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Gabriel Levi
LAVORARE
PER LA SALUTE MENTALE
IN ETÀ EVOLUTIVA
ARMANDO
EDITORE
Sommario
Presentazione di Laura Bianconi e Benedetto Adragna
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Mozione del Senato della Repubblica
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PARTE I: VERSO UNA PSICHIATRIA DELLO SVILUPPO
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Dove va la Psichiatria dell’età evolutiva?
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Tra Riabilitazione e Psicoterapia
27
Ma quanti anni aveva Pinocchio?:
prevenire i disturbi della personalità prima dei 14 anni
35
Disabilità che vanno, disabilità che vengono: la Corte Costituzionale
fa chiarezza sugli insegnanti di sostegno
41
Nuovi sintomi Vs nuovi racconti in un ambulatorio di
neuropsichiatria infantile
45
Percorsi nuovi per 4 bambini su 100?
53
Disturbi dello spettro autistico: questioni aperte dopo
le Linee Guida 2011
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Bambini e ragazzi in psicoterapia: criteri e progetti per i Servizi Pubblici
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PARTE II: PROPOSTE
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Per una Legge sulla Salute Mentale in Età Evolutiva
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Disturbi dello sviluppo: verso il DSM 5 e verso l’ICD11
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Presentazione
LAURA BIANCONI, BENEDETTO ADRAGNA
Per Aristotele, il primo a darne la definizione, “politica” deriva da polis, il termine greco che sta ad identificare la città, la comunità dei cittadini, da cui ne discende che tutta l’attività di chi fa politica deve avere come orizzonte di riferimento e
destinatario finale il cittadino, portatore di diritti che la politica deve riconoscere
e tutelare. Ma fra tutti i cittadini vi è una categoria per così dire “speciale”, una
categoria i cui diritti vengono prima di quelli degli altri cittadini. Questa categoria
è quella dei bambini, per i quali sul finire del secolo scorso i principali organismi
internazionali e i Governi hanno prodotto importanti provvedimenti volti a colmare una secolare mancanza di attenzione.
È infatti del 1989 la Convenzione dell’ONU sui diritti del fanciullo, ratificata
dall’Italia nel 1991, a cui ha fatto seguito nel nuovo millennio la Convenzione sui
diritti delle persone con disabilità, votata dall’Assemblea Generale dell’ONU il 13
dicembre 2006 e ratificata dal nostro Paese nel 2009.
Ciò che emerge da queste Dichiarazioni è il principio di “superiore interesse
del minore”, specie del minore con disabilità al quale lo Stato deve fornire un’assistenza adeguata a garantire il diritto di uguaglianza con gli altri minori.
Allora dunque, parlare di salute mentale in età evolutiva significa riappropriarsi di quelli che sono i fondamenti stessi della politica e dell’impegno politico,
che deve interrogarsi su quali siano le reali necessità in questo ambito e fornire
la risposta più appropriata. Il generale miglioramento delle condizioni di vita e
cure perinatali sempre più sofisticate hanno infatti diminuito la disabilità di tipo
motorio e sensoriale, ma questo non deve indurre nell’errore che sia diminuita
la domanda di salute mentale. I dati ci dicono che i disturbi dello sviluppo, che
complessivamente riguardano l’8 per cento dei bambini e dei ragazzi, si manifestano tra i 2 e i 18 anni, con una presa in carico da parte delle strutture preposte
che spesso supera i dieci anni. Oggi sappiamo che se affrontati in tempo i disturbi
dello sviluppo possono essere recuperati, evitando di portare nell’età adulta una
sorta di “cronicizzazione” del disagio psichico. Famiglia, scuola e pediatri sono le
sentinelle che per prime possono percepire i segnali di disagio, pertanto occorre
favorire e rafforzare le azioni sinergiche che posso scaturire da un loro “lavoro di
squadra”. Solo così si potrà dar vita ad un’azione di prevenzione nell’ambito dei
comportamenti devianti o a rischio dell’età infantile. Allo stesso modo di quanto
si è fatto per altri tipi di malattie che colpiscono gli adulti, investire nella preven7
zione conviene a tutti, conviene ai cittadini che si vedono garantita una migliore
qualità della vita e conviene anche al Servizio sanitario nazionale che dovrà gestire meno adulti problematici e conseguentemente minori costi (elemento di non
poco conto).
Con molta gratitudine per l’importante lavoro svolto ricordiamo e ringraziamo qui la Società di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (SINPIA),
l’Istituto superiore di sanità, Istituto G. Bollea, l’istituto di ricovero e cura a carattere scientifico E. Medea e l’Azienda sanitaria locale di Modena.
Grazie al loro prezioso lavoro è stato possibile tracciare il percorso sulla governance dei flussi di utenza in neuropsichiatria infantile, governance che è stata
oggetto della Mozione sulla promozione della salute mentale in età evolutiva che
ci vede come primi firmatari e che è stata sottoscritta, oltre che dai Presidenti di
tutti i Gruppi parlamentari presenti in Senato, da oltre 90 senatori.
È stata per noi motivo di grande soddisfazione.
Non è usuale vedere nelle Aule parlamentari una tale comunione d’intenti,
segno evidente che su questo tema esiste la comune volontà di dar vita a percorsi
innovativi e realmente rispondenti alle esigenze della società.
Nella mozione, che è stata anticipata ai ministri Profumo e Balduzzi e all’Istituto superiore di Sanità, in primo luogo si chiede al Governo:
di promuovere il riconoscimento della tutela della salute mentale in età evolutiva
come parte essenziale della salute dell’infanzia, quindi una serie di misure per il
raggiungimento di tale obiettivo, quali l’attivazione di una rete di ricerca clinica
dedicata, la creazione, nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, di Unità operative autonome di neuropsichiatria infantile, l’istituzione, presso il Ministero della
salute, di un tavolo permanente che elabori le linee guida del Programma nazionale
per la ricerca sulla salute mentale nell’infanzia e nell’adolescenza da presentare annualmente, per il parere, alle competenti Commissioni di Camera e Senato.
La politica, che a volte (e forse a ragione) viene accusata di essere lontana dai
problemi dei cittadini, ha dimostrato che quando si mettono da parte gli steccati
ideologici la visione delle problematiche riesce a integrarsi perfettamente con la
scelta delle priorità a cui dare attenzione e così si riescono a raggiungere obiettivi
importanti per la sua mission fondamentale: migliorare la qualità della vita.
E da ultimo ci sia consentito uno speciale ringraziamento al Prof. Gabriel
Levi, Ordinario di Neuropsichiatria dell’Età Evolutiva ed erede, come Direttore
dello storico Istituto di Via dei Sabelli, della grande scuola fondata dal compianto
Giovanni Bollea. A Gabriel Levi va il merito di aver dato l’input sia all’iniziativa
parlamentare sia a questa pubblicazione. In entrambi i casi si è fatto riferimento e
si è ampiamente attinto ai suoi studi e alle sue ricerche.
Ci piace, concludendo, segnalare come ci abbia particolarmente colpito quella
frase detta in una sua intervista in cui così ammoniva: «qualunque misura venga
adottata in campo legislativo, e in generale qualsiasi decisione venga presa in ogni
settore della società, questa deve tener presente che l’interesse del bambino è supremo, quindi prevalente su qualsiasi altro».
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Dove va la Psichiatria dell’età evolutiva?
La psichiatria dell’età evolutiva si trova davanti ad alcune scelte, ancora abbastanza aperte, che è importante esaminare ed affrontare, per non arrivare, comunque, impreparati.
Queste scelte possono essere interpretate e vissute come imposizioni esterne
che ci vedono passivi. Oppure come sfide culturali e scientifiche, che ci debbono
vedere come propositivi e attivi.
Vediamo, prima di tutto, quali sono le aree di discussione, su cui si dibattono e
si delineano queste esigenze di scegliere una prospettiva ed una strategia.
Elencandole nell’ordine: 1) nosografia e prognosi di psicopatologie dello sviluppo; 2) modelli operativi tra neuroscienze e scienze del comportamento; 3) formazione professionale specifica e cornice della presa in carico; 4) formazione degli
studenti in medicina, psicologia, in riabilitazione.
Su tutte queste problematiche, che sono fortemente correlate l’una con l’altra,
pesano alcuni luoghi comuni, che creavano ipotesi di lavoro innovative trent’anni
fa ma, che, perdendo la loro forma euristica, tendono a diventare pregiudizi ideologici, piuttosto che prassi decisionale: “il bambino è uno e va visto globalmente”
“l’unità mente-cervello è una realtà clinica” “socializzazione ed apprendimento sono
due facce della stessa medaglia” “la scuola non è un ambulatorio o una corsia” “la diagnosi precoce e la diagnosi eziologica hanno la precedenza assoluta”. Sono tutte verità. Ma
quando diventano dogmi hanno meno riscontri di quanto dovrebbero nella storia
sanitaria e psicologica di molti bambini con problemi.
Cercheremo di sviluppare la nostra analisi, tenendo ben presenti due alternative che, secondo noi, sono complementari nel lavoro di progettazione: 1) una
politica sul singolo bambino con difficoltà presenti, emergenti o in incubazione;
2) una politica sulle casistiche cliniche, mentre crescono e si muovono nella società dell’infanzia. Quando prospettiamo una politica che riguarda una popolazione
clinica complessa, dobbiamo aver presenti le ricadute che ci potranno essere sui
singoli bambini. Quando elaboriamo un progetto terapeutico individuale, dobbiamo ben conoscere gli spazi di mobilità che esistono nei Servizi e nelle Istituzioni.
Nosografia e prognosi in età evolutiva
Ci sono voluti più di vent’anni per far accettare a tutti gli operatori della Salute
Mentale in Età Evolutiva l’idea che una diagnosi dichiarata è la premessa necessaria ed indispensabile per una proposta terapeutica vincente. In realtà questa
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prassi è diventata obbligatoria per le pressioni del Sistema Sanitario Nazionale e,
per quanto concerne la certificazione delle Disabilità, per le esigenze degli Uffici
Scolastici Regionali.
Tant’è che la rigidità, vera o apparente, degli schemi diagnostici imposti (sia
quelli dell’ICD-10 sia quelli spesso usati in maniera indiretta del DSM IV R) si
sente tuttora moltissimo. Perché le“nosografie” vigenti sono parte di una cultura,
e di un lavoro preparatorio, che non appartiene alla nostra cultura. Perché sinora
le caselle nosografiche sono state in prevalenza utilizzate proprio nei loro aspetti
rigidi e vincolanti (cfr Asse I) e molto meno nei loro aspetti flessibili ed aperti al
cambiamento (cfr Asse II).
Queste limitazioni che risultano abbastanza evidenti, possono essere provvisorie e possono essere superate dagli eventi per due ordini di fenomeni. Perché le
schede che vengono riempite senza una reale convinzione e senza delle ipotesi
di verifica prognostica, risultano essere molto vulnerabili e falsificabili, nei tempi
medi, se non nei tempi brevi. Perché l’aver adottato un sistema di rilevazione ha
comunque messo in moto dei processi di raccolta, elaborazione, controllo, approfondimento delle diagnosi cliniche, dei dati che le supportano e della rete epidemiologica emergente.
A questo punto si pone la vera sfida sulla nosografia e la vera scommessa sul
rapporto tra nosografia e prognosi. Sia perché, in età evolutiva, una diagnosi psicopatologica che non sia una diagnosi prognostica ha un valore molto vicino allo
zero. Sia perché la diagnosi prognostica rende necessaria la verifica nei tempi
brevi (sei mesi/due anni) e rilancia inesorabilmente la questione della continuitàdiscontinuità dei disturbi psicopatologici dalla prima e seconda infanzia all’età
adulta, passando attraverso il crogiuolo confusivo dell’adolescenza.
Come ben noto, il problema della diagnosi nosografica è stato un problema
gordiano, per la psichiatria in generale, per alcuni aspetti da quasi cento anni e per
altri aspetti da circa quarant’anni.
Il primo approccio, quello di Bleuler, si poneva degli obiettivi molto forti: a) distinguere con chiarezza normalità da patologia; b) indicare dei segni patognomici
per quadri clinici veri; c) indicare un momento eziopatogenetico come specifico;
d) ipotizzare un ragionevole isomorfismo tra cause biologiche e sindromi psicopatologiche.
Nonostante il taglio positivistico, questo approccio cercava di dare una notevole attenzione alla dimensione antropologica, alla realtà delle differenze psicologiche individuali ed al rapporto tra comportamenti e vissuti. Probabilmente
queste esigenze erano molto sentite, ma venivano filtrate, anche nel vocabolario,
dai modelli filosofici dominanti. Prima che ci fosse una riflessione sulla filosofia
della scienza, sulla filosofia della mente e sui loro particolari rapporti.
Il secondo approccio, quello anglosassone più empiristico e nelle sue diverse
accezioni inglese e statunitense, prendeva di petto la questione di una tassonomia
basata meno sulle strutture (come quelle linneiane) e più sulle funzioni (come
quelle etologiche). I punti critici innovativi erano speculari al precedente approccio: a) considerare il continuum tra normalità e patologia e, quindi, indicare come
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relativi i punti di rottura delle patologie rispetto alla normalità; b) indicare delle
costellazioni probabilistiche, piuttosto che dei segni patognomici di una sindrome; c) prevedere una lenta esplosione statistica (attraverso l’analisi fattoriale) delle
sindromi comportamentali ed agganciare l’indicazione eziopatogenetica a piccole
casistiche sicure; d) sospendere la questione dell’isomorfismo mente-cervello (o
neurobiologico-comportamentale) accettando il concetto allportiano di autonomia funzionale di comportamenti devianti stabilizzati.
Le numerose revisioni di questi grandi sistemi nosografici sono giustificate
da un dibattito imponente che si basa sulla raccolta di un universo campionario
unico e sulle modifiche proteiformi dei cluster via via individuati. Vale la pena
semplificare, con un colpo d’occhio a zoom, le linee critiche vettrici di questo
dibattito, in particolare per quello che riguarda l’età evolutiva:
a) per ogni casellario nosografico proposto si è scoperto che la maggior parte
dei casi noti stanno a cavallo tra due o più caselle e non al centro di una
casella; questo dato più che evidente è interpretato o come una conseguenza di comorbidità plurime o come inspiegabile devianza transnosografica;
b) i sistemi nosografici indicati sono stati preparati per ricognizioni epidemiologiche preliminari; proprio per la definizione di cluster comportamentali,
il fattore gravità del quadro non è considerato come determinante e quindi,
per definizione, esistono delle aree di sovrapposizione tra popolazioni cliniche e popolazioni infra-cliniche o pre-cliniche;
c) la nosografia dei disturbi psicopatologici in adolescenza ha un suo repertorio specifico; fermo restando che sempre più le definizioni temporali di
adolescenza sconfinano facilmente verso la preadolescenza (o l’adolescenza
biologica) e ancor più verso la giovane età adulta;
d) la nosografia dei disturbi psicopatologici per la fasce d’età inferiori ai 12
anni (e specialmente per la fascia di età che va dai 5 ai 12 anni) è ancora costituita su criteri adultomorfi e tiene poco conto della dimensione evolutiva
e cioè della patomorfosi collegata con le fasi dello sviluppo. Vale a dire: non
esiste una distinzione utile e affidabile tra le nebulose del disagio psicologico, le costellazioni di sintomi che si stanno aggregando più o meno stabilmente e le sindromi cliniche che hanno una relativa autonomia funzionale.
Tutti questi nodi critici sono resi più complicati da un paradosso ormai storico.
Da una parte continuiamo a pensare che nei primi tre-quattro anni di vita si consolidano le strutture psicologiche relazionali fondamentali ed i punti di massima
vulnerabilità psicopatologiche a lungo termine. Dall’altra parte abbiamo pochissime evidenze sulla continuità psicopatologiche specifiche e lineari dei disturbi da
una fase dell’età evolutiva alle successive.
Pensiamo di sapere quali continuità esistono fra il primo mese di vita e l’età
adulta. Non sappiamo dimostrare con certezza la continuità psicopatologica che
esiste fra il secondo anno di vita ed i sei anni.
È su quest’area che si gioca il futuro della ricerca nel campo della salute mentale in età evolutiva. Sappiamo che il disagio psicologico ha una sua continuità nel
corso dello sviluppo psicologico. Sappiamo che questa continuità non è specifica e
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che la comorbilità in successione (passaggi da un quadro clinico ad un altro quadro clinico abbastanza differente) è più la regola che l’eccezione in età evolutiva.
Dobbiamo ancora costruire un modello che spieghi questa straordinaria patomorfosi non soltanto in termini di attese probabilistiche, ma anche in termini di anelli
patogenetici collegati funzionalmente e quindi più prevedibili e più prevenibili.
Modelli operativi: scienze del comportamento e neuroscienze
La relativa debolezza delle nosografie psichiatriche in età evolutiva sta spingendo verso un vero e proprio rovesciamento di prospettiva. Il rapporto tra fenotipi comportamentali e modelli patogenetici può essere studiato da due punti di
vista, uno dei quali è stato abbastanza trascurato. I modelli patogenetici (con le
diverse griglie genetica, neurofisiologica e neuropsicologica) possono consentire precisazioni nosografiche sempre più utili per le scelte terapeutiche, anche se
questo orizzonte si sta rivelando più lontano del previsto. Dall’altra parte, l’individuazione di fenotipi comportamentali meglio caratterizzati (e più accessibili al
riconoscimento operazionale) offre un’occasione veramente nuova. Il confronto
diagnostico-prognostico tra fenotipi comportamentali può consentire: la ricostruzione di anelli patogenetici diversificati; la ricostruzione di percorsi evolutivi tipo;
la definizione di modelli multistadio dei disturbi psicopatologici in età evolutiva.
Questo rovesciamento di prospettiva può, finalmente, portare ad una valutazione dell’età evolutiva come una successione di stadi funzionali e di fasi critiche
per la patologia, oltre che per la normalità.
Cerchiamo di definire meglio il senso e la portata di questo rovesciamento di
prospettiva. È molto chiaro cosa significhi, per una medicina basata sull’evidenza,
partire da una chiarezza sull’etiopatogenesi per differenziare gli interventi. Cosa
comporta invece il poter veramente partire da fenotipi comportamentali riconoscibili per
come si muovono attraverso lo sviluppo?
A) È stato sostenuto da oltre cento anni che la base della malattia mentale, in
età adulta, si costituisce in età evolutiva. In quale percentuale da disturbi
psicopatologici clinicamente evidenti e stabilizzati in età evolutiva? In quale percentuale da disturbi psicopatologici che clinicamente sono comparsi
e sono scomparsi in età evolutiva?
In quale percentuale da disagi psicologici che erano evidenti e riconoscibili
ma che, per le loro caratteristiche di indeterminatezza e di incostanza temporale, non sono stati percepiti come clinicamente significativi?
B) Qual è il rapporto di continuità-discontinuità epidemiologica tra sindromi
cliniche definite e Disturbi di Personalità in età adulta? Come si costituisce questo rapporto di relativa permeabilità in età evolutiva? Disturbi
sindromici in età evolutiva possono diventare Disturbi di Personalità in
età adulta? I disturbi sindromici in età adulta possono essere stati Disturbi
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Precoci di Personalità in età evolutiva (vale a dire: in via di condensazione)?
I processi di continuità tra sindromi cliniche definite dell’età evolutiva e
sindromi cliniche definite in età adulta è piccola parte della grande domanda sulla continuità - discontinuità della psicopatologia life span.
C) La nosografia psicopatologica dell’età evolutiva si sta lentamente definendo
ex-novo sui parametri dello sviluppo. La chiave di lettura è: come si trasformano in un processo stabile i disturbi che si organizzano nella vita di
un bambino che si sta sviluppando come persona (come reti affettive e strategie cognitive in continua trasformazione). La permeabilità tra disturbi
sindromici e sviluppo della personalità è una caratteristica determinante in
età evolutiva. I bambini che si vedono prima sono quelli che sindromizzano
prima. I bambini che si vedono tardi sono quelli che rispondono al disagio
psicologico con strategie più generali della persona e della relazione.
D) I fenotipi comportamentali acquistano maggiore spessore e maggiore riconoscibilità se sono osservati, pesati e definiti attraverso questo doppio
parametro. Un disturbo sindromico è un insieme di comportamenti che si
sta organizzando formalmente, in controluce rispetto all’organizzazione di
personalità? Quand’è che un disturbo sindromico si stabilizza acquisendo
una relativa autonomia funzionale (e cioè viaggia da solo)? Quando e come
una organizzazione atipica di personalità riesce a “sciogliere” un disturbo
sindromico, in una modalità di esistere e di vivere realtà rappresentazionali
particolari ma concordate?
E) In aggiunta una notazione sulla ricerca genetica. Genetica Umana e Genetica Medica si muovono su due binari separati e paralleli in Medicina. Per
la Psichiatria i confini sono stati piuttosto confusi. Le basi poligeniche che
si sono via via trovate per diverse costellazioni psichiatriche hanno portato
ad un risultato abbastanza univoco in diverse aree cliniche e precliniche.
La dimostrazione di una realtà poligenica ha portato ad una filosofia degli
Spettri Psicopatologici piuttosto che ad una filosofia delle caselle nosografiche. Spettri Psicopatologici e Spettri Comportamentali sono due aree
ben distinte: esiste una genetica della normalità ed esiste una genetica della
patologia. Lo sviluppo psicologico e lo sviluppo psicopatologico possono
essere definiti meglio da una genetica della vulnerabilità, che può utilizzare
al meglio i dati della cronogenetica ed i dati della espressività e della penetranza genetiche.
In sintesi: una ricerca basata sulla definizione di fenotipi comportamentali che
si definiscono e si trasformano nel tempo, rimette in gioco l’equilibrio tra normalità e patologia, come chiave di comprensione per la nascita del disturbo psichiatrico e come modello per la promozione attiva della salute mentale.
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Presa in carico e formazione professionale
In quale misura la formazione specialistica riflette, in Italia, le esigenze lavorative, che i neuropsichiatri infantili andranno ad affrontare nella rete dei Servizi
pubblici del Sistema Sanitario Nazionale? In quale misura la formazione specialistica mette in grado il futuro specialista a comprendere ed a guidare i cambiamenti del mercato professionale, che dipendono dalle trasformazioni storico-sociali
della clinica? Con quali modalità, l’aggiornamento in Servizi dei Neuropsichiatri
infantili è predisposto da una ricerca continuativa ed orientata su come casi e casistiche rispondono alle diagnosi prognostiche ed alle scelte terapeutiche.
Queste domande sono una formulazione pratica del discorso che abbiamo
sviluppato finora. La casistica cambia e, allo stesso tempo, debbono cambiare i
parametri con cui valutiamo le nuove emergenze della psicopatologia. Se questa
realtà è vera e se è prevedibile che le cose vadano così, in quale misura possiamo
prepararci ad anticipare le nostre capacità di rilevazione, affinando la nostra sensibilità psichiatrica ed utilizzando ogni nuova acquisizione per fare prevenzione
primaria e per fabbricare Salute Mentale?
La storia della psichiatria infantile, in Italia, dimostra che questo discorso è
necessario. Alcune volte abbiamo capito, in tempo, fenomeni nuovi della realtà
psicopatologica. Alcune volte abbiamo capito quello che succedeva troppo tardi.
E adesso? Come stiamo affrontando i conflitti di competenze tra schemi nosografici e casi e casistiche che sembrano sempre di più transnosografici? Quali sono
i passaggi reali che facciamo per passare dalla diagnosi alla terapia? In quale modo
utilizziamo il tanto vantato paradigma dimensionale (che ci dovrebbe far comprendere la persona e lo sviluppo della persona) per correggere i limiti del modello
categoriale (che ci dovrebbe posizionare la persona in una classe di problemi)?
Partiamo dalla constatazione di alcuni dati evidenti e problematici.
A) Pur con le sue difficoltà di organizzazione e di budget, la rete dei Servizi NPIA in Italia, è vasta ed è ben radicata nel territorio nazionale. Le
disomogeneità tra Regione e Regione sono note e non costituiscono un
problema di principio. Partendo da questa premessa, possiamo sottolineare
tre punti: 1) le richieste motivate di ricovero ospedaliero riguardano molto
meno di 10 casi su 100 pazienti (in gran parte addensati sulla domanda di
diagnosi nei primi tre mesi di vita e sulle crisi adolescenziali gravi); 2) la
gran parte degli interessati confluiscono su prestazioni ambulatoriali, che
implicano una presa in carica terapeutica (diretta o presso strutture convenzionate con il SSN); 3) la modulazione degli interventi attraverso strutture
di Ospedale Diurno, che risulterebbero più economiche e più efficaci, non
è ben pianificata nella maggior parte delle Regioni. Il rapporto tra Degenza Diurna e Degenza Ordinaria che potrebbe essere di 4:1 è rovesciato
nel rapporto 1:8. Questa scelta, che ci sembra incomprensibile, determina
una carenza per i processi diagnostici, specialmente di presa in carico, che
riguardano le patologie emergenti tra i 3 ed i 12 anni ed una enorme difficoltà a disciplinare le decisioni di inizio e fine terapia
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B) Tutte le ricerche epidemiologiche fatte negli ultimi 30 anni, dimostrano
che i casi seguiti dai Servizi di Neuropsichiatria dell’Età Evolutiva sono
circa 4 su 100 rispetto alla popolazione in età. Mentre i casi attesi sarebbero
circa 8 su 100 rispetto alla popolazione in età. Allo stesso modo abbiamo
molte evidenze che esiste una popolazione di bambini non segnalata con
chiari problemi sub-clinici o pre-clinici, gestiti alla buona in ambito microsociale. Questa popolazione sembra oscillare tra i 4 ed i 6 bambini rispetto
alla popolazione in età. In sintesi: i Servizi di NPIA seguono 1 bambino su
3 tra quelli che ne avrebbero bisogno e vantaggio.
C) La composizione delle casistiche seguite è fonte di ulteriori rivelazioni.
Circa metà dei bambini seguiti dai Servizi presenta Disabilità-Handicap
(Disturbi Neurosensoriali-Neuromotori e Ritardi Mentali-Comuni Disturbi Relazionali, nel rapporto consolidato di circa 1:4). Circa metà dei
bambini seguiti presenta un misto di disturbi neuropsicologici-psicopatologici (difficoltà scolastiche specifiche ed aspecifiche; difficoltà emozionali e di socializzazione). Le risposte terapeutiche che i Servizi sono
in grado di offrire sono: per circa 60-70 casi su 100, progetti riabilitativi
più o meno specifici e di durata poco prevedibile; per 10-15 casi su 100,
progetti psicoterapeutici o di appoggio psicologico, in gran parte senza
un protocollo definito. Esclusi i casi strettamente neurologici, la proposta psicofarmacologica riguarda circa 5 casi su 100 seguiti. La somma di
questi dati ci fornisce un’indicazione abbastanza chiara sulle esigenze di
formazione dei futuri specialisti in NPI e degli specialisti con meno di 10
anni di pratica.
Formuliamo queste indicazioni in chiave di domanda, per consentire un’autoverifica da parte degli specialisti, degli specializzandi e delle Scuole di Specializzazione.
1. In quale modo la preparazione delle Scuole di Specializzazione riflette la
vera composizione delle domande che le casistiche afferenti (e le casistiche
sommerse) pongono ai Servizi di Neuropsichiatria Infantile, collocati sul
territorio nazionale?
2. Con quale specifica preparazione, i nostri specialisti affrontano l’enorme
richiesta di riabilitazione posta dalla popolazione in difficoltà? Ed in quale
misura Centri di Formazione Universitaria ed Ospedaliera e Centri Territoriali dispongono o stanno elaborando protocolli certi con cui disciplinare
e graduare gli interventi riabilitativi?
3. Con quali nuovi strumenti e con quali interventi programmatici, la neuropsichiatria infantile italiana si sta organizzando per dare una risposta
all’enorme divario che esiste fra psicoterapie offerte e bisogno espresso di
psicoterapie? Esiste in noi una dolorosa consapevolezza che la psicoterapia
in età evolutiva o è un bisogno represso o costituisce un mercato privato
senza nessun controllo o criterio di garanzia?
4. Quale impalcatura dobbiamo ricostruire nella nostra formazione per integrare le premesse della neurobiologia con le probabilità reali della diagno23
si terapeutica? Possiamo collegare meglio l’analisi delle nuove emergenze
psicopatologiche, con la costruzione, faticosa ma necessaria, di un modello
operativo della presa in carico? La verifica dei risultati, rispetto alla diagnosi prognostica non è forse la base di correzione per i propri errori e di
percezione delle novità?
Una confessione positiva: la neuropsichiatria infantile italiana ha una grande
carta vincente, sul piano internazionale. Raccoglie in un Servizio Pubblico, bene
o male, quasi 400.000 minori in difficoltà, con un ventaglio ampio e differenziato
di problematiche e con un follow up lungo e sofferto.
Questa esperienza può essere sfruttata, rispetto a tre obiettivi:
1. costruire un modello di psicopatologia dello sviluppo fondato sul rilievo
sistematico di casistiche specifiche, seguito per oltre 10 anni (da prima delle
Scuole per l’Infanzia sin dopo la Scuola Media Inferiore);
2. unire ed integrare i dati di follow up con quelli sulle storie naturali delle
malattie (esistono le storie naturali?), per individuare gli errori di percorso
e per migliorare la presa in carico, utilizzando la banca dati disponibile, per
perfezionare le diagnosi di sviluppo come diagnosi prognostiche;
3. affrontare sul serio e con decisione politica la questione della popolazione
sommersa e nascosta; la vera sfida che la psichiatria dell’età evolutiva può
lanciare alla psichiatria degli adulti, è nel riconoscimento dei percorsi che
portano alle patologie di personalità; i dati epidemiologici parlano chiaro:
per ogni singolo adulto che presenta problemi psichiatrici sindromici esistono
quattro adulti che presentano Disturbi di Personalità.
Le discipline sorelle e le scelte multiprofessionali
La psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza è nata come una disciplina multiprofessionale.
Sotto due aspetti: 1) l’afflusso dei singoli casi, e delle casistiche, così come il
monitoraggio e la piena integrazione degli interventi, dipende dall’intelligenza
critica dei pediatri, degli psicologi, da docenti e educatori, dai servizi sociali e…,
più di ogni altra disciplina, da medici di altre specialità cui (per conoscenza personale) i genitori si rivolgono; 2) il lavoro quotidiano dei neuropsichiatri infantili
risulta tanto meno burocratico e routinario quanto più esiste una collaborazione
paritetica (con una convergenza su obiettivi, metodi e verifiche) con psicologi
clinici, psicoterapeuti e riabilitatori (neuropsicomotricisti, logoterapisti, fisioterapisti).
Dire che bisogna collaborare è una ovvietà. Individuare le rotelle e gli ingranaggi di una catena collaborativa è abbastanza più difficile.
Cerchiamo di discutere alcuni punti essenziali.
Tempi di segnalazione e tempi di ritorno. La puntualità e la precisione delle
segnalazioni dipende in parte dalla cultura dei segnalanti e in parte da quanta
chiarezza ha il segnalante su cosa succederà prima e dopo la segnalazione. Per sa24
pere che un bambino stanco, senza forza di volontà, poco interessato, un tantino “preoccupone” e qualche volta disforico può essere un bambino depresso, il pediatra deve poter
disporre di un criterio di scelta non impressionistico tra normalità e patologia.
Più di tutto, però, deve sapere le modalità di cura oggi disponibili. Per sapere che
la formula “questo bambino se non parla, parlerà” è vera due volte su tre, ma è dannosissima una volta su tre, il pediatra deve sapere che alcuni comportamenti sono
segnali d’allarme per molte patologie ed anche con meccanismi a miccia lunga.
Per tutt’e due le situazioni indicate deve esserci un sistema regolare di domanderisposte-domande che regoli ed affini le segnalazioni.
Scelte ed integrazioni degli interventi. Un bambino con problemi (con la sua
famiglia) interagisce con molte figure professionali, ognuna con la sua specificità
ed ognuna con la sua autorevolezza. Allo stesso tempo, un bambino con problemi
ha molti bisogni umani essenziali che sono anche indipendenti dai suoi problemi.
Perché un bambino non venga murato dentro il suo disturbo, è necessario che
vengano rispettati tutti i suoi bisogni e che il disturbo venga diluito piuttosto che
concentrato. Ugualmente, è necessario che l’intervento (o gli interventi) specifico venga scelto nei tempi e nelle modalità più ragionevoli ed efficaci. Un solo
esempio: l’intervento psicologico, l’intervento riabilitativo, l’intervento medicopsichiatrico, l’intervento pedagogico non sono degli optional ideologici. Non si
può continuare a discutere tra i diversi professionisti: “se” o “se” come alternative.
Si tratta di bilanciare assieme “come” e “come”. Vale per tutti gli incontri possibili
tra le diverse coppie di professionisti indicati.
Su questo punto gli psichiatri dell’età evolutiva si trovano a camminare sopra
una lastra di ghiaccio molto fragile. Le critiche che riceviamo (e che dovremmo
anticipare con delle autocritiche) sono due. A) i neuropsichiatri infantili vogliono
supervisionare delle pratiche professionali di cui non hanno competenza; B) i
neuropsichiatri infantili tendono ad essere troppo settoriali nei loro interventi ed
usano più la diagnosi che la terapia.
Salute mentale e psichiatria life span. La psichiatria dell’età evolutiva ha un
conto aperto con la psichiatria degli adulti. Molte incomprensioni reciproche e
molti malintesi pesano abbastanza di più rispetto a poche collaborazioni. Qualche esempio storico: A) chi segue sistematicamente i figli dei pazienti psichiatrici adulti? Chi segue i genitori con problemi psichiatrici conclamati dei bambini
seguiti dalla NPI? B) quali sono le diagnosi prognostiche che i neuropsichiatri
infantili possono fare ai 12-14 anni rispetto all’età adulta? Non considerando gli
incidenti anamnestici, quale ricostruzione dello sviluppo di personalità tra i 6 ed i
12 anni possono fare gli psichiatri adulti?
Una psichiatria life-span può nascere soltanto da una psicopatologia dello sviluppo, che sappia ricostruire gli stadi funzionali di ogni disturbo nell’ambito dello
sviluppo di personalità.
Sindromizzazione e diffusione dei disturbi sono le due polarità che regolano i
movimenti, le contrapposizioni, i momenti di rottura e i momenti di riparazione
osservati dalle opposte prospettive dell’Asse I e dell’Asse II previsti dai sistemi
nosografici.
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Si può fare salute mentale senza puntualizzare questa dinamica basilare attraverso cui il disagio psicologico si trasforma concentrandosi in una sindrome
oppure si trasforma diffondendosi in un’organizzazione di personalità?
Il rilievo che la comorbilità psichiatrica riguarda, in età adulta, più di 60 pazienti su 100 è un dato, che va spiegato partendo da queste considerazioni.
Il rilievo che la comorbilità in successione (disturbi diversi su assi psicologici
diversi nell’arco dell’età evolutiva) è un dato che apre un nuovo capitolo alla psicopatologia dello sviluppo.
***
Questa Rivista ha superato, felicemente, i 101 anni. È la più antica Rivista della disciplina, non solo in Europa. È nostra intenzione che questa Rivista rimanga
nella sua tradizione di essere infantile, nel senso di curiosa, aperta e decisa.
Gli obiettivi della nuova serie, che inauguriamo, sono stati abbastanza presentati in questa nota:
1) partecipare regolarmente al dibattito sulla nosografia e promuovere allo
stesso tempo una consapevolezza sulle realtà della transnosografia e sulle
esigenze “dimensionali” dei problemi e dei bambini;
2) lavorare per problematiche piuttosto che per casistiche o per singoli casi
clinici; potenziare la ricerca sui fenotipi comportamentali in rapporto allo
sviluppo, come strada maestra della nostra disciplina;
3) inserire i progressi della ricerca neurobiologica in una precisazione delle
diagnosi, ma con l’attenzione più focalizzata e più sostenuta sulle esigenze
della terapia e della prevenzione;
4) battersi per un riconoscimento della psicoterapia dei bambini nel SSN e per
il potenziamento degli Ospedali Diurni rispetto alle Degenze Ordinarie;
5) battersi per la convalida di tutti i ruoli professionali dell’età evolutiva, con
l’irrinunciabilità di una preparazione specifica per l’età evolutiva;
6) perseguire la costruzione di un modello esplicativo di psicopatologia dello
sviluppo, che studi i disturbi nelle loro realtà multistadiale e nella loro dinamica individualizzata;
7) sviluppare delle collaborazioni regolari, sistematiche, positivamente critiche e convergenti con tutte le discipline sorelle;
8) riaprire il dibattito sulle relazioni che esistono tra comportamenti e vissuti,
anche nei bambini.
In una formula: psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza per salute mentale e
ria-bilitazione.
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