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L’ULIVO E’ DAVVERO D’ORO! VALERIO MASTANDREA SI UNISCE AL CORO NO
TAP SUL PALCO DEL FCE LECCE
04/04/2017
di Annibale Gagliani
Ci voleva questa boccata di umanità, anche se non servirà a niente. Perché se mille
sventurati difendono la propria fibra materna, può essere davvero utile la mano ideale tesa
da un mondo più influente.
L’Ulivo d’Oro è il premio fisico del Festival del Cinema Europeo, quello made nel
sottobosco abbagliante del Barocco, per intenderci. Tale pianta rappresenta l’emblema
cocente di una storia millenaria, costruita da contadini, contadini, contadini e ancora
contadini. Ma ai pochi che governano i molti, di tutto ciò, non frega alcun che, vuoi mettere
con le valigette zeppe di banconote da grosso taglio?
Intanto, tra il Cinema Massimo e l’Hotel Risorgimento della periferia nazionale Lupiae, è
passata la seconda giornata del Festival che celebra la Quinta Arte suonata da
Beethoven. A ricevere l’alloro alla carriera uno dei migliori attori del cinema italico: Valerio
Mastandrea.
Oltre sessantacinque lungometraggi – di cui tre dal fervente sapore internazionale -; Nove
cortometraggi dal gusto piccante della scommessa; interpretazioni romanesche dai
contorni tradizionali a teatro; un piccolo teatro, il “Quatricciolo”, diretto assieme Paola
Cortellesi; Lavori interessanti come regista e produttore – vedi Non essere cattivo di
Claudio Caligari, soggetto che gli ha “scosso l’anima” -; interpretazioni solleticanti in
videoclip musicali e in programmi televisivi di vario respiro. Una carriera piuttosto
movimentata: il meglio è sedimentato nei quattro David di Donatello conquistati grazie ai
ruoli di prim’attore in pellicole come La prima cosa bella, Gli equilibristi, Viva la libertà e
Fiore.
Ma poi sono da segnalare anche ruoli da gregario (ma non secondo piano) in Romanzo di
una strage o Perfetti sconosciuti; certo ci sarebbe ancora tanto altro da citare, poiché è da
più di vent’anni che il roscio ronza intorno ai set.
Parliamo di un lucidissimo esponente della creew filmica capitolina, che riesce a dare ogni
anno una boccata di ossigeno all’altalenante cinema nostrano. Nelle rughe di espressione
di Mastandrea, si cela un universo di puri sentimenti amaramente ironici, ma altresì
umoristicamente dolenti. Maschera di borgata talvolta, faccendiero della Roma bene in
determinate occasioni: il suo stile da decadentismo francese (o realismo superiore del
Russia delle “Notti bianche”) è inconfondibile: un po’ Verdone, un po’ Mastroianni.
Il talento non manca, ma i rodimenti interiori nemmeno: a volte la paura di sbagliare gli ha
fatto perdere qualche treno “eurostar”, ma nemmeno caratterialmente scherza: un giorno
fece perdere le staffe a Spike Lee, not bad!
Però è uno dei nostri migliori alfieri della quinta arte tricolore, curriculum canta, gavetta
suona. Precisamente un esempio positivo per le nuove generazioni che sognano
attraverso la solita pellicola sgranata: iper-critico col suo io, molto umile nella riflessione
sul passato e sul futuro, decisamente onesto
Poi, durante la serata brillantata della premiazione sul palco del Cinema Massimo, ha
indossato il grido imperioso (ma sordo) di un popolo stanco: NO TAP!
Il Salento insorge, anche se il nemico continua ad ignorarlo, e lo munge. Il Salento non
morirà, perlomeno non interamente, anche per il semplice fatto che la cancrena del Tacco
porterebbe poi a quella dell’intero Stivale, e poi dell’intera Europa e poi del mondo nel suo
complesso. Ammazza, penserete voi lettori, Ebbene sì, il globo è un mosso da
meccanismi referenziali e subordinati. Perciò tranquilli, quando cade un ulivo, cari fratelli
salentini, sappiate che per quanto silenziato, il suo rombo estenderà un’eco sapiente a
migliaia di kilometri di distanza. Il dolore periglioso non cade mai nel vuoto.
Intanto bravo Mastandrea, per queste serate di grandi schermi potrai sederti (idealmente)
su una cruenta panca di legno dorato: quella che da Lecce a Melendugno è bagnata da
lacrime, lacrime e lacrime di storia millenaria.