Untitled - Garfagnana Identità e Memoria

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C D
dizionario garfagnino
DA’ ~ trans. Pres. indic. io do...noi diàn
(diàm dachiàn, dachiàm); pass. rem. io
détti (dacétti, diédi), tu désti (dacésti), egli
détte (diéde, dacétte, dié, déce), noi déttimo
(démmo, dacémmo, dacéttimo, dòmmo), voi
déste (dacéste), essi déttero (diédero, dacéttero, déttino, dònno); cong. pres. (che) io dia;
imperf. (che) io déssi (dassi)…(che) noi déssimo (dàssimo), (che) essi déssero (dàssero,
dàssino, déssino); imperat. dà, dia, diàm,
date, dìano (dìino); inf. dà.; part. pass.: dato
(spesso datto). Il verbo non è diverso, per
significato ed impieghi, dall’italiano ‘dare’.
Lo si riporta tuttavia per la singolarità della
coniugazione e per sottolineare come sia
verbo utilizzato dal dialetto (di sua natura
tendente a semplificare) con grande frequenza, anche al posto di altri verbi, certamente più esatti e precisi, impiegati dalla
lingua italiana con riferimento a circostanze
e situazioni particolari; così da’ verrà usato
al posto di ‘consegnare, trasferire, offrire,
prestare, affidare, somministare, porgere,
vendere, fruttare’ ecc. Caratteristico è l’impiego del verbo da’ nel significato di ‘colpire, far forza’ ed anche ‘sostenere, aiutare
fisicamente qualcuno’ (cfr. Santini, Storia
vera, 49 il quale racconta di un pettirosso
che aveva fatto il nido nel buco di un castagno e qui un cuculo aveva deposto un suo
uovo perché venisse covato dalla pettirossa.
Ma, al momento di uscire dal nido e volar
via, il cuculo, troppo grosso, non riusciva
a passar dal buco; l’altro uccelletto allora
aveva provato ad aiutarlo, ma invano… per
cui, visti inutili i suoi sforzi con il becco, j
dèva anco cun l’ale).
Semplice individuarne la derivazione
etimologica dal lat. dare.
DACA’ ~ trans. Dare. Vecchia forma del
verbo da’ di cui son rimaste, quantunque
ormai poco usate, le voci daco, dachi, dachiàn, dacéte, dacévo (dacéo), dacéi, dacésti,
dacétte, dacémmo, dacéste, dacéttero.
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DA’ DI NASO ~ locuz. idiom. garf. Non
gradire, risultare molesto, così di persone
come di cose (specialmente di vivande)
che risultino sgradevoli (cfr. Pennacchi, Il
Togno al Mercato Comùn, 117: “…ci servinno un vassoio pién d’intruji / che ji dette di naso anco il Guidugli / che quand’ha
fame ’un guarda tanto al fin”).
DA’ IL GALLO ~ locuz. idiom. garf.
Prendere, a torto, le difese di qualcuno,
specialmente di un fanciullo, quando venga giustamente rimproverato o castigato.
DAMO ~ s.m. Fidanzato, corteggiatore.
Il vocabolo, non frequente in Garfagnana,
sta entrando lentamente nell’uso, trasportato da altre zone della Regione, in specie
dalla piana lucchese e dalla Versilia.
Più che dal lat. dominus, si tratta di
vocabolo derivato dalla trasfomazione in
genere maschile del franc. dame ‘dama’,
questo effettivamente derivante dal lat.
domina.
D’ASCOGE ~ locuz. avverb. Di nascosto.
L’espressione è inclusa, con questo significato, nella raccolta del maestro Poli.
DAVÉRO ~ avv. Veramente, sul serio,
effettivamente. Normalmente ha un significato affermativo e rafforzativo (hai fatto
davero una bella figura!), tuttavia, specie
se usato in tono interrogativo, dà alla frase un senso dubitativo (ma davero sei ito
a fungi?). (Bonini, Un fil di speranza, 32:
“Gnanco m’api abbandonata nun lo penso
per davero”. Santini, I Pionieri, 74: “Ero un
sincero moro / ma or moro davero / perché son nato nero / Viva la lipertà”).
DÈCIMA ~ s.f. Letteralmente era l’im-
posta del dieci per cento che si pagava alla
Chiesa sui frutti dei terreni; per estensione
ha poi preso il significato di ‘balzello, im-
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posta o tassa che debba versarsi sul reddito’. Il termine è ormai quasi abbandonato
dal linguaggio comune e viene ancora utilizzato con senso scherzoso.
Femm. sostantivato dell’agg. decimo,
voce dell’ amministrazione pubblica e della Chiesa (Battaglia, IV, 79).
singolarità che presenta nel linguaggio dialettale garfagnino allorchè viene impiegato
nella forma diminutiva nella quale perde la
e, sostituita dalla i (Bonini, Primo fijolo, 65:
“Ha già spunto, figùriti, i dintini”).
Dal lat. dentem, accusat. di dens ‘dente’.
DÈNTE (DÈNTE DI LEÓN) ~ s.m. Ta-
DELICATÉTTO (DILICATÉTTO) ~
agg. Diminutivo di delicato, ma con significato leggermente dispregiativo, come di
persona pignola, lamentevole, preoccupata in modo eccessivo della propria salute.
DELIGUÈNTE ~ agg. e s.m. Delinquen-
te. Il vocabolo assume però normalmente
un significato bonario, senza il valore negativo che ha nella lingua italiana.
Dal. lat. delinquere ‘venir meno al dovere’.
DEMÒGNO ~ s.m. Demonio, diavolo.
(Bonini, El cuntadìn del curato, 46: “Se
attinissino, almén, porco demogno!”). In
senso figurato persona cattiva, malvagia.
Nel lessico familiare si usa in tono scherzoso per indicare una persona vivace ed
irrequieta (il mi’ fiolo più cicco ’un istà mai
fèrmo: è propio un demogno!).
Dal gr. daìmon ‘essere soprannaturale’
corrispondente al genius dei Latini, dunque ‘spirito buono e propizio’. Solo in seguito ha assunto anche il senso di ‘cattivo
genio, spirito maligno’, divenuto quindi il
solo significato della parola nel linguaggio
comune, per l’influsso della religione cristiana, nella quale il demonio è lo spirito,
l’essenza stessa del Male.
DENTALÓN ~ s.m. Persona con i denti
sporgenti.
DÈNTE ~ s.m. Segnaliamo questo vocabolo, identico per suono e significato al
comune termine italiano, per ricordarne la
raxacum officinalis. Pianta delle composite
detta anche piscialletto per le sue proprietà
diuretiche, o soffión per la sfera bianca di
semi attorno al capolino dello stelo che si
disperdono soffiandovi sopra (ved. infra
soffión 2).
DéPITO ~ s.m. Debito. Quanto è dovu-
to, somma di denaro che si ha l’obbligo di
restituire; dovere morale di riconoscenza
(Bonini, La noscia fin, 21: “Ne’ depiti ci
siam fino ai capelli!”). La sostituzione della p alla b dell’italiano va ormai scomparendo.
Dal lat. debitum derivato dal verbo
debère ‘dover (fare), esser debitori’.
DERÈSTO ~ avv. Del resto, d’altronde,
d’altra parte, peraltro (Pennacchi, Il miccio e il cunijoro, 25: “Deresto anche tra loro
fan compagno / ij omi”).
DESERTO ~ s.m. Più che nella comune accezione italiana di ‘zona arida, senza
vegetazione’, nel dialetto garf. il vocabolo
viene inteso come ‘luogo privo di abitazioni’. La parola è contenuta nella Leggenda del ginepro raccolta da Venturelli, 221:
“…capanne nun ce n’èra, case gnanco
a parlanne. C’erin solo de’ boschi, delle
macchie…il deserto inzomma”.
Dal lat. desertus, part. pass. di deserere
‘abbandonare’.
DESINA’ (DISINA’) ~ intrans. Coniuga-
to come ama’. Pranzare, consumare il pasto principale della giornata che, per tra201
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dizione antica, era quello di mezzogiorno.
La parola è usata a volte anche come sostantivo (nel senso di vitto), ma in questo
caso, il vocabolo ritrova la forma completa
e non tronca: (qual è oggi il nostro disinare
(desinare)?. Cfr. Santini, Elezioni amministrative, 29 dove desinare è usato sia come
voce verbale che quale sostantivo: “Va bèn
cun bèn; andiam pure a votare, però, se
adesso desini a ricotta / e a neccia vecchia,
questo desinare, / credi, nun cambia gnanco cun la lotta”.
Dall’ant. franc. disner (Devoto-Oli,
677) a sua volta derivato dall’unione delle
parole latine dis avente funzione privativa
e jejunium ‘digiuno’, letteralmente, dunque, ‘interrompere il digiuno’.
DESINARE (DISINARE) ~ s.m. Pran-
zo, il pasto principale della giornata, tradizionalmente, specie in passato, quello
di mezzogiorno. Come si è visto sopra, in
italiano il vocabolo ‘desinare’ indica sia il
sostantivo (‘ciò che si mangia’) sia il verbo
(‘mangiare’, consumare il pasto di mezzogiorno’), mentre il dialetto garf. presenta
due vocaboli differenti, sia pure di poco
(desina’ è il verbo; desinare, non troncato,
il sostantivo).
DÉSTO ~ agg. partic. Sveglio. In italiano
usiamo i vocaboli ‘destato’ e ‘desto’ con accezione lievemente diversa: il primo indica
il passaggio dalla stato di sonno a quello di
veglia, il secondo semplicemente lo stato
di veglia. In garfagnino, atteso che il part.
pass. spesso semplifica la desinenza ato in
o, la precisazione è meno avvertibile. È vero
che destato si usa abbastanza di frequente
nel senso sopra indicato, ma è anche vero
che desto viene regolarmente utilizzato per
entrambe le accezioni esposte. Inoltre desto può assume anche il significato traslato
di ‘persona dall’intelletto pronto, vivace’
che destato non conosce.
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Dal lat. de ed excitare ‘chiamare, indurre ad alzarsi’ (D’Arbela, Annaratone,
Cammelli, 376).
DÉTO ~ s.m. Dito. Odorico Bonini ci
fa sapere che questa è la variante vocalica
della zona di Sillico. La parola − che nel
dialetto garf. comune è identica, anche
per suono, all’italiano ‘dito’ − deriva come
quest’ultima dal lat. di(gi)tus (Devoto-Oli,
738).
DI’ ~ trans. Indic. pres. io dico…noi di-
ciàn (diciàm, dichiàn, dichiàm) essi dicono
(dichino); pass. rem. io dicétti (dissi), tu
dicésti, egli dicétte (disse), noi dicéttimo
(dìssimo, dicémmo), voi dicéste, essi dicéttero (disséro, dicéttino, dìssino); cong. pres.
che io dica...ecc; cond. io diréi (dirépi) ecc;
imperat. di’; part. pass. ditto. Come già si
vide a proposito di da’, si tratta di verbo
che non presenta grandi differenze di significato e di utilizzo rispetto al verbo
italiano ‘dire’. Lo si riporta non solamente
per la particolare coniugazione, ma anche
perché, proprio come da’, è verbo comunissimo ed impiegato dal dialetto anche
in molti altri casi in cui la lingua italiana
utilizza verbi più specifici e precisi (così
di’ verrà usato al posto di ‘parlare, pronunciare, confidare, esprimere, comunicare, significare, rivelare, spiegare’ ecc.). In
forma impersonale significa ‘corre voce’ (si
dice che il procaccia sia ito in pensión). Con
precisione il maestro Nello Guido Poli ricorda la singolare accezione che presenta
il verbo di’, quando è unito a fa’: ’un mi fa’
(’un fatimi) di’ significa ‘sta’ (state) zitto,
non farmi (non fatemi) parlare, non farmi
(non fatemi) aprir bocca’.
Dal lat. dìcere.
DIACCÈRA ~ s.f. Ghiacciaia, luogo ove
si conserva la neve e il ghiaccio. Luogo
freddissimo. Locale o mobile adatto (per
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il freddo intenso che vi si produce o che è
in grado di mantenere) alla conservazione
di cibi e bevande (Pennacchi, Il Togno e la
Garfagnana moderna, 90: “In casa c’ènno
le televisioni, / diaccère, macchinette per
lava’ / che per fa’ le faccende e argoverna’ /
basta esse boni a spinge d’i bottoni”).
Per l’etimologia di questo e degli altri
vocaboli con la stessa radice ved. infra
diaccio.
DIACCIATO ~ agg. Ghiacciato, ma anche freddo come il ghiaccio (il letto è freddo diacciato). Mentre il sostantivo diaccio
si usa quasi in alternativa a ghiaccio, diacciato nel linguaggio dialettale è assai più
comune di ghiacciato.
DIACCIO ~ s.m. Ghiaccio. Anche nel
significato traslato di ‘freddo pungente’. Si
usa peraltro, soprattutto nelle espressioni
figurate, anche il vocabolo ghiaccio identico all’italiano, di cui il termine garfagnino è mera variante fonetica (Bonini, Una
doppo l’altra, 63: “Io mi domando se nun
j pare assa’/ dopo el tremoto…/ volecci
anco col diaccio ruvinà”). Odorico Bonini
ci informa che nella zona di Sillico la parola suona biaccio.
Dal tardo lat. glacia per il class. glacies,
‘ghiaccio’.
DIÀOL ~ s.m. Diavolo con caduta della v
intervocalica e dell’ultima vocale.
DIAVOLÈRO ~ s.m. Baraonda, chiasso,
confusione, stramberia rumorosa.
DIBISCIASSI ~ rifless. Coniugato come
i verbi in ‘cia’’. Divincolarsi, contorcersi, in
specie a causa di violenti dolori addominali.
Il verbo contiene, all’evidenza, nella
radice la parola biscio ‘serpente’, tipico animale che si muove contorcendosi.
DIBROCCA’ ~ trans. Coniugato come i
verbi in ‘ca’’. Levare i brocchi, i ramoscelli, lungo un ramo che in genere si è deciso di adottare come bastone o calocchia
(ved. supra). Comune anche la variante
disbrocca’.
DICENDOLE ~ s.f. plur. Chiacchiere. Il
vocabolo è così attestato da Guido Nello
Poli nella sua raccolta di parole tipiche del
dialetto della Garfagnana.
DICENNÒVE ~ agg. num. card. Diciannove; come dicessètte (ved. infra). Il cambiamento del dittongo ia in e potrebbe
trovare la sua ragione o in motivi eufonici,
o, con maggior probabilità, in una diretta
derivazione dal lat. non class. decem ac (et)
novem (Battaglia, IV, 356).
DICESSÈTTE ~ agg. num. card. Diciassette, come dicennove per diciannove.
Etimologicamente, come per dicennove,
occorre rifarsi o a ragioni eufoniche o, più
probabilmente, al lat. non class. decem ac
(et) septem (Battaglia, IV, 357).
DIDIRE ~ s.m. indecl. Nota Nieri, 68:
“è’ frase comunissima far per un didire,
così per un didire”. L’espressione si ascolta
anche in Garfagnana, quando si vuol alludere a qualcosa che si fa o si dice senza
uno scopo determinato, prefissato o particolare.
DIFERÈNTE ~ agg. e avv. Differente,
diverso per forma e quantità. Part. pres.
del verbo diferi’, ha assunto ormai un prevalente valore di aggettivo. È usato anche
come avverbio nel senso di ‘diversamente,
in altro modo’ (’un si pole fa’ diferente).
Dal lat. differre ‘portar in giro’ e quindi,
con evoluzione di significato, ‘portar più
in là’ e, per estensione, ‘portare un segno
di distinzione, esser diverso dagli altri’.
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DIFERÈNZA ~ s.f. Differenza. Diversità,
varietà rispetto ad un’altra persona o cosa.
Nel dialetto della Garfagnana è comune
l’eliminazione della consonante doppia
(tera, guera, core), così come è comune la
duplicazione di consonanti semplici (avvanza’, valligia).
DILADDILÌ ~ avv. Più o meno da quelle
parti. Là intorno. Vocabolo di sua natura
generico, meno preciso rispetto a lì (che fa
riferimento ad un luogo esattamente individuato). Diladdilì è usato spesso al posto
dell’analogo laddilì ad indicare un qualcosa che trovasi più o meno nel posto o nel
luogo indicato.
DI LUNGO (DILUNGO) ~ avv. Senza
fermarsi. Avanti, innanzi. Si sente spesso
associato al verbo tira’ nel senso di proseguire senza fermarsi (dai, tira di lungo!).
Mancando una codificazione scritta del
dialetto della Garfagnana, non sappiamo
precisare se l’espressione consti di un unico vocabolo o di due (come sembrerebbe
più corretto).
DIMAGRATO ~ agg. Dimagrito, smagrito, diventato magro (Santini, Colloquio
agricolo in Garfagnana, 39: “…Tant’erbe
edènno state / bruce dal sole: io nun ho
fatto ’l pién, / e le bestie èn già troppo dimagrate”).
Dal lat. macer ‘magro’.
DILEGGIù ~ avv. Da quelle parti, là in
basso. Più generico e meno preciso rispetto
a laggiù, che indica un luogo determinato.
Meno frequente, ma comunque diffusa, la
variante direggiù, segnalata da Gian Mirola, op. cit., 19. Da notare non che esiste nel
dialetto garf. l’espressione dilaggiù.
DIMÀN ~ avv. Domani. Il giorno che viene dopo oggi. Il giorno ancora successivo
è detto dimàn di là, più raramente dimàn
l’altro.
Dal lat. de mane da mane ‘di buon’ora’
(Battaglia, IV, 925).
DILESSù ~ avv. Da quelle parti, là in alto.
Come dileggiù, ha un significato meno preciso rispetto a lassù, che indica un luogo
ben individuato. Anche questo vocabolo
presenta la variante con la r in luogo della l,
diressù (Cfr. Gian Mirola, op. cit., 19); come
non esiste dilaggiù (ved. supra), così non
esiste dilassù nel dialetto garfagnino.
DIMATINA ~ avv. Domani mattina e non
‘di mattina’ (dimatina andrò in Pania).
DILICATO ~ agg. Delicato, cosa o persona che dà un’impressione di finezza, di
eleganza, di morbidezza; facile a guastarsi,
a rovinarsi (Bonini, Tempo passato, 20: “e
quante paruline dilicate dicevo…”; Santini, Opinioni sull’anticipo dell’ora legale,
13: “…perché se l’orilogio è dilicato…”).
Assai frequente anche nel significato di
‘gracile, cagionevole di salute’.
Dal lat. delicatus ‘grazioso, voluttuoso’,
derivato dal lat. deliciae ‘delizia, raffinatezza’.
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DIMOIA ~ s.f. Fango prodotto dallo
sciogliersi delle nevi.
Dal lat. mediev. molgia ‘moia, terreno bagnato’, ovvero dal neutro di mollis
‘molle’, o dal suo comparat. neutro mollius
(Battaglia, IV, 476). L’etimologia fornita
vale ovviamente anche per i successivi vocaboli che presentano lo stesso tema.
DIMOIA’ ~ intrans. Coniugato come i
verbi in ‘ia’’. Sciogliersi, sgelarsi, detto di
ghiaccio o di neve. Per estensione, dissolversi. In questo senso si trova impiegato
dal Pascoli, “Il giorno che dimoia”.
DIMOIAMÉNTO ~ s.m. Disgelo, lique-
fazione.
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DIMOLTO ~ avv. Molto, parecchio. Al
plurale, dimolti, ha il significato di ‘numerosi, parecchi’. Anche per questo vocabolo
vale l’osservazione fatta a proposito della
voce seguente dimondi, circa la derivazione dal vernacolo emiliano, ma in maniera
assai più relativa rispetto a dimondi.
nei confronti di quelle ove vive o cui è
abituato colui cui si parla), con significato più generico rispetto a quessù ‘quassù’,
che allude ad una zona determinata; come
osservato per dileggiù e dilessù, neppur diquassù è vocabolo usato in Garfagnana.
va che viene usata, come altre simili, nel
senso di ‘perbacco!, perdinci!, come no?’.
Si sente, forse usato per affettazione, anche in Garfagnana, specie nella parte ai
confini con l’Emilia; ed infatti è vocabolo
importato dall’Appennino modenese, con
il quale la nostra valle ha sempre avuto frequenti contatti.
DIQUEQUà (DIQUECQUà) ~ avv.
Qua, da queste parti, in questi luoghi, con
un’accezione di indeterminatezza. Il vocabolo è presente nel Glossario, compilato
dal prof. Venturelli. 269. Esiste anche una
variante che introduce una i, diquiequà,
diquiecquà, forse dovuta ad una brachilogia al posto di ‘di qui e di qua’. Questa
introduzione di una i ricorre anche per gli
avverbi diqueggiù, diquellà, diquessù.
DINDELLA’ ~ trans. Coniugato come
DIRAZZA’ ~ intrans. Coniugato come
ama’. Dondolare, ciondolare, Far dondolare. In senso figurato, anche ‘far trastullare’
o ‘trastullarsi’.
Il verbo presenta chiara origine onomatopeica.
ama’. Perdere i caratteri della propria razza, in senso migliorativo, peggiorativo o
anche come semplice constatazione (la
mi cagna ha fatto sei canini: quattro ènno
uguali a lé, du’ àn dirazzato).
Da dis con valore privativo e razza che
Palazzi (953) fa derivare dal lat. ratio; Passerini Tosi, 1232 e Devoto-Oli, 1887 dal
franc. antico haraz ‘allevamento di cavalli’;
Mestica, 1360 dal lat. radius ‘raggio’ da cui
radiare ovvero dal germ. reiza ‘linea’.
DIMONDI ~ interiez. Forma esclamati-
DINDI ~ s.m.plur. Denari, monete, soldi.
Parola di origine onomatopeica (dal suono della moneta metallica quando cade),
impiegata nel linguaggio rivolto ai bambini piccoli. Una bella filastrocca, contenuta
nel citato volume “La gente garfagnina dicea...così”, 10, recita: “Fate la nanna moccolone, che la mamma v’ha fatto i dindi”.
DIQUEGGIù ~ avv. Qui, in questi luoghi,
posti più in basso rispetto ad altri. Qui, da
queste parti; ‘quaggiù’, con una sfumatura
di maggior genericità e imprecisione.
DIRELLà ~ avv. Là intorno, là da quella parte, ma comunque con significato di
lontananza, anche in questo caso con una
sfumatura di genericità ed indeterminatezza rispetto a là (Cfr. Gian Mirola, op.
cit., 19: “Direllà per le Mèriche”).
DIRINVÉNGO (DIRINVÈNGO) ~
DIQUELLà ~ avv. Là, da quelle parti,
con un senso più generico dei comuni ‘là,
laggiù’ della lingua italiana.
DIQUESSù ~ avv. Qui in queste zone,
poste più in alto rispetto ad altre (specie
s.m. Il vocabolo è menzionato da Lenzi,
con lo stesso significato di mirinvengo (ved.
infra), assai più frequente e di cui dirinvengo pare mera variante vocalica, meno bella
(ed anche meno comprensibile). Tuttavia
quanto scrive Lenzi, e soprattutto il fatto
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dizionario garfagnino
che egli riporti il termine come sostantivo autonomo e non come locuzione idiomatica, è importante perché corrobora la
tesi che il simile mirinvengo rappresenti la
trasformazione in sostantivo della prima
persona singolare del presente indicativo
del verbo rinvenissi: si tratterebbe dunque
di una parola sola e non di due vocaboli
separati mi e rinvengo.
DIRIZZÓN ~ s.m. Rettilineo. Lunga
strada diritta (il Togno abita in quella casa
là, in fondo al dirizzón).
Mestica, 469 lo fa derivare da un accrescitivo di dirizzo per ‘indirizzo’, da ‘dirizzare’, derivato a sua volta dal lat. directus,
part. pass. di dirigere ‘porre in linea retta.’
DISAMORASSI ~ rifless. Coniugato
come ama’. Perdere amore, interesse, per
una cosa o una persona (’un c’è nulla da
fa: il mi’ fijolo s’è disamorato allo studio e
’un c’è verso di fallo torna’ a scuola!).
Dall’unione delle parole latine dis (con
significato privativo) e amor ‘amore, passione’.
DISAMORATO ~ agg. partic. Privo di
amore, di interesse. Si sente non di rado
parlare di fijoli disamorati nel senso di ‘figli
privi del dovuto affetto verso i genitori’.
DISAMORE ~ s.m. Perdita o mancanza
di amore, di interesse per una persona o
una cosa (concreta od astratta).
DISBROJA’ ~ trans. Coniugato come i
verbi in ‘ia’’. Districare, sbrogliare.
DISCALZO ~ agg. Scalzo, senza scarpe
né calze, a piedi nudi (Pennacchi, Il Togno
e qui’ del Telegiurnal, 129: “…per risparmia’ le scarpe e i pantaloni / nun stii a sede’
discalzo e in mutandine…”). Il vocabolo,
assai comune, è citato anche da Lenzi.
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Dal lat. mediev. discalchus derivato
da calchus ‘scarpa’, con suff. privativo dis
(Battaglia, IV, 587).
DISCÀNDULA ~ s.f. Calunnia. È parola
del dialetto corfinese, riportata nella sua
raccolta di vocaboli locali da Maria Luisa
Santini.
Non è arduo scorgervi la radice di scandalo dal lat. crist. scandalum, risalente al
gr. skàndalon ‘insidia’ (Devoto-Oli, 2090).
DISCÓRE ~ intrans. Coniugato come
córe. Discorrere, chiacchierare, far conversazione, parlare, conversare, confabulare
(Pennacchi, Il Togno e il su’ primo amore, 54: “…A discoreci avevo suggezión”;
Santini, L’aquila, l’oca, il cavallo e la lupa,
25: “Ma che tu voi discore, disgraziata!”).
Il vocabolo, nel dialetto della gente della
Garfagnana, è diffusissimo, assai più che
nella lingua italiana, dove non viene usato
con la stessa frequenza del sostantivo ‘discorso’, da esso derivato,
Dal tardo lat. discorrere, da ex più currere ‘correre qua e là’.
DISCUTE ~ intrans. Irregolare al pass.
rem. io discussi (raro il cacofonico discutétti) noi discùssimo (discutémmo)…essi discùssero (discùssino) e al part. pass. discusso.
Discutere, esaminare la possibilità di dire
o fare qualcosa, spesso per giungere alla
miglior soluzione. Muovere obiezioni ed
anche litigare, venir a diverbio. Si riporta
questo verbo per sottolinearne l’impiego
caratteristico, in passato, nei riguardi dei
bambini piccoli, per indicare se fossero già
in grado di parlare o no (il tu’ fijolo discute
giamò?).
Battaglia, IV, 644, nel dichiararlo voce
dotta, lo fa derivare dall’ unione della parole latine dis indicante separazione e quotere ‘scuotere, agitare’, nel senso di muovere, sceverare, esaminare attentamente
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con altri una questione, una proposta di
interesse collettivo o privato per stabilire
ciò che sia meglio dire o fare.
DISIDRATO ~ agg. Desiderato, voluto;
ciò che si è sperato (o si spera) di poter ottenere, risultato cui si tende (o si tendeva).
Lo si trova in Bonini, La lipertà, 68: “Eccuci
rivi al giorno disidrato / che alla Piève tranquilli si po’ andà”; oggi il vocabolo non viene impiegato pressochè più, sostituito dalla
forma, quasi italiana, disiderato.
Mestica, 447 lo fa derivare dalla composizione delle parole de con valore intens.
e siderare ‘guardar intensamente le stelle’;
Palazzi, 353 da desiderare ‘sentir la mancanza’. Sono giuste entrambe le tesi (che,
di fatto, sono strettamente collegate) perché ‘desiderare’ nel suo significato originale stava per ‘avvertire la mancanza delle
stelle nel cielo da parte degli aruspici che
erano abituati a guardarle intensamente’:
infatti, se il cielo era coperto, non potevano guardarle e ne avvertivano la mancanza, essendo impossibile trarre da esse
vaticini favorevoli (Battaglia IV, 244).
DISPIACE’ 1 ~ s.m. Dispiacere, senti-
mento di dolore più o meno forte. Cosa
o notizia che arreca pena (m’hai datto un
dispiacé).
DISPIACE’ 2 ~ intrans. Coniugato come
piace’. Non gradire, esser causa di noia o
fastidio, arrecare sconforto (mi dispiace
vedetti in questa condizión). È uguale al
verbo italiano ‘dispiacere’, ma lo si segnala
in quanto antitetico a piace’ (ved. infra).
DISPUTA ~ s.f. Gara di catechismo. Cosi
Maria Luisa Santini nella sua raccolta di
vocaboli dialettali di Corfino.
DISSONNASSI ~ rifless. Coniugato
coma ama’. Perdere il sonno, dopo essersi
o essere stati destati; il vocabolo si usa in
particolare con riferimento ai bambini
piccoli che è assai difficile far riaddormentare una volta che siano stati svegliati. Una sorta di monito, di avvertimento
che i genitori erano soliti dare alle persone presenti in casa, quando, all’interno
di essa, vi era un bambino piccolo, finalmente addormentatosi, era: “chi dissonna,
ninna!”, per indicare come il responsabile
del risveglio del piccolo si sarebbe dovuto
sobbarcare l’onere di farlo addormentare
di nuovo.
DISÙTILE ~ agg. Inutile, sterile, vano,
ma con un significato più forte, quasi di
‘nocivo, dannoso’; più spesso, però, è usato
in senso scherzoso. È vocabolo di origine
lucchese che sta entrando nel dialetto per
i contatti, assai più frequenti di un tempo,
tra la Garfagnana e la Lucchesia.
Dall’unione dei vocaboli latini dis con
valore privativo e utilis, da utor ‘usare’.
DIVÈRSO ~ agg. e avv. Come aggettivo
non differisce dall’identico vocabolo italiano; caratteristico invece ne è l’impiego
(pressoché sconosciuto alla nostra lingua
nazionale) quale avverbio, nel senso di ‘diversamente, in altra maniera’ (hai a prova’
a fa’ diverso!). Una fattispecie analoga è già
stata incontrata a proposito di diferente e
compagno.
Dal lat. diversus part. pass. di divertere
‘scostarsi, volgersi dalla parte opposta’.
DIVISA’ ~ intrans. Coniugato come ama’.
Letteralmente spartire, disporre, dividere
in modo organizzato, ordinato, ma nel
dialetto garf. è usato, quasi esclusivamente, con il significato di ‘pensare, ritenere,
proporsi di fare una cosa’ (particolarmente al part. pass. unito ai verbi pare’, esse,
sape’ nel senso di ‘sembrare, ritenere’ (ved.
infra diviso).
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dizionario garfagnino
DIVISO ~ agg. partic. È usato per lo più
con i verbi pare’, esse, sape’ nel significato di ‘sembrare, apparire’ (mi sa diviso che
cusì ’un è giusto; andianlo a trova’, c’ ’un gli
sembri diviso che siàn offesi con lu’).
DÒJA ~ s.f. Sofferenza fisica o morale. Il
vocabolo non è limitato ai dolori del parto, ma certamente è questa l’accezione con
cui viene maggiormente usato.
Dal lat. dòlia, plur. di dòlium ‘dolore,
pena’.
DOLCERÌA ~ s.f. Pasticceria, confette-
ria, negozio dove si vendono dolciumi. Il
termine, pure non assurdo, non si trova
sui comuni dizionari della lingua italiana,
con l’eccezione di quello del Battaglia, IV,
908 (Pennacchi, Mondo cane - Affari, 124:
“Togno, presto / ci toccherà d’aprì una
dolceria”).
DOLCIÓRE (DOLCÓRE) ~ s.m. Cli-
ma dolce, caldo, più di quello comune per
la stagione. Il vocabolo sembra costruito
sul modello di asciuttóre e umidóre (ved.
supra e infra).
DÓLCO ~ agg. Morbido, molle, soffice
(in questo senso lo troviamo utilizzato anche dal Pascoli), polpo (ved. infra). Non invece con il significato di ‘zuccherato, zuccherino, gradevole al palato’, per il quale si
usa dolce. Dunque, nel dialetto della Garfagnana abbiamo due diversi termini per
esprimere i concetti di ‘cosa tenera, soffice,
mite’ e di ‘cosa che ha sapore gradito, piacevole, zuccherino’: dolco nel primo caso,
dolce nel secondo; un divano di gommapiuma, un terreno reso molle dalla pioggia,
sarà dolco, un caffè zuccherato sarà dolce. E
questo rappresenta una significativa differenza con l’italiano, dove ‘dolce’ presenta
entrambi i significati (ancorchè il secondo
prevalente rispetto al primo) e ove ‘dolco’
non esiste o è comunque raro.
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Dal lat. dulcis ‘dolce’ (Campanini-Carboni, 211).
DOLLOZZO ~ s.m. Singhiozzo. Il voca-
bolo, segnalato da “La Garfagnana” tra le
parole del nostro dialetto, non pare molto
frequente, così come la variante sollozzo
(ved. infra).
DOLORICCIO ~ s.m. Doloretto, piccola affezione, non grave, che provoca qualche algia. Spesso il dialetto garf. impiega il
suffisso iccio come diminutivo.
DOMA’ ~ trans. Coniugato come ama’.
Rendere più morbide, meno rigide, le
lenzuola che un tempo erano di canapa
ed erano grosse e ruvide per cui i ragazzi
provvedevano ad ammorbidirle saltandovi dentro ed avviluppandosi nel loro interno, fra l’altro divertendosi un mondo (Cfr.
L. Rossi, op. cit., 6). Oggi le lenzuola sono
di lino, cotone, seta per cui non hanno più
necessità d’esser domate e il verbo si sente
solamente in quello che in Garfagnana una
volta era forse il suo significato secondario
di ‘render mansueto e docile un animale;
aver ragione del carattere di una persona’.
Dall’identico verbo lat.
DOMENEDDÌO (DOMINEDDÌO) ~
s.m. Il Signore Dio, Dio, signore di tutte le
cose. È voce dell’uso familiare.
DÓPPIO ~ s.m. Suono festoso e accor-
dato di due campane, il sabato sera prima
dell’Ave Maria e la domenica prima della
Messa e del Vespro (Lenzi).
DÓPPO ~ avv. Dopo. Può essere avver-
bio di tempo (parlerò dóppo), o di luogo (“l’osteria è prima o dóppo l’edicola?”
“Dóppo”) e può anche essere utilizzato
come preposizione impropria (ci vedremo
dóppo il cine; la mi’ casa è dóppo la Chiesa).
dizionario garfagnino
(Santini, Fattoria moderna, 34: “Io, doppo
che mi dan le vitamine,/ mi sento propio
bèn…”; Pennacchi, Il cambio alla Coplatte,
148: “perché lui pensa a adesso e il sindacato / invece pensa a quel che verrà doppo”; Bonini, E cusì presi moje, 82: “Infatti
s’aggiuston le cosarelle / e doppo un mese
dissimo di sì”).
Dal lat. de con valore intens. e post
‘dopo’.
DÒRMIA ~ s.f. Anestesia.
È evidente la radice del verbo dormire,
effetto primo dell’anestesia.
DOVA 1 ~ s.f. Doga, asse di legno di cui si
compone il corpo delle botti o dei barili.
Dal lat. doga, derivato dal gr. dokè ‘recipiente’ (Palazzi, 390); Devoto-Oli, 745
optano per un lat. docus ‘travicello’, incrociatosi con il tardo lat. doga ‘botte’.
DOVA 2 ~ s.f. Usato esclusivamente al
plurale, indicava le tavolette che si ponevano nella conca del bucato per aumentarne la capacità (Lenzi).
DOVE’ ~ intrans. (raramente trans.). Pres.
indic. io dévo (débbo), tu dévi, egli déve, noi
dobbiàn, voi dovéte, essi dévono (dévon,
débbono, débbon, dévino, dévin); pass. rem.
io dovétti (raro dovéi)…essi dovéttero (dovéttino); part. pass. dovuto. Dovere. Si è ritenuto fosse il caso di menzionare questo
verbo perché − pur essendo identico, per
significato ed utilizzo, all’italiano ‘dovere’
− il suo impiego è frequentissimo nella
parlata della gente di Garfagnana. Si tratta
di verbo servile, usato con un altro verbo
all’infinito per indicare quanto una persona deve, è obbligata, ha necessità di compiere (studiare, lavorare, dormire, leggere
ecc) ovvero quanto si sta per fare. Come
ausiliare richiede quello voluto dal verbo
accompagnato da dove’ (ho dovuto studia’
la poesia; son dovuto ire dal medico). Come
transitivo si usa nel senso di esser debitore
(ti devo una somma di denaro, un favore):
in tal accezione scompare l’aspetto servile del verbo che però è sottinteso: ti devo
(rende, da’ ecc.) una somma di denaro.
Dal lat. debère.
DOVENTA’ ~ intrans. Coniugato come
ama’ (il part. pass. è comunemente dovento, ma si sente anche doventato). Diventare, divenire (ma con maggiore intensità
e subitaneità). (Pennacchi, Ji spicciuli,18:
“Lu’ si ch’è stato furbo e in d’un momento
/ è dovento importante”).
Da un tardo lat. deventare.
DRAGO ~ s.m. Arnese di legno che per-
metteva di livellare le castagne sul canniccio del metato per una migliore essicatura.
Il vocabolo è contenuto nella lista di parole tipiche della zona di Sillico stilata da
Odorico Bonini. In altri luoghi si usa travolo, trollo (ved. supra).
DRÈNTO ~ avv. Dentro, nella parte in-
terna (drento la casa; drento la capanna;
o drento, o fora) ed anche con altri significati, comuni alla lingua italiana: anda’
drento (andare in prigione); dacci drento
(impegnarsi); avecci un lógoro drento (all’interno dell’animo). Nella poesia La radio, 15 Santini descrive l’incredulità di un
montanaro, invitato ad ascoltare la radio,
strumento per lui del tutto sconosciuto.
Il buon uomo non riesce a capacitarsi da
dove possa provenire la voce che sente
uscire da quella strana cassetta e ritiene sia
quella di qualcuno nascosto all’interno,
onde, temendo di esser preso in giro dal
possessore dell’apparecchio, gli dice: ’Un
basta esse signori / per cojonammi me…/
e dichi a quel cretìn ch’è arimpiatto / lì
drento che la smetti e venghi fori, / e ’un
facci più ’l buffón, quello sfacciato!”.
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dizionario garfagnino
Dall’unione dei termini lat. de con intro
da intus ‘interno’.
DRÉTO ~ avv. Dietro, a tergo (Santini,
Elezioni, 31: “O Sandro; cume mai quest’imbrojoni / ch’un dreto l’altro ci hanno
rintronato…”). È peraltro più comune
l’espressione di reto.
DRITTÓN ~ s.m. Rettilineo (ved. supra
dirizzón).
DU’ 1 ~ agg. num. card. Due, che è composto di uno più uno. Dal punto di vista
grammaticale costituisce un aggettivo cardinale e, nel linguaggio comune, è usato
anche per indicare una quantità di cose
indeterminata, ma modesta (hó mangio
appena du’ bocconi).
propriamente dialettale vale per le espressioni improvvisate (che fai dumenica?).
Dal lat. (Dies) Domini (o dominicalis)
‘giorno del Signore’.
DUNDULA’ ~ intrans. Coniugato come
ama’. Dondolare, pendere, oscillare a destra e a sinistra; far oscillare qualcosa o
qualcuno. Per estensione ‘stare a farla
lunga, almanaccarsi senza riuscire a stabilire il da farsi’ (Bonini, Dundulin, 55:
“Dundulìn che dundulava / colle gambe
caminava”).
Parola di origine imitativa o infantile
(Borgonovo-Torelli, 100).
DUPITA’ ~ intrans. Coniugato come
ama’. Dubitare, esser incerto su cosa pensare o cosa fare.
Dal lat. dubitare.
DU’ 2 ~ avv. Dove (ved. infra indu’).
Regge, ovviamente, il plurale ed è indeclinabile (dugento òmini; dugento donne).
DURA’ ~ trans. e intrans. Coniugato
come ama’. Durare, mantenersi duro, resistere agli agenti esterni (oggi la robba
’un dura più nulla; il mi’ fijolo s’è rimesso a
studia’: speriàm che duri). Insistere, perseverare (chi la dura, la vince; finché dura, fa
verdura, locuzione idiomatica impiegata
per sottolineare l’opportunità di approfittare dell’utilità che produce un bene o
di una situazione favorevole, fin tanto che
se ne possa disporre).Tipico, nel dialetto
garf., è il significato di ‘continuare’ (Pennacchi, La pension, 35: “Durai a dimanda’
a questo e a quello / e tutti rispondevin,
questo è il bello…”).
Dall’identico verbo lat. durare.
DUMENICA ~ s.f. Ultimo giorno della
DURO ~ agg. Resistente, compatto, diffi-
settimana, dedicato al Signore, nel quale
si osservano le pratiche religiose e il riposo. Nelle espressioni consuete e nelle
ricorrenze stabilite dal calendario, ritorna
la forma con la o: ‘Domenica delle Palme’,
‘Domenica in Albis’, mentre la forma più
cile da piegare. Nel dialetto garf. è peraltro
utilizzato, come significato primario, nel
senso di ‘cocciuto, testardo, ostinato’, noto
anche alla lingua italiana, ma non come
prima accezione del vocabolo.
Dal lat. durus.
DUA ~ agg. num. card. Variante di du’,
che sta ormai soppiantandolo (Bonini, Regalo mal retribuito, 95: “…lo scambio del
ritratto fu causa di rottura fra noi dua”;
Santini, Carlìn e il miccio, 42: “…non distinguo più, per il gran male / chi fra noaltri dua sii ’l più animale”).
DU’ D’OGOSTO ~ locuz. idiom. garf.
Testicoli: così traduce l’espressione il maestro Poli (ved. infra ogosto).
DUGÈNTO ~ agg. num. card. Duecento.
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