C D dizionario garfagnino DA’ ~ trans. Pres. indic. io do...noi diàn (diàm dachiàn, dachiàm); pass. rem. io détti (dacétti, diédi), tu désti (dacésti), egli détte (diéde, dacétte, dié, déce), noi déttimo (démmo, dacémmo, dacéttimo, dòmmo), voi déste (dacéste), essi déttero (diédero, dacéttero, déttino, dònno); cong. pres. (che) io dia; imperf. (che) io déssi (dassi)…(che) noi déssimo (dàssimo), (che) essi déssero (dàssero, dàssino, déssino); imperat. dà, dia, diàm, date, dìano (dìino); inf. dà.; part. pass.: dato (spesso datto). Il verbo non è diverso, per significato ed impieghi, dall’italiano ‘dare’. Lo si riporta tuttavia per la singolarità della coniugazione e per sottolineare come sia verbo utilizzato dal dialetto (di sua natura tendente a semplificare) con grande frequenza, anche al posto di altri verbi, certamente più esatti e precisi, impiegati dalla lingua italiana con riferimento a circostanze e situazioni particolari; così da’ verrà usato al posto di ‘consegnare, trasferire, offrire, prestare, affidare, somministare, porgere, vendere, fruttare’ ecc. Caratteristico è l’impiego del verbo da’ nel significato di ‘colpire, far forza’ ed anche ‘sostenere, aiutare fisicamente qualcuno’ (cfr. Santini, Storia vera, 49 il quale racconta di un pettirosso che aveva fatto il nido nel buco di un castagno e qui un cuculo aveva deposto un suo uovo perché venisse covato dalla pettirossa. Ma, al momento di uscire dal nido e volar via, il cuculo, troppo grosso, non riusciva a passar dal buco; l’altro uccelletto allora aveva provato ad aiutarlo, ma invano… per cui, visti inutili i suoi sforzi con il becco, j dèva anco cun l’ale). Semplice individuarne la derivazione etimologica dal lat. dare. DACA’ ~ trans. Dare. Vecchia forma del verbo da’ di cui son rimaste, quantunque ormai poco usate, le voci daco, dachi, dachiàn, dacéte, dacévo (dacéo), dacéi, dacésti, dacétte, dacémmo, dacéste, dacéttero. 200 DA’ DI NASO ~ locuz. idiom. garf. Non gradire, risultare molesto, così di persone come di cose (specialmente di vivande) che risultino sgradevoli (cfr. Pennacchi, Il Togno al Mercato Comùn, 117: “…ci servinno un vassoio pién d’intruji / che ji dette di naso anco il Guidugli / che quand’ha fame ’un guarda tanto al fin”). DA’ IL GALLO ~ locuz. idiom. garf. Prendere, a torto, le difese di qualcuno, specialmente di un fanciullo, quando venga giustamente rimproverato o castigato. DAMO ~ s.m. Fidanzato, corteggiatore. Il vocabolo, non frequente in Garfagnana, sta entrando lentamente nell’uso, trasportato da altre zone della Regione, in specie dalla piana lucchese e dalla Versilia. Più che dal lat. dominus, si tratta di vocabolo derivato dalla trasfomazione in genere maschile del franc. dame ‘dama’, questo effettivamente derivante dal lat. domina. D’ASCOGE ~ locuz. avverb. Di nascosto. L’espressione è inclusa, con questo significato, nella raccolta del maestro Poli. DAVÉRO ~ avv. Veramente, sul serio, effettivamente. Normalmente ha un significato affermativo e rafforzativo (hai fatto davero una bella figura!), tuttavia, specie se usato in tono interrogativo, dà alla frase un senso dubitativo (ma davero sei ito a fungi?). (Bonini, Un fil di speranza, 32: “Gnanco m’api abbandonata nun lo penso per davero”. Santini, I Pionieri, 74: “Ero un sincero moro / ma or moro davero / perché son nato nero / Viva la lipertà”). DÈCIMA ~ s.f. Letteralmente era l’im- posta del dieci per cento che si pagava alla Chiesa sui frutti dei terreni; per estensione ha poi preso il significato di ‘balzello, im- dizionario garfagnino posta o tassa che debba versarsi sul reddito’. Il termine è ormai quasi abbandonato dal linguaggio comune e viene ancora utilizzato con senso scherzoso. Femm. sostantivato dell’agg. decimo, voce dell’ amministrazione pubblica e della Chiesa (Battaglia, IV, 79). singolarità che presenta nel linguaggio dialettale garfagnino allorchè viene impiegato nella forma diminutiva nella quale perde la e, sostituita dalla i (Bonini, Primo fijolo, 65: “Ha già spunto, figùriti, i dintini”). Dal lat. dentem, accusat. di dens ‘dente’. DÈNTE (DÈNTE DI LEÓN) ~ s.m. Ta- DELICATÉTTO (DILICATÉTTO) ~ agg. Diminutivo di delicato, ma con significato leggermente dispregiativo, come di persona pignola, lamentevole, preoccupata in modo eccessivo della propria salute. DELIGUÈNTE ~ agg. e s.m. Delinquen- te. Il vocabolo assume però normalmente un significato bonario, senza il valore negativo che ha nella lingua italiana. Dal. lat. delinquere ‘venir meno al dovere’. DEMÒGNO ~ s.m. Demonio, diavolo. (Bonini, El cuntadìn del curato, 46: “Se attinissino, almén, porco demogno!”). In senso figurato persona cattiva, malvagia. Nel lessico familiare si usa in tono scherzoso per indicare una persona vivace ed irrequieta (il mi’ fiolo più cicco ’un istà mai fèrmo: è propio un demogno!). Dal gr. daìmon ‘essere soprannaturale’ corrispondente al genius dei Latini, dunque ‘spirito buono e propizio’. Solo in seguito ha assunto anche il senso di ‘cattivo genio, spirito maligno’, divenuto quindi il solo significato della parola nel linguaggio comune, per l’influsso della religione cristiana, nella quale il demonio è lo spirito, l’essenza stessa del Male. DENTALÓN ~ s.m. Persona con i denti sporgenti. DÈNTE ~ s.m. Segnaliamo questo vocabolo, identico per suono e significato al comune termine italiano, per ricordarne la raxacum officinalis. Pianta delle composite detta anche piscialletto per le sue proprietà diuretiche, o soffión per la sfera bianca di semi attorno al capolino dello stelo che si disperdono soffiandovi sopra (ved. infra soffión 2). DéPITO ~ s.m. Debito. Quanto è dovu- to, somma di denaro che si ha l’obbligo di restituire; dovere morale di riconoscenza (Bonini, La noscia fin, 21: “Ne’ depiti ci siam fino ai capelli!”). La sostituzione della p alla b dell’italiano va ormai scomparendo. Dal lat. debitum derivato dal verbo debère ‘dover (fare), esser debitori’. DERÈSTO ~ avv. Del resto, d’altronde, d’altra parte, peraltro (Pennacchi, Il miccio e il cunijoro, 25: “Deresto anche tra loro fan compagno / ij omi”). DESERTO ~ s.m. Più che nella comune accezione italiana di ‘zona arida, senza vegetazione’, nel dialetto garf. il vocabolo viene inteso come ‘luogo privo di abitazioni’. La parola è contenuta nella Leggenda del ginepro raccolta da Venturelli, 221: “…capanne nun ce n’èra, case gnanco a parlanne. C’erin solo de’ boschi, delle macchie…il deserto inzomma”. Dal lat. desertus, part. pass. di deserere ‘abbandonare’. DESINA’ (DISINA’) ~ intrans. Coniuga- to come ama’. Pranzare, consumare il pasto principale della giornata che, per tra201 dizionario garfagnino dizione antica, era quello di mezzogiorno. La parola è usata a volte anche come sostantivo (nel senso di vitto), ma in questo caso, il vocabolo ritrova la forma completa e non tronca: (qual è oggi il nostro disinare (desinare)?. Cfr. Santini, Elezioni amministrative, 29 dove desinare è usato sia come voce verbale che quale sostantivo: “Va bèn cun bèn; andiam pure a votare, però, se adesso desini a ricotta / e a neccia vecchia, questo desinare, / credi, nun cambia gnanco cun la lotta”. Dall’ant. franc. disner (Devoto-Oli, 677) a sua volta derivato dall’unione delle parole latine dis avente funzione privativa e jejunium ‘digiuno’, letteralmente, dunque, ‘interrompere il digiuno’. DESINARE (DISINARE) ~ s.m. Pran- zo, il pasto principale della giornata, tradizionalmente, specie in passato, quello di mezzogiorno. Come si è visto sopra, in italiano il vocabolo ‘desinare’ indica sia il sostantivo (‘ciò che si mangia’) sia il verbo (‘mangiare’, consumare il pasto di mezzogiorno’), mentre il dialetto garf. presenta due vocaboli differenti, sia pure di poco (desina’ è il verbo; desinare, non troncato, il sostantivo). DÉSTO ~ agg. partic. Sveglio. In italiano usiamo i vocaboli ‘destato’ e ‘desto’ con accezione lievemente diversa: il primo indica il passaggio dalla stato di sonno a quello di veglia, il secondo semplicemente lo stato di veglia. In garfagnino, atteso che il part. pass. spesso semplifica la desinenza ato in o, la precisazione è meno avvertibile. È vero che destato si usa abbastanza di frequente nel senso sopra indicato, ma è anche vero che desto viene regolarmente utilizzato per entrambe le accezioni esposte. Inoltre desto può assume anche il significato traslato di ‘persona dall’intelletto pronto, vivace’ che destato non conosce. 202 Dal lat. de ed excitare ‘chiamare, indurre ad alzarsi’ (D’Arbela, Annaratone, Cammelli, 376). DÉTO ~ s.m. Dito. Odorico Bonini ci fa sapere che questa è la variante vocalica della zona di Sillico. La parola − che nel dialetto garf. comune è identica, anche per suono, all’italiano ‘dito’ − deriva come quest’ultima dal lat. di(gi)tus (Devoto-Oli, 738). DI’ ~ trans. Indic. pres. io dico…noi di- ciàn (diciàm, dichiàn, dichiàm) essi dicono (dichino); pass. rem. io dicétti (dissi), tu dicésti, egli dicétte (disse), noi dicéttimo (dìssimo, dicémmo), voi dicéste, essi dicéttero (disséro, dicéttino, dìssino); cong. pres. che io dica...ecc; cond. io diréi (dirépi) ecc; imperat. di’; part. pass. ditto. Come già si vide a proposito di da’, si tratta di verbo che non presenta grandi differenze di significato e di utilizzo rispetto al verbo italiano ‘dire’. Lo si riporta non solamente per la particolare coniugazione, ma anche perché, proprio come da’, è verbo comunissimo ed impiegato dal dialetto anche in molti altri casi in cui la lingua italiana utilizza verbi più specifici e precisi (così di’ verrà usato al posto di ‘parlare, pronunciare, confidare, esprimere, comunicare, significare, rivelare, spiegare’ ecc.). In forma impersonale significa ‘corre voce’ (si dice che il procaccia sia ito in pensión). Con precisione il maestro Nello Guido Poli ricorda la singolare accezione che presenta il verbo di’, quando è unito a fa’: ’un mi fa’ (’un fatimi) di’ significa ‘sta’ (state) zitto, non farmi (non fatemi) parlare, non farmi (non fatemi) aprir bocca’. Dal lat. dìcere. DIACCÈRA ~ s.f. Ghiacciaia, luogo ove si conserva la neve e il ghiaccio. Luogo freddissimo. Locale o mobile adatto (per dizionario garfagnino il freddo intenso che vi si produce o che è in grado di mantenere) alla conservazione di cibi e bevande (Pennacchi, Il Togno e la Garfagnana moderna, 90: “In casa c’ènno le televisioni, / diaccère, macchinette per lava’ / che per fa’ le faccende e argoverna’ / basta esse boni a spinge d’i bottoni”). Per l’etimologia di questo e degli altri vocaboli con la stessa radice ved. infra diaccio. DIACCIATO ~ agg. Ghiacciato, ma anche freddo come il ghiaccio (il letto è freddo diacciato). Mentre il sostantivo diaccio si usa quasi in alternativa a ghiaccio, diacciato nel linguaggio dialettale è assai più comune di ghiacciato. DIACCIO ~ s.m. Ghiaccio. Anche nel significato traslato di ‘freddo pungente’. Si usa peraltro, soprattutto nelle espressioni figurate, anche il vocabolo ghiaccio identico all’italiano, di cui il termine garfagnino è mera variante fonetica (Bonini, Una doppo l’altra, 63: “Io mi domando se nun j pare assa’/ dopo el tremoto…/ volecci anco col diaccio ruvinà”). Odorico Bonini ci informa che nella zona di Sillico la parola suona biaccio. Dal tardo lat. glacia per il class. glacies, ‘ghiaccio’. DIÀOL ~ s.m. Diavolo con caduta della v intervocalica e dell’ultima vocale. DIAVOLÈRO ~ s.m. Baraonda, chiasso, confusione, stramberia rumorosa. DIBISCIASSI ~ rifless. Coniugato come i verbi in ‘cia’’. Divincolarsi, contorcersi, in specie a causa di violenti dolori addominali. Il verbo contiene, all’evidenza, nella radice la parola biscio ‘serpente’, tipico animale che si muove contorcendosi. DIBROCCA’ ~ trans. Coniugato come i verbi in ‘ca’’. Levare i brocchi, i ramoscelli, lungo un ramo che in genere si è deciso di adottare come bastone o calocchia (ved. supra). Comune anche la variante disbrocca’. DICENDOLE ~ s.f. plur. Chiacchiere. Il vocabolo è così attestato da Guido Nello Poli nella sua raccolta di parole tipiche del dialetto della Garfagnana. DICENNÒVE ~ agg. num. card. Diciannove; come dicessètte (ved. infra). Il cambiamento del dittongo ia in e potrebbe trovare la sua ragione o in motivi eufonici, o, con maggior probabilità, in una diretta derivazione dal lat. non class. decem ac (et) novem (Battaglia, IV, 356). DICESSÈTTE ~ agg. num. card. Diciassette, come dicennove per diciannove. Etimologicamente, come per dicennove, occorre rifarsi o a ragioni eufoniche o, più probabilmente, al lat. non class. decem ac (et) septem (Battaglia, IV, 357). DIDIRE ~ s.m. indecl. Nota Nieri, 68: “è’ frase comunissima far per un didire, così per un didire”. L’espressione si ascolta anche in Garfagnana, quando si vuol alludere a qualcosa che si fa o si dice senza uno scopo determinato, prefissato o particolare. DIFERÈNTE ~ agg. e avv. Differente, diverso per forma e quantità. Part. pres. del verbo diferi’, ha assunto ormai un prevalente valore di aggettivo. È usato anche come avverbio nel senso di ‘diversamente, in altro modo’ (’un si pole fa’ diferente). Dal lat. differre ‘portar in giro’ e quindi, con evoluzione di significato, ‘portar più in là’ e, per estensione, ‘portare un segno di distinzione, esser diverso dagli altri’. 203 dizionario garfagnino DIFERÈNZA ~ s.f. Differenza. Diversità, varietà rispetto ad un’altra persona o cosa. Nel dialetto della Garfagnana è comune l’eliminazione della consonante doppia (tera, guera, core), così come è comune la duplicazione di consonanti semplici (avvanza’, valligia). DILADDILÌ ~ avv. Più o meno da quelle parti. Là intorno. Vocabolo di sua natura generico, meno preciso rispetto a lì (che fa riferimento ad un luogo esattamente individuato). Diladdilì è usato spesso al posto dell’analogo laddilì ad indicare un qualcosa che trovasi più o meno nel posto o nel luogo indicato. DI LUNGO (DILUNGO) ~ avv. Senza fermarsi. Avanti, innanzi. Si sente spesso associato al verbo tira’ nel senso di proseguire senza fermarsi (dai, tira di lungo!). Mancando una codificazione scritta del dialetto della Garfagnana, non sappiamo precisare se l’espressione consti di un unico vocabolo o di due (come sembrerebbe più corretto). DIMAGRATO ~ agg. Dimagrito, smagrito, diventato magro (Santini, Colloquio agricolo in Garfagnana, 39: “…Tant’erbe edènno state / bruce dal sole: io nun ho fatto ’l pién, / e le bestie èn già troppo dimagrate”). Dal lat. macer ‘magro’. DILEGGIù ~ avv. Da quelle parti, là in basso. Più generico e meno preciso rispetto a laggiù, che indica un luogo determinato. Meno frequente, ma comunque diffusa, la variante direggiù, segnalata da Gian Mirola, op. cit., 19. Da notare non che esiste nel dialetto garf. l’espressione dilaggiù. DIMÀN ~ avv. Domani. Il giorno che viene dopo oggi. Il giorno ancora successivo è detto dimàn di là, più raramente dimàn l’altro. Dal lat. de mane da mane ‘di buon’ora’ (Battaglia, IV, 925). DILESSù ~ avv. Da quelle parti, là in alto. Come dileggiù, ha un significato meno preciso rispetto a lassù, che indica un luogo ben individuato. Anche questo vocabolo presenta la variante con la r in luogo della l, diressù (Cfr. Gian Mirola, op. cit., 19); come non esiste dilaggiù (ved. supra), così non esiste dilassù nel dialetto garfagnino. DIMATINA ~ avv. Domani mattina e non ‘di mattina’ (dimatina andrò in Pania). DILICATO ~ agg. Delicato, cosa o persona che dà un’impressione di finezza, di eleganza, di morbidezza; facile a guastarsi, a rovinarsi (Bonini, Tempo passato, 20: “e quante paruline dilicate dicevo…”; Santini, Opinioni sull’anticipo dell’ora legale, 13: “…perché se l’orilogio è dilicato…”). Assai frequente anche nel significato di ‘gracile, cagionevole di salute’. Dal lat. delicatus ‘grazioso, voluttuoso’, derivato dal lat. deliciae ‘delizia, raffinatezza’. 204 DIMOIA ~ s.f. Fango prodotto dallo sciogliersi delle nevi. Dal lat. mediev. molgia ‘moia, terreno bagnato’, ovvero dal neutro di mollis ‘molle’, o dal suo comparat. neutro mollius (Battaglia, IV, 476). L’etimologia fornita vale ovviamente anche per i successivi vocaboli che presentano lo stesso tema. DIMOIA’ ~ intrans. Coniugato come i verbi in ‘ia’’. Sciogliersi, sgelarsi, detto di ghiaccio o di neve. Per estensione, dissolversi. In questo senso si trova impiegato dal Pascoli, “Il giorno che dimoia”. DIMOIAMÉNTO ~ s.m. Disgelo, lique- fazione. dizionario garfagnino DIMOLTO ~ avv. Molto, parecchio. Al plurale, dimolti, ha il significato di ‘numerosi, parecchi’. Anche per questo vocabolo vale l’osservazione fatta a proposito della voce seguente dimondi, circa la derivazione dal vernacolo emiliano, ma in maniera assai più relativa rispetto a dimondi. nei confronti di quelle ove vive o cui è abituato colui cui si parla), con significato più generico rispetto a quessù ‘quassù’, che allude ad una zona determinata; come osservato per dileggiù e dilessù, neppur diquassù è vocabolo usato in Garfagnana. va che viene usata, come altre simili, nel senso di ‘perbacco!, perdinci!, come no?’. Si sente, forse usato per affettazione, anche in Garfagnana, specie nella parte ai confini con l’Emilia; ed infatti è vocabolo importato dall’Appennino modenese, con il quale la nostra valle ha sempre avuto frequenti contatti. DIQUEQUà (DIQUECQUà) ~ avv. Qua, da queste parti, in questi luoghi, con un’accezione di indeterminatezza. Il vocabolo è presente nel Glossario, compilato dal prof. Venturelli. 269. Esiste anche una variante che introduce una i, diquiequà, diquiecquà, forse dovuta ad una brachilogia al posto di ‘di qui e di qua’. Questa introduzione di una i ricorre anche per gli avverbi diqueggiù, diquellà, diquessù. DINDELLA’ ~ trans. Coniugato come DIRAZZA’ ~ intrans. Coniugato come ama’. Dondolare, ciondolare, Far dondolare. In senso figurato, anche ‘far trastullare’ o ‘trastullarsi’. Il verbo presenta chiara origine onomatopeica. ama’. Perdere i caratteri della propria razza, in senso migliorativo, peggiorativo o anche come semplice constatazione (la mi cagna ha fatto sei canini: quattro ènno uguali a lé, du’ àn dirazzato). Da dis con valore privativo e razza che Palazzi (953) fa derivare dal lat. ratio; Passerini Tosi, 1232 e Devoto-Oli, 1887 dal franc. antico haraz ‘allevamento di cavalli’; Mestica, 1360 dal lat. radius ‘raggio’ da cui radiare ovvero dal germ. reiza ‘linea’. DIMONDI ~ interiez. Forma esclamati- DINDI ~ s.m.plur. Denari, monete, soldi. Parola di origine onomatopeica (dal suono della moneta metallica quando cade), impiegata nel linguaggio rivolto ai bambini piccoli. Una bella filastrocca, contenuta nel citato volume “La gente garfagnina dicea...così”, 10, recita: “Fate la nanna moccolone, che la mamma v’ha fatto i dindi”. DIQUEGGIù ~ avv. Qui, in questi luoghi, posti più in basso rispetto ad altri. Qui, da queste parti; ‘quaggiù’, con una sfumatura di maggior genericità e imprecisione. DIRELLà ~ avv. Là intorno, là da quella parte, ma comunque con significato di lontananza, anche in questo caso con una sfumatura di genericità ed indeterminatezza rispetto a là (Cfr. Gian Mirola, op. cit., 19: “Direllà per le Mèriche”). DIRINVÉNGO (DIRINVÈNGO) ~ DIQUELLà ~ avv. Là, da quelle parti, con un senso più generico dei comuni ‘là, laggiù’ della lingua italiana. DIQUESSù ~ avv. Qui in queste zone, poste più in alto rispetto ad altre (specie s.m. Il vocabolo è menzionato da Lenzi, con lo stesso significato di mirinvengo (ved. infra), assai più frequente e di cui dirinvengo pare mera variante vocalica, meno bella (ed anche meno comprensibile). Tuttavia quanto scrive Lenzi, e soprattutto il fatto 205 dizionario garfagnino che egli riporti il termine come sostantivo autonomo e non come locuzione idiomatica, è importante perché corrobora la tesi che il simile mirinvengo rappresenti la trasformazione in sostantivo della prima persona singolare del presente indicativo del verbo rinvenissi: si tratterebbe dunque di una parola sola e non di due vocaboli separati mi e rinvengo. DIRIZZÓN ~ s.m. Rettilineo. Lunga strada diritta (il Togno abita in quella casa là, in fondo al dirizzón). Mestica, 469 lo fa derivare da un accrescitivo di dirizzo per ‘indirizzo’, da ‘dirizzare’, derivato a sua volta dal lat. directus, part. pass. di dirigere ‘porre in linea retta.’ DISAMORASSI ~ rifless. Coniugato come ama’. Perdere amore, interesse, per una cosa o una persona (’un c’è nulla da fa: il mi’ fijolo s’è disamorato allo studio e ’un c’è verso di fallo torna’ a scuola!). Dall’unione delle parole latine dis (con significato privativo) e amor ‘amore, passione’. DISAMORATO ~ agg. partic. Privo di amore, di interesse. Si sente non di rado parlare di fijoli disamorati nel senso di ‘figli privi del dovuto affetto verso i genitori’. DISAMORE ~ s.m. Perdita o mancanza di amore, di interesse per una persona o una cosa (concreta od astratta). DISBROJA’ ~ trans. Coniugato come i verbi in ‘ia’’. Districare, sbrogliare. DISCALZO ~ agg. Scalzo, senza scarpe né calze, a piedi nudi (Pennacchi, Il Togno e qui’ del Telegiurnal, 129: “…per risparmia’ le scarpe e i pantaloni / nun stii a sede’ discalzo e in mutandine…”). Il vocabolo, assai comune, è citato anche da Lenzi. 206 Dal lat. mediev. discalchus derivato da calchus ‘scarpa’, con suff. privativo dis (Battaglia, IV, 587). DISCÀNDULA ~ s.f. Calunnia. È parola del dialetto corfinese, riportata nella sua raccolta di vocaboli locali da Maria Luisa Santini. Non è arduo scorgervi la radice di scandalo dal lat. crist. scandalum, risalente al gr. skàndalon ‘insidia’ (Devoto-Oli, 2090). DISCÓRE ~ intrans. Coniugato come córe. Discorrere, chiacchierare, far conversazione, parlare, conversare, confabulare (Pennacchi, Il Togno e il su’ primo amore, 54: “…A discoreci avevo suggezión”; Santini, L’aquila, l’oca, il cavallo e la lupa, 25: “Ma che tu voi discore, disgraziata!”). Il vocabolo, nel dialetto della gente della Garfagnana, è diffusissimo, assai più che nella lingua italiana, dove non viene usato con la stessa frequenza del sostantivo ‘discorso’, da esso derivato, Dal tardo lat. discorrere, da ex più currere ‘correre qua e là’. DISCUTE ~ intrans. Irregolare al pass. rem. io discussi (raro il cacofonico discutétti) noi discùssimo (discutémmo)…essi discùssero (discùssino) e al part. pass. discusso. Discutere, esaminare la possibilità di dire o fare qualcosa, spesso per giungere alla miglior soluzione. Muovere obiezioni ed anche litigare, venir a diverbio. Si riporta questo verbo per sottolinearne l’impiego caratteristico, in passato, nei riguardi dei bambini piccoli, per indicare se fossero già in grado di parlare o no (il tu’ fijolo discute giamò?). Battaglia, IV, 644, nel dichiararlo voce dotta, lo fa derivare dall’ unione della parole latine dis indicante separazione e quotere ‘scuotere, agitare’, nel senso di muovere, sceverare, esaminare attentamente dizionario garfagnino con altri una questione, una proposta di interesse collettivo o privato per stabilire ciò che sia meglio dire o fare. DISIDRATO ~ agg. Desiderato, voluto; ciò che si è sperato (o si spera) di poter ottenere, risultato cui si tende (o si tendeva). Lo si trova in Bonini, La lipertà, 68: “Eccuci rivi al giorno disidrato / che alla Piève tranquilli si po’ andà”; oggi il vocabolo non viene impiegato pressochè più, sostituito dalla forma, quasi italiana, disiderato. Mestica, 447 lo fa derivare dalla composizione delle parole de con valore intens. e siderare ‘guardar intensamente le stelle’; Palazzi, 353 da desiderare ‘sentir la mancanza’. Sono giuste entrambe le tesi (che, di fatto, sono strettamente collegate) perché ‘desiderare’ nel suo significato originale stava per ‘avvertire la mancanza delle stelle nel cielo da parte degli aruspici che erano abituati a guardarle intensamente’: infatti, se il cielo era coperto, non potevano guardarle e ne avvertivano la mancanza, essendo impossibile trarre da esse vaticini favorevoli (Battaglia IV, 244). DISPIACE’ 1 ~ s.m. Dispiacere, senti- mento di dolore più o meno forte. Cosa o notizia che arreca pena (m’hai datto un dispiacé). DISPIACE’ 2 ~ intrans. Coniugato come piace’. Non gradire, esser causa di noia o fastidio, arrecare sconforto (mi dispiace vedetti in questa condizión). È uguale al verbo italiano ‘dispiacere’, ma lo si segnala in quanto antitetico a piace’ (ved. infra). DISPUTA ~ s.f. Gara di catechismo. Cosi Maria Luisa Santini nella sua raccolta di vocaboli dialettali di Corfino. DISSONNASSI ~ rifless. Coniugato coma ama’. Perdere il sonno, dopo essersi o essere stati destati; il vocabolo si usa in particolare con riferimento ai bambini piccoli che è assai difficile far riaddormentare una volta che siano stati svegliati. Una sorta di monito, di avvertimento che i genitori erano soliti dare alle persone presenti in casa, quando, all’interno di essa, vi era un bambino piccolo, finalmente addormentatosi, era: “chi dissonna, ninna!”, per indicare come il responsabile del risveglio del piccolo si sarebbe dovuto sobbarcare l’onere di farlo addormentare di nuovo. DISÙTILE ~ agg. Inutile, sterile, vano, ma con un significato più forte, quasi di ‘nocivo, dannoso’; più spesso, però, è usato in senso scherzoso. È vocabolo di origine lucchese che sta entrando nel dialetto per i contatti, assai più frequenti di un tempo, tra la Garfagnana e la Lucchesia. Dall’unione dei vocaboli latini dis con valore privativo e utilis, da utor ‘usare’. DIVÈRSO ~ agg. e avv. Come aggettivo non differisce dall’identico vocabolo italiano; caratteristico invece ne è l’impiego (pressoché sconosciuto alla nostra lingua nazionale) quale avverbio, nel senso di ‘diversamente, in altra maniera’ (hai a prova’ a fa’ diverso!). Una fattispecie analoga è già stata incontrata a proposito di diferente e compagno. Dal lat. diversus part. pass. di divertere ‘scostarsi, volgersi dalla parte opposta’. DIVISA’ ~ intrans. Coniugato come ama’. Letteralmente spartire, disporre, dividere in modo organizzato, ordinato, ma nel dialetto garf. è usato, quasi esclusivamente, con il significato di ‘pensare, ritenere, proporsi di fare una cosa’ (particolarmente al part. pass. unito ai verbi pare’, esse, sape’ nel senso di ‘sembrare, ritenere’ (ved. infra diviso). 207 dizionario garfagnino DIVISO ~ agg. partic. È usato per lo più con i verbi pare’, esse, sape’ nel significato di ‘sembrare, apparire’ (mi sa diviso che cusì ’un è giusto; andianlo a trova’, c’ ’un gli sembri diviso che siàn offesi con lu’). DÒJA ~ s.f. Sofferenza fisica o morale. Il vocabolo non è limitato ai dolori del parto, ma certamente è questa l’accezione con cui viene maggiormente usato. Dal lat. dòlia, plur. di dòlium ‘dolore, pena’. DOLCERÌA ~ s.f. Pasticceria, confette- ria, negozio dove si vendono dolciumi. Il termine, pure non assurdo, non si trova sui comuni dizionari della lingua italiana, con l’eccezione di quello del Battaglia, IV, 908 (Pennacchi, Mondo cane - Affari, 124: “Togno, presto / ci toccherà d’aprì una dolceria”). DOLCIÓRE (DOLCÓRE) ~ s.m. Cli- ma dolce, caldo, più di quello comune per la stagione. Il vocabolo sembra costruito sul modello di asciuttóre e umidóre (ved. supra e infra). DÓLCO ~ agg. Morbido, molle, soffice (in questo senso lo troviamo utilizzato anche dal Pascoli), polpo (ved. infra). Non invece con il significato di ‘zuccherato, zuccherino, gradevole al palato’, per il quale si usa dolce. Dunque, nel dialetto della Garfagnana abbiamo due diversi termini per esprimere i concetti di ‘cosa tenera, soffice, mite’ e di ‘cosa che ha sapore gradito, piacevole, zuccherino’: dolco nel primo caso, dolce nel secondo; un divano di gommapiuma, un terreno reso molle dalla pioggia, sarà dolco, un caffè zuccherato sarà dolce. E questo rappresenta una significativa differenza con l’italiano, dove ‘dolce’ presenta entrambi i significati (ancorchè il secondo prevalente rispetto al primo) e ove ‘dolco’ non esiste o è comunque raro. 208 Dal lat. dulcis ‘dolce’ (Campanini-Carboni, 211). DOLLOZZO ~ s.m. Singhiozzo. Il voca- bolo, segnalato da “La Garfagnana” tra le parole del nostro dialetto, non pare molto frequente, così come la variante sollozzo (ved. infra). DOLORICCIO ~ s.m. Doloretto, piccola affezione, non grave, che provoca qualche algia. Spesso il dialetto garf. impiega il suffisso iccio come diminutivo. DOMA’ ~ trans. Coniugato come ama’. Rendere più morbide, meno rigide, le lenzuola che un tempo erano di canapa ed erano grosse e ruvide per cui i ragazzi provvedevano ad ammorbidirle saltandovi dentro ed avviluppandosi nel loro interno, fra l’altro divertendosi un mondo (Cfr. L. Rossi, op. cit., 6). Oggi le lenzuola sono di lino, cotone, seta per cui non hanno più necessità d’esser domate e il verbo si sente solamente in quello che in Garfagnana una volta era forse il suo significato secondario di ‘render mansueto e docile un animale; aver ragione del carattere di una persona’. Dall’identico verbo lat. DOMENEDDÌO (DOMINEDDÌO) ~ s.m. Il Signore Dio, Dio, signore di tutte le cose. È voce dell’uso familiare. DÓPPIO ~ s.m. Suono festoso e accor- dato di due campane, il sabato sera prima dell’Ave Maria e la domenica prima della Messa e del Vespro (Lenzi). DÓPPO ~ avv. Dopo. Può essere avver- bio di tempo (parlerò dóppo), o di luogo (“l’osteria è prima o dóppo l’edicola?” “Dóppo”) e può anche essere utilizzato come preposizione impropria (ci vedremo dóppo il cine; la mi’ casa è dóppo la Chiesa). dizionario garfagnino (Santini, Fattoria moderna, 34: “Io, doppo che mi dan le vitamine,/ mi sento propio bèn…”; Pennacchi, Il cambio alla Coplatte, 148: “perché lui pensa a adesso e il sindacato / invece pensa a quel che verrà doppo”; Bonini, E cusì presi moje, 82: “Infatti s’aggiuston le cosarelle / e doppo un mese dissimo di sì”). Dal lat. de con valore intens. e post ‘dopo’. DÒRMIA ~ s.f. Anestesia. È evidente la radice del verbo dormire, effetto primo dell’anestesia. DOVA 1 ~ s.f. Doga, asse di legno di cui si compone il corpo delle botti o dei barili. Dal lat. doga, derivato dal gr. dokè ‘recipiente’ (Palazzi, 390); Devoto-Oli, 745 optano per un lat. docus ‘travicello’, incrociatosi con il tardo lat. doga ‘botte’. DOVA 2 ~ s.f. Usato esclusivamente al plurale, indicava le tavolette che si ponevano nella conca del bucato per aumentarne la capacità (Lenzi). DOVE’ ~ intrans. (raramente trans.). Pres. indic. io dévo (débbo), tu dévi, egli déve, noi dobbiàn, voi dovéte, essi dévono (dévon, débbono, débbon, dévino, dévin); pass. rem. io dovétti (raro dovéi)…essi dovéttero (dovéttino); part. pass. dovuto. Dovere. Si è ritenuto fosse il caso di menzionare questo verbo perché − pur essendo identico, per significato ed utilizzo, all’italiano ‘dovere’ − il suo impiego è frequentissimo nella parlata della gente di Garfagnana. Si tratta di verbo servile, usato con un altro verbo all’infinito per indicare quanto una persona deve, è obbligata, ha necessità di compiere (studiare, lavorare, dormire, leggere ecc) ovvero quanto si sta per fare. Come ausiliare richiede quello voluto dal verbo accompagnato da dove’ (ho dovuto studia’ la poesia; son dovuto ire dal medico). Come transitivo si usa nel senso di esser debitore (ti devo una somma di denaro, un favore): in tal accezione scompare l’aspetto servile del verbo che però è sottinteso: ti devo (rende, da’ ecc.) una somma di denaro. Dal lat. debère. DOVENTA’ ~ intrans. Coniugato come ama’ (il part. pass. è comunemente dovento, ma si sente anche doventato). Diventare, divenire (ma con maggiore intensità e subitaneità). (Pennacchi, Ji spicciuli,18: “Lu’ si ch’è stato furbo e in d’un momento / è dovento importante”). Da un tardo lat. deventare. DRAGO ~ s.m. Arnese di legno che per- metteva di livellare le castagne sul canniccio del metato per una migliore essicatura. Il vocabolo è contenuto nella lista di parole tipiche della zona di Sillico stilata da Odorico Bonini. In altri luoghi si usa travolo, trollo (ved. supra). DRÈNTO ~ avv. Dentro, nella parte in- terna (drento la casa; drento la capanna; o drento, o fora) ed anche con altri significati, comuni alla lingua italiana: anda’ drento (andare in prigione); dacci drento (impegnarsi); avecci un lógoro drento (all’interno dell’animo). Nella poesia La radio, 15 Santini descrive l’incredulità di un montanaro, invitato ad ascoltare la radio, strumento per lui del tutto sconosciuto. Il buon uomo non riesce a capacitarsi da dove possa provenire la voce che sente uscire da quella strana cassetta e ritiene sia quella di qualcuno nascosto all’interno, onde, temendo di esser preso in giro dal possessore dell’apparecchio, gli dice: ’Un basta esse signori / per cojonammi me…/ e dichi a quel cretìn ch’è arimpiatto / lì drento che la smetti e venghi fori, / e ’un facci più ’l buffón, quello sfacciato!”. 209 dizionario garfagnino Dall’unione dei termini lat. de con intro da intus ‘interno’. DRÉTO ~ avv. Dietro, a tergo (Santini, Elezioni, 31: “O Sandro; cume mai quest’imbrojoni / ch’un dreto l’altro ci hanno rintronato…”). È peraltro più comune l’espressione di reto. DRITTÓN ~ s.m. Rettilineo (ved. supra dirizzón). DU’ 1 ~ agg. num. card. Due, che è composto di uno più uno. Dal punto di vista grammaticale costituisce un aggettivo cardinale e, nel linguaggio comune, è usato anche per indicare una quantità di cose indeterminata, ma modesta (hó mangio appena du’ bocconi). propriamente dialettale vale per le espressioni improvvisate (che fai dumenica?). Dal lat. (Dies) Domini (o dominicalis) ‘giorno del Signore’. DUNDULA’ ~ intrans. Coniugato come ama’. Dondolare, pendere, oscillare a destra e a sinistra; far oscillare qualcosa o qualcuno. Per estensione ‘stare a farla lunga, almanaccarsi senza riuscire a stabilire il da farsi’ (Bonini, Dundulin, 55: “Dundulìn che dundulava / colle gambe caminava”). Parola di origine imitativa o infantile (Borgonovo-Torelli, 100). DUPITA’ ~ intrans. Coniugato come ama’. Dubitare, esser incerto su cosa pensare o cosa fare. Dal lat. dubitare. DU’ 2 ~ avv. Dove (ved. infra indu’). Regge, ovviamente, il plurale ed è indeclinabile (dugento òmini; dugento donne). DURA’ ~ trans. e intrans. Coniugato come ama’. Durare, mantenersi duro, resistere agli agenti esterni (oggi la robba ’un dura più nulla; il mi’ fijolo s’è rimesso a studia’: speriàm che duri). Insistere, perseverare (chi la dura, la vince; finché dura, fa verdura, locuzione idiomatica impiegata per sottolineare l’opportunità di approfittare dell’utilità che produce un bene o di una situazione favorevole, fin tanto che se ne possa disporre).Tipico, nel dialetto garf., è il significato di ‘continuare’ (Pennacchi, La pension, 35: “Durai a dimanda’ a questo e a quello / e tutti rispondevin, questo è il bello…”). Dall’identico verbo lat. durare. DUMENICA ~ s.f. Ultimo giorno della DURO ~ agg. Resistente, compatto, diffi- settimana, dedicato al Signore, nel quale si osservano le pratiche religiose e il riposo. Nelle espressioni consuete e nelle ricorrenze stabilite dal calendario, ritorna la forma con la o: ‘Domenica delle Palme’, ‘Domenica in Albis’, mentre la forma più cile da piegare. Nel dialetto garf. è peraltro utilizzato, come significato primario, nel senso di ‘cocciuto, testardo, ostinato’, noto anche alla lingua italiana, ma non come prima accezione del vocabolo. Dal lat. durus. DUA ~ agg. num. card. Variante di du’, che sta ormai soppiantandolo (Bonini, Regalo mal retribuito, 95: “…lo scambio del ritratto fu causa di rottura fra noi dua”; Santini, Carlìn e il miccio, 42: “…non distinguo più, per il gran male / chi fra noaltri dua sii ’l più animale”). DU’ D’OGOSTO ~ locuz. idiom. garf. Testicoli: così traduce l’espressione il maestro Poli (ved. infra ogosto). DUGÈNTO ~ agg. num. card. Duecento. 210