BOLOGNA, 4 - 7 GIUGNO 2010
Sezione Emilia Romagna
In copertina: Robert-Henry Cheney (Badger Hall, 1801-1866), Il cortile di Palazzo
Bevilacqua a Bologna, acquerello, 1838, Collezione Ippolito Bevilacqua Ariosti.
ASSOCIAZIONE
DIMORE STORICHE ITALIANE
XXXIII Assemblea Nazionale
Bologna, 4 - 7 Giugno 2010
Sezione Emilia Romagna
Associazione Dimore Storiche Italiane
Organi Centrali
PRESIDENTI DALLA FONDAZIONE
Gian Giacomo di Thiene 1977-1986
Niccolò Pasolini dall’Onda 1986-1992
Gaetano Barbiano di Belgiojoso 1992-1997
Aimone di Seyssel d’Aix 1997-2001
PRESIDENTE
Aldo Pezzana Capranica del Grillo
PRESIDENTE ONORARIO
Niccolo Pasotini dall’Onda
VICE PRESIDENTI
Luciano Filippo Bracci
Ippolito Calvi di Bergolo
CONSIGLIO NAZIONALE
Ippolito Bevilacqua Ariosti
Prospero Colonna
Sergio Gelmi di Caporiacco
Giuliano Malvezzi Campeggi
Carlo Marenco di Santarosa
Nicola de Renzis Sonnino
Emanuela Varano di Camerino
CONSIGLIO DI PRESIDENZA
Aldo Maria Arena
Mario Lolli Ghetti
Arturo Nullino
Stefano Passigli
PROBIVIRl
Aimone di Seyssel d’Aix
Novello Cavazza
Francesco Marigliano Caracciolo
Supplenti
Carlo Patrizi
Vieri Torrigiani Malaspina
REVISORI DEI CONTI
Ferdinando Cassinis
Luciana Masetti Faina
Maria Termini
Supplenti
Francesco Bucci Casari
Francesco Schiavone Panni
COORDINATORE DEI GRUPPI GIOVANlLI
Valeria Bossi Fedrigotti von Lutterotti
COMITATO DIRETTIVO DELLA SEZIONE EMILIA ROMAGNA
PRESIDENTE
Francesco Cavazza Isolani
VICEPRESIDENTE
Giovanni Facchinetti Pulazzini
CONSIGLIERI
Gian Luca Garagnani - Consigliere Segretario
Paola Galletti Lindsten - Consigliere Tesoriere
Francesco Bonora
Gian Luigi Bragadin
Marina Deserti
Maria Teresa Ferniani Paolucci delle Roncole
Luigi Malvezzi Campeggi
Paolo Senni Guidotti Magnani
SEZIONI
REGIONALI
ABRUZZO
Massimo Lucà Dazio
Palazzo Lucà Dazio
66038 San Vito Chietino (CH)
[email protected]
BASILICATA
Annibale Berlingieri
Palazzo Scardaccione
Corso Umberto I, 42
85037 Santarcangelo (PZ)
[email protected]
CALABRIA
Francesco Zerbi
Rappresentanza a Roma:
Via Paraguay. 5
00198 Roma
Tel. 06.8541300 - fax 06.8549043
[email protected]
CAMPANIA
Cettina Lanzara
Via N. Fornelli. 14
80132 Napoli
Tel. 081.421375
[email protected]
EMILIA ROMAGNA
Francesco Cavazza Isolani
Via Santa I
40125 Bologna
Tel. 051.225928
[email protected]
FRIULI VENEZIA GIULIA
Sergio Gelmi di Caporiacco
Rappresentanza a Roma:
Via Santa Maria in Monticel1i, 67
00186 Roma
[email protected]
LAZIO
Moroello Diaz della Vittoria Pallavicini
Largo dei Fiorentini 1
00186 Roma
Tel. 06.6832774
[email protected]
LIGURIA
Giovanni Battista Gramatica di Bellagio
Via Ceccardi, 4/15
16121 Genova
Tel. 010.564497 - fax 010.593500
[email protected]
LOMBARDIA
Camillo Paveri Fontana
Via San Paolo, 10
20121 Milano
Tel. 02.76318634 - fax 02.76312266
[email protected]
MARCHE
Maddalena Trionfi Honorati
Colle San Lazzaro
60035 Iesi (AN)
Tel. 0731.207638
Segreteria:
Via S. Stefano, 8
60122 Ancona
Tel. 071.2071827
[email protected]
MOLISE
Nicoletta Pietravalle
Rappresentanza a Roma:
Via di Villa Ada, 4
00199 Roma
[email protected]
TOSCANA
Niccolò Rosselli Del Turco
Borgo SS. Apostoli, 17
50123 Firenze
Tel. 055.212452
[email protected]
PIEMONTE
Filippo Bcraudo di Pralormo
Via Umberto 1.26
10040 Pralormo (TO)
Segreteria di sezione:
Via Pomba, 17
10123 Torino
Tel. 011.81129495
[email protected]
TRENTINO ALTO ADIGE
Antonia Marzani di Sasso e Canova
Piazza G.B. Riolfatti, 16
38060 Villalagarina (TN)
Tel. 0464.412068
[email protected]
PUGLIA
Giuseppe Seracca Guerrieri
Via F. A. D’Amelio. I
73100 Lecce
Tel. 0832.331151
[email protected]
Segreteria di sezione:
Carlo Fumarola
Via Principi di Savoia, 67
73100 Lecce
Tel. 0832309581
[email protected]
SICILIA
Bernardo Tortorici di Raffadali
Piazzetta M.se Natale, 2
90147 Palermo
Tel. 091534280
[email protected]
UMBRIA
Clara von Saucken
Strada Marscianese, 30
06079 San Martino Delfieo (PG)
Tel. 075.38137
[email protected]
VENETO
Giorgio Zuccolo Arrigoni
Via Rolando Da Piazzola. 25
35139 Padova
Tel. 049.660018 - fax 049.8753817
[email protected]
La Sezione EMILIA ROMAGNA ha organizzato la visita delle dimore e
ville bolognesi grazie all’impegno, disponibilità e collaborazione
dei Consoci:
Ippolito Bevilacqua Ariosti
Morando Bevilacqua Ariosti
Francesco Cavazza Isolani
Gualtiero Cavazza Isolani
Federico Enriques
Giovanni Facchinetti Pulazzini
Giovanna Furlanetto
Alessandro Hercolani
Antonio Hercolani
Claudia Hercolani
Francesco Malvezzi Campeggi
Gherardo Malvezzi Campeggi
Luigi Malvezzi Campeggi
GianCarlo Meroni
Bianca Maria Molinari Pradelli
Ubaldo Monari Sardè
PierLuigi Montebugnoli
GianLuca Salina Amorini Bolognini
Gerardo Veronesi
La Sezione EMILIA ROMAGNA ringrazia per la collaborazione:
Il Museo Civico Medioevale di Bologna
Il Museo Internazionale della Musica di Bologna
Padre Domenico Vittorini O.S .A.
Stefania Biancani
Giovan Battista Emaldi, Presidente Gruppo Giovani ADSI Emilia
Romagna
Il logo della XXXIII Assemblea Nazionale A.D.S.I è stato realizzato
da Marina di Mottola Balestra Cavazza Isolani e Camilla Rusconi
Rizzi.
L’Assemblea Nazionale, che ogni anno riunisce i soci dell’Associazione, è sempre un momento di grande importanza. È la sede dove i soci delle varie regioni
possono incontrarsi, scambiarsi le idee, chiedere chiarimenti ai dirigenti nazionali.
Il sito dell’Associazione e le possibilità di interagire fra i vari soci sono uno
strumento molto utile, ma l’incontro personale è insostituibile.
L’Assemblea di quest’anno ha poi una particolare importanza perché è chiamata ad eleggere, in sede di rinnovazione del Consiglio Direttivo, i nove consiglieri, che insieme ai presidenti delle sezioni eleggeranno il nuovo presidente.
Dopo aver ottenuto per ben tre volte la quasi unanime fiducia del Consiglio
Direttivo, ha termine il mio terzo ed, in ossequio alla nuova norma statutaria,
ultimo mandato; e contemporaneamente lascio ogni incarico negli organi direttivi dei quali ho fatto parte per oltre trent’anni.
Lavorare per la difesa delle nostre dimore è stata un’esperienza entusiasmante. Le molte battaglie combattute ed in gran parte vinte sono per me un grande
motivo di soddisfazione. La mia lunga esperienza negli organi direttivi mi ha
insegnato che le cariche nell’Associazione non devono essere viste come degli
incarichi onorifici e delle gratificazioni morali, ma devono essere considerate
come un impegno di servizio per i soci e per la collettività nazionale alla quale
moralmente appartiene il patrimonio storico culturale di cui noi siamo custodi
e difensori. Sono sicuro che coloro che saranno eletti sia attraverso le votazioni
per corrispondenza già terminate sia a seguito di quelle che si svolgeranno in
Assemblea, sapranno gestire nel modo migliore l’Associazione e difendere le
nostre dimore dal pericolo di interventi legislativi pregiudizievoli.
Com’è poi di consuetudine la sezione Emilia Romagna ha organizzato, come
piacevole contorno all’Assemblea, una serie di visite ai palazzi storici di Bologna ed alle ville della campagna bolognese.
Al Consiglio Direttivo della sezione Emilia Romagna, al suo presidente ed
agli sponsor il più vivo ringraziamento mio e della sede nazionale.
A tutti i soci che interverranno il mio più cordiale saluto.
Aldo Pezzana Capranica del Grillo
Presidente dell’Associazione Dimore Storiche Italiane
L’esperienza dell’attività dell’ADSI mi convince di quanto sia fondamentale una
collaborazione fra pubblico e privato per generare nuovi stimoli e idee sull’utilizzo dell’immenso patrimonio storico e artistico italiano nell’ottica della vitalità e rivitalizzazione degli immobili storici privati.
A questa riflessione si ispira il tema conduttore della XXXIII Assemblea
ADSI che quest’anno si svolge a Bologna e che, come Presidente della Sezione
Emilia Romagna, mi vede ispiratore, organizzatore e padrone di casa. La problematica del riutilizzo funzionale di una dimora storica, villa, castello o palazzo cittadino che sia, è sempre più nevralgica in un contesto socioeconomico
che vede la destinazione unicamente residenziale di questi immobili sempre
più ardua e costosa. Da qui il benvenuto concettuale che come Presidente Regionale ADSI do ad ogni sollecitazione che proponga soluzioni innovative di
rivisitazione dell’uso e della funzione delle dimore storiche: nel corso dei lavori
e delle giornate dell’Assemblea avremo modo di verificare alcuni interventi che
si sono dimostrati a diverso titolo eccellenti: dalla riconversione in sede direzionale di una villa collabente alle porte di Bologna, alla riproposta come show
room dei saloni affrescati di un prestigioso palazzo senatorio all’adattamento
residenziale dei sottotetti dello stesso palazzo, in un’applicazione di restauro e
arte contemporanea sorprendente nei suoi risultati decorativi e funzionali. Né
dobbiamo dimenticare le possibilità offerte dal turismo culturale e dall’agriturismo: un percorso che collegasse fra loro solo dimore storiche private avrebbe
sul mercato turistico internazionale, soprattutto d’Oltreoceano, un impatto che
ci lascerebbe strabiliati, com’è dimostrato da tali iniziative che già avvengono
in Gran Bretagna ed in Francia e che attirano turisti di fascia altissima e di altrettanto alta capacità di spesa. Quest’accenno all’impresa turistica mi permette
di concludere rimarcando quella vocazione al turismo culturale d’alto livello
che nei secoli è stata caratteristica di Bologna e che dall’Ottocento in poi si è
andata sempre più appannando fino a scomparire per poi rinascere timidamente ma con costante progressione negli ultimi anni. Ormai è più che facile sentire
sotto i portici voci che parlano inglese, spagnolo, tedesco, olandese, francese:
non solo studenti attirati dal programma Erasmus o dal prestigio dell’università
americana Johns Hopkins ma anche molti turisti. Bologna non è né sarà città
da turismo di massa ma mi auguro possa, grazie anche alla riqualificazione
delle sue dimore storiche, soprattutto le ville senatorie che la circondano sia
verso i colli sia verso la pianura, riconquistare quello status di meta raffinata
del turismo colto che fra Seicento ed Età Napoleonica la portò ad essere meta
obbligatoria del Grand Tour che aristocratici ed intellettuali d’ogni paese europeo, perfino dalla Russia, compivano in Italia per educarsi alle arti e al gusto
del vivere colto e civile. Le Goût des Bolonais fu un dogma artistico fra Seicento
e Settecento e nello scenario allora cosmopolita della Bologna settecentesca si
incrociavano le querelles d’arte e politica fra l’Algarotti cortigiano di Federico II
di Prussia e il Bibiena di casa alla corte d’Asburgo e nei salotti e fra i portici si
muovevano grandi architetti, artisti e collezionisti come Inigo Jones, Chambers,
Clérisseau e Lord Burlington. Nel corso di questa XXXIII Assemblea dell’ADSI ripercorreremo forse anche i loro passi nell’impegno che il nostro operato di
proprietari avveduti mantenga intatto e fiorente il patrimonio d’arte e civiltà che
ci è affidato.
Francesco Cavazza Isolani
Presidente della Sezione Emilia Romagna
dell’Associazione Dimore Storiche Italiane
ASSOCIAZIONE DIMORE STORICHE ITALIANE
XXXIII ASSEMBLEA NAZIONALE
BOLOGNA, 4 - 7 GIUGNO 2010
SEZIONE EMILIA ROMAGNA
DIMORE STORICHE
BOLOGNESI
TESTI
CATERINA PASCALE GUIDOTTI MAGNANI
DANIELE PASCALE GUIDOTTI MAGNANI
COORDINAMENTO
PAOLO SENNI GUIDOTTI MAGNANI
XXXIII Assemblea ADSI 2010 - Bologna
LE DIMORE STORICHE BOLOGNESI
Alcuni cenni introduttivi
Passeggiando per Bologna, è spesso inevitabile fermarsi un momento, interrompendo il cammino incuriositi per concentrarsi sul pregio delle architetture
in cui ci si imbatte: la città è ricca di edifici maestosi e imponenti, strutture
che stupiscono il turista e riempiono di orgoglio i bolognesi che quei palazzi
conoscono ed amano.
Le prime luci di una giornata primaverile sono quelle che permettono un
pieno godimento delle piazze, dei monumenti e, soprattutto, dei palazzi. I raggi
del sole si fermano con decisione sulle facciate, ne definiscono i contorni e permettono di distinguere modi e forme di modelli architettonici tanto diversi ma
così compatti nel panorama della città.
E in fondo, al di là delle differenze stilistiche - dal Rinascimento, al Barocco,
al primo Neoclassico - è interessante notare ciò che accomuna questi palazzi,
nati nel lungo periodo della dominazione papale su Bologna, dal 1513 al 1797,
quando la città era governata dal “Cardinal Legato”, rappresentante del papa,
affiancato da un Senato, composto dai rappresentanti delle famiglie nobili che
ogni due mesi esprimevano un nuovo Gonfaloniere di Giustizia, la magistratura
di vertice - almeno formalmente - del governo bolognese. Un gruppo di famiglie non certo compatto, quando si trattava di interessi economici e di privilegi
di casta, ma sicuramente unito nel fronteggiare le tendenze accentratrici del
governo romano. Ecco quindi che l’architettura non è soltanto il raffinato involucro di un abitare intimista, ma diventa momento di autoaffermazione delle
casate senatorie. Infatti anche gli interni sono vissuti come spazio pubblico,
perché nel giorno della nomina del nuovo Gonfaloniere gli spaziosi atri, i cortili
a loggiati, i magniloquenti scaloni barocchi, i saloni d’onore diventano teatro di
sfarzosi ricevimenti in cui le famiglie mettono in scena il loro potere.
Quando poi l’aristocrazia parte per la villeggiatura, per trovare riparo dalla
calura estiva e per controllare i raccolti, perché è dall’agricoltura che i nobili
traggono i loro guadagni, trova alloggio in sontuose ville: a Bologna si ama
definirle palazzi, a sottolineare la contiguità tra l’architettura cittadina e quella
rurale, in un continuo tentativo di portare civiltà, la virtù del cittadino, in campagna. Un vezzo unico nell’Europa d’allora e dei secoli successivi, originale e
volendo altezzoso, se si pensa che in soli altri due casi e in Gran Bretagna si
parla di “Palazzo” per residenze di campagna o nate come tali: niente meno che
Bleinheim Palace, residenza del duca di Marlborough, e Buckingham Palace,
nato come residenza del duca di Buckingham and Normanby e acquistato nel
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XXXIII Assemblea ADSI 2010 - Bologna
1761 da Giorgio III e solo con l’avvento della regina Vittoria nel 1837 divenuto
residenza reale.
Le architetture rurali bolognesi del Quattrocento sono ancora residenze fortificate, simili ai castelli, ma dal Cinquecento iniziano a sorgere le prime ville
concepite come luogo di svago e controllo del territorio. L’ambiente principale
è sempre una loggia passante, un grande salone di ricevimento che attraversa
l’edificio da parte a parte, permettendo di disimpegnare gli ambienti interni e
di osservare con un colpo d’occhio l’intera tenuta, grazie ai lunghi viali di pioppi, che non fanno altro che proseguire all’esterno gli assi indicati dalle logge
interne. Un sistema di organizzazione dello spazio abitativo e del terreno agricolo che si manterrà fino alla fine dell’Ancien Régime, pur con una significativa
ricerca, nel tardo Barocco e nel Settecento, di risultati scenografici sempre
maggiori quali il giardino-campagna di ispirazione inglese.
Sia i palazzi di città sia i palazzi di campagna si distinguono per l’eleganza
e la preziosità delle decorazioni degli interni e, spesso, le pareti e le volte di
questi edifici sono testimoni dell’arte dei più grandi pittori bolognesi, impegnati
a celebrare la gloria e la ricchezza delle famiglie committenti.
Alla metà del Cinquecento assistiamo al “trionfo” del fregio narrativo: sulle
pareti dei saloni d’onore prendono vita eroi mitici e divinità classiche, che tra
metafore e allegorie portano in scena le aspirazioni e le passioni dei nobili che
abitano quelle stanze. Le tipologie decorative si sviluppano rapidamente: nel
XVII secolo le pitture intraprendono l’invasione della parete e quello successivo addirittura la sfondano, integrando l’architettura preesistente e arricchendola con stucchi e sculture. Gli artisti della grande stagione barocca illudono
lo spettatore e ne guidano lo sguardo in uno spazio “altro”, che va oltre quello
concreto della parete per aprirlo verso qualcosa di molto lontano: proprio a Bologna con Angelo Michele Colonna e Agostino Mitelli e i grandissimi Bibiena
nasce quell’arte pittorica del tromp-l’œil, della creazione di false architetture
pittoriche e prospettiche all’interno degli spazi dei palazzi, che si diffonderanno
in tutt’Europa in un cammino spettacolare disseminato di invenzioni e di “architetture dell’inganno”.
Conoscere Bologna è percorrerne le vie, osservarne i palazzi ed esplorarne
le campagna. Possiamo soddisfare la curiosità e fermarci davanti ai palazzi,
seguirne con sguardo attento le linee e le curve delle facciate. Possiamo entrare
nelle dimore secolari e perderci nelle pareti, tra brillanti tinte rinascimentali,
tra sfavillanti pitture seicentesche e tra illusionistiche decorazioni barocche.
Caterina Pascale Guidotti Magnani e Daniele Pascale Guidotti Magnani
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XXXIII Assemblea ADSI 2010 - Bologna
PALAZZO ISOLANI
Via Santo Stefano 16, dai Conti Gualtiero e Francesco Cavazza Isolani
Nel 1671 il ramo senatorio dei Lupari, famiglia di trecentesca origine lucchese,
si estinse e le sue eredità pervennero agli Isolani, che ne assunsero il cognome
e le insegne araldiche. Essi entrarono in possesso anche del rinascimentale palazzo di Piazza Santo Stefano, che nel 1701 fu collegato alla prima “Casa Isolani”. Venne creato un unico vasto palazzo senatorio esteso tra via Santo Stefano
e Strada Maggiore. I lavori iniziarono nel 1708, quando il senatore Alamanno
Isolani affidò a Giuseppe Antonio Torri la progettazione del complesso; il primo intervento consistette nella ricostruzione della facciata su Santo Stefano. Il
nuovo edificio, impostato su un portico di cinque arcate a finto bugnato scandite
da semplici finestre riquadrate da cornici, venne completato soltanto nel 1778,
quando il piano nobile fu reso abitabile. Se ci fermiamo al centro della piazza
e guardiamo verso il palazzo, la compostezza della fronte ci colpisce immediatamente. È evidente lo “stacco” rispetto al forte Rinascimento del contiguo
Palazzo Bolognini, proprietà degli Isolani dal 1842, ma non ci turba, offrendo
in un solo colpo d’occhio la sintesi esemplare dell’architettura bolognese. Il lato
settentrionale di Piazza Santo Stefano mostra il marcato linearismo settecentesco e, al contempo, le delicate forme quattrocentesche.
Entriamo nel palazzo. Passato l’ingresso, ci troviamo in un delizioso cortile
con loggiato cinquecentesco, appartenente all’antico palazzo dei Lupari e testimone dei precedenti proprietari.
Al piano terreno, le sale sono decorate con stucchi e pitture preziosissime;
tra queste, si distingue per imponenza e splendore la volta del Salone del Settecento, sulla quale Giuseppe e Antonio Rolli dipinsero un Trionfo di Felsina e
della famiglia Isolani.
Oltre la loggia, al di là di una porta a vetri, si intravede la partenza di una
straordinaria scala a forma elicoidale, frutto della geniale fantasia dell’architetto Torri, impegnato sia negli esterni, sia negli interni del palazzo. Lo scalone
ha una partenza centrale e dopo due volute si allarga, risalendo per un ampio
ambiente rettangolare. Lo spazio viene letteralmente stravolto e muta lentamente, da forte e luminoso si torce in una buia scala a chiocciola.
Al piano nobile, lo sguardo si perde tra le finte architetture della sala dedicata alla dea dell’Amore. Qui, nel 1785 Giuseppe Valiani, fedele alle direttive di
Apuleio, dipinse il Carro di Venere. La giovane divinità è nuda e tiene in mano
la conchiglia da cui sorse dalle acque; il carro è trainato da colombe e condotto
da Cupido. All’illusione prospettica della scena contribuì Fransesco Stagni, che
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XXXIII Assemblea ADSI 2010 - Bologna
creò l’ampia quadratura, simulando un loggiato rettangolare affacciato sulla
sala attraverso arcate rette da balaustre traforate. E la volta è aperta sul cielo,
verso Venere che si allontana con il suo corteo celeste.
CPGM
CASA ISOLANI
E PALAZZO BOLOGNINI ISOLANI
Strada Maggiore 19 - Via Santo Stefano 18,
dai Conti Gualtiero e Francesco Cavazza Isolani
Il turista in passeggiata lungo Strada Maggiore non può non notare il portico di
suggestiva bellezza del civico numero 19: altissimi pilastri in legno di quercia
(nove metri) sorreggono, con la loro singolare struttura a “stilata lignea”, il
terzo piano di uno dei più caratteristici esempi di abitazione bolognese di XIII
secolo. Sorto sulle rovine dell’incendio che nel 1210 devastò la zona Sud-Est di
Bologna, l’edificio fu la prima residenza senatoria della famiglia degli Isolani,
che arrivati a Bologna da Cipro si distinsero nella vita pubblica bolognese sin
dal XIV secolo.
Se si volge lo sguardo verso l’alto, si possono cercare tre frecce fissate nel
soffitto: la leggenda racconta che un marito tradito per vendicarsi della moglie
assoldò tre arcieri perché la uccidessero. La donna, però, si presentò senza vesti
e i tre, per lo stupore, sbagliando la mira conficcarono le frecce nel soffitto.
Nel 1877, il palazzo subì un grosso restauro diretto da Raffaele Faccioli;
questi aprì le porte ogivali al piano terra e ripristinò le finestre seguendo gli
esempi antichi. In realtà, oggi solo il portone e una bifora sono originali, ma la
percezione di pura architettura trecentesca è concreta e tangibile.
L’antico ingresso della casa coincide con quello dell’attuale Corte Isolani,
una successione di cortili e androni interni che collegavano la residenza degli
Isolani al palazzo confinante, acquistato nel 1842 ai Bolognini. Gli uffici, i
negozi e i locali che si affacciano sulla luminosa “galleria” non impediscono di
respirare l’atmosfera della Bologna medievale, mantenuta viva dai colori e dalle
architetture del restauro che hanno rispettato in pieno la tradizione e la storia
del complesso immobiliare.
Attraversando Corte Isolani si giunge a Piazza Santo Stefano; su questo lato,
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XXXIII Assemblea ADSI 2010 - Bologna
il benvenuto a chi entra nella “galleria” lo dà la residenza senatoria dei Bolognini che gli Isolani acquistarono nell’Ottocento.
Il palazzo, realizzato tra il 1451 e il 1455 da Pagno di Lapo Portigiani da
Fiesole, è fiero testimone dell’ingresso del Rinascimento toscano nella cultura
bolognese. La facciata, impostata su due ordini separati da un marcapiano, è
caratterizzata dalle novità rinascimentali fuse alle tradizioni locali; il portico
con archi a tutto sesto sostenuto da capitelli corinzi in marmo – toscanismo
allora raro a Bologna - è sovrastato dalle finestre a sesto acuto dell’ordine superiore e dagli archetti che frangiano il cornicione.
Una folla di teste sporge dai medaglioni inseriti nelle finestre e altre, alternate con vasi o urne, fanno capolino dagli archetti del cornicione. Curiose, le
teste si affacciano sulla piazza, testimoni silenziose di quante e quali storie di
vissuto quotidiano od eccezionale.
CPGM
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XXXIII Assemblea ADSI 2010 - Bologna
ORATORIO DI SAN FILIPPO NERI
Via Manzoni 5, della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna
La Congregazione dell’Oratorio, detta anche dei Filippini dal nome del loro fondatore, San Filippo Neri, ebbe la sua prima sede a Bologna il 4 gennaio 1621,
nella piccola chiesa di Santa Barbara, situata all’inizio di via Montegrappa e
oggi non più esistente. Proprio per la difficile praticabilità di questa chiesa, i
Filippini si impegnarono a pregare perché l’Arcivescovo di Bologna, Alessandro Ludovisi, fosse eletto papa: in cambio, chiedevano che fosse concesso loro
l’uso dell’antica chiesa della Madonna di Galliera, molto più ampia e dotata
di una monumentale facciata quattrocentesca scolpita in pietra arenaria. Il 9
febbraio 1621, all’unanimità, dopo un conclave di soli due giorni, l’Arcivescovo
fu eletto papa col nome di Gregorio XV. Evidentemente le preghiere dei Padri
bolognesi erano state efficaci, così il nuovo papa si affrettò a concedere la chiesa della Madonna di Galliera, che divenne la sede fissa della congregazione a
partire dall’8 giugno 1621.
San Filippo Neri, che aveva improntato la sua vita alla letizia cristiana, aveva
l’abitudine di incontrare i suoi fedeli e soprattutto i giovani durante gli “oratori”,
riunioni in cui si ascoltavano testi sacri e predicazioni, ma anche composizioni
musicali e drammi teatrali di argomento sacro. Questa invenzione di Filippo
Neri permetteva a un gran numero di fedeli di avvicinarsi alle Scritture in
modo coinvolgente e gioioso, e, una volta consolidatasi la sua congregazione,
gli oratori iniziarono a tenersi in speciali aule, dette anch’esse oratori, affiancate alle chiese. Anche a Bologna si sentì ben presto il bisogno di un oratorio
abbastanza ampio da contenere i numerosi fedeli, tuttavia ciò fu possibile solo
a partire dal 1723, poiché qualche anno prima, nel 1705, i Filippini avevano
ottenuto la generosa eredità del nobile bolognese Sebastiano Sighicelli. Fino ad
allora gli oratori si erano tenuti in ambienti di fortuna, oppure, durante l’estate,
sul colle di Sant’Onofrio, dove un grande prato rinfrescato dal torrente Aposa
accoglieva i fedeli.
Il nuovo oratorio fu progettato da Alfonso Torreggiani (1682-1764), uno fra
i massimi esponenti dell’architettura bolognese del Settecento, che concepì
un’ariosa sala scandita da semicolonne di ordine composito e coperta da volte a
botte e a vela. Anche la decorazione in stucco, le cantorie (che ospitavano l’organo e i cantori) e i coretti furono disegnati da Torreggiani ed eseguiti da Carlo
Nessi e sono una delle opere più delicate del barocchetto bolognese. Le statue
in stucco sono opera del grande scultore bolognese Angelo Gabriello Piò (16901770), che apparteneva alla stessa famiglia del primo Oratoriano bolognese,
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XXXIII Assemblea ADSI 2010 - Bologna
Licinio Piò. Le figure ai lati della pala d’altare rappresentano la Verginità e la
Carità; mentre sotto la cantoria di destra si può vedere la statua di San Filippo
Neri: la testa non è però originale, essendo stata rifatta in modo improprio nel
1905. Le opere pittoriche presenti nell’oratorio sono solo due: l’Ecce Homo di
Ludovico Carracci sopra la porta d’ingresso - che proviene dal muro della casa
che si trovava al posto dell’oratorio e che fu conservato per il suo carattere
devozionale - e la pala d’altare del 1733. Quest’ultima è opera di Francesco
Monti, pittore bolognese che lasciò qui il suo primo capolavoro e si trasferì poi
in altre città dell’Italia Settentrionale e rappresenta, in un tripudio di panneggi,
angeli in volo e colori squillanti, la Madonna e il Bambino in gloria con i Santi
Barbara e Filippo Neri.
L’aspetto attuale dell’oratorio risente di una serie di drammatici eventi: i Padri Filippini ne furono scacciati nel 1798 e ancora nel 1866. L’oratorio fu trasformato prima in sede della ricevitoria del lotto e poi in magazzino per l’avena
destinata ai cavalli della piazza militare bolognese. Fu riscattato solo nel 1905,
ma il 29 gennaio 1944 si abbatté su Bologna il più rovinoso dei bombardamenti
della Seconda Guerra Mondiale. L’oratorio fu duramente colpito e dopo la guerra furono iniziati lavori di ripristino dal soprintendente Alfredo Barbacci che
la mancanza di fondi interruppe con la conseguenza che fino al 1997 la sala fu
adibita ad usi impropri. In quell’anno fu acquistata dalla Fondazione del Monte
di Bologna e Ravenna, che ne promosse un intelligente e meritorio restauro a
cura dell’architetto Pier Luigi Cervellati. Si è deciso di mantenere a vista gli
interventi di restauro di Barbacci - i muri in mattoni e le colonne in calcestruzzo armato - a testimonianza dei tragici eventi bellici, mentre le volte sono
state ricostruite con una leggera struttura in legno lamellare. Finalmente, il 29
gennaio 2000, 56 anni dopo il bombardamento, l’oratorio è stato restituito alla
città e da allora ospita conferenze, concerti, presentazioni di libri, inserendosi
perfettamente nell’offerta culturale della città di Bologna.
DPGM
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I PALAZZI FAVA DI VIA MANZONI
L’odierna via Manzoni fornisce al turista un’affascinante rassegna di storia di Bologna: snodo fondamentale dell’antica città Romana prima e di quella medievale
poi, questo tratto stradale si fa specchio delle velleità architettoniche dell’aristocrazia rinascimentale. I tre palazzi Fava che schierano lungo la via, infatti,
offrono uno degli esempi più alti delle esigenze di lussuosa eleganza sentite dalle
famiglie senatorie; i palazzi, inoltre, consentono un esame attento delle tipologie
strutturali e decorative adottate a Bologna tra il Trecento e il Cinquecento.
Sul lato meridionale della strada, al civico numero 2, in angolo con via Indipendenza - oggi sede del Grand Hotel Baglioni, si erge Palazzo Fava Ghisileri
proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, famoso per i cicli
di affreschi dei Carracci, attualmente in fase di completamento di un’accurata
opera di restauro e allestimento al pubblico - e accanto, al civico numero 4,
si leva da un alto basamento Palazzo Ghisilardi Fava, proprietà del Comune
di Bologna e sede del Museo Civico Medievale. Proseguendo su via Manzoni,
al civico numero 6 si trovano le case Fava-Conoscenti, con l’omonima torre di
aspetto medioevale.
Tutti gli edifici propongono un’interessante antologia dell’architettura bolognese dal XIV al XVI secolo: Casa Fava-Conoscenti presenta un meraviglioso
esempio di edilizia trecentesca; Palazzo Ghisilardi-Fava, è un paradigmatico
modello di residenza signorile di fine Quattrocento; chiude la rassegna il vero e
proprio Palazzo Fava, o Fava-Ghisileri, che quasi all’angolo con via Indipendenza si distingue per la sua cinquecentesca architettura limpida e lineare, affidata
unicamente alla spaziosità dei portici e alla semplicità decorativa dell’esterno.
CPGM
Il Camerino d’Europa
Il Grand Hotel Baglioni, che ingloba parte dell’adiacente Palazzo Fava Ghisileri,
oggi della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, ospita al suo interno un
gioiello poco conosciuto: Il camerino d’Europa già ricordato, impreziosito da un
fregio dipinto dovuto alla collaborazione dei fratelli Agostino ed Annibale Carracci. Le vicende storiche l’hanno separato dal suo ‘fratello maggiore’ il salone con
il fregio rappresentante le gesta di Giasone, ma in origine tutti e due gli ambienti
facevano parte dell’appartamento di rappresentanza del palazzo Fava.
Il fregio, a differenza di quello vicino degli Argonauti, risente ancora di un’impostazione tardo-manieristica, dominata da raffinate decorazioni a grottesche,
forse dovute ad Agostino Carracci, capace di uno sfoggio di erudizione antiquaria
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sconosciuta al fratello. Al centro di ogni parete, invece, spiccano quattro riquadri
che rappresentano il mito d’Europa, giovane principessa fenicia rapita da Zeus,
trasformatosi per l’occasione in toro e portata dal suo paese natale fino a Creta.
In questi deliziosi episodi, il giovane Annibale Carracci mostra già il suo interesse per la cultura pittorica veneta: pennellate rapide tratteggiano uno spazio
naturale dominato dai chiaroscuri e dal colore, che evoca ora delicati tramonti,
ora terse giornate primaverili. La personalità dei due fratelli, dunque, è chiara
fin da quest’opera, acerba forse, ma capace, nella sua intimità, di emozionare il
visitatore.
DPGM
PALAZZO GHISILARDI FAVA
Via Manzoni 4, del Comune di Bologna, sede del Museo Civico Medievale
Il palazzo fu dimora della famiglia senatoria dei Ghisilardi ed acquistato dai
Fava nel 1810 e poi dal Comune di Bologna è sede del Museo Civico Medievale
dal 1985.
Il palazzo sorse in una zona della città interessata da una densa stratificazione di strutture edilizie, che testimoniano la lunga storia di Bologna, che fu
città Romana, sede del potere imperiale, primo comune “emancipato” e, infine,
residenza del legato pontificio. Infatti sulle macerie della Rocca Imperiale furono costruite verso la metà del XIII secolo le dimore della famiglia Conoscenti,
alcune case e una torre unite. E, dopo le burrascose vicende del XIV secolo, nel
1400 il complesso dei Conoscenti passò in enfiteusi perpetua ai Ghisilardi.
Bartolomeo Ghisilardi fece realizzare il proprio palazzo tra il 1483 e il 1491
nella parte settentrionale della proprietà e il progetto fu affidato a Egidio Montanari, detto Mastro Zilio, contemporaneamente impegnato nella prospiciente
chiesa di Santa Maria della Galliera. Montanari si inserì con disinvoltura e
magnificenza sul filone edilizio della Bologna bentivolesca, cioè un’architettura
fondata sui valori del decoro e delle armoniche proporzioni del Rinascimento.
Esclusa la torre dei Conoscenti, tutte le strutture preesistenti furono abbattute e Mastro Zilio creò un’unità edilizia isolata e organica, in cui i resti degli antichi edifici si compenetrano e in parte si confondono con la costruzione
quattrocentesca.
Lasciandosi alle spalle via dell’Indipendenza, la facciata di Palazzo Ghisilar25
XXXIII Assemblea ADSI 2010 - Bologna
di è visibile di scorcio sulla stretta via Manzoni. Le sei arcate della fronte sono
rette da un alto basamento che testimonia la presenza delle vicende bolognesi
che qui si sono stratificate. Il porticato è sorretto da slanciati pilastri compositi arricchiti da preziosi capitelli e mostra una facciata in laterizio a vista,
impreziosita dalle paraste che affiancano le finestre, e sormontata da un ricco
cornicione: elementi gotici e anticheggianti convivono in facciata, frutto della
quattrocentesca fase di sperimentazione dell’architettura bolognese. Il risultato
di tali “esperimenti” è una decorazione ricca ed esuberante che si riflette anche
nella corte.
Entrando nel cortile, infatti, l’attenzione del visitatore è subito catturata dai
quattro mensoloni in arenaria che sostengono uno stretto ballatoio scoperto che
collega la loggia superiore al salone di rappresentanza. Sul profilo triangolare
dei mensoloni motivi araldici: leoni, leopardi, aquile e le iniziali di Bartolomeo
Ghisilardi, e figure zoomorfe: ghiande, palme e melograni, si susseguono in un
vorticoso crescendo verticalizzante.
La corte, chiusa su due lati e porticata su quelli paralleli alla strada, lega
le strutture quattrocentesche a quelle antiche; da ciò deriva un forte senso di
unitarietà spaziale all’intero palazzo. Tale unitarietà, però, viene spezzata dagli
affacci del piano nobile sul cortile, uno diverso per ogni lato.
Nonostante le differenze tra gli esterni del primo piano e l’esuberanza della
decorazione, che talvolta spezza la regolare fruizione di corte e facciata, il senso
di unitarietà visivo e funzionale tanto cercato da Bartolomeo Ghisilardi e da
Mastro Zilio è ancora forte. Il visitatore che oggi si aggira tra le sale del Museo
Civico Medievale, infatti, non può rinunciare a una sosta nel cortile con il naso
all’insù: cinque, dieci, venti minuti spesi a scoprire la ricchezza ornamentale
del Rinascimento bolognese.
CPGM
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PALAZZO BEVILACQUA ARIOSTI
Via Massimo d’Azeglio 33, dal Duca Morando
e dal Marchese Ippolito Bevilacqua Ariosti
Lungo l’antica Strada San Mamolo, nel tratto che oggi è Via d’Azeglio, una delle
poche vie bolognesi prive di portico, si distingue Palazzo Bevilacqua, la più
vistosa e concreta testimonianza dell’aristocrazia quattrocentesca. Un’aristocrazia che cede alle tentazioni di un’architettura fondata sul gusto tutto visivo del
godere degli spazi architettonici sia all’esterno, sia all’interno, entro spazi di
indefinibile equilibrio ed eleganza.
Nicolò Sanuti avviò la costruzione del palazzo nel 1477; egli, però, morì cinque anni dopo e non lo poté vedere ultimato. La fabbrica venne completata
dalla moglie Nicolosia, che ne curò l’ornamentazione e aggiunse al progetto
originale quel meraviglioso cortile che ci accoglie all’ingresso.
Un’aria di rinascimentale toscanità 1 si avverte al primo sguardo alla facciata:
la fronte del palazzo è interamente in macigno porrettano, una pietra arenaria,
materiale costoso ed emblematico del lusso che pervade l’intera fabbrica. Il macigno bugnato è lavorato con una maestria estrema ed effetti magici di ombra e
luce si rincorrono tra le superfici incavate della pietra. La regolarità delle punte
adamantine delle bugne è stemprata dalle ornamentazioni che incorniciano le
finestre a bifora e il portone di ingresso. Appena sopra il portone, si distinguono
un elegante balconcino chiuso da una ringhiera in ferro battuto e una nicchia,
oggi vuota. Lassù si trovava il busto di Nicolò Sanuti, a guardia perpetua del
proprio palazzo. Soli elementi geometrici il sedile continuo, lungo il basamento
e il forte aggetto del cornicione.
Nicolò Sanuti era grande sostenitore dei Bentivoglio, la famiglia che tra alterne fortune “governò” Bologna nel XVI secolo. Agli intrecci politici si legarono
gli intrecci amorosi tra la giovane e bellissima moglie Nicolosia e Sante Bentivoglio, di fatto signore della città. Si trattò di amore fortissimo, durato solo otto
anni e interrotto con il politico matrimonio di lui con la giovanissima Ginevra
Sforza, nipote del potente duca di Milano Francesco, e un tentato suicidio di
lei.
Quando furono intrapresi i lavori sulla Strada San Mamolo, Sante era morto
da quattordici anni, ma possiamo immaginare ancora vivissimo il sentimento
di Nicolosia: nel cortile la nobildonna fece riprodurre gli elementi decorativi
1
Riccomini
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del portico che affianca San Giacomo, la chiesa dei Bentivoglio, dove Sante era
sepolto. Le colonne, i capitelli e i medaglioni sono tutti elementi desunti dal
portico bentivolesco e inseriti nel nostro cortile a doppio loggiato.
Negli interni, l’organizzazione del palazzo è fondata su elementi che diventeranno tipici dell’architettura bolognese. I due loggiati alla lombarda (con
modulo del primo piano doppio di quello del piano terreno) rappresentano un
tradizionale sistema di distribuzione degli ambienti; l’androne è tangente a un
lato del cortile, percorso coperto principale e aperto sul giardino; di giorno il
portone rimane aperto e il cancello lascia vedere l’interno; il loggiato è considerato proseguimento interno della strada pubblica.
Ciò che oggi vediamo ha superato - quasi - indenne lo scorrere del tempo e i
passaggi di proprietà.
Già nel 1484 Nicolosia cedette in permuta il palazzo a Giovanni II Bentivoglio; gli eredi nel 1530 vi ospitarono Carlo V e l’anno seguente lo vendettero al
Cardinale Lorenzo Campeggi.
Il palazzo tra il 1547 e il 1549 fu sede del Concilio di Trento, fatto trasferire a
Bologna dal pontefice Paolo III a causa della peste. Le sedute si tenevano nella
sala da ballo, parzialmente modificata nel Seicento e, pertanto, oggi diversa da
come la “vissero” i padri conciliari tridentini.
L’intero palazzo è ancora pervaso del clima delle sue origini e questo è in
gran parte dovuto ai restauri commissionati da Lamberto Bevilacqua, appartenente alla famiglia che dal Settecento possiede e abita il palazzo, ad Alfonso
Rubbiani, Alfredo Tartarici e Achille Casanova. Rispettosi dei ricordi e delle
emozioni che quelle mura tramandavano, essi sono riusciti a rendere perpetua
la nobiltà architettonica impressa del primo proprietario.
CPGM
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SAN GIACOMO MAGGIORE
Piazza Rossini, in custodia ai Padri Agostiniani
L’imponente chiesa che sorge nel tratto iniziale di via Zamboni con la facciata in
piazza Rossigni è dal 1276 la sede bolognese dei frati dell’Ordine di Sant’Agostino, ordine mendicante che prese origine nel 1256 dall’unione di diversi gruppi eremitici che si rifacevano alla regola di Sant’Agostino.
La facciata a due spioventi è traforata da un’ampio occhio circolare, da due
altissime bifore e da un portale con protiro sorretto da leoni stilofori. Inoltre, a
fianco del portale si possono ancora vedere alcune arche sepolcrali a nicchia.
Tutte le decorazioni scolpite sono opera di maestranze lombarde.
Il vasto interno a una navata era in origine concluso da una semplice abside
poligonale e coperto da capriate in legno a vista; ben presto però iniziarono i
lavori di ingrandimento: l’abside originale fu sostituita da un presbiterio più
ampio e da un deambulatorio con cappelle radiali. Il periodo di maggiore splendore fu il Quattrocento: in questo secolo la chiesa beneficia di numerose opere
di abbellimento promosse da Giovanni II Bentivoglio, signore di Bologna, che
abitava in un magnifico palazzo situato a poca distanza, nell’odierna piazza
Verdi. Alla caduta del regime bentivolesco nel 1506, il palazzo fu abbattuto dalla folla inferocita, ma fortunatamente rimasero, a ricordo di quell’epoca
d’oro per l’arte cittadina, gli interventi promossi in questa chiesa. Egli volle, in
primo luogo, costruire una sfarzosa cappella sepolcrale per la sua famiglia, che
si trova nel deambulatorio. Consacrata nel 1486, fu progettata dall’architetto
toscano Pagno di Lapo Portigiani, allievo di Michelozzo, secondo modelli che si
rifacevano a quelli del grande Filippo Brunelleschi e che furono ancora presi
a ispirazione per numerose altre cappelle gentilizie bolognesi. Al suo interno
si sviluppa un unico ciclo di affreschi opera di Lorenzo Costa (1460-1535) che
comprende una Madonna in trono con la famiglia di Giovanni II, eccezionale
documento che ci permette di conoscere le sembianze del signore della città e
dei suoi numerosi figli, tra cui possiamo riconoscere Francesca, data in sposa a
Galeotto Manfredi e che si macchiò nel 1488 del suo omicidio; Ermes, ancora
bambino, che diventerà il più crudele persecutore degli oppositori dei Bentivoglio; Alessandro, descritto come di carattere mite e amante delle arti; Antongaleazzo, in abiti clericali, che per tutta la vita cercò di ottenere la porpora
cardinalizia senza mai riuscirci e Annibale, che, dopo la morte del padre, fu
signore della città per un brevissimo periodo (1511-12) e che trasferì definitivamente la famiglia a Ferrara.
Oltre alla cappella privata, Giovanni II fece costruire un elegantissimo por29
XXXIII Assemblea ADSI 2010 - Bologna
ticato sul fianco della chiesa, sotto il quale si possono vedere arche medievali,
scoperte nel corso dei restauri dell’inizio del Novecento. Sempre ai lavori bentivoleschi si devono le grandiose volte a vela che coprono la navata, e che danno
alla copertura della chiesa un aspetto quasi orientale e la serie di cappelle che
si susseguono a lato della navata. Al loro interno si possono ammirare numerosi capolavori dell’arte bolognese del Cinquecento e del Seicento. Per esempio,
possiamo ricordare la grandiosa pala d’altare di Tommaso Laureti, il San Rocco
di Ludovico Carracci nella cappella Guidalotti, decima a destra, oppure gli affreschi e la pala d’altare di Orazio Samacchini, nella nona cappella a sinistra,
commissionati dal costruttore del vicino palazzo Magnani, il senatore Lorenzo
Magnani.
Un discorso a parte merita la cappella Poggi, dodicesima a sinistra, dalla
perfetta coerenza stilistica e formale tra architettura e decorazione pittorica,
costruita e decorata da Pellegrino Tibaldi nel 1556 mentre la pala d’altare fu
compiuta da Prospero Fontana. La volle il cardinale Giovanni Poggi (14931556), tipico esempio di ecclesiastico mecenate, che, pur non provenendo da
una famiglia particolarmente illustre e ricca, seppe farsi apprezzare per le sue
doti di diplomatico da papi e anche dall’imperatore Carlo V. Lasciò a Bologna importanti tracce del suo eccellente gusto artistico, come il palazzo che si
fece costruire in via Zamboni, che ospita affreschi cinquecenteschi di altissima
qualità, opera anch’essi di Pellegrino Tibaldi e Prospero Fontana.
La chiesa è tuttora officiata dai frati agostiniani, che portano avanti tradizioni molto apprezzate dai bolognesi: nel campo della cultura, memori del loro
confratello, lo storico Cherubino Ghirardacci (1519-1598), che qui visse, e in
campo devozionale, con il culto molto sentito dell’agostiniana Santa Rita. Grazie anche ai numerosi studenti della vicina zona universitaria, San Giacomo
Maggiore è un perfetto esempio di chiesa che ha mantenuto salda la sua vocazione senza trasformarsi in freddo museo di sé stessa.
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CASE BECCADELLI BOVI
TACCONI MONTEBUGNOLI
Via S. Stefano 19, da Pierluigi, Dario e Simone Montebugnoli
Le case che fiancheggiano il lato meridionale della piazza Santo Stefano formano un complesso assai pittoresco: le differenze formali e stilistiche che le caratterizzano, anche in questo caso, ne fanno una vera e propria antologia dell’architettura bolognese tra Trecento e Quattrocento. Tuttavia è grande la sorpresa
nello scoprire che esse formano l’eterogenea facciata di un unico grande palazzo
senatorio, appartenuto ai marchesi Bovio, frutto dell’unione delle singole case,
ognuna con un proprio sapore e una propria storia. Se oggi possiamo ammirare
nella loro originalità queste facciate, il merito si deve anche agli interventi di
restauro del “Comitato per Bologna Storica e Artistica”, che ha provveduto, agli
inizi del Novecento, a riparare i guasti che il tempo aveva apportato alla loro
raffinata eleganza.
La casa al numero civico 21 si contraddistingue per un bel cornicione in cotto
quattrocentesco. Fu abitata nel XVI secolo da un celebre dottore dello Studio
bolognese, Antonio Maria Betti. Un suo discendente, Claudio Betti, anch’esso
professore di filosofia dello Studio, rimase famoso nelle cronache per una bravata che lo vide protagonista: da una finestra di questa casa tirò un colpo di
spingarda alla campana della vicina chiesa di Santo Stefano, perché infastidito
dal suo suono cavandosela senza danni, grazie all’influente protezione del papa
bolognese Gregorio XIII. La casa quattrocentesca al civico 19, di cui si conservano solo il portico e il cornicione, appartenne probabilmente ai Fantuzzi, come
dimostra un piccolo stemma ritrovato sulla facciata.
Segue la facciata che attira, più di tutte, l’attenzione dell’osservatore: il portico è sorretto da elegantissime colonne in cotto, tutte differenti, con scanalature
elicoidali. Al piano superiore spiccano i grandi finestroni ogivali, contornati
da formelle in terracotta finemente decorate con diversi motivi simbolici e il
ricchissimo cornicione ad archetti. Per la sua eleganza, questa casa è stata attribuita a Fieravante Fieravanti, architetto autore di importanti opere come il
cortile del Palazzo Comunale. I capitelli del portico portano scolpito lo stemma
dei Beccadelli, la famiglia che probabilmente la costruì. Questa famiglia abitava qui già da molti secoli, tanto che la quercia che sorgeva in mezzo alla piazza
serviva per dare ombra alle loro riunioni familiari ed era chiamata “Quercia dei
Beccadelli”. La loro potenza era tale che nei secoli XIII e XIV furono spesso
implicati in rivolte, lotte politiche, congiure. Per esempio Tarlato Beccatelli, a
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cui fa riferimento la sigla T.B. presente in alcune formelle, fu protagonista nel
1385 di una battaglia contro i milanesi: purtroppo però i comandanti bolognesi
si segnalarono per la loro vigliaccheria e “non ebbero migliore arma che gli
speroni”, come ricorda il cronista Matteo Griffoni. Questa casa fu anche testimone di alcuni fatti violenti: Belda, figlia di Bennolo Beccadelli, fu uccisa
qui dalla sua fantesca Giovanna, e, in altra occasione, il popolo bolognese la
incendiò in una delle lotte tra fazioni che esasperavano il clima sociale delle
città medievali, tanto che un Vannino Beccadelli decise di lasciare la città e si
trasferì in Sicilia, dando origine ad un ramo che fu investito di numerosi feudi,
come il principato di Camporeale e si estinse nel secolo scorso.
La casa successiva ha un portico costituito da un solo grande arco a tutto sesto; qui è chiaro l’influsso dell’arte rinascimentale sugli elementi architettonici
tardomedievali tipici dell’architettura bolognese: le forme classiche del grande
arco e degli occhi circolari sono definite da ricche cornici in terracotta, materiale peculiare bolognese. Anche il piano superiore, con i finestroni sormontati
da timpani triangolari, persevera nell’uso di forme classiche declinate con il
materiale e il “dialetto” stilistico bolognese. La casa d’angolo con vicolo Pepoli
mostra invece numerosi avanzi romanici, e forse ospitava una delle più antiche
sinagoghe della comunità ebraica di Bologna.
A partire dal 1548, le case furono progressivamente acquistate dai Bovio o
Bovi, famiglia che ottenne la dignità sanatoria nel 1621. Proprio per adeguarsi
a questo nuovo status, essi promossero una serie di importanti lavori all’interno
del complesso: le sale interne furono sfarzosamente decorate da affreschi, fu
creato un grande cortile e aggiunto un’imponente scalone. Al piano terra si possono ancora ammirare le decorazioni settecentesche di Vittorio Bigari (16921776) e Stefano Orlandi (1681-1760), mentre al piano superiore si segnalano gli
affreschi di Ubaldo Gandolfi (1728-1781). Per via ereditaria, il palazzo passò
ai Bovio-Silvestri, ai Tacconi e ai Montebugnoli, che tuttora lo possiedono e ne
curano la conservazione.
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CASA MENTASTI FABBRI
Via Oberdan 21/Via Marsala 24 - Piazza San Martino,
dal Conte Facchinetti Pulazzini
Dove le bolognesi via Oberdan e via Marsala si incontrano, nella piazza antistante la Basilica di San Martino, si erge solitario un palazzo di fiera eleganza.
Si tratta di una costruzione che stupisce più per la posizione, che per la struttura semplice e lineare: è uno dei pochi edifici bolognesi, se non l’unico, a poter
vantare l’assenza di “vicini”. Casa Bertalotti Buratti poi Mentasti Fabbri, infatti, non condivide muri con nessun altro palazzo e da sola costituisce un’Isola,
come la si sente chiamare dal XVIII secolo.
L’edificio sorse nell’antica via Cavaliera, oggi via Oberdan, su un complesso di case acquistate, unite e rimaneggiate dal Procuratore Antonio Bertalotti
dopo la metà del Seicento. Il procuratore creò una dimora di una sontuosità
discreta e misurata, caratterizzata da un portico di sei arcate e da interni ornati
da affreschi e stucchi di altissima qualità.
Tra le sale del palazzo, degno di nota per la preziosità degli ornamenti e per
la sontuosità dell’ambiente è il salone; per decorarlo furono chiamati i figuristi Giovanni Battista Caccioli e Fulgenzio Mondini e il quadraturista Giacomo
Alboresi, che tra il 1661 e il 1663 con le loro pitture sfondarono abilmente la
parete e crearono un arioso soffitto. Le finte architetture e le illusioni che ampliano il già abbondante spazio della sala guidano lo sguardo dell’ospite verso
l’alto, a spiare l’ingresso di Venere nell’Olimpo, al cospetto di Giove. I corpi
dei personaggi si lasciano modellare dalla luce, inserendovi con delicatezza e
grandiosità nel soffitto “infinito”.
Al 1725 vanno riferiti gli interventi di Vittorio Maria Bigari e di Giuseppe
Marchesi detto il Sansone, artisti di indole diversa, ma accomunati da una pittura di straordinaria eleganza e di incredibile poesia cromatica. In una parete
del grande salone Giove e Semele di Bigari e in quella di fronte il Ratto di Elena
del Sansone consentono un confronto diretto tra i due pittori: il primo tenta la
ricerca di un’ideale bellezza formale, trattenuta dal retaggio accademico di forte
studio anatomico. Il Sansone, invece, nonostante dipinga seguendo il medesimo
tono patetico di Bigari, si concentra su un’ambientazione ampia e affollata, che
sembra più una partenza per “la luna di miele”, che un rapimento! Nello stesso
salone, Sansone lavora all’alzata del camino, dipingendo Didone sul rogo: il pittore completa la decorazione di un ambiente teso alla celebrazione dell’Amore,
cui alludono la presenza di Venere sul soffitto e le vicende delle eroine antiche
Didone, Semele ed Elena.
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Nella stanza attigua, Bigari interviene sul camino, dipingendo il Sacrificio
di Gedeone. Una diagonale taglia la scena, distribuendo lo spazio tra il mondo
concreto di Gedeone e l’apparizione celestiale dell’Angelo.
Il commerciante veneziano Antonio Buratti, trasferendo la propria attività a
Bologna, acquistò nel 1764 il palazzo dei Bertalotti e alcune abitazioni adiacenti, costituendo un insieme di edifici che prese il nome di Isola dei Buratti. Il
veneziano, fine intenditore di arte e appassionato collezionista, continuò l’opera
di abbellimento del predecessore e si affidò all’ “emergente” Gaetano Gandolfi.
Questi realizzò alcune tele e affrescò una monumentale Minerva, in cui il disegno insistito del panneggio definisce con forza la corporeità della dea.
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PALAZZO ALDINI SANGUINETTI
Strada Maggiore 34, del Comune di Bologna, Museo Internazionale della Musica
Il portico che sostiene la facciata di Palazzo Aldini Sanguinetti si impone grandioso su Strada Maggiore; lo superiamo ed entriamo nell’antica residenza senatoria. La settecentesca prospettiva dipinta nel cortile cattura immediatamente
il nostro sguardo: una luminosa “architettura dell’inganno” si prende gioco dei
nostri sensi, guidandoci entro un mondo di classica serenità arcadica.
Il nucleo originario del palazzo costituì la prima residenza della famiglia
senatoria del Loiani, che nel 1569 lo cedettero ai fratelli Ercole e Giulio Riario.
Questi, acquistati terreni ed edifici confinanti, fecero ricostruire ed ampliare
l’edificio. Il vecchio portico fu abbattuto e la facciata fu rifatta ex-novo e arricchita da un fregio in cotto plasmato sul modello di quello del Tempio di Antonino e Faustina nel Foro Romano. Nel 1796, il palazzo passò al conte Antonio Aldini, personaggio di spicco dell’amministrazione napoleonica; questi incaricò
l’architetto Giovanni Battista Martinetti di rinnovare l’edificio in facciata, nella
loggia, nel cortile e nello scalone, inglobando inoltre antiche strutture confinanti. Con la fine del dominio napoleonico, finì anche la fortuna degli Aldini e
l’edificio venne venduto al cubano Diego Pignalverd per poi passare nel 1832
al tenore Domenico Donzelli. Nel 1870 il palazzo fu acquistato dalla famiglia
Sanguinetti e nel 1986 l’ultima erede, Eleonora Sanguinetti, in memoria del
padre Guido, ha donato al Comune di Bologna gran parte dell’edificio per farne
museo musicale e biblioteca.
Ai lavori fatti dal conte Aldini si devono gran parte degli affreschi e delle
decorazioni: furono chiamati a collaborare all’impresa i più grandi artisti del
momento. Gran parte delle loro opere sono visibili ancora oggi, tra le sale del
Museo internazionale e Biblioteca della Musica di Bologna.
Il tromp-l’oeil del cortile, dipinto da Luigi Buratti e Francesco Santini nel
1798, è l’ affascinante illusione prospettica che ci accoglie e ci introduce in un
ambiente che possiamo considerare privilegiata sede bolognese per il trionfo
della pittura neoclassica. Le pitture e gli stucchi che arricchiscono le sale del
palazzo concorrono a offrirci un’entusiasmante antologia dell’arte tra Settecento
e Ottocento.
Il gioco illusionistico delle pareti del cortile viene ripreso da Santini e Barozzi nello scalone, le cui architetture dipinte si perdono negli inganni spaziali delle pareti. Al piano nobile, seguendo il percorso museale, entriamo nella
ovale stanza da pranzo, la cosiddetta “Sala del Convito”, decorata con arcate
di verzura aperte su paesaggi o giardini illusori. Segue la “Sala di Enea”, cioè
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la sala dedicata alla gloria delle armi; qui Pelagio Palagi abbandona la volontà
illusionistico-spaziale in favore di una decorazione organizzata per scene incorniciate nella parete. Nella sala accanto o “Sala dello Zodiaco”, gli apparati
decorativi di Domenico Corsini fanno da cornice alle figura sul soffitto con
Aurora e i segni zodiacali attribuite a Palagi. I due ambienti che conducono al
settore occidentale del palazzo sono decorati “all’orientale” da Barozzi e dalla
sua bottega; la grazia e la raffinatezza delle figurine che percorrono le pareti
sono emblematiche dell’arte barozziana al limitare del XVIII secolo. Infine,
al termine della visita al museo, si entra nelle due sale di rappresentanza del
conte Aldini, cioè il grande vestibolo e la “Sala delle Feste”. La decorazione del
primo è opera di Fancelli e Basoli, che lo definisce in stile “quasi semigotico”;
nella sala da ballo, invece, Serafino Barozzi inventa un’architettura e dei motivi
decorativi che con entusiasmo celebrano le arti.
I quattro ambienti del piano terra, di destinazione squisitamente privata,
furono testimoni del debutto di Felice Giani come decoratore a Bologna. Affiancato da Gaetano Bertolani, l’artista realizzò un’incredibile varietà di temi e
di pitture. Qui gli ornamenti hanno quasi il sopravvento sulle scene figurate e
le decorazioni, alle quali corrispondono esigenze di carattere personale, sono
fortemente legate alla destinazione intima e privata degli ambienti.
Oggi noi, fruitori del ventunesimo secolo, non possiamo fare altro che perdere il nostro sguardo in quelle illusioni prospettiche e rimanere in rispettoso
silenzio.
CPGM
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PALAZZO FANTUZZI
Via San Vitale 23, dal signor Giancarlo Meroni
e dai signori Federico Enriques e Giovanna Pesci
Chiunque percorra via San Vitale è costretto a fermarsi e a osservare la facciata di
Palazzo Fantuzzi, il cui interno appare come un non frequente esempio di “riuso”
moderno di una dimora storica, del pianterreno e del piano nobile, adibiti a uffici
e locali di rappresentanza per importanti ditte, dei granai e dell’altana che fa da
sfondato allo scalone per un’abitazione. Possente e bizzarro, l’edificio si impone
sulla strada e rompe il ritmo regolare dei portici. Ancora oggi si sente forte ed
energica la determinazione di Francesco Fantuzzi il senatore che volle eternare in
un’architettura maestosa la potenza e la ricchezza della sua famiglia.
I Fantuzzi, originari di Treviso e sistematisi con il nome di Fabbri presso Minerbio, nella località che prese il nome di Cà de’ Fabbri, ebbero il loro capostipite in
Fantuzzo di Guido de’ Fabbri, dottore in legge, morto a Bologna nel 1328. Ricchi
mercanti e senatori fin dal 1467, comprarono case tra via del Giusto, ora via Guido
Reni, e via San Vitale nel 1498.
Nel 1517 il Senato cittadino concesse al collega senatore l’occupazione del suolo
pubblico e nel 1525 gli autorizzò l’eliminazione del portico, per costruire una
dimora grandiosa e imponente che diventasse ornamento e vanto per Bologna.
Per realizzarla i Fantuzzi si impegnarono per diciassette anni, dal 1521 al 1538.
L’idea fu quella di costruire un edificio grandioso, paragonabile alla domus bentivolesca distrutta da non molti anni, ma dalla concezione più moderna. Nel 1538,
quando gli eredi subentrarono al senatore Francesco, morto nel 1533 e procedettero alla divisione dell’immobile, i cortili non erano ancora realizzati. Dello stesso
anno è una convenzione con l’architetto Bartolomeo Triachini per la prosecuzione
della fabbrica dell’edificio. Non è chiaro però se l’atto può essere interpretato nel
senso di una continuazione di un rapporto già in essere.
È comunque ignoto l’autore della mirabile facciata dell’edificio, quasi completamente rivestito di un bugnato di macigno che si ispira alle opere di Giulio Romano, filtrate a Bologna da Sebastiano Serlio. Se pure non sono documentati rapporti
diretti o intese con i Fantuzzi, tuttavia non è improbabile che un affermato architetto abbia ispirato direttamente il promotore Francesco Fantuzzi nell’idea di quel
prospetto così inedito, anche duro, violento nei suoi chiaroscuri taglienti in mezzo
ai quali campeggiano - ritmati dalle colonne doriche inferiormente e ioniche di
sopra - timpani e lunette ornati di mascheroni e conchiglie e alle estremità due
edicole sormontate dagli elefanti con il castello turrito sul dorso, simbolo araldico
della famiglia che riteneva il suo nome derivato da quello di “Elefantuzzi”.
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Gli animali rappresentano l’esotica impresa della famiglia, che preferì collegare le proprie origini a “elefantuzzi” di natura militare e dimenticare l’antenato
Fantuzzo Papailmatto o Scappailmatto, il cui nome derivava dal diminutivo “fantazino”, un bambino piccolo.
Tra il “dentro” e il “fuori” esiste una forte discontinuità di tono; se il rustico
bugnato della fronte ci lascia un po’ sorpresi, gli equilibri degli interni ci portano
ad apprezzarne enormemente la compostezza classica.
L’uno maggio 1680 in occasione della sua seconda elezione al gonfalonierato, il
senatore Carlo Ridolfo Fantuzzi inaugurò lo scalone d’onore. Paolo Canali, sfruttando effetti scenografici e teatrali, concepì una mole enorme e perfettamente
coerente all’esistente. Non si trattava di una semplice via d’accesso, ma di un
palcoscenico che introduceva il pubblico in uno spazio prezioso e vibrante, secondo il fasto tipico delle dimore dei senatori bolognesi. Si trattava di una novità
architettonica che vide a Palazzo Fantuzzi l’inaugurazione della propria stagione.
Presto, infatti, il modello di Canali fu riproposto in numerosi palazzi della aristocrazia bolognese.
Lo scalone è l’unico accesso possibile al piano nobile e conduce direttamente
alla sala senatoria, decorata tra il 1678 e il 1684 dagli artisti più popolari del momento. Francesco Galli Bibbiena sfondò le pareti con le sue architetture dipinte e
Giovan Battista Bolognini (detto Giambologna) creò il maestoso camino. Le decorazioni che Giambologna gli affianca riassumono la grandezza, la ricchezza e la
maestosità dell’intero palazzo: due telamoni sostengono un tronco di piramide su
cui siede Atena, fiera e potente, affiancate da trofei. La struttura emana la stessa
potenza e la stessa ricchezza di quelle che pervadono l’intero palazzo.
Nel 2009 dopo un anno di lavori sono terminati i restauri di palazzo Fantuzzi,
molto importanti per il lavoro attuato sull’arenaria col recupero del suo colore
rosso vivace e i dettagli delle formelle e dello stemma dell’elefante che sostiene
la città.
CPGM
Il restauro della facciata di Palazzo Fantuzzi (2008 - 2010)
Il restauro della facciata di Palazzo Fantuzzi curato dall’architetto Giuseppe M.
Costantini e recentemente concluso, presenta due consistenti e significative novità
sia per il Palazzo stesso sia per l’intera città.
La prima è nei risultati del lavoro compiuto. La facciata era già stata restaurata
infinite volte, ripetutamente anche nel secolo scorso fino all’ultimo restauro totale del 1980, ma solo oggi le superfici piane in laterizi rossi sono tornate a leggersi come base ritmica continua su cui apprezzare l’armonia delle decorazioni
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scolpite ed emerge la policromia, prima assolutamente impercettibile, dovuta
alle differenze nella composizione delle arenarie selezionate dai costruttori: la
“bianca”, la “gialla”, la “grigia”.
La seconda novità, origine e ragione della prima, è rappresentata da come è
stato progettato, condotto e documentato questo restauro, realizzato con la collaborazione del “Dipartimento per la Conservazione dei Beni Culturali” dell’Università, sede ravennate dell’Ateneo di Bologna, e con ogni autorizzazione e alta
sorveglianza del MiBAC, in base ad uno studio approfondito sulla natura e sullo
stato dell’opera, comprese ricerche documentarie, per giungere alla redazione
di un progetto che non si fondasse sui luoghi comuni della prassi consolidata,
ormai evidentemente inadeguata come risultava esplicitamente proprio dal gravissimo ammaloramento materiale ed estetico del Palazzo, emblematico oggetto
e “vittima” di ripetuti interventi contemporanei.
Le decorazioni dei granai di David Tremlett
L’intervento di David Tremlett è stato realizzato nel 2001 in una privata abitazione ricavata dai granai all’ultimo piano di Palazzo Fantuzzi. Il progetto di pavimento in legno è stato eseguito nell’estate del 2000 preceduto da un accurato
sopralluogo dell’artista nell’appartamento. Il disegno del parquet rappresenta
simbolicamente – secondo i desideri della committenza – un esperimento di fisica, gli “Emisferi di Magdeburgo”, così come fu fatto e rappresentato nel XVII
secolo. I due semicerchi raffigurano gli emisferi, le quattro linee curve le pariglie di cavalli che cercano di staccarli l’uno dall’altro. Il colore del fondo è stato
realizzato a listoni di acero canadese così come l’intero pavimento della casa.
Solo dopo l’esecuzione del pavimento, David Tremlett ha proposto un wall
drawing sulle pareti delle due grandi sale. Le pareti non sono uniformi perché
corrispondono al cornicione aggettante della facciata cinquecentesca del palazzo: nella parte superiore, verticale, lo spazio è disegnato con una regolare
scansione di archi, intervallati dal bianco delle capriate del soffitto su una base
a doppie fasce orizzontali inclinata verso l’esterno, che la divide dalla parte inferiore. In questa, inscritti negli spazi sottostanti gli archi, si susseguono cerchi
colorati, come grandi occhi nei muri dei portici. Nella seconda sala, poi adibita
a biblioteca, i cerchi sono soltanto definiti a carboncino.
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PALAZZO BOLOGNINI AMORINI SALINA
Via Santo Stefano 9-11, dal Marchese Salina Amorini Bolognini
Dove via Santo Stefano si allarga per accogliere il bolognese gruppo delle “Sette Chiese”, ci si imbatte nel Palazzo Bolognini Amorini Salina omogeneo, imponente e scenografico, l’edificio si mostra fiero testimone delle ricchezze accumulate del ramo senatorio dei Bolognini. La prima fase dei lavori tra il 1517 e il
1525 portò alla costruzione delle prime sei arcate verso sinistra; i lavori proseguirono negli anni successivi e si conclusero nel 1551, con l’erezione dei cortili
e della scala e l’avvio della decorazione interna. Ai primi anni del XVII secolo,
infine, risale la costruzione del lato destro e del compimento del palazzo. Una
vicenda costruttiva un po’ lunga, ma dagli esiti eccezionali, che propongono
un’ampia facciata, impostata su un portico di dodici archi sostenuti da colonne
con capitelli compositi di macigno e ravvivata da singolari decorazioni. Autore
del disegno dell’edificio è tradizionalmente ritenuto Andrea Marchesi da Formigine, intervenuto anche nella parte ornamentale dei capitelli nelle prime sei
arcate. Qui fu assistito dall’allieva Properzia de’Rossi e da Giacomo della Nave,
con i quali creò una bizzarra varietà di figure, dove si alternano animali reali e
immaginari. Sopra la cornice in terracotta del porticato, la facciata si alza per
due piani. Le finestre del piano nobile, trabeate, si impostano su paraste in terracotta; quelle del piano superiore, più piccole e di forma quadrangolare, sono
contornate da un semplice profilo aggettante e sormontate da un cornicione in
cotto. Numerosissime teste in terracotta, sull’esempio del precedente palazzo
dei Bolognini (oggi Isolani-Bolognini, si veda la relativa descrizione) si affacciano sulla piazza. Quelle cinquecentesche, nate con la prima porzione dell’edificio, sono opera di Alfonso Lombardi e di Nicolò da Volterra, mentre quelle
seicentesche sono riconducibili alla mano di Giulio Cesare Conventi. Sono ben
centotrenta le teste che sporgono dal cornicione: tredici sbirciano i passanti
dai pennacchi dell’arco del portico; tredici e tredici si protendono al primo e al
secondo piano, tra finestra e finestra. Alcune le troviamo perfino sotto il portico. È una schiera eterogenea di visi che anima di atteggiamenti ed espressioni
tutta la fronte del palazzo. Si tratta di una folla brulicante che quasi raffigura
un’ossessiva smania di controllo dei Bolognini su Piazza Santo Stefano. Tale
“controllo” i Bolognini lo mantennero fino al 1800, quando il ramo senatorio si
estinse e il palazzo passò agli Amorini Bolognini e, successivamente ai Salina.
Un piccolo accenno, in fase conclusiva, va dedicato alla grande sala del piano
nobile, al quale si accede per lo scalone che parte dalla loggia cinquecentesca:
qui è ancora forte la fastosa atmosfera dei ricevimenti e dei balli che distrae40
XXXIII Assemblea ADSI 2010 - Bologna
vano le famiglie senatorie della città. Nel 1823, il primo piano fu ceduto alla
Società del Casino Nobile, un circolo che raccoglieva l’aristocrazia e l’intellettualità cittadina. Il grande salone d’onore di Palazzo Bolognini Amorini Salina
divenne la sede privilegiata di balli, concerti, spettacoli di prosa, grandi feste
private, accademie letterarie e poetiche che videro partecipare filosofi e poeti di
grande levatura. Due nomi per tutti: Stendhal e Giacomo Leopardi.
CPGM
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PALAZZO SAMPIERI TALON
Strada Maggiore 24, dal Signor Gerardo Veronesi
Lasciamoci le Due Torri alle spalle e infiliamoci in Strada Maggiore, il percorso orientale della via Emilia che conduce fino a Rimini e da lì, attraverso la
via Flaminia, a Roma. Una strada, la Maior, che si caratterizza per l’eleganza
discreta e le architetture poco squillanti. Lasciamoci, dunque, la Torre degli
Asinelli e la Garisenda alle spalle e teniamo la sinistra della strada. A un certo
punto il portico si interrompe, sostituito da una fila di colonnette che definiscono uno stretto piazzale. Su questo si erge la semplice facciata dell’antica
Casa Sampieri, oggi Palazzo Sampieri Talon: tre piani su cui si aprono grandi
finestre. Entriamo e troviamo due interessanti cortili; il primo, in particolare,
attira la nostra attenzione sui pilastri ottagonali che sorreggono due splendidi
archi trecenteschi.
L’aspetto interessante del palazzo, però, lo offrono gli affreschi. Negli anni
tra il 1593 e il 1595 Ludovico, Agostino e Annibale Carracci vengono chiamati
dall’abate e conte Sampieri a dipingere tre sale al piano terra, una per ciascuno:
l’ultima in cui i tre, ormai i più celebri e applauditi pittori della città, salgono
sugli stessi ponteggi. In Casa Sampieri la copertura delle stanza non è piana,
ma è costituita da una volta appena ribassata; i Carracci non possono ricorrere
alla “tradizionale” decorazione a fregio e occupano l’intero della volta con un
sottinsù, grazie al quale si può ammirare la scena da ogni punto della stanza. Il
tema affrontato dai Carracci in questo ambiente è quello delle Storie di Ercole,
cioè della forza usata per trattenere e fermare una bestialità selvaggia. Tale argomento viene ripreso anche nelle fughe di due camini. Sull’alzata del camino
della terza sala, invece, Ludovico dipinge la tela di Cerere in cerca di Proserpina
rapita da Plutone: il soggetto cambia, ma il messaggio legato alla forza usata
con saggezza è il medesimo. Le scene sono impostate su corpi dai muscoli guizzanti e dalle forme dilatate, irrobustite dagli scorci accentuati. Di eccezionale
eleganza sono, infine, le ricche cornici delle pitture, opera di Gabriele Fiorini,
lo stuccatore di fiducia dei Carracci.
Le vicende di Ercole ritornano nella sala contigua a quella dipinta da Agostino, dove nel 1631 Guercino affresca la volta con Ercole e Anteo.
Sotto i soffitti delle Storie di Ercole, le pareti ospitavano circa centoventi
quadri: una galleria che era tappa obbligata per i viaggiatori di passaggio a
Bologna. La raccolta giunse intatta tra le mani dell’ultimo membro della famiglia, morto nel 1787. Questi, nel proprio testamento, dichiarava la volontà che
la collezione fosse da considerarsi parte integrante delle sale e che non dovesse
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XXXIII Assemblea ADSI 2010 - Bologna
essere smembrata. Le condizioni, però, non furono rispettate e tutti i dipinti
passarono in proprietà all’Istituto delle Scienze di Bologna e, dopo una serie di
vicissitudini, l’intera collezione fu portata a Milano e parte confluì alla neonata
Pinacoteca di Brera.
CPGM
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PALAZZO MAGNANI
Via Zamboni 20, di Unicredit Banca
Il raccolto sagrato della chiesa di San Giacomo Maggiore, l’attuale Piazza Rossini, è circondato da alcuni edifici di massimo interesse per la storia dell’architettura bolognese. Tra questi spicca, sul lato orientale di via Zamboni, la
cinquecentesca facciata del Palazzo Magnani.
Le origini della famiglia Magnani sono molto antiche: i suoi membri occupano cariche pubbliche fin dal XIII secolo. Nel corso del XV secolo furono ferventi seguaci dei Bentivoglio, e per questo, dopo il definitivo ritorno di Bologna
sotto il dominio papale, i Magnani persero importanza; fu solo grazie a Lorenzo
(1533-1604) che poterono recuperare il grado senatorio. La personalità di Lorenzo Magnani è un esempio piuttosto interessante della rampante aristocrazia
bolognese del Cinquecento: seppe risollevare le fortune della famiglia grazie a
uno spiccato senso imprenditoriale e a una accorta politica matrimoniale che lo
portò a sposarsi con donne di famiglie ben più illustri, quali erano i Fantuzzi
e i Campeggi. Si scelse inoltre gli alleati giusti: il favore del cardinale legato
Giovanni Battista Castagna, futuro papa Urbano VII, gli procacciò infatti il
seggio senatorio nel 1590.
Sicuramente funzionale all’elevazione al senatorato fu la costruzione del palazzo, che si impone su quelli contemporanei bolognesi per la qualità formale,
il perfetto bilanciamento delle parti e per l’aderenza ai modelli più aggiornati
dell’edilizia residenziale romana. Il cantiere prese inizio nel 1577 e il progetto
si deve all’architetto Domenico Tibaldi (1541-1583). La facciata si fonda su un
basamento che rielabora le forme del portico bolognese secondo un gusto più
vigoroso, con pilastri quadrilateri a bugnato. Al di sopra sei classiche lesene
di ordine composito scandiscono l’ampia superficie muraria, intervallate da finestre con timpani curvilinei. All’interno, il cortile ripete le forme architettoniche della facciata e la loggia posteriore ospita una statua di Ercole, forse una
rappresentazione dello stesso committente del palazzo. Lo scalone che conduce
al piano nobile, oggi suddiviso in due rampe, in origine doveva avere una terza
rampa che saliva dal loggiato posteriore al pianerottolo intermedio.
Al piano nobile si trova il grandioso salone senatorio, ornato dal celebre fregio dei Carracci che raffigura le Storie di Romolo e Remo, eseguito tra il 1587
e il 1592 e considerato il risultato migliore della collaborazione carraccesca a
Bologna. Molti si sono interrogati sul significato che potevano rivestire le storie
della fondazione di Roma per Lorenzo Magnani: gli studi più recenti tendono a
leggerlo come espressione di gratitudine nei confronti del potere romano e del
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papa che lo aveva nominato senatore. Le singole scene, soprattutto se confrontate con il fregio di palazzo Fava, si caratterizzano per la ricerca di una solenne monumentalità delle figure, ispirata dal classicismo romano, senza che per
questo perdano in naturalezza e morbidezza nell’uso dei colori, peculiarità della
pittura correggesca e veneta. La struttura che le racchiude è di grande forza illusionistica, come si può notare dalle potenti figure dei telamoni, nonché da una
serie di putti e dalle figure che simulano statue bronzee. Anche la decorazione
del soffitto ligneo procede in questa direzione, abbandonando il motivo manierista delle grottesche a favore di un monocromo più plastico e monumentale.
Completa l’apparato della sala un ricco camino di marmi pregiati sovrastato
dalla scena dei Lupercalia, festività romana di tipo pastorale, probabilmente di
Annibale Carracci, e dalle statue di Minerva e Marte dello scultore lombardo
Ruggero Bascapè. Il salone, all’epoca in cui fu costruito doveva rappresentare
uno degli ambienti più raffinati di Bologna, ed ospitò numerose feste rimaste nelle cronache, come quella, assai bizzarra, indetta da un ormai anziano
Lorenzo Magnani nel 1594, a cui furono invitate solo sessanta gentildonne e
pochissimi cavalieri. La festa si concluse con l’irruzione di un gelosissimo Piriteo Malvezzi, non invitato, al contrario della moglie, e nel tumulto si contarono
due feriti. Le altre sale del palazzo sono ornate da camini cinquecenteschi con
affreschi di scuola bolognese del tardo Cinquecento.
All’estinzione della famiglia Magnani, il palazzo fu assegnato nel 1797 ai
Guidotti, grazie a una clausola testamentaria dello stesso Lorenzo Magnani che
prescriveva l’estrazione a sorte di un fanciullo di famiglia senatoria. Fu poi venduto ai Malvezzi Campeggi - loro è lo stemma in facciata - e passò in seguito ai
Salem e al Credito Romagnolo oggi Unicredit Banca, che ne ha fatto la propria
sede di rappresentanza, oltre a conservarvi una preziosa collezione d’arte. In
questa veste, il palazzo continua ad essere urbi ornamentum, ornamento per la
città, come l’aveva voluto Lorenzo Magnani.
DPGM
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VILLA BELPOGGIO
Via Mulinelli 22, dai Principi Hercolani
La villa Belpoggio, nonostante l’imponente facciata in stile neoclassico, nasconde una storia che affonda direttamente nei secoli del dominio bentivolesco.
Costruita tra il 1479 e il 1483 da un certo Carlo Monti, fu ben presto acquistata
nel 1484 da Giovanni II Bentivoglio, signore di Bologna. Egli la ricostruì con
notevole dispendio di risorse, dotandola di due eleganti logge sovrapposte in
facciata, racchiuse da due torrette. Nel 1498 cominciò anche la costruzione di
una torre, ancora visibile, benché mozzata, sul retro dell’edificio. Secondo la
testimonianza del poeta Giovanni Sabadino degli Arienti, nella sua opera Gynevera de le clare donne, la villa era una residenza molto apprezzata da Ginevra
Sforza, moglie di Giovanni II, protagonista di una vera e propria “leggenda
nera”volta a screditarne l’immagine dopo la morte. La vox populi bolognese le
attribuì infatti la responsabilità della decadenza della signoria bentivolesca: fu
lei ad ispirare la crudele repressione della famiglia rivale dei Marescotti nel
1501 e inoltre non le si perdonava il fatto che, poco dopo la morte del primo marito Sante Bentivoglio, signore della città dal 1445 al 1463, subito si risposasse
per mantenere il potere con l’erede della signora, il più giovane cugino Giovanni
II, alimentando le dicerie circa l’esistenza di una relazione tra i due. In realtà,
le parole di Sabadino degli Arienti descrivono una dama colta e raffinata, oltre
a informarci dello sfarzo che caratterizzava la villa: giardini curatissimi, fontane, marmi pregiati, affreschi.
Questa lussuosa residenza fu incendiata nel 1512 dalle truppe spagnole
che assediavano la città e fu restaurata solo dopo il 1537, quando Alessandro
Manzoli la affittò dai Bentivoglio, esuli a Ferrara. Costui era figlio di Giacomo
Sforza, della stessa famiglia dei Duchi di Milano, ma era stato adottato dall’avo
materno Filippo Manzoli, senatore; inoltre era marito di Lucia, figlia naturale di
Giovanni II Bentivoglio. Si distinse per notevoli doti intellettuali, facendo parte,
insieme al Vignola e a Marcello Cervini, futuro papa Marcello II, dell’Accademia della Virtù, dedita all’interpretazione del trattato architettonico romano di
Vitruvio. All’estinzione della sua discendenza maschile, la villa fu ereditata dai
Colonna di Carbognano e dai Guidi di Bagno. Nel 1680 fu acquistata dal senatore Francesco Azzolini, personaggio ricchissimo ma di recente nobiltà, che
vi compì lavori di sistemazione, fra cui forse il tamponamento delle logge. Fu
poi comprata dai Pepoli e trasmessa in eredità ai Coccapani di Modena, che la
affittarono: nel 1730 vi abitava il Duca di Modena Rinaldo I d’Este, che vi fece
costruire un teatrino, oggi scomparso, in cui si rappresentò l’Alzira di Voltaire
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XXXIII Assemblea ADSI 2010 - Bologna
nel 1737. La villa era piuttosto ambita, se si pensa che nel 1728 pensò di trasferirvisi anche l’esule Re d’Inghilterra Giacomo III Stuart. Passò infine alla contessa Lucrezia Orsi, che nel 1764 la donò al nipote Filippo Hercolani, senatore
e Principe del Sacro Romano Impero, i cui discendenti tuttora la possiedono.
Gli Hercolani si impegnarono in un radicale rinnovo della villa: la nuova
facciata fu cominciata nel 1784, probabilmente su disegno di Carlo Bianconi
(1732-1802) e non di Angelo Venturoli (1741-1821), come spesso è stato scritto,
presente in cantiere solo dal 1785. Si caratterizza per le lesene doriche di ordine gigante, che inglobano i due piani dell’edificio per ottenere una concezione
più maestosa e unitaria dell’architettura. Alle estremità della facciata sono ancora presenti le torrette bentivolesche, ridisegnate secondo il gusto neoclassico.
Al centro si trova poi un monumentale fastigio, disegnato forse dall’architetto
Giuseppe Jarmorini (1732-1816) e ornato da due colossali statue di Ercole, eroe
eponimo della famiglia committente, che reggono lo stemma Hercolani. Nel
1785 Angelo Venturoli progettò la cancellata che racchiude i giardini, mentre
nei due anni seguenti si può collocare la sistemazione delle scalinate con le
quali fu dato l’assetto definitivo agli spazi esterni.
Gli spazi interni mostrano chiaramente, in pianta, la lunga storia costruttiva
del palazzo: per esempio, sono ancora visibili gli spessi muri perimentrali della
torre bentivolesca. Lo scalone fu ornato nel 1787 da una cariatide doppia, forse
raffigurante Ercole in età giovanile e in età matura, opera di Luigi Acquisti
(1745-1823). Le decorazioni del piano terra, due gruppi scultorei nell’antico
atrio e due statue nella sala adiacente, furono eseguite nel 1788 e sono opera
dello scultore Giacomo Rossi (1751-1817).
La villa è stata oggetto, tra il 2002 e il 2006, di un prezioso intervento di restauro, attuato dai proprietari, che ha permesso di riportare a nuova vita un’architettura tra le più importanti del periodo neoclassico a Bologna.
DPGM
In occasione della XXXIII Assemblea Nazionale ADSI a Bologna la proprietà ha organizzato nel parco di Belpoggio una mostra di sculture dell’artista neozelandese ma
residente a Bologna Guy Lydster, amico personale di Alessandro Hercolani. Si tratta
di teste di grandi dimensioni in cui si riflette il paesaggio osservato, raffigurazione in
marmo della memoria che il parco può lasciare nei suoi visitatori.
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XXXIII Assemblea ADSI 2010 - Bologna
VILLA MONDANI ORA SEDE FURLA SPA
Via Bellaria 3/5 San Lazzaro, dal Cavaliere del Lavoro Giovanna Furlanetto
Le prime notizie certe sulla villa risalgono al 1576 e sappiamo che faceva parte del fidecommesso istituito nel suo testamento da Cornelio Malvasia. Costui
apparteneva ad una antica famiglia, detta in origine Della Serra, perché, secondo Pompeo Scipione Dolfi, era stata scacciata dal castello della Serra presso
Gubbio e si era trapiantata a Bologna al seguito di Francesco di Brunamonte
della Serra, podestà di Bologna tra il 1334 e il 1335. Secondo altri autori la
famiglia era di origine locale e aveva mutato il proprio cognome a causa di
alcuni suoi membri che commerciavano uva malvasia e il vino che se ne traeva. Tale nome deriverebbe invece, secondo Giuseppe Guidicini, dal fatto che
esercitavano l’attività bancaria nei pressi del Trebbo della Malvasia, il punto in
cui via Pescherie Vecchie entra in Piazza Maggiore. La famiglia, giunta a una
notevole solidità economica, fu più volte preposta alla tesoreria apostolica, fonte
di ulteriori lauti guadagni.
Cornelio Malvasia, primo proprietario certo della villa, ottenne la dignità
senatoria da papa Giulio III nel 1554. Inoltre svolse, nel 1566 e nel 1576,
l’incarico di ambasciatore bolognese presso il papa, estremamente prestigioso
in quanto Bologna era l’unica città degli Stati Pontifici che godeva di un’ampia
autonomia e dunque poteva esprimere un ambasciatore, dello stesso rango - almeno nella forma - di quelli delle altre potenze europee. Alla sua morte la villa
passò ai discendenti, tra cui si ricorda un altro Cornelio (1603-1664), appassionato di astronomia che ospitò nel 1652 il celebre astronomo Gian Domenico
Cassini nell’osservatorio che aveva fatto costruire nel suo castello a Panzano
nel Modenese per studiare l’orbita di una cometa. Lo stesso Cornelio era però
anche noto, in giovane età, per un temperamento piuttosto turbolento; insieme
al fratello si segnalò per numerose risse, come quella con un certo Pietro Savignani, a causa di un punto d’onore tipico di quel secolo: il Malvasia sosteneva
che fosse più onorevole l’ordine cavalleresco di Malta, mentre il Savignani propendeva per quello di Santo Stefano. Sempre nel Seicento, la famiglia fu resa
celebre dal canonico Carlo Cesare Malvasia (1616-1693), autore del celebre
volume Felsina Pittrice, fonte di primaria importanza per la conoscenza della
pittura bolognese seicentesca.
La villa fu venduta nel 1645 ai Pepoli e a metà del Settecento ai marchesi
Boschi. In tempi più recenti è stata di proprietà dei Mondani. Nel corso del
ventesimo secolo ha subito numerosi danneggiamenti: nel 1927 metà del viale
di ingresso fu espropriato per consentire l’accesso all’Ospedale Bellaria, appe48
XXXIII Assemblea ADSI 2010 - Bologna
na costruito. Furono però gli anni dell’ultima guerra che causarono i maggiori
danni allo storico edificio, così come a gran parte del patrimonio storico rurale
della campagna bolognese. Dapprima fu requisita dalla Prefettura di Bologna
e adibita a redazione del giornale «L’Avvenire d’Italia», storico quotidiano di
ispirazione cattolica, che cessò volontariamente le pubblicazioni il 25 settembre
1944 per non sottostare ai voleri degli occupanti tedeschi. Fu quindi occupata da questi ultimi, che l’abbandonarono però poco dopo per l’avvicinarsi del
fronte anglo-americano. Nel corso del rigidissimo inverno tra il 1944 e il 1945
la villa fu privata del tetto per ottenere legna da ardere dalle travature; stessa
sorte subirono gli alberi del viale e del parco. Le murature furono poi colpite
da alcune cannonate che ne misero a dura prova la statica, già precaria per la
perdita della copertura. Al termine della guerra fu posto riparo ai danni a cura
dei proprietari, mentre gran parte del terreno agricolo che circondava la villa fu
trasformato dall’amministrazione comunale di San Lazzaro di Savena in parco
pubblico. L’antica portineria è stata invece adibita a sede del museo archeologico “Luigi Donini”, che racchiude prevalentemente reperti di età preistorica.
La villa ha un aspetto esteriore estremamente semplice, caratterizzato dall’altezza quasi sproporzionata rispetto alla base dell’edificio, ed è affiancata da un
edificio fattorale porticato. L’interno si organizza intorno a una loggia passate e
a una contro-loggia perpendicolare, ornate da numerose tempere, ora perdute,
con paesaggi racchiuse entro cornici in stucco. Alcune di esse erano settecentesche, altre furono dipinte nel secolo successivo dal pittore Giuseppe Viscardi
(1816-92). In una delle sale del piano terra si conserva anche un interessante
camino cinquecentesco con sculture, che originariamente era collocato in una
vicina casa colonica.
Recentemente la villa è stata sottoposta a un più completo restauro dai nuovi
proprietari, la famiglia Furlanetto, che ne ha fatto la sede di rappresentanza
dell’azienda di moda “Furla” attuando un pregevole esempio di “riutilizzo funzionale” di un bene architettonico storico. In questa nuova veste la villa può
continuare a vivere e a testimoniare la permanenza attraverso i secoli dei valori
storici e culturali che ne hanno accompagnato le trasformazioni.
DPGM
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XXXIII Assemblea ADSI 2010 - Bologna
IL FLORIANO
Via Bagnarola 27, Budrio, dai Marchesi Gherardo, Luigi
e Francesco Malvezzi Campeggi
La campagna di Budrio, tra i segni delle antiche centurie romane, accoglie
grandi proprietà fondiarie di alcune importanti famiglie bolognesi. A Bagnarola, la costruzione di tre fabbriche gentilizie vede svilupparsi un’interessante
forma a “L”, che individua il proprio perno a ovest, nel Castello Bentivoglio
poi Odorici e le estremità a nord, nella Villa Ranuzzi Cospi, e a est nel Casino
dell’Aurelio, antica palazzina da caccia dei Malvezzi. Queste vengono a costituire rapidamente una precisa trama urbanistica definita da grandi viali alberati
e definiscono le componenti caratteristiche del giardino-campagna. È questo
un elemento paesistico tipico dei latifondi bolognesi, dove le ville senatorie sono
al tempo stesso centro degli interessi e dell’economie delle imprese agricole, sia
luogo di villeggiatura dell’aristocrazia. Tale fatto, pertanto, si manifesta nella
profonda compenetrazione tra il giardino della villa e la campagna circostante
Nel corso dei secoli, gli edifici sono stati trasformati e si è persa l’armonica
unità urbanistica che legava le tre dimore; le terre dei Malvezzi, però, hanno
vissuto una storia che permette di individuare in un unico sito i forti valori paesaggistici che tra il Cinquecento e il Settecento hanno caratterizzato la zona.
Nel 1623, Aurelio Malvezzi acquistò un casino di caccia che fece ingrandire, aggiungendovi i corpi laterali e facendo decorare gli interni con pitture
intrise del neonato gusto barocco. Nei decenni successivi, i figli Floriano e
Matteo attuarono una riqualificazione dell’intera area, arricchendo il giardino
nei pressi del casino ed erigendo costruzioni atte ad accogliere la frenetica vita
degli abitanti; essi avviarono la costruzione di un complesso in cui gli ambienti
privati della famiglia Malvezzi e gli ambienti della vita pubblica convivevano
e si completavano reciprocamente. I fratelli affidarono a Gregorio Monari la
costruzione del «Borgo Nuovo di Bagnarola», denominato così per distinguerlo
dall’Abbazia, l’originale nucleo abitativo del luogo. Secondo il gusto scenografico dell’epoca, sul lato meridionale del borgo nel 1711 fu terminato il Palazzo
Nuovo, detto Il Floriano, un edificio nato per accogliere l’annuale fiera di merci
e bestiame. Monari creò un corpo centrale affiancato da due ali laterali, la
Cavallerizza e l’Appartamento doppio, che ancora oggi disegnano la peculiare
forma a ferro di cavallo della costruzione; intriso di fascino è il porticato della
fronte Nord, destinato alle botteghe rimaste in uso fino al ventesimo secolo. Ieri
come oggi, prima di infilarsi tra le arcate del portico, il visitatore veniva accolto
dai due grandi torrioni gemelli dell’ingresso, adibito a osteria e macelleria uno
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e a forno l’altro.
Per la fiera arrivava gente da ogni dove e venivano organizzati spettacoli teatrali, funzioni religiose e processioni. I primi erano rappresentati sul palcoscenico del Teatro del Bibiena, costruito tra il 1697 e il 1723 e ricordato per
le ingannevoli scene a tromp-l’œil realizzate da Ferdinando Bibiena nel 1719.
Tali scenografie, però, oggi possiamo solo immaginarle: andarono perdute agli
inizi del Novecento, quando un incendio colpì l’edificio. Nei pressi del Teatro,
fu costruito negli anni tra il 1686 e il 1691 il complesso del “Santuario”, che
vedeva nella cappella centrale dedicata a Santa Anna il fulcro della religiosità
locale e meta privilegiata per i pellegrini. Qui, pregando le preziose reliquie
della Santa, i fedeli potevano ottenere l’indulgenza plenaria. Di questa struttura, purtroppo, oggi è fruibile la sola Cappellina di Santa Croce: la chiesa ha
subito i danni della Seconda Guerra Mondiale.
Gli ambienti privati dei Malvezzi e quelli pubblici destinati agli abitanti del
luogo si affiancano e compenetrano, in una fusione di spazi che ancora oggi
abbraccia l’intero complesso.
Per volontà di Antonio Malvezzi Campeggi nel 1818 il fronte meridionale
del Floriano fu ristrutturato: l’architetto Antonio Venturoli fornì alla facciata
verso il parco un’immagine più solenne e grandiosa, creando una scenografica
facciata neoclassica con paraste giganti e finestre finte; per accrescere l’imponenza dell’edificio. Inoltre innalzò oltre il tetto un grande frontone venendo
a creare un monumentale fondale teatrale, dominando e componendo grandi
superfici, ma senza intervenire sulla qualità dello spazio architettonico. Infatti
non intervenne sulle corrispondenze tra l’esterno e l’interno del complesso. La
pianta, infatti, rimase immutata nella sua semplice infilata di stanze comunicanti qualificate dall’arredo, nato per quegli ambienti con i quali costituisce
un tutt’uno. Anche all’esterno è possibile notare una fusione tra spazi privati
e spazi pubblici e nella peculiare continuità del giardino-campagna del Borgo
Nuovo di Bagnarola. Si tratta dell’armonia della forte atmosfera settecentesca
che ancora si respira a pieni polmoni.
CPGM
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ROCCA ISOLANI
Via Garibaldi, Minerbio, dai Conti Gualtiero e Francesco Cavazza Isolani
La storia di Minerbio è strettamente legata a quella degli Isolani: già dal 1303
vi sono documentate alcune proprietà di questa famiglia, giunta a Bologna nel
Trecento, secondo la tradizione, dall’isola di Cipro - da cui il cognome e la
parentela coi Lusingano confermata nella seconda metà del Quattrocento in
una lettera autografa del re Giano III di Cipro conservata negli archivi della
famiglia Isolani – ma forse già presente a Bologna nei secoli precedenti. Nel
1403 il cardinale Giacomo Isolani ricevette in feudo la rocca (di origini trecentesche) dal Duca di Milano, allora signore di Bologna. Le vicende successive
furono movimentate: la rocca fu saccheggiata nel 1438 dai Visconti e rimase
probabilmente abbandonata fino al 1503. Nel 1527 fu danneggiata dalle truppe
imperiali di Carlo di Borbone. Infine, nel 1524 il senatore Giovanni Francesco
Isolani fu confermato conte di Minerbio da papa Leone X e nel 1535 riconfermato da papa Paolo III (1535).
Negli anni seguenti, probabilmente in considerazione di queste nuove investiture, gli Isolani provvidero a restaurare la rocca. All’interno la rocca presenta un cortile con un elegante loggiato, forse risalente al restauro del 1503.
Su una parete della corte è visibile lo stemma del cardinale Giacomo Isolani,
morto nel 1429, primo signore di Minerbio. L’elemento più caratteristico della
rocca sono comunque le sale affrescate da Amico Aspertini (1474-1552): la
Sala di Marte, con la figura della divinità dipinta sulla volta, attorniata da
altre figure maschile e femminili e da una ricca decorazione “a grottesche”; le
figure a monocromo sulle pareti (scene di banchetto) sono state riscoperte nel
corso di recenti restauri (2008). Le altre salette affrescate, collegate da una
scaletta a chiocciola, si trovano nella torre nord-occidentale. Al piano terra, la
Sala dell’Astronomia è decorata dalle figure di Apollo e delle Muse che reggono
sfere armillari e stellate, rappresentazioni ispirate ai Tarocchi di Andrea Mantegna. Segue la Stanza di Ercole, decorata con nove episodi della vita dell’eroe.
All’ultimo piano, purtroppo quasi completamente distrutta, la Stanza della Moglie Adultera. I temi rappresentati, di derivazione umanistica, ma interpretabili
anche secondo una chiave di lettura moralizzante, fanno pensare che questi
ambienti fossero adibiti a studioli. In questo ciclo si notano diverse influenze di
artisti dell’Italia padana – Dossi, Garofalo, Giulio Romano –tuttavia rielaborate
secondo lo stile estremamente fantasioso e bizzarro e a tratti anche grottesco,
tipico di Aspertini.
Nel corso del Cinquecento alla rocca fu affiancato il Palazzo Nuovo, costruito
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XXXIII Assemblea ADSI 2010 - Bologna
in due fasi: nel corso della prima fu edificata la costruzione, a pianta quadrata,
costituita da 49 volte a crociera posate su 36 pilastri in mattoni. La seconda fase
riguardò invece il piano nobile, accessibile in origine solo dall’ampio scalone
esterno a due rampe, che mostra una certa incoerenza progettuale: una serie
di sale, una loggia a tre archi e una corte, probabilmente corrispondente a un
salone centrale, mai costruito o forse distrutto, che avrebbe costituito il fulcro
degli ambienti abitativi. La differenza tra la perfetta organizzazione spaziale
della costruzione e la confusione planimetrica del piano nobile ha fatto recentemente pensare che la prima fase dei lavori possa essere attribuita a Jacopo
Barozzi da Vignola (1507-1573), forse alla sua prima commissione importante,
mentre la seconda fase debba essere riferita all’architetto bolognese Bartolomeo
Triachini, come documenta un contratto del 1557.
Il Cinquecento ha lasciato a Minerbio anche un piccolo capolavoro architettonico: la Colombaia, eretta nel 1536 ed anch’essa attribuita al Vignola. Si tratta
di un’elegante torre ottagonale, organizzata su tre livelli, ritmati con leggerezza
da lesene tuscaniche. All’interno una scala elicoidale con struttura lignea permetteva di accedere ai ripari per i colombi. La Colombaia di Minerbio è l’unica,
tra quelle della campagna bolognese, che presenti un tale grado di ricercatezza
formale: si può pensare che, oltre ad avere un carattere funzionale (l’allevamento dei colombi), costituisse anche un elemento ornamentale a conclusione del
giardino del palazzo. La brillante soluzione architettonica e stilistica ha fatto
pensare ancora una volta al Vignola, benché al di là di evidenti connessioni
stilistiche non sussistano prove documentali a chiarire definitivamente questa
attribuzione.
L’ultimo elemento del complesso Isolani di Minerbio è costituito dal borgo: la
Torre dell’Orologio segna l’inizio di una strada porticata, fiancheggiata da case
di modesta dimensione e da un oratorio.
La potestà feudale su Minerbio fu revocata dal papa Clemente XII nel 1734,
a conclusione di lunghi contenziosi che avevano opposto gli Isolani al Senato
Bolognese, poco incline a tollerare la presenza nel territorio di altri poteri indipendenti. Tuttavia il complesso monumentale è rimasto alla famiglia Isolani e
ai suoi discendenti, i Cavazza Isolani, che tuttora la possiedono.
DPGM
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LA PALEOTTA
Via Sammarina, San Marino di Bentivoglio, dal Signor Ubaldo Monari Sardè
La villa costruita dai Paleotti a San Marino di Bentivoglio costituisce un unicum
nel panorama delle ville bolognesi: la perfetta complementarità di architettura,
decorazione pittorica e arredi ne fanno un piccolo capolavoro della “civiltà di
villa” tardo-rinascimentale e barocca.
I Paleotti sono noti a Bologna fin dal Duecento e anticamente esercitarono il
mestiere di drappieri, producendo coperte dette paliotte, da cui derivò il loro
cognome. Accumularono poi un notevole patrimonio con l’attività di banchieri
e ricoprirono la carica di anziani per la prima volta nel 1320. Annibale di
Vincenzo fu nominato senatore nel 1514 da papa Leone X, carica che si mantenne nella famiglia fino alla morte del marchese Giuseppe, nel 1690. I Paleotti
sono noti nella storia di Bologna soprattutto per il Cardinale Gabriele, che fu
vescovo e, in seguito all’elevazione della diocesi in arcidiocesi avvenuta nel
1582, arcivescovo di Bologna dal 1566 al 1597, personaggio di spicco nell’età
della Controriforma. Dopo di lui, fu arcivescovo di Bologna dal 1597 al 1619 il
nipote Alfonso. Ridolfo di Enea fu invece vescovo di Imola dal 1612 al 1619. Di
tutt’altro tipo la fama di Diana Paleotti, amante ufficiale del Connestabile del
Regno di Napoli Lorenzo Onofrio Colonna e al contempo migliore amica della
di lui moglie, la celebre Maria Mancini, nipote del cardinale Mazzarino.
La villa fu costruita da Annibale Paleotti, nipote del Cardinale Gabriele verso la fine del ‘500. Una lapide riporta la data 1619, tuttavia doveva già essere
abitabile da alcuni anni se nel 1592 vi fu ospitato il Cardinale Legato Paolo
Sfondrati. All’estinzione del ramo senatorio della famiglia, la villa passò per
eredità ad altre famiglie nobili bolognesi: i Bentivoglio, i Casali, gli Isolani, per
arrivare poi agli attuali proprietari.
La villa si caratterizza per un’attenzione prevalente agli spazi interni: l’esterno è infatti estremamente sobrio, con una loggia a tre archi sulla facciata occidentale, un portale bugnato su quella orientale e un semplicissimo cornicione
a guscio. Gli ambienti padronali si trovano al piano rialzato, ed è qui che si
rivela la cura posta dall’ignoto progettista nella sistemazione degli spazi interni: all’interno del rettangolo di pianta trovano posto una serie di ambienti di
dimensioni e altezza diverse, in rapporto alla funzione di ognuno di essi. Così,
il salone centrale si affaccia sulla loggia esterna ed è lo spazio più ampio della
villa, coperto da una volta ampia ed elegante poggiata su peducci. La comunicazione tra il salone e la facciata orientale è filtrata da un vestibolo e da una
controloggia, affacciata sul giardino. Su questo sistema di ambienti centrali
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di rappresentanza si innestano cinque stanze per lato ancora una volta ben
differenziate l’una dall’altra per dimensioni e altezza dei soffitti in legno. La
variabilità degli ambienti e la lontananza da ogni rigido schema accademico
potrebbero far pensare all’intervento di un architetto piuttosto valente: il Cardinale Paleotti si servì spesso di Domenico Tibaldi, attivo a Bologna tra il 1541 e
il 1583; tuttavia, mancando documenti a conferma di quest’ipotesi, il problema
dell’attribuzione rimane aperto.
La dimensione umana che hanno questi spazi è esaltata dall’arredo e dalla
decorazione pittorica. I mobili sono fatti per “abitare” gli spazi in modo semplice e senza frivolezza: caratteristiche tipiche dei mobili bolognesi del Cinquecento e del Seicento. Le decorazioni affrescate mostrano il convivere del grande
fregio cinquecentesco con un gusto nuovo, seicentesco, che porta a decorare
interamente i soffitti a volta. I fregi affrescati che ornano le quattro camere
da letto e due piccoli camerini raffigurano diversi tipi di scene di caccia al
cinghiale, al cervo, uccellagione, e di pesca. Sono attribuiti a Cesare Baglione,
per la maniera fantasiosa e dinamica e per la tavolozza di colori squillanti e
lontani da quelli carracceschi che caratterizza le opere di questo artista e che si
ritrovano anche nelle brillanti scene della Paleotta. Al Dentone, allievo del Baglione, sono invece attribuite le decorazioni ‘a quadratura’ della loggia e della
controloggia, che rappresentano illusivamente architetture classiche a loggiati,
mentre le figure degli stessi ambienti sono forse dovute a Menghin del Brizio,
a cui si possono attribuire dubitativamente anche i paesaggi nello studiolo e
alcune figure allegoriche nelle stanze con i camini. I camini recavano in origine
dipinti di Guido Reni e di Menghin del Brizio, ma ridipinture settecentesche
li hanno deteriorati. I lavori settecenteschi dotarono la villa delle decorazioni
a stucco sopra le porte. A questo secolo risalgono anche alcuni quadri ancora
conservati in loco, come un Mosè salvato dalle acque, forse di Antonio Gionima (1697-1732).
Completano la villa, radicandola nel territorio agrario, un bel parco e un
esteso giardino-campagna, in stile inglese, purtroppo ridotto in seguito alla
costruzione dell’autostrada Bologna-Padova.
DPGM
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VILLA MARANA
COLLEZIONE FRANCESCO MOLINARI PRADELLI
Via Marano 10, Marano di Castenaso, dai Signori Molinari Pradelli
Tra le ville della campagna bolognese sono poche quelle che possono vantare
una ricca quadreria; tra queste bisogna annoverare ai primi posti la villa Marana, sede della ricca collezione d’arte raccolta nel corso di decenni da Francesco
Molinari Pradelli (1911-1996), direttore d’orchestra che collaborò con i maggiori teatri operistici del mondo, dalla Staatsoper di Vienna al Metropolitan di
New York, dalla Scala di Milano al Covent Garden di Londra, e con alcuni tra
i più grandi cantanti del Novecento, come Luciano Pavarotti, Renata Tebaldi,
Joan Sutherland.
La villa, immersa in un bel parco, fu costruita probabilmente nei primi anni
del Seicento. All’interno conserva alcuni interessanti fregi dipinti, di alta qualità pittorica e assegnabili a mani differenti, forse eseguiti nel terzo decennio
del XVII secolo. Al piano terra, in una saletta si trovano scene a monocromo
che rappresentano, con tratto molto rapido e vivace, episodi della Gerusalemme
Liberata. Una sala più grande mostra invece un fregio con paesaggi, vasi di fiori
e statue, di tipo molto simile a quelli dipinti alla Paleotta. Al piano superiore, le
sale sono articolate intorno a una loggia passante decorata con un fregio a paesaggi. Le travi di legno sono illusionisticamente sorrette da putti affiancati da
tondi con profili di teste all’antica. I paesaggi, probabile opera di Menghin del
Brizio, sono inseriti in cartigli con sirene di gusto seicentesco e mostrano una
notevole freschezza e fantasia, ancora impregnata di un tono arcaico, lontano
dal naturalismo carraccesco.
Gli ampi spazi della villa fanno da cornice alla collezione di dipinti, che
conta circa 200 quadri, acquistati sul mercato antiquario dal maestro Molinari
Pradelli nel corso delle sue tournées. I suoi primi interessi collezionistici si rivolsero alla pittura italiana dell’Ottocento, per poi ampliarsi all’arte del periodo
barocco, all’epoca sostanzialmente inesplorata e largamente sconosciuta anche
dai critici professionisti. E proprio grazie alle raccolte di Molinari Pradelli che
numerosi storici dell’arte, per esempio Carlo Volpe (1926-1984), poterono giungere a una conoscenza più approfondita delle diverse scuole locali italiane del
Seicento e del Settecento e in particolare del vasto campo della pittura “di
genere” e delle nature morte.
Tra i quadri della collezione si ammirano un buon numero di opere di artisti
minori ma anche piccoli capolavori dei grandi nomi del barocco italiano, come
il Paesaggio con frati del genovese Alessandro Magnasco (1667-1749), il Filo56
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sofo nello studio e l’Annunciazione del napoletano Luca Giordano (1634-1705),
il Ritratto di Carlo Tinti del bergamasco Fra’ Galgario (1655-1743), la Sacra
Famiglia del veneto Sebastiano Ricci (1659-1734), il San Giovannino del romano Domenico Fetti (1589-1623). Tra le opere cinquecentesche ricordiamo Il
Paralitico della piscina del veneziano Jacopo Palma il Giovane (1544-1628).
Va sottolineato che Molinari Pradelli riconobbe il valore di alcuni di questi
artisti prima ancora degli storici, dal momento che la fama di alcuni di loro
è successiva all’acquisto da parte del maestro. E infatti non acquistava per
seguire mode collezionistiche passeggere, o per ricercare i grandi nomi: era
interessato dalla bellezza e dalla freschezza della pittura, dall’interesse critico
che poteva destare. Affermava: «il mio collezionismo l’ho vissuto essenzialmente come fatto interiore e mi sono tenuto lontano da ogni commistione di esso con
la mondanità», e anche: «la prima spinta [a collezionare] nasce apparentemente
per caso: un improvviso amore per un oggetto, l’entusiasmo di una visita ad un
museo, la lettura di un libro o di un catalogo... Ma, in realtà, la spinta vera a
raccogliere, a fare una collezione, è più profonda, ed in essa si esprime l’inesausto bisogno di creatività che è in ogni uomo». Nella collezione non mancano
naturalmente i quadri della scuola bolognese, tra cui spiccano un’importante
nucleo di opere dei Gandolfi, prolifica famiglia di pittori del XVIII secolo, un
San Francesco di Paola di Giuseppe Maria Crespi (1665-1747), La Missione di
Aureliano Milani (1675-1749).
Quando si chiedeva a Molinari Pradelli quale fosse l’opera preferita della
sua grande collezione, egli rispondeva: “ho già detto che, fra i miei dipinti,
forse quello più amato è la Sacra Famiglia di Sebastiano Ricci, per la nobiltà
dell’impaginazione unita alla morbidezza del ductus pittorico ed all’invenzione
cromatica assieme sobria e intensissima. Ma devo aggiungere che, come il padre di una numerosa prole ama egualmente tutti i suoi figli, così il collezionista
ama possessivamente tutte le sue ‘cose”. Ed è grazie all’amore per l’arte di
questo grande musicista che una dimora della campagna bolognese ha potuto
ritrovare nuovo splendore.
DPGM
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XXXIII Assemblea ADSI 2010 - Bologna
BIBLIOGRAFIA
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Electa, Milano 2005
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XXXIII Assemblea ADSI 2010 - Bologna
ASSOCIAZIONE DIMORE STORICHE ITALIANE
SEZIONE EMILIA-ROMAGNA
XXXIII ASSEMBLEA NAZIONALE
Bologna, 4 - 7 Giugno 2010
PROGRAMMA DELLE ATTIVITÀ
Venerdì 4 giugno
Arrivo nel pomeriggio e sistemazione negli alberghi.
Ore 20.00
Palazzo Isolani, via Santo Stefano n.16, dei Conti Gualtiero e Francesco Cavazza Isolani: visita del palazzo e successivo pranzo.
Sabato 5 giugno
Ore 9.30 - 17.00
Assemblea Nazionale nell’Oratorio di San Filippo Neri, Via Manzoni n. 5, della
Fondazione del Monte di Bologna e di Ravenna.
Ore 10.00 - 13.00
Per gli Accompagnatori dei Soci: dall’Oratorio di San Filippo Neri inizio della passeggiata nel centro di storico di Bologna con guide che accompagneranno gli ospiti
alla scoperta di alcuni dei tesori meno noti dell’arte e dell’architettura bolognese.
Ore 13.00 - 15.00
Per tutti i partecipanti e accompagnatori registrati, colazione a Palazzo Fava,
via Manzoni n.4, della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna.
Le Dimore Storiche 5
Supplemento Notizie
Ore 15.00
Ripresa dei lavori assembleari.
Pomeriggio libero per gli Accompagnatori.
Ore 20.30
Pranzo di gala a Palazzo Bevilacqua Ariosti, via Massimo d’Azeglio n.33, del
Duca Morando e del Marchese Ippolito Bevilacqua Ariosti.
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XXXIII Assemblea ADSI 2010 - Bologna
Domenica 6 giugno
Ore 9.45
Santa Messa nella Chiesa di San Giacomo, Piazza Rossini, officiata dal Priore
del Convento di San Giacomo Maggiore P. Domenico Vittorini. Al termine visita
della Cappella Bentivoglio.
Ore 11.00 - 13.00 e 15.00 - 18.00
I partecipanti saranno divisi in gruppi e saranno ospitati per una visita guidata,
sia nella mattinata sia nel pomeriggio, nei seguenti Palazzi del centro storico:
• Casa Beccadelli Bovi Tacconi, dai Signori Pierluigi, Dario e Simone Montebugnoli
• Casa Mentasti, dal Conte Facchinetti Pulazzini
• Palazzo Aldini Sanguinetti, ora Museo della Musica
• Palazzo Fantuzzi, dal Signor Giancarlo Meroni e dal Dottor Federico Enriques
• Palazzo Salina Bolognini, dal Marchese Salina Amorini Bolognini
• Palazzo Sampieri, dal Signor Gerardo Veronesi
Ore 13.00 - 15.00
Colazione in Palazzo Magnani, Via Zamboni n.20, di UniCredit Banca. Al termine proseguono le visite.
Ore 19.30 - 23.45
Villa “Belpoggio”, via Molinelli n.22, dei Principi Hercolani: visita e successivo
pranzo. Sarà in funzione un servizio di navetta per Villa “Belpoggio” Hercolani
a partire dalle ore 19.30 con rientro agli alberghi a partire dalle ore 22.45.
Lunedì 7 giugno
Ore 9.00
Partenza in pullman per la visita ad alcune Ville nella campagna bolognese.
In mattinata, visita a:
• Villa Mondani ora sede Furla spa, ricevuti dal Cavaliere del Lavoro Giovanna
Furlanetto
• “Il Floriano” a Bagnarola di Budrio, dei Marchesi Gherardo, Luigi e Francesco
Malvezzi Campeggi
• Rocca Isolani di Minerbio, dei Conti Gualtiero e Francesco Cavazza Isolani, dove
si terrà la colazione.
Nel pomeriggio, visita a:
• Villa “La Paleotta” a San Marino di Bentivoglio, del Signor Ubaldo Monari Sardè
• In alternativa a Villa “La Paleotta”, visita guidata alla Collezione Francesco Molinari Pradelli, conservata dalla famiglia nella Villa di Marano (pittura barocca
italiana e in particolare bolognese ed emiliana del XVII e XVIII secolo ).
Rientro a Bologna previsto entro le ore 17.30.
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XXXIII Assemblea ADSI 2010 - Bologna
XXXIII Assemblea ADSI 2010 - Bologna
A. Oratorio di San Filippo Neri e Palazzo Ghisilardi - Museo Civico Medievale,
via Manzoni 5
Dimore storiche:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
PALAZZO ISOLANI, via Santo Stefano 16
PALAZZO BEVILACQUA ARIOSTI, via Massimo d’Azeglio 33
CASA BECCADELLI BOVI TACCONI, via Santo Stefano 19
CASA MENTASTI, via Marsala 24
PALAZZO ALDINI SANGUINETTI - MUSEO DELLA MUSICA,
Strada Maggiore 24
PALAZZO FANTUZZI, via San Vitale 23
PALAZZO SALINA BOLOGNINI, via Santo Stefano 9/11
PALAZZO SAMPIERI, strada Maggiore 24
PALAZZO MAGNANI, via Zamboni, 20
BELPOGGIO HERCOLANI, via Molinelli 22
Alberghi:
11.
12.
13.
14.
15.
16.
17.
18.
19.
Grand Hotel Baglioni, via Indipendenza 8
Art Hotel Corona D’Oro, Via Oberdan 12
Art Hotel Commercianti, via De’ Pignattai 11
Hotel Roma, via d’ Azeglio 9
Hotel Al Cappello Rosso, via de’ Fusari 9
Hotel AEmilia, via Zuccherini Alvisi 16
Best Western Hotel San Donato, via Zamboni 16
Hotel il Convento dei Fiori di Seta, via Orfeo 34
Hotel Porta San Mamolo, vicolo del Falcone 6/8
Residenze d’Epoca:
20. Antica Casa Zucchini, via Santo Stefano 36
Chiesa:
21. Chiesa di San Giacomo - Convento di San Giacomo Maggiore, via Zamboni
63
XXXIII Assemblea ADSI 2010 - Bologna
Elenco dei Soci partecipanti all’Assemblea Nazionale 2010
e dei relativi accompagnatori
Iscrizioni pervenute al 25 maggio 2010
SEZIONE ABRUZZO
Anita Boccuccia
Manuelita de Filippis
Massimo Lucà Dazio
Alberto Massignani
SEZIONE CALABRIA
Marco Solima
Francesco Zerbi
SEZIONE CAMPANIA
Bianca Iadicicco de Notaristefani
Francesco Marigliano Caracciolo
Antonio Mottola di Amato
Michelangelo Pisani Massamormile
Maria Teresa Rocco di Torrepadula
Nicola Tartaglione
SEZIONE EMILIA ROMAGNA
Antonio Archi
Maria Paola Bellei
Gioia Bertocchi
Giovanni Bertolani
Ippolito Bevilacqua Ariosti
Francesco Bonora
Gianni Luigi Bragadin
PierVittorio Capucci
Francesco Cavazza Isolani
Gualtiero Cavazza Isolani
Ginevra Cavina Boari
Paolo Conforti
Elvira Dal Pane
M. Loredana degli Uberti Pinotti
Marina Deserti
Daniela Di Francia
Giovanni Facchinetti Pulazzini
Giuliana de’ Faveri-Tron
Lorenzo Ferretti Garsi
Francesco Saverio Moschetta
Rossana Falconi
Anna Maria Iannucci e Rosanna Monzini
Antonio de Notaristefani di Vastogirardi
Rosellina Postiglione
Maria Rosaria Liguori
Stefania Como
Maurizio Stocchetti
Laura Malvezzi
Cesare Brizzi
Maria Sole Vismara Currò
Maddalena Arone di Bertolino
Marina di Mottola Balestra
Michele Conforti
Renato Petrachi
Ugo Socini
Trinidad di Collalto e San Salvatore
64
XXXIII Assemblea ADSI 2010 - Bologna
Ludovica Florenzi Serafini
GianFranco Fontaine Panciatichi
Paola Galletti Lindsten
GianLuca Garagnani
Vincenzo Garagnani
Manfredi Landi di Chiavenna
Giancarlo Lenzi
Paolo Lenzi
Alessandra Leonesi Ricciardelli
Dialta Malvezzi Campeggi
Rosa Malvezzi Campeggi
Franco Manaresi
Carlo Emanuele Manfredi
Giuliano Manfredi
Ludovica Mazzetti d’Albertis
Maria Luisa Merighi
Bianca Maria Molinari Pradelli
Ubaldo Monari Sardè
Laila Negrini
Maria Teresa Paolucci
delle Roncole Ferniani
Anna Pasquale
Jean-Jacques Prati Lucca
Federico Rossi
Federico Rossi di Medelana
Gian Luca Salina Amorini Bolognini
Marco Sassoli de’ Bianchi
Paolo Senni Guidotti Magnani
Pietro Sinz
Filippo Tibertelli de Pisis
Gerardo Veronesi
Giovanni Zanasi
Ilaria Zucchini
Luciano Canetti
Philip Lindsten
Maria Luisa Montecuccoli degli Erri
Michela Garagnani
Renata Rapalli
Giuseppe Colombi
Francesco Paresce
Maria Rita Malfatti Manaresi
Clara Manfredi Monti
Katia Ronzani Molinari Pradelli
e Natalina Melegari Valentini
Paola Conti Donzelli
Silvana Ricchi
Pia Piovesena
Claudia Tonelli
Elisabeth Salina Amorini Bolognini
Gabriella Aggazzotti
Simona Zucchini
SEZIONE FRIULI VENEZIA GIULIA
Carla Andreoli Giordano
Flaminia Stringher Rubini
Sergio Gelmi di Caporiacco
SEZIONE LAZIO
Piero Adorno Adorni Braccesi
Enzo Ancarani
Riccardo Andreozzi
Marco Belgiorno Zegna
Maria Ester Semprini
Angela Varano di Camerino
65
XXXIII Assemblea ADSI 2010 - Bologna
Novello Cavazza
Paola Cavazza
Filippo Cingolani
Alessandra Corsini Capaccioli
Vittoria Datti de Marsanich
Cristina del Gallo di Roccagiovine
Moroello Diaz della Vittoria
Pallavicini
Francesco Giusso del Galdo
Luciana Lanzara
Giuliano Malvezzi Campeggi
Marco Fabio Marenghi Vaselli
AnnaMaria Marieni Saredo Cavazza
Mauro Mossa
Aldo Pezzana Capranica del Grillo
Stefano Pisa di Monterosa
Luigi Solari
Maria Termini
Anna Maria Vandoni Corlanego
Antonio Varano delle Vergiliana
Emanuela Varano di Camerino
SEZIONE LIGURIA
Clara Angella
Giuseppe Biancheri Chiappori
Giovanni Gramatica di Bellagio
Cristina Jommi
Isabella Lagomarsino
Viviana Viviani
SEZIONE LOMBARDIA
Luigi Abbate
Irene Bisiachi Valperga di Masino
Filippo Borromeo
Barbara Borromeo d’Adda
Giacomo de Vito Piscicelli Taeggi
Alda Faravelli Marchetti
Piero Fenaroli Valotti
Giovanni L. Lalatta
Elena Lanzavecchia
Nicola Lozio
Matilde Marazzi
Maria Pia Marioni Meda
Adriana Paladini
Maria Assunta de Altamer
Federico Stacchini
Margherita Montefusco
Adelaide Biandrà di Reaglie
Donatella Cagiano de Azevedo
Maria Luisa Orlando Castellano
Maria Adelaide Capranica del Grillo
Danielle Pisa di Monterosa
Patricia Ricci del Riccio
Roberto Pinzari
Andrea Mastagni
Anna de Corné
Angioletta Beccaria
Isabella Triboldi
Anna Borromeo
Enrica de Vito Piscicelli Taeggi
Concetta Ascanio
Valentina Bargnani
Giovanna Biancardi
Alessandro Arrigoni
Rosa Tommasi
66
XXXIII Assemblea ADSI 2010 - Bologna
Stefano Paveri Fontana
Francesca Pizzini delle Porte
Donato Sagramoso
M. Giuseppina Sordi
Alberto Uva
Angela Paveri Fontana
Marina Canal
Floriana Sordi
Patrizia Trobia
SEZIONE MARCHE
Federica Battaglia Sogaro
Luciano Filippo Bracci
Cecilia Honorati Rovelli
Maria Elena Pallotta
della Torre del Parco
Teresa Romani Adami Emiliani
Cecilia Romani Adami
Carlo Sabatucci Frisciotti Stendardi
Maddalena Trionfi Honorati
Anna Volpini Costa
Ferdinando Zucconi Galli Fonseca
SEZIONE MOLISE
Nicoletta Pietravalle
Elena Sciarretta Pace
Ester Tamasso
Alessandro Tana
SEZIONE PIEMONTE
Filippo Beraudo di Pralormo
Anna Tecla Besostri Grimaldi Folonari
Maria Bonadè Bottino
Giorgio Brinatti
M. Teresa Cordero di Montezemolo
Ugo Fumagalli Romario
Roberto Gabey
Franca Giacosa
Maria Golzio
Maria Stefania Martini Facchini
Alessandro Menichini
Carla Morozzo della Rocca
Leonardo de Nardis di Prata
Carlo Piozzo di Rosignano
Gregorio de Siebert
Maria Pia Solaroli di Briona Gorla
M. Antonietta Zagnoli Tarò
Nicola Pace
Silvana Sciarretta
Consolata Soleri
Erasmo Bestostri Grimaldi di Bellino
Roswith-Malvina von Stepski-Doliwa
Micaela Gasparri
BiancaMaria Blasi e Micol Gabey
Elisa Ines de Paulis
Eugenia Levaggi
Elisabetta de Nardis di Prata Gori Mazzoleni
Teresa Rossi di Medelana
Nicoletta Tassoni Estense
Giuseppe Tarò
67
XXXIII Assemblea ADSI 2010 - Bologna
SEZIONE PUGLIA
Pietro Consiglio
Rossella Galante Arditi
PierNicola Leone de Castris
Angela Mongiò
Raffaele de Pinto
Giuseppe Seracca Guerrieri
Antonio Tanza
Biagio Tatò
SEZIONE SICILIA
Gualberto Carducci Artenisio
Giuseppina C.S. Cipolla
Antonino Pecoraro
SEZIONE TOSCANA
Federico Barbolani di Montauto
Lucia Bovalini
Ugo Bruni
Orietta Carpi
Carla Maria Casanova
Massimo M. da Cepparello
Giovanna Ciampi
Giovanni Coda Nunziante
Gil Cohen
Fabio Colonna di Stigliano
Massimo Conti Donzelli
Giorgiana Corsini
Marcella Fontana
Mario Giani
Bernardo Gondi
Gerardo Gondi
Niccolò Malaspina
Gian Luca Mandorli
Aloisia Marzotto Caotorta
Giuseppe Maurigi di CastelMaurigi
Leopoldo Mazzetti
Pietro Ermanno Meschi
Giovanna Morozzo
della Rocca Spinola
Lorenzo Niccolini Sirigatti
di Camugliano
Benedetta Origo
Gabriele Pagni
Maurizia Rosaria Rossi
Giovanni Arditi di Castelvetere
Alessandra della Tommasa
Maria Alessandra Spagnoletti Zeuli
Maria Lucia Portaluri
Raffaella Bardoscia e Olga Tanza
Lilia Fortunato
Alfonsa de Gregorio
Paolo Baldelli
Liliana Mirabella
Carla Natali Bruni
Maria Chiara Montini
Casanova Sestini Cristiana
Marina Rességuier de Miremont
Diana Coda Nunziante Moya del Pino
Paul Gervais de Bédoé
Vittoria Colonna di Stigliano
Vittoria Citernesi Gondi
Lucia Romani Adami
Beatrice Papi
Marina Fittipaldi
Maria Pia d’Albertis
Alessandra Niccolini Sirigatti
di Camugliano
Monica Attanasio
68
XXXIII Assemblea ADSI 2010 - Bologna
Pauline Rathbone Traxler
Niccolò Rosselli del Turco
Alessandro Torrigiani Malaspina
Alessandra Torrigiani Malaspina Bovio
Giulia Maria Tucci Carrassi del Villar Gabriella Lalatta Marini Clarelli
SEZIONE TRENTINO ALTO ADIGE
Andrea Cesarini-Sforza
Marina Cesarini-Sforza
Maria Chiara Conci Parenti
Wolfgang von Klebelsberg
Antonia Marzani di Sasso e Canova
Francesco Pompeati Marchetti
Maria Luisa Leonardi
SEZIONE UMBRIA
Clara Lucattelli Caucci von Saucken
Franca Persichetti Ugolini
Pucci della Genga
Lorenzo Pucci Boncambi della Genga Annalisa Tomaiuolo
SEZIONE VENETO
Zeno Cicogna
Maria Berenice Scrinzi
Rosa Alessan. Corazza Sagramoso
GianFilippo dalla Francesca Cappello Elisabetta Hellmann
e Antonia della Francesca Cappello
Giovanni Batt. Lanfranchi
Ines Thomas e Bianca Luisa Lanfranchi
Fernanda Merlin De Romedi
Cristina Luxardo Nogarin
Nicolò Noto
Francesca Maria Sarzana e Lavinia Noto
Pia Maria Tolomei Frigerio
Paolo Bruno
SEGRETERIA NAZIONALE
Maria Stella Bellini
Francesca Bigonzi
Manuela Bigonzi
Lucia Calabrese
SEGRETERIA SEZIONE EMILIA ROMAGNA
Giovanni Pellinghelli del Monticello
69
XXXIII Assemblea ADSI 2010 - Bologna
INDICE
p. 2
ASSOCIAZIONE DIMORE STORICHE ITALIANE - ORGANI CENTRALI
p. 4
COMITATO DIRETTIVO
p. 5
SEZIONI
p. 7
R INGRAZIAMENTI
AI
p. 9
R INGRAZIAMENTI
AI COLLABORATORI
p. 11
INTRODUZIONE
DI
A LDO PEZZANA CAPRANICA
p. 13
INTRODUZIONE
DI
FRANCESCO CAVAZZA ISOLANI
p. 15
DIMORE STORICHE BOLOGNESI
p. 17
Le Dimore Storiche Bolognesi
p. 19
Palazzo Isolani
p. 20
Casa Isolani e Palazzo Bolognini Isolani
p. 22
Oratorio di San Filippo Neri
p. 24
I Palazzi Fava di via Manzoni
p. 24
Il camerino d’Europa
p. 25
Palazzo Ghisilardi Fava
p. 27
Palazzo Bevilacqua Ariosti
p. 29
San Giacomo Maggiore
p. 31
Case Beccadelli Bovi Tacconi Montebugnoli
p. 33
Casa Mentasti Fabbri
p. 35
Palazzo Aldini Sanguinetti
p. 37
Palazzo Fantuzzi
p. 38
Il restauro della facciata di Palazzo Fantuzzi
p. 39
Le decorazioni dei granai di David Tremlett
DELLA
SEZIONE EMILIA ROMAGNA
REGIONALI
CONSOCI
70
DEL
GRILLO
XXXIII Assemblea ADSI 2010 - Bologna
p. 40
Palazzo Bolognini Amorini Salina
p. 42
Palazzo Sampieri Talon
p. 44
Palazzo Magnani
p. 46
Villa Belpoggio
p. 48
Villa Mondani ora sede Furla spa
p. 50
Il Floriano
p. 52
Rocca Isolani
p. 54
La Paleotta
p. 56
Villa Marana
p. 58
Bibliografia
p. 60
Programma
p. 62
Cartina di Bologna
p. 64
Elenco dei Soci partecipanti
71
Progetto grafi co e stampa
Sogari Artigrafiche srl - San Felice sul Panaro (MO)
Tel. 0535.85425 - [email protected]
Per i vini si ringraziano:
GAGGIOLI
VINI D.O.C. DEI COLLI BOLOGNESI