L’arte di ricordare Per Joshua Foer l’esercitazione della memoria, cominciata come un’esperienza giornalistica, è diventata un’ossessione - sfociata nella sua partecipazione al campionato statunitense. Il libro L’arte di ricordare tutto ripercorre il cammino intrapreso dal giorno in cui ha assistito per la prima volta a un campionato della memoria, alle tappe successive, con l’intento di approfondire la propria conoscenza della materia fino a cogliere la sfida di misurarsi con le tecniche acquisite. Ha così cavalcato l’avventura sino in fondo ed è risultato vincitore. Il mondo contemporaneo “ci bombarda di nuove informazioni, eppure il cervello ne conserva una percentuale irrisoria....” La maggior parte delle cose che ascoltiamo “entra da un orecchio ed esce dall’altro.” E’ un fenomeno universale, una conseguenza della massa di stimoli che si susseguono; una sorta di protezione che ha come risultato l’oblio. “Nella mia libreria, ammette l’autore, ci sono volumi di cui non saprei se li ho letti o no.” Come sarebbe stata la vita di ognuno se non avessimo disperso tutte le conoscenze immagazzinate negli anni addietro? Foer incontrò Ed Cooke al campionato statunitense della memoria, edizione 2005; rimase subito affascinato dalla sua personalità fuori dal comune. Benché fosse 24enne, Ed si muoveva come se ne avesse molti di più a causa di una recidiva artritica. Aveva appena ripetuto 252 cifre a caso senza alcuno sforzo apparente. E continuava a insistere che per ricordare e quindi partecipare, bastava imparare a “pensare secondo i metodi adatti a ricordare.” Gli atleti della mente utilizzano la “semplicissima” tecnica mnemonica denominata “palazzo della memoria”, che viene fatta 1 risalire a 2500 anni fa, inventata da Simonide di Ceo tra le macerie di una sala da banchetto. Tali tecniche - del percorso o metodo dei ‘loci’ - furono rielaborate da Cicerone e Quintiliano, nell’antica Roma; vennero poi affinate nel Medioevo dagli uomini di chiesa. Secondo Ed Cooke i concorrenti facevano parte di una specie di “programma di ricerca amatoriale” con lo scopo di “riportare in auge un addestramento mnemonico tradizionale scomparso secoli addietro.” Tanto tempo fa, insistette, ricordare era tutto. La cultura orale si fondava sulla memoria. Finché l’arrivo di Gutenberg, nel secolo XV, trasformò la scrittura manuale in libri prodotti in serie. In un’altra occasione gli spiegò come rendere indimenticabile un nome. Da usare ad es. nella gara ‘Dai un nome al volto’ per ricordare i nomi e i cognomi associati alle 99 foto. “Devi associare il nome di una persona a qualcosa che immagini senza fatica. Crea nella tua mente un’immagine forte che colleghi la memoria visiva del volto a una memoria visiva collegata al nome di una persona” ... “Hai detto di chiamarti Josh Foer, no? ... Ecco, potrei immaginare che non appena mi vedi... ti prendi gioco di me con un ‘josh’, una canzonatura, e potrei immaginare di rompermi in quattro pezzi per la reazione. Four/Foer, hai capito?” Tony Buzan era un altro atleta della mente di successo. Joshua lo assillò affinché gli dicesse quanto impegno ci voleva per imparare le tecniche... “Per il Campionato USA un’ora al giorno per 6 giorni a settimana”... “L’anno prossimo sul gradino più alto potrebbe esserci lei.” Il cervello è quella massa di 130 grammi che teniamo in equilibrio sulla spina dorsale, che si compone di un “qualcosa come 100 2 miliardi di neuroni, ciascuno dei quali può creare dalle cinque alle diecimila connessioni sinaptiche con altri neuroni.” Quando ci viene in mente la parola caffè il pensiero subito corre al colore nero, al bar, alla colazione del mattino e/o al gusto amaro. Si mette così in moto una funzione rappresentata da una “cascata di impulsi elettrici che investono un percorso cerebrale concreto che collega la serie di neuroni che codificano il concetto di caffè con quelli che contengono i concetti di nero, di colazione e di amaro.” Fin qui gli scienziati ci sono arrivati da un pezzo. Tuttavia, per le neuroscienze, come una serie di cellule riesca a ‘racchiudere’ un ricordo, rimane tuttora un rompicapo irrisolto. “Malgrado i progressi degli ultimi decenni, nessuno è mai riuscito a individuare un ricordo nel cervello umano.” Passando all’arte di ricordare, come funzionano i trucchi della memoria? E’ utile “conoscere quella singolare forma di oblio che gli psicologi hanno ribattezzato ‘il paradosso Baker/baker’. Un ricercatore mostra a due persone la foto di un volto e dice a uno dei due che il tizio fotografato è un baker, un panettiere, e all’altro che la persona in questione si chiama Baker... Se vi dicono che l’uomo della foto è un panettiere, il dato si ricollega a un’intera rete di idee preesistenti relative a quel mestiere: il panettiere inforna il pane, indossa un cappello bianco e ha un buon odore quando torna a casa dal lavoro. Il cognome Baker, al contrario, è legato unicamente al ricordo del volto della persona. E’ un collegamento debole. Abbiamo visto che non tutto quello che ci passa per la mente viene ritenuto. Un pensiero, una percezione momentanea quando si presentano per la prima volta restano “in una sorta di limbo temporaneo, noto come memoria operativa.” Soltanto in un secondo momento passano nella memoria di lungo termine. “La 3 divisione tra memoria a breve e a lungo termine è così sensata che la maggior parte dei computer è stata costruita in base a questo modello.” Quando scomponiamo un numero di telefono in blocchi di due o tre cifre, per meglio ricordarlo, stiamo adottando il cosiddetto metodo chunking. Se si vuole memorizzare le 24 lettere TESTASPALLEGINOCCHIADITA senza far caso a come vengono pronunciate, si fa molta fatica. Ma divise in 4 blocchi, o chunk, TESTA, SPALLE, GINOCCHIA, DITA il compito diventa più facile. La serie numerica a dodici cifre 071241110901 divisa in blocchi: 071,241,110,901 diventa un po’ più semplice. Trasformata in due blocchi, 07/12/41 e 11/09/01 sarà quasi impossibile dimenticarla... (Almeno per uno statunitense: attacco a Pearl Harbor e alle Torri Gemelle). Nel ’92 un virus maligno, noto come herpes simplex, rosicchiò il cervello di EP “come se stesse mangiucchiando un torso di mela.” Erose dai lobi temporali mediali (che racchiudono l’ippocampo) due porzioni di materia cerebrale dalle dimensioni di una noce. La maggior parte della sua memoria scomparve. I ricordi non sono immagazzinati nell’ippocampo, ma questa regione serve a farli attecchire. Senza l’ippocampo EP è “come una videocamera portatile con la testina rotta: vede, ma non registra.” Quando la mattina EP si sveglia, fa colazione e si rimette a letto ad ascoltare la radio. Una volta tornato a infilarsi sotto le lenzuola, già non sa più se ha fatto o meno colazione o se si è appena svegliato. Non di rado fa colazione una seconda e terza volta. Tuttavia degli studi condotti sugli amnestici rivelano che chi ha perso la memoria è ancora capace di una forma di apprendimento anche se ciò non comporta il ricordo cosciente. EP, avuto un elenco 4 di 24 parole da memorizzare, dopo pochi minuti le aveva dimenticate tutte. Fatto sedere davanti a un computer, sullo schermo gli mostrarono 48 parole, per 25 millisecondi ognuna, appena il tempo di intravederne qualcuna (un battito di ciglia dura dai 100 ai 150 millisecondi). Gli fu chiesto di leggerle a mano a mano che passavano sullo schermo; se la cavò meglio con le parole che aveva intravisto. La memoria inconscia prova l’esistenza di un mondo sotterraneo, ancora da scoprire, dove i ricordi nascosti covano “sotto la superficie del pensiero consapevole.” Perché uno amnestico come EP rammenti quando è stata lanciata la bomba atomica su Hiroshima e non la ben più recente caduta del muro di Berlino è uno dei tanti misteri della memoria. Chiedo a EP se ha voglia di fare una passeggiata per il quartiere... Usciamo dalla porta d’ingresso sotto il sole del primo pomeriggio e svoltiamo a destra. La decisione è sua, non mia. Gli domando perché non abbiamo girato a sinistra. “Preferisco non andare da quella parte. Faccio sempre questa strada.” Il percorso si è impresso nel suo inconscio. “Rhetorica ad Herennium, scritto tra l’86 e l’82 a. C. è l’unica trattazione completa delle tecniche inventate da Simonide giunta fino al Medioevo.” L’aspetto fondamentale è la scelta di un palazzo della memoria che si conosca bene. Più l’immagine è nitida e vivace, più facilmente aderisce al suo locus... “Il tratto distintivo di un grande mnemonista è l’abilità di creare al volo immagini esuberanti. E di saperlo fare in fretta. Ecco perché Tony Buzan dice ... che il campionato del mondo della memoria più che un test mnemonico è un esame di creatività.” 5 Cicerone e Quintiliano sostenevano che memorizzare argomento per argomento era la cosa ottimale, (non parola per parola, impiegando quindi la memoria rerum). Nel ‘De oratore’ Cicerone invita, a beneficio di coloro che preparano un discorso pubblico, a “creare un’immagine per ogni topica e collocare ciascuna di esse in un locus (l’espressione ‘in primo luogo’ l’abbiamo ereditata dall’arte della memoria).” In passato, quando la cultura veniva trasmessa oralmente, la poesia era il principale strumento per fare circolare informazioni e conoscenza, da diffondere alle popolazioni e alle generazioni future. Eric Havelock, classicista, definisce tale pratica “un vasto patrimonio di conoscenze utili, una specie di enciclopedia di etica, politica e tecnologia, che il cittadino efficiente doveva assimilare come nucleo del proprio bagaglio educativo.” Qualsiasi epoca, in ogni parte del mondo, ha avuto mnemonisti di professione con il compito di trasmettere il patrimonio culturale a loro affidato. Nelle svolte epocali spesso si incontrano voci dissidenti. Socrate rifuggiva dalla scrittura perché secondo lui portava “la cultura su un sentiero infido”; avrebbe potuto condurre al decadimento intellettuale e morale; “gli uomini avrebbero finito per somigliare a recipienti vuoti.” Mi chiedo, si domanda l’autore, se il filosofo greco avrebbe apprezzato il fatto che conosciamo il suo sdegno nei confronti della scrittura perché i suoi allievi (Platone e Senofonte) lo tradussero in parole scritte. Ciò dimostra che anche le menti più eccelse talvolta cadono in comportamenti paradossali di fronte a scenari imprevisti e innovativi. Ad ogni modo la cultura orale continuò ancora per secoli. “I rotoli di papiro erano scomodi da leggere e ancor più da scrivere ... Le parole erano poste una dopo l’altra in un flusso ininterrotto di maiuscole, 6 privo di spazi e di punteggiatura.” I testi non erano facilmente consultabili a meno non fossero almeno in parte già memorizzati. Invenzione della carta stampata a parte, la progressiva scomparsa della memorizzazione nei programmi educativi comincia con il “romanzo polemico” Emile o dell’educazione di Jean-Jacques Rousseau (1762); “il filosofo svizzero immaginò un bambino allevato secondo i metodi dell’educazione naturale” (attraverso l’esperienza individuale). Rousseau aborriva le restrizioni imposte dall’educazione istituzionale, ivi compresa la memorizzazione. John Dewey (1859 – 1952) filosofo e psicologo statunitense, all’incirca un secolo dopo, dichiarava di volere che ogni bambino potesse dire ‘ho fatto esperienza’ piuttosto che ‘io so’. Gordon Bell, 73enne, è uno scienziato informatico della Microsoft. Da qualche anno se ne va in giro con appesa al collo una fotocamera digitale in miniatura per catturare immagini e suoni, che i suoi occhi vedono ma che non restano impressi nella sua memoria (cosciente). Anticipa che in un futuro non troppo lontano ”il nostro cervello potrà connettersi direttamente a questo ‘surrogato della memoria’ che ricorda tutto;” e dal quale si potrà attingere “con la stessa naturalezza con cui accediamo ai ricordi immagazzinati nei neuroni.” Potrebbe sembrare un orizzonte fantascientifico, ma già si registrano passi concreti in questa direzione. “Gli impianti cocleari convertono ... le onde sonore in impulsi elettrici e li incanalano nel tronco encefalico, consentendo ai sordi di udire.” Esistono “rudimentali impianti che creano un’interfaccia tra il cervello e il computer” che permettono “ai paraplegici e ai malati di SLA di controllare con la sola forza del pensiero sia il cursore di un computer, sia un arto protesico.” 7 L’ipotesi da considerare è che dei congegni per le memorie esterne non saranno più entità estranee o dati scaricati dalla rete ma estensioni di quelle interne. “Dopo tutto, a queste ultime abbiamo accesso solo fino a un certo punto.” Infatti non pochi episodi della nostra vita, che certamente abbiamo vissuto e immagazzinato da qualche parte del nostro cervello, non sappiamo come trovarli. Quanti saprebbero dire con precisione dove e con chi hanno festeggiato gli ultimi dieci compleanni della loro vita? “Noi occidentali abbiamo la tendenza a pensare al ‘Sé’, l’elusiva essenza della nostra identità, come se avesse dei confini netti... Il fatto è che quell’ “io” è un qualcosa di molto più diffuso e nebuloso di quanto ci piaccia pensare.” Di solito si ha un ricordo confuso delle occasioni ripetitive come nei festeggiamenti. Secondo Ed Cooke ciò succede quando “la festa si svolge in un unico spazio indifferenziato.” Per il suo compleanno allestì la sua abitazione in modo che ogni esperienza fosse unica, vissuta in una sola stanza, isolata dalle altre. E volle che i partecipanti lasciassero la festa con un “repertorio di esperienze.” Tony Buzan fece proprie le tecniche antiche, le sviluppò ed elaborò un metodo per prendere appunti. Definì il nuovo metodo ‘mappe mentali’. Si tracciano linee che congiungono i punti principali ai punti secondari, e così via... “Le idee vengono riassunte con meno parole possibili e, ogni volta che si può, illustrate da un’immagine...” Insomma nella mente più ci sono fatti e idee a disposizione, più si sviluppano nuovi pensieri. “Come Buzan ama sottolineare, Mnemosine, dea della memoria, era la madre delle Muse.” Per creare, inventare, bisogna possedere un apposito armamentario di idee, un inventario, “una banca di idee già esistenti a cui 8 attingere.” Ma non un deposito qualsiasi o un disordinato guazzabuglio, piuttosto “un inventario fornito di un indice analitico: un metodo per trovare l’informazione giusta al momento giusto.” Inoltre, il segreto per progredire nella tecnica di memorizzazione è non inserire subito il pilota automatico; occorre esercitare un certo grado di “controllo cosciente mentre si lavora” per mezzo di tabelle di riferimento. Registriamo anche l’onesta affermazione di Joshua Foer: in realtà, il manuale operativo del cervello di cui Buzan andava alla ricerca negli anni del college non l’ha scritto ancora nessuno; ed è paradossale scoprire che in ogni campo “per acquisire conoscenza è indispensabile possederne già alcune,” (quindi lo specialista appare predisposto ad acquisire più in fretta e in maniera più duratura nuovi dati e fatti utili inerenti alla sua professione); tuttavia “la capacità di cogliere il lato ironico della vita, di stabilire legami tra concetti fino a quel momento separati, di formulare nuove idee, di condividere la stessa cultura sono azioni essenzialmente umane che dipendono dalla memoria.” Antonio Fiorella L’arte di ricordare tutto, Joshua Foer, Longanesi 9