadaveri
eccellenti (tutti puntualmente accompagnati da molte polemiche, anche politiche). Fino alle prove più tarde
ma anche meno incisive di Tre fratelli, Carmen, Cronaca di una morte annunciata, Dimenticare Palermo, La
tregua , da Primo Levi. Come se abbandonando la struttura dell'inchiesta Rosi avesse un po' perso la forza,
la convinzione intima, il coraggio di sperimentare nuove forme di racconto che rendeva così unici i suoi film
migliori. Creando a volte ambigui cortocircuiti tra cinema e realtà se per anni la Rai ha usato, spacciandole
per brani di repertorio, scene da Salvatore Giuliano ogni volta che aveva bisogno di immagini sul tema.
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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Con i film di indagine ha creato un genere
11/01/2015
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 23
(diffusione:210842, tiratura:295190)
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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Destino paradossale di un'opera molto più contraddittoria di quanto non si creda. Che il Bif&st di Bari, a
marzo, riproporrà nella sua integralità. Fabio Ferzetti
I grandi titoli I magliari 1959: con Alberto Sordi, Renato Salvatori, Belinda Lee. La storia di un magliaro
italiano ad Hannover al servizio di un mafioso Salvatore Giuliano 1962: con Frank Wolff, Salvo Randone,
Pietro Cammarata. Il film si apre con la morte del bandito Giuliano e ripercorre i suoi ultimi 5 anni di vita. Le
mani sulla città 1963: con Rod Steiger, Salvo Randone, Guido Alberti. Brogli e brogliacci della Giunta
comunale per un progetto edilizio a Napoli. Uomini contro 1970: con Gian Maria Volonté, Alan Cuny, Pier
Paolo Capponi. Capitolo della I Guerra tratto da "Un anno sull'Altipiano" di Emilio Lussu Il caso Mattei 1972:
con Gian Maria Volonté, Peter Baldwin. Il film è dedicato a Enrico Mattei, presidente dell'Eni, ucciso
nell'attentato aereo nel 1962. Tre fratelli 1982: con Michele Placido, Philippe Noiret, vittorio Mezzogiorno. Tre
fratelli si ritrovano nel paese natio, in Puglia, per la morte della madre.
Foto: SUL SET Francesco Rosi nel 1979 durante le riprese di "Cristo si è fermato a Eboli" tratto dal romanzo
di Carlo Levi e interpretato da Gian Maria Volonté il suo attore feticcio
11/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Addio Rosi, le mani sul cinema
PAOLO SORRENTINO
ADISPETTO di un modo di essere che poteva sembrare sbrigativo, Francesco Rosi aveva un'immensa
grazia. Era uno dei pochi registi che, se gli piaceva un tuo film, ti chiamava. Io rimasi impietrito quando
ricevetti una sua telefonata per L'uomo in più , avevo trent'anni. Sarebbe successo altre volte. Rosi è stato
uno dei pochi registi nella storia del cinema, portatore di un mondo o di più mondi nuovi.
CON uno stile inedito, che non ricalcava quel che c'era stato prima. Succede solo ai grandi autori, una
ristretta e immensa cerchia mondiale a cui appartiene.
L'etichetta di regista d'impegno era una delle tanti semplificazioni che un autore complesso come Rosi è
stato costretto a sopportare. Non è solo l'autore di Le mani sulla città , ma di numerosi e splendidi film diversi
tra loro. I magliario Il caso Mattei sono anche strepitosi racconti della grandezza e miseria dell'essere umano,
che Rosi realizzava con un metodo, uno stile e una potenza visiva completamente originali e personali.
Aveva un suo universo, che non apparteneva e non apparterrà a nessun altro, come è successo solo per
pochi grandi registi, come Fellini, Visconti e Antonioni. Il suo lavoro è un'inesauribile fonte di ispirazione per
tutti noi che facciamo questo lavoro, lo è stato anche per tanto cinema americano che si è occupato di politica
e che forse prima di Rosi non sapeva nemmeno come doveva occuparsene. Sono gli stessi registi americani
a riconoscerlo. I tempi sono cambiati, ma il metodo, la serietà, la "cura del tutto" sono una parte del
patrimonio di Rosi imprescindibile anche per le generazioni presenti e future, non a fini imitativi, ma perché,
come mi diceva oggi Tornatore, il cinema di Rosi è un cinema percorribile. E ha aperto strade laddove prima
c'erano vicoli tortuosi su come raccontare al cinema l'ostico, il complicato, le sfumature dei rapporti tra gli
esseri umani, attraverso uno stile e una sensibilità irripetibili.
Mi porto nel cuore una cena molto bella, viva e divertente di qualche anno fa in cui lui e Raffaele La Capria si
appassionarono a parlare di Napoli, della loro gioventù e di un vecchissimo amore in comune, prima
dimenticato, ma poi ricordato come se fosse trascorso appena un mese. L'ultimo film che ho girato è anche
debitore di quella meravigliosa cena e sarà dedicato a Francesco Rosi.
Foto: Francesco Rosi nel 1984
Foto: PAOLO D'AGOSTINI A PAGINA 18
Foto: PREMIO OSCAR Paolo Sorrentino ricorda Francesco Rosi, "portatore di un mondo e di uno stile nuovo
"
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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IL REGISTA AVEVA 92 ANNI: DAL "CASO MATTEI" A MÁRQUEZ TRA IMPEGNO E SOGNO
11/01/2015
Corriere della Sera - Milano
Pag. 8
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Veleni e accuse al vertice della Lombardia Film Commission: il nuovo presidente «taglia» il manager Contri
Sullo sfondo il braccio di ferro tra Lega e Cl. E la Fondazione Cariplo esce dal consiglio di amministrazione Il
bilancio C'è necessità di tagliare i costi della fondazione nata quindici anni fa a partire dai manager La
squadra Con questa gestione la Film Commission si è rilanciata. La squadra non andrebbe cambiata La
responsabilità È un'operazione voluta dall'assessore, la L
Andrea Senesi
«Venite sul lago a girare film, documentari e fiction. È gratis e qualche divo di Hollywood qui è pure di casa».
Tra pochi giorni è attesa la firma: zero spese di occupazione del suolo pubblico per le troupe
cinematografiche che sceglieranno Como e la Lombardia per le loro produzioni. La cartolina con le placide
acque del lago in primo piano nasconde sullo sfondo una realtà assai più controversa. La Lombardia Film
Commission - la fondazione nata quindici anni fa (primo presidente: Renato Pozzetto)e controllato da
Regione (socio di maggioranza), Comune di Milano, Fondazione Cariplo e Unioncamere - con il proposito di
«attrarre produzioni sul territorio per sviluppare l'indotto locale e promuovere il turismo» - è diventata un ring
di battaglia politica.
Il presidente, nominato pochi mesi fa dalla giunta Maroni, si chiama Alberto Di Rubba ed è un commercialista
bergamasco assai vicino alla Lega, tanto da figurare anche come amministratore dell'immobiliare del
Carroccio Pontida Fin Srl. Appena insediato, il neopresidente ha avviato un'operazione di spending review.
Con l'obiettivo, nemmeno troppo mascherato, di silurare il direttore generale Alberto Contri, il manager vicino
a Cl che ha contribuito a rilanciare negli ultimi anni l'attività della Film Commission lombarda . Il cda s'è
persino incaricato di mettere mano allo statuto per cancellare dagli organigrammi societari la figura del dg.
«Un'operazione voluta dall'alto», mormora qualcuno. «Dall'assessore alla Cultura Cristina Cappellini».
Una leghista, ovviamente. Perché il sospetto che ha preso a circolare è che il Carroccio voglia la torta tutta
per sé. Il cinema è un antico amore, d'altra parte. Basti ricordare l'insistenza di Umberto Bossi sulla
«necessità storica» di una Cinecittà padana e i relativi tagli di nastri del Senatùr alle varie inaugurazioni della
cittadella delle arti visive alla ex Manifattura Tabacchi.
Ciak, si litiga? Il sospetto di una scontro tutto politico tra Lega e Cl è avvalorato da un altro fatto: i risultati
della fondazione. Tutt'altro che disprezzabili. Duecentodieci produzioni «assistite» nel 2014 (sono state 185
nel 2013), 11 milioni di euro il fatturato dell'indotto specifico sul territorio, con un costo totale di gestione di
700.000 euro annui; per non parlare dello sbarco di produzioni grandi e piccole di Bollywood e a di quelle
cinesi. E del rilancio di Lombardia Film Commission tutti (o quasi) danno merito proprio ad Alberto Contri.
Lega contro Cl, dunque? «Non c'è nessuna manovra politica in atto né tantomeno un problema personale
con Contri», assicura il presidente Di Rubba: «La nostra necessità è però quella di operare dei tagli alle
strutture manageriali della fondazione». Ci sono altri elementi da tenere in considerazione. Il mandato
dell'attuale cda è in scadenza, e ragioni di opportunità avrebbero suggerito che la modifica statutaria venisse
semmai proposta dal prossimo consiglio. Nessuno, tantomeno lo statuto, obbligherebbe poi il futuro cda a
nominare un dg, carica che peraltro risulta regolarmente presente in 15 commissioni regionali su 17.
I buoni risultati, il lago di Como come location privilegiata, Bollywood e i cinesi che portano i set a Milano. Le
buone notizie finiscono qui. Perché per Lombardia Film Commission è in arrivo un'altra grana: la Fondazione
Cariplo ha già fatto sapere che si sfilerà dalla compagnia. «Un investimento non strategico», hanno spiegato
nell'ultima riunione del cda. Colpa soprattutto dell'aumento della tassazione previsto dalla legge di stabilità
che obbliga di fatto le fondazioni a tagliare le quote di partecipazione (che nel caso di Cariplo in Film
Commission sono di 100mila euro annui).
Il consigliere d'amministrazione Dario Bolis assicura che le faide politiche in questa scelta non c'entrano
granché. Resta il fatto che il rappresentante della Fondazione Cariplo non ha votato a favore del cambio di
statuto imposto dal presidente. In opposizione al siluramento di Contri? «Con questa gestione Lombardia
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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«Giù i costi, via il dg». La disfida del cinema
11/01/2015
Corriere della Sera - Milano
Pag. 8
(diffusione:619980, tiratura:779916)
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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Film Commission s'è sicuramente rilanciata. Squadra che vince non si cambia. O meglio, non si dovrebbe
cambiare...».
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Venite sul lago a girare i vostri film, che non csterà nulla»: L'appuntamento è tra pochi giorni a Como per la
firma dell'accordo con cui la città azzererà la tassa di occupazione del suolo pubblico per attirare le
produzioni cinematografiche. Dietro la cartolina con le acque palcide del lago è in corsdo dda mesi una
battaglia campale per il controllo di Lombardia Film Commission,
210 produzioni assistite nel 2014 (sono state 185 nel 2013), 11 milioni di euro il fatturato dell'indotto specifico
sul territorio, con un costo totale di gestione della Fondazione di meno di 700.000 euro annui, quindi con
l'elevatissimo rapporto di 1 a 15 (per difetto), con tutta probabilità il più alto d'Italia, a sentire il Prof. Giuseppe
Richeri dell'Università di Lugano.
Se vogliamo considerare il 2010 l'anno in cui si sono cominciati a sentire gli effetti del rilancio, possiamo
parlare di un risultato straordinario: da allora oltre 600 produzioni assistite, quasi 40 milioni di fatturato indotto,
apertura a produzioni grandi e piccole di Bollywood e a quelle cinesi, ma soprattutto una difficile opera di
ricostruzione dell'immagine che era notevolmente deteriorata.
La vicenda
Il direttore generale della Lombardia Film Commission è Alberto Contri (foto sopra ), manager
vicino a Cl La carica
del manager Contri potrebbe essere «tagliata» nella spending review dell'ente. Sullo sfondo lo scontro fra Cl
e Lega. Nella foto sotto: l'assessore alla Cultura della Regione,
la leghista Cristina Cappellini
La vicenda
Lombardia Film Commission
è un ente pubblico controllato dalla Regione La fondazione
è stata creata quindici anni
fa (primo presidente, l'attore Renato Pozzetto)
per attrarre produzioni
sul territorio, sviluppare indotto e promuovere
il turismo locale Nel 2014
le produzioni assistite dall'ente sono state 210, l'anno precedente erano state 185: il fatturato dell'indotto è
stato di 11 milioni di euro con costo di gestione di 700 mila euro annui Ad agosto è stat nominato dalla
regione alla presidenza il commercialista e Alberto
Di Rubba. L'incarico di
Di Rubba è a titolo gratuito. L'unico a percepire un compenso,
tra i membri del consiglio
di gestione,
è il direttore generale Alberto Contri
Foto: Sul set Una produzione cinematografica di Bollywood al lavoro nell'Ottagono della Galleria Vittorio
Emanuele. Sono quattordici i film indiani girati in Lombardia negli ultimi anni
10/01/2015
Gente - N.2 - 20 gennaio 2015
Pag. 11
(diffusione:372741, tiratura:488629)
l'ha annunciato su twitter: «i miei due eroi torneranno presto in vita». a quasi 70 anni il mitico sly ha ancora
voglia di menar le mani
A 40 anni esatti dal suo debutto sul ring, nel 1976, Rocky tornerà sul grande schermo. L'ha annunciato
Silvester Stallone in persona attraverso un tweet con tanto di foto del copione che ha appena terminato di
scrivere. Uscirà nel 2016, per il 70° compleanno di Sly e non s'intitolerà Rambo 7, ma Creed . Ricordate?
Apollo Creed era il campione di pesi massimi prima rivale e poi grande amico di Rocky, che veniva ucciso dal
gigante russo Ivan Drago nel quarto film della saga. Nella nuova pellicola l'attore emergente Michael B.
Jordan sarà Adonis, il nipote di Apollo Creed, e verrà allenato da Rocky Balboa che ormai è fuori ring.
Stallone si accontenta quindi di un ruolo da pensionato in secondo piano? Nient'affatto. Se con Rocky accetta
di stare un po' in disparte è solo perché ha già in programma di resuscitare anche il mitico Rambo dove
nessuno potrà rubargli la scena. Quest'altro film s'intitolerà Last Blood Rambo (letteralmente: Rambo
all'ultimo sangue), lasciando intendere che sarebbe il quinto e ultimo della serie. E vedrà il muscoloso
guerriero, veterano della guerra in Vietman, combattere contro un pericoloso cartello della droga in Messico.
Ma non è tutto. L'iperattivo Sly, che nella realtà non ha alcuna intenzione di passare da una vacanza all'altra,
sta lavorando anche a una sceneggiatura dal titolo Scarpa , basata sulla vita del gangster Greg Scarpa,
diventato un informatore dell'Fbi e morto di Aids nel 1994. E se pensate che Stallone sia un'eccezione vi
sbagliate: l'età media avanza nella società e così anche tra gli attori che a 70 anni si sentono ancora nel
pieno delle forze creative. Proprio in questi giorni Terence Hill, 75 anni, ha dichiarato di volersi dedicare
presto alla prima regia e che il suo idolo è un altro grande vecchio, Clint Eastwood, che ne ha la bellezza di
84 e sforna film a tutto spiano. E poi c'è l'eterno rivale e amico di Stallone, Arnold Schwarzenegger, che a 67
anni è pronto a ridar vita al mitico Terminator (nato nel 1984) con una nuova trilogia. Del primo episodio, che
uscirà in Italia il 9 luglio intitolato Terminator Genisys , il trailer è già online. Chi li ferma? sara recordati un
mito sul ring e nella giungla a sinistra, stallone nei panni del guerriero Rambo , nel 1982. sopra, l'attore sul
ring ai tempi di Rocky IV . fisico scattante viso rimodellato silvester stallone, 68 anni, qualche lifting in più sul
volto, tornerà con i nuovi film delle serie Rambo e Rocky .
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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Stallone resuscita rocky e rambo
10/01/2015
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 25
(diffusione:210842, tiratura:295190)
«Il troppo amore fa paura»
Fabio Ferzetti
L'INTERVISTA Un regista italiano con tre soli titoli alle spalle gira un film a New York con uno degli attori
americani più quotati del momento, vince due premi a Venezia, poi aspetta quattro mesi per farlo uscire.
Mentre il protagonista, Adam Driver, coppa Volpi a Venezia con la sua partner Alba Rohrwacher, finito ormai
Guerre stellari - Episodio VII , si prepara a girare il nuovo film di Martin Scorsese: Silence . Sembra una storia
impossibile tanto più che il tutto è costato appena 800.000 euro, compresa la paga dei protagonisti. Invece è
andata proprio così. Ma la notizia vera è che Hungry Hearts di Saverio Costanzo, in sala dal 15, già venduto
in mezzo mondo, è anche molto bello. Un concentrato di energia e di rigore che con un pugno di personaggi
e di ambienti ci porta al cuore di molte delle ossessioni centrali di questi anni: il corpo, la salute, la natura, la
libertà personale. E ciò che sta dietro questi feticci, che spesso sono alibi: il mito della purezza. La purezza in
nome di cui una giovane madre può quasi far morire di fame il figlio neonato. Perché l'aria è fetida, la carne fa
male, dei medici e delle loro macchine meglio non fidarsi. Ed ecco che quella bellissima storia d'amore sterza
in una dimensione quasi horror. Anche se Hungry Hearts , liberamente tratto dal romanzo di Marco Franzoso
Il bambino indaco (Einaudi), si guarda bene dal giudicare i suoi personaggi. Come ci spiega prorio Costanzo.
Perché portare tutto a New York? «Ci ho vissuto, la conosco bene, e non riuscivo a immaginare quella storia
a Roma. Serviva una città più violenta, in cui l'opposizione tra dentro e fuori, città e intimità domestica, fosse
più esplicita. Nel libro c'era Padova e lei era svizzera o tedesca. Una straniera. Qui Mina è un'italiana a New
York, sola, senza legami. La nascita di quel figlio la travolge, tutto quell'amore è ingestibile, così si difende
rifugiandosi in un'ideologia su misura». Ideologia? «Esatto. L'ossessione del cibo è solo uno strumento. Per
essere all'altezza di quell'amore Mina si chiude in una costruzione ideale, l'ideale di una vita pura, libera da
ogni possibile inquinamento. Le ideologie sono sempre figlie di un innamoramento. Di colpo sei fulminato da
un'idea che ti cambia la vita, illumina la tua visione del mondo con una luce così forte che credi di essere nel
giusto, di aver capito tutto. Così, anziché accettare la propria trasformazione in madre e mettersi in ascolto,
Mina si barrica dentro il suo dogma. In fondo è lo stesso meccanismo che sta dietro il fanatismo dei terroristi
di Parigi. L'ideologia è sempre sorda e cieca. Non guarda gli altri, ci impedisce di capire». A proposito,
Hungry Hearts ha già fatto il giro del mondo nei festival, e non è un film facilissimo. È stato accolto
diversamente in culture diverse? «No, la vera differenza è fra spettatori e spettatrici. Gli uomini purtroppo
tendono a vedere Mina solo come un nemico, un'incognita. Le donne sono più aperte alla complessità di
questo personaggio così estremo, anche se spesso si sentono prese di mira» Niente accuse di misoginia?
«Quelle sono scontate in partenza. Direi quasi che sono motivo d'orgoglio. Appena esci dal conformismo e
racconti personaggi che appartengono alla vita, non alla drammaturgia, subito fiocca quest'accusa idiota.
Tanto che i più grandi registi di donne, da Bergman a Lars Von Trier e Polanski, si sono visti puntualmente
accusare di misoginia. Come se voler capire significasse giudicare. Per fortuna c'è un vasto pubblico che
cerca una rappresentazione più complessa della verità, anche se dolorosa. Proprio per questo il film alterna
con molta attenzione i due punti di vista, di lui e di lei». C'è anche una pista "magica", con quel sogno
premonitore, che il film si guarda bene dallo smentire... «Certamente, una certa "magia" esiste, ci sono
persone più sensibili di altre, Mina ha doti misteriose, vede in anticipo le cose, coglie segni molto sottili,
diciamo che il suo inconscio le parla molto, anche perché cerca continuamente delle risposte, il senso
profondo di quello che accade». Com'è stato riunire sul set Alba Rohrwacher e Adam Driver? E come lo
avete convinto? «All'inizio non aveva nemmeno tempo di leggere la sceneggiatura, è stata la sua agente a
insistere, poi ha voluto incontrarci. Non aveva idea di chi fossimo, ha voluto vedere i miei film, poi tutto è filato
a meraviglia. La media degli attori è molto alta in America, ma a fare davvero la differenza sono le persone, e
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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Un uomo, una donna, un bambino. E un idillio che sfiora l'horror per le cure morbose riservate dalla madre al
figlio Saverio Costanzo racconta il suo "Hungry Hearts", in sala il 15, premiato a Venezia con una doppia
coppa Volpi
10/01/2015
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 25
(diffusione:210842, tiratura:295190)
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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Adam è una persona straordinaria. Cassavetes è un mito per lui come per me, e credo che nel nostro piccolo
film girato in fretta e con una macchina da 16 millimetri, molto più maneggevole del digitale, abbia visto la
possibilità di lavorare in un modo ormai inconcepibile per una grossa produzione americana». SODALIZIO A
sinistra il regista Saverio Costanzo Sotto, Alba Rohrwacher compagna d'arte e di vita A NEW YORK Adam
Driver e Alba Rohrwacher in una scena di "Hungry Hearts" il film di Costanzo che ha valso a entrambi la
Coppa Volpi a Venezia
«IL NOSTRO FILM SUSCITA REAZIONI MOLTO DIVERSE NEGLI SPETTATORI A SECONDA DEL
SESSO» Saverio Costanzo
10/01/2015
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:210842, tiratura:295190)
James Bond, ecco le scene che saranno girate nella Capitale
Gloria Satta
a pag. 26
LE RIPRESE In questo momento James Bond-Daniel Craig, in giacca a vento, colbacco e sci ai piedi, si
trova a Solden, sulle Alpi austriache a tu per tu con la bella Léa Seydoux, una delle sue nuove Bond Girl
(l'altra è Monica Bellucci). È infatti nel bianco abbagliante delle nevi che si è spostata, dopo l'inizio negli studi
Pinewood di Londra, la lavorazione di Spectre , il 24mo film della saga di 007 diretto da Sam Mendes. Ma dal
19 febbraio e fino al 12 marzo la troupe kolossal del film si installerà nella Capitale per ambientarvi le scene
più spettacolari. Nessun dorma. Da via Garibaldi al cimitero del Verano, da Lungotevere a San Pietro, Corso
Vittorio e Via Nomentana sono tante le zone della città, soprattutto nel centro storico, che faranno da teatro
alle riprese. Gli sceneggiatori John Logan, Neal Purvis e Robert Wade hanno dato fondo alla fantasia (e al
budget milionario del produttori Barbara Broccoli e Michael G. Wilson) per inventare inseguimenti, atterraggi,
corse, perfino un funerale all'insegna dell'adrenalina.
PONTE SISTO A Ponte Sisto Bond si farà paracadutare da un elicottero, a Borgo Vittorio la sua auto si
scontrerà con una 500 mentre gli inseguimenti più spettacolari si svolgeranno in Corso Vittorio, via
Nomentana, via degli Scialoja, via Quattro Novembre, Gianicolo. Un esercito di addetti alla produz i o n e ( o l
t r e c e n t o ) sopraintenderà alla lavorazione. Inutile dire che durante le riprese il traffico verrà bloccato,
interi quartieri finiranno sigillati e sul Tevere e la navigazione sarà interdetta. Non è la prima volta che Roma
ospita il cinema, ma le proporzioni di Spectre e la durata della permamenza della troupe superano ogni
precedente. Spectre uscirà il 6 novembre, dopo aver causato non pochi mal di pancia alla Sony: meno di un
mese fa, nel momento più "caldo" di Sonyleaks, mentre email imbarazzanti e documenti riservati invadevano
il pianeta, anche la sceneggiatura del film era stata intercettata dagli hacker, pronti a diffonderla on line. Ma si
trattava di una versione non definitiva e, a quanto pare, nessun segreto è stato rivelato ed è stato scongiurato
il rischio che la sorpresa venisse rovinata.
IL SEGRETO L'agente segreto più famoso del mondo questa volta dà la caccia a Spectre , la potente
organizzazione criminale che cela un "segreto terribile" ed è guidata dall'efferato Oberhauser, interpretato da
Christoph Waltz, due Oscar e la fama di cattivo più affascinante dello schermo. Mentre il nuovo M (Ralph
Fiennes) lotta per mantenere in vita i servizi segreti, 007 deve vedersela con il fascino di Lucia Sciarra
(Bellucci), con la vivacissima segretaria Moneypenny (Naomie Harris), con il tecnologico Q (Ben Whishaw).
Completano il cast Dave Bautista e Andrew Scott. Le riprese di Spectre , che punta a superare il record di
Skyfall (un miliardo e 200 milioni di dollari incassati), si sposteranno poi a Città del Messico, Tangeri e Erofud
in Marocco. E mentre si prospetta un nuovo 007 nero (forse, tra due film, sarà interpretato da Idris Elba), la
tappa romana s'inquadra nel rilancio dell'attività cinematografica della Capitale, benedetta dalla Film
Commission che ha ripreso ad attirare le grandi produzioni internazionali. Anche grazie a 007, Hollywood
torna a specchiarsi nel Tevere.
Foto: SUL SET Daniel Craig e Léa Seydoux sulle Alpi austriache per le riprese di "Spectre"
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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Il film
10/01/2015
La Notizia Giornale
Pag. 12
Il cinema non abita più a Roma
Fumata nera per il riassetto del Festival voluto dal Mibac Pochi soldi. Marino e Zingaretti snobbano
l'assemblea Per la carica di presidente Croppi resta favorito Ma si fa pure il nome di Freccero
angelo costa
La Festa del cinema di Roma del nuovo corso continua a vivere nel caos. L'intervento del ministero dei Beni
culturali - che ha scelto l'istituto Cinecittà Luce come rappresentante - ancora non ha dato una fi sionomia a
un progetto ancora ibrido. Che non decolla anche perché tra i soci fondatori c'è un po' di maretta. A
cominciare da Campidoglio e Regione Lazio, i cui massimi esponenti ( Marino e Zingaretti ) hanno già
disertato il primo incontro, impedendo la votazione per il riassetto. Lo statuto infatti (che risale all'era di
Goffredo Bettini ) non contempla la possibilità di voto in delega. E i rappresentanti presenti alla seduta di
Comune di Roma (l'assessore alla Cultura, Marinelli ) e Regione Lazio (il capo di Gabinetto, Venafro ) non
sono riusciti a evitare l'aggiornamento dei lavori alla prossima seduta. CHI CACCIA I SOLDI Il Festival 2015
potrà contare su 4 milioni di finanziamenti, più il milione e mezzo destinato al mercato (erogato dal ministero
dello Sviluppo) e il milione da Bnl. I soci fondatori limiteranno il contributo. Il Comune di Roma ha pochi soldi
e quindi facile prevedere che il contributo sarà irrisorio. Le casse dell'ex Provincia, oggi Città Metropolitana,
sono ancora più vuote di quelle comu nali. Restano la Camera di Commercio di Roma e la Regione Lazio. La
prima dovrà vedersela con il taglio del 35% delle entrate deciso dal governo Renzi . La seconda deve far
quadrare i conti. Al massimo i due enti potrebbero mettere sul tavolo non più di 800 mila euro ciascuno. Tra
l'altro la Camera di Commercio è alle prese anche con problemi di organizzazione, visto che il Tar ha
bocciato l'allargamento della giunta, varato da qualche tempo, e ha ristabilito il vecchio numero di
componenti, facendo decadere i nuovi incarichi. PROGETTI AL BIVIO Oltre al nuovo cda si sta pensando
anche a creare una sorta di sinergie con gli altri due grandi appuntamenti capitolini. Il Roma Fiction Festival e
la moda di AltaRoma. Anche perché di soldi in giro ce ne sono pochi. Il Campidoglio ha già fatto sapere che
non stanzierà più fondi per le partecipate. Per ora le imminenti sfilate di AltaRoma sono salve, ma in futuro il
Comune si limiterà a mettere sul piatto solo le location per organizzare gli eventi, ma niente soldi. IL
PRESIDENTE Un'altra partita importante sarà la scelta del presidente. Paolo Ferrari sta per lasciare
l'incarico. Per la sua successione si fanno i nomi di Umberto croppi (l'ex assessore capitolino nemico
irriducibile di alemanno ), carlo Freccero e Mario sesti e A ntonio Monda.
Foto: croppi
Foto: il festival del cinema
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dentro la notizia Papabili
10/01/2015
La Stampa - Torino
Pag. 47
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Una camera fissa al cimitero ed ecco "Morituri"
tiziana platzer
Un mese di prove quasi teatrali, dieci giorni netti di riprese, una camera fissa, tre attrici e una parete di loculi
cimiteriali con sacrosanti lumini: e il film è pronto. Sembra la ricetta per cineasti agli esordi tanto pare
semplice, ma è solo un'idea. Certo è che l'ultimo lavoro di Daniele Segre, «Morituri», finito di girare due giorni
fa interamente all'ex cimitero San Pietro in Vincoli, è una produzione a un budget così basso che il regista
torinese, anziché in euro, lo definisce nella sintesi «40 anni di esperienza e 10 giorni di lavoro». Una formula
da cinema sperimentale che l'autore tante volte ha messo in campo con la sua casa di produzione «I
cammelli» e che questa volta ha allargato al teatro. Tre donne al cimitero
L'idea comincia comunque dalla pellicola, i 65 minuti di una trilogia di film realizzati con un'unica
inquadratura - nel 2002 «Vecchie», con due donne in camicia da notte in una stanza, e nel 2004 «Mitraglia e
il verme», girato nei bagni pubblici dei mercati generali - e che per questo nuovo «quadro» punta la macchina
su tre donne: di mezza età, una zitella, una divorziata e una vedova: tutte al cimitero. Due perchè ci lavorano,
una perchè porta le ceneri del marito. Tre interpreti torinesi, perchè il prodotto sia completamente territoriale unica eccezione un grande nome della fotografia, Luca Bigazzi - che sono Tiziana Catalano (Aurora)
Donatella Bartoli (Nora) e Luigina Dagostino (Olimpia). Una triade notevole per «gonfiare» alterchi e
battibecchi sfumati di sottile ironia, e per tirare fuori dalla pancia inquietudini stratificate: «Abbiamo provato un
mese il copione, è praticamente lo spettacolo da portare in scena» raccontano. Ospiti del Cineporto durante
le prove, poiché il film ha il sostegno di Film Commission, e poi di Acti Teatri che ha messo a disposizione la
location di San Pietro in Vincoli, dove la scenografia è al minimo: una scritta luminosa «Riposate in pace» e il
rifacimento di una parete di loculi ripresa dal cimitero monumentale. «Quanto basta per andare sul
palcoscenico». dice ridendo Segre. E poi più serio: «Sarebbe un onore se lo Stabile si accorgesse di questo
esperimento». Sul palco e sullo schermo
Quello che il regista definisce «un film noir ironico, drammatico e inquietante» avrà un'anteprima al Cineporto
e poi partecipazioni ai festival ancora da decidere. A specchio si muoverà la scena, con lo «studio» di
«Morituri» il 15 gennaio ad aprire la stagione di Acti «Santa Cultura in Vincoli» e l'ambizione che lo spettacolo
completo sia in cartellone la prossima stagione.
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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Il nuovo film di Segre
10/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale - tutto libri
Pag. 43
(diffusione:309253, tiratura:418328)
"I tartari di Buzzati signori del cinema "
L'inventore delle stellette e dei pallini per i film : "Ne ho amati 16mila, come un eunuco nell'harem" «Il peggior
connubio consumato tra cinema e romanzo è stato "Il giorno della civetta"»»
ALBERTO SINIGAGLIA
Il Morandini 2015 sulle ginocchia di Morando Morandini. Tra i dizionari Zanichelli, l'unico per cui sull'editore
prevale l'autore, sinonimo di cinema, decano dei critici italiani, inventore delle stellette e dei pallini, suprema
sintesi di giudizio e di mercato. Diciassettesima edizione aggiornata. La seconda che è insieme «Dizionario
dei film e delle serie televisive». Ce ne sono 500 accanto ad altrettanti cortometraggi e alle trame di 16 mila
film proiettati in Italia dal 1902 al 2014. Un tesoro di indici: degli autori letterari e teatrali, dei registi, degli attori
principali, delle opere migliori, di quelle apparse alla Mostra di Venezia. Nella versione digitale anche 7 mila
schede con immagini di scena e locandine. «Quest'anno nessun'altra novità - dice come scusandosi - se non
una ulteriore perdita della memoria. Per fortuna mi salva il Morandini ». Per fortuna non ha perso l'ironia.
Classe 1924, milanese appassionatamente juventino, continua a giocare con gli ossimori - «sono un
razionale emotivo» - e a sorridere della condizione del critico, che il regista Elia Kazan paragonava
all'«eunuco nell'harem dannato a contemplare quanto gli è precluso». Confida il proprio «crollo fisiologico», di
aver avuto «il progetto di morire nel 2014, ma senza far nulla per metterlo in atto», e di avere un secondo
progetto... Intanto il fumo della sigaretta va ad accarezzare sulla libreria tre versioni della Ricerca del tempo
perduto di Proust, tutto Shakespeare, tutto Strindberg, tutto Pirandello, il teatro di Molière, Le mille e una
notte , tanta letteratura russa, Il ramarro , esordio poetico di Paolo Volponi e i romanzi di quel suo grande
amico: Memoriale , La macchina mondiale , Corporale , Il sipario ducale , Le mosche del capitale .
Sovrastante la presenza scenica della Biblioteca Adelphi. Dunque una novità c'è, se ha un progetto... «Penso
alla pubblicazione di racconti scritti in un passato remoto, ambientati durante il secondo conflitto mondiale. Ne
avevo cinque o sei. Ne ho trovati altri. Potrebbero intitolarsi: Una guerra così . Sono sempre stato bravo a
inventare i titoli di cose che poi non ho pubblicate. Mi dispiacerebbe capitasse pure a queste. Vorrei parlarne
a Feltrinelli. Ma prima devo finire il lavoro». Stanco di critica? «E' diventata una cultura di élite, una realtà
sempre più di nicchia per chi realmente è interessato ad approfondire l'argomento, sia cinema, teatro o
letteratura. Oggi con internet ci si illude che tutto sia più vicino, invece tutto è più lontano: la critica dal
pubblico, l'autore dal critico. Una volta ci si conosceva con i registi e gli sceneggiatori, ci si vedeva, ci si
scriveva . Un confronto continuo, sfociato in relazioni straordinarie, artistiche e private, in amicizie. Il tesoro
che ho trovato, la ragione per la quale mi considero un uomo fortunato». Solo fortunato? «Sono diventato
critico cinematografico prima dei trent'anni. Da ragazzo avevo due amori: i film e i libri . Mi considero un uomo
fortunato per essere riuscito a far coincidere queste due passioni e ad avere un rapporto con gli autori dei film
. Da ragazzo leggevo sempre le recensioni di Mario Gromo, Leo Pestelli, Filippo Sacchi. Ho fondato una
rivista, Schermi . E ro m o l t o i n fluenzato dalla cultura francese e dai Cahiers du cinéma . Sono stato il
primo in Italia a scrivere un saggio sulla "Nouvelle Vague". Di lì la mia ammirazione per il cinema di Truffaut».
Tra i tanti rapporti con gli autori, quali furono più assidui, più forti? «Primo fra tutti quello con i Bertolucci: il
poeta Attilio, i figli registi Giuseppe e Bernardo, che mi volle attore in "Prima della rivoluzione". Fui molto
colpito dalla morte di Pasolini. Certe persone muoiono come vorrebbero morire. Pasolini era una forza: poeta,
scrittore, regista, giornalista. Un lavoro vario, folto, frammentario, per occasioni. Veniva qualche volta a
pranzo a casa nostra con Ninetto Davoli, allora suo compagno di vita, timido, simpatico». La passione per i
libri da quale cominciò? «Forse da Conrad: Lord Jim , L'agente segreto , Cuore di tenebra . Mi colpiva la
capacità di prenderti, di essere nello stesso tempo interessante da leggere e profondo nelle cose che
raccontava». Un'attrazione speciale per i russi, così numerosi nella sua libreria? «Davvero non saprei fare
graduatorie tra i classici della narrativa russa Ottocento Novecento: Tolstoj, Dostoevskij, Cechov, Gogol...
Cominciai a leggerli a quindici, sedici anni. Me li regalava mia madre, li cercavo in biblioteca. Rilessi Anna
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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MORANDO MORANDINI Il diario di lettura
10/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale - tutto libri
Pag. 43
(diffusione:309253, tiratura:418328)
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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Karenina e altri romanzi dieci anni dopo, li sentivo vicini. Vi tornai vent'anni dopo, soprattutto a Gogol,
apprezzando quella sua componente satirica. Per me la letteratura russa è tuttora valida e universale». Qual
è stato per lei il romanzo meglio interpretato sullo schermo? «Trasposto magistralmente al cinema è stato Il
deserto dei Tartari , venduto in tutto il mondo. Il romanzo di Buzzati è del 1940. Il film è del 1976, l'ultimo di
Valerio Zurlini e l'unico non scritto da lui». E il risultato peggiore? « Il giorno della civetta , che nel 1968
Damiano Damiani trasse da Sciascia, fu nel mio ricordo una trasposizione non riuscita». Ha sempre amato la
poesia. Amico di Bertolucci, lo è stato anche di Giorgio Caproni. E ha scritto poesia... «Per amore di Laura,
mia moglie. Dall'uno all'altra , un piccolo album di versi e scatti di Francesca Fago, la mia nipote fotografa.
Nella prefazione Gianni Amelio scrive che "hanno l'azzardo della limpidezza". E li paragona a inquadrature di
un film». Segue l'editoria, i giornali? «Oggi si pubblica di tutto, forse troppo. Del giornalismo italiano mi fa
arrabbiare il culto del successo editoriale e il servilismo più o meno camuffato». Che idea ha dell'Italia? «Negli
Anni 70 pensai di andarmene. Torno a pensarlo adesso. E faccio previsioni pessimistiche. Anche se qua e là,
soprattutto in certe città di provincia, non mancano elementi positivi. Ci sto male in questo Paese. Se fossi
costretto a farlo sceglierei la Francia. Forse perché quella francese è la cultura che conosco di più». Che
cosa dice a chi si avventura ora nel cinema? «Sii sincero. Fai soltanto qualcosa in cui credi davvero».
I PREFERITI Marcel Proust «Alla ricerca del tempo perduto» Mondadori pp. XVII-2058, € 28 Nikolaj Gogol'
«Racconti di Pietroburgo» Adelphi pp. 352, € 13
IL SUO LIBRO «Il Morandini 2015» Zanichelli pp. 2080 € 31,90
Foto: FOTO FRANCESCA FAGO
10/01/2015
Brescia Oggi
Pag. 47
(diffusione:16000)
L´«Hotel» di Anderson in corsa 11 volte
Ralph Fiennes in Grand Budapest Hotel di Wes Anderson I Bafta (British Academy of Film and Television
Arts) Awards sono gli «Oscar» del mondo britannico. La comunità internazionale della settima arte li
considera, per importanza, al terzo posto nella scaletta dei premi più ambiti, subito dopo i Golden Globes.
Ogni anno le nomination ai Bafta aiutano a confermare o smentire le possibili traiettorie dei film più importanti
verso il favore dall´Academy americana, che assegna le ambite statuette dorate. La sorpresa di questa
stagione è The Grand Budapest Hotel: per questo film di Wes Anderson ben undici nomination, incluse quelle
per miglior film, miglior regia e miglior attore protagonista (l´inglese Ralph Fiennes). A tallonarlo sono
Birdman di Alejandro G. Inarritu e The Theory of Everything (»La teoria del tutto»), di James Marsh, con dieci
a testa. Al terzo posto The Imitation Game, il film sul matematico Alan Turing, con nove. Il quinto nominato al
Bafta come miglior film è Boyhood, di Richard Linklater. Possiamo dare ormai per scontato che questi titoli,
tutti in corsa anche per il Golden Globe, saranno nella selezione finale degli Oscar. Nella corsa per il miglior
regista, assieme a Anderson, Inarritu, Marsh e Linklater, entra a sorpresa Damien Chazelle, autore di
Whiplash, film splendido ma poco distribuito sul rapporto tormentato tra un giovane aspirante batterista jazz e
il suo feroce maestro. Tre inglesi e due americani si battono per il titolo di miglior attore protagonista:
Benedict Cumberbatch (The Imitation Game), Eddie Redmanye (La teoria del tutto), Ralph Fiennes (Grand
Budapest Hotel), Jake Gyllenhaal (Lo sciacallo) e Michael Keaton (Birdman). Tre americane e due
britanniche sono le attrici più quotate: Amy Adams (Big Eyes), Julianne Moore (Still Alice), Reese
Witherspoon (Wild), Felicity Jones (La teoria del tutto) e Rosamund Pike (L´amore bugiardo - Gone Girl).
Ancora niente Italia all´interno della cinquina per il miglior film straniero, dove Due giorni, una notte dei fratelli
Dardenne sembra essere ormai il favorito. Sempre interessanti le nomination dedicate al solo cinema
britannico. I film «outstanding» di quest´anno sono, oltre ai già citati, The Imitation Game e The Theory of
Everything: il thriller mozzafiato del debuttante Yann Demange, ´71, su un soldato inglese che viene
abbandonato dai suoi commilitoni nel centro di Belfast durante gli scontri con l´Ira; la commedia Pride, sulla
nascita del movimento per i diritti degli omosessuali; il film per l´infanzia Paddington e l´horror fantascientifico
d´autore Under the Skin, con Scarlett Johnasson aliena per le strade di Glasgow. Tra i delusi troviamo Mr.
Turner di Mike Leigh, Selma di Ava Du Vernay e American Sniper di Clint Eastwood, ignorati nelle sezioni
maggiori. I vincitori si conosceranno nella cerimonia che si terrà alla Royal Opera House di Londra l´8
febbraio.
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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CINEMA . Il film premiato a Berlino, «Grand Budapest Hotel», ottiene più nomination ai Bafta, gli Oscar
inglesi
10/01/2015
Gente - N.2 - 20 gennaio 2015
Pag. 50
(diffusione:372741, tiratura:488629)
i peccati di exodus falsita 'e razzismo
Manipola la storia ed è disinforMato sull'islaM: queste le accuse da Marocco, egitto ed eMirati. Ma quella che
Brucia di più viene dall'aMerica: è troppo "Bianco"
Sara Recordati
Al momento sono tre i Paesi che hanno proibito l'uscita di Exodus - Dei e re : Marocco, Egitto ed Emirati
Arabi, ma è molto probabile che la lista si allunghi. Il film biblico di Ridley Scott, che esce in Italia il 15
gennaio e racconta la storia di Mosè e i dieci comandamenti, è al centro di una bufera: il ministro egiziano
della Cultura ha giustificato il divieto affermando che Ridley Scott "falsifica" la storia; il distributore del film in
Marocco ha spiegato che la pellicola "fa una rappresentazione di Dio", cosa proibita dalla fede islamica; infine
gli Emirati hanno parlato di "numerosi errori nel copione e di disinformazione sulla storia dell'Islam e di altre
religioni". Ma i guai non arrivano solo dal Medio Oriente. Il kolossal, costato 140 milioni di dollari, viene
attaccato anche in casa. Con buona pace del navigato regista Ridley Scott che è certamente contento di
tanta pubblicità gratuita. Negli Stati Uniti la polemica è cominciata online infiammando la rete con l'argomento
più caldo da quando l'afroamericano Barack Obama è stato eletto presidente: il razzismo. Apriti cielo.
"Exodus è un film razzista", ha scritto David Dennis su medium.com . "Tutti i protagonisti sono bianchi.
Christian Bale è Mosè, cresciuto in Egitto, dove evidentemente usava una crema solare a protezione totale
perché è pallido come quando faceva Batman a Gotham City". E prosegue: "Puoi convincermi che un tizio
scuote una verga e fa piovere locuste, ma non che uno cresciuto sotto il sole del deserto non abbia un
minimo di abbronzatura". E via di questo passo, elencando tutti i bianchissimi attori protagonisti: oltre a
Christian Bale, Joel Edgerton (Ramses), John Turturro (il faraone Seti), Sigourney Weaver (la regina d'Egitto
Tuya), Ben Kingsley (l'ebreo Nun) e Aaron Paul (Giosuè, suo figlio). Agli afroamericani sono riservati i ruoli di
contorno: schiavi o assassini. "Un vero esempio di colonialismo cinematografico", conclude Dennis. La
risposta del regista non si è fatta attendere: «Non posso produrre un kolossal con un budget così grande e
dire che il mio protagonista è Mohammed Tal dei Tali: non me lo finanzierebbero», ha dichiarato a Variety .
Un'affermazione piuttosto fiacca visto che il miglior film agli Oscar 2014, 12 anni schiavo , ha un cast tutto di
neri e nel mondo ha incassato quasi 200 milioni di dollari. E quindi? Quindi non puoi pensare di realizzare un
film che tratta uno dei temi più cari alla storia dell'umanità senza scontentare qualcuno. «Non era nostra
intenzione fare un documentario, ma una versione romanzata come abbiamo fatto per l'antica Roma ne Il
gladiatore ». Resta il fatto che Mosè è un personaggio fondamentale nella storia di tre religioni: ebraismo,
cristianesimo e islam. La sua storia è narrata nell' Esodo , secondo dei libri che compongono la Bibbia:
l'ebreo Mosè cresce alla corte del faraone finché Dio lo chiama a liberare i suoi fratelli schiavi e a condurli
verso la Terra Promessa. Il faraone si rifiuta di lasciarli partire e allora le piaghe si abbattono sul popolo
egiziano fino a quando Mosè riuscirà a fuggire attraverso le acque del Mar Rosso che si aprono per far
passare gli ebrei e poi si chiudono travolgendo gli inseguitori. Infine Dio gli consegnerà le tavole con i 10
comandamenti. I produttori insistono soprattutto sulla grandiosità dell'operazione: un mix di effetti visivi e di
artigianalità. «Se l'invasione di locuste è stata creata al computer, la pioggia di rane è invece il frutto di 400
animali veri liberati sul set», dichiarano. «Abbiamo utilizzato 3 mila comparse, disegnato oltre 4 mila costumi
e costruito 34 cocchi trainati da cavalli». Per i mezzi dispiegati Exodus resterà probabilmente nella storia del
cinema. Il dubbio rimane sui contenuti: tanta abbondanza servirà anche a dare spessore ai personaggi e alle
vicende narrate? Il critico del Financial Times ha scritto che in confronto al Mosè di Charlton Heston ne I dieci
comandamenti di Cecil B. DeMille (1956), che somigliava a un semidio di Michelangelo, questo sembra un
attaccabrighe con gli occhi da insonne. A noi che vogliamo farci un'idea personale non resta che andare al
cinema. Sara Recordati il profeta è un guerriero Bale è un Mosè guerriero in una scena del kolossal. il film è
stato criticato per l'eccesso di effetti speciali, combattimenti e violenza a discapito del messaggio biblico.
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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il kolossal su mosè è sotto processo e alcuni paesi l'hanno già condannato
10/01/2015
Gente - N.2 - 20 gennaio 2015
Pag. 50
(diffusione:372741, tiratura:488629)
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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fRAtelli-nemici christian bale (a destra) e Joel edgerton, entrambi 40 anni, sono mosè e Ramses, figlio del
faraone, in Exodus - Dei e re di Ridley Scott, in 3d, al cinema dal 15 gennaio. Quando Ramses scopre che
mosè è ebreo, lo caccerà da palazzo.
il RegiSta nel miRino Ridley Scott, 77 anni (con la t-shirt nera) dà alcune indicazioni sul set di Exodus - Dei e
re . il regista britannico è autore di film celebri come Thelma & Louise , Alien , Blade Runner e Il gladiatore .
di coloRe Solo le compaRSe christian Bale (mosè), e Joel edgerton (Ramses), in abiti da battaglia. dietro di
loro John turturro, 57 anni, è il faraone Seti, sovrano d'egitto.
10/01/2015
La Repubblica - Torino
Pag. 13
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Riso nero
Segre, un ciak in mezzo alle tombe "Ecco Morituri, il mio film -lampo" Girato in dieci giorni con le attrici
Catalano Bartoli e Dagostino che interpretano tre donne al centro di un intreccio almodovariano Il 15 gennaio
debutta la sua versione teatrale
CLARA CAROLI
TRA i loculi dell'ex cimitero di San Pietro in Vincoli un'insegna luminosa tra il pop e il minimal incoraggia le
anime dei vivi e dei morti: «Riposate in pace».
A non trovar pace, tuttavia, sono le anime in pena delle tre protagoniste - tre donne di mezza età, come dire
la quintessenza dell'inquietudine- del nuovo film di Daniele Segre, "Morituri". Che ha battuto l'altro ieri a
Torino l'ultimo ciak dopo un set lampo: dieci giorni appena di lavorazione per un lungometraggio
(«Sessantacinque minuti compresi i titoli di coda», precisa il regista) a bassissimo budget in linea con la
mission della casa di produzione indipendenteI Cammelli che l'autore alessandrino di "Manila Paloma
Blanca", "Morire di lavoro" e di tanto ottimo cinema del reale, porta avanti da alcuni decenni con orgoglio e
coerenza. Nella terra di mezzo tra il mondo dei viventie l'aldilà, si sviluppa questa insolita black comedy insolita per il mood delle precedenti opere di Segre - che lui racconta di aver scritto «di getto e con allegria» e
che completa, spiega, «una trilogia di film con una sola inquadratura cominciata nel 2002 con "Vecchie" e
proseguita nel 2004 con "Mitraglia e il verme"». Se il cimiteroè la location ideale per una commedia nera, nel
caso di "Morituri" la scelta ha una motivazione più concreta. La pellicola nasce come progetto sperimentale,
nella sede dell'Acti Teatri Indipendenti di Beppe Rosso dove il 15 gennaio, in un'anteprima della stagione
ironicamente intitolata "Santa Cultura in Vincoli", andrà in scena l'adattamento in forma teatrale del film. Dal
palcoscenico vengono, non a caso, le tre protagoniste, cui è affidato l'impegnativo compito di reggere un
copione di impianto appunto teatrale: Tiziana Catalano (Aurora), Donatella Bartoli (Nora) e Luigina Dagostino
(Olimpia). «Abbiamo provato un mese al Cineporto (sede di Film Commission che sostiene la produzione,
ndr) per arrivare pronte al primo ciak», sottolineano.
Un primo atto con un unico piano sequenza e un secondo atto girato in notturna, il tutto sempre in interni e
nella singola location dell'ex cappella del cimitero di San Pietro in Vincoli.
Sullo sfondo della sezione loculi s'intrecciano le vite delle tre donne: una zitella, una divorziata e una vedova.
Nora, custode del cimitero, si confida con i morti; Aurora bazzica tra le tombe per rubare i fiori e rivenderli;
Olimpia è una gran dama che va a piangere sulla lapide del defunto marito nei confronti del quale in realtà
cova del rancore. Nel corso di una veglia notturna, in un'atmosfera alla Tim Burton o alla Dylan Dog, ma tutta
al femminile e tutta da ridere, le loro ansie si mescolano per arrivare ad un fantasmagorico finale.
«Tre personaggi inquietanti che si trovano in un ossario, una storia criptica» - dice divertita Donatella Bartoli,
cuiè toccato il personaggio più ossessivo e dark, quello della custode che dialoga con i morti. Più solare
quello di Tiziana Catalano: «Una donna semplice, estroversa, che ha i suoi problemi con la vita ma li
manifesta in modo aperto». Mentre per Luigina Dagostino il suo è il ruolo «di una donna borghese dall'aria
molto altezzosa e snob che compone con le altre un terzetto di solitudini e diversi tipi di follia». Situazioni alla
Almodóvar, insomma. Il regista ammette di aver sottoposto le attrici, prima e durante il set, ad un «regime
militare». E riconosce lo stile inedito del progetto: «È un film che non sembra neanche italiano. E neanche
mio. È un noir, comico, ironico, drammatico, inquietante. Molto diverso dalle cose che ho sempre fatto. Meglio
così, non ho problemi con le contaminazioni e detesto rimanere prigioniero delle etichette».
Come Beppe Rosso, Segre spera di suscitare l'attenzione del Tst per prolungare l'esperienza teatrale su uno
dei più importanti palcoscenici cittadini: «Sogno di debuttare allo Stabile». Il film si avvale della prestigiosa
collaborazione del direttore della fotografia star Luca Bigazzi, mentre costumi e scenografie sono di Elena
Bosio. Sarà pronto tra un paio di mesi in vista della partecipazione ad un festival che non è escluso possa
essere anche il Tff.
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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Cinema / Il lungometraggio Il regista firma una pellicola lontana dal suo stile ("Non sembra neanche mia") una
black comedy low cost ambientata nell'ex cimitero di San Pietro in Vincoli
10/01/2015
La Repubblica - Torino
Pag. 13
(diffusione:556325, tiratura:710716)
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
LA STORIA "Morituri" racconta le vite inquiete di tre donne di mezza età: una zitella, una divorziata e una
vedova LA PIÈCE L'attore e regista Beppe Rosso porta in scena dal 15 gennaio la versione teatrale di
"Morituri" IL SET Un momento delle riprese del film, ambientato tra le tombe nell'ex cimitero di San Pietro in
Vincoli LE PROTAGONISTE Tiziana Catalano, Donatella Bartoli e Luigina Dagostino interpretano le tre
protagoniste di "Morituri" IMMAGINI
Foto: L'AUTORE Daniele Segre ha scritto "Morituri" «di getto e con allegria»
10/01/2015
Il Piccolo di Trieste - Ed. nazionale
Pag. 40
(diffusione:44247, tiratura:212000)
Ciak si gira, e appare la Trieste degli Anni '70
Ciak si gira, e appare la Trieste degli Anni '70
Iniziate a Roiano le riprese del nuovo film di Mimmo Calopresti "Uno per tutti" con Giorgio Panariello e
Isabella Ferrari
Un tribunale di Pechino ha condannato a sei mesi di carcere per droga Jaycee Chan, attore e figlio della star
di Hollywood Jackie Chan, famoso per i suoi ruoli in film nei quali esercita le arti marziali. Il giovane,
conosciuto anche come Fang Zuming di 32 anni, era stato arrestato lo scorso 14 agosto insieme ad un altro
attore, Ko Chen-tung, famoso a Taiwan. I due erano stati trovati insieme a un noto consumatore di droga a
Pechino, trovati positivi alla marijuana e in possesso di 117 grammi, trovati in una stanza della casa di
Jaycee. Il giovane Chan è stato condannato per essere stato ritenuto colpevole di aver ceduto droga dal 2012
al 2014.di Elisa Grando wTRIESTE Tre bambini di nemmeno dieci anni, coi maglioncini a scacchi e i
pantaloni corti di lana, come si usava negli anni '70. Con loro, nel grande cortile sassoso delle case popolari,
c'è anche una bambina, lunghi riccioli biondi. Davanti alla macchina da presa c'è una scena ambientata
quarant'anni fa, nella realtà invece siamo in viale Miramare, a un passo da Roiano: è il primo giorno di set di
Mimmo Calopresti, che ieri ha iniziato a girare a Trieste il suo nuovo film "Uno per tutti". Il regista ha scelto le
case Incis di Roiano come sfondo per l'incipit del suo film in cui i tre protagonisti Gil, Saro e Vinz (interpretati
da bambini dai piccoli Damian Gupta di Pordenone, Alessio Bernardi e Rosario Stefano Cocchiara di Trieste),
figli di famiglie modeste provenienti dalla Calabria, giocando insieme cominciano a conoscere il mondo.
Qualcosa di terribile è però accaduto: fra lo sgomento dei genitori e dei vicini del quartiere, due poliziotti in
divisa verde portano via il piccolo Gil. Il "fattaccio" tornerà a galla molti anni dopo, quando i tre si
rincontreranno, scoperchiando sulle loro vite un passato mai del tutto sepolto. Con una troupe leggera di una
trentina di persone e una ventina di attori e comparse in abiti vintage, ieri Calopresti, intabarrato con sciarpa e
berretto per una lunga mattinata di lavoro in esterni, ha inaugurato le quattro settimane e mezza di riprese a
Trieste. Nel pomeriggio la troupe si è spostata in Porto Vecchio, nell'ex palazzina dell'Autorità Portuale. Da
lunedì saranno in città anche le star del film: Giorgio Panariello, Isabella Ferrari e Thomas Trabacchi. Ieri, nel
cortile delle case Incis, qualche curioso li cercava già fra i microfoni e la macchina da presa, chiedendo agli
addetti di produzione quando sarà possibile avvistarli: la prima occasione buona è prevista fra martedì e
mercoledì, quando saranno coinvolti in alcune scene in Piazza Unità e Molo Audace. Fra le altre location, che
il regista ha scovato insieme alla Friuli Venezia Giulia Film Commission, ci sono anche il Porto Vecchio, la
spiaggia di Sistiana, il Bagno Ausonia, il cantiere navale della Cartubi in Porto Nuovo, Cavana. Il film, ispirato
all'omonimo romanzo di Gaetano Savatteri, autore della sceneggiatura con Calopresti e Monica Zarrelli,
racconta appunto di Saro (Trabacchi), Vinz (Panariello, nel suo primo ruolo drammatico da protagonista) e Gil
(Fabrizio Ferracane), amichetti per la pelle da bambini, che si ritrovano da adulti dopo aver preso ciascuno
una strada diversa: uno è diventato medico, un altro poliziotto e il terzo un ricco imprenditore, sposato con
l'amica d'infanzia (Isabella Ferrari). Calopresti, coadiuvato dal direttore casting Antonella Perrucci per Galaxia
Produzioni, ha voluto nel film anche moltissimi noti attori della regione convocati per ruoli importanti: i triestini
Massimiliano Borghesi, che interpreta uno dei colleghi di Vinz, Alessandro Mizzi, in un personaggio-chiave
dell'intreccio, Adriano Giraldi, nei panni di un poliziotto, Riccardo Maranzana, Massimo Sangermano, Giuliana
Artico, Giuliano Zannier ed Enza De Rose, più l'esordiente Alessio Drago. E poi ancora Enrico Cavallero di
Gradisca, Fabiano Fantini di Udine e la giovane Irene Casagrande, che viene da Treviso ed ha studiato nella
stessa scuola di teatro del "Ragazzo invisibile" di Salvatores, Ludovico Girardello. Tanti anche i professionisti
del territorio impiegati nella troupe: sono 22 le maestranze locali coinvolte in tutti i settori, più circa 150
comparse. @ElisaGrando ©RIPRODUZIONE RISERVATA
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Ciak si gira, e appare la Trieste degli Anni '70 Iniziate a Roiano le riprese del nuovo film di Mimmo Calopresti
"Uno per tutti" con Giorgio Panariello e Isabella Ferrari
10/01/2015
Il Tempo - Ed. nazionale
Pag. 20
(diffusione:50651, tiratura:76264)
Costanzo e Rohrwacher «Il nostro film sull'ideologia che rovina i
sentimenti»
Il folle personaggio di Alba «La donna non nutre più il bimbo per proteggerlo da veleni esterni»
Dina D'Isa
Arrivanellesaleil15gennaio il nuovo film di Saverio Costanzo «Hungry Hearts». Frutto di una coproduzione
italo-americana (Wildside e Rai Cinema), la pellicola è stata presentata alla Mostra del Cinema di Venezia ed
è valsa a entrambi i protagonisti - Adam Driver ed AlbaRohrwacher-lavittoriadellaCoppaVolpiperla
miglioreinterpretazionemaschileefemminile. Il film, ispirato al romanzo «Il bambino indaco» di Marco
Franzoso(Einaudi),narra la storiadiduegiovani,Jude,americano e Mina, italiana, che si incontrano per caso a
New York e si innamorano. Per loro inizia rapidamente una nuova vita: il matrimonio e
lanascitadiunfiglio,chestravolgerà completamente le loro esistenze.Sin dai primi mesidi gravidanza, infatti, la
donna si convince di portare in grembo un bimbospeciale, unacreatura da proteggere dall'inquinamento del
mondo esterno, tentando a tutti i costi di preservarne la purezza. Si chiude in casa con il neonato, lo nutre di
semi oleosi e pappevegetali,nonglisomministra farmaci e lo nasconde da quel mondo avvelenato, artificiale,
transgenico e corrotto che lei definisce «Nube tossica, rumorosa e puzzolente». Inizialmente allontana, poi
esclude il marito dal suo rapporto totalizzante con il figlio. Un amore esagerato, nato da un cuore "affamato",
che finisce per divorare l'oggetto del proprio sentimento. Ben presto Jude dovrà fare i conti con la terribile
verità: suo figlio non cresce, è malnutritoed è in pericolo divitaeperquestodevenecessariamenteallontanarlo
dalla madre. Questa divergenza di ragioni condurrà inevitabilmente la coppia a un aspro conflitto, nel quale
verrà coinvolta anche la madre di Jude. Una battaglia dapprima silente e sotterranea, poi legale, sino al
tragico epilogo. «Quello tratto dal romanzo di Marco Franzoso ("Il bambino indaco")èstatoun «adattamento
personale», guidato dal cuore «affamato» di Saverio Costanzo, che per il suo nuovo film, ha realizzatoun bel
tris: daregista, sceneggiatore e operatore. «Con Franzosoci siamoconosciuti alla Mostra di Venezia in
occasione dell'anteprima. Il mio non è stato un lavoro di adattamento preciso, ma più che altro la
sceneggiatura di un racconto fatto in confidenza da un amico». Girato in 16mm («formato più maneggevole
anche rispettoallemodernecinepresedigitali»), «Hungry Hearts» racconta il lento trasformarsi di un sentimento
che da amore materno sfocia in ossessione pericolosa. «NewYork,moltopiù dialtre città, è violenta e
aggressiva, si sente di più il desiderio di difendersi da quello che c'è fuori casa ha spiegato Costanzo - e da
qui anche la scelta di far partecipare Adam Driver, un attore già di discreto successo in America che
sièfidatodel nostroprogetto decidendo di portare in scena la sua testimonianza». Il regista de «La solitudine
dei numeri primi» riconferma la sua capacità di esplorare i lati più bui dell'anima, affiancato dalla compagna di
lavoro e di vita Alba Rohrwacher, che interpretaunpersonaggiocontroverso: «In maniera lenta e graduale la
protagonista Mina diventa il nemico all'interno della famiglia - ha detto Alba - Ma è stato facile non giudicarla,
agisce nel bene ma sbaglia molto. Potrebbe redimersi alla fine, rompendo quelle stesse regole che lei stessa
si era imposta. La scommessa del film e del lavoro che abbiamo fatto era voler bene a
questopersonaggioecapireprofondamente la sua motivazione: far del bene a questo bambino fino a metterne
la repentaglio la vita. Per me è stato facile non giudicarla e alla fine di questo percorso Mina fa intravedere
una possibilità di cambiamento». «Il vero demonio che emerge dal film nonè il cibo mal'ideologia - ha poi
aggiunto Costanzo Lei viene travolta da una grande quantità di amore e, per difendersi, crea un'ideologia. Ma
è un'ideologia sorda, che la fa smettere di ascoltare, sente solo sestessa.Però,lapurezzaassoluta come
ideologia è qualcosa di irraggiungibile». Improvvisazione al minimo, spazi stretti e poco tempo per completare
le riprese (Adam Driver ha sempre un'agenda strapiena di impegni, tra cui la sua partecipazione al settimo
episodio di «Guerre Stellari», una serie tv americana e la nuova pellicola di Scorsese) ma, nonostante i limiti,
il risultato è di qualità. Oggi a Costanzo e alla Rohrwacher è stato consegnato da Laura Delli Colli il premio
Pasinetti del SNGCI, il Sindacato dei Giornalisti Cinematografici Italiani.
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Al cinema Da giovedì in sala «Hungry Hearts» del regista romano
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Il Tempo - Ed. nazionale
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Foto: Cast Sopra l'attore Adam Driver e Saverio Costanzo che ha tratto il film da libro «Il bambino indaco»
Foto: Protagonista Alba Rohrwacher per questo film ha vinto la Coppa Volpi a Venezia e il premio Pasinetti
consegnato ieri da Laura Delli Colli
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Gente - N.2 - 20 gennaio 2015
Pag. 87
(diffusione:372741, tiratura:488629)
sono geniale come forrest gump
«mi ispiro a lui», dice l'ex iena. «il segreto è dire tre scemenze e poi infilare un concetto serio»
sara recordati
pif piglia tutto. E se lo merita. Questo ragazzo over 40 stralunato e impacciato, che ha cominciato partendo
davvero dal basso («a 22 anni lavoravo a Londra in un ostello dove pulivo i gabinetti», ha raccontato), oggi
rastrella premi nel cinema e consensi nella pubblicità. Grazie alla simpatia e ai suoi tormentoni: «A qualcuno
capita di avere idee geniali, a me mai», dice nello spot della Tim. Perché la caratteristica principale di
Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, è l'autoironia. «La formula giusta per farsi ascoltare è dire tre cavolate e,
quando finalmente hai l'attenzione di tutti, infilarci un concetto serio», ci dice sorridendo. Tanto che proprio
non si aspettava che il suo film La mafia uccide solo d'estate , dopo aver vinto il David di Donatello per il
miglior regista esordiente e poi il Nastro d'argento nella stessa categoria, potesse trionfare anche all'estero.
Invece il 15 dicembre ha vinto agli European Film Awards (l'equivalente degli Oscar in Europa), a Riga, come
miglior commedia dell'anno. La storia, ambientata a Palermo tra gli anni Settanta e Novanta, racconta omicidi
e stragi di mafia attraverso gli occhi di un bambino, Arturo (Alex Bisconti, poi quando diventa adulto è
interpretato da Pif), brillante e sognatore, da sempre innamorato di Flora (da bambina Ginevra Antona, da
adulta Cristiana Capotondi). «Una storia d'amore in tempo di guerra», la definisce Pif. «La guerra della mafia
contro lo Stato». Una vicenda che evidentemente ha appassionato anche chi non conosce la nostra storia
recente e non ha mai sentito nominare Salvo Lima, Giulio Andreotti, Giovanni Falcone o Paolo Borsellino.
«Pensavo fosse un film troppo italiano, invece è stato capito anche all'estero», commenta il regista. Che è
stato catapultato sul palco del premio cinematografico più importanti d'Europa senza uno straccio di discorso
pronto, «perché proprio non immaginavo...». Pif ha fatto due conti e ha capito che era il momento di tirare
fuori un ragionamento molto serio. «In Europa non esiste il reato di associazione mafiosa», ha detto sul palco
e ribadisce al nostro giornale. «Spero che questo film aiuti a creare una maggiore consapevolezza. L'Europa
è un po' nella situazione di Palermo negli anni Settanta, quando il reato di associazione mafiosa mancava: è
stato ufficializzato solo nel 1982, dopo che uccisero il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa». La Legge 646,
nota con il nome di Rognoni-La Torre, traeva origine da una proposta di legge presentata alla Camera dei
deputati il 31 marzo 1980 che aveva come primo firmatario l'onorevole Pio La Torre e alla cui formulazione
tecnica collaborarono anche i giovani magistrati della Procura di Palermo, Giovanni Falcone e Paolo
Borsellino. «Anche Pio La Torre fu assassinato nell'82, ma non successe nulla. Ci volle l'omicidio Dalla
Chiesa perché entrasse nel codice penale il reato di "associazione di tipo mafioso". L'Europa è nella stessa
situazione. Essere mafiosi a Londra o a Berlino non è un crimine: è vergognoso». Concluso il tempo per
parlare di cose serie, l'ex Iena (ha lavorato nel programma di Italia 1), oggi attore e regista, dice che al
termine di questo anno straordinario le aspettative su di lui sono talmente alte che «sto considerando l'idea di
ritirarmi all'apice della carriera». Una battuta, perché sappiamo che ha cominciato a lavorare al secondo film
e che sta contribuendo alla scrittura di una nuova serie in 12 puntate per Raiuno tratta dal suo film d'esordio:
«Ma ne parlerò più avanti, quando sarà il momento». Il successo di La mafia uccide solo d'estate è dovuto in
gran parte alla capacità di raccontare vicende terribili con grazia e umorismo. E per questo è stato spesso
accostato alla pellicola premio Oscar La vita è bella di Roberto Benigni, che era riuscito a trattare il tema
insopportabile dell'Olocausto con leggerezza. «Il film di Benigni è bellissimo perché riesce a far ridere e a far
piangere, che è il sogno di tutti quanti facciano cinema. Ma la verità è che mentre scrivevo non pensavo a lui,
ma a Tom Hanks in Forrest Gump », confessa Pif. «E poi amo molto il cinema nord europeo che ha per
protagonisti i bambini: come lo svedese La mia vita a quattro zampe e il belga Totò le héros, un eroe di fine
millennio ». Perché lui è come i bambini: quando meno te l'aspetti spara fuori una grande verità. Sara
Recordati racconta le tragedie della mafia con un sorriso pierfrancesco diliberto in arte pif, 42 anni, ha vinto
l'european film award per la miglior commedia con il film La mafia uccide solo d'estate (a sinistra, una scena
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dopo aver conquistato anche gli "oscar europei" pif ci parla di sé
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Gente - N.2 - 20 gennaio 2015
Pag. 87
(diffusione:372741, tiratura:488629)
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con cristiana capotondi, 34).
innamoRati da tRe anni pif a spasso, mano nella mano, con la fidanzata giornalista giulia innocenzi, 30 anni.
la coppia, unita da tre anni, convive da quest'estate: «e per me è come un matrimonio», dice lui.
Foto: pif: «sono geniale come forrest gump»
10/01/2015
Il Manifesto - Ed. nazionale
Pag. 13
(diffusione:24728, tiratura:83923)
L'ossessione mortale di una neomamma
Giovanna Branca ROMA
Secondo Alba Rohrwacher, la scommessa di Hungry Hearts di Saverio Costanzo - per cui lei e il
coprotagonista Adam Driver hanno ricevuto la Coppa Volpi allo scorso festival di Venezia - era di fare in
modo che il pubblico volesse bene alla protagonista, Mina. Italiana trapiantata a New York, Mina
(Rohrwacher)si innamora di Jude (Driver), rimane incinta e lo sposa. Ma col procedere della gravidanza la
ragazza comincia a essere ossessionata dall'idea della purezza, e dal fatto che il mondo circostante,
specialmente il cibo, costituisca una minaccia per il suo bambino. Così comincia a affamarlo, mettendone in
pericolo la vita, mentre lei si trasforma nel «nemico» all'interno del nucleo familiare. «Da dramma privato il
film assume l'andamento di un thriller col peggiorare delle manie della madre» spiega Costanzo. Le scelte di
regia si conformano a questa «mutazione» come i grandangoli che deformano il volto di Rohrwacher al
culmine della sua alienazione. «In realtà sono scelte dettate anche dai limiti imposti dai mezzi a disposizione.
Ad esempio i grandangoli rispondono alla necessità di ovviare agli spazi ristretti, come quelli degli
appartamenti a New York dove il film è prevalentemente ambientato. Ma vogliono anche dare la sensazione
che la casa si chiuda sui protagonisti». Il libro di Marco Franzoso da cui è tratto il film, II bambino indaco, si
svolgeva invece a Padova, e la protagonista era una straniera. «Ho deciso di spostare l'ambientazione del
film a New York perché mi serviva una città più violenta di quella - spiega Costanzo Nella mia esperienza
New York si è presentata come un posto aggressivo, in cui si prova spesso il desiderio di difendersi dal 'fuori'.
In questo modo la protagonista rimaneva comunque una straniera, mantenendo quella dimensione di
solitudine e di distacco dalle proprie radici che influisce sulle sue azioni». «Il vero demonio - continua il
regista - non è il cibo m a l'ideologia. É talmente tanta l'emozione che questa neomamma porta con sé che
inizia a credere in una propria ideologia, sorda, che non contempla gli altri e la porta a convincer- si di essere
infallibilmente nel giusto. Il cibo è solo un pretesto nel suo ideale di purezza». Aggiunge Alba Rohrwacher anche vincitrice del premio Pasinetti come miglior attrice, mentre al compagno regista è andato quello per la
miglior regia: «La scommessa è, appunto, fare in modo che nonostante tutto si voglia bene a Mina, si
capiscano le motivazioni che la portano, seguendo l'ossessione di fare le scelte giuste, a diventare un
pericolo.La sceneggiatura non la giudica, e per me è stato facile non farlo». Che questa scommessa sia vinta
o meno rimane una questione aperta, di certo il film sarà penalizzato dal doppiaggio: girato in inglese, dal 15
gennaio sarà nei cinema, «in 150 copie di cui solo una sottotitolata nelle grandi città» - come spiega uno dei
produttori, Mario Gianani. «Anche se ci piacerebbe che la percentuale fosse diversa».
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CINEMA • Costanzo, «Hungry Hearts»
10/01/2015
La Nuova Venezia - Ed. nazionale
Pag. 42
(diffusione:12660, tiratura:84000)
Oscar inglesi "Birdman" in pole position
Oscar inglesi
"Birdman"
in pole position
CINEMA
LONDRA Sono arrivate le nomination dei Bafta (British Academy of Film and Television Arts), gli oscar
britannici: 11 a "Grand Budapest Hotel", che batte tutti, seguito a distanza ravvicinata con 10 da "Birdman" e
"La teoria del tutto" e da "The Imitation Game" con 9. Il divertente film di Wes Anderson ne ha conquistate
ben 11 di nomination, tra cui quella per miglior film, regia e attore protagonista per Ralph Fiennes. Segue
"Birdman", che ne conquista 10, con Michael Keaton che concorre per il premio di miglior attore. Proprio il
film Birdman aveva goduto di tanta considerazione alla Mostra del Cinema di Venezia, da essere stato scelto
come pellicola di apertura del Festival lagunare e dato tra i favoriti. Poi la scelta della giuria era andata in
un'altra direzione, e a vincere erano stati altri. Ciò non sminuisce la grande valenza e i riconoscimenti
all'estero dei film che hanno partecipato e sono stati selezionati alla Mostra di Venezia e tra questi proprio la
pellicola del regista messicano Alejandro Gonzalez. I vincitori si conosceranno a Londra l'8 febbraio, senza
dimenticare che ad ore inizierà la settantaduesima edizione della cerimonia di premiazione dei Golden Globe.
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Oscar inglesi "Birdman" in pole position CINEMA
10/01/2015
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 27
(diffusione:309253, tiratura:418328)
L' attrice madre ossessiva in "Hungry Hearts" di Costanzo
FULVIA CAPRARA ROMA
Recitare, per Alba Rohrwacher, è «un gioco fatto con serietà», un «lavoro che ha a che vedere con la vitalità
e la passione», un impegno verso cui nutre «assoluto rispetto». Quasi «una missione» che ogni volta la
coinvolge fino in fondo: «Fare un film è talmente un'impresa... ma se mi si chiede quanti ne ho girati non lo so
dire, devo pensarci». Di certo c'è che ogni ruolo è frutto di una scelta «istintiva, di una sensazione, di una
vicinanza», oppure della sintonia con lo sguardo del regista, come è accaduto stavolta, per Hungry Hearts
scritto e diretto da Saverio Costanzo, premiato all'ultima Mostra di Venezia con due Coppe Volpi ai
protagonisti: «È stato un lavoro complesso, realizzato in un tempo limitato, con grande volontà». Stavolta
Rohrwacher è Mina, sposata con l'americano Jude (Adam Driver), che l'ha portata a vivere a New York e l'ha
subito messa incinta: «La scommessa del film - racconta Rohrwacher, che ieri ha ricevuto il Premio Pasinetti
del Sngci - era volere bene al personaggio, capire la sua motivazione che all'inizio è giusta e poi diventa
sbagliata, trasformando lei stessa nel nemico della famiglia che ha creato». Convinta che il suo sia un
bambino speciale, Mina lo protegge da tutto, cibo, sole, inquinamento, e così ne mette in pericolo la vita: «Per
un attore è affascinante interpretare ruoli di questo tipo, non semplici, non rassicuranti, Mina è una figura che
il pubblico può anche rifiutare». E per Rohrwacher, spesso, il bello è proprio questo. Da quando ha iniziato,
dopo il diploma al Centro Sperimentale nel 2003, non ha mai fatto un passo indietro. È diventata la figlia
difficile di Silvio Orlando nel Papà di Giovanna , l'amante di Pierfrancesco Favino in Cosa voglio di più , la
madre nel film della sorella Alice Le meraviglie , ispirato alla comune autobiografia: «Mia sorella è una grande
fan di Hungry Hearts , le è piaciuto molto, l'ha già visto più di una volta». Sicuramente - aggiunge Alba lavoreranno ancora insieme. Lei attrice e la sorella regista, diverse ma complici, in quel loro speciale ritratto di
famiglia, padre tedesco apicoltore, vita di campagna improntata all'assoluta semplicità, passione per il cinema
che le ha portate presto altrove e le ha fatte crescere velocemente. Trofei, foto, tappeti rossi non hanno però
minimamente influito su una purezza di fondo, su un'autenticità rara nel mondo dello spettacolo. Di Alba
anche il corpo è originale, esile, candido, fragile come cristallo. Ieri mattina, fasciato di nero, svettava sui
tacchi alti di un paio di stivaletti alla moda. Ma solo per poco, e per esigenze lavorative: «Io le scarpe così
non le porto mai...».
Recitare per me è un gioco fatto con serietà, un lavoro che ha a che fare con la passione, un impegno
assoluto, quasi una missione Alba Rohrwacher Attrice, protagonista di «Hungry Hearts»
Foto: Autentica Alba Rohrwacher, 35 anni, protagonista del film diretto da Saverio Costanzo «Hungry Hearts»
che uscirà nelle sale italiane il 15 gennaio in 150 copie
Foto: Coppa Volpi a Venezia «Hungry Hearts» è stato premiato a Venezia con le Coppe Volpi agli attori,
Rohrwacher e Adam Driver
Foto: AGF
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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"Il bello di poter essere donne mai rassicuranti"
10/01/2015
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 35
(diffusione:192677, tiratura:292798)
«Io, timido e comico vi faccio vedere come si fa il cattivo»
L' attore presenta «Foxcatcher», film che racconta la vera storia del miliardario-ergastolano Du Pont
Carlo Bizio da Los Angeles
Basta con la storia del «niceguy »,diquellobuono,timido e gentile, basta col «verginea40 anni»olo stralunato
di Little Miss Sunshine. Il comico Steve Carell s'infila un naso finto, dentatura posticcia e vari strati di make-up
per dare volto a un sinistro e bizzarro personaggio, il vero John Du Pont, erede miliardario della
famigliaDuPont, gigantechimico- industrialeamericano, oggi ergastolano per aver assassinato nel 1996 un
campione di lotta greco-romana, Dave Schultz nel suo «castello» in Pennsylvania. Una storia torbida,
complessa, ambigua narrata dal regista Benne Miller in Foxcatcher, grande successo a Cannes lo scorso
maggio, ora acclamato in America (in Italia il primo febbario). Carell, in questo coup di contro-casting, è in
pole position per una candidatura agli Oscar (è già favorito ai Golden Globe nella sezione «drammatica »). Il
titolo si riferisce alla lussuosa dimora dell'eccentrico e schizofrenico (troppo tardi
diagnosticato)DuPont,laFoxcatcherFarm. Conmolti soldi e troppo tempo a disposizione, Du Pont si mette in
testadicrearenellasuaproprietà una palestra per lottatori olimpionici americani e fare lui da coach (pur non
sapendonulladilotta). DuPontinvita due campioni, i fratelli Dave e Mark Schultz (rispettivamente Mark Ruffalo
e ChanningTatumnel film).L'assurdo si fa tragico quando il socialmente handiccapato Du
Pontsviluppastraneossessioni sui fratelli, finendo per commettere omicidio. NeabbiamoparlatoconCarell, 52
anni, di origine polaccaeitaliana( Carosellierailcognome del nonno immigrato in Usa dall'Italia - nome poi
americanizzato in Carell). È sposatoda20anniconNancy, una«civile»,ilsuoprimoeunicoamore,
haduefiglieconduce una vita completamente aldi fuori del glamour e della mondanità.Quandononlavora,
Carell non si vede e non si sente. Steve, tutto ci si aspettava dall'adorabilegoffodellaserie The Office tranne
che un ruolocomequesto. «È per questo che Bennett Miller mi ha voluto, credo. Nessuno si aspettava che
uno come John Du Pont potesse ammazzare nessuno, ed era dunque logico scritturare in quel ruolo l'attore
più insospettabile. Loso,tuttomiconsiderano innocuo, benigno, ed è vero, sono così! Bennett mihadetto:
recitisemprepersonaggi con al centro un nocciolo soffice. Anche Du Pont sembrava che avesse un
nucleosoffice: noneravero.Sembrava un bonaccione, invece eraunindividuomoltopericoloso ». Erasicuro che
sarebbe stato capacedi affrontareunruolo così diverso da quelli per lei abituali? «Nonneavevoidea.Maquesto
è il bello del prendere il pubblico di sorpresa: il primo a essere sorpreso devi essere tu, l'attore. Non sapevo
se ne sarei stato capace. Mi sono fidato del regista. Lui era convinto che io sarei stato perfettoperDuPont,
emisonofidato di lui. Non intendevo fare un'imitazione diDuPont,eppure ho cercato di capire
l'essenzadelpersonaggio. Hostudiato vari video su di lui, la sua maniera di parlare e di
muoversieincorporarlenelritratto. Ma non sono un mimo ». Cosa le occorre per convincersi di unruolo?
«Guardi, io sono uno che ha sempre condotto la propria carriera standomene alla larga dalle eccessive
attese. Menoaspettativemipongoemeglio lavoro. Io non vado mai a un provino cercando di convincere un
regista che sono perfetto per quella parte.Non suona genuino. E la genuinità è tutto per me». Crede che
questa svolta drammatica, come attore, cambierà la rotta della sua carriera? «Di nuovo, non ne ho idea. Ma
di sicuro mi diverte! Non dico di essere pronto per un ruolo da serial killer,machissà, magari ci finirò dentro. Il
mio prossimo film, di Gore Verbinski,saràunthriller.Ma no, non faccio il serial killer. A Cannes è stato accolto
trionfalmente. Cosa ha provato? «Una sensazione surreale. Mia moglie ed io sul tappeto rosso sulla Croisette
con la musicadacinemachealeggiava, i fotografi, l'eleganza, lo sfavillio.Unacosa danoncrederci.
Poialterminedellaproiezione una standing ovation che sembrava non finire mai. Non ci voglio più tornare a
Cannesperché sochenonpotrà mai essere di nuovo così bello e sorprendente. Come dicevo, niente
aspettative al di sopra dei propri mezzi. E ci tengo a mantenere basso il mio profilo. Anche se con Du Pont il
profilo, come avete visto, è più gonzaghiano che basso». Unoschivocomeleicomese la caverà ai Golden
Globe o agli Oscar? «Divertendomi e godendomi la serata, e lo ripeto, senza alcunaaspettativa.Sperovicino
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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Steve Carell l'intervista »
10/01/2015
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 35
(diffusione:192677, tiratura:292798)
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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amesi sieda Channing Tatum, così tutti i farisarannosu di lui».
Le frasi
NUOVI RUOLI
E ora sarò in un thriller con Gore Verbinski Mi piace prendere il mio pubblico di sorpresa
DOPO CANNES
È stato grande: che standing ovation! Non ci torno più perché non potrà mai essere così bello e gratificante
Foto: DURO Steve Carell in una scena di «Foxcatcher», L'attore, noto tra l'altro per la serie leggera «The
Office», qui cambia completament e ruolo. In questa pellicola, candidata all'Oscar e ai Golden Globe,
interpreta il miliardario John Du Pont, oggi ergastolano per aver ucciso nel suo castello in Pennsylvania,
trasformato in palestra, il campione di lotta greco-romana Dave Schultz
10/01/2015
Il Giornale del Piemonte
Pag. 1
(diffusione:12684, tiratura:39829)
«Morituri» rompe le barriere tra cinema e teatro
LF
Questa volta Daniele Segre promette di essere diverso da se stesso. Il regista torinese ha appena terminato
di girare nell'ex cimitero di San Pietro in Vincoli il film Morituri: «drammatico, ironico, comico, noir,
inquietante», come lo ha definito Segre. Si tratta di una nuova sperimentazione del regista che stavolta resta
in bilico tra cinema e teatro. Tre attrici in un'unica location, l'ex cimitero appunto, e macchina da presa ferma
in inquadratura frontale per un unico piano sequenza, praticamente come andare a teatro. E infatti il film
«Morituri» avrà un'anteprima teatrale, un estratto del copione cinematografico che sarà messo in scena
sempre in San Pietro in Vincoli ilprossimo 15 gennaio alle 21. Tiziana Catalano, Donatella Bartoli e Luigina
D'Agostino sono tre donne,una zitella, una divorziata e una vedova, le cui vite si incrociano nella sezione
loculi di un cimitero. La pellicola è stata realizzata con il sostegno di Film Commission, che ora collaborerà
con Segre per trovare un distributore e per scegliere il festival dove presentare Morituri. Di certo non sarà un
film comune, conoscendo anche il curriculum di Segre, regista che si è sempre tenuto lontano dallo show
business per continuare il suo lavoro di sperimentazione che lo ha condotto fino a Morituri, quella che sembra
un'estrema contaminazione tra cinema e teatro.
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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ULTIMO CIAK PER DANIELE SEGRE
09/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 50
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Falsi storici e invenzioni su Mosè La Bibbia stravolta di Ridley Scott
Delude il kolossal americano, censurato in tre Stati arabi per motivi religiosi
Il film del Mereghetti
Diciamo subito una cosa: il libro era molto più bello! Anche dal punto di vista spettacolare. Vuoi mettere le
pagine dell'Esodo, con i prodigi che Dio fa fare a Mosé, a cominciare dal bastone che si tramuta in serpente
per continuare con le dieci piaghe che arrivano solo dopo i faccia-a-faccia del profeta e Aronne col faraone o
ancora la colonna di nube e quella di fuoco che guidano nel deserto il popolo eletto di giorno e di notte dopo
aver lasciato Succot e Etam...
Altra forza, altro ritmo, altra energia: tutte qualità che in Exodus - Dei e Re si volatilizzano di fronte
all'invadenza degli effetti speciali e alla pretesa (molto hollywoodiana) di trasformare Mosè in un «moderno»
uomo tormentato e dalla fede traballante. Ma non come diceva la Bibbia, piuttosto in una specie di San
Tommaso in sessantaquattresimo che crede quando vede e sembra più a suo agio con la politica (ah, quella
«profezia» sul futuro complicato della Terra promessa!) che con la fede.
Naturalmente tutto questo - e molti altri errori storici, a cui però spesso i kolossal cinematografici ci hanno
abituati - non giustificano certo la censura messa in atto da tre stati arabi, Marocco Egitto e Emirati Arabi
Uniti, che hanno proibito la proiezione del film nei loro cinema. Le giustificazioni messe avanti sono state di
carattere religioso e storico: in Marocco perché rappresenterebbe quello che non si può rappresentare, cioè
«Dio sotto forma di un bambino quando si rivela a Mosè» (un'altra delle discutibili «invenzioni» del film: oltre
al biblico roveto ardente a Mosè appare anche un fanciullo che si fa portavoce della volontà divina); in Egitto
perché falsifica la Storia facendo «di Mosè e degli ebrei i costruttori delle piramidi»; e infine negli Emirati
Arabi Uniti perché «mostra Mosè non come un profeta ma come un semplice predicatore della pace». Ma è
soprattutto la tempistica degli interventi censori - in Marocco il film aveva ricevuto il nulla osta prima della
retromarcia del Centre cinématographique marocain, in Egitto è stato il ministro della cultura Gaber Asfour a
ufficializzare la proibizione con una conferenza stampa - a far sorgere il dubbio che più della salvaguardia
dell'ortodossia religiosa quegli stati abbiano voluto evitare di offrire un qualsivoglia pretesto a manifestazioni
integraliste.
In ogni caso, al di là delle libertà «religiose» che si prende la sceneggiatura (firmata da quattro persone: non
un buon segno), il film di Ridley Scott fa acqua proprio sul terreno dello spettacolo. Da una parte il gran lavoro
digitale per ricreare piramidi, templi o città e moltiplicare le masse deve aver spinto la produzione a lasciare
troppo spazio a quelle scene, che sono inutilmente magniloquenti e sprovviste di autentica bellezza (per non
parlare delle chilometriche panoramiche aeree su deserti e montagne che riescono a far sembrare banale
ogni immagine).
Dall'altra, lo statuto di star del protagonista Christian Bale ha portato con sé un'umanizzazione del
personaggio che si è rivelata totalmente controproducente: il suo Mosè ha perso la statura di profeta di un
popolo (come è nella Bibbia) ma non ha certo conquistato il tormento dell'uomo di fronte a un Dio feroce e
vendicativo: piuttosto sembra un signor Nessuno finito in una storia troppo più grande di lui. Né lo aiuta molto
il resto del cast, tutti - chi più chi meno - schiacciati da ruoli che non concedono possibilità di sfumature o di
approfondimenti psicologici: così è per John Turturro nei panni (un po' carnevaleschi) del faraone Seti, o Ben
Kingsley in quelli fin troppo profetici di Nun, di Sigourney Weaver seminascosta dal trucco della regina Tuya.
Così alla fine delle due ore e mezza di visione, dove persino il passaggio del Mar Rosso perde ogni epicità,
non resta che innalzare le più sentite scuse postume al «povero» Cecil Blount De Mille, sbertucciato in vita
per i suoi polpettoni ma i cui Dieci comandamenti sembrano al confronto un capolavoro inarrivabile, Charlton
Heston e la sua barba sale e pepe fresca di trucco compresa.
Paolo Mereghetti
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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EXODUS/ DEI E RE
09/01/2015
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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Il regista
Ridley Scott è nato a South Shields, in Inghilterra, il 30 novembre 1937. Tra i suoi film: «Alien», «Blade
Runner», «Thelma
& Louise»,
«Il gladiatore», «American Gangster»
Foto: Nel deserto Christian Bale (40 anni) nei panni di Mosé e María Valverde (27) in quelli della moglie
Sefora in una scena del film. Nel cast della pellicola diretta da Ridley Scott anche John Turturro (il faraone
Seti), Sigourney Weaver (la regina Tuya), Joel Edgerton (il sovrano Ramses)
Foto: Il profeta diventa un uomo tormentato
Foto: Le stelle
Foto:
Foto: L'Esodo del popolo ebraico guidato da Mosè: effetti speciali invasivi e falsi storici
Foto: da evitare interessante da non perdere capolavoro
09/01/2015
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 19
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Il 17 gennaio a Palazzo Braschi apre l'esposizione "I vestiti dei sogni", con le più raffinate creazioni dei
costumisti italiani per il cinema . Dai veli della diva del muto Lyda Borrelli alle giacche sgargianti di Servillo nel
film "La grande bellezza" LA TUTA PINOCCHIO E IL SAIO DI TOTÒ TRA I PROTAGONISTI PIERO TOSI,
DANILO DONATI, LE SARTORIE TIRELLI E ATTOLINI
Gloria Satta
LA MOSTRA Nessuno ha ancora visto Il racconto dei racconti , il nuovo e atteso film di Matteo Garrone che,
scommettono in molti, sarà invitato al festival di Cannes. Ma a Roma, a Palazzo Braschi, una mostra in
programma dal 17 gennaio al 22 marzo ce ne darà un'idea in anteprima permettendoci di ammirare i costumi
seicenteschi che sul set sono stati indossati da Vincent Cassel, Salma Hayek, Toby Jones e dagli altri
protagonisti del fantasy ispirato alle fiabe popolari di Giambattista Basile. La mostra I vestiti dei sogni - la
scuola italiana dei costumi per il cinema , dedicata ai grandi costumisti italiani, ripercorrerà un secolo di storia
della settima arte riproponendo anche le giacche sgargianti del dandy Toni Servillo, capi copiati in tutto il
mondo dopo che hanno scortato La grande bellezza all'Oscar, i veli di Lyda Borrelli ai tempi del muto, la sexy
guepière di Sofia Loren in Matrimonio all'italiana , la redingote di Donald Sutherland trasformato da Fellini in
Casanova , il saio di Totò e Ninetto Davoli protagonisti di Uccellacci uccellini , i completi scuri di Mastroianni
insolitamente ossigenato in La decima vittima , le porpore dei cardinali di Habemus Papam , gli strascichi
della Marie Antoinette rivista e corretta da Sofia Coppola, i capi ottocenteschi portati da Daniel Day-Lewis e
Michelle Pfeiffer in L' età dell'innocenza ... PEZZI UNICI Fastosi o minimalisti, sempre pezzi unici originali, gli
abiti indossati dagli attori sono saldamente radicati nell'immaginario collettivo, hanno influenzato le mode e
contributo a rendere immortali i film per i quali sono stati creati. Se uno pensa al Gattopardo , rivede
fatalmente Angelica-Claudia Cardinale che volteggia con la sua crinolina nella celebre scena del ballo.
Chissà che destino internazionale avrebbe avuto il Pinocchio di Benigni se l'attore avesse sgambettato senza
la tutina bianca e rossa. E in tempi più recenti, alla base del successo del film Il giovane favoloso sono
sicuramente anche i preziosi capi ottocenteschi sfoggiati di Elio Germano-Leopardi. La storia dei costumi
cinematografici è la storia dei grandi artigiani italiani, richiesti in tutto il mondo e premiati con l'Oscar. La
mostra di Palazzo Braschi, realizzata dalla Cineteca di Bologna e da Equa di Camilla Morabito, allestita dal
famoso direttore della fotografia Luca Bigazzi, celebra quei geniali artigiani, espressione dell'eccellenza
nazionale. Il pubblico potrà tornare ad ammirare oltre cento costumi già visti in tanti film, bozzetti originali,
oggetti di scena. E scoprire da vicino il talento di chi li ha realizzati. Protagonisti sono innanzitutto i costumisti
premiati con l'Oscar: il decano Piero Tosi, 87 anni (statuetta alla carriera nel 2013), Danilo Donati (vincitore
due volte: per Romeo e Giulietta di Zeffirelli e per Casanova di Fellini), Milena Canonero (che di Academy
Award ne ha presi ben tre: per Barry Lyndon di Kubrick, per Momenti di gloria di Hudson e di recente per
Marie Antoinette di Sofia Coppola), Gabriella Pescucci (premiata per L'età dell'innocenza ). Ma si vedranno
anche le creazioni di Giulio Coltellacci per La decima vittima , quelle di Carlo Simi e Marilù Carteny che
hanno vestito i cowboy di C'era una volta il West , di Gitt Magrini che ha dato un tocco déco a Stefania
Sandrelli e Dominique Sanda in Il conformista di Bertolucci, di Gianna Gissi che ha fatto di Alberto Sordi un
perfetto Marchese del Grillo, di Lina Nerli Taviani alle prese con le porpore di Habemus Papam , di Daniela
Ciancio che ha vestito i protagonisti di La grande bellezza , di Ursula Patzak ( Il Giovane favoloso ) e di
Massimo Cantini Parrini, alle prese con Il racconto dei racconti . Per non parlare di Piero Gherardi, Maurizio
Millenotti e dei pionieri Vittorio Novarese, Maria De Matteis, Gino Sensani. Dietro il lavoro dei costumisti ci
sono le storiche sartorie che hanno realizzato gli abiti pensati per i film: Peruzzi, Gattinoni, Fanani,
Annamode, Attolini (cui si devono le giacche coloratissime di Servillo per il capolavoro di Sorrentino). E Tirelli,
un'azienda romana che compie cinquant'anni e verrà festeggiata anche in America. «La storia del costume
cinematografico ha subito una profonda evoluzione», spiega Dino Trappetti, amministratore unico della
sartoria e depositario di un patrimonio di 170mila costumi «e oggi il nostro lavoro non può prescindere dalle
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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Il guardaroba delle star
09/01/2015
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 19
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ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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ultime tendenze della moda e del costume». Spiega Gianluca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna:
«La mostra vuole valorizzare la scuola italiana del costume, che ha un segreto: la tradizione artistica. Tutti i
maestri della stoffa che hanno fatto e fanno grande il cinema italiano sono legati alla storia dell'arte e delle
epoche. E hanno un naturale senso del bello».
Foto: EDIPO RE Costume di scena per il film di Pasolini del 1967
Foto: Sandra Milo nel film "Giulietta degli spiriti"
Foto: CASANOVA Sopra uno dei costumi di scena indossati da Donald Sutherland nel film di Federico Fellini
del 1976
Foto: CRINOLINE Sopra "Marie Antoinette" di Sofia Coppola, costumista Milena Canonero a sinistra Sophia
Loren in "Matrimonio all'Italiana" e a destra Toni Servillo con una giacca della sartoria Attolini
09/01/2015
Il Venerdi di Repubblica - N.1399 - 9 gennaio 2015
Pag. 98
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Tiziana Lo Porto
Cinque ragazzi consumano insieme l'ultimo weekend prima del definitivo passaggio all'età del lavoro, delle
relazioni stabili e dei figli. Il momento in cui, finita l'università, se tutto va bene (in Italia molto raramente)
cominciano le responsabilità. Abitano a Pisa, nello stesso appartamento che condividono da anni e adesso
stanno per lasciare. E visto che lo spirito dei tempi è precario come il futuro dei protagonisti, anche Fino a qui
tutto bene - opera seconda di Roan Johnson, dal 5 febbraio nelle sale italiane, dopo un fortunato passaggio
al Festival Internazionale del Film di Roma dove ha vinto il Premio del Pubblico e, recentemente, a Cuba al
Festival de L'Avana - è stato in parte prodotto dal regista con la collaborazione di autori, attori e troupe del
film. «In origine doveva essere un documentario» racconta Johnson. «L'Università di Pisa mi aveva chiesto di
intervistare gli studenti per raccontare le loro vite. Il risultato erano incoraggiante, ma faticavo a trovare un filo
conduttore. Poi un giorno Ottavia (Madeddu, cosceneggiatrice del film e compagna del regista) mi ha
proposto di scrivere un film sugli ultimi tre giorni dei coinquilini di una casa di universitari, usando le storie che
avevamo raccolto. Abbiamo subito scritto la sceneggiatura e, una volta avuto un ok dal direttore della
fotografia e dai fonici, senza neanche cercare un produttore siamo partiti. Sapevo che avrei dovuto girare
quell'estate oppure non lo avrei fatto mai più, non potevo aspettare anni prima che un produttore vero
abbracciasse questa idea di film. Mi bastava avere la troupe e gli attori». Che sono Alessio Vassallo, Paolo
Cioni, Silvia D'Amico, Guglielmo Favilla e Melissa Anna Bartolini. Il titolo è preso in prestito da una battuta del
film L'odio di Mathieu Kassovitz: quel «fino a qui tutto bene» che nelle banlieue parigine degli anni Novanta
indicava la precarietà assoluta e senza lieto fine di chi precipita nel vuoto e poi si schianta, ma che nel film di
Johnson è ribaltato in positivo. Più che un cadere a testa in giù è un naufragare su una barca in mezzo al
mare in compagnia degli amici, consapevoli che certe volte la cosa peggiore che può capitare nella vita è
essere costretti a remare. Un po' quello che hanno fatto Johnson e la sua troupe «girando il film con i mezzi
che avevamo, con gli attori che la notte dormivano nello stesso appartamento in cui di giorno giravamo
perché non c'erano soldi per pagare l'albergo. In questo modo però siamo diventati realmente coinquilini, col
groppo in gola il giorno in cui sono finite le riprese e abbiamo dovuto lasciare la casa». Più cinema-necessità
che cinema-realtà, ma assolutamente autentico nel rappresentare la verità in forma di finzione. E dove la
scelta del regista di autoprodurlo non è stata mai penalizzante. Anzi, il film ci ha guadagnato in libertà. Al
punto che oggi Johnson dice convinto: «Se mi dessero 300 mila euro per girarlo di nuovo, onestamente non
cambierei nulla».
Foto: Sopra, gli attori di Fino a qui tutto bene di Roan Johnson (accanto, la locandina), in sala dal 5 febbraio
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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che si fa dopo la laurea? questo film non è a tesi...
09/01/2015
Avvenire - Ed. nazionale
Pag. 6
(diffusione:105812, tiratura:151233)
«Exodus», anche Mosè entra in politica
Così il kolossal di Ridley Scott si inserisce nel dibattito su religioni e violenza Già vietata in diversi Paesi
musulmani, la pellicola arriva ora in Italia e rischia di alimentare l'equivoco che imputa al monoteismo la
responsabilità dei conflitti attuali
ALESSANDRO ZACCURI
La fede religiosa trasformata in fanatismo, con il risultato di una violenza cieca che si scatena contro il
nemico, senza risparmiare neppure gli innocenti. Non è la cronaca di quanto accaduto mercoledì a Parigi, ma
la sintesi stringatissima di Exodus: dei e re , il film di ispirazione biblica con cui il regista Ridley Scott ha
voluto proporre la sua personale interpretazione della figura e della missione di Mosè. Perché
un'interpretazione c'è, a dispetto di quanto sostenuto con arguzia dal critico del quotidiano israeliano
"Haaretz", per il quale Exodus è un film «tutto spettacolo e niente personaggi». Vero, almeno in parte, ma ciò
non toglie che la sceneggiatura - in complesso abbastanza grossolana - insista spesso sui due concetti
richiamati sopra: fanatismo e violenza religiosa, appunto. Temi non proprio indifferenti all'indomani del
massacro nella redazione di "Charlie Hebdo". In Francia, come in gran parte d'Europa, Exodus è uscito in
prossimità del Natale, in Italia arriverà nelle sale il 15 gennaio. Finora a fare notizia sono state più che altro le
controversie e le censure provocate da questa sbrigativa rielaborazione del Pentateuco. Le polemiche sono
cominciate con largo anticipo negli Usa, dove non è passata inosservata la composizione del cast, troppo
anglosassone e non abbastanza mediorientale. Accusa in parte infondata, ancora una volta, considerato che
al muscolare Mosè di Christian Bale fanno da contrappunto le fisionomie assai più aderenti di Ben Kingsley
nel ruolo del vecchio saggio Nun e della spagnola María Valverde in quello di Zippora, la sposa del profeta.
Più accentuate, semmai, le semplificazioni pseudoteologiche, tra le quali andrà segnalato se non altro il
continuo scambio di battute alla pari tra Mosè stesso e l'Onnipotente. Il quale, in procinto di dettare le Tavole
della Legge, si premura di chiedere il consenso informato del suo amanuense: «Se non sei d'accordo, lascia
cadere lo scalpello», dice. La vera questione, in ogni caso, riguarda il destino che Exodus sta avendo nei
Paesi musulmani. Il primo a bloccare le proiezioni è stato il Marocco, che ha contestato con forza la scelta di
rappresentare Dio in forma umana. Soluzione inaccettabile per l'islam oltre che per l'ebraismo osservante, ma
di difficile comprensione anche per lo spettatore nostrano. In prossimità del roveto ardente si manifesta infatti
un bambino che in alcune circostante sembra un angelo, in altre si attira il sospetto di essere un'allucinazione
(poco prima di incontrarlo Mosè ha battuto la testa...), ma al momento opportuno pronuncia il fatidico «Io
sono!», rendendo perfetta la confusione. Per quanto non dichiarate, motivazioni di natura religiosa paiono
all'origine anche del bando di Exodus negli Emirati Arabi Uniti, mentre fin troppo argomentata risulta
l'esclusione dalle sale stabilita dall'Egitto. Da un lato si lamentano le inaccuratezze storiche, dall'altro si
respinge l'assunto politico del film, apertamente bollato come "sionista". Autore di pietre miliari come Blade
Runner , Alien , Thelma & Louise e Il gladiatore , Ridley Scott ha sempre avuto un atteggiamento ambivalente
nei confronti delle tematiche religiose. Il suo cinema è pervaso da una spiritualità indistinta e a tratti
affascinante, che tuttavia non attenua l'ostilità del regista verso le religioni istituzionali. Si prenda ad esempio
Le Crociate (2005), nel quale il torto stava tutto dalla parte dei cristiani, contrapposti a un islam vistosamente
ingentilito. Il gioco si ripete in Exodus , con i civilissimi egizi che praticano una "religione civile" nella quale, in
senso stretto, non crede neppure il Faraone. Tengono in schiavitù gli ebrei e ne bruciano i cadaveri (la scena
è uno dei non infrequenti accenni alla Shoah), ma non ne comprendono la fede cieca nel Dio unico, al quale
vanno addebitate le atroci "piaghe". La tesi sposata da Scott, insomma, è quella ormai molto popolare per cui
il monoteismo e solo il monoteismo sarebbe portatore di conflitti su base religiosa. Una teoria elaborata
dall'egittologo Jan Assmann e nota, non a caso, come "eccezione mosaica". Sia pure riportate con rozzezza,
sono le stesse considerazioni che Scott ha avanzato durante le presentazioni di Exodus e che oggi
riecheggiano in alcuni dei commenti alla tragedia di Parigi. Il film, ha precisato il regista in tempi non sospetti,
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Il film .
09/01/2015
Avvenire - Ed. nazionale
Pag. 6
(diffusione:105812, tiratura:151233)
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vuole fare riferimento esplicito all'attualità . Con quali risultati, però, è ancora tutto da capire.
Foto: Un'immagine da «Exodus» e la locandina
Foto: (Ansa)
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09/01/2015
Il Venerdi di Repubblica - N.1399 - 9 gennaio 2015
Pag. 99
(diffusione:687955, tiratura:539384)
Lo stato dell'arte del cinema italiano (in tre parti)
Irene Bignardi
A ciascuno il suo (stile). A Giorgio Treves, l'elegante, pacato racconto di una carriera lunga settant'anni e
sempre gestita con democristiana sapienza da Gian luigi Rondi, inossidabile gran sacerdote di celebrazioni,
festival, rievocazioni, garbatamente capace di ironizzare, senza parere, anche sui suoi non dimenticati errori
critici ( Gian Luigi Rondi, Vita, cinema, passione ). A Tatti Sanguineti, già pasionario della sinistra, ora molto
critico, una sorta di laudatio , un lusinghiero ritratto del «divo», colui che fu il deus ex machina dei destini del
cinema italiano nell'immediato dopoguerra ( Giulio Andreotti - visto da vicino ). Dove, accanto ai suoi celebri
demeriti (la condanna di Umberto D. al grido «I panni sporchi si lavano in famiglia»), viene esaltato il ruolo di
defensor del cinema italiano, tramite la legge del '49 sul doppiaggio e altre benemerite inziative. E a Serafno
Murri e Alexandra Rosati, cinefli dell'ultrasinistra, quasi due ore di interviste, a volte illuminanti a volte
egocentriche, sulla censura e sul cinema in Italia, proposte con amabile confusione dei ruoli da un dvd
intitolato Scandalo in sala (La sfda tra potere e cinema in Italia) . Che, ogni passione e molti dibattiti spenti,
presta, assieme ad altri gentili contributori, materiali e spezzoni cinematografci preziosi per misurare lo stato
del comune senso del pudore e del dibattito politico che lo ha accompagnato. Un percorso appassionante
che va, appunto, dalle censure andreottiane all'operato di Scelba, dall'azione del celebre magistrato Carmelo
Spagnuolo alla legge Veltroni che, in buona fede, fniva però per consegnare il cinema a un sistema di
fnanziamento che ha minato la sua indipendenza. Ci sono tutte, le belle teste del cinema italiano, a cercare di
spiegare che diavolo è successo per portare il nostro cinema ai limiti dell'autocensura. Ma se i discorsi, pur
interessanti, si sono già sentiti e la posizione politica può non essere condivisa, la dotazione di interviste, di
spezzoni di flm e di materiali d'archivio del documentario di Murri e Rosati, dagli scontri di Valle Giulia alla
brutalità e alla violenza della scena di Ultimo tango a Parigi , vale il documentario. antonelli/agf
Foto: Gian Luigi Rondi è il decano dei critici italiani
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ZOOM
09/01/2015
Libero - Ed. nazionale
Pag. 26
(diffusione:125215, tiratura:224026)
Gag su cinesi e musulmani in «Non sposate le mie figlie», fenomeno d'Oltralpe Girato dagli autori di «Quasi
amici», il film esce a febbraio sugli schermi italiani
GIORGIO CARBONE
In Francia è uscito nello scorso aprile e ha fatto più di dieci milioni di spettatori. Probabilmente ne avrebbe
fatti molto meno se fosse stato presentato un anno dopo, con Parigi (e non solo) ancora sotto shock per il
massacro di Hebdo. Perché Non sposate le mie figlie (titolo originale Qu'est qu'on a fait au bon Dieu , ma che
gli ho fatto al buon Dio?) è un inno all'integrazione, alle famiglie multirazziali, all'«embrasson» tra francesi (o
aspiranti francesi) di culture e religioni differenti. Protagonista è un pater familias, cattolico che ha sempre
votato a destra (Christian Clavier, già Napoleone e Asterix in tre film), che felice padre di quattro belle figlie
ha sempre sperato di vederle sposate come voleva lui, cioè con giovanotti cattolici e gollisti. Ma le ragazze
l'hanno deluso fieramente. Mettendo su casa (le prime tre) rispettivamente con un cinese, un ebreo, un
musulmano. La quarta però sembra voler fare felicie papà quando si lega a un coetaneo cattolico (ma che
brava). Il guaio è che il ragazzo è un algerino di pelle nera ed è figlio di un uomo politico di sinistra che passò
i suoi guai durante la repressione francese degli anni cinquanta. Papà, come prevedibile parte per la
tangente. Anche se avrebbe buoni motivi per rallegrarsi (nessuno dei generi viene dalla «banlieue» son tutti
bravi borghesi, tutti riusciti nelle rispettive professioni e perfettamente integrati). Il film definito in Francia e ora
in Italia (uscirà da noi a febbraio) un'«intelligente commedia sull'integrazione culturale» è prodotto dalla
sezione cinematrografica del TF1 (il primo canale francese) che da anni s'è specializzata in film per famiglie,
molto divertenti, molto rassicuranti, molto furbetti (targato TF1 è Quasi amici il più grosso successo popolare
d'Oltralpe dell'ultimo decennio). La formula (vincente) è quella della vecchia pochade alla Feydeau,
astutamente attualizzata con temi e problemi del nuovo secolo (nelle farse della belle epoque i generi
scomodi erano i figli di vetturini e di cameriere, oggi vengono dal nord Africa). Qualche collega commentando
il successo di Quasi amici e ora di Non sposate le mie figlie ha acutamente osservato che il filone della TF1
riesce a mandare a casa contenti due pubblici in genere poco conciliabili: quello delle famiglie (che è
abilmente satollato con tante e felici trovate sceniche) e gli spettatori radical chic, che plaudono al messaggio
integrazionista, al buonismo offerto a piene mani, alla favoletta che siamo tutti uguali, tranne chi vota a
destra. Un pubblico che da anni ha messo all'indice un altro cineasta transalpino di successo, Luc Besson, il
regista di Nikita e di Lucy e il produttore di Io vi troverò e Banlieue 13 . Per Besson gli unici musulmani buoni
sono quelli morti, e difatti Liam Neeson in Io vi troverò ne ammazzava 34 in due soli giorni, senza la minima
disapprovazione da parte degli sceneggiatori. In Banlieue 13 il personaggio del boss nero era talmente
virulento, che a Hollywood quando han rifatto il film han pensato bene di annacquarne parecchio la cattiveria.
I maramaldi di Besson e i buonisti della TF1 dividono da anni il pubblico francese. con leggera prevalenza dei
secondi (il pubblico affolla gli ammazzamenti, ma sotto sotto poi si vergogna e preferisce emendarsi colle
abbuffate di buoni sentimenti). Dopo la carneficina del 7 gennaio è possibile però che il botteghino penda
dalla parte diBesson, che l'extracomunitario della casa accanto sia visto (o rivisto) come presenza
inquietante, e non come un partito da prendere di considerazione per le figlie di ricchi gollisti. Poco o
tanto(staremo a vedere) il massacro dell'Hebdo ha messo in crisi anche la figura dell'intellettuale parigino e
delle sue teorizzazioni sull'integrazione. E in Italia? Il film, come abbiamo premesso, arriva in sala tra circa un
mese ed è probabile che venga apprezzato per quello che è, una commedia vecchio stile colle sue trovate e i
colpi di scena collocati ad hoc. Eppoi, noi (per ora almeno) la carneficina non l'abbiamo avuta. I radical chic
nostrani hanno ancora modo di dilagare sui giornali e in TV e di convicere qualcuno che gli sventurati
giornalisti dell'Hebdo la strage se la sono andati a cercare.
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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IL FILM FRANCESE «Indovina chi viene a cena» 2.0 I mariti migliori sono
immigrati
09/01/2015
Libero - Ed. nazionale
Pag. 26
(diffusione:125215, tiratura:224026)
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Foto: La locandina del film «Non sposate le mie figlie»
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09/01/2015
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 1
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Angelina Jolie dal Papa per presentare il suo film
Andrea Carugati
Carugati a pag. 24
L'INTERVISTA Il produttore Scott Rudin, in una delle mail pubblicate dagli hacker della Sony, l'ha definita
«una mocciosa senza talento», ma Angelina Jolie, già Oscar come attrice per Ragazze Interrotte , rischia di
vedere quest'anno il suo nome nella lista delle cinque candidature all'Oscar per la regia. Potrebbe succedere
con il suo nuovo film, Unbroken , ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale (nelle sale italiane dal 29
gennaio), che racconta la storia di Louis Zamperini, figlio di immigrati italiani, corridore olimpico, poi soldato
dell'esercito americano catturato dai giapponesi, che dopo una lunga prigionia ed essere ormai stato dato per
morto, riuscì a sopravvivere e tornare a casa dimostrando una tenacia e una forza di volontà formidabili. Di
Louis Zamperini, Angelina Jolie era molto amica. Lo aveva conosciuto qualche anno prima di dedicargli
Unbroken e ne era nato un rapporto affettivo così importante che la diva era accanto ai suoi familiari quando,
a pochi mesi dall'uscita del film che avrebbe fatto conoscere la sua storia al mondo, Zamperini è venuto a
mancare. «La storia che racconto, e il suo protagonista, dimostrano che chiunque sfruttando la propria forza
di volontà può cambiare, migliorare, diventare un eroe. Vorrei che questo messaggio passasse ai miei figli».
L'attrice e regista si commuove quando parla dell'amico. «Poco prima di morire, nella sua stanza di ospedale,
gli ho fatto vedere una versione ancora grezza del film: era felice che la sua storia venisse raccontata al
cinema. Anche lui, come me, credeva che la sua parabola potesse ispirare altri a trovare la forza di andare
avanti quando tutto sembra perduto». Il film della Jolie è basato sul libro Unbroken: Sopravvivenza
Resistenza. Riscatto, di Laura Hillenbrand (Mondadori). Atleta olimpico nel 1936 a Berlino, Zamperini
sopravvisse a un incidente aereo quando prestava servizio sui bombardieri della Seconda Guerra Mondiale e
sopravvisse per 47 giorni su una zattera. «Mi raccontò che fu anche attaccato da uno squalo ma riuscì a
liberarsene affibbiando all'animale un poderoso pugno sul naso». Fatto prigioniero dai giapponesi, passò due
anni in un campo di concentramento sopportando terribili abusi da parte dei suoi carcerieri. Quando la guerra
finì decise di aiutare gli altri diventando un motivational speaker . Il suo motto fu "Perseverare e mai, mai
arrendersi"». Signora Jolie, chi era Louis Zamperini? «Un uomo straordinario, nonostante la sua vita difficile.
Nato povero, figlio d'immigranti italiani, ha condotto un'esistenza problematica, piena di scelte sbagliate. Ma
ha avuto la forza di fare un passo avanti, e con la sua vita ha ispirato gli altri. Nella sua esistenza ha
dimostrato che tutti possiamo essere eroi e che c'è una grande forza dentro di noi». Perché per interpretarlo
ha scelto un attore poco noto, Jack O' Connell? «Non volevo che ci fosse una star dietro la figura di
Zamperini, sarebbe stata una scorciatoia per ottenere i finanziamenti ma cercavo l'attore giusto e Jack lo era.
Jack O'Connell è una persona determinata e ha la stessa luce negli occhi di Louis. Ha quella mascolinità che
era necessaria, un'aria antica, e soprattutto nella sua vita ha vissuto grandi momenti di difficoltà. Sapeva
quindi dove trovare certe emozioni». Questo è il suo secondo film come regista. Più facile la seconda volta?
«Direi di no. Ho passato molte notti sveglia, piena di dubbi se stavo facendo bene, volevo raccontare la storia
di Louis nel migliore modo possibile e non è stato facile, sono molto meticolosa quando faccio un film e
questa storia mi ha coinvolto emotivamente, cosa che non aiuta. Ma ho trovato collaboratori meravigliosi,
come i fratelli Coen che hanno curato la sceneggiatura, brillante e divertente, traendo dal libro della
Hillenbrand il meglio e concentrandosi sui fatti salienti della vita di Zamperini e sul suo messaggio». C'è
bisogno di messaggi di speranza nel mondo? «Altroché. Ogni mattina leggiamo sui giornali di tragedie,
epidemie, violenza, mi sono detta che voglio credere che gli esseri umani saranno in grado di garantire un
futuro più roseo alle prossime generazioni. Per farlo occorre seguire l'esempio dei migliori, di chi non si
arrende. Zamperini era uno di questi. Un esempio? Durante la prigionia, per tenere alto il morale dei
compagni di sventura, insegnava le ricette italiane imparate dalla mamma. Lui diceva sempre di non essere
non era una persona eccezionale, ma che voleva mostrare agli altri, alla gente comune, quanto fossero
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Cinema
09/01/2015
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:210842, tiratura:295190)
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speciali loro. Si sbagliava: il mio amico Louis Zamperini era davvero una persona eccezionale». Andrea
Carugati
Foto: EROE DI GUERRA A sinistra Angelina Jolie ieri in Vaticano con papa Bergoglio Qui accanto Jack O'
Connell in una scena di "Unbroken" nelle sale italiane dal 29 gennaio Angelina Jolie dal Papa in udienza
riservata SQUADRA OLIMPICA Al centro il vero Louis Zamperini, mezzofondista, nel 1936
09/01/2015
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 53
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Il Festival di Roma riparte da zero via il presidente, si cerca il direttore
ARIANNA FINOS
ROMA FESTIVAL di Roma anno zero.
«Buongiorno presidente, come va?». «La salute bene, grazie», risponde Paolo Ferrari con voce triste e
gentile. L'ormai ex presidente della Fondazione Cinema per Roma smentisce di aver subito sollecitazioni a
dimettersi. Ma la volontà di fare tabula rasa, ripartendo con nuovi nomi e progetti è stata espressa fuori e
dentro gli appuntamenti istituzionali - l'ultima riunione del Cda di metà dicembre e l'assemblea dei soci della
Fondazione, lunedì scorso. In questi giorni stanno partendo le lettere di commiato. Tra queste ci sarà anche
quella di Ferrari, la cui carica di presidente della Fondazione scadrebbe tra un anno. «Nessuno mi ha chiesto
niente, ma l'avevo già deciso. È giusto che ci sia un gruppo nuovo, una nuova organizzazione e faccio un
passo indietro. Lasciamo tre anni di bilancio in pareggio o positivi». Lo è stata anche la sua esperienza:
«Venivo da un percorso monocorde nelle major, Metro GoldwynMayer, Columbia, Warner. Anche perciò
applaudo la scelta di potenziare il mercato a Roma».
Il Consiglio di amministrazione si scioglierà quindi prima della scadenza di marzo, anche perché formati da
membri espressi in epoche diverse (Alemanno-Polverini) o da enti, come la Provincia, spariti. Cooptato nel
cda Cinecittà Luce (in rappresentanza del Ministero dei Beni culturali) e riassestati i fondi (via quelli della
Provincia, quasi dimezzati quelli di Camera di Commercio) il Festival 2015 potrà contare su 4,1 milioni di
finanziamenti, più il milione e mezzo destinato al mercato (erogato dal Ministero dello sviluppo) e il milione da
Bnl. Ma c'è pochissimo tempo, il Festival di Berlino incalza e serve un direttore artistico da mandare a caccia
di film.
Nomi. Per la carica di presidente della Fondazione è circolato il nome dell'ex assessore della giunta
Alemanno, Umberto Croppi. Escluso il ritorno di Goffredo Bettini, o un coinvolgimento di Walter Veltroni. Sul
fronte artistico, sarebbero disponibili Mario Sestie Carlo Freccero (si parla anche di Antonio Monda). A
dispetto delle risorse e della crisi, l'idea è di un festival-ponte con Hollywood e il mercato. Posizionato a metà
ottobre e poi spalmato in una serie di anteprime tutto l'anno. Coinvolgendo di più la città: non solo Auditorium,
ma anche la Casa del cinema gestita da Giorgio Gosetti (coproduzioni e progetti con il Centro sperimentale) e
l'area di Via Veneto. Sale del centro e spazi di periferia. L'idea è una Festa (potrebbe restare il premio del
pubblico) accompagnata da un mercato per i nostri film e serie tv. Perde colpi l'ipotesi di accorpare il Roma
Fiction Fest: a metà ottobre attori e creatori delle grandi serie sono impegnati sui set. Resterà, autonoma la
sezione Alice nella Città , piccola roccaforte di successo uscita indenne da crisi e polemiche.
Foto: L'attrice Scarlett Johansson al Festival di Roma nel 2013
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R2 Spettacoli
09/01/2015
Corriere della Sera - Roma
Pag. 13
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Edoardo Sassi
G rande, grandissimo cinema italiano. E in un settore - l'arte dei costumi - che ancora oggi (non solo dunque
in un passato glorioso e lontano) continua a fare incetta di premi internazionali d'ogni genere e sorta, Oscar
inclusi.
Piero Tosi, Danilo Donati, Milena Canonero, Gabriella Pescucci, Maurizio Millenotti, Piero Gherardi, Franca
Squarciapino, Vittorio Nino Novarese, Gino Sensani, Maria de Matteis: sono loro i principali protagonisti della
mostra «I vestiti dei sogni: un secolo di storia del cinema attraverso l'arte dei grandi costumisti italiani», dal 17
gennaio al 22 marzo a Palazzo Braschi, sede del Museo di Roma a Piazza Navona; una mostra dedicata,
appunto, a una delle grandi eccellenze dell'italico genio, impaginata con un percorso cronologico che muove
dalle origini della Settima Arte - il muto e le sue dive bizantineggianti, medusee e serpentine - per giungere
fino ai giorni nostri con l'omaggio a La grande bellezza .
Si va dunque dalle paludate tuniche in stile Poiret o Fortuny della divina Lyda Borelli (futura consorte del
milionario mecenate Vittorio Cini), alle colorate giacche di Tony Servillo. Un'arte nell'arte, è stato giustamente
detto più volte a proposito di questi costumi italiani, e per la quale il termine artigianato (sia pur preceduto
dall'aggettivo «grande») va bene a patto che lo si utilizzi come lo si fa per certe botteghe orafe dei vari grands
siècles , per i Cellini, i Valadier, i Della Robbia ecc.
La filmografia, anche solo a volersi limitare a un mero elenco degli Oscar vinti, parla da sé: Tosi, alla carriera
(2013), fedele collaboratore di Visconti a autore degli abiti-icona (per dirne uno) del Gattopardo ; Canonero e
le sue tre statuette per quel capolavoro che è Barry Lyndon di Stanley Kubrick, per Momenti di gloria e per la
Marie Antoniette di Sofia Coppola; Donati, vincitore nel 1969 per Romeo e Giulietta di Zeffirelli e nel 1977 per
Il Casanova di Fellini; Gabriella Pescucci, premiata per L'età dell'innocenza di Scorsese, Gherardi che trionfa
per La Dolce Vita e 8½ , Novarese che firma i vestimenti di Cleopatra e Cromwell e Franca Squarciapino
Oscar per Cyrano de Bergerac.
Costumi e disegni relativi a queste opere cinematografiche (spazio anche agli abiti per Guerra e pace di King
Vidor che la de Matteis inventò per Audrey Hepburn o a quelli creati per Blasetti e altri registi da Gino Carlo
Sensani, pioniere e maestro di un'intera generazione) guideranno il visitatore alla scoperta di una mostra che
almeno nelle intenzioni intende superare lo stereotipo della galleria di abiti , provando invece a far emergere il
senso di una vera scuola che ha fatto grande il cinema, una scuola in cui rientrano di diritto, oltre ai
disegnatori, anche le maison che hanno realizzato questi costumi, da quelle specializzate nella Settima Arte
(Tirelli e Farani in primis) a quelle più generaliste (Gattinoni), alle varie Peruzzi, Annamode, Attolini...
«I vestiti dei sogni», realizzata dalla Cineteca di Bologna, promossa dall'assessorato alla Cultura del
Campidoglio, Zètema ed Equa, si presenta con un progetto di allestimento luci affidato al direttore della
fotografia Luca Bigazzi. I vestiti originali in mostra sono oltre cento, cui si aggiungono bozzetti e oggetti tra cui
la pressa che Donati costruì per foggiare i costumi dell' Edipo Re di Pasolini.
Il percorso della mostra, con materiali visivi e un calendario di incontri, è così suddiviso: Lyda Borelli,
Rapsodia Satanica ; Luigi Sapelli detto Caramba (1865-1936): I Borgia ; Vittorio Novarese: Ettore Fieramosca
; Gino Sensani: La corona di ferro ; Maria de Matteis: Guerra e pace ; Piero Tosi: Il Gattopardo , Senso e un
documentario; Piero Gherardi: Giulietta degli spiriti ; Danilo Donati: Amarcord ; una sezione per Donati,
Pescucci, Canonero e Millenotti; Sala video.
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Foto: Palazzo Braschi, piazza Navona 2 e piazza San Pantaleo 10, dal 17 gennaio al 22 marzo, da martedì a
domenica 10-20. In programma anche la visione di film e documentari e un calendario di incontri con i
protagonisti, a cadenza settimanale. Tra i presenti, Milena Canonero, Piero Tosi, Maurizio Millenotti e il
patron della Tirelli costumi Dino Trappetti
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 01/01/2015 - 12/01/2015
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Cinema , vestiti da sogno
09/01/2015
Corriere della Sera - Roma
Pag. 13
(diffusione:619980, tiratura:779916)
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Foto: Fotogrammi
A sinistra, una scena del film Marie Antoniette , di Sofia Coppola, con i costumi realizzati dalla tre volte
premio Oscar Milena Canonero. Sotto, una delle scene più famose del Gattopardo di Visconti, con i costumi
di Piero Tosi, Oscar alla Carriera 2013
Foto: Oscar Dal Gattopardo a Barry Lyndon: esposte oltre cento creazioni, disegni e bozzetti
09/01/2015
Il Fatto Quotidiano
Pag. 18
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L ' ATTORE SARÀ PROTAGONISTA DELLO SPIN OFF TELEVISIVO " AMERICAN CRIME STORY " .
MANCAVA DAL PICCOLO SCHERMO DA 36 ANNI I CRIMINI PIÙ FAMOSI La prima stagione ruota attorno
al clamoroso processo per omicidio che coinvolse l ' ex giocatore di football O.J. Simpson
Caterina Minnucci
Welcome back , John. A distanza di 36 anni dalla serie televisiva che lo ha reso famoso, John Travolta torna
in tv. E lo fa con un progetto molto atteso: lo spin-off del cult American Horror Story , ma in versione
poliziesco. La star di Pulp Fiction a sedici anni lasciò gli studi per intraprendere la carriera di attore, la
notorietà per lui arrivò immediatamente con il ruolo di Vinnie Barbarino, rubacuori italo-americano della
sitcom Welcom Back, Ko t te r nota in Italia con il titolo I ragazzi del sabato sera . Nel 1978 ricevette la prima
nomination agli Oscar per il film G re a s e , poi fu la volta de La Febbre del sabato sera e dei ruoli nei film di
Quentin Tarantino che lo consacrarono tra le star del grande schermo. DAL PROSSIMO autunno Travolta si
rimette in gioco con un ritorno alle origini che lo vedrà protagonista in tv. Oltre che interprete, sarà anche
produttore del thriller poliziesco American Crime Story , che verrà trasmesso in più stagioni concentrate ogni
volta su un differente, celebre crimine nella storia degli Stati Uniti d ' America. La prima stagione, per la quale
sono previsti 10 episodi, ruota attorno al clamoroso processo per omicidio di Nicole Brown e Ronald Goldman
che negli anni 90 coinvolse l ' ex giocatore di football O.J. Simpson e che scosse l ' in tera l ' opinione
pubblica americana. Gli sceneggiatori ripercorreranno il processo per duplice omicidio di O.J. Simpson,
accusato di aver ucciso l ' ex moglie e un cameriere che, presumibilmente, aveva assistito al delitto. Simpson,
dopo un lungo processo, fu incredibilmente assolto nel 1995 nonostante le molte prove a suo carico. Fu un
caso internazionale che monopolizzò per mesi l ' at tenzione dei media di tutto il mondo. Travolta interpreterà
Robert Shapiro, uno dei legali che fecero parte del " dream team " che seguì la difesa di Simpson. Le riprese
, che partiranno in primavera, sono ispirate al libro di Jeffrey Toobin The Run of His Life: The People V. O.J.
Simpson e la vicenda sarà narrata dal punto di vista del team legale che seguì il caso. La serie è scritta dai
vincitori del Golden Globe Scott Alexander e Larry Karaszewski e avrà tra i suoi registi Ryan Murphy, mentre
nel cast dello show insieme con John Travolta ci saranno Cuba Gooding Jr., Sarah Paulson (già vista in più
stagioni di American Horror Story ) e David Schwimmer, ex attore di Fr i e n d s . Ci sono tutte le carte in
regola per un grande successo di pubblico e per una nuova primavera artistica di Travolta, che potrebbe
tornare alla ribalta nel cuore dei suoi fan come quando vestiva al cinema gli scintillanti panni del playboy Tony
Manero.
Foto: John Travolta, 60 anni La Pre ss e
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John Travolta, ritorno alle origini
09/01/2015
Il Fatto Quotidiano
Pag. 19
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Il dramma Eternit diventa un film
AL VIA LE RIPRESE Gli abitanti di Casale Monferrato faranno le comparse nella pellicola : " Siamo
entusiasti, questa è la nostra battaglia "
Andrea Giambartolomei
La loro storia drammatica, quella legata all ' Eternit, è un romanzo popolare e vogliono raccontarla. Per
questo mercoledì sera a Casale Monferrato gli abitanti della cittadina in provincia di Alessandria si sono
radunati per prepararsi alle riprese di Un posto sicuro , film di Francesco Ghiaccio interpretato da Marco D '
Amore (il famoso " Ciro " della serie tv Gomorra ), Giorgio Colangeli e Matilde Gioli. " La macchina si è messa
in moto, lunedì si comincia " , dice il regista al suo primo lungometraggio. Al centro c ' è la storia di Luca, un
trentenne che si barcamena lavorando come animatore di feste e che all ' improvviso viene colpito da una
brutta notizia: il padre Eduardo, ex lavoratore dell ' Eternit, è malato di mesotelioma, tumore provocato dall '
asbesto, e sta per morire. Il giovane si avvicina così al genitore, al suo passato e a quel lavoro nella fabbrica
che dava garanzie di un posto certo, ma nascondeva i mali che solo a Casale hanno fatto quasi tremila morti.
" Quella di Marco ed Eduardo è una vicenda che potrebbe essere vera, mentre sullo sfondo accadono i fatti
reali di Casale " , spiega Ghiaccio che, originario del Monferrato, è stato ispirato dal clima che c ' era prima
della sentenza di primo grado: " In città c ' era molta attesa e da autore ho sentito la necessità di raccontare
questa storia. Ho raccolto le testimonianze dei cittadini e ho coinvolto Marco (con cui ha creato " La Piccola
Società " , ndr ). A lungo ci siamo detti: ' Questo film lo faremo in ogni modo, anche coi telefonini ' . Per
fortuna stiamo girando un lungometraggio " . LUNEDÌ - grazie a Indiana Production, Film Commission Torino
Piemonte e al Comune - co minceranno le riprese. Prima location il quartiere Ronzone in cui fino a poco
tempo fa c ' era lo stabilimento dell ' Eternit. " Vogliamo raccontare la forza che ha portato gli abitanti a
ottenere un processo unico in Europa e a ripartire il giorno dopo la sentenza della Cassazione " , quella con
cui venne annullata la condanna all ' ex proprietario della fabbrica, Stephan Schmidheiny. Seicento casalesi
hanno risposto all ' appello per fare le comparse: " Questa è la loro storia e noi facciamo da tramite " , afferma
Ghiaccio. Conferma Bruno Pesce, coordinatore della Associazione familiari delle vittime dell ' amianto che ha
collaborato con gli autori: " Il film riguarda la nostra battaglia, più lunga e impegnativa di quella di Erin
Brockovich - dice citando la pellicola americana - . Noi abbiamo offerto il nostro supporto purché si parli del
nostro riscatto e dia fiducia nella lotta. I cittadini sono entusiasti e alcuni dei nostri hanno addirittura offerto la
propria casa per ospitare le persone impegnate nella produzione " .
Foto: Marco D ' A m o re, già attore di " G o m o r ra " Ansa
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ROMANZO POPOLARE