COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere eutanasia, terapia e cura Parere n. 22 del 21 aprile 1998 Eutanasia, terapia e cura Quando si invoca il "diritto a morire", l'orizzonte di riferimento è l'uomo malato, sofferente e inguaribile. L'uomo costretto a vivere quelle "fasi terminali" che la medicina moderna, tesa tra l'impossibilità di cancellare dall'orizzonte medico la morte e l'esigenza di fronteggiarla, ha creato. Di fronte alla totale inefficacia di ogni terapia, nota e sperimentale, la società tecnologica vuole offrire all'uomo un'ultima possibilità di controllo della situazione, che si esprime in duplice, antitetica forma: ritardare o anticipare la morte, secondo tempo e modo voluti dal soggetto in nome del principio di autodeterminazione. Dare la morte è un atto che si discosta dalla logica tradizionale della medicina, sostenerne la legittimità deontologica e la legittimità giuridica impone una sorta di perifrasi per dire l'atto tacendone il senso. Si parla di eutanasia per dire l'uccisione diretta e volontaria di un paziente terminale in condizione di grave sofferenza e su sua richiesta" (Comitato Nazionale per la Bioetica, 1995), ma per attutirne l'impatto emotivo si finisce per aggettivarla. Attiva (o diretta o positiva) per indicare la somministrazione di farmaci che hanno come conseguenza diretta e immediata la morte del paziente; passiva (o indiretta o negativa) in riferimento all'atto di omissione di trattamenti medici. Questa distinzione poggia sulla pretesa differenza tra uccidere (Killing) e lasciar morire (Letting die), dove il "lasciar morire" non va confuso con la scelta di smettere la somministrazione di terapie assolutamente ininfluenti sulla patologia e/o sulla qualità di vita del morente. In realtà, quando il processo del morire è ormai iniziato, inesorabile e devastante, gli atteggiamenti tecnicamente possibili su richiesta del paziente dei suoi famigliari, da parte dei curanti, sono sostanzialmente quattro. Il paziente può chiedere che non si ostacoli il processo del morire ormai inarrestabile (astensione terapeutica), ma che si continui a dargli quelle cure necessarie a non aggravare una situazione già penosa mediante nutrizione, idratazione, prevenzione o cura di piaghe. In caso di sofferenza grave, può domandare e ottenere dal medico la terapia contro il dolore con farmaci adatti a controllare il dolore ma che presentano come effetto collaterale, legato alla necessità di un dosaggio crescente, l'induzione di uno stato di intossicazione con possibile anticipo della morte. La terapia del dolore, che ha già fatto progressi enormi in questi ultimi tempi e che è avviata verso nuovi traguardi farmacologici e chirurgici, permette al malato di vivere l'evento della sua morte in modo meno straziante. Ma il paziente può anche ribellarsi all'evidenza e insistere perché si impieghi ogni mezzo, anche utilizzando apparecchiature meccaniche o artificiali, per sostenere, riattivare o sostituire una naturale funzione vitale (cure di sostentamento vitale), affinché si prolunghi la vita, pur sapendo che qualsiasi miglioramento è impossibile (attuando, dunque, un accanimento terapeutico). Spesso tale scelta è motivata dal timore di essere privato da ogni attenzione medica e psicologica (abbandono terapeutico). COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere eutanasia, terapia e cura Il paziente può ancora chiedere al medico di dargli la morte, direttamente mediante sostanze chimiche (eutanasia) o di aiutarlo compiere da solo quest'ultimo gesto (suicidio assistito). L'atteggiamento attivo del medico che dà il farmaco letale è ciò che viene detto eutanasia attiva, mentre tutti gli altri atteggiamenti vengono, talvolta nella comunicazione pubblica superficiale, racchiusi nel termine eutanasia passiva, benché la terapia del dolore non posso in alcun modo essere compresa nel quadro dell'eutanasia, così come la decisione di sospendere interventi medici che si connoterebbero come accanimento terapeutico. In realtà la dizione "eutanasia passiva" sembra un non senso logico e scientifico, in quanto due sono le possibilità: - o è deliberata ommissione di terapia per anticipare la morte, porre fine alle sofferenze, ed allora è eutanasia attiva; - o è astensione da terapie che sono sproporzionata rispetto alle prospettive di benessere per il malato e alla situazione patologica, volta inesorabilmente la morte, e allora non è eutanasia a nessun titolo, ma azione eticamente auspicabile. Se si continuasse nella terapia, non certo nella cura, si cadrebbe nell'accanimento terapeutico. È utile a questo proposito non dimenticare che una delle cause del nascere della bioetica, dei comitati etici e dei cosiddetti Testamenti di vita o Dichiarazioni anticipate è il timore, diffuso nell'opinione pubblica, di un predominio della dimensione tecnologica, anonima e impersonale nella medicina contemporanea. Il timore che il tradizionale "non c'è più niente da fare", che un tempo consegnava il morente alla famiglia e all'assistenza spirituale, senza peraltro che il medico si sentisse esonerato dalla sua presenza accanto al paziente, oggi si risolve in un abbandono totale. Non più "interessante" per la medicina, che lo ignora nel suo dolore totale, di peso alla famiglia che, presa nel vortice della vita quotidiana o per carenza di affetto, non ha o non trova modo di dedicarsi al familiare morente, il paziente percepisce la sua vita come inutile fardello, di cui solo la morte può liberarlo. In questa di-sperazione, nel senso più profondamente etimologico di assenza di ogni ragionevole speranza di vita umana, si situa, nella stragrande maggioranza dei casi, la richiesta di eutanasia. Non raramente la sofferenza che si vuole evitare non è tanto o soltanto quella del malato, ma quella, o anche quella, del parente che partecipa alle sofferenze senza poter fare qualcosa di utile a parte un’assistenza affettuosa ma generica. Ma anche in questo settore si va per gradi; dal parente affettuoso che non riesce a sopportare la penosa situazione del congiunto malato, al parente o ai parenti, che gradirebbe una soluzione rapida per evitare gli incomodi e le spese dell'assistenza o per entrare anzitempo in possesso dell'asse ereditario. Poiché il nostro ordinamento non prevede l'eutanasia in alcuna forma, la risposta del medico non può che essere negativa. Al medico spetterà invece intervenire evitando di prolungare ad ogni costo la vita del paziente ormai giunta alla fine, astenendosi dalle terapie sproporzionate allo scopo, rispettando l'eventuale volontà del paziente di rifiutare certi tipi di cure, cercando di lenire le sofferenze; insomma, agendo secondi i modi e nei limiti che l'etica e la pratica della sua professione hanno fissato quando si debbano affrontare situazioni di malattia terminale. COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere eutanasia, terapia e cura Ma un’impostazione giuridica della questione non è sufficiente: un malato che richiede l'eutanasia non può essere considerato e trattato come coloro che non la richiedono. Occorre considerare la natura ed il senso della sua domanda. Va tenuto presente, allora, che, come la letteratura documenta, la richiesta esplicita di morte ha spesso un significato letterale, quello al quale il medico non può che rispondere negativamente, ed un significato nascosto. In altri termini, la domanda di morte spesso è soltanto una forma esplicita di domande più profonde che il personale sanitario e familiari hanno il dovere di comprendere per dare loro risposta. In primo luogo la domanda di eutanasia può essere la reazione ad un senso di abbandono provato dal malato: il malato si sente solo di fronte al dolore che prova e alla malattia che vive. In questo caso, la sua domanda va interpretata come una richiesta di aiuto e di ascolto. Spetta al medico non soltanto alleviare le sofferenze, ma anche instaurare un dialogo con il paziente: è il medico, infatti, il primo destinatario della richiesta di eutanasia. In secondo luogo la domanda di morte può dipendere da un senso di inutilità provato dal paziente: la vita gli sembra degna di essere vissuta finchè ha un senso. L’avvicinarsi della morte gli fa pensare di non poter più agire per se e per gli altri, di essere perciò, nella pratica, inutile e che in futuro, luogo nel quale ha spesso proiettato la realizzazione di sè e dimensione necessaria per tutti i progetti umani, ha un limite prossimo. La domanda di morte nasconde allora una richiesta di senso, della quale i famigliari del paziente e il personale curante dovranno tener conto. Il malato che chiede l'eutanasia ha perso il senso del valore intrinseco, dell'unicità, del miracolo della vita, del mistero che ne costituisce il fondamento e che la chiude. Un senso che con l’aiuto determinante di chi gli sta intorno, famigliari e sanitari, potrà forse recuperare. A partire da questa consapevolezza, il Comitato di Bioetica ritiene utile evidenziare il ruolo fondamentale che acquista il rapporto medico-paziente nella cura del malato terminale. Nel momento di crescente tecnologizzazione della medicina, sintetizzato spesso nei mass-media con l'espressione medicina delle macchine, la domanda del paziente di essere ucciso mediante un atto medico sfida la medicina a ripensare la sua natura e la sua finalità. Da sempre il ruolo del medico è stato quello di ripristinare la salute, o almeno controllare la malattia e lenire le sofferenze. Di fronte alla consapevolezza che le fasi terminali sono frutto del progresso medico, la domanda che si fa impellente per il medico è "come devo comportarmi con il mio paziente che vive l'esperienza concreta del morire, affinché lui continui a sentirsi uomo e io attui la mia scelta professionale in piena umanità?". Interrogativo sollecitato dalla stessa domanda di eutanasia da parte paziente, domanda che nella sua radicale ambiguità è domanda di morte e di salvezza. Salvezza nel senso della certezza di una presenza accanto a lui che, competente dell'intervento tecnico, sia anche prossima al suo sentimento di angoscia totale. Il sentimento di progressiva debolezza, l’aggravarsi del dolore fisico, la dipendenza totale dagli altri danno crescente consistenza alla percezione del malato di trovarsi di fronte ad una minaccia per la propria esistenza, minaccia che la medicina non può più controllare. In questo vortice emotivo, angoscia, sofferenza e solitudine si accrescono in un circolo vizioso. COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere eutanasia, terapia e cura La sofferenza, va ricordato, è personale, singolare, per questo difficilmente comunicabile nella razionalità delle parole. In questo stato d'animo l'intervento che il paziente chiede ora al medico non è tanto quello del curare, quanto quello del prendersi cura. Al curare, inteso come intervento medico volto specificatamente al guarire o, quantomeno, al controllo della patologia (to cure equivalente all'ambito del nostro termine terapia), la condizione del morente chiede un completamento dell'atteggiamento sanitario che tenga conto della complessità delle dimensioni umane (fisico-biologica, psichica di spirituale), tutte quante toccate e sconvolte dall'esperienza vissuta della malattia mortale (il to care, equivalente all'ambito del nostro prendersi cura). La presenza del medico diviene così per il paziente garanzia del controllo del dolore totale in cui egli vive, dell'assistenza al sostentamento vitale, dell'assistenza psichica nell'ascolto vero, dell'assistenza spirituale. In altri termini, garanzia per il paziente di non essere lasciato solo di fronte all'esperienza più importante della vita umana, quella del morire; percezione che la sua vita conta ancora per chi l'attornia, tanto che tutte le dimensioni del suo concreto essere uomo vengono prese in seria considerazione da tutta l'équipe curante, nelle sue diverse competenze, quella dell'accompagnamento spirituale compresa. Per questo è importante evitare ciò che purtroppo si verifica tuttora dei nostri ospedali: che il paziente muoia in solitudine, a volte relegato dietro un paravento. Sarebbe auspicabile istituire, se possibile, nei vari reparti, una stanza o posto letto adatti ad ospitare pazienti terminali e/o bisognosi di cure palliative. Questi letti non devono però essere confinati in strutture esclusivamente atte a tale scopo onde evitare che si possano generare atteggiamenti irrazionali e condizioni di isolamento, emarginazione, rifiuto e ghettizzazione. Questa stanza o letto o unità di cure palliative deve consentire il coinvolgimento dei famigliari e di chi è affettivamente vicino al paziente, gli assistenti spirituali, le associazioni di volontariato, etc, cioè di tutti coloro che possono portare un contributo all'assistenza di questi pazienti per aiutarli ad affrontare i loro problemi psicologici, sociali spirituali. E’ basilare un'adeguata formazione del personale sanitario diretta all'acquisizione di attitudini e competenze atte a prendersi cura di questi malati terminali. È inoltre raccomandabile da parte dei sanitari anche la sensibilizzazione dei famigliari a questo nuovo ruolo di umana assistenza. Le cure palliative comprendono oltre alla terapia del dolore fisico, inutile e nefasto perché indebolisce la coscienza, isola il paziente dal suo ambiente familiare e sociale distruggendo la sua dignità, anche il trattamento di tutti gli altri sintomi e complicanze della malattia, il miglioramento della qualità della vita e la lotta contro lo sconforto e la paura, l'assistenza spirituale. La radioterapia, chemioterapia e chirurgia quali terapie possono avere un posto nelle cure palliative, purché i benefici sintomatici con esse ottenuti, siano decisamente superiori agli svantaggi. Nella scelta di queste terapie, va sempre rispettato il diritto del paziente (capace di intendere e di volere) all'autodeterminazione: il diritto cioè di accettare o rifiutare qualsiasi trattamento medico. Infatti si deve evitare che il paziente diventi un oggetto; bensì deve sempre rimanere un soggetto con la sua dignità e potere decisionale fino all'ultimo momento della vita. In questi anni sono sorte associazioni di volontariato per l'assistenza al malato terminale. Queste associazioni devono essere favorite e incoraggiante perché possono collaborare col personale sanitario ed essere di grande aiuto e conforto al paziente ed ai COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere eutanasia, terapia e cura familiari (nella malattia e anche nel lutto), consentendo di attuare quella che è considerata la soluzione migliore per il trattamento di questi pazienti: l'ospedalizzazione domiciliare. Per permettere ciò i reparti e i servizi ospedalieri devono però essere sempre e in qualsiasi momento, se necessario, disponibili per i necessari controlli, medicazioni terapeutiche ed eventuali ricoveri d'urgenza. Dev'essere facilitata, inoltre, l'assistenza infermieristica qualificata, il reperimento dei farmaci, specie gli analgesici centrali, tutto il materiale, le apparecchiature necessarie e, se del caso, supporti economici al malato e ai familiari che se prendono cura. BIBLIOGRAFIA Comitato Nazionale per la Bioetica: Definizione e accertamento della morte dell'uomo, 15 febbraio 1991, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per l'informazione e l'editoria, Roma Comitato Nazionale per la Bioetica: Parere del Comitato Nazionale per la bioetica sulla proposta di Risoluzione sull'assistenza ai pazienti terminali, 30 aprile 1991, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per l'informazione e l'editoria, Roma Comitato Nazionale per la Bioetica: Questioni bioetiche relative alla fine della vita umana, 14 luglio 1995, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per l'informazione e l'editoria, Roma Lamb D., Il confine della vita, Bologna 1987 Di Mola G., Cure palliative. Approccio multidisciplinare alle malattie inguaribili, Milano 1993 De Hennenzel M., La morte amica, Milano 1998 Verspieren P., Eutanasia?, Cinisello Balsamo 1985 DEFINIZIONI ABBANDONO TERAPEUTICO Atteggiamento del sanitario e conseguente comportamento di rinuncia in termini sia di presenza psicologica che di interventi, dinnanzi ad un paziente terminale per il quale un'evoluzione migliorativa del quadro clinico non appare più possibile. ACCANIMENTO TERAPEUTICO "Trattamento di documentata inefficacia in relazione all'obiettivo, a cui si aggiunga la presenza di un rischio elevato e/o una particolare gravosità per il paziente con un ulteriore sofferenza, in cui l'eccezionalità dei mezzi adoperati risulta chiaramente sproporzionata agli obiettivi della condizione specifica).” "Persistenza nell'uso di procedure diagnostiche come pure di interventi terapeutici, allorché è comprovata la loro inefficacia e l’inutilità sul piano dell'evoluzione positiva e di un miglioramento del paziente, sia in termini clinici e di qualità di vita). (Parere del Comitato Nazionale per la Bioetica, Questioni bioetiche relative alla fine della vita umana, 1995).” COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere eutanasia, terapia e cura ASTENSIONE L'astensione terapeutica è astensione dal perseguire terapie che sono sproporzionate rispetto alle prospettive di benessere per il malato e alla situazione psicologica; essa è ininfluente su processo di morte. Coma Stato temporaneo, caratterizzato da assenza di risveglio spontaneo o in risposta agli stimoli esterni. CURA/TERAPIA Cura equivale all'inglese to care, prendersi cura del malato nella sua totalità di persona dei suoi bisogni fisici, cognitivi, e motivi e spirituale; terapia è volta a guarire, inglese to cure. CURE SUPERIORI Sinonimo di cure palliative. CURE PALLIATIVE Trattamento sintomatico con esclusione di ogni trattamento specifico; consistono nell'attenuare i sintomi di una malattia senza agire sulla causa. "Le cure palliative si propongono, come primo obiettivo, il mantenimento di un’accettabile qualità di vita anche nella sua fase terminale; in tal senso appaiono come la migliore risposta possibile alla richiesta di eutanasia. ... Le cure palliative non si propongono di prolungare ad ogni costo vita del paziente, e in tal senso si oppongono efficacemente al rischio di "accanimento terapeutico"; ... le cure palliative costituiscono la risposta più adeguata e completa ai numerosi bisogni assistenziali dei malati senza speranza di guarigione e le loro famiglie (nucleo sofferente)." (Parere del Comitato Nazionale per la Bioetica, Questioni bioetiche relative alla fine della vita umana, 1995). ESTREMO DELLE CONDIZIONI UMANE "S'intende la fase terminatale, per cui l'impegno delle terapie posticiperebbe la morte ma non potrebbe recuperare la vita". EUTANASIA "Intervento medico attivo al fine di interrompere la vita quando il paziente lo chiede espressamente" (dal Documento sull'eutanasia approvato il 1 giugno 1994 dal Parlamento dello Stato olandese) "... ci sono situazioni in cui Medico e paziente non vedono altra via d'uscita che un'accelerazione del processo agonico .... Persone malate non dovrebbero trovarsi vari nella situazione di sentirsi con un peso per gli altri e quindi costretti chiede che si ponga fine alla loro esistenza" (documento del Governo olandese sull'eutanasia 9 febbraio 1993, pubbl. in Medicina e Morale 2 (1993), pagg. 446 e 448 MORTE CEREBRALE Perdita irreversibile completa della funzionalità dell'intero encefalo. OMISSIONE L'omissione di terapie che possono ancora agire sulla patologia e che è causa di morte. COMITATO ETICO ASL2 SAVONESE Parere eutanasia, terapia e cura STATO VEGETATIVO PERSISTENTE (SVP) "Stato di incoscienza permanente ad occhi aperti, nel quale il paziente ha periodi di veglia e cicli sonno/veglia fisiologici, ma non è mai consapevole di sè, né per l'ambiente circostante ... dovuto ad un tronco cerebrale funzionante in presenza di perdita totale delle altre funzioni cerebrali". (Parere del Comitato Nazionale per la Bioetica, Questioni bioetiche relative alla fine della vita umana, 1995). È una condizione cronica. TENACIA TERAPEUTICA "Atteggiamento e conseguente comportamento medico, che, in presenza di possibilità ragionevoli di un'evoluzione positiva del quadro clinico e di un miglioramento della qualità di vita del paziente, continua nella ricerca nell'uso di tecniche diagnostiche e di strumenti terapeutici, senza limitarsi alla propria conoscenza ed esperienza, ma ricorrendo a persone o centri dotati di una più vasta casistica, aggiornamento e specializzazione" (Parere del Comitato Nazionale per la Bioetica, Questioni bioetiche relative alla fine della vita umana, 1995). Savona, 21 aprile 1998 Componenti del Comitato Etico Parere n.8 del 21 aprile 1998 Marensi Lorenzo Pregliasco Paola Lombardi Ricci Mariella Ebbli Carlo Becchino Franco Colantuoni Giovanni Spineto Natale Voersio Gabriella Coordinatore Vice Coordinatore Bioeticista Medico anestesista rianimatore Giurista Medico di Medicina Generale Filosofo Segretaria verbalizzante