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Anna Rosa Favretto
I diritti dei minori: alcune considerazioni per i Servizi Sociali.
1. I diritti dei minori e le Convenzioni di fine millennio
Le considerazioni relative alla determinazione del “miglior interesse del minore”, principio problematico, ma
fondamentale, per le decisioni giudiziarie riguardanti l’infanzia e per gli interventi dei Servizi Sociali in ambito minorile
(Pocar, Ronfani, 1998), nell’ultimo decennio si sono notevolmente arricchite in virtù di stimoli provenienti dalle scienze
sociali e dalla riflessione giuridica stessa, intersecandosi con il tema dei diritti riconosciuti ai minori dalle Convenzioni
internazionali e dalle leggi nazionali conseguenti.
Per i Servizi Sociali, il punto nel quale si intersecano le riflessioni sul conseguimento del “miglior interesse del minore”
e sui diritti dei bambini e degli adolescenti risulta di particolare interesse, in quanto vengono posti in luce sia nuove
immagini dell’infanzia, sia, di conseguenza, nuovi modi di intendere gli interventi a favore dei minori stessi. Tali
immagini, che come vedremo tra breve si presentano secondo forme tutt’altro che univoche, possono essere ricostruite
anche a partire da prospettive interne alle scienze sociali. Ad esempio, secondo le prospettive adottate più recentemente
da alcuni sociologi dell’infanzia (Maggioni, 2003), la presenza dei bambini può essere letta in ambito sociale almeno
secondo quattro accezioni: come riferita a soggetti sociali appartenenti a gruppi di coetanei e in grado di produrre, su
scala locale, una cultura originale e processi sociali autonomi; come riferita a soggetti per i quali è possibile rivendicare
nuovi diritti; come riguardante i membri transitori di una struttura sociale permanente, l’infanzia, centrale per
l’organizzazione sociale; come relativa ad attori sociali competenti e capaci, secondo gradi differenti, di esprimersi e di
interagire proficuamente con gli adulti e con la società nel suo complesso.
La sociologia dell’infanzia permette, con questa sintesi, di porre all’attenzione degli specialisti almeno due
considerazioni di fondamentale rilevanza. La prima introduce il tema complesso della costruzione sociale del significato
di infanzia, sottraendo tale significato a forme di pensiero che, nel tentativo di cristallizzarne l’essenza in via definitiva,
non possono dare ragione del mutamento incessante a cui esse stesse sono sottoposte. La seconda riguarda il tema, fino
a oggi poco esplorato, della partecipazione sociale dell’infanzia, della capacità dei minori di interagire con i pari e con
gli adulti in un processo incessante di costruzione della cultura di appartenenza e di partecipazione attiva ai processi di
socializzazione.
Quali sono, dunque, i tratti salienti delle immagini dei bambini, delle bambine, degli adolescenti e quali gli elementi che
contraddistinguono il loro significato, secondo quanto si rintraccia nelle legislazioni occidentali e nelle recenti
Convenzioni?
Qvartup (1995) sostiene che, nonostante l’asserito puerocentrismo che pare contraddistinguere le moderne società
occidentali, ai bambini viene lasciato poco spazio e poco tempo propri e scarsa risulta essere la disponibilità all’ascolto
attento. Inoltre, i bambini sono sottoposti in misura crescente a forme di sorveglianza e di tutela che ne limitano e ne
strutturano profondamente l’esistenza e la possibilità di sperimentarsi. Le considerazioni di questo studioso introducono
due possibili ricostruzioni delle immagini dell’infanzia e del suo significato presenti nel mondo occidentale. Si tratta di
ricostruzioni che polarizzano e contrappongono, in modo chiaro e proficuo, due approcci, i quali entrambi influenzano
profondamente il pensiero giuridico attuale e gli interventi corrispondenti (Ronfani, 2001). Il primo, di carattere
“tradizionale”, si riferisce “all’idea di naturalità e di universalità dell’infanzia” (Ronfani, 2001, 74) e considera il
bambino come un essere bisognoso di tutela e di protezione il quale, al termine di un processo evolutivo, giungerà a
divenire parte competente di una collettività. Secondo questa prospettiva, i piccoli seguono uno sviluppo progressivo e
naturale che li porterà e forme sempre più compiute di razionalità e di competenza. L’infanzia, dunque, è un periodo di
apprendistato che prepara allo status di adulto. Il secondo approccio, viceversa, intende il bambino come un soggetto
attivo, competente, in grado di comunicare precocemente con gli adulti in modo tale da partecipare alla strutturazione
del mondo esterno, capace di produrre cultura con i gruppi dei pari e con gli adulti di riferimento. Questo approccio
rifiuta la visione evolutiva dell’infanzia, che viene dunque concepita non tanto come naturale e universale, quanto come
costruita socialmente secondo modelli, pratiche, valori, orientamenti differenti nello spazio e nel tempo (Ronfani, 2001,
75).
La Convenzione Internazionale sui diritti dei bambini e delle bambine (ONU, 1989) accoglie in misura diversa, in un
tentativo di conciliazione, entrambe le prospettive, stabilendo un’importante tappa nella trasformazione della percezione
dei diritti dell’infanzia intesi come fondamento per la promozione del miglior interesse dei bambini. I diritti indicati
riguardano aspetti generali (diritto alla vita, all’espressione, all’informazione…), lo status (nazionalità, conservazione
dell’identità, conservazione del legame con i genitori…), la protezione, il benessere, l’educazione e la salute (Ronfani,
2001; Maggioni, 2003). Come sempre avviene quando si pone attenzione a questo tema, è necessario rilevare che il
linguaggio dei diritti utilizzato dalla Convenzione crea problemi di interpretazione sociale e giuridica (Moro, 1991), non
soltanto perché i diritti elencati sono di natura disomogenea e sono proposti in modo talvolta confuso e di difficile
applicazione, ma anche, e soprattutto, perché gli estensori del documento, nel tentativo di conciliare entrambi gli
approcci, “hanno peraltro eluso o quanto meno evitato di affrontare in tutte le loro implicazioni, alcune questioni
fondamentali che attengono alla sostanza medesima dell’idea di diritti dei minori: in primo luogo, il problema del
significato da attribuirsi al riconoscimento a soggetti che per legge non sono ritenuti capaci di agire, della titolarità di
specifici diritti” (Ronfani, 2001, 12). Ad esempio, come conciliare, giuridicamente e in situazioni di conflitto
quotidiano, il diritto/dovere dei genitori di fornire un indirizzo educativo e il diritto riconosciuto al minore (pensiamo a
un adolescente) alla libertà di pensiero, di religione, di orientamento politico? Da un lato, dunque, il tentativo di
proteggere l’infanzia e l’adolescenza e di promuoverne il benessere attraverso misure definite “paternalistiche”;
dall’altro, il tentativo di promuovere l’autonomia, la libera scelta, la partecipazione consapevole. “Programmi di
protezione dall’abuso e programmi di promozione dei diritti portano in direzioni molto diverse: com’è possibile
combinare la richiesta di aumentare la protezione con l’aspettativa che ai bambini sia data voce in pubblico e siano così
liberati dall’imponente potere di direzione degli adulti?” (Maggioni, 2003, XXVI-XXVII). Si tratta di una difficile
conciliazione, che tuttavia appare oggi indispensabile a molti studiosi. Infatti, pare farsi strada e sempre più attecchire la
sintesi di un orientamento paternalistico moderato con il tentativo di promuovere la partecipazione graduale,
riconosciuta giuridicamente, dei bambini e degli adolescenti ai processi decisionali, sia per quanto riguarda la
costruzione delle decisioni collettive, sia nel corso di quei procedimenti amministrativi che riguardano i minori stessi. In
questo senso la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori (Consiglio d’Europa, Strasburgo, 1996)
ribadisce un orientamento già contenuto nel documento dell’ONU, centrale per le attività e le pratiche dei Servizi
Sociali. A partire dal riconoscimento che il bambino partecipa sempre, “inevitabilmente e in modo attivo agli eventi in
cui si trova coinvolto e sia portato a decodificarli ed affrontarli anche indipendentemente dalla disponibilità dell’adulto
a farlo partecipe ad essi” (Dell’Antonio, 2001, 44), e dalla sua capacità, riconosciuta apertamente da entrambe le
Convenzioni, di formarsi una propria opinione, in questi documenti si affaccia “la concezione di un bambino che ha il
diritto ad essere considerato persona e a dialogare con l’adulto e di condividere con lui – e con i propri mezzi –
considerazioni e proposte per quanto riguarda le scelte che avranno un peso determinante nella sua vita” (Dell’Antonio,
2001, 98).
Appare evidente che questo orientamento pone sfide importanti agli adulti e alle istituzioni preposte alla protezione e
alla partecipazione dei minori, in particolare agli operatori giudiziari e dei Servizi Sociali impegnati in procedimenti
amministrativi e penali che coinvolgono minori, implicando un attento sviluppo della capacità di ascolto del bambino e
l’individuazione di pratiche di partecipazione consapevole, graduate secondo l’età.
2. Protection, provision, participation: linee - guida per gli interventi
Alcuni commentatori (es.: Boucaud, 1990) hanno evidenziato almeno tre linee ispiratrici della Convenzione ONU del
1989, che possiamo intendere richiamate dalla Convezione del 1996: la protezione del minore (protection), la
predisposizione di strutture e di interventi per il soddisfacimento dei suoi bisogni (provision), la predisposizione di
strutture e di pratiche favorenti la sua partecipazione attiva alla vita sociale in generale e a tutto ciò che lo riguarda
(paticipation).
La legislazione italiana, così come tutte le legislazioni occidentali e le normative su scala locale, adottano un’idea di
infanzia fortemente orientata alla protezione dei minori; tendono inoltre a porre in essere anche pratiche orientate alla
provision, tuttavia in misura giudicata ancora insufficiente da numerosi commentatori. Con spirito innovativo, la legge
285 del 1997 (Disposizioni per la promozione di diritti e opportunità per l’infanzia e l’adolescenza) ha inteso ampliare
questo orizzonte ormai ritenuto limitato, conciliando sia interventi volti a contenere il disagio e a proteggere l’infanzia,
sia interventi mirati alla promozione della partecipazione, intesa in senso sociale (partecipazione alla vita comunitaria
attraverso la stimolazione di pratiche favorenti l’autonomia dei minori) e in senso istituzionale (partecipazione alla vita
istituzionale attraverso la creazione di organi decisionali e consultivi dei minori e per i minori, quali i Consigli dei
Bambini).
L’analisi dell’applicazione della legge, e in particolare l’analisi dei progetti finanziati e realizzati in Italia con l’ausilio
della legge 285/97 (cfr. il lavoro di analisi svolto dal Centro di documentazione e analisi sull’Infanzia e l’adolescenza di
Firenze e dal Laboratorio Infanzia e Adolescenza dell’Università di Urbino) rileva l’esistenza, in Italia, di due culture,
l’una dominante, in quanto più diffusa, l’altra minoritaria. La prima stabilisce come punto di origine la nozione di
disagio dei minori per costruire interventi di natura educativa e aggregativa in contesti ludici organizzati e guidati da
adulti. “Questa cultura può essere riassunta nell’idea di un’educazione centrata sulla persona del minore, che ne
favorisce l’espressione e l’ascolto, disegnando così un percorso formativo mirato ai suoi bisogni cognitivi e affettivi,
entro vincoli di un orientamento normativo ai valori positivi del mondo adulto” (Maggioni, 2003, XLI; Baraldi, 1999).
Per estensione, possiamo far rientrare in questo raggruppamento tutti quegli interventi, messi in atto dai Servizi Sociali
e finanziati dalla legge 285/97, che hanno come scopo la protezione e il sostegno del minore che vive in situazioni di
conflitto e di incapacità genitoriale anche attraverso la promozione di alcuni diritti ormai ritenuti fondamentali, quali il
diritto del bambino al mantenimento della relazione con le figure parentali significative in contesti protetti (Favretto,
2003).
La seconda cultura, minoritaria in quanto meno diffusa, si origina dall’immagine di bambino e di adolescente come
attore protagonista dei fatti sociali, membro attivo della società, e mira a sviluppare situazioni e contesti atti a
sviluppare l’attività autonoma dei minori anche attraverso la partecipazione dei piccoli a processi decisionali,
progettuali e di gestione del tempo libero. “Tale cultura formula metodologie di intervento esclusivamente
promozionali, oppure che utilizzano tecniche educative specifiche allo scopo di incentivare la partecipazione sociale, e
in subordine a quest’ultima. Essa può essere riassunta nell’idea di una testimonianza degli adulti che rende evidente
nell’azione la responsabilità personale dell’adulto e insieme tratta il bambino e l’adolescente come persona degna di
rispetto, fiducia e attenzione per le sue azioni e le sue scelte” (Maggioni, 2003, XLII).
Alla luce di queste considerazioni, è possibile affermare che sia le nuove immagini di infanzia, sia le immagini più
tradizionali, opportunamente rivisitate, concorrono a ridefinire profondamente le pratiche di intervento con e per i
minori non soltanto in ambito educativo, ma anche negli ambiti giudiziari e dei Servizi Sociali, tradizionalmente
preposti alla protezione e ad alcuni interventi di provision. La ridefinizione in corso delinea una nuova centralità
dell’ascolto del minore non più intesa in senso tradizionale (cfr. il dibattito su questo tema comparso sulle pagine di
Minorigiustizia), ma in senso partecipativo, che intende il minore come attore sociale in grado, secondo l’età, di essere
non soltanto testimone degli eventi che lo riguardano in modo più o meno diretto, ma anche, e soprattutto, artefice
attivo del proprio destino, in grado di esprimere punti di vista, pensieri, opinioni, emozioni riferiti al proprio presente e
al proprio futuro meritevoli di attenzione e di considerazione, coglibili secondo pratiche di ascolto oggigiorno soltanto
parzialmente sviluppate e utilizzate.
Bibliografia
C. Baraldi, Il disagio della società, F. Angeli, Milano, 1999
A.M. Dell’Antonio, La partecipazione del minore alla sua tutela. Un diritto misconosciuto, Giuffrè, 2001
A.R. Favretto (a cura di), La terra di mezzo. Le attività di Luogo neutro dei Servizi sociali, Armando, Roma, 2003
G. Maggioni, “Introduzione”, in C. Baraldi, G. Maggioni, M.P. Mittica (a cura di), Pratiche di partecipazione. Teorie e
metodi di intervento con bambini e adolescenti, Donzelli, Roma, 2003
A.C. Moro, Il bambino è un cittadino, Mursia, Milano, 1991
V. Pocar, P. Ronfani, La famiglia e il diritto, Laterza, Bari, 1998
P. Ronfani, I diritti del minore. Cultura giuridica e rappresentazioni sociali, Guerini Scientifica, Milano, 2001
Per l’argomento trattato risulta inoltre importante consultare il sito www.minori.it e la rivista Minorigiustizia.
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