UN CAPOLAVORO IN CASTELLO OMAGGIO A GIOVANNI BOLDINI PROROGA APERTURA COMUNICATO STAMPA Si comunica che, dato il grande successo dell’iniziativa che ha visto - nelle sole vacanze di Natale oltre 1100 ingressi e la richiesta da parte di alcune scuole di poter visitare il capolavoro di Giovanni Boldini in prestito dalla Galleria Ricci Oddi di Piacenza, l’esposizione è prorogata fino al 29 Gennaio 2017 con gli stessi orari fino ad ora seguiti (Martedi/Venerdi 14.00-17.30. Sabato/Domenica e festivi 10.00-18.00 orario continuato) Sarà – dunque – ancora possibile ammirare l’opera “Ritratto di signora” di Giovanni Boldini nella sala numero 7 della Pinacoteca Civica, dedicata ai grandi maestri dell’Ottocento (accanto a Fontanesi, Pompeo Mariani ed Eleuterio Pagliano, opere di proprietà dei Musei cittadini) fino al 29 Gennaio e per le scolaresche che prenoteranno la visita, sarà organizzato uno speciale laboratorio artistico correlato all’esposizione. Si ricorda che la visita ai Musei e alla mostra è gratuita e saranno distribuiti biglietti omaggio per la visita della Galleria Ricci Oddi a tutti i nostri visitatori (fino ad esaurimento scorte) LA MOSTRA Pinacoteca Civica “C.Ottone” – Vigevano Castello Sforzesco, Scuderie ducali (I piano) Prorogata fino al 29 Gennaio 2017 Martedi/Venerdi 14.00-17.30 Sabato/Domenica e festivi 10.00-18.00 (orario continuato) Ingresso gratuito Info: tel. 0381 691636 [email protected] www.comune.vigevano.pv.it L’OPERA Giovanni Boldini (Ferrara 1842 – Parigi 1931) Ritratto di signora (1880 ca), pastello su carta, 96 x 64 cm Galleria d'Arte Moderna Ricci Oddi - Piacenza La signora del pastello posa di fronte, ed è ritratta con taglio fotografico che esclude la mano destra. L'elegante abito nero dall'ampia scollatura è reso con segno vibrante e strisciato, lo stesso che si ritrova nello sfondo e che annuncia il dinamismo che andrà caratterizzando la produzione boldiniana nei ritratti di fine secolo. Il formato verticale e il cappellino allungato aiutano il pittore a dare slancio alla corporatura non esile della signora. Il colore neutro dello sfondo, per contrasto con il nero dell'abito e le tinte diafane dell'incarnato, contribuisce a mettere in risalto la figura della donna. Nel periodo in cui Boldini realizza il dipinto si trova a Parigi da una decina d'anni, e la sua evoluzione stilistica non è ancora caratterizzata da quel movimento quasi vorticoso e da quei guizzi scintillanti di colore che diventeranno il tratto distintivo dei ritratti del pittore, senza dubbio il più efficace e il più acclamato interprete del mito della Belle Epoque, proprio per via dei suoi ritratti mondani, espressione della buona società parigina di fine secolo, moderna, squillante, seduttiva e spesso superficiale. In questo ritratto Boldini indugia ancora nell'approfondimento psicologico della signora ritratta, riservando al volto un'attenzione particolare; un volto che guarda lo spettatore con il sorriso appena accennato, lo sguardo sereno e tranquillo di una vita che scorre nella sicurezza e in assenza di turbamenti. Il pastello appartenne dapprima al dottor Jean Sebleyau, che lo vendette al collezionista Renzo Campeggi. Questi nel 1925 lo espose alla Galleria Bolognesi di Milano. In quell'occasione lo notò Margherita Sarfatti che ne scrisse sul “Popolo d'Italia”: “Da segnalare alla stessa Mostra un Ritratto di signora di Giovanni Boldini, che deve risalire a molti anni fa; un pastello mirabilmente solido e ampio. Il nostro ferrarese ha di già ampliato la sua ristretta arte di buon provinciale sulle orme di Manet, ma Parigi non ancora ha fatto di lui un pittore tutto di maniera e di moda, terribilmente chic, e più parigino del vero” (“Il Popolo d'Italia”, 6 marzo 1925, pag. 3; cit. in Rosella Tiadina, in “Percorsi sinuosi”, 1998). Fu allora che Giuseppe Ricci Oddi, il 26 novembre 1925, probabilmente anche ben impressionato dal giudizio della Sarfatti, acquistò il dipinto per 25.000 lire. LA VITA: GIOVANNI BOLDINI Giovanni Boldini nasce a Ferrara il 31 dicembre 1842 da Benvenuta Caleffi e Antonio Boldini, pittore, da cui riceve i primi insegnamenti nel disegno. Nel 1864 si trasferisce a Firenze, dove conosce Giovanni Fattori, Odoardo Borrani, Telemaco Signorini, il critico d'arte Diego Martelli e diviene amico inseparabile dei pittori Michele Gordigiani e Cristiano Banti, che lo prende sotto la sua protezione. Frequenta il Caffè Michelangelo, ritrovo dei Macchiaioli, e il Caffè Doney in via Tornabuoni, dove ha modo di entrare in contatto con le famiglie straniere della buona società fiorentina, come i nobili inglesi Falconer e le famiglie Drummond-Wolf e Cornwallis-West. Dagli amici Macchiaioli è influenzato nella scelta dei colori e nell'interesse per il vero, anche se continua a preferire il ritratto; a Firenze ritrae amici e conoscenti: Giuseppe Abbati, Giovanni fattori, Diego Martelli... Al maggio 1871 risale il suo primo viaggio a Londra, dove è ospite del mercante d’arte Reitlinger e nei primi giorni di novembre dello stesso anno si stabilisce definitivamente a Parigi che diviene la sua seconda patria. Nella capitale francese ottiene quasi subito un contratto con Goupil, uno dei più importanti mercanti europei, e viene accettato nelle esposizioni più importanti. Ma è soprattutto nella Parigi mondana, più che in quella intellettuale che Boldini si inserisce con successo. Nell'agosto del 1880 si reca in Olanda, dove può ammirare i prodigiosi ritratti di Frans Hals e studiarne la tecnica, traendone stimolo a servirsi di una pennellata più veloce e sintetica, punto di partenza per la formazione del tipico “stile Boldini”, impetuoso, dinamico, estremamente spigliato nella resa dei soggetti: cavalli in movimento, spettatori a teatro, vedute di campagna e di città, ritratti di personaggi famosi, ma soprattutto dame affascinanti protagoniste del bel mondo. Ed è proprio questo che la critica migliore rimproverava a Boldini, di concedere troppo alla moda e alla piacevolezza; giudizio rafforzato dal sempre crescente successo, che confermava la sua fama di pittore mondano. Tutte le più grandi celebrità facevano a gara per farsi ritrarre da lui e si moltiplicavano i riconoscimenti del mondo intellettuale e culturale: nel 1882 diviene membro onorario dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze; nel 1883 è insignito dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia. Frequenta i migliori salotti a ambienti che contano e viaggia moltissimo, in Italia, Europa e fino a New York, dove nel 1897 tiene una personale alla Galleria Wildenstein. All’Exposition Universelle del 1889 Boldini figura nella doppia veste di espositore e commissario della sezione artistica italiana. Espone, fra altre opere, Il Pastello bianco premiato con il Gran Prix e la medaglia d’oro. Il 30 ottobre 1889 riceve il brevetto di Cavaliere della Legion d’Onore. Nell’aprile del 1895 si inaugura la prima Biennale di Venezia, dove Boldini è chiamato a partecipare sia quale membro del comitato promotore, sia come espositore. Il Premio Internazionale del Comune di Venezia viene assegnato a F.P. Michetti, presente con La figlia di Jorio, mentre a Boldini va il Premio Nazionale dei Comuni della provincia di Venezia. Il riconoscimento, inizialmente, viene rifiutato da Boldini che lo ritiene addirittura offensivo poiché al di sotto dei suoi meriti. Nel 1903 chiede in sposa da Londra Alaide, la figlia dell’amico Cristiano Banti, che manifesta la sua contrarietà. Il matrimonio sfuma per motivi non chiari, pur permanendo un affettuoso legame con Alaide. Questa circostanza determina la definitiva rottura della lunghissima amicizia fra Banti e Boldini. Con l'avvicinarsi della vecchiaia e col tramontare della belle époque di cui era stato un protagonista, il pittore incomincia a mostrare segni di stanchezza e anche la sua pittura risente di questo declino. Nel 1914 scoppia la prima guerra mondiale e si registrano frequenti viaggi dell’artista: da Nizza a Glasgow, talora a Londra, a Parigi e, negli ultimi mesi dell’anno, in Spagna. Terminata la guerra, Boldini rientra stabilmente a Parigi. Due riconoscimenti importanti gli vengono conferiti nel 1919: il titolo di ufficiale della Légion d’onore il 14 gennaio e quello di Grand’Ufficiale della Corona d’Italia il 29 luglio. Nel 1922 confida all'avvocato Giovanni Baldi di pensare spesso alla morte e di voler allestire una sede espositiva a Ferrara, capace di accogliere tutte le opere che egli donerà alla città alla sua morte. Un incontro decisivo per l’artista avviene nel settembre del 1926, quando conosce Emilia Cardona, ventisettenne giornalista della “Gazzetta del Popolo” di Torino recatasi nel suo studio per intervistarlo, con la quale inizia un rapporto di affettuosa amicizia che, tre anni dopo, sfocerà nel matrimonio. Negli anni successivi le condizioni di salute di Boldini si aggravano: soffre di reumatismi, viene operato alla prostata e la vista si indebolisce sempre di più. Nel 1928 viene nominato Commendatore dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Con l’aiuto di Giovanni e del fratello Gaetano, Emilia Cardona inizia a redigere quella che, seppur con qualche inesattezza, diverrà la più completa biografia dell’artista. Il 1929 è l’anno del matrimonio con la giovane giornalista, da poco legalmente separata dal primo marito: lei ha 30 anni, lui 87. Muore Alaide Banti, definita dall’artista “mia fidanzata di già 60 anni”. La salute di Boldini peggiora nel 1930, sebbene affettuosamente curato dalla moglie. La morte sopraggiunge l’11 gennaio del 1931 per il riacutizzarsi della broncopolmonite. La salma viene trasferita a Ferrara nella Certosa, accanto ai suoi cari. La vedova, dopo pochi mesi, pubblica a Parigi “Vie de Jean Boldini”, alla cui stesura ha lavorato sotto la guida dello stesso Boldini. LA COLLEZIONE RICCI ODDI DI PIACENZA A Piacenza, nell’edificio appositamente progettato da Giulio Ulisse Arata, è ospitata la Collezione Ricci Oddi, nata per volontà del collezionista piacentino Giuseppe Ricci Oddi (Piacenza, 18691937): una delle più importanti raccolte italiane di pittura e scultura dell’Ottocento e del primo Novecento. Al centro della Galleria Ricci Oddi, inaugurata nel 1931, si pone la figura del suo fondatore, Giuseppe Ricci Oddi, che dopo gli studi di giurisprudenza presso le università di Roma e di Torino, rientrato nella sua città, iniziò ad adornare le pareti spoglie del suo appartamento, situato nel palazzo di famiglia in via Poggiali, acquistando Pecore tosate di Francesco Filippini e Dopo Novara di Gaetano Previati. Iniziò così la sua collezione, inconsapevole ma già segnata da una sorta di destino, dal bisogno di guardare oltre i confini cittadini. Ricci Oddi era certo dotato di gusto e di sensibilità e gli anni di visite ad esposizioni e a studi di artisti, nonché i colloqui con consulenti a vario titolo accreditati, ne avevano fatto in qualche modo un competente. Certo, per le sue scelte contava molto il consiglio dei consulenti, ma anche motivi sentimentali, passioni particolari o altrettanto specifiche antipatie, e perfino ragioni strumentali, calcoli economici. Tuttavia non per questo bisogna pensare a un eclettismo di fondo: anzi, ciò che caratterizza la raccolta è proprio la sua straordinaria omogeneità, basata sulla riconosciuta superiorità dell’arte figurativa, sebbene Ricci Oddi - pur senza avvicinarsi mai troppo alle avanguardie più radicali - fu attento ad alcune moderate novità d’inizio Novecento, come le sfumature stilistiche del Simbolismo e le esperienze di matrice impressionista e fauve sviluppate dagli italiani più aggiornati. Altra caratteristica è l’organicità della composizione, poiché vi sono comprese solo opere dall’epoca romantica in avanti, prevalentemente italiane, sforzandosi di mantenere un equilibrio fra le varie regioni, e considerando i pochi artisti stranieri per la loro influenza sugli italiani. Tutto il meglio della pittura e scultura italiana comprese fra la seconda metà dell’Ottocento e gli anni Quaranta del Novecento trova posto nelle sale della Galleria: Francesco Hayez, Giovanni Fattori, Giuseppe Pelizza da Volpedo, Antonio Fontanesi, Giovanni Segantini, Gaetano Previati, Giovanni Boldini, Giuseppe De Nittis, Federico Zandomeneghi, Antonio Mancini, Francesco Paolo Michetti, i fratelli Giuseppe e Filippo Palizzi, Domenico Morelli, Carlo Carrà, Umberto Boccioni, Felice Carena, Felice Casorati, Massimo Campigli, Filippo De Pisis, Giulio Aristide Sartorio, e i piacentini Stefano Bruzzi, Francesco Ghittoni, Bot e Bruno Cassinari, solo per ricordarne alcuni. Per la scultura Vincenzo Gemito, Paolo Troubetzkoy, Giuseppe Grandi, Adolfo Wildt, Medardo Rosso, Libero Andreotti, Attilio Selva, Francesco Messina, fra gli altri.