FISICA e MOTORI, GIOIE e … Caro Professore, quali sono i principi alla base del funzionamento di un motore termico? A qualcuno potrà sembrare forse un po’ strano, ma alla base del funzionamento dei motori di oggi c’è molta fisica del diciannovesimo secolo. C’è anche molto di quanto ho raccontato nella puntata dedicata al secondo principio della termodinamica, che avevo enunciato chiamando in causa una grandezza non proprio famigliare ai più, l’entropia. Avevo detto che le trasformazioni che avvengono nel nostro universo sono inesorabilmente segnate da una sorta di spontaneo cammino dall’ordine al disordine, dall’organizzazione alla disorganizzazione. Come esempio avevo riportato lo “spegnimento” dei rimbalzi di una pallina lasciata cadere al suolo: il movimento ordinato di tutti i suoi atomi trascinati dalla gravità verso il basso si trasforma in poco tempo in altre forme di energia (calore e rumore: questa è la sostanza del principio di conservazione dell’energia, noto anche come primo principio della termodinamica). E’ vero che c’è ancora movimento degli atomi della pallina (l’energia si è conservata), ma alla fine dei rimbalzi, a causa degli urti con il pavimento, questi moti sono caotici e disordinati, non sono più “adatti” a muovere ulteriormente la pallina, perché non si riescono più a mettere d’accordo. L’entropia (disordine) è aumentata, e spontaneamente non c’è verso di farla diminuire, di “tornare indietro nel tempo”. Ebbene, è anche in riferimento a questi ragionamenti che è possibile comprendere (e mettere in pratica) i principi di funzionamento di un motore. Prima di giungere agli attuali, complessi e sofisticati motori che fanno muovere le nostre automobili, si deve fare un lungo passo indietro quando, in pieno ottocento, si realizzavano i primi, sbuffanti, pericolosi e poco prestanti motori a combustione “esterna” (a vapore, di solito). L’idea fondamentale era quella di costruire delle macchine cosiddette “cicliche”, ossia in grado di produrre lavoro meccanico ripristinando periodicamente le proprie condizioni operative. Avete presente l’incessante vai e vieni del pistone della locomotiva di una volta? Bene, si tratta proprio di questo: ci si era accorti che era possibile sfruttare l’energia messa a disposizione da una sostanza calda (l’acqua o il suo vapore riscaldato) per mettere in moto dei meccanismi congeniati allo scopo di produrre movimento “potente”, ossia in grado di spostare o sospingere oggetti. Per poter fare questa azione in modo “utile”, era necessario che questa conversione fra “fuoco” e “forza” non si esaurisse subito, ma fosse sostenuta per tutto il tempo necessario all’effettuazione del lavoro. Insomma, il macchinario doveva continuamente “tornare al punto di partenza”. Ecco dunque il genio umano che escogita valvole, stantuffi, meccanismi di ogni genere che permettono di realizzare il sogno tecnologico che conduceva alla rivoluzione industriale. Cosa c’è però di tanto speciale dal punto di vista della scienza fondamentale nel funzionamento di un motore termico? Cosa c’entra l’entropia? Beh, abbiamo visto che ordine e disordine sono protagonisti importanti dal punto di vista dei cambiamenti spontanei in una trasformazione naturale. Abbiamo anche iniziato ad osservare che in un motore ci deve essere qualche relazione fra energia termica (calore, si usa dire, anche se non è il termine appropriato, in quanto esso si riferisce non tanto ad un contenuto di energia ma ad un modo di trasferirla) e lavoro (in un certo senso: fra “carburante” e fra ciò che vogliamo produrre). Il fatto è che ci piacerebbe pensare che il moto pazzo degli atomi possa essere convertito in moto organizzato senza “buttare via niente”. Chi ce lo potrebbe impedire, dopotutto? L’agitazione termica degli atomi è a disposizione per produrre l’espansione del gas nel cilindro del motore. Questa espansione si converte in moto del pistone, che è collegato alle ruote tramite le bielle ed altre parti meccaniche. Insomma, cosa c’è di male nell’utilizzare tutta l’energia termica messa a disposizione dal fuoco del combustibile per far camminare l’automobile? Dopotutto, se riflettiamo solo un po’, qualcosa di molto simile ha sempre funzionato prendendo ad esempio un bastoncino di legno e strofinandolo con vigore contro un altro. Gli uomini preistorici sapevano benissimo come trasformare il movimento in aumento di temperatura, lo sfregamento dei bastoncini (lavoro, moto ordinato ed organizzato) in fuoco (disordine, caos atomico). Lavoro in “calore”, e ci siamo. Non si butta via niente, lo dice anche il principio di conservazione dell’energia! Dunque facciamo il contrario: prendiamo energia termica, “caotica” a piacimento e la trasformiamo con una macchina meravigliosa in lavoro (energia “ordinata”). Quanta energia “disordinata” abbiamo a disposizione? Tanta, tantissima: un lago a temperatura nemmeno troppo alta è un serbatoio, oltre che di acqua, anche di energia in quantità veramente smisurata: con il raffreddamento di un solo grado di temperatura di poco più di due chilogrammi di acqua recuperiamo l’energia che serve per sollevare di un metro una massa di un chilogrammo. Pensate cosa si potrebbe fare “pescando” energia dall’oceano! Dov’è dunque il problema? Perché dobbiamo pagare (salata) la benzina per far funzionare il motore? Il fatto è che la conversione termica di lavoro è “spontanea”, nel senso che segue la via naturale che la natura ci impone nelle trasformazioni termiche, ossia dall’ordine al disordine: l’entropia aumenta, tutto bene quindi. Nella trasformazione inversa, invece, per trasformare “calore” (disorganizzazione) in lavoro (organizzazione), è necessario in qualche modo bilanciare quella che si tradurrebbe in una diminuzione di entropia, che i fisici traducono in una violazione del secondo principio della termodinamica. Per produrre lavoro a partire dall’energia termica (insomma, per costruire una macchina termica) è assolutamente necessario “sprecare” dell’energia. Non tutta quella messa a disposizione dal combustibile può essere utilizzata per far girare il motore, una parte va comunque spesa per far sì che l’entropia dell’universo non possa diminuire. Non ci sono eccezioni globali a questa legge. Ecco dunque che ci troviamo al cospetto di una serie (peraltro interessante) di problemi da risolvere quando serve un progetto realistico e realizzabile di un motore termico. Siccome solo una frazione dell’energia messa a disposizione della macchina sarà spendibile per produrre lavoro, è importante che tale frazione sia la più grande possibile, a parità di altre condizioni. In altre parole, si deve cercare di ottenere un’efficienza elevata, per non trovarsi fra le mani una macchina complicatissima ed … inutile. La storia dell’ingegneria delle macchine termiche è costellata di incredibili invenzioni e miglioramenti. L’idea di base è comunque sempre la stessa: costruire un sistema che, operando in modo ciclico, sia capace prelevare energia dal combustibile (la parte calda della macchina) per produrre potenza meccanica spendibile in lavoro, il tutto con una minima perdita di energia verso la parte fredda della macchina. Questo è realizzabile solamente avendo a disposizione almeno due “serbatoi” a temperature diverse. Ad esempio, nei motori a benzina (basati su fasi di funzionamento dette ciclo di Otto) la sorgente di energia calda è fornita dalla combustione esplosiva della miscela aria-benzina. Nel motori diesel (basati sul ciclo omonimo) la sorgente calda coincide invece con l’incendio ad alta pressione e temperatura del gasolio presente nel cilindro. In entrambi i motori, si devono prevedere fasi di “scarico” dei fumi combusti che hanno anche il ruolo di “sprecare energia”, come si accennava sopra, in quanto, assieme a parti calde del motore, disperdono nell’aria a temperatura ambiente l’eccesso termico non utilizzabile perché così vuole la natura. Quanto siamo obbligati comunque e sempre a sprecare a causa di questa situazione? La risposta non è unica: dipende dal tipo di macchina, anche se esiste un modello ideale (dunque non realizzabile concretamente, non fino in fondo almeno) che ci assicura l’efficienza massima. Tale sistema, noto come “macchina di Carnot”, ha un’efficienza che dipende solamente (e teoricamente, ripeto) dalla temperatura “alta” e da quella “bassa” di funzionamento, e da nient’altro. Si può calcolare, ad esempio, che in una macchina di Carnot che funziona (“brucia”) a 800°C e “scarica” a 20°C l’efficienza è pari a circa il 73%. Vuole dire che il 73% del energia termica viene trasformata in lavoro, il 27% è inevitabilmente perso. Tutte le altre macchine, quelle reali o ideali che non siano di Carnot, sono molto più scarse: un motore a benzina raramente riesce a superare un’efficienza del 35%. A questo punto, spero, dovrebbe essere intuibile che il mondo, più che verso una “crisi energetica”, si sta avvicinando ad un periodo di “crisi entropica”: stiamo “degradando” l’energia calda, di qualità, per riuscire a tenere in moto il nostro mondo super-automatizzato. Non che ci sia da preoccuparsi subito, ma non è nemmeno il caso di fare a finta che le risorse siano illimitate. Oltretutto, non lo si dimentichi, il rilascio di energia nell’ambiente è sempre in qualche misura un’azione inquinante e raramente rispettosa dell’ecosistema. [a cura di Stefano Oss]