SVELARE LAVOCE IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 1 16/09/14 17:44 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 2 16/09/14 17:44 Silvia Lorenzi SVELARE LAVOCE Confessioni di un vocal coach IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 3 16/09/14 17:44 Se tutto ciò che ho scritto in questo libro fosse detto a voce, avrebbe molto più significato. La voce è il risultato del pensiero di quel preciso momento. Prima di tutto, se tra le vostre letture manca Jane Austen, senza indugio vi invito a chiudere subito questo mio e a tuffarvi in un suo romanzo. Per chi già conoscesse i suoi scritti, allora mi auguro possa trovare qui un’eco, un declinare proprio sulla “voce” la sua grande sapienza degli affetti e della personalità umana, alla ricerca di quell’equilibrio perfetto che proprio Austen ci dimostra esistere. Perché in ogni voce convivono una Elinor e una Marianne. Se tutti gli esseri umani leggessero Jane Austen, il mondo sarebbe migliore. IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 4 16/09/14 17:44 Ogni espressione vocale artistica porta con sé due elementi che, parafrasando Jane Austin, potremmo identificare, come ha ben fatto Silvia Lorenzi in questo testo, come sentimento e ragione. Da un lato si trovano le capacità istintuali di un artista, l’attitudine interpretativa, il suo modo di saper fare arte, le sue abilità agogiche, la disposizione all’improvvisazione, le sue dinamiche di ritmo, intensità e frequenza, il suo essere dentro la melodia e dentro il brano: quelli che in linguistica chiamiamo tratti sovrasegmentali, cioè l’intenzione comunicativa trasmessa al di là di ciò che non è detto esplicitamente dal testo musicale scritto (non tanto ciò che si dice o si canta ma come lo si dice e lo si canta). È quel fattore che ti fa cominciare spesso come autodidatta, proprio perché ti viene riconosciuto che “hai qualcosa da dire”. Dentro la valenza emotiva istintuale, che fa dell’artista un comunicatore di emozioni, riposano le abilità interpretative, magiche, la metafisica del canto, il talento (così può anche succedere a volte che il grande artista abbia studiato poco tecnica vocale o non sappia insegnarla con consapevolezza); attitudine gestita a volte con un atto di eroismo, perché al pubblico piace immedesimarsi nella sofferenza dell’artista come in quella dell’atleta che col suo corpo sublima le possibilità motorie; ciò che impari sul palco. Dall’altro lato, invece, stanno gli aspetti del codice, la capacità esecutiva legata a modelli di apprendimento di aspetti puramente tecnici, che permettono di superare i momenti di difficoltà o trovare soluzioni a problemi esecutivi, la capacità dunque di fare, essere in grado di eseguire ciò che la scrittura richiede dentro quel codice e quello stile, averlo appreso in modo efficace ed economico, gli aspetti testuali e linguistici, il cosa si dice. Tutti questi elementi rappresentano IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 5 16/09/14 17:44 ciò che ti insegna il tuo maestro di canto. In questo volume ci sono considerazioni sulla voce e sul suo modo di “farla” che nascono dal lavoro personale svolto da un’esperta maestra, Silvia Lorenzi, con numerosi cantanti e allievi. Lei stessa, in primis, soprano educata al canto classico e a modalità di emissione vocale ortodossa correlate al belcanto, si è curiosamente interessata ad altre espressioni stilistiche e ha studiato la voce in tutte le sue potenzialità espressive, perché i suoi allievi crescano con la consapevolezza di quel che fanno con il loro apparato fonatorio. Il termine di vocal coach definisce la professione di un trainer della voce, ossia un allenatore, addestratore ed educatore delle funzioni vocali artistiche che si avvale di strategie atte a indurre nel cantante cambiamenti funzionali sia al raggiungimento dei propri obiettivi sia alla definizione di una certa autoefficacia che si traduce nel tempo in successo professionale. È quindi una specialista dell’empowerment, il processo attraverso il quale le persone acquisiscono controllo sulla propria voce e sulla propria performance e quindi efficacia nel rendimento della prestazione artistica. Lavorando sul piano tecnico e contemporaneamente su quello mentale, si può agire sul cantante nello stesso modo in cui si farebbe con un atleta. Il vocal coach si occupa dunque della promozione dell’autonomia del cantante aiutandolo a trovare risposte e soluzioni alle problematiche contingenti, creando un percorso a termine di crescita costruito a partire da una situazione specifica del cantante, costituita dall’esistenza di un problema contingente, un disagio, una incapacità, senza snaturare le qualità primigenie del singolo artista, ma comprendendole, esaltandole, fornendo strumenti per gestirle tecnicamente al meglio. IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 6 16/09/14 17:44 Il vocal coach è in fondo un facilitatore dell’emergere del sé come artista. In Italia lo studio della tecnica vocale è stato soggetto, negli ultimi quindici anni, a una crescita esponenziale, poiché è aumentato l’interesse per lo studio delle tecniche degli stili moderni come il pop, il jazz, il rap e, in genere, tutti gli stili più commerciali. Rimane escluso il canto lirico che, da sempre, ha bisogno di studio per ovvie ragioni. Forse una causa di ciò è nel recente successo mediatico dei talent show che però, in realtà, hanno massificato lo spirito educativo portando gli allievi televisivi e il pubblico dei talent a svilire la personalità in cambio della ricerca di un prodotto canoro standard, emulativo e di mercato. Speriamo che le scuole di canto e i metodi che ricevono oggi, forse grazie proprio ai talent, sempre maggiore attenzione, si preoccupino di cercare sempre più nei loro allievi il dono naturale, perfezionandolo, rendendolo cosciente in una pratica salutare, consapevole e fisiologicamente sana, e facendo sì che la sfera artistica sia il meno possibile contaminata dal copiare qualcun altro, e che nel gusto di chi ascolta vi sia un filtro appreso che insegni a distinguere un urlo da un suono eufonico, per godere emozioni più intense e raffinate. Nel volume è riassunta la consapevolezza di tutto questo, come anche degli aspetti inconsci del risultato vocale, delle qualità dei timbri che la voce usa per esprimersi e interpretare, della possibilità di deroga da emissioni eufoniche a scopo espressivo, dell’importanza del ritmo e dei doverosi aspetti tecnici sulle posture, respirazione e uso dei registri. Per far sì che la voce sia. Franco Fussi Medico foniatra IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 7 16/09/14 17:44 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 8 16/09/14 17:44 La voce è una forma di energia, che si realizza attraverso principi fisici messi in atto da un pensiero. A sua volta ogni pensiero può essere considerato una forma di energia dotata di natura psichica che affonda le proprie radici nel percorso evolutivo e filosofico dell’uomo, come elemento non avulso dall’intero cosmo. Non partirò da così lontano, ma queste poche parole servano per poter comprendere cosa per me può significare una voce e chi la produce e compone. Sì, la voce è un insieme di infiniti elementi, fisici e mentali, in buona parte a noi tramandati. Quello che invece noi possiamo fare è aggiungere l’elemento “necessario”, costituito dalle nostre scelte e dalle nostre capacità di far diventare questa forma di comunicazione una vera opera d’arte, che affonda le proprie radici nell’intera conoscenza. Bruno Santori Direttore d’orchestra IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 9 16/09/14 17:44 Sommario 12 Introduzione 15 15 15 16 18 19 Per cominciare La voce è nutrimento La voce è viva Cosa si intende per tecnica vocale Tra tecnica vocale e inconscio Il canto come attività atletica 21 21 22 25 25 28 32 1. La voce come via per l’inconscio La voce non mente La verità del timbro Voce e parola Avere o essere la voce Il ritmo nella voce Sessualità e femminilità nella voce IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 10 36 36 37 39 40 41 2. L’incontro di voce, poesia e inconscio La nota blu La nota blu e la poesia La sublimazione come atto creativo d’arte La purezza della voce Affinità tra voce, poesia e inconscio 45 45 48 50 54 3. Testimonianze sulla voce Caterina Scotti racconta la sua voce La voce per Silvia Infascelli Esperienze nella voce di Franco Mussida Composizione e voce per Stefano Gervasoni 16/09/14 17:44 58 58 62 74 78 82 88 95 98 4. Tra tecnica e filosofia della voce Dalla postura al respiro Il mistero della respirazione I parametri del suono vocale Vocali e consonanti Approfondimenti sul timbro I registri della voce Conoscere e curare la voce Breve eserciziario 117 7. I talent show 1 01 101 102 103 5. Dal lirico al pop Linguaggio lirico Linguaggio belting Linguaggio pop 137 Ultimo pensiero 1 07 107 109 110 111 115 6. Come nasce un cantante Dalla ninnananna al rock L’imprinting della ninnananna La mia storia Quando una canzone diventa un successo La coppia cantantepubblico IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 11 1 24 8. Per un’eccellenza delle emozioni 124 Ansia e paura 127 Preparazione mentale 129 Consapevolezza emozionale 131 Automotivazione 132Rinvio delle gratificazioni 132 Stato di flusso 134 Conclusioni 138 Bibliografia 16/09/14 17:44 Introduzione Questo scritto è il risultato della mia personale esperienza nel mondo del canto, è la mia posizione sull’uso della voce, è la conseguenza spontanea del mio essere innanzitutto una cantante (un soprano!), del mio naturale manifestarmi attraverso la voce; voce intesa come ciò che mi appartiene profondamente e mi rappresenta più di ogni altra mia espressione. Esplorerò questo argomento da più punti di vista perseguendo un obiettivo essenziale e irrinunciabile per chiunque desideri esprimersi attraverso la propria voce, cioè capire la voce. Vi sono vari canali di approccio allo studio della voce, che sono spesso appannaggio di diversi specialisti, con percorsi formativi anche molto distanti. In commercio esistono numerosi testi che si occupano del canto e della voce, di più o meno facile accesso, indirizzati al mondo specialistico logopedico o foniatrico, a quello del cantante, dell’attore o dell’oratore, ma anche della psicoanalisi e territori limitrofi. Tutti questi specialisti hanno qualcosa di importante da riferire sulla voce, ognuno attingendo al proprio peculiare sapere: il foniatra piuttosto che il cantante, l’analista o il critico musicale, o ancora l’ingegnere del suono. Si tratta spesso di letture appassionanti, che io stessa frequento con entusiasmo. Il mio progetto nasce dal desiderio di accostare e integrare i diversi territori di indagine sulla voce, presentandoli al lettore con la leggerezza adatta a un pubblico eterogeneo. Intendo fornire la possibilità di attingere a un ampio panorama che avvicini le diverse figure che agiscono più o meno direttamente sulla voce, facilitando la reciproca comprensione e dotando il lettore della possibilità di orientarsi all’interno dei diversi vocabolari e metodi di lavoro. Mio desiderio, in sostanza è trovare un ponte tra la parola scientifica, di chi vanta una tale formazione, e la comunicazione per immagini e metafore caratte12 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 12 16/09/14 17:44 corpo inconscio tecnica scienza Indagini sulla voce emozione poesia linguaggio interpretazione fig. 1 ristica di chi ha una esperienza prettamente artistica. È dotare il sapere scientifico della forza dell’immagine, è legare la scienza all’arte, la parola alla proiezione visionaria, in un circolo virtuoso di rinforzo di significati contenuti (fig. 1). Dedico questo libro a chiunque trovi interessante e attraente il mondo della voce, dilettante o professionista, cantante o insegnante, operatore sanitario o semplice amante della voce, per condurlo alla scoperta del proprio strumento, per aiutarlo a entrare in confidenza con la propria voce: comprenderla, possederla, saperla ascoltare e gestire in ogni momento. Spero possa essere una piacevole digressione nel mondo della voce, non un manuale tradizionale, ma piuttosto uno strumento che possa 13 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 13 16/09/14 17:44 essere di aiuto e stimolo alla soggettività di ogni voce. Non fornirò “formule magiche”, ma mi permetterò di suggerire una filosofia di approccio, un invito alla ricerca, avvicinando il più possibile il lettore alla natura del proprio strumento, nel rispetto delle peculiari vocalità di ognuno, e del personale percorso. La voce sarà affrontata in relazione al corpo, alla psiche e alla parola nelle sue diverse dimensioni: razionale, emotiva, istintiva, interpretativa e semantica. Inoltre, essendo la voce conseguenza di un insieme di manifestazioni psico-fisiche, capire la voce vuol dire capire, arricchire e rinforzare le consapevolezze dell’intera persona. Conoscere la propria voce è conoscere se stessi, e tutto ciò che ne deriva. Lavorare sulla voce ha effetto terapeutico su tutta la persona. In ogni caso non basterà leggere questo libro per imparare a cantare, l’arte del canto è qualcosa che ha assoluto bisogno della pratica costante, del confronto con uno o più maestri e con più cantanti possibili. Questo testo vuole essere un mezzo per rendere consapevole e virtuoso il percorso scelto e per creare un terreno il più fertile possibile alle esperienze di aula. Mi auguro di cuore che questa lettura sia per voi entusiasmante e arricchente, così come spesso è capitato a me di provare affrontando quei testi che oggi fanno parte della bibliografia di questo libro. 14 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 14 16/09/14 17:44 Per cominciare La voce è nutrimento La leggenda narra che Federico II (1194-1250) imperatore del Sacro Romano Impero (1220-1250), conosciuto con gli appellativi stupor mundi (“meraviglia del mondo”) o puer Apuliae (“fanciullo di Puglia”), appartenente alla nobile famiglia sveva degli Hohenstaufen, dotato di personalità poliedrica e affascinante, innovatore di tecnologie e cultura, unificatore di terre e popoli, letterato e protettore di artisti e studiosi, mosso dal desiderio di trovare il linguaggio originale (cioè la lingua non acquisita ma già posseduta alla nascita e poi persa nell’impatto col mondo e il suo linguaggio), fece isolare acusticamente alcuni neonati. Le balie che li avevano in cura erano incaricate di non parlare né con i neonati né tra di loro. L’esito fu drammatico: tutti i piccoli morirono! La voce è viva Cantare è intonare una melodia, emettere suoni armoniosi, modulare suoni secondo le regole della musica, ma vuol anche dire celebrare, elevare, attestare, dichiarare, narrare, magnificare, esaltare, incensare, onorare, poetare, proclamare. È chiaro che l’atto del canto coinvolge altri aspetti oltre a quelli puramente tecnici e meccanici (fisiologici), cioè coinvolge anche i territori della semantica (significati) e delle emozioni (sentimenti). Se è vero che c’è partecipazione emotiva in ogni forma di musica strumentale, a maggior ragione ciò avviene se lo strumento è la voce. Essendo uno strumento vivo, esso si plasma e adatta attorno a un corpo flessibile e suscettibile. Pure, la voce non può “suonare” senza l’integrazione della parte emotiva del cantante stesso. Il cantante, nell’atto del cantare, esprime di sé anche un suo peculiare stato emotivo: in parte indipendente dall’atto musicale (preesistente) e in parte conse15 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 15 16/09/14 17:44 guenza dell’atto stesso e sviluppato su di un contenuto semantico, che in quel momento riconosce e fa proprio (testo intonato). Cantare vuol dunque dire presentarsi per intero, proporsi all’esterno usando un canale di comunicazione, quello della voce, che è la manifestazione di corpo e psiche. Ogni cantante è il proprio strumento. Si tratta di uno strumento complesso e delicato. Ogni volta che il cantante si avvicina al canto si pone in un atteggiamento psico-fisico specifico. Precisamente si concentra sulla sua capacità di suonare. Alla voce manca quell’evidenza propria di strumenti esterni, chiaramente percepibile sensorialmente, statici e prevedibili (tutti gli strumenti eccetto la voce!). Lo strumento voce è in gran misura nascosto, è in perpetuo mutamento e soprattutto è in buona parte agito inconsciamente. Il cantante non ha da guardare una tastiera per orientarsi, ma per lui è assolutamente indispensabile uno sguardo interno, sottile, una capacità propriocettiva (relativa alla coscienza e al controllo dello stato del corpo, in relazione allo spazio esterno e ai rapporti tra i segmenti scheletrici) ed endocettiva (relativa alla percezione e alla coscienza degli stati interni) particolarmente raffinata. Su queste sensibilità si basa l’abilità e l’arte del cantante: sulla capacità di “guardarsi dentro”, di ritrovare sempre lo strumento interno, in qualsiasi condizione psicofisica e ambientale, e di saperlo riconoscere e gestire attraverso una consapevolezza specifica acquisita con impegno e costanza (schema corporeo vocale). Il lavoro sull’ascolto interno è tanto più efficace quanto più coinvolge l’intera persona (corpo e psiche in continua relazione). L’ascolto interno, a sua volta, deve essere in stretta connessione con l’emissione: percezione ed emissione devono essere tra loro in equilibrio dinamico, in un costante scambio di contenuti e informazioni. L’emissione è efficace quando contemporaneamente è attiva la percezione: in ogni azione vocale artistica, percezione ed emissione devono riguadagnare quell’equilibrio potenzialmente perfetto in natura e alterato nell’uomo condizionato da un ambiente civilizzato (ma anche arricchito culturalmente!). Cosa si intende per tecnica vocale La voce è uno strumento potentissimo e assolutamente complesso, e la sua tecnica altro non è che il supporto necessario alla valorizzazione del potenziale vocale. Non dovrebbe rappresentare una gabbia che 16 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 16 16/09/14 17:44 limita e circoscrive, ma una condizione evoluta dello strumento voce. Una buona tecnica non deve necessariamente togliere spontaneità e naturalezza alla voce. Una tecnica sana permette di ampliare le possibilità dello strumento e di lavorare in un equilibrio di efficienza ed efficacia, cioè minimo sforzo con massimo risultato. La fonte del suono vocale è la laringe, organo che nasce con funzione sfinterica e solo secondariamente diviene strumento di linguaggio. Solo all’interno di un lungo percorso evolutivo si colloca lo sviluppo del canto, che acquista lentamente funzione aggiuntiva, un’ulteriore opportunità di comunicazione. La laringe non ha come primo scopo il canto, il canto è segno e sintomo di un’evoluzione, biologica, culturale e sociale che non a caso si manifesta diversamente a seconda delle coordinate temporali, geografiche e culturali nelle quali si esprime. Non esiste un’unica tecnica vocale, ma esiste un potenziale comune a tutte le voci umane. La tecnica vocale è un sapere condizionato da riferimenti temporali, culturali e geografici, ma sviluppato su un potenziale comune a ogni essere umano. Padroneggiare “una tecnica” vocale vuol dire semplicemente conoscere il proprio strumento, saperlo rispettare nelle specifiche qualità di base (limiti compresi) e saperlo muovere nell’ambito o negli ambiti prescelti per gusto, stile e temperamento. Ciò non dovrebbe precludere al cantante lirico, quando lo voglia, l’opportunità di cantare con voce naturale, come pure a un cantante di musica leggera, studiare e affrontare il canto classico, senza per questo destrutturare e perdere le peculiarità timbriche della vocalità leggera. Un’abilità non necessariamente deve escluderne un’altra. Accadrà poi naturalmente, nel percorso di un artista, di trovarsi di fronte a una scelta che sarà tanto più efficace quanto più consapevolmente orientata verso l’ambiente musicale che meglio esprime la sua sensibilità musicale e la sua morfologia. Sono altresì convinta che la sperimentazione vocale sia un atteggiamento positivo e che, appunto in virtù di un sapere vocale più vasto, sia in grado di “illuminare” il repertorio scelto elettivamente. Avere una padronanza della “tecnica vocale” vuol dire saper fare il più possibile, il più correttamente possibile e il più semplicemente possibile con la propria voce. Non vi è sostanziale differenza tra quella che genericamente si definisce una voce impostata liricamente e una voce da musica leggera. Lo strumento di partenza è lo stesso, anche se vi è certo una evidente diversità timbrica e di volumi, dovuta alle diverse 17 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 17 16/09/14 17:44 esigenze: il lirico deve amplificare naturalmente il suono, il leggero si avvale dell’ausilio del microfono. Al lirico è stato insegnato uno stile, al quale deve assolutamente aderire, al leggero si chiede una spiccata caratterizzazione vocale. Per quanto riguarda i fondamenti della tecnica vocale, non esiste sostanziale differenza tra i due ambiti: la meccanica cordale, la respirazione e la posizione del suono sottendono alle stesse leggi fisiologiche. Sarà poi l’obiettivo scelto a condizionare il percorso tecnico, sempre nel rispetto dell’organo vocale. Esistono poi altre culture che usano la voce diversamente da come avviene in Occidente, culture lontane che spesso non ci è dato di conoscere direttamente, ma che in qualche modo sono state “importate”, e che vale sempre la pena, per quanto possibile, di esplorare. Il confronto con altre vocalità è sempre e in ogni caso arricchente e stimolante. Nella mia esperienza, l’incontro con altre vocalità ha “illuminato” aree del mio strumento che altrimenti non avrei potuto conoscere, permettendo una sorta di “rinascita” della voce, pur rimanendo all’interno della cultura musicale di appartenenza. Tra tecnica vocale e inconscio Come narra un’antica sentenza di origine asiatica: “Meriterà il nome di uomo, e potrà contare su ciò che è stato preparato per lui, solo colui che avrà saputo acquisire i dati necessari per conservare indenni sia il lupo sia l’agnello che gli sono stati affidati”. Non si può dimenticare che l’uomo per essere tale dovrebbe, attraverso le proprie risorse intellettuali e spirituali, tenere in sé in equilibrio di convivenza sia il lupo (l’istinto) sia l’agnello (il sentimento). Trovo particolarmente pertinente questo detto se declinato sulla voce. Se, come mia profonda convinzione, nella voce è sedimentato tutto ciò che costituisce l’individuo, essa meriterà il nome di voce e potrà avere il privilegio di saper dire ed essere ascoltata. Questo è il grande obiettivo di una buona tecnica: non alterare la parte istintiva e primitiva della voce (il lupo) e arricchirla con la parte evoluta rappresentata dal sentimento e dalla capacità di controllo (l’agnello). Lo sviluppo di una tecnica vocale potenzialmente conduce a una crescita vocale, ma può anche essere il limite stesso della vocalità. Tecnica può voler dire circoscrivere e limitare le proprie capacità espressive o autocensurare le proprie esperienze vocali e costringere al silenzio 18 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 18 16/09/14 17:44 parte dell’inconscio e dell’istinto. Ritengo fondamentale lasciare la voce libera di esprimersi anche “secondo natura” e non solo “secondo tecnica”, collocandola in una posizione di consonanza condivisa tra corpo e psiche. In quest’ottica, frequentare diversi generi musicali diventa l’opportunità di indagare nel proprio inconscio, muovendosi in aree evolute e culturalmente elevate ma anche primitive e più spiccatamente ludiche. Se sul confronto e la disciplina è basato l’approccio all’educazione vocale, non bisogna circoscriversi all’atto imitativo e disciplinato nei confronti del maestro, ma cercare di ascoltare, dare voce, e magari anche “imitare”, nel senso di procedere per tentativi sempre più efficaci, il proprio inconscio, inteso come il recipiente delle personali autenticità latenti. L’inconscio potrebbe essere per ognuno un importante maestro. La voce, come ologramma della persona, proietta l’interezza dell’uomo, rappresentata dalla dicotomia tra pulsione e sentimento, tra istinto e ragione, sublimando la materia del corpo e riproponendola come corpo senza massa. Il canto come attività atletica Oltre all’apertura ai diversi aspetti della natura e della tecnica vocale, un atteggiamento che io auspico nel “cantante ideale” è quello dell’approccio atletico. Non intendo con questo esigere corpi atletici, ma un atteggiamento mentale e una disposizione alla cura del corpo, alla pianificazione dello studio/allenamento e a un sano agonismo. Va sottolineato che si canta con tutto il corpo. Le corde vocali sono la fonte della vibrazione, ma è tutta la complessità dell’essere che viene messa in gioco nell’atto fonatorio. Uno stato di benessere fisico avrà un indubbio riscontro in una voce “sana”. Anche il riscaldamento della voce (buona cosa da mettere in atto quotidianamente prima di affrontare il repertorio) dovrebbe essere preceduto da un riscaldamento fisico, dolce (si veda il capitolo 4). Durante la fase di riscaldamento sono consigliabili anche discipline posturali come il metodo Feldenkrais1. Molto diffusa tra gli artisti è anche la tecnica Alexander, una rieducazione volta alla riduzione delle tensioni psicofisiche e al contenimento dello spreco di energia2. Anche un’attività come lo yoga o il power yoga3 (meno meditativo e più dinamico rispetto al primo) può essere una più che valida opportunità. Lo yoga ha il grande vantaggio di essere molto efficace sia per lo sviluppo di qualità come l’equilibrio 19 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 19 16/09/14 17:44 sia per una buona e armoniosa tonicità muscolare, favorendo la respirazione diaframmatica, la riattivazione circolatoria, e stimolando altresì la percezione del proprio corpo e la capacità di concentrazione. Moshé Feldenkrais, fisico e ingegnere nato in Ucraina e naturalizzato britannico, ideò questo metodo attorno agli anni cinquanta, in seguito a una lesione riportata a un ginocchio. Il metodo è basato essenzialmente sulla presa di coscienza del proprio movimento e dei propri schemi motori ed è articolato in sequenze di semplici movimenti che coinvolgono ogni parte del corpo, dall’ascolto delle sensazioni che gli stessi inducono allo sviluppo di nuovi modi di muoversi e percepirsi. Si tratta di un metodo per l’apprendimento e l’autoeducazione attraverso il movimento, che si prefigge di indurre a conoscere e utilizzare pienamente le nostre risorse. Lo scopo non è applicare una ginnastica, ma fornire strumenti di automiglioramento, al fine di arricchire la qualità della propria vita. È adatto a ogni soggetto e a ogni età, è insegnato in due modalità parallele: lezioni di gruppo o individuali. Oggi il metodo è diffuso in tutto il mondo. Dalle illuminanti parole di Moshé Feldenkrais: “Io credo che l’uni1 tà di mente e corpo sia una realtà oggettiva. Non si tratta solo di parti collegate in qualche modo tra di loro, ma di un tutto che è indivisibile durante il suo funzionamento. Un cervello senza corpo non potrebbe pensare…”. È semplice intuire l’efficacia di una tale disciplina sul corpo e sulla psiche di un cantante. 2 Alexander era un brillante attore australiano, ma con un problema: durante le recite soffriva di abbassamenti di voce. Per questa ragione lasciò il teatro e non trovando aiuto nella medicina, provò a osservare, con l’ausilio di una serie di specchi, il suo lavoro sul palcoscenico per trarne i dovuti insegnamenti. Ci vollero dieci anni per elaborare la sua tecnica di rieducazione di mente-corpo, alla cui diffusione dedicò il resto della sua esistenza. 3 Il power yoga è uno yoga dinamico, che privilegia l’aspetto fisico rispetto a quello meditativo, e che si sviluppa mettendo in atto una serie di coreografie con l’ausilio dei movimenti tipici dello yoga. 20 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 20 16/09/14 17:44 1. La voce come via per l’inconscio La voce non mente “La voce, come il corpo, non mente”1 dice Laura Pigozzi, enunciando così una verità profonda. Essa rappresenta il supporto necessario e indispensabile del linguaggio, fatto di articolazione di suoni, con lo scopo specifico di rendere possibile la comunicazione tra persone che condividono lo stesso codice. La voce è il vettore vivo del linguaggio e rappresenta una componente assolutamente personale. È la variabile che rende diverso e unico l’approccio con un codice linguistico standardizzato e che, insieme al linguaggio non verbale, fornisce all’ascoltatore un grande numero di informazioni, più o meno esplicite, assolutamente specifiche e non trascurabili. La voce ha infatti la capacità di andare oltre il linguaggio, di esprimere anche ciò che forse non sappiamo né desideriamo far trasparire. È la “dimensione” che ci rappresenta interamente, sempre, anche quando non è nelle nostre consapevoli intenzioni (come per lo sguardo). La voce anticipa e “tradisce” la nostra volontà: non può ignorare l’inconscio, anzi, ne è appunto l’espressione, il mezzo per emergere dal “luogo” più profondo e misterioso. Mi piace pensare che la voce, come somma e risultato della forma fisica e psichica, rappresenta una sorta di “altro corpo”, un corpo sublimato, un ologramma, e la parola – e ancora di più la parola nel canto –, ne sia il “gesto”. Spesso si parla del “corpo della voce”, proprio nel tentativo di descriverla da un punto di vista più fisico, cercando suggestioni concrete e tangibili che la descrivano. Ma in realtà essa è quanto di più difficile da “spiegare”; può certo essere rappresentata attraverso uno spettrogramma, ma la sua effettiva capacità espressiva non può che essere descritta dal suo impatto con l’orecchio. La voce – come la musica – è quindi un “linguaggio” intraducibile e universale, una realtà complessa e articolata impossibile da tradurre semanticamente. 21 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 21 16/09/14 17:44 Nel canto il gesto sonoro della voce, cioè il suono in movimento, acquista particolare importanza proprio in virtù del fatto che il vettore è vivo. Il gesto della voce non si avvale di nessuno strumento esterno, di nessuna mediazione con oggetti inerti (come l’arco per il violino, la tastiera per il pianoforte). Nella voce artistica il gesto sonoro non viene alterato o “contaminato” da un mezzo esterno, ma mantiene la sua purezza e la sua verità. Questa caratteristica di purezza intrinseca, arricchisce di nuovi significati l’oggetto stesso, cioè la voce. Essa infatti mette interamente a nudo, e questo è il motivo che la rende più suscettibile di fluttuazioni emotive rispetto agli altri strumenti. La verità del timbro Parlare di voce, vuol dire prendere in seria considerazione il suo parametro per eccellenza: il timbro. Il timbro è un parametro “sensibile”: all’interno di un discorso, una stessa voce continua a mutare di timbro attraverso l’articolazione delle vocali e delle consonanti e in generale a seconda dell’atteggiamento del tratto vocale; il timbro è quindi un parametro complesso, così come lo strumento che lo determina. Nella comunicazione attraverso un codice, il timbro si sovrappone al linguaggio, amplificandone il contenuto. Ma il timbro è meno plasmabile e influenzabile rispetto al linguaggio, e può accadere che si trovi in conflitto con esso. È il tono della voce a tradire una bugia! La comunicazione sarà tanto più efficace e lineare quanto più in grado di rispettare e non tradire la propria voce, il proprio timbro. In altre parole, il timbro può “tradire” un particolare stato d’animo che non viene espresso attraverso la parola. Vi è uno stretto parallelismo tra la verità del corpo e quella della voce, entrambi posseggono e condividono un’intrinseca incapacità di mentire. Come fa il corpo quando non trova “voce” per esprimere le proprie sofferenze, anche la voce, considerata come corpo sublimato, “somatizza”. Particolari tensioni emotive possono somatizzare in una voce rendendola instabile, o pressata, o altro, o addirittura possono far perdere la voce. Si parla spesso di “voce timbrata”, volendo esprimere connotati di bellezza e valore, ma è sempre molto difficile parlare del timbro e cercare di definirlo. L’Associazione Americana di Normalizzazione definisce il timbro come segue: “L’attributo della sensazione uditiva che permette all’ascoltatore di differenziare due suoni della stessa al22 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 22 16/09/14 17:44 tezza e della stessa intensità, presentati in maniera simile”, cioè definendo il timbro per sottrazione agli altri parametri, citando quello che in realtà non è. Da notare che altezze, durate e intensità possono essere discrezionate, cioè sono ordinabili come grandezze scalari, lungo un’unica dimensione (possono essere ridotte a un valore numerico); il timbro invece è multidimensionale, non può essere espresso da un numero. Quando il compositore compone per voce, il suo interesse cadrà in maniera importante anche sulla scelta delle caratteristiche timbriche vocali desiderate. Mentre altezza e ritmo sono parametri prevedibili, il timbro non lo è. Il timbro di una voce sarà determinante sul risultato della composizione, avrà un suo impatto e tutto questo proprio in virtù della sua coincidenza con un “corpo vivo”. Il timbro, in definitiva, ci rappresenta proprio nella nostra complessità e poliedricità: è l’articolata proiezione dello strumento che lo produce. Esso ci rappresenta senza volerci per questo “spiegare”. È chiaramente quel parametro che contraddistingue in maniera inequivocabile ogni voce, che la rende riconoscibile e unica. Il timbro è infatti un marcatore ancora più accurato e specifico rispetto alle impronte digitali. Il timbro è il risultato di un corpo e di una mente, ma anche di un percorso storico personale. Nel timbro è sedimentato tutto il vissuto, tutto ciò che abbiamo ascoltato e che abbiamo assorbito: ci sono le nostre paure e le nostre forze, le sconfitte e le gioie, l’eco degli spazi aperti e il rimbombo delle stanze chiuse. Il timbro è una memoria vivente; è il risultato della stratificazione e della “metabolizzazione” del personale vissuto. Col trascorrere del tempo il timbro si plasma sul corpo e sulle esperienze, muta con essi e ne viene condizionato. Esso si sa esprimere ancora prima della parola e soprattutto è il parametro che rende vivo il linguaggio, che lo “umanizza”, che è manifestazione di energia vitale. Il timbro della voce è il corpo tradotto in energia priva di massa. Particolarmente affascinante è la disciplina dell’improvvisazione vocale quando coinvolge il timbro come parametro dominante e come guida per lo sviluppo improvvisativo: la voce viene messa nella condizione di liberare il corpo attraverso di sé, di fare un percorso storicoevolutivo rovesciato, non cercando più solamente un suono tecnicamente corretto o, per così dire, “evoluto”, ma, con andamento involutivo, ricercando suoni “primitivi” o che si accostino ai suoni della na23 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 23 16/09/14 17:44 tura o ancora che si destrutturino nel tentativo di essere altri strumenti (improvvisare usando la voce percussivamente e “sentendosi tamburo”). Improvvisare vuol dire poter usare “tutto” della voce e farlo attraverso l’unione di corpo e psiche. Improvvisare è cercare di far emergere tutto il possibile dal nostro inconscio attraverso un corpo messo a disposizione, nudo e senza menzogne, e soprattutto senza darsi il tempo di riflettere, ma agendo rapidamente, con consapevolezza istintiva. Pigozzi definisce la voce strutturata nella parola come il nodo di tre registri. Voce + parola = tre registri: 1. la parola, che rappresenta l’ordine simbolico dello scambio sociale, la regola riconoscibile; 2. l’intonazione, originata da un corpo risonante, che esprime la dimensione del reale, la portata fisica e naturale della voce; 3. la prosodia, il livello immaginario, quello della creatività e dell’invenzione, la posizione nello spazio libero, il gesto. Se si trasferisce questa organizzazione all’ambito parametrico musicale vocale ne consegue che si identifichi la parola/simbolico con il ritmo, il suono/reale con la melodia e la prosodia/immaginario con il timbro. Registro parola intonazione prosodia Livello simbolico reale immaginario Parametro ritmo melodia timbro Nella musica vocale, e non solo, può avvenire che uno dei tre parametri (ritmo, timbro, melodia) prevalga sugli altri. Una composizione può avere il suo focus sulla ricchezza ritmica piuttosto che sulle sfumature timbriche o sulla costruzione melodica. Questa “dominanza” di un parametro sugli altri può essere enfatizzata in maniera ancora più evidente nell’arte dell’improvvisazione. Nelle formazioni dal duo in su, i vari parametri del suono possono essere isolati e sviluppati secondo loro natura. I diversi parametri possono essere “distribuiti” tra i musicisti, i quali, assoggettati a una sorta di deontologia che prevede di non invadere il campo occupato dall’altro, ne sviluppano e ampliano 24 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 24 16/09/14 17:44 i contenuti. È vero anche che ogni parametro si trascina dietro, per inerzia, caratteristiche degli altri, non essendo per loro natura completamente separabili, e che appariranno in secondo piano come contenitori necessari. Così anche il timbro della voce con il suo bagaglio di reale e di qualità sonora, non può esistere senza una componente, per quanto latente, di parola/simbolico/ritmo e di prosodia/immaginario/ melodia. In ogni caso una voce non potrà mai esprimere in un unico gesto la sua natura poliedrica, ma avrà sempre una parte di sommerso, un ambito latente, pronto a emergere, non sempre consapevolmente, e, come per l’inconscio, destinato a sorprendere. Voce e parola “La parola, nel suo ruolo di scambio sociale…, ne rappresenta l’ordine simbolico”2. La parola testimonia la nascita del gruppo sociale, essa è tramite e mezzo per il legame sociale. La parola per la sua capacità di ordinare e articolare è rappresentazione del sociale. Dove c’è parola c’è sociale. Ogni linguaggio porta con sé un’imperfezione, un’incapacità di garantire un’efficace comunicazione, che inevitabilmente limita la condivisione. Il “limite” sta nella parola stessa: il limite della parola è la causa dell’incapacità di una reale comprensione tra popoli e quindi è la causa della diaspora finale. Così la parola/gesto/sociale risulta intrinsecamente imperfetta. La voce, su questa parola imperfetta, è l’ingrediente che ne smussa le rigidità e ne attenua l’imperfezione. È l’elemento inalienabile per l’uomo sociale, è la memoria musicale della lingua universale, è la sua eredità. Tutto ciò presuppone però una capacità di ascolto non comune, un’attenzione al suono che permetta una più profonda decodifica. Non è un caso se durante le sedute di analisi, l’analista è molto attento a cogliere le sfumature di voce del paziente. Improvvisi scatti o interruzioni, sbalzi tonali ecc., sono il segno di una voce che tenta di “superare” il linguaggio. Anche un transfert3 è spesso evidenziato da un cambiamento della voce. Avere o essere la voce Altro aspetto da considerare è la differenza tra avere ed essere la voce, ricordando ancora Freud sul tema dell’avere ed essere relativo al seno 25 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 25 16/09/14 17:44 della madre. Se nell’identificazione del bambino con il seno della madre si evidenzia una posizione arcaica, il trauma che lo vede come soggetto separato è la base per un progressivo e sano allontanamento da lei e per la conseguente costruzione di una personale individualità e consapevolezza di sé. Anche per la voce il ragionamento può essere simile: io non sono la voce ma io ho la voce, nel senso che la voce mi rappresenta ma io non desidero inseguirla. La voce è la proiezione che si stacca da me, e io non mi limito e circoscrivo nel mio prodotto vocale del momento, non rincorro la mia voce, cioè non regredisco nel rincorrerla né la tengo attaccata a me. La voce è destinata a staccarsi dalla fonte per andare verso l’altro, acquisendo così il carattere di oggetto pulsionale, che si “perde”. La pulsione insegue l’oggetto (la voce) senza mai catturarlo veramente. Il momento in cui la voce si palesa, coincide con l’istante della sua perdita. La voce ci sfugge in continuazione e soprattutto sfugge al nostro controllo. È nell’accettazione del distacco che la voce prende vita, è nella capacità di rispettarla senza forzarla che può crescere. Così come il “bambino dei sogni” è solo una proiezione del desiderio di una mamma in attesa che non coinciderà con il bambino reale, anche la voce è una realtà che può discostarsi dai desideri personali. Vero è che il cantante rischia di identificarsi con la propria voce quando sarebbe più corretto sentirsi rappresentato da essa. In realtà la voce parla di noi, porta con sé un significato che ci appartiene, ma che non sempre è facile accettare e comprendere fino in fondo, un po’ come quando non riconosciamo la nostra voce al telefono. Accade anche di ascoltare la propria voce registrata e di non esserne soddisfatti o peggio ancora di non percepirla come personale. Questo in parte è dovuto alla differenza tra un ascolto del proprio suono di tipo interno, per trasmissione prevalentemente ossea, e un ascolto esterno, cioè di suono che trova il suo ingresso a livello timpanico dopo aver viaggiato in uno spazio ed essere stato in parte trasformato dallo stesso. Tale differenza non può giustificare totalmente l’incapacità di riconoscere il proprio suono. Un ascolto consapevole della propria voce deve passare anche dall’ambiente esterno. Nel percorso di crescita vocale è indispensabile un autoascolto critico e imparziale, anche con l’ausilio di registratori, al fine di rendersi veramente conto di ciò che arriva all’altro. Un atto di umiltà e di riconoscimento, per evitare di immaginare una voce “migliore” di quanto sia realmente. 26 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 26 16/09/14 17:44 Guardandosi allo specchio il reale tridimensionale viene ridotto a immagine bidimensionale, nell’ascolto della propria voce invece si passa da un unico suono prodotto a due dimensioni di ascolto: cioè sentiamo la nostra voce due volte (ascolto interno + ascolto esterno), mentre chi ci ascolta sente una volta sola. Nell’atto del canto si è impregnati del proprio suono, si è inebriati, quasi ubriacati e si può perdere obiettività di valutazione. L’equilibrio tra corpo e voce sarà tanto migliore quanto più si ritroveranno somiglianze e assonanze tra le parti, pur rimanendo tra di loro identificabili separatamente. Il lavoro di un cantante è volto indubbiamente ad acquisire capacità tecniche che abbiano come scopo principale l’educazione della voce, rendendola flessibile e duttile, ricca di armonici, ben proiettata e con la giusta energia. Ma questo processo di crescita vocale non va mai percorso allontanandosi dalla propria natura, sia fisica sia emotiva. La tentazione di cercare caratteristiche che non appartengono alla nostra voce è sempre in agguato; per questo un ascolto più profondo di tutto il nostro corpo dovrebbe aiutare a riconoscere e trovare le personali, specifiche e uniche peculiarità vocali. Il suono, pur staccandosi dal corpo, deve mantenere coerenza e somiglianza con la fonte e la deve saper correttamente rappresentare per poter essere realmente efficace. La voce ha dunque un suo confine, è portatrice di un limite, intrinsecamente presente nel nostro patrimonio genetico e ulteriormente definito dall’impatto ambientale e culturale. Ogni limite rappresenta anche un punto di forza e un valore. Esso umanizza e, nello specifico, il limite è l’elemento che meglio ci rappresenta, che rende “descrittiva” la voce stessa. Essa “disegna” il soggetto che la produce, crea un’immagine psicofisica nella mente dell’ascoltatore. Ad esempio, per le voci alla radio, all’ascolto si sovrappone una sommaria visione interiore: l’ascoltatore “vede” il radiofonico. La voce porta con sé delle forme che rispondono alle suggestioni che timbro e prosodia provocano nell’immaginario. Evidente è anche la rievocazione, ad esempio attraverso l’ascolto della voce al telefono, di volti già conosciuti. Questo “rispecchiamento” tra corpo e voce costituisce una risorsa in termini di capacità di equilibrio psicofisico. Un’interessante testimonianza è quella di Françoise E. Goddard quando afferma: “[…] ogni volta che ho risolto un problema del mio suono, 27 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 27 16/09/14 17:44 qualcosa si è messo a posto nella mia vita; e, viceversa, ogni volta che vedevo un miglioramento nel mio modo di cantare, un problema si era risolto nella mia vita”4. Nella mia esperienza di cantante spesso mi sono stupita di ritrovare nella mia voce non semplici somiglianze con il mio modo di essere, ma chiare spiegazioni. La mia voce sottolinea ed evidenzia il mio approccio all’esistenza. Trovo il gesto della mia voce assolutamente consonante con i miei gesti quotidiani e con i miei pensieri. Se la mia voce suona in un certo modo è perché io sono quel modo di suonare. Le caratteristiche e i punti di forza della mia vocalità sono tali proprio perché mi appartengono profondamente. Come mi riconosco in un certo tipo di poetica della vita così la stessa si imprime sul mio suono. Mi è spesso capitato di incontrare colleghi cantanti e di osservarli in semplici gesti del corpo (scostare i capelli dal viso, stringere una mano, afferrare un oggetto). Mi sono spesso stupita di notare in quei gesti la stessa “posa” evidenziata nella loro voce, e soprattutto ho compreso alcune differenze tra la mia e la loro vocalità proprio osservando azioni e comportamenti al di fuori dell’atto musicale. Ma la voce non è solo timbro, in essa altri parametri si sovrappongono e contribuiscono alla rappresentazione del soggetto. Il ritmo della voce/ parola, ad esempio, è un aspetto altrettanto complesso e personale. Il ritmo nella voce Un noto motto platonico enuncia: “Il ritmo è ordine del movimento”. Ogni voce ha un ritmo strutturato sull’alternarsi di vocali e consonanti, dove le prime rappresentano il suono e le seconde il limite o la misura delle prime. Ogni voce ha una sua personale prosodia ritmica, risultato dell’articolazione tra vocali e consonanti. Come ricorda Pigozzi, le consonanti, data la loro caratteristica di porre un confine alle vocali, possono rappresentare l’ordine simbolico, il sociale, e vengono associate alla figura del padre, colui che rappresenta la “legge”; di conseguenza le vocali possono essere lo spazio del canto, arginato dallo scandire consonantico, luogo artistico privilegiato, associato alla figura della madre. A tale proposito va ricordato il ruolo fondamentale del “linguaggio” materno nei primi mesi di vita, quando la madre si rivolge al figlio usando un “codice assurdo”, fatto di grande prosodia, cioè ricco di picchi tonali con grande alternanza di suoni acuti e gravi, usando un’associazione di sillabe non senso e di vezzeggiativi di fanta28 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 28 16/09/14 17:44 sia, un linguaggio che è stato definito mammanese, una sorta di dialetto materno (il lalangue di Lacan). Si tratta di una condizione privilegiata di comunicazione tra madre e figlio, con un ritmo assolutamente libero che lascia molto spazio al vocalico. La prosodia del mammanese sarebbe il presupposto allo sviluppo del linguaggio, la prima marcatura, responsabile della nascita di quel simbolico che è la condizione per lo sviluppo del futuro linguaggio. Una mamma molto prosodica aiuterà il figlio nelle sue prime risposte vocaliche disarticolate, creando la condizione necessaria per lo sviluppo di un’intrinseca sensibilità musicale. Accade inoltre che i suoni emessi siano la naturale conseguenza di ciò si è ascoltato; è infatti più facile essere prosodici nella lingua madre piuttosto che in lingue successivamente padroneggiate. Tale fenomeno potrebbe essere favorito dal fatto che la lingua madre è stata introdotta proprio attraverso la sua prosodia. Vi sono poi lingue affascinanti come le lingue tonali, nelle quali il senso della parola cambia in relazione al tono di pronuncia. La distribuzione geografica delle lingue tonali ha la sua massima presenza in territorio subsahariano, Cina e Indocina. In Europa solo lo scandinavo e il norvegese hanno caratteristiche tonali. In italiano il tono non incide sul senso della parole, anche se l’intonazione della frase fornisce ulteriori informazioni e arricchisce di significati. Un’intonazione di tipo ascendente ha senso interrogativo (?), una piana assertivo (.) e una discendente indica comando (!). Oltre a questi tre principali movimenti, la lingua italiana si esprime in infinite sfumature d’intonazione con senso musicale ed emotivo. Il 2 aprile 2013 uno studio del Baycrest Health Sciences’ Rotman Research Institute di Toronto, coordinato da Gavin Bidelman e pubblicato sulla rivista “Plos One”5, ha affermato che chi parla lingue tonali ha più facilità nei processi di apprendimento della musica, in sostanza ha un orecchio migliore e il cervello è meglio preparato ad ascoltare la musica. In questo modo anche le neuroscienze affermano che musica e linguaggio non solo condividono alcune strutture cerebrali, ma fra di esse vi sarebbero opportunità di benefici bidirezionali. Non solo l’ascolto della musica può migliorare l’accesso al linguaggio (già ampiamente dimostrato) ma le abilità linguistiche inciderebbero sull’apprendimento musicale. Ciò non vuol dire che questi siano i presupposti per essere musicisti migliori, il talento musicale ha origini e motivazioni ben più complesse e inspiegabili. Il valore aggiunto dello studio 29 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 29 16/09/14 17:44 in realtà può esser offerto dallo sviluppo di nuove opportunità riabilitative attraverso training musicale in soggetti con deficit di linguaggio. Nell’opera può accadere che il cantante enunci un testo decisamente in contrasto con lo stato d’animo del personaggio che interpreta, mentre lo stesso messaggio emotivo passa nella scrittura musicale, cioè l’emozione autentica del personaggio non sta nelle sue parole ma nel movimento musicale che lo supporta, nella “prosodia” della musica. In questo caso, il “tono della voce” è espresso attraverso il movimento della musica, la quale diventa il mezzo per far arrivare l’autentico messaggio emozionale, cioè ha il compito di far emergere il vero, di non mentire, di essere come il timbro: disarmante dichiarazione di verità. Ritornando al tema del ritmo della voce, va ricordato che il linguaggio è costituito da un flusso propriamente narrativo, ove il ritmo è libero e personale, in un certo senso, creativo e poietico. Nella musica codificata è invece inserito con grande evidenza il modulo della ripetitività, articolato dal metro; intendendo per metro un “di cui” del ritmo, una conseguenza, la sua parte implicita, che organizza i singoli intervalli di tempo (espressi dai valori musicali) all’interno di un “modello” reiterato (ad esempio 2/4, 3/8 ecc.), senza rinunciare alla presenza di accenti, più o meno in relazione coincidente tra ritmo e metro6. Se la scrittura musicale da un lato pone un limite alla libera fluidità propria del linguaggio parlato, dall’altro ne permette un’organizzazione formale. Anche in questo caso l’obiettivo del cantante è volgere i limiti a suo vantaggio, affrontando l’imposizione di ritmo e metro, come virtuosa coercizione che favorisca lo sviluppo direzionale e una vocalità lineare e proiettata all’altro, all’esterno. Il limite del singolo valore musicale e della battuta diventa così un’opportunità per evitare l’eccesso d’interiorizzazione, la regressione nel proprio ritmo, nei privati confini biologici e culturali, favorendo un “linguaggio” verso l’altro piuttosto che una forma di auto gratificazione, per altro assolutamente non disprezzabile. Diventa l’opportunità di creare movimenti ritmici per così dire, meno personali ma sicuramente “più condivisibili”. Il metro prima ancora che parametro della musica codificata, è esperienza precoce e spontanea, come il battito cardiaco. Tale esperienza permette una sincronizzazione senso-motoria, cioè una consapevolezza di coincidenza tra ritmo percepito e ritmo prodotto. Ad esempio, il semplice gesto ripetitivo di cullare il bambino, come pure le ninnenanne in mammanese, spontaneamente si organizzano su di un semplice metro o pulsazione. 30 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 30 16/09/14 17:44 La personale prosodia ritmica è quindi (come per il timbro) il risultato di un vissuto: è la stratificazione del suono del battito cardiaco della madre durante la gestazione, della prosodia materna e paterna, con le loro caratteristiche e i loro ruoli specifici. Già nelle prime lallazioni ed ecolalie comincia a manifestarsi questa esperienza. Si tratta di un patrimonio che non andrà perso. Da adulto, ognuno avrà consolidato una propria personale prosodia derivata, da patrimonio genetico, ambiente ed esperienze sensoriali oltre che emotive. C’è chi afferma che in forme artistiche legate alle discipline del jazz come lo scat7, può essere recuperata più o meno consapevolmente l’esperienza della lallazione. Nell’improvvisazione il parametro ritmico si sviluppa secondo suggestioni che pescano nel passato storico sia collettivo sia soggettivo. In particolare il ritmo viene distinto da tre differenti modi di articolazione: 1.il ritmo narrativo, cioè organizzato come un libero discorso; 2.il ritmo legato alla danza, ove la pulsazione domina come un bordone cardiaco; 3.il ritmo metrico, cioè legato alla reiterazione di un modello sottointeso, con organizzazione ordinata, regolare, e soprattutto ciclica. Così come la prosodia è caratteristica soggettiva, in ambiti come quello dell’improvvisazione, cioè capaci di pescare nell’inconscio, si rendono evidenti caratteristiche personali relative anche alla gestione del ritmo, che finiscono con l’evidenziare tratti di somiglianza tra voce, corpo e psiche. Nella mia piccola esperienza improvvisativa ho scoperto affinità con una organizzazione ritmica piuttosto che con un’altra, come pure con particolari aree melodiche, armoniche e timbriche, come a dimostrare che il mio essere è frutto di un impatto sociale e culturale ma anche bagaglio “biologico” personale e specifico. Anche il ritmo della voce è, insieme al timbro, rappresentativo della verità che è il soggetto fonte. Ogni gesto del corpo porta con sé un “ritmo”, la parola e il canto non sono che gesti musicali, e come il movimento del corpo parla di sé, così fa ed esprime il movimento della parola. Anche la lettura di uno spartito già ritmicamente definito non può sottrarsi alle caratteristiche ritmiche personali del soggetto lettore: 31 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 31 16/09/14 17:44 esiste sempre un margine che permette di far emergere le peculiarità ritmiche dell’interprete. Il gesto vocale all’interno della scrittura musicale imposta potrà essere più o meno morbido, piuttosto che aspro o spigoloso, virile o suadente, aggressivo o remissivo… Sessualità e femminilità nella voce Il godimento e di conseguenza la sessualità dell’essere umano evade dal puramente “naturale”. L’uomo, essendo dotato d’intelligenza e d’inconscio, vive il sessuale superando la barriera dell’istinto. L’uomo a differenza dell’animale è dotato di linguaggio, l’uomo per amare deve parlare, deve usare linguaggio, voce e prosodia. Durante l’emissione vocale e soprattutto durante il canto tutto l’organismo viene coinvolto: non è pensabile cantare senza usare l’interezza fisica e psichica. Il respiro ne è il presupposto, è l’invito al canto, è l’atto preparatorio dovuto, che già contiene tutta l’enfasi del canto. È il movimento dilatatorio che accoglie aria ma, nello stesso tempo, prepara lo spazio del suono. Durante l’emissione vocale artistica accade che il suono viene accolto virtualmente nello spazio preparato dal respiro, procede riempiendo i vari risuonatori naturali, producendo effetti di consonanza e risonanza (si veda il capitolo 4) e in definitiva facendo “suonare” tutto il corpo. Questa straordinaria capacità di essere contemporaneamente sia fonte viva e plastica della vibrazione sia cavità e corpo risonante, si traduce indubbiamente in un atto che porta in sé la capacità del “godimento”. Ciò che genera piacere è: • produrre il suono, • essere mezzo di propagazione della vibrazione, • essere la cavità, lo spazio, il contenitore risonante. Più è efficace il canto, maggiore è il godimento. La percezione del piacere legata all’emissione è tanto più evidente quanto maggiori sono le capacità di evitare azioni costrittive e di autocensura. Consapevolezze tecniche e abilità nello sfruttare i risuonatori sono altri fattori che incidono favorevolmente sul piacere del canto. Più si è in grado di “vibrare” col proprio suono e più vi è piacere. Importante a questo punto è constatare che si tratta di un godimento con un carattere specifico femminile, cioè è un godimento “altro”, non di natura fallica. È la capacità femminile di “accogliere” per godere, nel senso di farsi 32 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 32 16/09/14 17:44 “culla”, di trovare uno spazio amando il suono, amando la risposta del corpo messo in risonanza. È la capacità tutta femminile di trovare spazi occulti, cavità virtuali e di renderle reali e vive. La donna ha, da questo punto di vista, una specificità in più: è per natura più portata all’ascolto delle sensazioni propriocettive ed endocettive, probabilmente perché a differenza dell’uomo, il suo apparato sessuale è più nascosto, segreto, non mostrato evidentemente all’esterno. Questo porta la donna a sviluppare una capacità di osservazione sensibilmente rivolta alle sensazioni interne. Il suono ha bisogno di dirigersi in spazi del corpo non visibili dal nostro occhio, ma intuibili per atto introspettivo. Il suono, per essere giustamente collocato e sviluppato, deve sapersi orientare in tali spazi. Ecco perché la consapevolezza delle proprie cavità rappresenta un vantaggio per il cantante. Nel repertorio operistico compaiono spesso figure femminili con ruoli di strega o di maga: prima fra tutte Medea, ma anche Norma, Azucena, Anna, Alcina e via dicendo… Tutte queste eroine hanno in comune la capacità di scrutare nel non visibile, di andare oltre sacrificando anche la propria immagine agli occhi altrui e la loro capacità di fascinazione risiede proprio in queste abilità. Il cantare è di fatto un gesto un po’ da “strega”. Si tratta di un “talento” indispensabile per un buon cantante. Un cantante sarà tanto più abile a sviluppare tecnica e suono quanto più sarà in grado di ascoltare le risposte del proprio corpo, soprattutto interne e nascoste. Non a caso è più facile che l’esperienza del canto lirico sia affrontata da una donna. Spesso per l’uomo si parla di una “tecnica più complessa”, anche se sarebbe più corretto parlare di un più complesso rapporto con le sensazioni endocettive. Certamente questo non emargina il mondo maschile dal canto, ma è pur vero che spesso si avvicinano al canto uomini con caratteristiche di sensibilità femminile. Fin dall’infanzia tra maschio e femmina sono evidenti atteggiamenti diversi, ad esempio nel disegno le bambine privilegiano disegni costruiti più concentricamente, mentre nei maschietti è più frequente trovare forme centrifughe. La preferenza del maschio è verso giochi che prevedono il lancio, mentre nelle bambine è verso giochi che cercano il “segreto”, con borse, nascondigli ecc. Demetrio Stratos ha detto: “Riconosco di avere in me, e di coltivarla, una forte componente femminile. La esprimo soprattutto attraverso il suono originale, cioè la voce”8. 33 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 33 16/09/14 17:44 La laringe è un organo sessuale secondario, responsabile del cambio di voce nell’adolescente e normalmente in grado di discriminare tra i due sessi (solitamente il registro dell’uomo è più basso di circa un’ottava rispetto a quello femminile). Un uomo normalmente si trova più a suo agio controllando ciò che può vedere piuttosto che ciò che è nascosto. Per il mondo maschile risulta più immediato gestire la propria voce con forza muscolare, ovvero con un’energia più facile da riconoscere e controllare rispetto allo sforzo di un ascolto propriocettivo, di riconoscimento e accoglienza di un “suono altro” all’interno della propria voce. In alcuni uomini, per esempio, può essere più difficoltoso affrontare il “passaggio” della voce, quasi rappresentasse un tabù, un uscire da confini puramente maschili, un rendere più “femminile” la propria voce. Il legame tra voce e sessualità è quindi evidente sia a livello psicologico che fisiologico. In un’intervista, una nota cantante lirica alla domanda: “Dove appoggia il suono?”, rispose: “Non si può dire!”. La sessualità non è una componente sconosciuta alla voce. La libido è la fonte principale di energia psichica (secondo Françoise Dolto9 la libido è la parte inconscia del sessuale). Il canto per manifestarsi ha bisogno di un grosso investimento in termini di energia psichica, da ciò è ipotizzabile la liaison con l’aspetto del piacere. In particolare, il canto può essere il risultato artistico della sublimazione dell’energia sessuale. La voce trasporta in sé un godimento sublimato. Essendo la fonte sonora il corpo stesso, la sublimazione che ne deriva ha un’impronta fisica così spiccata da rendere proprio la voce lo strumento per eccellenza deputato al piacere. Nella sensazione di godimento propria del canto lirico vi è anche un altro fattore. Normalmente cantare vuol dire evadere dal registro del parlato, porsi a un altro livello. Si tratta di un’abilità da sviluppare e solo in rari casi innata ed efficace. In sostanza si passa da un livello concreto e terreno a un secondo livello, per così dire, “superiore”, che guadagna una certa spiritualità. Cantare vuol dire porsi al di sopra del quotidiano, sia in termini di efficacia sonora sia di intensità di suono sia di bellezza. L’azione del canto è un po’ come la continua conquista di nuove vette, cariche di spiritualità, guadagnate con fatica e determinazione. La conquista è sempre godimento. Anche se poi segue la discesa, la vetta rimane nell’esperienza dello scalatore alimentandone il piacere a ogni evocazione. L’abilità del cantante è un’abilità non co34 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 34 16/09/14 17:44 mune che non tutti sanno o possono sviluppare efficacemente: il cantante è una sorta di “super eroe”, un soggetto con abilità artistiche e atletiche. Il cantante di fatto supera l’atleta perché non comunica solo emozioni ma col proprio corpo produce arte e nobilita l’ascoltatore. Infine cantando ci si fa belli, ci si pavoneggia, e di questo indubbiamente si gode! L. Pigozzi, A nuda voce. Vocalità, inconscio, sessualità, Antigone, Torino 2008. 2 Ibid. 3 Transfert, o traslazione, è un meccanismo per il quale ogni individuo tende a spostare schemi di sentimenti e pensieri relativi a una relazione significante su una persona coinvolta in una relazione interpersonale attuale. 4 F.E. Goddard, L’anima nella voce, Urra, Milano 2006. 5 “Plos one”: rivista internazionale pubblicata dalla PLoS, organizzazione noprofit di scienziati e medici il cui scopo è rendere la letteratura medica e scientifica pubblicamente accessibile, utilizzando il concetto di peer review. 6 Il parallelo tra prosodia della parola e ritmo in musica trova le sue origini nell’antichità classica, quando l’organizzazione delle durate applicato a poesia e musica era la stessa, cioè basata sulla quantità delle durate, in un susseguirsi di sillabe 1 lunghe e brevi; alla fine del XII secolo le sillabe persero la netta differenziazione quantitativa e la musica s’identificò con il mensuralismo; nel XVII secolo il ritmo venne distribuito nella battuta. 7 Lo scat è una forma di canto, quasi sempre improvvisato, appartenente alla cultura musicale del jazz, che non prevede l’uso di parole compiute, bensì di fonemi privi di senso dal suono accattivante, che il cantante utilizza in chiave ritmica oltre che melodica. Se ne attribuisce la paternità, o quanto meno la diffusione, a Louis Armstrong, verso la metà degli anni venti. 8 J. El Haouli, Demetrio Stratos, alla ricerca della voce-musica, Auditorium, Milano 1999, p. 33. 9 Françoise Dolto (Parigi, 1908-1988), medico e psicoanalista francese, allieva di Jacques Lacan, si dedicò soprattutto ai problemi dell’infanzia, e alla “sensibilità linguistica” dell’infante. 35 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 35 16/09/14 17:44 2. L’incontro di voce, poesia e inconscio La nota blu Nel jazz e nel blues una blue note può essere rappresentata dal III grado della scala maggiore (ma anche dal V o dal VII) abbassato di un semitono e suonato o cantato in maniera leggermente calante. L’associazione con il colore blu vuole richiamare un senso di nostalgia e tristezza tipico della musica afroamericana che utilizzava scale non temperate (in particolare la scala pentafonica) che diedero poi origine alla scala blues. Queste note, utilizzate tipicamente in una cornice armonica di accordi maggiori, presentandosi però abbassate di un semitono, come riferendosi a un modello minore, creano quell’atmosfera di indefinitezza tonale caratteristica del blues. In particolare, il secondo suono della scala blues, quando viene suonato calante, è una blue note. Ad esempio, scala blues di Do: Do, Mib (blue note), Fa, Fa#, Sol, Sib Per estensione anche altre note quando vengono suonate calanti vengono definite blue note. Le tecniche dei musicisti per eseguire, sfruttare ed enfatizzare le blue note sono le più varie: i cantanti spesso utilizzano un piccolo portamento giocando tra tale nota e quella “temperata”, lo stesso fanno i trombonisti con il glissando. I chitarristi usano la tecnica del bending (stirando le corde col polpastrello), mentre i pianisti a volte suonano entrambi i semitoni vicini. Ma la nota blu si riferisce anche a stati emozionali creati da una musica di per sé lontana dal repertorio jazz e blues. La nota blu – come la definì Delacroix ascoltando suonare Chopin nel salotto di George Sand – è la capacità che ha un suono, adeguatamente preparato dal discorso musicale, di indurre un senso di riconoscimento, di significato ritrovato, che però torna subito a sfuggire. Questa nota 36 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 36 16/09/14 17:44 attesa, preparata da una successione di suoni che ne alimentano l’aspettativa, porta con sé una “rivelazione”: lo schiudersi della nota blu. Questo suono parla a chi l’ascolta rivelando un sapere che esisteva già ma che era latente. È la voce dell’altro che arriva a noi con inusitata chiarezza, che si rivolge direttamente all’intuito, che non è esprimibile attraverso il linguaggio della prosa, ma che viene veicolata dal suono e dal timbro fino a raggiungere un’acutissima zona di sensibilità, nascosta, occulta, che penetra l’inconscio proprio perché scaturita dall’inconscio dell’artista. La nota blu, con il suo carico di significati e suggestioni, se applicata alla voce e in particolare al canto, è una nota, o un suono, o un gruppo di suoni che si sa esprimere meglio degli altri, che ha una capacità comunicativa amplificata. Questa nota può esistere riferita a un contesto, cioè inserita all’interno di un discorso musicale, contenendo in se stessa il “messaggio emotivo” dell’intera frase musicale cui appartiene. Ma la nota blu è anche quel suono che più di ogni altro ci appartiene, anche privata di qualsiasi contesto. È quel suono che è in grado di far vibrare il proprio strumento con un’efficacia e una conseguente gratificazione straordinaria. La voce/strumento accoglie la sua nota blu di risonanza entrando in sintonia con essa in un atteggiamento “indicibile”, nel senso che il linguaggio musicale è intraducibile e tutti i tentativi di descrivere il suono portano in sé una insuperabile incapacità comunicativa. Anche nel godimento del corpo si potrebbe parlare di nota blu come di quella verità desiderata, preparata, vissuta e subito persa: la verità del piacere come una nota blu del corpo. La natura così intensa e inafferrabile della nota blu non può che indurre a successive ricerche attraverso nuove esperienze musicali o di vita. È in quest’ottica una sorta di mistero affascinante, che attrae, che non si svela mai fino in fondo, che assomiglia all’animo femminile nel senso di portatore di spazi insondabili. La nota blu e la poesia Come ha sottolineato Freud, nel poetico e nell’inconscio – e nella musica aggiungo io – si annida quello che “non si sa di sapere”, quello che sfugge all’Io. Si tratta di un sapere che per sua natura è subito sfuggito, che non può essere trattenuto, perché non riducibile a una sequenza logica di significati, ma piuttosto che è portatore di un retro 37 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 37 16/09/14 17:44 significato, stratificato e tridimensionale. Il valore intrinseco del poetico e del timbro, indescrivibile e polimorfo, si potrebbe avvicinare al carattere della nota blu: un valore preesistente di un sapere nascosto, preparato, liberato, intuito e subito sfuggito. La nota blu, essendo di per sé un’esperienza, ovvero per la sua appartenenza al reale, non può essere espressa pienamente attraverso l’uso di un simbolico (la parola), di conseguenza non può essere espressa attraverso la letteratura. Il reale, cui la nota blu appartiene, è per sua natura complesso, multidimensionale e polimorfo (matassa) e non può essere compiutamente descritto da un linguaggio che si sviluppa su di un’unica dimensione lineare (filo). Quando però il significante viene articolato in una forma poetica qualcosa cambia. Ciò che differenzia ed eleva il poetico dalla prosa è la capacità del primo di “rappresentare”, di “mettere in scena”, di indurre una visione tridimensionale, costituita dalla contemporanea sovrapposizione e stratificazione di significati altri (il discorso, come semanticità articolata, e il testo, come semanticità non articolata). Il linguaggio organizzato in forma poetica acquisisce una capacità espressiva eccedente il semplice valore comunicativo: il testo va oltre il discorso, ne è il valore aggiunto. Di conseguenza il linguaggio poetico, a differenza della prosa, è prossimo al potere espressivo che in musica ha la nota blu, intendendo con essa quel surplus di valore che va oltre il discorso musicale. Tra la poesia e la nota blu ci sono consonanze. In musica il discorso si organizza nella successione armonico-melodica, con i suoi significati funzionali di tensione e distensione, ma è il testo il reale vettore emotivo, cioè ciò che sa emozionare ma che non è spiegabile attraverso una semplice analisi armonico-melodica e che penetra ogni ascoltatore in modo assolutamente soggettivo. Il testo (di cui fa parte la nota blu) si rende evidente attraverso l’esecuzione musicale, e arriva all’ascoltatore che possiede già nel suo inconscio quello stesso bagaglio emozionale. Il testo è quel di più che rende un atto compositivo una forma d’arte. Quando nella musica viene integrato il verso poetico, l’amplificazione di significati latenti è al suo massimo sviluppo. Ciò che arriva all’ascoltatore è espresso allo stesso tempo su diversi livelli di significazione: vi è il messaggio puramente musicale, fatto di fluttuazioni e movimenti emozionali astratti, portatori di note blu; vi è il discorso del poetico con la sua chiara articolazione semantica; vi è il testo poetico, ulteriormen38 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 38 16/09/14 17:44 te esploso attraverso la frammentazione operata dalla dilatazione della musica; e vi è poi un apporto di fisicità ed erotismo propri della sonorità della lingua e della voce e conseguenza di un corpo vivo. Il valore che si riversa sull’ascoltatore è di notevole portanza; inoltre i diversi livelli si amplificano a vicenda in un gioco di consonanze e risonanze. Ad esempio, il tempo delle emozioni in musica non coincide con il tempo delle emozioni della parola quotidiana. Vi è una sfasatura che fa sì che le emozioni normalmente scaturite dalla recitazione di un verso poetico, vengano dilatate temporalmente nella frase musicale e di conseguenza amplificate nei loro significati reconditi. La musica permette al poetico di svilupparsi oltre, acquisendo potenza espressiva inusitata. Qualsiasi valore artistico, compositivo o poetico che sia, guadagna una propria autonomia attraverso l’atto esecutivo del concerto o della declamazione, ed è in quel preciso frangente, staccandosi dalla fonte, che si emancipa e si carica di ulteriori nuovi significati. Freud sottolinea l’importanza che nella pratica della seduta psicoterapeutica ha la libera parola associativa del soggetto, quando proferita ad alta voce e non in monologo interiore, causando in questo modo uno spossessamento del sapere del soggetto a tutto vantaggio di una traslazione sulla parola: il significato non appartiene più al soggetto ma alla parola. Nell’atto del canto lo “spossessamento” è ulteriormente enfatizzato, ricordando che in esso si attua un plurimo distacco dal soggetto-cantante: quello del significato musicale, quello del significato poetico (con discorso e testo) e quello della voce con il suo complesso bagaglio timbrico, il tutto destinato a inoltrarsi e vivere in uno spazio esterno alla fonte. La sublimazione come atto creativo d’arte Il linguaggio è territorio condiviso da canto, poesia e inconscio. Il loro scopo supera il semplice atto funzionale o utilitaristico. Per canto, poesia e inconscio il dispendio di energie è orientato soprattutto al godimento, che è il loro reale obiettivo. Esso è la conseguenza della soddisfazione di una pulsione, e in arte si realizza attraverso un atto di sublimazione: il desiderio si scioglie in quiete a opera della sublimazione. L’artista trasforma la pulsione in spinta creativa, elevandone il godimento. L’artista sublimando produce arte: la sublimazione non è un processo economico né funzionale. 39 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 39 16/09/14 17:44 Canto e poesia non sono che l’innalzamento di una pulsione: l’atto sessuale viene sostituito dalla gratificazione creativa della forma d’arte. Dante per primo lo ha testimoniato con l’amore per Beatrice: esaltato non attraverso il soddisfacimento del desiderio, ma con l’idealizzazione dell’amata, ponendola a un livello superiore, irraggiungibile (e giustificando in un certo senso anche l’“insuccesso” dell’uomo), trasformando il desiderio in amore. Dante codifica, testimonia e divulga quello che nella costruzione cristiana sostituisce l’amore al sessuale. Dante, il poeta per eccellenza, è colui che anticipa il sapere dell’analista, che poetizza questo sapere senza specifica consapevolezza. L’analista dal canto suo, affronta il poetico come colui che sa e che proprio nel poetico trova la dimostrazione del proprio sapere. Se il poeta usa l’atto della sublimazione come strategia per occultare l’assenza del rapporto sessuale, l’analista ne svela il meccanismo smascherando proprio l’assenza del rapporto sessuale: il poeta non ha obiettivo funzionale, l’analista sì. Per il poeta, come per il musicista, l’atto creativo filtra e rimodella la percezione del reale, così per il cantante, l’atto vocale è poetizzazione del reale. Invece l’approccio dell’analista (e talvolta anche quello del critico musicale) è quello di decodificare, di dedurre quanto di funzionale esiste nell’atto artistico, in sostanza trasforma l’arte in scienza, la cultura in cura: per l’artista quello che conta è il bello e l’indicibile, l’analista fa a meno del bello e utilizza un linguaggio funzionale perché ragiona in termini di economia. Il critico musicale è indispensabile, è il tramite tra musica e pubblico, esprime a parole quello che il compositore non sa di aver detto, ma può anche essere pericoloso quando eccede nella “scienza” e nella “cura”, dimenticando di stare in silenzio di fronte all’inesprimibile. Il critico, a differenza dell’artista, non sublima, ma scompone. La purezza della voce Della musica e della voce si tenta sempre di parlare, scontrandosi immediatamente con l’impossibilità di tradurre a parole gli effetti che la voce produce sui sensi. La musica come l’inconscio non ha un vocabolario in senso semiologico, non esiste un elenco di simboli per sostenere i significati dei suoni. Si tenta di descrive la musica appoggiandosi al simbolico parola, ma non vi è simbolo per tradurre il suono. La musica è semplicemente “movimento di affetti”. Si può cercare una 40 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 40 16/09/14 17:44 somiglianza di effetti e affetti tra suoni e parole, circolando tra le suggestioni fornite dai cinque sensi, ma la musica non può che rimanere senza parole. Si può parlare di suono scuro o brillante o duro o aspro, usando i sensi per descrivere il timbro, ma mancando il vero bisogno di riuscire in una traduzione. Il linguaggio è il tentativo, fallito, di tradurre il messaggio dei sensi. Nulla è più lontano dalla sostanza della musica della parola: la parola è semplice mediatrice tra musica e inconscio. L’inconscio si nutre attraverso i sensi, accumula ciò che i cinque sensi assorbono e si struttura attorno e attraverso il materiale fornito da essi: l’inconscio è una politonalità sui cinque sensi, è un labirinto in continua trasformazione. L’inconscio, come il timbro fra i parametri musicali, è come la matassa costituita da tutti i sensi, il tridimensionale sensoriale, intuibile ma non penetrabile, qualcosa di inclassificabile ma di profondamente percepibile. Mentre il linguaggio della parola è funzionale, l’inconscio e la musica non lo sono. Inconscio e voce si sanno esprimere anche se non hanno parole (pur rimanendo intraducibili): a loro è dato il privilegio di esprimersi senza mediatori, il loro messaggio è meno contaminato, è potenzialmente puro. Affinità tra voce, poesia e inconscio Polidimensionalità Tra poesia e musica esiste uno stretto rapporto. Secoli di musica hanno privilegiato l’utilizzo di testi poetici. Il musicista preferisce mettere in musica la poesia piuttosto che la prosa. Ciò è particolarmente evidente nel repertorio cameristico, dal madrigale al Lied, ma trova una sua verità anche nella storia dell’opera che, pur avendo vissuto grandi cambiamenti nella struttura dei libretti, (ad esempio con Puccini emancipandosi dalla rigida organizzazione in versi), non ha mai abbandonato un assetto poetico. L’affinità tra poesia e musica altro non è che una consonanza di stile, un bisogno di eleganza, in un gioco di trasparenze di significati, in una dimensione tridimensionale. Ciò che attrae tra loro le due forme d’arte (poesia e musica) e che le fonde attraverso l’uso della voce, è proprio la condivisione di una struttura multidimensionale e poliedrica, capace più della prosa di rievocare e di rappresentare la complessità del reale, di costruire uno spazio, di dare una sorta di profondità virtuale, un volume architettonico di significati sovrapposti e stratificati, osservabili da più punti di vista. 41 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 41 16/09/14 17:44 La voce svolge un ruolo insostituibile, un ruolo inarrivabile da un altro strumento, perché più di ogni altro è dominata dal timbro (parametro tridimensionale per eccellenza) e perché strumento vivo, non statico, ma orientato attivamente nel reale. Il timbro della voce si esprime sempre nella sua totalità, nel bene e nel male, come frutto di un percorso storico personale inalienabile e inarrestabile. La voce, in quanto viva, in quanto esperienza, si nutre direttamente di reale, che a sua volta è lo stato multidimensionale e inafferrabile per eccellenza. E ancora, come già detto per la poesia, anche la voce porta in superficie il sommerso, è ponte e punto di emergenza per il nascosto dell’inconscio. Poesia e voce (e soprattutto poesia e canto) possiedono e condividono una “quarta dimensione”, che va oltre la “sintassi” per raggiungere il pozzo senza fondo dell’inconscio, luogo polidimensionale per eccellenza. Struttura dialogica Altra condivisione tra voce, poesia e inconscio, oltre allo sviluppo delle stesse su più dimensioni, è il carattere dialogico. La parola presuppone una dimensione intersoggettiva, acquistando senso perché rivolta verso l’altro. Anche il sintomo psicosomatico ha una sua direzione, è rivolto verso un “ricettore”, trasporta un contenuto. Il sintomo rappresenta la “parola” dell’inconscio, è la sua risposta al vissuto e alle emozioni che porta con sé. Attraverso la poesia si attua un dialogo che per essere efficace si riduce al minimo, va oltre la sintesi, la supera. Nella poetica il linguaggio vive una sua autonomia ribellandosi alle stesse leggi che lo governano. Le normali regole comunicative sono sovvertite, il linguaggio supera se stesso e proprio in questo ambito disarticolato si può attuare un dialogo privilegiato, introducendo l’altro a una dimensione di esperienza nuova, con ordini nuovi di relazioni simboliche. Il canto per eccellenza implica l’esistenza di un dialogo. Fisicamente la voce si stacca dal corpo per indirizzarsi verso l’altro, inviandogli non solo un testo più o meno poetico, ma caricando lo stesso di nuova bellezza e significato (attraverso la musica) e soprattutto muovendo molta più energia fisica. L’atto del canto prevede un lavoro fisico oltre che psichico, che è anch’esso valore comunicativo. Il canto è un gesto musicale che trasferisce non solo significati (testo e discorso) ed emozioni (fluttuazioni emotive) ma anche movimento vibratorio, conferendo “energia” al messaggio. 42 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 42 16/09/14 17:44 La manifestazione della voce attua una catena di azioni di dialogo, perché il movimento dialogico avviene in primis tra la parte conscia e l’inconscio del cantante; solo successivamente la voce, una volta staccatasi dal corpo-fonte, si proietta verso l’altro attuando con esso un dialogo; per poi penetrare e rinnovarsi in una relazione tra il soggetto bersaglio e il suo inconscio. Superamento della parola Nell’essere umano, in quanto essere parlante, può prendere forma l’inconscio. Secondo Lacan: “Il linguaggio è la condizione dell’inconscio”1. L’inconscio è strutturato come linguaggio e in esso un materiale si muove secondo le regole della lingua parlata, anche se in realtà non è pienamente traducibile attraverso la parola. Meglio ancora, l’inconscio è per Lacan “desiderio diveniente linguaggio”, ed è proprio nei “buchi di senso del discorso conscio dove la verità dell’inconscio si situa tra le righe”. La poesia è l’atteggiamento del linguaggio che meglio si avvicina alla descrizione dell’inconscio. Non a caso, Lacan consigliava agli analisti di coltivare la poetica come esercizio nei confronti di un linguaggio che (come l’inconscio) non è correlazione univoca tra segno e realtà, ma molteplici relazioni tra segni in un continuo gioco di significati mutevoli. Nella poesia la metafora e la metonimia esprimono una verità attraverso la negazione della stessa, avvicinando il reale con approccio rovesciato. L’uso del linguaggio poetico è tramite per l’emersione di significati altri, oltre a quelli chiaramente articolati dal significato. Anche il canto è usare la voce secondo canoni estetici differenti dalla voce parlata. Si tratta di enfatizzare alcune potenzialità della voce, di inspessirla tridimensionalmente, di infarcirla di significati intraducibili, al fine di far emergere proprio quelli più nascosti, indicibili. Ogni essere umano possiede potenzialmente una vocalità, come potenzialmente possiede una capacità poetica. L’artista è colui che trasforma un potenziale in reale atto artistico. Così chi è cantante dedica le sue energie allo sviluppo della propria vocalità, dedicandosi ai contenuti tecnici, al potenziale espressivo, e prendendosi a cuore soprattutto un aspetto determinante: il timbro. Di fatto il primo obiettivo di un cantante è sviluppare il proprio timbro e articolarlo in un discorso poeticomusicale, valorizzando la propria voce e dichiarandola non ripetibile da altri in quanto valore assoluto. Anche nell’atto poetico vi è un tim43 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 43 16/09/14 17:44 bro che è proprio ed esclusivo di quel poeta, e che si manifesta con la scelta dei suoni, del ritmo, oltre che dei significati, che lo rende sempre riconoscibile. Poesia, inconscio e canto evadono dal lineare della parola per cercare una dimensione che, pur poggiando sulla parola, la supera trasformandola in arte. Il grafico di seguito riassume e schematizza le afferenze alla triade canto-poesia-inconscio. multidimensionali indicibili non funzionali dialoganti sublimazione Canto Poesia Inconscio ARTE fig. 2.1 J. Lacan, Il seminario. Libro XVII. Il rovescio della psicoanalisi (1969-1970), 1 Einaudi, Torino 2001, p. 44. 44 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 44 16/09/14 17:44 3. Testimonianze sulla voce Cantanti, attrici, musicisti e compositori parlano della propria “voce”: Caterina Scotti, attrice e ballerina Silvia Infascelli, cantante jazz Franco Mussida, cantante e chitarrista della PFM Stefano Gervasoni, compositore Queste persone hanno messo a disposizione la propria voce, ne hanno fatto arte, l’hanno resa strumento espressivo e manifestazione della personale sensibilità. Sono voci che prima di tutto hanno saputo ascoltare, sono voci dotate di “orecchio”, che si esprimono su palcoscenici come nella confidenza di queste testimonianze. Riflessioni ed esperienze sono condivise in un contrappunto di voci tra loro sobriamente armoniche. Caterina Scotti racconta la sua voce Caterina Scotti è attrice del Teatro Tascabile di Bergamo dal 1982 e la sua storia professionale si identifica con quella del teatro (www. teatrotascabile.org). L’accento che la poetica del Teatro Tascabile di Bergamo pone e sviluppa nel suo essere, è la fisicità del fatto teatrale e l’artigianato scenico, privilegiando l’autonomia dell’evento spettacolare, e rifuggendo la “traduzione” scenica di un preesistente testo teatrale1. Caterina Scotti, con grande generosità, si racconta qui di seguito, senza pudori e confessando un rapporto complesso con la propria voce. Io, che più volte l’ho ascoltata recitare, posso affermare che non solo scopro in questa sua testimonianza il background di quanto arriva allo spettatore, ma raccolgo anche la dimostrazione di come un presunto limite nella voce porti con sé una squisita unicità e soprattutto 45 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 45 16/09/14 17:44 quel ché di “straniante” che sa arrivare all’uditorio. È la storia della sublimazione di un umano limite in qualcos’altro di indicibile, ovvero: in arte. “Ricordo mia madre mentre cantava, con quel timbro caratteristico degli anni sessanta, sempre lieve e vibrato, cantava mentre puliva la casa o cucinava, cantava assieme a me, mentre ascoltavamo dal mio mangiadischi Patty Pravo”. “Mia madre mi ha raccontato che ero una bambina molto silenziosa, anche quando mi svegliavo nel mio lettino rimanevo lì, senza gridare o piangere, finché lei non si accorgeva che ero sveglia. Anche i ricordi delle scuole elementari sono quelli di una bambina molto timida, che raramente faceva sentire la propria voce”. “A scuola si usava dividere i bambini in stonati e intonati e io ero tra quelli stonati. Mi sentivo un po’ esclusa e forse anche per questo penso di aver fatto di tutto per rendere la mia voce il meno udibile possibile”. “Ricordo molto nitidamente la mia prima esperienza fisica, di danza, mentre nel campo vocale devo riandare ai miei primi esperimenti teatrali. È stato il teatro il vero veicolo della mia voce. Ho avuto la possibilità, grazie al Teatro Tascabile di Bergamo, di fare esperienza con i più grandi pedagoghi e insegnanti della voce, soprattutto all’interno di quello che veniva definito da Eugenio Barba il Terzo Teatro2. È stato in questo contesto che ho iniziato ad avere consapevolezza di una parte del mio corpo ancora inesplorata. La voce ha cominciato a prendere il suo spazio e ad agire esattamente come un braccio o una gamba. Attraverso un allenamento costante ho riconosciuto possibilità e limiti, colori, fragilità e punti saldi cui aggrapparmi. Suoni disarticolati, grida, voci di pianto e dolore sono stati i primi a sgorgare dal più profondo”. “Con lo spettacolo Esperimenti con la verità è cominciato un nuovo cammino verso la voce e il testo. Lavorando sugli stessi parametri che vengono usati nel canto: ritmo, intonazione, timbro, ho scoperto una voce che sa muovere sulle parole una sua danza, inizialmente inafferrabile, ma che lentamente ha creato un proprio solco. Il significato viene lasciato per ultimo, lasciando al significante lo spazio per espandersi e invadere territori attigui, senza paura, per poi ritornare a un significato rivificato. Nel momento in cui sono ritornata alla parola, così recuperata e reinventata, la sensazione è stata quella di essere un corpo unico assieme alla parola-voce”. 46 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 46 16/09/14 17:44 “Negli spettacoli successivi ho affrontato il canto, soprattutto all’interno della canzone popolare italiana, scoprendo di avere la possibilità di ampliare ed espandere il mio suono, lo stesso che fino ad allora credevo impossibile da valorizzare. Sentivo la mia voce premere, infiltrare il pavimento, ma anche scendere nel più fondo delle mie viscere, e ho cominciato a sentirmi finalmente in pace con lei, con quella voce che in passato non sentivo appartenermi”. “Il legame tra suono e corpo è per me totale, non posso immaginare il mio suono svincolato dal suo risuonatore e da tutte le cavità che sono al mio interno”. “Oggi, se devo parlare della mia voce, la descrivo come flebile, esile, ma anche capace di trasformarsi in maniera camaleontica, di parlare alla parte più nascosta e sensibile dello spettatore, di accompagnare e farsi accompagnare”. “Oggi mi riconosco nella mia voce. Penso che è la voce che mi merito, a volte un po’ schizzata e sdoppiata come sono io, eternamente in bilico tra certezze e inquietudini”. “In particolare io e la mia voce siamo accomunate dallo scomparire insieme in situazioni di panico e dal proporci in modo arrogante quando mi sento sicura e decisa”. “Della mia voce amo soprattutto la velatura, così come amo i soffiati e la voce di pancia”. “La mia voce mi delude quando non si proietta fuori da me, quando si rintana al mio interno, come una tartaruga nel suo guscio, quando non arriva e diventa inudibile”. “Sento che il mio suono nasce a livello nel chakra solare3 e da lì si irradia e risuona dove io voglio che risuoni, e si colora a seconda dell’immagine o, come usiamo dire con gergo interno al nostro gruppo, a seconda del compito che mi sono prefissa: trafiggere come una lama, posarsi come una piuma, tintinnare come le perle di una collana spezzata, accarezzare come una mano guantata…”. “Il suono della mia voce può essere spaventoso: a volte lo ascolto e ne ho paura, mi sembra che non mi appartenga, soprattutto nei momenti estremi, sia di dolcezza sia di isteria. In questo senso è assolutamente omogeneo al mio essere donna”. “Gli attori si innamorano dei loro ruoli vocali, ma in genere sono loro (i ruoli vocali) che scelgono noi e non viceversa”. 47 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 47 16/09/14 17:44 Queste sono le parole di Caterina Scotti che raccontano il personale percorso di crescita con e attraverso la voce. Aggiungo solo questo: io conosco bene la sua voce, sia usata in teatro sia nella vita quotidiana e la trovo una voce dal grande fascino e dalla costante suadenza. La voce per Silvia Infascelli Silvia Infascelli è una cantante jazz (www.silviainfascelli.it) cioè una donna che attraverso la voce vive esperienze psicofisiche intense e sofisticate. Non sempre parlerà in prima persona, ma sarà affiancata dalla mia propria voce condividendone vissuto ed emozioni. “Alle passioni che si agitano dentro di noi, vorremmo dare quasi una forma visibile e le moduliamo in parole; ma non ci basta, e allora queste voci si prolungano in canto4”. Silvia Infascelli, cita un suo articolo e parlando del canto continua così: “La fisicità della voce lo rende strumento diretto e concreto; la sua componente emozionale ne fa allo stesso tempo un mezzo di comunicazione di sentimenti e passioni in grado di esorcizzare il quotidiano… Mi colpì molto uno scritto del cantante-poeta inglese Peter Hammill, il quale definiva la voce il primo mezzo di espressione e comunicazione, a cominciare dal pianto del bambino fino a considerare tutte le altre manifestazioni vocali dell’essere umano”. Silvia Infascelli ha cominciato a pronunciare le prime parole abbastanza tardi, poco prima di compiere l’anno di età, manifestando più tardi, durante l’infanzia, grande attitudine alla “chiacchiera”. Ricorda bene la voce di sua madre, che cantava spesso in casa, svolgendo le consuete attività domestiche, con bella voce da soprano, istintiva. Il nonno materno in particolare possedeva un passato da tenore. Fece una certa carriera, tenendo concerti in chiese e teatri, incise anche alcuni dischi, tutto questo continuando contemporaneamente a lavorare come operaio meccanico e a badare alla propria famiglia. Proseguendo, la storia sfiora la leggenda familiare, passando di bocca in bocca per tanti anni e arrivando fino a me ora, lasciandomi stupita e commossa. Silvia Infascelli narra che il nonno, a un certo punto della sua carriera, ricevette la proposta per un contratto con la Radio svizzera. Ma appena giunto in Svizzera, il “nonno tenore” improvvisamente e senza apparente ragione, perse la vista. La medicina ufficiale non seppe curarlo, e il nonno si sottopose alle cure di un così detto mèdegocc, una sorta di stregone guaritore locale, che gli prescrisse stra48 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 48 16/09/14 17:44 ne terapie associate a preghiere. Solo dopo tre anni, e sempre inspiegabilmente, il nonno riacquistò la vista. Questa storia mi è sembrata particolarmente suggestiva. Nel racconto sembra evidente la centralità della voce, in riferimento al ruolo e alle responsabilità in società, nel lavoro e in casa di un padre di famiglia. Si coglie la paura nei confronti di una voce che “trascina lontano”, e si percepisce la forza attrattiva e castrante delle certezze del quotidiano e del familiare. Ma Silvia mi ha raccontato altre storie. La mamma di Silvia aveva una bella voce naturale e accadeva che da bambina, durante le recite scolastiche, le chiedessero di cantare. Le circostanze però erano particolari: la piccola doveva cantare stando dietro le quinte, mentre “la bella della scuola” stava sul palcoscenico a muovere le labbra restando muta. Il nonno, orgoglioso e consapevole delle doti della figlia, la portò a fare un’audizione dal suo Maestro, ma in tale circostanza, la ragazza non riuscì a emettere nemmeno un suono! Questi brevi aneddoti raccontano l’esperienza delle due generazioni che l’hanno preceduta: un percorso in un certo senso preparatorio a quel “salto” verso un uso più completo, consapevole e appagante della voce che proprio lei ha saputo fare. Per Silvia Infascelli la voce non ha rappresentato il primo approccio con la musica, anzi il percorso è stato lungo e frammentario ma, nello stesso tempo, inevitabile. Piano piano il jazz è diventato l’opportunità per veicolare la sua peculiare urgenza espressiva. Sicuramente Silvia è nata e cresciuta in un ambiente musicalmente fertile, anche il papà “strimpellava” pianoforte e fisarmonica. In casa si faceva grande uso di giradischi a 78 giri. Silvia stessa aveva imparato a orecchio e a memoria, con l’aiuto del libretto, tutta l’operetta de La vedova allegra. In particolare l’incontro definitivo con il canto è avvenuto in un momento di svolta e cambiamento, durante il quale, con sorprendente naturalezza, la voce ha trovato il suo spazio. L’esigenza di fare del canto la propria arte di vita si è manifestata con chiarezza, diventando questione inalienabile. L’approccio con il canto è cambiato e le cose giuste sono cominciate a succedere, forse perché, per usare le parole di Silvia: “Io c’ero!”. Cantando si va oltre se stessi, si diventa tramite e veicolo del canto, il canto passa attraverso, invade il cantante stesso fino a fargli raggiungere una sorta di trance. Il canto, oltre a possedere un indubbio pote49 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 49 16/09/14 17:44 re liberatorio e catartico, è in grado di comunicare di più rispetto ad altri “linguaggi” più rigidi e strutturati. Cantare è mettersi a disposizione di qualcosa che chiama, di una condizione che si ricrea ogni volta che si canta. Accade, cantando, di sentirsi spettatori di se stessi, quasi stando fuori dal proprio corpo, ma non perdendone il controllo. Questo stato è tipico nella meditazione nello yoga, che Silvia ha a lungo praticato. In questo caso il canto appare come una manifestazione interna che si rende “visibile” all’esterno. L’ambiente nel quale si è immersi, un ambiente sia fisico sia psichico, contribuisce a delineare la voce. Per Silvia il suono ha il suo centro d’irradiazione in un’altra dimensione fisica, nascosta forse nello stesso corpo, ma come ultra corpo, che non possiede in realtà limiti fisici, che contiene ed è contenuto allo stesso tempo. La suggestione che coglie il cantante nell’atto del canto è proprio quella di essere contemporaneamente dentro e fuori dal proprio corpo, di avere uno spazio interno senza un fondo e nello stesso tempo di occupare, con la propria voce, tutto il volume circostante, come se la voce, uscendo dal corpo, in realtà portasse con sé proprio parte di quello stesso corpo. Esperienze nella voce di Franco Mussida Milanese. Musicista e compositore, cantante e chitarrista della PFM (Premiata Forneria Marconi, www.pfmpfm.it), con oltre cinquant’anni di esperienza in diversi settori artistico-musicali: concertistico, formativo, di ricerca sulla comunicazione musicale, editoriale. Per il primo colloquio ho incontrato Franco Mussida in un soleggiato pomeriggio invernale, nel suo studio all’interno della sua scuola di musica, il CPM (Centro Professionale Musica) di Milano, prestigioso ambiente dedicato alla musica e alla ricerca musicale, immergendomi con lui in un’atmosfera di sereno e appassionante confronto. Quanto segue è tratto da vari appunti raccolti durante amabili chiacchierate e successivamente arricchito da scambi e confronti epistolari. “Aveva una vôs s’cêpa, aspra, di testa, con risonanze alte, ma che lei sapeva addolcire…”. Queste sono le prime parole di Franco Mussida sulla voce della mamma. La madre sapeva miscelare suadenza e autorevolezza in una voce che era al contempo la proiezione di un corpo rotondeggiante e acco50 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 50 16/09/14 17:44 gliente e del suo scheletro portante, forte e determinato. Era una voce in grado di inviare segnali materni e al tempo stesso forti e decisi. Anche la voce del padre emerge come ricordo importante, all’interno di un rapporto potenzialmente conflittuale, mai realmente sviluppato: “Un suono caldo e profondo, consolatorio e consonante…”, a tratti carico di rabbia, ma sempre vettore di una cultura e una saggezza popolare che su un Franco ancora ragazzo, ha saputo incidere sicurezza e determinazione. Verso il primo anno di vita, egli ha cominciato a esprimersi usando i primi fonemi articolati “nel tentativo di esprimere e comunicare la meraviglia”. Da sempre Franco si è espresso anche col canto e oggi con orgoglio afferma di aver cominciato prima a cantare e solo successivamente a parlare. Emblematico fu l’episodio che lo vide giovane interprete a un concorso canoro, all’età di soli quattro anni. In tale occasione, durante l’esibizione, nonostante ricordasse perfettamente la musica, proprio sul palcoscenico si rese conto di non ricordare più le parole e si dovette fermare. Franco era consapevole delle proprie qualità vocali e nonostante la melodia fosse ben ancorata nella sua memoria, altrettanto non valeva per il testo. Ancora privo di esperienza era rimasto attratto e coinvolto dal contenuto musicale più che da quello verbale, a dimostrazione del fatto che nell’ordine dei suoi valori, per importanza espressiva veniva prima la musica rispetto alla parola. Egli paragona la propria voce a una pianta dal grande fusto: un noce. Albero diffuso in Italia, dal legno forte e pregiato, duro e resistente alle tarme, dal colore caldo, dall’odore speziato e dal frutto commestibile. La sua è una “sostanza vocale” dalle forti qualità, di buona intensità e personalità. Un cambiamento nella voce e nello spirito di Franco è avvenuto spontaneamente durante lo sviluppo del corpo dall’età infantile a quella adulta, passando da qualità coincidenti a quelle femminili fino a raggiungere una caratterizzazione maschile. Mentre la componente virile della voce, profonda e maschile, si proietta nell’immagine del tronco, l’eredità femminile del falsetto è rappresentata dalle foglie, mobili e leggere, che assorbono e filtrano i raggi solari: “Cantando sia in falsetto sia di voce piena mi sono abituato a interpretare diversi ruoli non solo solistici, ma anche d’aiuto, di compendio corale ad altre voci. Ma il canto in falsetto è certamente l’esperienza che più di altre mi fa vivere la leggerezza e la meraviglia del volo”. 51 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 51 16/09/14 17:44 Franco Mussida sottolinea nella voce un altro aspetto femminile, che si esprime nel gesto intellettuale: “[…] è un farmi continuamente domande, speculare intellettualmente, sentirmi in continuo movimento, percepire il senso dell’arte, e sentire il suono come essenziale fondamento, elemento creante della persona in relazione alla Musica nel suo significato più alto […]”. Una volta divenuto adulto, la sua vita vocale si è divisa in due periodi temporali: il primo caratterizzato da una voce vuota, come sola vibrazione, e il secondo caratterizzato da una voce piena, come spazio riempito. Nella prima fase il cantante viveva la propria vocalità come una struttura al servizio del pubblico, come un efficace strumento di comunicazione, ma rimanendo ancora distante dal possedere coscienza della propria identità sonora. Soddisfacente in senso strumentale, ma non ancora appagante emotivamente. Il secondo periodo conduce a un arricchimento di contenuti e concetti che vivificano il rapporto con la personalità. Oggi, dopo un ricco percorso di esperienze psicofisiche e musicali, ha consolidato un rapporto privilegiato oltre che efficace con il proprio strumento vocale: “Mentre canto mi sento come sospeso in una bolla che occupo solo io e che mi isola dalla realtà esterna”. Mi spiega che si tratta di una condizione nella quale la sua voce è in relazione solo con la propria persona e non con l’esterno. In questo modo può realizzare un dialogo e uno scambio virtuoso tra se stesso e il proprio suono: “In questa dimensione, non mi occupo della relazione con l’altro. In primo piano c’è il bisogno di usare questo mezzo espressivo per attivare un dialogo esplorativo profondo e privilegiato con me stesso. È un’area di libera espressività e immaginazione che mi permette, nella duplice veste di creatore del proprio suono e di ascoltatore dello stesso, di vivere intimamente i processi del mio stato emozionale istintivo, di lavorare su questi, di modificarli e orientarli. Queste sono le basi per un uso consapevole della voce… che si esprime in sfumature e in colori che concorrono a delineare quel temperamento individuale, soggettivo che completa e definisce meglio l’unicità dell’identità personale non solo sonora. Si può dire quindi che la sonorità timbrica e il modo con cui viene espressa, rispecchia alla perfezione le tendenze e le coloriture affettive della persona. In altre parole è l’identità sonora dell’individuo, il suo portato fisico e spirituale, che si colora delle personali propensioni affettive, ovvero del temperamento animico…”. 52 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 52 16/09/14 17:44 Mussida parla della melodia nel canto descrivendola come uno sviluppo consequenziale di singole note, assimilabile alla linea di sviluppo del pensiero, entrambe capaci di movimento orizzontale. Un movimento che, nel ricordare e ripercorrere la successione melodica, produce piacere. Nel canto si attua una relazione superiore tra la parte razionale, cioè il messaggio logico comunicato attraverso la parola, e la componente affettiva, che raccoglie i sentimenti. L’atto del canto sarà tanto più musicale quanto più ricco di sentimento. Perciò nel canto il sentimento diviene elemento caratterizzante (un po’ come la calligrafia arricchisce l’oggettività dello scritto). Il canto si avvicina dunque a uno stato alterato di coscienza. Il canto induce il cambiamento verso uno stato meno razionale e più profondo, all’interno di un flusso che racconta, attraverso riverberi di suoni e di significati, un gioco di domande (suono) e risposte (ascolto). In questo stato, per Franco il suono è assimilabile al colore puro, privo di forma e di massa, ricco solo di qualcosa che non è materia, mentre il sentimento è la forma: “Cantando esprimo colore, pigmento puro cioè suono e lo lavoro con il sentimento dandogli una forma”. Franco ha una voce dirompente. A volte le passioni che vive vengono ulteriormente amplificate dalla voce: “La voce ha il grande potere di veicolare ciò che sento, anche se chi ascolta non sempre capisce le mie profonde intenzioni. Mia moglie spesso mi dice di non gridare, mentre io in realtà non ho gridato…”. Poeticamente ancora racconta come ogni parte del suo corpo abbia un ruolo nella realizzazione del discorso musicale vocale: nella testa risiede la ragione, nel torace e particolarmente nel cuore c’è la passione, mentre nella pancia si trova tutto il resto. La pancia è il luogo del mistero per eccellenza, dove si rielaborano gli elementi provenienti dall’esterno trasformandoli in parti di sé. Così accade anche per le esperienze e i ricordi: questi vengono mangiati, rielaborati e trasformati. Infine ogni cosa riemerge attraverso la voce. Egli descrive le sensazioni fisiche che vive nell’atto del canto, il piacere che procura al suo corpo: “Un uscire da una realtà per entrare in un’altra: una realtà sempre fisica ma con le ali. Sentirmi vibrare quando parlo, recito, canto, è bello. La voce illumina tutto il corpo, anche se la sensazione investe in modo più forte torace, testa e pancia. La vibrazione vitale che mi pervade si manifesta palesemente attraverso il cantare e il parlare… 53 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 53 16/09/14 17:44 Vivo e sento il parlare un po’ come un camminare dell’anima, dove i passi rappresentano la consequenzialità dei pensieri, come se i pensieri fossero una strada spirituale che prende corpo con il suono della voce. Vivo il recitare come un inserirmi con più consapevolezza nei processi sonori, cambiando costume timbrico per immergermi in un ruolo nuovo e nuotare in un’acqua eccitante e ricca di consapevole emozione. Il canto è invece un ulteriore cambio di stato. Il canto è un volo, è la mia opportunità per dispiegare le ali di cui sono dotato, le mie ali emozionali che mi consentono di immergermi, anche durante lo stato di veglia, nella dimensione sognante. Ogni aspetto della mia voce nasconde un piacere diverso e io mi ritrovo in tutti. Intellettualmente nella melodia, istintivamente nel ritmo, emotivamente nel timbro e nella dinamica dei colori… La mia voce è generata da una struttura portante (il corpo) e si manifesta attraverso un contenuto (il timbro)… La mia voce è un’opportunità da riempire con gli strumenti che ha a disposizione…”. Composizione e voce per Stefano Gervasoni Stefano Gervasoni (www.stefanogervasoni.net) è uno dei più autorevoli compositori contemporanei del panorama europeo, capace di proseguire la ricca tradizione musicale classica italiana. Il piacevole incontro col Maestro, trova qui di seguito condivisa testimonianza. Il compositore ricorda una mamma premurosa e dolce, ma soprattutto di lei descrive una voce estremamente “musicale”. Si tratta verosimilmente del suo primo contatto col mondo sonoro: un incontro avvenuto su di un piano a-linguistico o prelinguistico, nel senso di mondo sonoro portatore di messaggi emotivi prima ancora che di chiaro significato semantico, ancora privo di una specializzata e specifica funzione comunicativa. La voce della mamma ha dunque rappresentato il primo avvicinamento a quel “mondo musicale” che diventerà poi perno della sua esistenza. Il Maestro mi ricorda che il primo luogo sonoro-affettivo si sviluppa come codice universale capace di trasmettere l’essenziale e dal quale le parti traggono ciò di cui hanno più bisogno. Attraverso la sua musica, Gervasoni rievoca proprio quella radice di esperienza infantile, col suo carico di toni magici e intraducibili, vissuta in primis nello scambio attraverso la voce. E forse, in virtù di questa primaria espe54 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 54 16/09/14 17:44 rienza, il bambino oggi diventato uomo, parla del ruolo della musica come quello di una madre che si esprime rivolta a un bambino/spettatore, utilizzando un linguaggio privilegiato e privato, asemantico e privo di un codice univoco, rigidamente definito e culturalmente acquisito. La personalità del Maestro è precocemente attratta dall’arte e dal suo potere espressivo: il primo richiamo viene dal disegno; in seguito vira gradualmente e definitivamente verso la musica. Fin da giovanissimo, in età scolare, si diletta componendo piccoli brani musicali imitando vari stili compositivi: dalla musica antica a Berio. Verso i vent’anni trova il suo stile personale. La sua opera zero è del 1985, composta all’età di ventitré anni, l’organico prevede: voce, chitarra, violino, clarinetto basso, su testi di Pablo Neruda. Va notato che all’interno del vasto repertorio compositivo del Maestro Gervasoni, la voce compare immediatamente, e mantiene sempre un posto privilegiato, interessando la maggior parte del suo catalogo, e in particolare si tratta, fatte poche eccezioni, di un repertorio dedicato alla voce femminile. La voce, dice, si fonde alla musica attraverso un testo poetico diventando simbolo di un’ambiguità derivata proprio dalla commistione tra parola, suo significato strettamente semantico, suo significato altro, cioè suo bagaglio poetico, e musica. La voce fonde in sé le “parti”, ridisegnando un luogo dai confini plastici, indefinibile e magico. In particolare, la parola nell’essere mediata dalla voce cantata, cioè dalla voce per eccellenza enfatizzata e messa in musica, rende ambiguo ciò che non cantato sarebbe più intelligibile e soprattutto dotato di funzione. La musica frammenta il testo arrivando a far emergere quel “poetico” quanto mai nascosto. Così come la parola acquista significati più efficaci e articolati passando dalla pronuncia nel pensiero alla pronuncia ad alta voce, così la stessa parola articolata nel canto (o meglio, disarticolata nel canto) si carica di ulteriori significati, staccandosi dalla fonte, ovvero sia dal compositore che dall’interprete, raggiungendo un pubblico in ascolto. Proprio in questo ambito (musica + voce + poesia) l’arte compositiva dell’autore trova il suo peculiare status: lo scopo non si ottiene col minimo dispendio, ma con grande impiego di energie espressive ed emotive. Per il musicista il dispendio di tempo ed energia espressiva è un valore, concetto che non può essere valido nell’atto funzionale. 55 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 55 16/09/14 17:44 Vero obiettivo della musica non è l’atto funzionale ma, oltre agli aspetti più immediati del piacere e della catarsi, è la capacità di instillare una sorta di dubbio. La musica porta con sé una volontà di benessere che si spalanca al dubbio e lì rimane sospesa, in un luogo fuori dal tempo, dove il passato, come esperienza di vita mai uguale a se stessa, si ripresenta con il suo carico d’interrogativi, questa volta veicolato dall’anestetico della musica, e in definitiva fornendo una nuova consapevolezza rispetto ai fatti della vita, cioè una consapevolezza mediata dalla musica. In sintesi si potrebbe dire che la musica percorre un canale verso l’inconscio, che ha come origine l’inconscio del compositore e come meta quello del pubblico, attivando lungo tutto il suo percorso un sapere preesistente e inafferrabile, appoggiandosi e sfruttando proprio un dubbio trasfigurato in arte. Cantare una poesia implica una teatralizzazione. Nella dimensione della performance vocale, la voce diventa perciò un personaggio (mentre uno strumento non può diventare personaggio). La voce ha un aspetto fisico implicito, per questo il corpo non può essere dissociato in alcun modo dal gesto musicale/vocale. La voce, essendo conseguenza del corpo, acquista la superiorità di uno strumento trasfigurato. La voce trasmette un’idea globale sintetica (come accade in poetica), attraverso l’interiorizzazione e la coincidenza di intenzione sonora, fonte sonora e corpo risonante. L’incontro tra gli elementi conduce a risultati in un certo senso incontrollabili e sempre nuovi, proprio perché transitati nel vivo di un corpo. In definitiva, anche per il Maestro la voce è lo strumento per eccellenza, seguito nell’ordine da: archi, percussioni, ottoni, legni e solo infine pianoforte. La coppia che si viene a creare tra compositore e interprete vocale è il risultato dell’avvicinamento di due entità complesse e polimorfe, certamente non riducibili a un dato e quindi non sommabili, ma miscelabili secondo principi alchemici. Entrambe le parti, dopo l’esperienza musicale, non saranno più uguali a prima e il rapporto con il semantico del testo e l’indicibile della musica sarà rinnovato a ogni esecuzione. Ma anche la voce pone dei limiti alle esigenze creative del Maestro. La voce educata secondo tecniche e scuole ben precise pone dei confini culturali. La vocalità del cantante può essere educata secondo modelli più restrittivi rispetto al suo potenziale biologico ed espressivo. Può prevalere un certo “galateo” della voce, che può portare a un conflitto 56 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 56 16/09/14 17:44 tra la mentalità conservativa e iperprotettiva del cantante con le esigenze del compositore. La voce rimane lo strumento dalle maggiori potenzialità, purché queste vengano accettate e sperimentate. La parola voce in italiano è di genere femminile, ma anche in diverse lingue europee: voix, voz, stimme ecc. Si è già detto che la maggior parte delle composizioni vocali di Gervasoni sono per voce femminile, va inoltre specificato che l’oggetto dei testi poetici musicati è prevalentemente di natura femminile, come la donna, ma anche in senso più ampio di genere, come la divinità, la natura ecc. Le Muse sono per eccellenza figure femminili. L’atto poetico presuppone una natura femminile, o meglio c’è natura femminile nell’atto poetico, da cui l’adesione del maestro a questa dominanza femminile all’interno della sua musica. Raramente il Maestro Gervasoni nell’atto compositivo si rifà a un interprete vocale specifico. La pianificazione dell’interprete in fase di scrittura può infatti essere molto deludente. Assai più efficace gli risulta scrivere nell’ignoranza del futuro e solo successivamente scoprire un’alchimia con l’artista esecutore, lasciando quindi più spazio alla natura e, entro certi limiti, al caso. In R. Vescovi, Scritti dal Teatro Tascabile, Bulzoni Editore, Roma 2007, è possibile rintracciare parte del percorso professionale e artistico di Caterina Scotti all’interno degli spettacoli del Teatro Tascabile di Bergamo e in relazione all’esperienza con il teatro orientale che è una delle caratteristiche peculiari della sua formazione professionale. 2 Il Terzo Teatro è la definizione di un universo teatrale costituito da gruppi portatori di un’etica sociale e della necessità di una vera e propria vocazione nell’arte dell’attore. Si distingue dal teatro tradizionale, ma dichiara scopi diversi dal teatro d’avanguardia. Grande importanza in questo approccio alla teatralità rivestono il training e la ricerca di una tecnica che porti, attraverso il gioco della finzione, alla più profonda 1 sincerità. Il manifesto del Terzo Teatro fu scritto da Eugenio Barba nel 1976, in occasione dell’Incontro internazionale di ricerca teatrale. 3 Secondo l’antica cultura indiana, si parla di chakra (ruota) solare come centro di energie, e in particolare: della forza, delle ambizioni dell’io, ovvero dell’imposizione della propria personalità. In questo chakra si trova il desiderio di individualità, ed è anche la sede della libertà personale e dei sentimenti di colpa, come pure delle possibilità di sviluppo potenzialmente illimitato, nonché delle limitazioni che il singolo pone a se stesso. 4 Confucio, VI-V secolo a.C. Silvia Infascelli usa questa citazione per aprire un suo articolo dal titolo Comporre il canto, apparso sul n. 15 del 1995 della rivista “Musica oggi”. 57 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 57 16/09/14 17:44 4. Tra tecnica e filosofia della voce “Soltanto individui con tendenze artistiche, siano essi musicisti, pittori, scultori, attori, ballerini e alcuni scienziati, continuano a crescere a livello personale così come professionale e sociale […] Grazie all’arte gli artisti continuano invece a migliorare, differenziare e variare le capacità motorie fino alla vecchiaia”. Moshé Feldenkrais Cercando di immedesimarmi nelle vostre aspettative e in voi, mi pongo questa domanda: “Cosa mi aspetto da me stessa come cantante e artista? O semplicemente come possessore di una voce?”. Prima di tutto da me stessa io voglio il massimo, come voglio essere per ogni mio lettore uno strumento e un’opportunità di crescita. Voglio conoscere la mia voce, voglio capirla e rispettarla, voglio allenarla e saperla usare sempre. E dalla mia voce vorrei almeno qualcosa di straordinario. So che sono grandi obiettivi, e per questo ho bisogno di conoscenze, di stimoli, di esempi vincenti, di una luce che sia il mio focus. Posso osservare e raccogliere dalle esperienze di altri, seguire la strada battuta dai grandi, e magari aprire anche io nuovi sentieri. In definitiva, vorrei costruire e distribuire su questo percorso narrativo una segnaletica per orientare me e voi verso questo obiettivo, seminando briciole per ritrovare la strada. Dalla postura al respiro Il cantante, per facilitare il funzionamento del proprio strumento, ha assolutamente bisogno di realizzare una presa di coscienza dell’atteggiamento posturale più efficace. Innanzitutto, il cantante deve riconoscere se stesso come il risultato di un corpo orientato in un campo gravitazionale. La postura è la posizione che il corpo e i suoi segmenti 58 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 58 16/09/14 17:44 assumono nello spazio. Essa è in stretta relazione con l’azione del campo gravitazionale terrestre, che di conseguenza la condiziona. È la testa che, contenendo tutti gli organi di senso, consente di metterci in relazione con lo spazio, governando e regolando il nostro equilibrio. Inoltre, essendo la testa piuttosto pesante, il suo movimento influenza il tono dell’intera muscolatura del corpo. Gli stimoli sensoriali sono in più diretta comunicazione con l’inconscio che non con il conscio, da ciò risulta intuitivo pensare che postura ed equilibrio siano in buona parte condizioni non pienamente consapevoli, ma veicolate da processi istintivi inconsci. Una corretta postura garantisce una posizione idonea del corpo nello spazio in opposizione alle forze gravitazionali, cioè con il minor dispendio energetico sia in condizioni dinamiche sia statiche. Obiettivo di una buona postura è garantire quell’equilibrio che attua il miglior rapporto tra il soggetto e l’ambiente circostante, a seconda degli stimoli ambientali che riceve e del programma motorio che adotta. La postura è una dimensione in evoluzione nel tempo: circa 20-15 milioni di anni fa, gli ominidi iniziarono a vagare per le savane in cerca di cibo. Qui la pressione selettiva favorì quegli individui capaci di ergersi sugli arti posteriori potendo così, ad esempio, avvistare in anticipo un predatore. Anche nel solo corso di una vita vi sono notevoli cambiamenti nella postura, conseguenti alla normalità della crescita e dello sviluppo: l’uomo conquista lentamente le capacità motorie, dalla culla all’età adulta. Ma la postura si modifica anche in risposta a stress, traumi fisici ed emotivi, ad abitudini professionali sbagliate ripetute e mantenute nel tempo, a respirazione scorretta, a squilibri biochimici e altro ancora, con un conseguente aumento dello stato di contrazione muscolare in aggiunta al tono basale preesistente. L’essere umano è fortemente suscettibile ad alterazioni della propria postura, con il pericolo di indebolire l’equilibrio e di limitare le proprie performance procedurali. Nella corretta postura eretta il centro di gravità del corpo umano si trova a livello della terza vertebra lombare, cioè nella posizione più alta possibile compatibile con la sua struttura (da notare l’importante frequenza delle patologie a livello di L3!). Prima di cantare è necessario orientarsi efficacemente col corpo nello spazio, proprio perché una buona postura predispone un corpo pron59 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 59 16/09/14 17:44 to ed elastico e quindi favorisce un canto efficace. La posizione più comune del cantante è l’ortostatismo, che per essere efficace deve rispettare determinate condizioni sintetizzabili come segue: •come sospesi al vertice (il punto più alto del cranio); •colonna estesa e allungata verso l’alto (ma non rigida); •spalle aperte e petto ampio; •bacino leggermente retroverso; •ginocchia non rigide e non bloccate in atteggiamento di iperestensione; •piedi ben radicati a terra, leggermente divaricati, o uno un po’ più avanti dell’altro. Tale posizione va intesa nel rispetto di un certo dinamismo, evitando qualsiasi forma di rigidità e ancoraggio statico a forme prestabilite. Non è raro trovare cantanti che ricercano un buon equilibrio dinamico in posture con gambe mediamente divaricate e ancora con un piede leggermente più avanti dell’altro. Ciò garantisce, oltre a un ottimo equilibrio, una buona elasticità e prontezza del corpo, evitando di cadere in atteggiamenti di rigidità. Sono consapevole che non sia sempre possibile mantenere questa postura durante l’atto del cantare, ad esempio durante un concerto o una performance, o sul palcoscenico di un’opera lirica. L’allenamento attraverso una corretta postura è essenziale in aula per insegnare al corpo la strada più efficace per una vocalità libera da costrizioni indotte da vizi posturali. Una buona postura in fase di studio facilita e favorisce l’apprendimento della tecnica vocale. Ogni atteggiamento virtuoso sarà, con la costanza e la disciplina, fissato a livello muscolare. È questo il lavoro della memoria procedurale e non verbalizzabile, che si può acquisire e “metabolizzare” in aula, e che con impegno e dedizione acquista una certa indipendenza dalla coscienza, pur rimanendo inconsapevolmente a disposizione per l’atto del canto. Una volta interiorizzato e registrato a livello muscolare il percorso ideale del suono in relazione alla postura più efficace, sarà possibile orientarsi nello spazio con relativa libertà, allontanandosi quindi dalla postura tenuta in aula, anche se sempre nel rispetto e nella garanzia di un buon equilibrio. Dopo questo “allenamento”, il cantante affronterà il palcoscenico lasciando lavorare in autonomia la memoria procedurale del corpo, vivendo una propria “verticalità interna”, intrinseca, e lascian60 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 60 16/09/14 17:44 do libero il corpo di agire artisticamente, non perdendo il percorso e i riferimenti acquisiti in aula e in definitiva permettendo una migliore concentrazione su altri fattori. In altre parole, e semplificando un po’ un argomento assai più vasto e articolato, nel nostro cervello operano due forme di pensiero: una razionale che presiede a tutto ciò che compiamo deliberatamente e consciamente, e una inconscia, che regola tutto ciò che facciamo in maniera inconsapevole o quasi, senza coinvolgere la coscienza e la volontà. L’esibizione è un insieme di moltissimi processi impossibili da governare tutti consapevolmente. Quando un’azione razionale ripetitiva diventa abitudinale, viene trasferita sotto il controllo dell’inconscio, cioè diventa automatica, e non è più necessario il presidio razionale. Nell’esibizione artistica sono essenziali i ruoli di entrambe le forme d’intelligenza: i processi inconsci si occupano di far eseguire tutte le operazioni che sono state automatizzate, l’intelligenza razionale è libera di presidiare i punti più complessi e imprevedibili dell’esecuzione. Le abilità razionali determinano il nostro successo nella fase di apprendimento di una tecnica e di memorizzazione di un brano. La parte inconscia ed emotiva si manifesta e risulta determinante durante l’esibizione. A tutto ciò bisogna poi necessariamente aggiungere il temperamento artistico personale. L’obiettivo di una postura efficace è quindi insegnare al corpo a muoversi rispettando e coadiuvando la voce, è lasciare un corpo libero per una voce in movimento, è alleggerire il gesto musicale dall’interferenza di contraddittori gesti del corpo. È necessario trovare questa sinergia sottile tra postura e voce, a garanzia di un corpo leggero e flessuoso per una voce sempre “a disposizione”. Il suono va prima orientato nel corpo per poi essere orientato nello spazio esterno. Il suono ha sempre bisogno di uno spazio che lo sappia accogliere e rispettare. Ancor prima dello spazio sonoro, va ricercata una sorta di spazio emotivo che renda l’azione fisica efficace e non la sovraccarichi di stress e ansie. L’efficacia è conseguenza di un solo atto intenzionale, non interferito, che integra in sé la complessità di tutti i dettagli costitutivi. L’azione superflua è peggio dell’azione insufficiente: costa sforzo inutile, aumenta il grado di entropia, rende l’apprendimento scarso e faticoso. Nel canto uno sforzo eccessivo è sintomo di un errato rapporto con ciò che stiamo facendo. Nel canto c’è lavoro ma non ci deve essere fatica: lo sforzo è spreco. Se il lavoro è corretto e lo sforzo è minimo, il corpo lo 61 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 61 16/09/14 17:44 riconosce come efficace e lo memorizza come positivo (memoria procedurale). Tema importantissimo legato alla postura è la respirazione. Premessa a una buona respirazione è la capacità di respirare “con tutto il corpo”, percependo la verticalità dalla testa ai piedi: una buona respirazione è felice conseguenza di una buona postura. Tutto il corpo è coinvolto dalla respirazione, non tutte le parti in maniera attiva, ma essendo il corpo un’unità inscindibile, esso è interamente interessato dall’onda respiratoria. Il mistero della respirazione Nel canto, a mio avviso, nulla è più difficile da comprendere e da mettere in pratica della respirazione. Eppure respiriamo dal primo momento in cui veniamo al mondo: il primo atto che compiamo è proprio il respiro, e da quel momento in poi non smetteremo più fino alla nostra morte. Nonostante ciò, la respirazione per il cantante continua a essere un compito problematico, con evidenti ripercussioni sugli altri aspetti della vocalità. La respirazione è luogo centrale del canto. Una respirazione non perfettamente funzionale alla voce finisce con l’alterare gli equilibri di emissione, generando una voce di faticosa gestione. Questo è per me motivo sufficiente per scegliere di affrontare questo argomento cercando di indagarlo quanto più a fondo possibile. I significati Esplorando il significato linguistico di respiro si nota che, oltre a indicare l’insieme dei movimenti della respirazione, vuol anche dire sollievo, riposo, pausa, tregua. In molte culture e tradizioni il respiro è manifestazione dello spirito, energia sottile, è alito di vita. La respirazione è un oggettivo atto funzionale necessario alla sopravvivenza, ma cos’altro suggerisce l’infinito “respirare”? Quali altri modi esistono di pensare al respiro? Quali sensazioni ed emozioni porta con sé il respiro? Vi sono diversi atteggiamenti psicosensoriali associati all’atto del respiro, alcuni dei quali elencati di seguito: • annusare • ansimare • aspirare • bisbigliare 62 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 62 16/09/14 17:44 • esalare • gemere • gorgheggiare • russare • sbadigliare • sbuffare • soffiare • sospirare • sussurrare • cantare In tutti questi casi si tratta di azioni psicofisiche con impatto sensoriale e spesso cariche di significati emotivi. Da ciò risulta evidente quanto il respiro sia vulnerabile anche all’azione della componente emozionale. Ad esempio, è possibile classificare macroscopicamente il respiro in tre categorie, a seconda dei diversi modi di viverlo: •respiro equilibrato: l’inspirazione ha una durata pari a quella dell’espirazione, inspiro ed espiro, yin e yang, sistema nervoso simpatico e parasimpatico sono in equilibrio; •respiro purificatore: l’espirazione prevale sull’inspirazione (sospiro o gemito), si attua in situazioni fisicamente ed emotivamente sovraccariche e contribuisce a eliminare gli eccessi di tensione; •respiro energetico: l’inspirazione prevale sull’espirazione (sbadiglio, boccata d’aria), tipico di momenti di stasi psicofisica, rappresenta un bisogno e una ricerca di energia. Continuando a ragionare sul respiro, possiamo soffermarci sui modi di dire attorno al respiro: …fino all’ultimo respiro …un alito di vita …col fiato sul collo …da mozzare il fiato …col fiato sospeso …bello da togliere il respiro …spezzare il fiato in gola …tutto d’un fiato …sentir mancare il fiato 63 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 63 16/09/14 17:44 …finalmente si respira …un’atmosfera irrespirabile …un respiro affannoso …un’opera di ampio respiro …essere asfissiante …sprecare il fiato …a pieni polmoni …senza fiatare …senza un attimo di respiro In tutti questi modi di dire vi è la presenza di un potenziale di energia in movimento. Energia e movimento sono rappresentati da azioni fisiche ma anche emotive. Cioè: il respiro è vita, il respiro è movimento e azione di corpo e psiche, il respiro è inevitabile, il respiro parla di noi, il respiro ci condiziona, ma soprattutto, il respiro è condizione del canto. Riscoprire il respiro Tutti sanno respirare ma pochi ne sono consapevoli, questo è il vero nodo sulla respirazione. Essa è qualcosa che non si “impara”, che è preesistente alla nostra consapevolezza. Proprio per questo sulla respirazione è possibile e auspicabile un percorso di “riscoperta” e “rieducazione” propriocettiva relativo a strutture ed energie interne di mente e corpo. Non è appropriato pensare di “imparare” una tecnica respiratoria, ma lo è di più parlare di “disimparare” alcune cattive abitudini acquisite e scambiate per modelli positivi. Nel respiro sono più le cose da disimparare che quelle da apprendere realmente. La tecnica respiratoria non è complessa ma naturale (in assenza di particolari patologie della respirazione) ed è in equilibrio con le leggi psicologiche e fisiologiche della mente e del corpo. Vi possono però essere delle abilità del corpo rimaste latenti e che un uso professionale della voce necessita di riscoprire. Condizione prima è riconoscere la presenza di uno spazio respiratorio, dinamico e flessibile, una cavità nella quale muovere i volumi d’aria. L’utilità delle cose cave sta proprio nel loro spazio vuoto all’interno: per il corpo è indispensabile prendere coscienza della spazialità del respiro. La percezione degli spazi interni consente di “muoversi” all’interno senza rischiare di urtare in ciò che non si conosce, così come la percezione dello spazio esterno permette di orientarsi e di stabilire 64 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 64 16/09/14 17:44 relazioni efficaci con cose o persone. La mancanza di consapevolezza sugli spazi interni non può che ingenerare confusione, conflitto e disarmonia, come muovendosi ciechi in un labirinto. Inoltre, la respirazione è una funzione che può essere agita sia volontariamente sia involontariamente: quando il respiro è volontario, il centro respiratorio del sistema nervoso autonomo viene bypassato e il controllo passa alla corteccia cerebrale. Ma la natura consente un controllo minimo su questa funzione, prevalentemente involontaria e normalmente sorvegliata dal centro della respirazione nel sistema nervoso autonomo (nucleo del vago e midollo allungato, alla base del quarto ventricolo cerebrale). Il ciclo respiratorio involontario diventa volontario sostanzialmente in relazione al bisogno di esprimersi con la voce. Nel parlato e ancora di più nel canto il ritmo e l’intensità del respiro vengono modificati volontariamente. La respirazione funzionale alla parola, e ancora di più al canto, si diversifica dalla respirazione fine a se stessa. Il respiro subisce anche delle alterazioni involontarie in particolari stati emotivi: paura, piacere intenso, sorpresa ecc. Reazioni involontarie che coinvolgono il respiro sono anche: singhiozzo, starnuto, tosse, sbadiglio, riso, pianto. Si tratta di reazioni che, nell’educazione artistica della voce, possono avere un’utilità come esperienze. Essendo perfettamente conosciute e acquisite, esse possono rappresentare punti di riferimento e consapevolezze utili allo sviluppo di una tecnica vocale. A tali sensazioni si può ricorrere per evocare particolari atteggiamenti funzionali al canto. Ad esempio c’è nel pianto un atteggiamento del corpo che posiziona la laringe verso il basso con un conseguente aumento della dimensione verticale del vocal tract1 e aumento degli spazi di risonanza; oppure, nell’atto di sorpresa vi è un innalzamento del velo palatino e un ampliamento dei volumi orali, con effetti simili sul vocal tract, o ancora nello spavento c’è un innalzamento di spalle e clavicole e una contrazione generale del corpo negativi ai fini di un’efficace respirazione. Ponte tra conscio e inconscio Respirare vuol anche dire collegare il nostro spazio interno con quello esterno, in un moto di va e vieni che è ponte tra il dentro e il fuori, in un equilibrio tra il chiedere e il dare. Il respiro, come funzione sia volontaria sia involontaria, è territorio di condivisione tra conscio e inconscio, tra ragione ed emotività. Il respiro collega il nostro mondo interiore con la realtà esterna, il respiro dà 65 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 65 16/09/14 17:44 accesso alla dimensione inconscia attraverso il suo andare e venire: alternarsi di yin e yang, negativo e positivo, vuoto e pieno. Siamo dotati della potenziale capacità di percepire il nostro corpo e i suoi spazi, ma spesso siamo viziati da una mancanza di consapevolezza sensoriale, siamo soggetti a condizionamenti ambientali e culturali e finiamo per trovarci in uno stato di amnesia somatica ed emotiva. È necessario imparare ad ascoltare contemporaneamente le due dimensioni: interna ed esterna, emotiva e fisica, imparare ad ascoltare e a percepire i movimenti del respiro, senza interferire con essi, senza cercare di modificarli, avendone fiducia, in un continuo sforzo di apertura e scambio (non solo ossigeno e anidride carbonica). Una buona respirazione è la conseguenza di una forma di intelligenza organica, di una sapienza del corpo, di un’intelligenza procedurale non verbalizzabile, cioè di un’abilità non acquisibile attraverso la parola ma attraverso l’esperienza. La parola, la spiegazione, il suggerimento sono solo strategie di supporto che l’insegnante dà al proprio allievo; sono strumenti che devono aiutare l’allievo a compiere e memorizzare la giusta esperienza sul respiro. Anche per questo motivo risulta molto complesso e a volte fuorviante parlare della respirazione a scopo didattico. Il controllo L’omunculus motorio, ideato da Wilder Penfield (fig. 4.1), è la rappresentazione dell’estensione delle aree motorie sulla circonvoluzione precentrale del telencefalo relative a ogni distretto corporeo. Tale rappresentazione mette chiaramente in luce il rapporto tra i gruppi di neuroni situati nella corteccia motoria umana e i muscoli da essi controllati: più vasta è l’area del corpo rappresentata sulla corteccia motoria, maggiore è il numero di neuroni pertinente a tale area, e di conseguenza più selettivi e raffinati i movimenti muscolari. Osservando l’immagine, le aree anatomiche coinvolte nella respirazione sono decisamente poco estese, cioè la respirazione non coinvolge aree muscolari capaci di essere selettive e raffinate (nell’omunculus hanno una piccola area di rappresentazione) e per questo non è possibile realizzare un controllo “puntuale” sulla muscolatura respiratoria. Non possiamo agire sulla respirazione con l’evidenza e la prontezza con la quale muoviamo una mano sulla tastiera di un pianoforte, dobbiamo in buona parte affidarci alle preesistenti abilità del corpo, riconoscendo le dinamiche efficaci e 66 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 66 16/09/14 17:44 corteccia cerebrale sostanza bianca vocalizzazione fig. 4.1 naturali, rimanendo a disposizione con il corpo, riconoscendo la necessità di valorizzare gli spazi, unico vero presupposto al respiro, in un principio generale che desidera espandere senza forzare. Forme di empatia Altra suggestione scientifica viene da considerazioni sui neuroni2 a specchio. Giacomo Rizzolatti e il suo gruppo di ricercatori dell’Università di Parma, negli anni ottanta e novanta, hanno scoperto e studiato i mirror neurons (neuroni a specchio), una delle più importanti scoperte degli ultimi anni nell’ambito delle neuroscienze: sono stati prima scoperti nella scimmia e poi dimostrati anche nell’uomo. I neuroni a specchio stabiliscono una sorta di ponte tra l’osservatore e l’attore, essi sono al centro dei comportamenti imitativi e fanno sì che un’azione sia compresa in quanto la rappresentazione motoria di quest’azione è attivata nel cervello dell’osservatore. Nell’uomo il complesso sistema dei neuroni a specchio codifica sia il tipo di azione sia la sequenza dei movimenti di cui essa è composta. Il biologo indiano Ramachandran3 in un suo saggio ha ipotizzato e sviluppato la potenziale importanza che hanno i neuroni a specchio nello studio dell’imitazione e del linguaggio. Infatti questi neuroni possono essere coinvolti nella comprensione delle azioni di altre persone e di conseguenza favoriscono l’apprendimento delle stesse per semplice imitazione. 67 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 67 16/09/14 17:44 Ruolo primario dei neuroni a specchio sembra proprio essere quello di comprendere le azioni altrui, determinando intorno agli individui l’esistenza di uno spazio d’azione condiviso, originando forme di interazione sempre più elaborate e modulando forme di empatia. Questo è un tema che coinvolge anche tutta l’area delle abilità sviluppate attorno alla voce e quindi alla respirazione. È importantissimo avere a disposizione dei modelli efficaci, avere una guida vocale capace sia didatticamente sia vocalmente. L’allievo deve avere l’opportunità di condividere le esperienze vocali dell’insegnante attivando i corretti neuroni a specchio e assimilando inconsciamente la giusta procedura. Con tempo e fatica l’allievo potrà così costruirsi una propria capacità di entrare in empatia con “l’autorevole voce” del proprio insegnante, ma sarà anche in grado di riconoscere le forme e le dinamiche più efficaci ascoltando il panorama vocale che vorrà frequentare. Il canto è un linguaggio meno comune rispetto al parlato, il bambino impara naturalmente a parlare ma non sempre ha a disposizione i modelli di riferimento necessari per imparare a cantare. Si ritiene il canto socialmente meno importante rispetto al parlato, anche se si tratta di una dimensione presente nella nostra cultura. Questo atteggiamento può portare a rischiare di sottovalutare il bisogno di modelli di riferimento. Per questo la scelta delle guide e dei modelli è di centrale importanza, almeno quanto lo è la volontà di conoscere e comprendere i meccanismi fisiologici sottesi al canto, soprattutto in ragione del fatto che il canto richiede, rispetto al parlato, importanti abilità aggiuntive. Tecnicamente Citando Mackenzie4: “Un perfetto governo della respirazione è condizione fondamentale del bel canto; dacché, per quanto la voce possa essere bella in se stessa, non potrà mai essere adoperata artisticamente se il metodo della respirazione è scorretto”. Nel canto esiste quindi un modo di respirare considerato corretto ed efficace che garantisce il risultato artistico desiderato. Concettualmente nel canto la respirazione non è sostanzialmente differente rispetto al parlato, ciò che cambia sono volumi di energie ed equilibri, precisamente vi è in gioco: • una maggior quantità di aria; • una maggior quantità di energia psicofisica; • una maggiore enfasi dei parametri. 68 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 68 16/09/14 17:44 In definitiva, vi è una maggiore complessità di emissione, di conseguenza: il canto è più complesso del parlato. Il respiro consta di diverse fasi che costituiscono il ciclo respiratorio: inspiro (presa d’aria) ed espiro (eliminazione d’aria), intervallati da brevi apnee. L’equilibrio di queste fasi è importantissimo. Nel canto è necessario “educare” queste fasi, considerando che l’emissione vocale vera e propria coincide con l’atto espiratorio. Nelle condizioni ideali del canto risulta con evidenza che: •il tempo d’inspirazione è accorciato e il tempo di espirazione è allungato; •l’espirazione è uniforme, sostenuta e appoggiata, priva di scatti, con controllo della pressione sottoglottica; •l’espirazione è attiva. Procedendo sistemicamente, vale la pena ricordare quali sono le meccaniche muscolari sottese alla respirazione. I muscoli coinvolti nella respirazione, si dividono in: •inspiratori: diaframma e intercostali esterni (e in parte minore anche sternocleidomastoideo, scaleni, grande e piccolo pettorale, gran dorsale, erettori della colonna vertebrale, elevatori della scapola); •espiratori: intercostali interni, dentato postero-inferiore, trasverso del torace, addominali (retto, trasverso, obliquo interno e obliquo esterno). cassa toracica inspirazione diaframma espirazione fig. 4.2 69 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 69 16/09/14 17:44 Il respiro prende vita dalla successione ritmica di contrazione e rilassamento del diaframma (coadiuvato dagli intercostali esterni), come avviene per il funzionamento di un mantice, che crea un parziale vuoto che attira aria all’interno dei polmoni (fig. 4.2). Il diaframma è un muscolo membranoso involontario, posto come una cupola a separazione della cavità toracica da quella addominale. Durante l’inspirazione il diaframma si contrae e si abbassa aumentando la capacità polmonare, durante l’espirazione il diaframma si rilassa e sale verso l’alto contribuendo a espellere aria dai polmoni. L’espirazione è normalmente passiva, ma attenzione, questo non è perfettamente valido per il canto: nel canto anche l’espirazione è attiva. Il diaframma è normalmente attivo in fase inspiratoria, e ha importanza, oltre che nella respirazione, anche nella defecazione e nell’espulsione del feto nella fase terminale del parto. Va ricordata anche l’esistenza di un diaframma pelvico, posto inferiormente alla cavità addominale, con forma a imbuto con la parte stretta rivolta verso il basso. Anche il diaframma pelvico, contraendosi, si abbassa attuando una depressione addominale che favorisce la discesa del diaframma addominale. Il diaframma è un muscolo molto importante nella fase inspiratoria; in questa fase il diaframma contraendosi si abbassa dislocando più verso il basso gli organi addominali (motivo per cui inspirando può sporgere un po’ la pancia; ciò è più evidente in posizione supina) e aumentando la capacità toracica. L’aria entra nei polmoni (effetto mantice) con un contributo attivo anche dei muscoli intercostali esterni. Il coinvolgimento dei muscoli inspiratori ausiliari (sternocleidomastoideo, scaleni, grande e piccolo pettorale, gran dorsale, erettori della colonna vertebrale, elevatori della scapola) deve essere modesto e solo di rinforzo rispetto a diaframma e intercostali esterni. Quando vi è una prevalenza della componente muscolare ausiliaria (meccanismo sterno-costale) rispetto a quella costo-diaframmatica, la fonazione viene pregiudicata. Nel canto va privilegiata la componente costo-diaframmatica, che come abbiamo visto si realizza attraverso l’azione sinergica di: •diaframma e muscoli intercostali esterni durante l’ispirazione, con ampliamento verticale e trasversale della gabbia toracica; •parete addominale e intercostali interni durante l’espirazione cioè nella fonazione. 70 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 70 16/09/14 17:44 Si parla di meccanismo costo-diaframmatico proprio per definire bene i territori più e meglio coinvolti dall’onda respiratoria associata al canto. Una respirazione alta, ad esempio innescata da un moto di paura, coinvolge poco la componente diaframmatica e basso costale e troppo quella sterno-costale (spalle e sterno si sollevano), inficiando la possibilità di controllo sulla respirazione stessa. Viceversa un eccesso di coinvolgimento della componente addominale può irrigidire tutta la muscolatura, anche quella laringea, con le dovute conseguenze. Si ricorda che la corretta respirazione nel canto è il risultato dell’azione di muscolature antagoniste secondo un equilibrio fisiologico (e quindi naturale). Forze opposte si integrano per garantire la giusta emissione di fiato in rapporto al suono desiderato, mettendo in atto un buon accordo pneumofonico, cioè un giusto equilibrio tra presa di fiato, emissione di fiato e assetto laringeo, senza la presenza di ipercinesie. Un buon accordo pneumofonico risulta evidente in esercizi quali la messa di voce, ove quest’equilibrio è condizione stessa per la riuscita dell’emissione in crescendo e/o diminuendo d’intensità nel pieno controllo dell’intonazione. Durante l’inspirazione, con l’uso prevalente dei muscoli inspiratori, si parla di azione di appoggio; nella fase espiratoria, con l’uso prevalente dei muscoli espiratori (si ricorda che nel canto l’espirazione è attiva), si parla di azione di sostegno, in virtù degli effetti che hanno sul canto i muscoli usati (fig. 4.3). Le due componenti di appoggio e sostegno dovrebbero essere tra di loro integrate, in un lavoro sinergico che procede dalla fase inspiratoria a quella espiratoria variando e integrando adeguatamente le due grandezze: in fase inspiratoria l’appoggio è massimo, proseguendo azione di appoggio azione di sostegno parete addominale diaframma fig. 4.3 71 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 71 16/09/14 17:44 appoggio punto di equilibrio cantare sul fiato controllo della pressione sottoglottica fig. 4.4 sostegno verso la fase espiratoria diminuisce cedendo gradualmente la sua azione al sostegno. Cantare sul fiato vuol dire mantenere in equilibrio le due componenti di appoggio e sostegno, garantendo la giusta pressione sul piano cordale e non esaurendo la colonna d’aria stessa (fig. 4.4). Cantar sul fiato vuol dunque dire saper dosare il fiato in un giusto principio di economia. Come già accennato, anche la postura incide sulla respirazione: in posizione eretta vi è già un normale tono della parete addominale con funzione di sostegno e di contenimento, inoltre nella postura vista in precedenza e suggerita al cantante, l’allungamento della colonna, la retroversione del bacino, ecc., favoriscono l’attività della parete addominale, condizione che di per sé promuove l’allargamento della gabbia toracica in direzione centrifuga, cioè favorisce l’abbassamento del diaframma e l’allargamento delle coste. La contrazione del diaframma pelvico, che si induce portando un po’ in dentro il basso addome e/o stringendo un po’ i glutei, è una manovra che può essere utile per facilitare una buona presa d’aria perché favorisce l’abbassamento del diaframma addominale supportando l’appoggio. Una corretta postura quindi facilita una buona respirazione, creandone il giusto presupposto. In aula è desiderabile che il cantante, in fase inspiratoria, ricerchi un’ampiezza toracica che sia sinonimo di eleganza e maestà, con atteggiamento calmo e consapevole in un corpo flessuoso. Le clavicole non vengono coinvolte più di tanto, mentre l’arco costale delle ultime coste (fluttuanti) viene sospinto verso l’esterno aumentando il diametro toracico. Nella fase espiratoria, cioè nel canto, diventa necessario non abbandonare la sensazione di ampiezza del torace onde impedire al diaframma di decontrarsi 72 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 72 16/09/14 17:44 bruscamente e di lasciare svuotare i polmoni improvvisamente e senza controllo. L’attività della parete addominale in questo caso favorisce un lento rilascio del diaframma e di conseguenza un controllo del fiato. Viceversa, un corpo non in equilibrio lavorerà muscolarmente interferendo con l’azione corretta dei muscoli respiratori, causando un eccessivo dispendio di energie e uno scarso controllo sull’emissione. Concludendo, da un punto di vista fisiologico, possiamo riassumere la respirazione elencando una serie di assiomi: •appoggio e sostegno sono forze antagoniste che devono rimanere tra loro in equilibrio variabile; •se aumenta il sostegno diminuisce l’appoggio e viceversa; •il punto di equilibrio tra appoggio e sostegno è mobile; •esiste un’interdipendenza tra sistema respiratorio e laringeo; •la postura incide sulla respirazione. I pericoli più comunemente verificabili durante la respirazione sono: •un’inspirazione eccessiva che può compromettere la capacità di gestione del fiato (un motore che si ingolfa); •un eccesso di appoggio (spinta in basso e in fuori), con affondo della laringe, che genera un suono pesante e probabilmente calante, con portamenti dal basso e vibrato eccessivamente ampio; •un eccesso di sostegno (spinta in alto e in dentro), con laringe stretta ed eccessivamente alta, che genera un suono stridulo, probabilmente crescente e vibrato stretto; •un addome troppo contratto che ostacola l’abbassamento del diaframma (ad esempio in situazioni di stress emotivo e/o da performance); •un eccesso di tensione nella muscolatura respiratoria che incide sulla meccanica laringea e quindi sulle sue capacità funzionali. Ciò che un cantante dovrebbe saper fare, è sviluppare sempre più consapevolezza sulla propria respirazione e garantire la sopravvivenza di un equilibrio dinamico tra appoggio e sostegno, in rapporto alle peculiari caratteristiche fisiche, somatiche e psicologiche personali, mettendo a disposizione energia che non deve degenerare in sforzo, quindi senza il coinvolgimento della muscolatura posturale sovra e sotto-ioidea. 73 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 73 16/09/14 17:44 Il cantante che ben respira si sa muovere a suo agio sul palcoscenico, non perché è vittima di aggiuntive contrazioni muscolari, ma perché vive un virtuoso equilibrio tra respiro, articolazione del suono e movimento. Di solito, i testi che si occupano di canto a questo punto suggeriscono degli esercizi sulla respirazione, ma non sarà questo il caso. Io non credo molto in tutti quegli esercizi proposti per esercitare la respirazione o che ne vogliono potenziare le capacità. È mia convinzione che il giusto respiro si possa attuare solo nell’atto stesso del canto, che l’esperienza della respirazione debba passare obbligatoriamente dal canto. Esistono indubbiamente molti esercizi che aiutano a realizzare una buona respirazione, ma il loro obiettivo è lavorare sul respiro fine a se stesso. Durante il canto gli equilibri respiratori cambiano completamente, ed è di quella specifica esperienza che abbiamo bisogno. Ritengo più utile dedicarsi ad attività fisiche integrate con il respiro, come lo yoga, il nuoto o la ginnastica posturale (con l’aiuto di specialisti del settore) e anche la corsa, che sviluppano schemi corporei molto validi e aumentano l’efficienza respiratoria, ma tenendo sempre a mente che il canto è tutta un’altra cosa. Ogni eventuale esercizio sulla respirazione dovrebbe avere l’obiettivo di sviluppare una propriocezione e un’endocezione sottili che poi possano risultare utili anche nell’atto dell’educazione della voce. Molto importante rimane l’affidarsi a un maestro di canto che sia in grado di riconoscere e modificare un’eventuale inefficacia respiratoria. Concludo questa lunga digressione sul respiro sottolineando che non c’è uomo senza respiro, non c’è voce senza respiro, ma ci sono molti uomini senza voce! I parametri del suono vocale “L’organo vocale è uno strumento troppo individuale per potere imparare schematicamente certi modi di emissione: nessun metodo è sistematico e la ricerca di timbrature e risonanze particolari, che non siano quelle a cui l’organo vocale in questione è fisiologicamente predisposto, può risultare dannosa5”. Franco Fussi Questo è il presupposto indispensabile per lo studio del canto. Ogni voce si può orientare al canto solo rispettando la propria natura, sapendola ascoltare e declinando sul proprio strumento i suggerimenti 74 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 74 16/09/14 17:44 forniti da insegnanti, testi, colleghi e quant’altro. Ciò di cui parlerò ora andrà dunque letto sotto quest’ottica. I parametri del suono vocale, cioè i “livelli” sui quali lavora il cantante, si possono esprimere in: intensità, altezza e timbro. •L’intensità del suono vocale è data dall’ampiezza di vibrazione delle corde vocali in relazione alla pressione sottoglottica. •L’altezza è funzione della lunghezza, dello spessore e della tensione delle corde vocali, e varia in funzione della frequenza di vibrazione delle corde, della forza adduttoria e della pressione sottoglottica. •Il timbro è la qualità della voce, determinata dagli armonici del suono fondamentale (dipendenti dalla vibrazione segmentale delle corde) e dalla selettiva amplificazione di alcuni armonici secondo forma, dimensione e consistenza dei risuonatori. Fisiologicamente il suono vocale viene così prodotto: •l’aria che fuoriesce grazie alla spinta del diaframma è l’elemento “eccitante” sulle corde vocali; •il corpo vibrante è rappresentato dalle corde vocali, la cui tensione, lunghezza e spessore determinano l’altezza del suono; •l’“ambiente risonante” si sviluppa a partire dal piano cordale ed è rappresentato da tutti quegli spazi invasi dall’onda aerea vibrante: faringe e cavità orale (vocal tract). I “risuonatori” possono essere mobili ed è pertanto possibile modificarne la forma nel corso dell’emissione del suono, potendo variare il timbro con continuità (morphing timbrico). La consonanza avviene invece per propagazione dell’onda acustica nelle zone anatomiche vicine, generando sensazioni di vibrazione (ad esempio, consonanza di petto, consonanza di testa). L’atto respiratorio avviene a corde in posizione aperta, cioè a riposo, mentre durante la fonazione si chiudono restringendo il passaggio. L’aria che impatta sul piano cordale genera un aumento di pressione. Quando tale pressione è sufficiente a contrastare la tensione delle corde, si ha il passaggio dell’aria dalla fessura tra di esse, e una corri75 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 75 16/09/14 17:44 spondente e improvvisa diminuzione della pressione (principio di conservazione dell’energia del teorema di Bernoulli). Il suono prodotto dipende dalla frequenza di oscillazione delle corde vocali, in rapporto alla loro tensione, densità e lunghezza. Nell’uomo adulto la lunghezza delle corde è di circa 17-25 mm, mentre per la donna è di 12,5-17,5 mm, motivo per cui tra maschio e femmina c’è differenza di tessitura (a parità di classe vocale, la donna si posiziona circa un’ottava sopra). Per la produzione della voce è necessaria pochissima aria, infatti l’onda sonora non è il risultato del trasporto dell’aria, ma dell’oscillazione del mezzo. L’aria che fisicamente esce dalla bocca è il risultato di una “fuga” (debito glottideo), che è tanto maggiore quanto più grave è il suono prodotto, motivo per cui è più difficile eseguire un suono lungo grave piuttosto che acuto. Va ricordato che l’efficacia di un cantante nell’eseguire lunghe frasi, dipende dall’abilità dello stesso nel gestire la pressione sottoglottica e non dalla capacità toracica. I risuonatori, che nel loro insieme costituiscono il vocal tract, possono essere stilizzati graficamente in una “F” sovrapposta all’immagine della sezione sagittale della testa (fig. 4.5). Il vocal tract, rappresentato da faringe, bocca e naso, è attraversato dall’aria vibrante, dal piano cordale alla rima orale e consente e determina l’amplificazione del suono e la definizione del timbro. Sono le soggettive caratteristiche anatomiche e le variazioni di forma e dimensione del tubo aggiunto a produrre un’amplificazione selettiva delle armoniche e, in definitiva, a modellare il timbro. Si ricorda che per la voce le cavità di risonanza non sono statiche ma possono subire modifiche di forma, dimensione e tono di parete, per cui anche il timbro in una stessa voce risulta essere un parametro variabile. Questi fenomeni di modellamento dell’atteggiamento del vocal tract generano diversi risultati timbrici che si manifestano in primis attraverso le differenze tra i suoni vocalici e consonantici e quindi in tutte le possibili sfumature di “colore”. Oltre al fenomeno di risonanza dato da una cavità inondata dal flusso aereo vibrante, come già accennato, vi è anche un fenomeno di consonanza, cioè di propagazione dell’onda acustica nelle strutture anatomiche limitrofe. Si parla quindi di consonanza di petto quando l’onda acustica consuona nelle strutture anatomiche del petto (suoni gravi), o 76 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 76 16/09/14 17:44 seno frontale seno sfenoidale cavità nasale palato duro palato molle lingua faringe epiglottide corde vocali esofago trachea fig. 4.5 consonanza di testa quando il fenomeno riguarda la testa (suoni acuti), in relazione alla frequenza fondamentale del suono e all’impedenza specifica degli organi coinvolti. In particolare, una corretta emissione con buona qualità timbrata necessita di un’ottimale collaborazione tra azione meccanica laringea (si veda più avanti il paragrafo I registri della voce), gestione e modellamento del vocal tract, e corretto rapporto pneumofonico. Di norma, l’ampliamento del vocal tract prevede un aumento dello spazio orofaringeo per elevazione del velo palatino e appiattimento della base della lingua, oltre che un abbassamento della laringe e un aumento del diametro trasverso della faringe, onde garantire pienezza, rotondità e proiezione al suono (concetto di bilanciamento di emissione). Per quanto riguarda il modellamento dello spazio faringeo, va ricordato che esistono tre muscoli costrittori della laringe (superiore, medio e inferiore) che durante la fonazione dovranno essere mantenuti in stato rilassato. In particolare, l’inferiore risulta essere in relazione con il muscolo cricotiroideo, cioè il muscolo tensore delle corde vocali e responsabile del controllo sull’intonazione. Questa relazione risulta pericolosa salendo di tessitura, infatti una maggior tensione del cricotiroideo induce una contrazione della bassa faringe creando un conflitto di azioni muscolari. Una buona emissione prevede lo svi77 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 77 16/09/14 17:44 luppo dell’abilità di mantenere ampie le cavità del tratto vocale impedendo sincinesie muscolari che si oppongono a tale principio. Lo sbadiglio (nella sua fase iniziale) rappresenta una strategia per indurre uno spontaneo abbassamento della laringe, un sollevamento del velo palatino e favorire l’ampiezza orofaringea. Lo sbadiglio in definitiva esalta la componente volumetrica dei risuonatori, arricchendo il suono di componenti armoniche. La parte terminale dello sbadiglio, con l’arretramento eccessivo della lingua e l’“infossamento” della voce, è invece controproducente ai fini di una buona emissione. Anche la protrusione del labbro durante la fonazione, rappresenta un’azione in grado di allungare il vocal tract e di arricchire il timbro. In ogni caso, ogni voce rimane e rimarrà sempre un mondo a parte, e principi validi da un punto di vista tecnico vocale possono non essere strettamente indispensabili per coloro che usano la voce in senso non completamente eufonico ma comunque vincente. Vocali e consonanti L’articolazione dei fonemi è materia importante per chi usa professionalmente la parola e il canto. Darò qui spazio a pochi ma indispensabili cenni su vocali e consonanti, rimandando a testi specializzati l’approfondimento dell’argomento. Le vocali A seconda della loro posizione (conseguenza della posizione della lingua), le vocali si distinguono in: • anteriori: è (bello) é (velo) i; • centrale: a; • posteriori: ò (trono), ó (dono), u. A seconda del suono possono essere: • chiuse, in posizione di risonanza alta: i, u; • semichiuse, in posizione di risonanza medio alta: é, ó; • semiaperte, in posizione di risonanza medio bassa: è, ò; • basse, in posizione di risonanza aperta: a. Essendo la lingua direttamente collegata alla laringe, nella pronuncia delle vocali anteriori la laringe sarà in una posizione leggermente più innalzata, neutra per la “a” e più bassa per le vocali posteriori (tabella 4.1). 78 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 78 16/09/14 17:44 Tabella 4.1. Posizione e suono delle vocali Vocali anteriori alte (chiuse) i u medio-alte (semichiuse) é ó medio-basse (semiaperte) è ò basse (aperte) centrali posteriori a Le consonanti fuse alle vocali offrono la possibilità di articolare la parola. Vengono per questo chiamate “con-sonanti”, cioè che suonano se accostate a un suono, poiché hanno bisogno di accompagnarsi a una vocale. In realtà le consonanti sono rumori e in particolare sono originate dal rumore della colonna d’aria in espirazione prodotto a livello di differenti punti di articolazione quali labbra, arcate dentarie, palato duro, velo pendulo. Importante è comprendere che vocali e consonanti vengono prodotte da differenti azioni muscolari e per un buon risultato devono essere tra di loro debitamente coordinate, evitando ogni interferenza tra i differenti meccanismi. Le vocali sono prettamente spazi e “forme” risonanti (vedi più avanti: Le formanti), mentre le consonanti sono interruzioni di flusso aereo. Le consonanti si distinguono a seconda del suono (tabella 4.2), del luogo (tabella 4.3) e della modalità (tabella 4.4) di articolazione. Tabella 4.2 Secondo il suono Sorde Sonore quando il suono si produce senza vibrazione delle corde vocali (cassa) quando il suono è prodotto dalla vibrazione delle corde vocali (gallo) 79 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 79 16/09/14 17:44 Tabella 4.3 Secondo il luogo Luogo di articolazione Consonante bilabiali tra le labbra b-m-p labio-dentali tra incisivi e labbro inferiore f-v linguo-dentali tra la punta della lingua e gli incisivi superiori t-d-n linguo-alveolari punta della lingua posteriormente agli incisivi s-z-r-l linguo-palatali tra porzione anteriore della lingua e del palato osseo ci - gi velari tra il dorso della lingua e il palato molle k-g Tabella 4.4 Secondo il modo Occlusive (la corrente d’aria trova un ostacolo) costrittive (la corrente d’aria trova un restringimento) Affricate (costituite da una consonante occlusiva e da una costrittiva) p-b-t d-k-g m - n - gn f - v (fricative) s - sc - z (sibilanti) r (vibranti) l - gl (laterali) z (t+s) z (d+s) ci/e (t+sc) gi/e (d+j) 80 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 80 16/09/14 17:44 Tabella 4.5 Secondo suono, luogo e modo Costrittive laterali s (sorda) s (sonora) r l linguopalatali sc (j) bilabiali p (sorda) b (sonora) nasali linguoalveolari orali vibranti Affricate sibilanti fricative Occlusive m labiodentali linguodentali velari f (sorda) v (sonora) t (sorda) d (sonora) k (sorda) g (sonora) n z (sorda) (t+s) z (sonora) (d+z) gl (l) ci (sorda) (t+j) di (sonora) (d+z) gn (ñ) Nel canto una buona articolazione non è sempre affine a una corretta emissione e a un’ottimale risonanza. Può accadere, soprattutto salendo d’intonazione, che la parola perda di intelligibilità (in modo particolare nella lirica); ciò è dovuto alle esigenze di emissione. È molto importante “ambientare” la pronuncia all’interno del “canale” di emissione senza abbandonare il tono muscolare necessario per quella risonanza. È necessario conciliare il luogo di articolazione (in bocca) con quello di risonanza (più alto e/o posteriore), se necessario scendendo a compromessi a favore di una corretta emissione. Ad esempio, l’apertura della bocca va aumentando negli acuti di potenza con conseguenti problemi articolatori (fermo restando l’importanza dell’apertura interna, della 81 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 81 16/09/14 17:44 parte posteriore della bocca, ciò che rende possibile ad esempio anche acuti in pianissimo a bocca quasi chiusa). Inoltre, non sempre deve essere ricercata una corretta dizione; soprattutto nel pop-rock una pronuncia “personalizzata” può essere condizione premiante per una vocalità molto caratterizzata. Approfondimenti sul timbro Il timbro, come già accennato, è determinato dai sopratoni armonici che si associano al suono fondamentale, e può essere modificato in relazione alla forma della cavità di risonanza percorsa dall’onda. In rapporto al suono fondamentale, gli armonici sono sempre superiori (cioè più acuti), progressivamente più deboli e in quantità differente in relazione ai dettagli dell’oscillazione (ad esempio, i suoni gravi sono più ricchi di trama armonica). L’intensità di queste componenti armoniche è spiccatamente modulata dal passaggio negli spazi superiori al piano cordale. Secondo la fisica del suono, ogni cavità è soggetta al fenomeno della risonanza, e l’effetto sull’onda sonora attraversante un risuonatore è di smorzare le componenti spettrali fuori risonanza ed esaltare quelle prossime alla risonanza. Vale la pena ora fare un riferimento ai risuonatori di Helmholtz (fig. 4.6). Si tratta di particolari cavità risuonanti create da Hermann von Helmholtz nel 1860 per lo studio del suono e della sua percezione. Mettendo in oscillazione l’aria contenuta in un risuonatore (soffiando di taglio nell’imboccatu- fig. 4.6 82 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 82 16/09/14 17:44 ra o esponendo il risuonatore a una fonte di onde sonore), si generano al suo interno onde stazionarie in risonanza con la frequenza propria della cavità, che quindi si comporta come un amplificatore selettivo. Se è vero che il timbro delle vocali è conseguenza dell’amplificazione selettiva di determinate frequenze, è vero anche che le stesse vocali possono essere riprodotte per sintesi combinando suono fondamentale e armonici nella misura voluta. Questo lavoro è stato realmente eseguito da Helmholtz utilizzando delle canne d’organo chiuse. Egli constatò che per ciascuna delle vocali pronunciate, la cavità boccale produce una specifica serie di risonanze, indipendenti dall’altezza del suono prodotto e caratterizzanti la voce stessa. Cioè ogni vocale era caratterizzata da una sua serie di risonanze. Secondo i principi della fisica del suono, nello spettro sonoro prodotto dalla vibrazione delle corde vocali si vedono rinforzate prevalentemente le armoniche corrispondenti alla frequenza di risonanza di quella forma e di quel volume mentre le altre vengono ridotte. In sostanza, la bocca funziona essa stessa come un risuonatore di forma e grandezza variabile. A ogni morphing corrisponde una selettiva amplificazione di armonici. Il cantante, agendo sulle cavità di risonanza e modellandole, favorisce l’esaltazione delle componenti armoniche efficaci per la specifica emissione. A parità di intensità, frequenza della fondamentale e timbro iniziale, la voce è soggetta a una profonda e controllabile modificazione del suo contenuto spettrale, permettendo di articolare moltissimi suoni in forma di vocali e consonanti, nelle varie tessiture e con lo stile desiderato. Inoltre, una buona tecnica è in grado di produrre una buona “accordatura” delle risonanze del tratto vocale, sfruttando al meglio il potenziale offerto dalle cavità e permettendo di generare un suono più rinforzato nei suoi armonici (suoni più timbrati), oltre che un suono di maggiore intensità a parità di pressione dell’emissione. Il suono prodotto e proiettato all’esterno avrà un timbro caratteristico in relazione alle diverse forme e dimensioni delle cavità di risonanza (anatomia del soggetto e morphing timbrico), oltre che determinato dall’attività articolatoria sui fonemi. Atteggiamenti specifici, come la protrusione delle labbra o l’innalzamento del velo palatino, hanno effetto diretto sul risultato dell’amplificazione del suono con modifica del timbro, dovuti a un aumento e a un modellamento degli spazi di risonanza. 83 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 83 16/09/14 17:44 Ogni vocale è in grado di modellare all’interno del cavo orale spazi e dimensioni specifici, di conseguenza la rappresentazione delle vocali all’interno dello spettro si esprime attraverso la posizione assunta dalle prime due formanti (tabella 4.6): Tabella 4.6 Le formanti delle vocali i I formante in Hz II formante in Hz 240 2500 e 350 2200 a 750 1300 o 350 865 u 240 750 La formante (F) è una particolare frequenza attorno alla quale un suono mostra un picco di ampiezza, cioè si tratta di zone di frequenza con particolare concentrazione di energia acustica, conseguenti a un’amplificazione selettiva attuata dal vocal tract. Nella voce umana sono presenti diverse formanti, cioè picchi di energia acustica in posizioni variabili, conseguenti agli atteggiamenti del tratto vocale; altrimenti detto, il meccanismo di emissione delle vocali modifica le posizioni delle formanti. Nel dettaglio ogni vocale è identificata dal rapporto tra seconda e prima formante: F2 / F1, mentre le successive formanti definiscono “sfumature” linguistiche, dialettali e personali. Schematizzando, la frequenza della prima formante (F1) è in relazione con l’ampiezza dell’apertura della bocca, mentre la frequenza della seconda formante (F2) è determinata dalle diverse posizioni della lingua. Da notare che per ogni vocale la posizione delle formanti non cambia pur variando la frequenza del suono fondamentale che si sta emettendo (ad esempio, la vocale “a” avrà sempre la prima formante attorno ai 750 Hz e la seconda attorno ai 1300 Hz, qualunque sia l’intonazione del suono fondamentale) (fig. 4.7). Al variare della frequenza, e senza modifica della posizione delle formanti, vi è invece una diversa quantità di informazioni contenute in ciascuna formante. La trama armonica risulta essere più fitta nelle voci maschili, meno nelle femminili e rada nel falsetto. Questo accade perché salendo d’intonazione le armoniche si distanziano tra di loro. 84 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 84 16/09/14 17:44 F1 F1 F2 F2 F1 F2: vocale i F1 F2: vocale é F1 F1 F2 F1 F2: vocale è F2 F1 F2 F1 F2: vocale a F1 F2 F1 F2: vocale ò F1 F2: vocale ó F1 F2 F1 F2: vocale u fig. 4.7 85 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 85 16/09/14 17:44 In definitiva le vocali non sono che timbro. Ogni vocale ha una sua forma, descritta graficamente attraverso lo spettrogramma e rappresentata tridimensionalmente dal volume risonante vero e proprio. L’atteggiamento delle cavità di risonanza sopraglottiche determina la vocale, in conformità con le leggi fisiche delle risonanze acustiche. Le vocali sbocciano sulle labbra, ma si modellano a opera dell’intera cavità orofaringea. Ogni vocale è realizzata da uno specifico atteggiamento dei risuonatori e una buona pronuncia vocalica richiede di modellare spazi e strutture interni quali cavità orale nel suo insieme, lingua e velo palatino, agendo anche su labbra e mandibola. La gestione di suoni vocalici richiede una capacità propriocettiva sottile nel modellamento delle cavità interne. Non basta aprire la bocca e atteggiare le labbra per ottenere un buon suono vocalico. Altri esempi di amplificazione selettiva del cavo orale sono il fischio, il canto armonico e lo scacciapensieri. Provando ad esempio a fischiare con intonazione comoda e continua, senza interrompere l’emissione, e provando ad atteggiare il cavo orale alla pronuncia in sequenza delle vocali “a-e-i-o-u”, si nota che non è possibile controllare l’intonazione e che la stessa tenderà a modificarsi, salendo o scendendo, a ogni diverso atteggiamento vocalico. Ciò dimostra concretamente che il fischio (le corde vocali non producono suono, il fischio è solo dato dalla frequenza di risonanza della cavità) modula l’intonazione agendo sulla forma e dimensione della cavità, cioè lavorando solo sugli armonici prodotti dalla specifica cavità, senza la presenza di un suono fondamentale (come soffiando di taglio sull’imboccatura di un risuonatore di Helmholtz). Questo è anche il principio del canto armonico, che su fig. 4.8 86 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 86 16/09/14 17:44 di un suono cordale attua una selezione delle armoniche da amplificare basandosi proprio sulla pronuncia delle vocali. E ancora, strumenti come lo scacciapensieri (fig. 4.8) sanno produrre suoni dalla vibrazione di una sottile lamina, mentre il suonatore crea un vortice d’aria da dentro a fuori la cavità orale, e l’intonazione avviene esclusivamente modulando spazi e volumi interni, sempre sulla traccia delle vocali. Concluderò questo capitolo con una suggestione empirica riguardante proprio il suono delle vocali. È possibile notare che il timbro di ogni vocale possiede una somiglianza con il proprio segno grafico stampato maiuscolo: “A-E-I-O-U”. Probabilmente il timbro vocalico ha influenzato la scelta grafica, ma ciò è interessante soprattutto perché permette di notare che tutte e cinque le lettere condividono un aspetto: ogni segno grafico di vocale può contenere al proprio interno la vocale “I”. Cioè vi è una dimensione comune a tutti e cinque i suoni, che è quella verticale, alla quale non si può rinunciare. Tale riflessione è utile per chi usa la voce professionalmente e ha bisogno di immagini e rappresentazioni che guidino le proprie propriocezioni, infatti è molto più potente il contenuto veicolato da un’immagine o da una metafora che quello veicolato dalla parola scientifica. La “I” viene quindi intesa come una colonna portante, intrinseca a ogni vocale. Se in una vocale manca la verticalità della “I” il suono tende a schiacciarsi. La “I” diventa una dimensione di riferimento, molto chiara da un punto di vista rappresentativo e molto efficace a livello di sonorizzazione (tutti sappiamo pronunciare correttamente la “I”): in ogni pronuncia vocalica non dovrebbe mancare mai la verticalità della “I”, ove la punta rappresenta esattamente il punto di contatto della vocale sulla superficie di vocal focus, “luogo” assai riconoscibile per questa vocale e meno evidente per le altre (non a caso la “I” è la vocale percepita più alta). Analogamente la “A” è la vocale che graficamente mostra un’ampia base di appoggio e che a sua volta può contenere le altre vocali. Anche in questo caso la “A” descrive la dimensione massima orizzontale e la posiziona sulla base (non a caso la “A” è la vocale più aperta e più bassa). Gli altri suoni vocalici non possono che posizionarsi nello spazio delimitato da “I” (punta) e “A” (base). Queste immagini spaziali possono semplicemente essere utili e rassicuranti per la gestione efficace della pronuncia vocalica all’interno del vocal focus e nel rispetto dell’emissione. 87 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 87 16/09/14 17:44 I registri della voce Un argomento che voglio toccare, anche se non approfondire, essendo territorio più del foniatra che non del cantante, è quello dei diversi registri laringei. Reputo importante avere a disposizione delle chiare informazioni su questo argomento, onde aiutare l’allievo a comprendere cosa sta accadendo nel proprio strumento e a perseguire la via più corretta in relazione alle scelte stilistiche. Per cominciare è bene dare qualche cenno anatomico-funzionale. La laringe è la sede dell’organo deputato alla fonazione, è sospesa all’osso ioide per mezzo del legamento joepiglottico; superiormente si continua con la faringe e inferiormente con la trachea. Nell’uomo la laringe è più voluminosa e in posizione un po’ più bassa che nella donna. Il suo scheletro è costituito da cartilagini tra di loro articolate. Le principali cartilagini che costituiscono la laringe sono: Cartilagini Anatomia epiglottide impari: a forma di foglia, nella deglutizione chiude l’adito laringeo permettendo al cibo di passare solo nella faringe e quindi in esofago tiroide impari: è la più voluminosa, a forma di libro aperto, con dorso posto anteriormente (riconoscibile nel “pomo d’Adamo”) cricoide impari: è la più inferiore della laringe, di forma complessa assimilabile a un anello aritenoidi pari: si tratta di due piccole cartilagini a forma piramidale Le corde vocali sono rappresentate da due paia di pieghe, le false (superiormente) e le vere (inferiormente), separate da uno spazio detto “ventricolo del Morgagni”. Mentre le corde false sono solo degli abbozzi muscolari ricoperti di mucosa, le vere hanno struttura a strati e precisamente: 88 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 88 16/09/14 17:44 Struttura delle corde vere superficiale epitelio lamina propria superficie della corda spazio di Reinke banda di fibre elastiche fibre collagene profonda muscolo cordale legamento vocale corpo cordale I muscoli laringei che agiscono nella produzione della voce possono essere distinti in: muscoli estrinseci, che collegano una cartilagine laringea a una struttura ossea limitrofa, posti all’esterno delle strutture cartilaginee della laringe, che permettono al corpo laringeo di compiere alcuni movimenti entro il collo; e intrinseci, che invece collegano due cartilagini laringe e governano i movimenti tra le cartilagini, sono interni alla struttura cartilaginea, eccezion fatta per i cricotiroidei che sono posti esternamente. Muscoli estrinseci: modificano in volume e lunghezza le cavità di risonanza Muscolo Azione Quando tiroioidei spostano la laringe verso l’alto nell’emissione degli acuti sternotiroioidei spostano la laringe verso il basso nell’emissione dei gravi costrittori inferiori della laringe uniscono laringe e faringe e spostano indietro la laringe digastrico, stiloioideo, ioglosso fissano la laringe per facilitare il lavoro dei muscoli intrinseci 89 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 89 16/09/14 17:44 Muscoli intrinseci: modificano la relazione tra le cartilagini laringee Muscolo adduttori: costrittori della glottide Dove interaritenoidei tra le due cartilagini aritenoidi cricoaritenoideo laterale tra parete laterale della cricoide e l’apofisi laterale dell’aritenoide abduttori: dilatatori della glottide cricoaritenoideo posteriore tra faccia posteriore della cricoide e l’aritenoide tensori cricotiroideo (esterno alla struttura cartilaginea della laringe) tra faccia anteriore della cricoide e margine inferiore della tiroide tiroaritenoideo anteriormente nell’angolo tiroideo e posteriormente sull’aritenoide Gruppi muscolari aritenoidei interaritenoidei cricoaritenoideo laterale se con azione prevalente: voce piena tiroaritenoideo (corda vocale) cricotiroidei cricotiroideo se con azione prevalente: voce di falsetto 90 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 90 16/09/14 17:44 Azione Quando avvicinano tra loro le cartilagini aritenoidi, chiudendo posteriormente la glottide in fonazione fanno ruotare medialmente le cartilagini aritenoidi, facendo chiudere la glottide in fonazione fanno ruotare lateralmente le cartilagini aritenoidi, facendo aprire la glottide nella respirazione movimento verso il basso e in avanti della cartilagine tiroidea, con allungamento e assottigliamento della massa cordale, responsabili anche del vibrato regolazione dell’intonazione e destabilizzazione della resistenza glottica adduttoria nella fonazione rappresenta il corpo muscolare delle corde vocali, con un fascio laterale adduttorio, e un fascio mediale che accorcia le corde vocali per i toni gravi 91 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 91 16/09/14 17:44 Le due corde vere possono emettere suoni con grande variabilità di intonazione, di dinamica e di timbrica, sfruttando un’ampia e articolata gamma di assetti glottici. Le caratteristiche dominanti dell’assetto glottico definiscono il registro vocale, dove per registro s’intende una gamma di toni omogenei per timbro, prodotti da uno stesso meccanismo laringeo e in equilibrio con la capacità di adattamento dei risuonatori. Dunque esistono diverse meccaniche di lavoro nell’emissione laringea dei suoni, che implicano risultati acustici differenti. Il gruppo dei muscoli aritenoidei è in antagonismo con il gruppo dei cricotiroidei. Entrambi i gruppi agiscono contemporaneamente e in antagonismo regolando la tensione delle corde vocali e determinano forza adduttoria, massa, lunghezza e tempi di contatto cordale. La prevalenza dell’azione di uno dei due gruppi determina la meccanica in atto, cioè i meccanismi laringei sono la diretta conseguenza dell’azione e dell’integrazione di muscoli tra di loro antagonisti. L’attività di questi gruppi muscolari varia in funzione dell’altezza del suono prodotto, con una componente minima dei cricoaritenoidei per i toni gravi nel registro pieno, e una massima per gli acuti in registro leggero. I muscoli cricotiroidei gestiscono la tensione longitudinale e di conseguenza l’estensione musicale. meccanica registro ambiti M0 fry, pulse – nel parlato modale, pieno – nel parlato – nel canto M1 frequenze più basse dell’estensione frequenze gravi e centrali M2 M3 falsetto, leggero – nel canto flauto, fischio – nel canto toni medi e acuti dell’estensione sovracuti in donne e bambini 92 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 92 16/09/14 17:44 Nei toni gravi vi è una prevalente attività del tiroaritenoideo (muscolo vocale, appartenente al gruppo degli aritenoidei), con aumento della massa cordale e dei tempi di contatto cordale, producendo suoni armonicamente ricchi e timbrati. Nei toni acuti invece c’è una prevalente attività dei cricotiroidei, con allungamento della corda e diminuzione dei tempi di contatto cordale con produzione di suoni meno ricchi e timbrati. Il suono prodotto da queste meccaniche laringee, subirà poi un ulteriore modifica a opera del vocal tract. In questo modo si ottiene la definizione di due livelli di registri: uno primario, che è conseguenza dalla meccanica laringea d’origine, e uno secondario che è dato dal contributo del vocal tract sul suono prodotto dalla specifica meccanica. Quando si parla di voce di petto o di testa, è opportuno capire che non ci si sta riferendo a un registro primario ma a un registro secondario, cioè agli effetti del vocal tract sul suono prodotto da una specifica meccanica. Parlare di voce di petto o di testa non ha nessun riferimento al registro laringeo, ma si riferisce solo a sensazioni di consonanza associate a un suono prodotto da una specifica meccanica e percepibili rispettivamente a livello del petto o del massiccio facciale. I registri primari, in relazione alla frequenza prodotta, possono essere raggruppati in quattro categorie: corde corte e spesse, gli strati superficiali rilassati e spostabili dai piani sottostanti, attività muscolare di aritenoidei e cricotiroidei minima, alti tempi di contatto glottico, può esserci vibrazione concomitante di false corde e aritenoidi corte e spesse, vibranti nell’intera lunghezza, il corpo cordale è più rigido rispetto agli strati superficiali, l’attività degli aritenoidei prevale su quella dei cricotiroidei, l’attività di entrambi aumenta con l’aumentare della frequenza, il tempo di contatto cordale supera il 50% dell’intero ciclo vibratorio la massa vibrante è ridotta, l’ampiezza di vibrazione è ridotta, tutti gli strati cordali sono stirati, l’attività muscolare cricotiroidea è prevalente, con tempi di contatto glottico inferiori al 50% dell’intero ciclo vibratorio sottili e tese, onda mucosa assente o quasi, talora con assenza di contatto cordale 93 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 93 16/09/14 17:44 Il passaggio da una meccanica a un’altra può, soprattutto nella voce non educata, incorrere in un sensibile mutamento qualitativo del suono. È riconosciuta una zona di passaggio tra un registro e il successivo, che determina tale cambiamento timbrico. Il cantante esperto è invece in grado, se richiesto dallo stile cui aderisce, di “sfumare” questa zona di passaggio agendo sia sull’equilibrio di tensione dei muscoli laringei che sulle risorse del vocal tract. Un cantante ben formato è quindi in grado di eseguire suoni consecutivi e omogenei non lasciando percepire disomogeneità timbriche nelle zone di passaggio da un registro all’altro. È perciò possibile attuare e gestire un registro misto, che prevede la contemporanea azione di due meccanismi, di due azioni tensorie antagoniste tra loro, ma capaci di integrarsi in un equilibrio virtuoso. In particolare per ogni voce esiste una zona di frequenze all’interno della quale si può scegliere se usare in netta prevalenza il meccanismo 1 o 2. È importante trovare un punto di convergenza tra i registri, ma anche saper sempre riconoscere e ritrovare le caratteristiche specifiche di ogni registro. Nella voce mista si distinguono due comportamenti differenti per uomo e donna: l’uomo privilegia un M1 mix M2, mentre per la donna è più comune M2 mix M1 (dove la prima meccanica è dominante sulla seconda). L’intensità è un parametro connesso alla meccanica laringea, infatti aumentando la pressione sottoglottica, anche l’intonazione tende a salire, il cantante perciò, aumentando la pressione sottoglottica, agisce contemporaneamente su intensità e intonazione modificando la miscela dei meccanismi 1 e 2. Nella gestione del parametro l’intensità risulta essere molto importante il gruppo degli aritenoidei, proprio perché la loro azione compensa l’incapacità dei cricotiroidei a contrastare l’aumento della pressione sottoglottica. Una voce ben educata al canto è in grado di garantire (soprattutto nelle zone di passaggio di registro) il miglior accoppiamento tra vibratore laringeo e risuonatori, cioè il risuonatore si adatta al suono che deve rinforzare. Tutte queste informazioni sui registri devono servire a chi usi la propria voce, per capire e rispettare il proprio strumento. La laringe e le sue meccaniche non sono controllabili direttamente, se non attraverso la volontà di rispettarne gli equilibri e le fatiche. È possibile chiedere tutto alla propria voce, purché quel tutto sia realmente nel suo potenziale. Ho conosciuto voci che si ostinavano a non affrontare un 94 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 94 16/09/14 17:44 registro misto o di falsetto e che poi si lamentavano di non avere una buona estensione, chiedendo all’insegnante la “ricetta per salire”. Spesso si pretende troppo e subito, ogni voce ha le sue caratteristiche e i suoi tempi. Non tutte le voci possono essere adatte a un particolare genere ed è bene capire anche quale sia lo stile meglio rappresentabile dal proprio strumento. Conoscere l’esistenza dei registri e le loro dinamiche può aiutare a comprenderne i limiti e i vantaggi della propria voce. Conoscere e curare la voce Per fare un uso professionale della voce sono necessari e indispensabili i seguenti ingredienti: • un buono strumento a disposizione; • salute fisica; • talento musicale; • personalità musicale. Sulla base di queste caratteristiche è realisticamente possibile costruire una buona vocalità. A questo punto l’allievo dovrà raccogliere spiegazioni il più possibile oggettive sugli atteggiamenti corporeomuscolari necessari. L’insegnante può certo fare ampio uso di immagini e metafore, che con la loro suggestione siano in grado di trasferire sensazioni all’allievo, ma sempre basandosi su un sapere oggettivo e non esclusivo frutto della personale creatività. L’allievo dovrà acquisire consapevolezza del proprio schema corporeo-vocale sviluppando con costanza e pazienza la capacità di collegare un corretto comportamento funzionale con il relativo prodotto acustico e quindi di memorizzarlo a livello procedurale. Il percorso all’emissione, se scomposto nelle sue fasi e messo sotto lente d’ingrandimento, può essere il seguente: •capacità di rappresentare mentalmente un progetto acustico che preceda l’emissione stessa, prevedendone intonazione, timbro, intensità; •capacità di predisporre il corpo alla realizzazione del progetto acustico, attuando una pianificazione del gesto vocale e realizzando un respiro coerente all’intero percorso musicale da affrontare; •capacità di percepire correttamente la proiezione del suono 95 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 95 16/09/14 17:44 sulle superfici di risonanza, cioè di percepire correttamente il vocal focus; •capacità di mantenere in equilibrio pressione aerea e suono, realizzando un corretto accordo pneumofonico; •capacità di mantenere la laringe libera da ogni forma di costrizione e a disposizione dell’articolazione del suono; •capacità di articolare vocali e consonanti senza interferire con le esigenze di una buona emissione. Il cantante dovrà poi evitare di incedere in situazioni di malmenage e surmenage e per quanto possibile, dovrà proteggersi da patologie infiammatorie, evitando il contatto con polveri e sostanze tossiche irritanti, evitando eccessi di aria condizionata e abuso di alcool e/o tabacco. Ai primi accenni di disfonia, di riduzione della qualità vocale, di emissione aspra, rauca, stimbrata o in caso di rapido affaticamento, è consigliabile il riposo vocale. In ogni caso il cantante può condurre una vita assolutamente normale, senza indulgere in atteggiamenti ipocondriaci o di iperprotezione, riscontrabili in molti professionisti della voce, ma che probabilmente sono segnali di fragilità psicologica. Per capire con che voce si sta lavorando, sia che si parli della propria sia di quella di un allievo, è necessario fare una serie di valutazioni, o più semplicemente mettersi nella condizione di osservarla e analizzarla nelle sue componenti. Innanzitutto è consigliabile un parere oggettivo fornito dal medico foniatra, che sulla base delle sue competenze professionali e degli strumenti a disposizione, eseguirà una valutazione anatomica, fisiologica e funzionale, fornendo informazioni per altro molto importanti non solo per valutare lo stato di salute dello strumento ma anche per aiutare a classificare la voce in base a dimensione, forma di laringe e di vocal tract, oltre che evidenziare eventuali malformazioni congenite o fragilità costituzionali. L’insegnante valutando queste informazioni, e sulla base delle proprie esperienze, farà poi un’analisi qualitativa e stilistica. Il cantante a sua volta, coadiuvato dal proprio feed-back uditivo userà tutte le informazioni fornitegli da foniatra e insegnante per sviluppare ulteriormente le proprie capacità di giudizio acustico e di sensibilità endocettiva e propriocettiva in base agli obiettivi personali prefissati. 96 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 96 16/09/14 17:44 Le tabelle che seguono forniscono suggerimenti su come osservare la voce che si desidera valutare. Valutazione del foniatra condizioni generali e stato di salute dell’apparato fonatorio dimensione laringe lunghezza e spessore delle corde valutazione delle cavità di risonanza Valutazione quantitativa (insegnante e allievo) estensione fisiologica - di 3 ottave 3 ottave + di 3 ottave tessitura - di 2 ottave 2 ottave + di 2 ottave classe vocale grave media acuta volume scarso buono importante timbro esile agilità buona ricco discreta scarsa Valutazione qualitativa (insegnante e allievo) qualità vocale buona velata rauca pressata soffiata ipercinetica timbro vellutato metallico cupo aspro brillante legnoso attacco morbido duro soffiato colpo di glottide impreciso articolazione chiara imprecisa confusa vocal focus ben sfuocato localizzato nasale omogeneità registri (se richiesta dallo stile) buona discreta scarsa legato buono discreto scarso intonazione precisa calante crescente variabile vibrato normale caprino tremulo ingolato ballante assente 97 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 97 16/09/14 17:44 A questo punto potrebbe essere utile per allievo e insegnante confrontarsi con queste tabelle con cadenza periodica, semestrale o annuale, a seconda dell’intensità e della costanza di studio, come pure potrebbe essere di aiuto al professionista che intenda mantenere alto il livello qualitativo della propria voce, non mancare di “esplorarla” sistematicamente. Breve eserciziario Innanzi tutto riscaldare la voce vuol dire ritrovare il proprio strumento. Non si tratta solo di un riscaldamento muscolare ma presuppone il desiderio di atteggiare il proprio corpo a strumento e di “modellarlo” come tale, con le sue parti vive, mobili e volubili. Il riscaldamento parte quindi da un atteggiamento del corpo, da uno schema corporeo vocale acquisito e riproposto ancora prima dell’emissione. Ogni cantante o insegnante di canto utilizza una sequenza di esercizi che ritiene efficaci ai fini del riscaldamento. Anche io indicherò di seguito il percorso di quello che considero il mio migliore riscaldamento, e da esso potrete trarre ciò che più è in sintonia con le vostre esigenze e sensibilità. La tabella cita vari esercizi, l’esecuzione di tutti può affaticare la voce, per un buon riscaldamento è necessario conoscere il proprio strumento e sottoporlo al giusto lavoro. Personalmente, prima di un concerto, trovo molto efficace riscaldare lo strumento con estrema calma, cominciando con ampio anticipo e concedendomi delle generose pause tra una fase e l’altra del riscaldamento stesso, bevendo acqua tra un esercizio e l’altro, ciò che mi permette, oltre che di idratarmi, di mantenere la laringe libera da stress costrittivi. La prima fase del riscaldamento è dedicata all’intero corpo, solo successivamente passo nello specifico del riscaldamento vocale. Riscaldamento del corpo riscaldamento di tutto il corpo stretching o yoga o simili, dolce, senza stancare il corpo qualche respiro espirazione: mi svuoto non solo dell’anidride carbonica, ma da ogni tensione negativa, vecchie emozioni o pensieri inspirazione: introduco ossigeno, energia ed esperienze nella pausa tra inspiro ed espiro familiarizzo con quello spazio fisico e temporale che dà accesso all’“interno” 98 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 98 16/09/14 17:44 RISCALDAMENTO DELLA VOCE (valutando la giusta tessitura per la propria voce senza stancare lo strumento) muto da N (risonanza percepita in testa) a M (risonanza percepita (su suono centrale nel petto), in continuum, cercando di percepire i diversi comodo) spazi di risonanza muto (attorno a una quinta) glissando lento con M armonici (su suono comodo centrale) tutta la sequenza per gradi congiunti (attorno a una quinta) con “M” con “R” con “M-I”, “M-O” con “R-I”, “R-O” per piccoli salti (triade perfetta) con “M” con “R” con “M-I”, “M-O” con “R-I”, “R-O” vocali I-E-A-O-U sullo stesso suono con messa di voce, ripetendolo l’esercizio su ogni grado dell’estensione agilità arpeggi legati e picchettati 1°-3°-5°-8° con “I” e “O” test di qualità suono minimo: emissione del suono più breve e piano possibile evocazioni libere improvvisazioni a seconda dello stato d’animo e del repertorio da affrontare glissando ellittico, da N (più acuta) a M (più grave), in continuum, cercando di percepire i diversi spazi di risonanza scale picchettate e veloci gorgheggi e solfeggi (Rossini) picchettato su tutta la tessitura Il mio riscaldamento si conclude con una lettura a mente di tutto ciò che dovrò eseguire durante il concerto, riservando una lettura in voce solo a pochi passaggi che richiedono particolare abilità. Tutta la fase di riscaldamento può durare anche due ore o più, ma di queste solo una parte è realmente cantata, infatti la prima regola è non stancare la voce. Dopo questo rito, nel tempo che mi rimane prima della performance, mi dedico serenamente ad altro, sapendo che, per il momento dell’esecuzione, il mio strumento, fatto di corpo, mente cognitiva e mente emotiva, sarà pronto. 99 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 99 16/09/14 17:44 Dopo il concerto si ha poi bisogno di ritornare al territorio del parlato, a uno stato vocale più calmo, e di ritrovare i giusti equilibri. Questo è possibile, come fanno anche gli atleti, accompagnando l’apparato muscolare verso uno stato di quiete, favorendo lo smaltimento dell’acido lattico prima che si depositi per evitare l’irrigidimento dei muscoli causato dall’attività muscolare. È molto importante eseguire un buon defaticamento soprattutto dopo attività vocali intense, con esercizi simili a quelli adottati per il riscaldamento, ma con minor intensità e forza, favorendo disegni discendenti e scemanti verso il parlato. DEFATICAMENTO deglutizione mezza voce discendente muto discendente glissato discendente Vocal tract: tratto vocale, chiamato anche tubo aggiunto; rappresenta l’insieme di cavità poste in serie e in parallelo, dal piano glottico alle fosse nasali e invase dall’aria messa in vibrazione. 2 Neuroni: cellule cerebrali che costituiscono il tessuto nervoso, e che concorrono alla formazione del sistema nervoso. 3 Vilayanur S. Ramachandran (1951) è un 1 neurologo indiano, sua è la frase: “I neuroni a specchio saranno per la psicologia quello che il dna è stato per la biologia”. 4 Sir Morell Mackenzie, da Hygiene of the vocal organs, London 1886. 5 F. Fussi, M. De Santis, Le Parole e il canto. Tecniche, problemi e rimedi nei professionisti della voce, Piccin – Nuova Libraria, Padova 1993, p. 77. 100 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 100 16/09/14 17:44 5. Dal lirico al pop Vi sono infinite affinità tra generi vocali diversi, partendo dal presupposto che all’origine c’è la stessa cosa, cioè la voce come proiezione della totalità dell’uomo. Sulla base di questo principio, desidero navigare, anche un po’ arbitrariamente, da un estremo all’altro degli stili vocali, per poter tracciare una mappa il meno riduttiva possibile dell’ologramma umano, esplorando il potenziale di ogni voce, declinato in modi sempre nuovi pur rimanendo sempre se stesso. Muovendomi tra differenti qualità vocali, esporrò brevemente ciò che il codice lirico e quello del pop condividono, passando attraverso l’esperienza del belting. lirico belting pop/rock Linguaggio lirico Come già accennato, esistono diversi “codici” performativi del sistema pneumofonico. Nascita, sviluppo e diffusione degli stessi sono in relazione a fattori ambientali, temporali, sociali, culturali, razziali e semantici. Nel canto lirico la vocalità viene definita “impostata”. Si tratta di un codice vocale proprio dell’opera europea, nato tra il XVII e il XVIII secolo e cresciuto fino a oggi, sviluppando la prassi esecutiva in relazione a cambiamenti del gusto musicale, della tecnica vocale, degli strumenti e dei teatri. Oggi, l’estetica del canto lirico necessita di una lunga fase di apprendimento, costante e di alto livello. Le caratteristiche fisiologiche di ogni voce e la personale sensibilità artistica indirizzano il cantante verso diverse specializzazioni (musica antica, opera, musica contemporanea…). La conoscenza della cultura della musica 101 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 101 16/09/14 17:44 scritta, della classe di appartenenza (soprano, mezzosoprano, contralto, baritono, basso) e dell’estensione (almeno due ottave) sono requisiti necessari a ogni voce lirica. Inoltre sono richieste precise qualità e caratteristiche: • omogeneità tra i registri vocali; • coesistenza di qualità timbriche di punta e di cavità (voce rotonda); • delta dinamico delle intensità ampio e controllabile; • portanza e penetranza; • appoggio e sostegno respiratorio potenziati e in equilibrio; • presenza quasi costante di un vibrato di qualità; • oltre a un implicito talento musicale. Solo così è possibile un’emissione eufonica con sforzo laringeo contenuto, massima udibilità e timbro omogeneo lungo tutta l’estensione. Queste qualità fanno sì che la voce venga definita coperta e non abbia bisogno di amplificazione. L’amplificazione naturale è il risultato della presenza della terza formante, o formante del cantante, posizionata a circa 3000 Hz dello spettro sonoro, qualità che permette alla voce di “passare” l’orchestra. Secondo Gisela Rohmert, esistono altre due formanti, evidenziate in voci cosiddette “funzionali”, cioè con caratteristiche di spiccata qualità, che si posizionerebbero rispettivamente a 5000 e 8000 Hz circa. Questi picchi di energia vengono riconosciuti acusticamente come qualità di brillantezza. Inoltre, nella voce lirica devono essere assenti rumore e diplofonie. Linguaggio belting L’atteggiamento vocale del musical, genere musicale fiorito in America (soprattutto attorno a Broadway) nei primi anni del Novecento, è il belting. Il musical è il risultato della fusione di forme teatrali europee con la sensibilità americana, e nasce per soddisfare l’esigenza di un teatro popolare meno dispendioso e privo di sistemi di amplificazione. Il termine belting deriva da “to belt out”, cioè cantare a squarciagola. Ethel Merman (1908-1984), con la sua emissione belting, è una delle prime grandi rappresentanti del musical americano; successivamente cito tra i tanti, Barbra Streisand (1942) e Liza Minelli (1946). Canto lirico e belting in realtà sono il prodotto di una stessa base tecnica che si realizza attraverso un’impostazione della respirazione, un corretto uso delle cavità di risonanza e delle meccaniche laringee. 102 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 102 16/09/14 17:44 La reale differenza sta nella scelta delle meccaniche laringee. Se il lirico predilige un registro M2 (falsetto) il belting si basa sull’M1 (pieno). C’è ovvero un lavoro laringeo differente: un uso dei cricotiroidei e cricoaritenoidei nel primo caso e del muscolo vocale nel secondo. Da ciò deriva la forte diversità timbrica tra i due generi (vedi capitolo 4). Vi sono però molte condivisioni e zone di contatto tra i due atteggiamenti, ad esempio in un certo registro mediamente acuto del tenore, il tipo di emissione è molto vicino al belting. Il suono è caratterizzato da timbro diritto e sferzante, dotato di squillo e di forza, aperto e con una certa pressione sottoglottica. Il prevalente registro pieno si avvale di consonanze di petto, con una laringe mediamente più alta rispetto al lirico. A volte può essere pressato o nasalizzato. Il belting può assumere caratteristiche diverse e richiedere differenti gradi di professionalità. Anche una mamma che chiama il figlio o l'urlo di venditori ambulanti hanno un’emissione di tipo belting. Dalla sua codificazione a oggi, lo si ritrova, con diversi gradi di contaminazione, un po’ ovunque. Dal vero e proprio belting di Gipsy (1959, Jule Styne) o Hello Dolly (1964, Jerry Herman), al pop-rock di Jesus Christ Superstar (1971, Andrew Lloyd Webber). Nel 1984 Leonard Bernstein diresse e incise una versione lirica del suo West Side Story, che aveva debuttato a Broadway nel 1957. Il belting si ritrova anche in diversi generi musicali come gospel, folklorico ed etnico (Mahalia Jackson, Amalia Rodrigues, Iva Bittová, Yma Sumac, Oumu Sangaré Voci Bulgare). Il belting è un atteggiamento vocale molto efficace anche nel vasto repertorio della musica leggera. È l’eziologia di una vocalità spiegata sempre efficace. Spesso il comportamento vocale del pop, altro non è che un uso personalizzato del belting. Questo tipo di consapevolezza, richiede cantanti pop con atteggiamento atletico, desiderosi di far crescere il proprio talento tecnico e musicale, capaci di disciplina e dediti allo studio. Linguaggio pop Bisogna però precisare che il termine “pop” è quanto di più generico per cercare di identificare un genere. Con il termine pop voglio riferirmi a un ambito musicale che non esclude a priori il rock o altri generi limitrofi. In particolare il pop italiano è un genere musicale contemporaneo, popolare, poco elaborato e di facile ascolto. Caratterizzato da spiccata melodia, struttura semplice con alternanza di strofa e ritornel103 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 103 16/09/14 17:44 lo, disimpegno tematico, breve durata, che non richiede grande attenzione nell’ascoltatore e destinato al vasto pubblico. È soggetto a regole commerciali internazionali. È di fatto un prodotto industriale, la cui distribuzione si avvale di canali informatici, discografici, televisivi, radiofonici, oltre che di eventi dal vivo. Generalmente eufonico, ma con componenti di gestione ipercinetica, fuga d’aria, uso di falsetti, attacchi sporchi. Richiede voci dal timbro particolare, con carattere deciso e spesso aggressivo. Nel mondo pop c’è spazio per molti, e non di rado voci sporche, rotte, con difetti di pronuncia, nasalizzate e altro ancora trovano grande riscontro tra gli ascoltatori. È determinante l’aspetto interpretativo, che lascia in secondo piano quello puramente tecnico. Viene data molta più importanza alla ricerca espressiva, a discapito del virtuosismo. Rispetto al lirico, la respirazione è meno ampia e profonda, essendo le frasi musicali brevi e frammentate e l’estensione contenuta. La strofa ha una tessitura più grave rispetto al ritornello e di conseguenza viene eseguita con atteggiamento vocale meno incisivo, mentre all’interno del ritornello si colloca il climax del brano. La laringe non è troppo abbassata, onde evitare di scurire il suono. La pronuncia è chiara per poter dare la giusta importanza al testo, grande vettore di emozione. La musica pop è sempre amplificata. Nel canto moderno c’è un rapporto strettissimo con le tecnologie di amplificazione, che diventano un’estensione del proprio strumento, portando vantaggi ma anche limiti. Il volume è amplificato ma nello stesso tempo si crea un disturbo all’ascolto della propria voce, oltre a uno “snaturamento” della stessa. Da qui, l’uso di monitor e auricolari (ear monitor). L’amplificazione esterna, per la sua potenza e invasività, fagocita l’ascolto interno. Quando la tecnologia non riesce a restituire un buon ascolto, il cantante al- ack inp db fee ut mo to rio pianificazione del suono attivazione orecchio fig. 5.1 emissione percezione uditiva 104 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 104 16/09/14 17:44 tera la propria risposta vocale: la voce ha perso il contatto interno con il proprio orecchio. Il triangolo formato da pianificazione del suono, emissione e percezione uditiva si interrompe (fig. 5.1). Si potrebbe pensare che sia la vocalità del lirico a non essere naturale, perché costruita attraverso lo studio e la tecnica, ma in realtà tutto ciò che fa il lirico è esattamente naturale, cioè sta nelle sue proprie ed esclusive capacità e risorse. Altra cosa è una voce pop amplificata da un microfono, scelto per enfatizzare il meglio e correggere i limiti. Per quanto riguarda il risultato sull’ascoltatore, è sicuramente il pop che snatura le caratteristiche della voce e non certo il lirico. Da un punto di vista emozionale, il potere di pervasione e penetrazione del pop è così importante quanto difficile da definire. Il “segno” che può lasciare il pop è difficilmente giustificabile in termini razionali, esso sfugge a un’analisi critica. Sicuramente si sovrappongono coincidenze sociali, momenti storici, bisogni specifici, gusto delle masse, fluttuazioni della moda e chissà cos’altro. Ognuno, nel corso della propria vita, ha probabilmente associato al tema di una canzone un ricordo importante o una sensazione o un’emozione particolare. Il pop ha la capacità di “marcare” la nostra vita, come un repère che si vada ad ancorare là dove c’è una sensibilità. Il pop si orienta chiaramente nella dimensione quotidiana, andando a fissarsi, come in una reazione chimica, a specifici momenti della nostra vita. Se per apprezzare il canto lirico è solitamente necessaria una certa cultura, il pop può raggiungere e conquistare tutti, intellettuali e no. Il pop va preso per quello che è, qualcosa di leggero e facile, di volubile e capriccioso, ma che, quando veramente riuscito, va a penetrare zone profonde dell’inconscio, appagando nello stesso tempo anche la parte più superficiale della nostra personalità. Con il pop non c’è bisogno di intellettualizzare. I temi che tocca sono in grado di sensibilizzare quasi chiunque. Il pop, a differenza del folk, non è legato a momenti particolari dell’anno, a feste, ai cicli delle stagioni né a una fede, non ha carattere evocativo regionale e culturale, non descrive una terra lontana o una cultura perduta, ma un’intera moderna nazione. Nonostante proprio l’Italia sia un territorio disomogeneo per sensibilità e cultura, il pop italiano unisce tutta la penisola, con punte di eccellenza in Emilia e in Puglia, regioni particolarmente ricche di talenti pop. Ha una sua capacità di creare un territorio condivisibile dalla maggioranza, quasi un movimento democratico, un alimento come il latte: ci saranno sempre degli 105 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 105 16/09/14 17:44 intolleranti, ma la maggior parte ne fa uso. È come la moda ma con il valore aggiunto di saper emozionare. Questo per me è sufficiente per pensare al pop come a un genere necessario oltre che piacevole. Spesso mi rammarico di sentire critiche sul più importante evento pop italiano, il Festival della Canzone Italiana di Sanremo, che, dalla prima edizione nel 1951, ha seguito il trasformarsi del gusto, della tecnica e dello stile strumentale, accordandosi con le mode e il costume italiani. I musicisti colti tendono a disdegnarlo se non a detestarlo, gli interpreti e cantautori leggeri lo criticano pensando di essere meglio di quanto proposto da quel palcoscenico. In realtà il Festival è un grande fenomeno socioculturale, che ha sempre qualcosa da insegnare, che, volente o nolente è una fotografia dei tempi, e all’interno del quale c’è sempre qualcosa che ci può far riflettere e che valga la pena di ascoltare veramente. 106 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 106 16/09/14 17:44 6. Come nasce un cantante In questo breve capitolo parlerò dell’eziologia della voce cantata, degli elementi che danno origine a un artista della voce, fornendo qualche spunto e suggerendo qualche percorso. Dalla ninnananna al rock La ninnananna può essere considerata il genere musicale madre dal quale può nascere ogni altra musica. La ninnananna come potenziale: come origine di un percorso che conduce ad altri generi musicali; come presupposto e vissuto per chi poi si avvicinerà al mondo della musica; come punto di partenza della vita musicale di ognuno; come valore aggiunto al talento preesistente; come espressione della parte più remota della memoria musicale, che sa e può rendere più fertile e ricca l’esperienza di una vita artistica. Donne di ogni età, nazione e secolo hanno cantato ninnenanne, come normale reazione ai bisogni del neonato. La voce è un fenomeno naturale bioacustico che coinvolge l’intero sistema, fatto di corpo, di mente e di emozioni. Proprio la ninnananna è la forma musicale cantata che per eccellenza è espressione naturale e totalizzante. Si tratta di un genere musicale antichissimo, appartenente al canto popolare e per lo più tramandato per tradizione orale. Caratteristiche comuni a ogni ninnananna sono: l’uso di melodie semplici, un carattere ritmico uniforme, un andamento cullante, oltre alla presenza di assonanze, rime e ripetizioni linguistiche. A tutto ciò va aggiunto un valore rituale e un effetto ipnotico. Il testo è sovente impostato come un dialogo tra madre e figlio. Il contenuto poetico attinge dalla mitologia, dalla storia, dall’organizzazione sociale, ma anche e soprattutto dagli affetti, dalle fatiche del vivere quotidiano e dall’ambiente circostante. La ninnananna è una delle prime forme musicali con cui l’essere uma107 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 107 16/09/14 17:44 no di ogni tempo viene in contatto, rappresentando quasi un’esperienza “obbligatoria” per ogni nato. Fin dagli albori dell’umanità, la madre si è presa cura del piccolo con gesti protettivi mediati dall’uso della voce. Il carattere popolare delle ninnenanne e la loro diffusione in ogni civiltà ed epoca rendono il genere particolarmente interessante per studi circa le abitudini culturali. Con le ninnenanne si può fare il giro del mondo e percorrere l’asse del tempo. Già dalla 24° settimana di gestazione, l’orecchio è formato, il feto è in ascolto e nell’encefalo si registrano le prime attività cerebrali uditive. L’intelligenza musicale è la più precoce forma d’intelligenza a svilupparsi. Presto il feto compie un’esperienza sensoriale attraverso l’orecchio. I primi suoni vengono ascoltati, filtrati e attutiti dal corpo della madre e dal liquido amniotico. Il feto percepisce tutti i rumori vitali del corpo materno, come il battito del cuore e i rumori digestivi. A essi si aggiungono tutti i suoni provenienti dall’esterno: voci, rumori, musica. In particolare la voce della madre gli arriva sia dall’esterno sia dall’interno, attraverso i tessuti, fino all’utero. Il piccolo ancora non comprende il senso delle parole, ma è in grado di raccoglierne la carica affettiva e di familiarizzare con una prosodia che dopo la nascita sarà ancora una volta punto di riferimento per riconoscere la mamma: tra i due si è già instaurato un legame. In un’ambientazione utopica, serena e protetta, la mamma è sola col bambino, gli porge il seno e intona una ninnananna. Nella ninnananna il bambino ritrova sensazioni che ricordano il periodo intrauterino e il benessere a esso legato. Nel condividere questo momento intimo, i due rievocheranno istintivamente quell’equilibrio perfetto, quella simbiosi che è stata la gravidanza. Il rapporto mamma-neonato è un rapporto esclusivo, nel quale si realizza la soddisfazione dei bisogni primari del piccolo. C’è totalità e appartenenza reciproca. Tutta la “verità” della madre, espressa attraverso il corpo e la voce, arriva al piccolo, come atto incondizionato d’amore. Il piccolo è l’ascoltatore perfetto, è colui che si lascia incantare. Si genera in tal modo uno spazio protetto dove sciogliere i sentimenti, e anche se il bambino non comprende ancora il senso pieno delle parole, nella diade c’è una profonda comunicazione. Madre e figlio sono immersi in un ambiente entro il quale le tensioni si sciolgono. L’autocensura del linguaggio è allentata e la narrazione cantata può 108 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 108 16/09/14 17:44 lasciare emergere le fatiche, sia fisiche sia psicologiche, del quotidiano. La ninnananna è rivolta al piccolo, ma sostiene anche l’adulto che sta cantando, inducendo anche in esso uno stato di quiete e di benessere. L’adulto e il bambino sono raccolti all’interno di una stessa struttura ritmico-sonora-affettiva ed entrambi ne godono. La comunicazione diviene circolare: se inizialmente è la mamma che guida il piccolo verso uno stato di quiete, gradualmente e successivamente i ruoli si trasformano e il piccolo, abbandonando il corpo al sonno, induce nella madre un nuovo atteggiamento vocale. Il piccolo diviene una proiezione dell’orecchio della madre: esso raccoglie il suono e restituisce un feed-back. Cantando una ninnananna, i “segnali” inviati dalla figura materna sono la voce e il linguaggio non verbale di tutto il corpo, filtrati da mediatori quali l’ambiente affettivo, sociale e culturale. Il piccolo che è tra le braccia della madre, ascolta la sua voce sia attraverso l’orecchio sia come vibrazione trasmessa dal contatto fisico diretto: riceve il calore del corpo materno, percepisce il movimento istintivamente ondulatorio (cullante) della madre, vive il senso di contenimento dell’abbraccio e mentre le braccia materne sorreggono il corpo del bambino, la voce sostiene le emozioni. La ninnananna in questo modo diventa un’azione musicale perfetta perché coinvolge tutti i livelli psicofisici. È infatti in grado di modificare lo stato psicofisico di entrambe le parti, è rituale, è esclusiva, è circolare, è un atto d’amore. L’imprinting della ninnananna Il rapporto diadico tra pubblico e artista pesca dall’esperienza infantile del rapporto col genitore, realizzatosi attraverso i momenti dedicati alle ninnenanne. Quando pubblico e artista s’incontrano si rispecchiano nei ruoli genitore-figlio. Come in una sorta “d’innamoramento”, una parte tende a soddisfare il bisogno di totalità dell’altra. L’artista si rivolge al pubblico come alla parte fragile, alla quale dedicare tutte le proprie attenzioni. Viceversa il pubblico si alimenta ascoltando l’artista e si lascia abbracciare e sostenere dalla sua arte. La capacità creativa e la sensibilità musicale di ogni essere umano, hanno radici nelle precoci esperienze con la musica. Queste radici rappresentano un patrimonio importantissimo per poter attingere alla capacità artistica musicale. 109 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 109 16/09/14 17:44 Nei diversi generi musicali derivati dalla tradizione popolare, si sviluppa un meccanismo simile a quello attuato nella ninnananna: • c’è spazio per i sentimenti; • si utilizza un linguaggio libero ed emotivo; • si crea un rapporto privilegiato con l’ascoltatore; • c’è uno scambio circolare tra fonte e uditore; • c’è grande coinvolgimento del corpo; • c’è immedesimazione e catarsi. Ciò fa pensare che la ninnananna di una volta possiede delle similitudini con il “rock” di oggi. Entrambi condividono caratteristiche e funzioni, anche se realizzate con tecniche diverse. Lo spazio che separa la ninnananna dal rock non è poi così vasto se si considera che entrambi vogliono e sono capaci di indurre catarsi. Sono in grado di trasformare lo stato emotivo dell’uditore (il bambino si addormenta, l’ascoltatore viene appagato), hanno facoltà di raggiungere la parte inconscia (memoria musicale implicita), sono efficaci a ogni età e raggiungono ogni stato socioculturale. Con ciò voglio dire che l’esperienza della ninnananna aiuta a sviluppare specifiche zone di sensibilità musicale, “fissandole” precocemente, quando i centri cerebrali deputati alla memoria non sono ancora completamente formati, dando origine a una memoria implicita, non verbalizzabile, ma che rimarrà presente per tutta la vita. La ninnananna perciò rappresenta un forte imprinting musicale, una cultura musicale implicita e imprescindibile. Tale memoria, insieme al talento musicale, al carisma artistico, all’esperienza musicale di tutta la vita vissuta, costituisce il presupposto all’atto creativo/artistico. Se oggi cantiamo ai più piccoli, stiamo già preparando gli artisti di domani. La mia storia La mia storia, come tante altre, non ha nulla di particolarmente interessante, se non essere un momento di riflessione per chiunque possieda una voce, uno spunto che induca il lettore a ritrovare e ascoltare la storia della propria voce. Ero una bambina introversa, seconda di quattro sorelle. I miei genitori erano insegnanti. Io e le mie sorelle siamo cresciute in un paese della bergamasca, in una casetta con un piccolo giardino, un orto e 110 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 110 16/09/14 17:44 nessun animale da cortile. Le regole di vita erano molto semplici, chiare e severe: ubbidienza ai genitori, rispetto delle sorelle e la domenica tutti a messa. Non facevamo molta vita sociale, eravamo un piccolo nucleo scarsamente connesso al mondo. Nessuno nella mia famiglia aveva cultura musicale. Dell’infanzia una cosa ricordo molto bene: il silenzio. Si trattava di un silenzio che mi turbava, dal quale emergevano solo pochi rumori come il ronzio del frigorifero e il ticchettio dell’orologio. Li trovavo disarmonici e invasivi, ottusi e privi di flusso. Stendevano un grigio uniforme su quella quotidianità lenta. Percepivo il peso del silenzio, appesantito ancor più da quel pervasivo rumore. Ero triste. Poi un giorno mi ritrovai seduta in un banco della piccola chiesetta vicino a casa, ma non per seguire la messa. Non ricordo più come fossi capitata lì, ricordo solo che c’era un concerto classico, un trio pianoforte, violino e violoncello, tenuto dagli allievi del Conservatorio. Rimasi paralizzata nel banco, completamente disarmata da quella musica. Guardavo i tre ragazzi, per me erano degli dei! In quel momento, ascoltandoli suonare, mi sentii l’essere umano più piccolo del mondo e pensai che mai nella mia vita avrei potuto elevarmi al loro livello… Invece oggi sono anch’io una musicista e se lo sono è proprio perché quei tre ragazzi li ho idealizzati e sono diventati i miei ispiratori. Quell’esperienza è stata per me l’accendersi di un faro che mi avrebbe condizionata per tutta la vita. Così ho scoperto come difendermi dal “silenzio” e con la musica ho trovato tutti i colori che desideravo. Quel faro mi ha fatto proseguire sempre, anche nei momenti più difficili e umili, per poi arrivare a essere la musicista di oggi. Quel faro è ancora acceso e vivido, e io so che mi precederà sempre, affinché io possa seguirlo ancora, utopicamente, per sempre. E se ho raccontato questa mia esperienza, è perché ingenuamente vorrei tentare di accendere tante piccole luci, una per ogni lettore. Quando una canzone diventa un successo Cosa desidera il pubblico dall’artista? Sarebbe molto interessante sapere quali sono le caratteristiche che rendono efficace e di successo una canzone. Ma nella realtà non ci sono regole fisse né formule magiche. 111 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 111 16/09/14 17:44 Dalla parte del compositore Sicuramente è necessario avere qualcosa di ben chiaro da comunicare, ci vuole la classica “ispirazione”, poi occorre essere in grado di sublimarla in un prodotto artistico. Inoltre, perché abbia successo, deve rispondere al bisogno del pubblico, che vuole immedesimazione, emozione e catarsi. La canzone deve arrivare come qualcosa di scritto “per me”, lasciando la sensazione che l’autore conosca l’animo dell’ascoltatore, quasi avessero condiviso le stesse emozioni. In ogni essere umano c’è una parte che parla e una che ascolta. Una parte dell’ascoltatore è sempre dentro il compositore che sa comunicare perché prima di tutto ha ascoltato se stesso, ha accolto le proprie emozioni e le ha riconosciute. Il suo dialogo interiore è tradotto in una canzone attraverso un testo, con i suoi significati simbolici, e una musica, cioè quella parte che esprime tutto il non verbale delle emozioni, l’indicibile, tutto quello che ambienta e mette in risonanza la parola. Così, attraverso lo spostamento di un vissuto, da dentro a fuori di sé, cioè rendendolo condivisibile attraverso la realizzazione di una canzone, autore e pubblico sperimentano, ognuno per sé, la catarsi: l’emozione è purificata attraverso la sua rievocazione, il vissuto delle proprie passioni ritrova uno stato di riposo. È l’autenticità il primo valore che il compositore deve valorizzare nel suo prodotto artistico, quell’ingrediente che non sbaglia mai, che sa convincere e catturare l’attenzione del pubblico, quel “non so che”, quell’assonanza tra vissuto e opera d’arte. Dalla parte dell’ascoltatore Ci sono sicuramente generi musicali privi di emozione, che hanno come obiettivo proprio quello di indurre quiete e riposo, che riempiono uno spazio vuoto senza aggiungere altro valore (come la musica ambient, lounge, new age ecc.). Ma da una canzone ci si aspetta qualcosa di più. Riflettendo sulle emozioni primarie, organizzate in quattro coppie dallo studioso e psicologo statunitense Robert Plutchik (1929-2006), si può constatare che non tutte possono essere evocate da una canzone: gioia tristezza fiducia disgusto rabbia paura sorpresa aspettativa 112 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 112 16/09/14 17:44 Ognuna di queste emozioni può variare d’intensità, originando qualità e gradazioni diverse di emozioni. Più le emozioni decrescono in intensità, più possono mescolarsi tra di loro. La sovrapposizione di gioia e fiducia genera l’amore; fiducia e paura si fondono nella sottomissione; se alla paura si accosta la sorpresa si ha la soggezione, e così via. Queste ultime, nate dalla fusione di due emozioni primarie, sono dette emozioni secondarie. Osservando il “fiore di Plutchik” (fig. 6.1) si notano tre livelli concentrici. Le emozioni riportate nel secondo cerchio sono le primarie, nel centro ci sono quelle di maggior intensità e nel cerchio più esterno ci sono le emozioni di minor intensità; i petali bianchi rappresentano le emozioni secondarie. Ritornando all’argomento principale, è la prima coppia di emozioni a essere prevalentemente evocata nella canzone (con qualche eccezione, ad esempio la rabbia in generi estremi e di protesta). serenità ottimismo amore accettazione interesse gioia fiducia aspettativa aggressività ammirazione vigilanza irritazione sottomissione estasi rabbia collera terrore odio disprezzo paura apprensione stupore angoscia soggezzione sorpresa disgusto tristezza noia distrazione rimorso pensieroso disapprovazione fig. 6.1 113 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 113 16/09/14 17:44 Lungo l’asse, gioia-tristezza, trova espressione la canzone, attraverso una scrittura ora evocativa ora narrativa, descrivendo ora l’estasi ora l’angoscia, ora la nostalgia ora l’appagamento, divagando sempre sul grande tema dell’amore. La gioia è uno stato emotivo dinamico, dal gesto centrifugo, che carica di energia psichica; mentre la tristezza tende a essere statica, con gesto centripeto, riflessivo, che erode l’energia psichica. Se la gioia si esprime attraverso il movimento di corpo ed energie, la tristezza lo fa attraverso il ripiegamento su se stessi. Se la prima fa venir voglia di correre e ballare, la seconda di fermarsi a piangere. Ecco perché, semplificando un po’, un brano sa raggiungere il pubblico in due casi: se fa correre o se fa piangere. Quando il brano non si colloca bene tra queste due emozioni primarie, rischia di non toccare i punti di sensibilità dell’ascoltatore. Quando la musica “fa correre”, si crea un vortice che solleva artista e ascoltatore in una dimensione ideale, dinamica e flessibile, altamente gratificante. La corsa è una disciplina che mi sento di consigliare in ogni caso, ma aggiungo che oltre ai benefici fisici, essa fornisce una metafora potentissima della vita del musicista. Anche il musicista, come l’atleta, deve “allenarsi” con costanza, tendere sempre a un miglioramento, accettare la fatica, sopportare la frustrazione, mirare sempre a un nuovo traguardo. La corsa allena anche la forza di volontà e non solo muscoli e fiato. Ma ancora più importante è il valore aggiunto dato proprio da ciò che differenzia la corsa dalla marcia o dal camminare, cioè il balzo. Il balzo è quel breve momento durante il quale nessuno dei due piedi tocca terra. In quello spazio sospeso tra una spinta e la successiva c’è la capacità di tenersi sollevati da terra. Ecco, proprio quell’istante, in cui il corpo “vola”, si è proiettati in una dimensione eroica, una dimensione d’artista. E quando la musica fa piangere? Chiunque ha un dolore, un rimpianto, una nostalgia. Queste emozioni si ritrovano nelle canzoni, inducendo un sentimento mesto, un movimento interno e profondo, un rimescolare di vissuti emotivi. Come già accennato, proprio vivendo questo stato, l’ascoltatore ha la possibilità di esperire la catarsi, cioè di immedesimarsi, soffrire e poi liberarsi. Commuoversi per una canzone è cosa bella e buona, lecita e auspicabile. Lo può fare chiunque, di qualsiasi età o stato sociale, perché fa parte di un comportamento socialmente accettato, perché è sintomo di sensibilità. Il pubblico, come il compositore, ha bisogno di queste lacrime. È dai sottili movimenti emotivi dell’anima che nasce l’opera d’arte che può soggiogare il pubblico. 114 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 114 16/09/14 17:44 La coppia cantante-pubblico Immaginiamo pubblico e artista come una diade, come una coppia. Questa coppia è formata da una persona che fa la musica e da un collettivo che la ascolta. Considerando il pubblico un’entità pensante, capace di sentimenti ed emozioni, diventa necessario fare qualche ragionamento su come gestire il rapporto tra le due parti. Interesse dell’artista è non perdere il contatto con il proprio pubblico, è riuscire a crescere, maturare e anche invecchiare senza perdersi. Vi sono cantanti amati da sempre, che nonostante il passare del tempo rimangono intramontabili, mentre altri non durano che una stagione. Questo rapido scemare del successo di un cantante non è solo la conseguenza della velocità dei tempi moderni o dei meccanismi usa e getta della musica contemporanea, ma è anche e soprattutto l’incapacità di costruire un vero rapporto con il pubblico, autentico e longevo. Nella relazione con il pubblico è necessario costruire delle collusioni sane: guadagnare fiducia e fedeltà, predisporre un efficace canale di comunicazione, rendere il rapporto gratificante e prolifico. Da osservazioni etologiche sulle specie animali monogame, si è notato che la lunga unione del maschio e della femmina è dovuta a diversi fattori. Il 90% delle specie degli uccelli sono monogame, ma solo relativamente alla stagione. Tra di essi, fino a che nidificano nello stesso posto, ci sono alcuni corvidi, rondini e cicogne. Tra i mammiferi ci sono pinguino, lupo, orso, panda, tasso ecc. Sono monogami soprattutto animali la cui prole necessita di entrambi i genitori per sopravvivere. Non a caso, anche per la canzone il successo è la conseguenza della presenza di entrambe le parti: artista e pubblico. Una bellissima canzone che non venga regalata al pubblico è sicuramente morta. Sempre gli animali monogami, durante tutta la vita, esercitano il rito del corteggiamento. Secondo lo psicologo Giorgio Nardone, questo meccanismo, è valido anche per gli esseri umani. Dove per corteggiamento s’intende non soltanto la sfera erotica, ma soprattutto tutte le dinamiche di seduzione. Il corteggiamento è un ingrediente collante all’interno della coppia. Là dove il corteggiamento non manca, nella coppia la relazione viene costantemente consolidata. Il cantante deve anch’esso corteggiare il proprio pubblico, e tornare a sedurlo giorno dopo giorno. Altre caratteristiche che si ritrovano nelle coppie longeve sono la complicità e l’esclusività. Cioè quella condivisione che si autoalimenta, quel 115 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 115 16/09/14 17:44 costante aiuto diretto e indiretto che si realizza anche nell’ironia, quell’alleanza compartecipe che lega la coppia. È la capacità di intuirsi a vicenda e di intendersi immediatamente. È tutto ciò che dimostra che lo scambio tra due parti è unico e irripetibile. Complice col suo pubblico è quel cantante che lo eleva al suo stesso rango, che lo mette al suo stesso livello, che ne ascolta la risposta, col quale cerca sempre un equilibrio, che provoca con ironia e poi torna ad accarezzare, col quale condivide tutto se stesso. Concludendo, fra cantante e pubblico, data per certa la capacità di comunicare del cantante e la disponibilità di ascoltare del pubblico, la coppia funziona quando coesistono corteggiamento, complicità ed esclusività. Il pubblico va sempre coinvolto, va lusingato, va amato, va fatto sentire speciale. Questo è quello che riescono a fare i grandi artisti, che non dimenticano mai di essere dei grandi comunicatori di emozioni. 116 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 116 16/09/14 17:44 7. I talent show Argomento che non può mancare quando si parla di voce è quello dei talent show a essa dedicati. Si tratta di show televisivi che hanno come intento la scoperta di nuovi talenti, selezionati con audizioni e poi inseriti in una competizione. Esaminatori e insegnanti appartengono al mondo dello spettacolo e il loro scopo non è solo valutare e addestrare ma soprattutto “fare spettacolo”. Nel frattempo il mondo della discografia è cambiato. Mentre i talent crescono di risonanza (e ascolti), si vendono sempre meno dischi. Le case discografiche che in passato hanno investito nella ricerca di nuovi artisti emergenti, oggi hanno delegato questo incarico proprio ai talent. Ai vincitori viene assicurato un contratto con la Sony Music (X Factor) o con Mediaset (Amici di Maria De Filippi) oltre a borse di studio. I giovani cantanti che vengono premiati da un talent hanno il privilegio di avere un pubblico che li conosce e li segue. Un collettivo che ha già condiviso molto con loro, che li ha accompagnati per mesi, osservandoli tranquillamente dalla propria casa, che ha espresso il proprio parere attraverso il televoto, che conosce (o crede di conoscere) il carattere dell’artista, le sue abitudini, i suoi gusti e il suo talento. Uno dei motivi per cui questi talent hanno così tanta presa è dovuto al fatto che al centro è messa la voce, cioè l’espressione dell’interezza umana. Non c’è confine tra il sé e lo strumento, tra l’anima e il corpo. Non c’è barriera tra il concorrente con le proprie ambizioni e lo spettatore oltre lo schermo. Il cantante non ha nessuna protezione se non il suo talento e le personali risorse emotive. Non ha “armatura” e gli ascolti crescono quanto più importanti sono i picchi e gli abissi emotivi condivisi con gli spettatori. Il concorrente viene sfidato “all’ultimo sangue” in una vera e propria arena. Viene giudicato non solo vocalmente ma 117 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 117 16/09/14 17:44 anche per le sue capacità di showman, per la sua eccentricità o simpatia, per la sua propensione a reagire alle difficoltà o a ritagliarsi un piccolo ruolo da vittima, per la sensibilità di saper piangere al momento giusto, quando il pubblico vuole vedere le lacrime, siano esse di gioia o di sconfitta, e non raramente di umiliazione. Lo spettacolo (il contenitore) è più importante del valore artistico proposto (il contenuto). Nonostante “l’aggressività” dei format, gli emergenti talenti pop italiani provengono proprio da queste esperienze: a fronte di un certo numero di perdenti e sconfitti, tra i vincitori ci sono esempi di cantanti che hanno cominciato una carriera professionale importante e c’è anche chi, pur con buone opportunità, non è sopravvissuto all’enorme concorrenza del mercato. Oggi quasi chiunque è in grado di autoprodursi (anche se raramente in modo efficace) e di proporsi al pubblico attraverso piattaforme quali social network, YouTube, iTunes ecc. Ma la formula per avere successo rimane (e rimarrà) sempre un mistero: un equilibrio conseguenza di molti ingredienti e ancora più variabili. Molto interessante è il parere di chi ha fatto esperienza diretta nel mondo dei talent o di quelle figure professionali che vi gravitano attorno. Ascoltando cantanti ma anche produttori e manager, è possibile capire meglio i meccanismi sottesi, le energie messe in gioco, le implicazioni morali e soprattutto condividere le esperienze emotive. Ecco alcune testimonianze. Umberto Labozzetta, esperto in strategie di comunicazione, promotore musicale, consulente editoriale, organizzatore di eventi e docente all’interno del master in Comunicazione musicale per la discografia e i media dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. “Negli ultimi anni, in Italia, si è sentito parlare molto di talent show, della loro forza mediatica e dell’impatto che hanno avuto e che continuano ad avere sui giovani artisti emergenti… Il Regno Unito è il Paese europeo più influente dal punto di vista dei talent show: molti di questi programmi sono nati in Gran Bretagna per poi diffondersi nel resto del mondo. In Italia, questo genere televisivo, si è diffuso soprattutto a partire dagli anni 2000. Tra i vari programmi: Popstars (2001-2003), Saranno famosi (2001), trasformato l’anno successivo in Amici di Maria de Filippi, Operazione Trionfo (2002), Music Farm (2004-2006), Ti lascio una canzone (2008), Io Canto (2010), X 118 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 118 16/09/14 17:44 Factor (2008), Mettiamoci all’opera (2009-2012), Star Academy (2011), The Voice of Italy (2013). Con il passare degli anni, il talent show ha portato dei cambiamenti all’interno delle case discografiche e all’esaurimento di alcune figure professionali, quali quella del talent scout. Tutto oggi è a portata di click: basta aprire una qualsiasi pagina web per incontrare delle ‘belle voci’, basta cliccare su uno dei tanti video musicali per valutare la presenza scenica… Molti cantanti italiani che fanno questo mestiere da tanti anni oggi sono critici riguardo il ruolo della televisione nel contesto musicale nazionale. Pensano che la TV non aiuti la musica, anche se ne produce tanta. I programmi dedicati alla musica permettono di identificare una persona con talento, ma alla fine creano omologazione nel canto. Penso, ciononostante, che non bisogna avere una visione completamente negativa riguardo questi contenitori televisivi. Ogni singolo artista che vi partecipa o che ambisce a farlo, dovrebbe vederli come una vetrina, come una possibilità per farsi conoscere e per far conoscere le proprie potenzialità vocali. Il vero lavoro, tuttavia, inizia dopo: compete a una seria agenzia di promozione e a un ottimo team di management saper sviluppare un lavoro discografico che duri nel tempo”. Tino Silvestri, attualmente manager e produttore esecutivo di Arisa, con un passato nell’industria discografica come general manager di Warner Music Italy e precedentemente come direttore artistico. Ha contribuito alla realizzazione di oltre 500 album italiani, collaborando con diversi importanti artisti. “Molti dei nuovi artisti che sono riusciti ad affermarsi negli ultimi dieci anni, sono usciti dai talent. Questo perché sono soprattutto i talent a dare spazio ai nuovi talenti. Nell’ambito della musica pop, tra i tanti elementi che determinano l’affermazione di un artista, tre sono essenziali: il carisma, il repertorio, la visibilità (a volte ne possono bastarne solo due…). I talent sono un’opportunità perché offrono la possibilità di mostrare il cantante come un artista nuovo. Altre occasioni per gli emergenti, come il Festival di Sanremo, dipendono sempre più da dati di audience (che tendono a penalizzare le novità). Queste realtà hanno progressivamente tolto spazio alle nuove proposte, considerandole responsabili del calo dell’audience e di conseguenza dell’interesse degli inserzionisti pubblicitari. 119 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 119 16/09/14 17:44 I talent show, a differenza di altri programmi, sono quindi riusciti a fare delle nuove proposte un elemento di interesse. Gli elementi su cui fanno leva sono: •la gara a eliminazione che, da sempre, funziona televisivamente; •la partecipazione interattiva del pubblico, grazie al televoto e alle possibilità offerte dai nuovi media e mezzi tecnologici; •le tifoserie che nascono e seguono i cantanti (come per gli atleti nello sport). In questo contesto va sottolineato come la musica e le doti artistiche dei concorrenti non siano sempre in primo piano e non siano elementi chiave per il successo del programma televisivo. Il programma spesso ottiene successo perché attrae l’attenzione del pubblico con altri meccanismi. Nel caso in cui le doti artistiche ci sono e il repertorio è forte, il successo viene amplificato e diventa duraturo, mentre se tali caratteristiche sono insufficienti, si configura verosimilmente il caso delle cosiddette ‘meteore’. Vincitori o finalisti possono avere successo momentaneo a prescindere dalle doti artistiche e dal repertorio proposto. In una realtà simile, la principale motivazione che spinge moltissimi ragazzi a partecipare a un talent sono non tanto le doti artistiche ma la vanità o la voglia di evasione e di cambiar vita. I talent show esistono da più di dieci anni, sono ormai una realtà affermata in tutto il mondo e vanno considerati come una opportunità aggiuntiva per farsi conoscere. In questo senso mi sento di dire che non tolgono nulla ai musicisti, semmai offrono delle opportunità di visibilità che prima non esistevano. Riguardo alla qualità della musica e alla preparazione dei concorrenti, non dipendono dai talent in modo determinante ma da chi vi partecipa. Inoltre, il pubblico di oggi sceglie sempre più senza accettare condizionamenti, pertanto se qualcuno si chiede perché ha vinto quel tale concorrente, la risposta più corretta è: perché lo ha scelto e votato il pubblico!”. Andrea Rodini, produttore di Renzo Rubio, parla dei talent show sulla base della sua esperienza diretta come vocal coach a X Factor (2008-2009). “X Factor è stato determinante nell’alzare il livello medio dei talent italiani, proponendo al pubblico una figura come quella di Morgan che 120 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 120 16/09/14 17:44 ha offerto una forte personalità televisiva sostenuta da preparazione culturale. Nonostante ciò, non mi sento di consigliare a un giovane di partecipare a un talent. La maggior parte di questi programmi si avvale di un repertorio pop internazionale che tende a omologare i cantanti. Se il giovane non ha una sua solidità artistica, rischia di imitare più che interpretare, senza riuscire a esprimere la propria essenza profonda. È una ‘vetrina di corde vocali’, cioè un ambiente nel quale il giovane tende a un virtuosismo vocale che in realtà non è espressione della propria reale personalità musicale. Così il cantante diventa un prodotto… e si finisce per fare un uso consumistico della voce. Un grosso limite consiste nell’eseguire esclusivamente cover, soprattutto straniere (i cantautori non hanno molto spazio). Da un punto di vista psicologico, per la società il cantante prima di accostarsi a questa esperienza è un semplice ‘vicino di casa’, dopo tale esperienza si è trasformato in un ‘personaggio pubblico’. Questa repentina trasformazione di ruolo può essere pericolosa. Raramente il successo perdura e in ogni caso la gestione del post talent è molto faticosa se non problematica. I famigliari stessi possono generare problemi con le proprie aspettative e pressioni (soprattutto nei programmi dedicati ai bambini). Non ricordo di aver mai sentito dire a un giovane cantante: ‘Sono arrivato…’. L’artista ha sempre bisogno di conferme, non considera che fermarsi non è un insuccesso. Essere selezionati è già un successo. La famiglia dovrebbe aiutare a dare il giusto nome alle cose. È come si osserva il percorso che fa la differenza… Le aspettative sono delle mine pronte a esplodere. Il mio consiglio è quello di guardare ai talent come un punto di arrivo, così vi possono esser più speranze di sopravvivenza artistica. Ricordo inoltre che le case discografiche di mestiere vendono CD e non musica, e che radio e televisioni vendono spazi pubblicitari… Se per primi i musicisti si adattano a questo pensiero riducendosi a un prodotto, come è possibile fare buona musica?”. Silvia Aprile studia canto e pianoforte sin da bambina. Ancora giovanissima debutta come jazzista. Nel 2008, all’età di ventuno anni, partecipa alla prima edizione di X Factor, arrivando in finale. Nel 2009 partecipa al Festival di Sanremo nella sezione proposte con Un desiderio arriverà, con Pino Daniele come “padrino”. 121 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 121 16/09/14 17:44 Le prime parole di Silvia Aprile interrogata sul tema della sua partecipazione a X Factor sono: “Non saprei come spiegarti…”. Questo esordio lascia intendere quanta fatica un giovane interprete debba affrontare quando si confronta con l’ambiente dei talent: “È un’esperienza molto complicata da gestire quando alla tua partecipazione non segue un enorme successo… Ero sufficientemente corazzata, altrimenti ne sarei uscita con le ossa rotte; di sicuro è stata un’esperienza emozionante e se tornassi in dietro, in ogni caso, la rifarei… Non mi sono trovata per caso ai provini, ma sono partita con la speranza di far sentire al grande pubblico ciò che avevo da dire. I talent oggi, purtroppo, rappresentano un percorso quasi obbligato per un giovane interprete che desideri farsi notare ed emergere. La vita del cantante è durissima, ci sono pochissime realtà musicali all’interno delle quali esprimersi, e ancora meno locali e addetti ai lavori pronti ad aprirsi a degli artisti del tutto sconosciuti. Personalmente sono approdata a X Factor con la speranza di dare una svolta netta al mio percorso discografico, ma presto mi sono resa conto dell’importanza delle dinamiche televisive all’interno del programma. Facevamo televisione e non discografia. Una prova molto difficile è stata il rapporto con i critici musicali. Per un giornalista è facile attaccare un giovane che ha partecipato a un talent, non si preoccupa minimamente di conoscere cosa facesse o fosse pochi minuti prima di presentarsi ai casting… Per la critica il concorrente è sempre nella posizione sbagliata, qualsiasi cosa faccia, di buono o di cattivo. Inoltre, bisogna lottare contro il tempo e le logiche di mercato. C’è un riciclo generazionale che dura meno di un anno; la mamma dei talent è sempre incinta, non c’è tempo per lavorare sull’artista. Nei pochi mesi di trasmissione, ho fatto in tempo solo a far intravedere la mia dimensione d’interprete… Il percorso è stato duro. Dopo X Factor ho partecipato al Festival di Sanremo, prodotta da Pino Daniele. A seguire un lungo periodo di silenzio. L’ambiente jazz, con il quale avevo collaborato in passato, non mi riconosceva più e, nel frattempo, si facevano avanti le nuove generazioni di cantanti pop promossi dai talent. Per due anni nella vita ho fatto tutt’altro, allontanandomi di netto dall’ambiente della musica, ma senza mai smettere di studiare. E così, quando il secondo treno è passato, e il secondo treno passa prima o poi, l'ho preso al volo. Ho incontrato nuovamente persone che mi hanno dato fiducia. Serve tempra, carat122 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 122 16/09/14 17:44 tere per questo mestiere emozionale, fatto di equilibri sottili… Quando il bisogno di cantare è davvero dentro di te, è anche più forte di te… Ognuno nella vita può avere più di una opportunità, ma il talento non basta, ci vuole testa, ci vuole carattere! C’è tanto talento in giro, bisogna avere la pazienza di aspettare… Il talent non regala niente e mette a dura prova. Va preso con cautela, perché i rischi sono tanti, ma offre comunque grandi opportunità a chi è in grado di sostenerle. Quanta gente che ha partecipato a un talent è diventata famosa? Pochissimi! L’unica cosa che porta un futuro duraturo nel tempo è la musica vera. E tra la semina e la raccolta c’è bisogno di tempo”. 123 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 123 16/09/14 17:44 8. Per un’eccellenza delle emozioni Il canto è linguaggio emozionale e metafora degli affetti del cuore. Ansia e paura La parte emotiva è un tutt’uno con la nostra persona, è inscindibile dalle altre componenti che ci determinano, inoltre essa è per sua natura fluttuante e instabile, come evidenzia il significato etimologico della parola emozione, cioè “muovere” (dal francese émotion, derivato di émouvoir, “mettere in movimento”). Siamo dotati di due “menti”, una che pensa e l’altra che sente, due forme di pensiero che tra di loro interagiscono dando luogo alla nostra vita mentale. L’equilibrio di queste due componenti è, nel percorso di una vita, in continuo movimento, allo scopo di mantenere e garantire un assetto mentale di armonioso equilibrio e quindi uno stato di benessere. Ma tale virtuoso equilibrio è facilmente alterabile, e tanto più “sentiamo” tanto meno attiva risulta la componente razionale. In particolare quando la parte emozionale sopraffà quella razionale, l’attività mentale ne soffre. Quando il cervello emozionale prende il sopravvento, vi è un devastante impatto sulla lucidità mentale, che può arrivare a “paralizzare” la capacità razionale. Forti emozioni sono come interferenze che rendendo disorganizzato il lavoro del pensiero, alterando e bloccando alcuni dei suoi processi. Il cantante, durante la propria prestazione, affronta stati emotivi complessi e non può permettersi di lasciarsi dominare dalla sola componente emotiva. Quanto più l’equilibrio psicofisico del cantante risulta inadeguato, tanto più fattori emozionali non costruttivi diventano predominanti, e come in un circolo vizioso, il canto perde progressivamente controllo. Quel che effettivamente si perde, è ciò che gli scienziati cognitivi chiamano “memoria di lavoro”, cioè la capacità di tenere a mente tutte le 124 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 124 16/09/14 17:44 informazioni necessarie per l’espletamento di un compito. Essa permette l’immagazzinamento temporaneo, la prima gestione e l’elaborazione dell’informazione, creando un ponte che mette in relazione la percezione sensoriale con l’azione conseguente. La memoria di lavoro è indispensabile per portare a termine tutti quegli aspetti cognitivi che insieme a quelli emozionali costituiscono l’atto performativo. Il cantante deve conoscere e saper gestire l’equilibrio tra ragione ed emozione, preservando la propria memoria di lavoro senza rinunciare per questo al sentire. Quando durante la performance accade che l’equilibrio emozione/ ragione sia sbilanciato, si instaura uno stato di sofferenza psicofisica, ad esempio il cantante può essere vittima di attacchi di “ansia” che a loro volta innescano “paura” con conseguente risultato paralizzante. La fissità prodotta da ansia e paura è in conflitto con la dimensione nella quale è immerso l’artista durante la performance. Il blocco crea disagi e interferenze che interrompono il naturale flusso di espressione artistica. Si tratta di un elemento inaccettabile se si pensa che il respiro è movimento fisico e le emozioni sono movimenti psichici: la dimensione viva e attiva della performance esclude automaticamente uno stato di fissità. L’ansia in sé è un processo utile e positivo, che ha scopo autoprotettivo, che aiuta a preservare l’incolumità impedendo di rischiare di fronte al pericolo. L’ansia nasce come forma di difesa di fronte a una minaccia fisica. Ma quando si sceglie la via della performance, non si è certo in pericolo di vita e l’ansia si interpone tra il performer e la performance come scoglio psicologico irrazionale, che invece di proteggere, ostacola e paralizza la volontà. L’ansia nasce quando non si percepiscono alternative e l’effetto immediato è il blocco della creatività. Senza l’opportunità di scegliere, il cantante perde il senso della bellezza in ciò che sta facendo, rendendo ancora più imperfette e scadenti le proprie azioni. Anche la paura, come risposta innata al pericolo, è un istinto che inibisce il movimento generando una violenta contrazione di tutti i muscoli motori, un arresto della respirazione e una serie di disturbi vasomotori (polso accelerato, sudorazione) come conseguenza di un aumento di adrenalina nel sangue. Nello specifico dello strumento voce, le tensioni muscolo-scheletriche parassite si manifestano, oltre che attraverso una generale rigidità muscolare e in atteggiamenti forzati, in 125 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 125 16/09/14 17:44 un eccesso e disequilibrio delle componenti di appoggio e sostegno respiratorio, associati a laringe alta e rigidità della base linguale: tutti sintomi che conducono a ipercinesia fonatoria e che incidono sul risultato vocale. Ansia e paura possono essere innescate prima della performance, gradualmente crescere d’intensità avvicinandosi al momento dell’esibizione e invadere letteralmente il territorio performativo. La loro manifestazione è sia cognitiva (che si esprime attraverso pensieri e immagini) sia somatica (che si esprime attraverso sintomi quali i già citati aumento della sudorazione, della frequenza cardiaca e delle tensioni muscolari). Le due modalità di espressione degli stati emozionali alterati sono tra di loro integrate e, se mal controllate, possono alimentarsi a vicenda sviluppando una preoccupante escalation. La fissità prodotta da ansia e paura, paralizza le intenzioni e toglie efficacia, ostacolando il cantante nel suo peculiare momento di espressione: logora e sgretola la capacità di controllo, sottrae il piacere del momento artistico. La gestione dei problemi bloccanti può anche necessitare di brevi periodi di terapie psichiche: il lavoro sulla voce è tanto più efficace quanto più inteso come strumento di sviluppo globale della persona. A questo punto mi sembra interessante riprendere il pensiero di Rohmert1 quando affronta il tema dei tre livelli funzionali dei sistemi organici. Riferendosi all’apparato fonatorio, esso ha come funzione primaria quella di protezione e regolazione, che si attuano attraverso la chiusura del sistema, ad esempio chiudendo la glottide per impedire la penetrazione di un corpo estraneo. Tale funzione è cioè un riflesso di fronte a un pericolo. Funzioni primarie sono lo starnuto, la tosse, ma anche lo sbadiglio. Va sottolineato che la chiusura non è solo fisica ma anche psichica. A fianco del blocco fisico c’è anche un atteggiamento di rifiuto delle relative emozioni. Funzione secondaria è la parola, cioè la capacità di coordinare più sistemi, al fine di produrre il linguaggio (alternando apertura e chiusura). Essa attenua i riflessi innescati della primaria, e le viene attribuito un più alto livello di coscienza. A questo punto, la funzione terziaria altro non è che un’ulteriore evoluzione verso l’apertura dei sistemi. Essa ha un funzionamento opposto alla primaria ed è il frutto di educazione e disciplina. La funzione terziaria è tanto più efficace e facile da attuare quanto più l’individuo accetta il “rischio”, cioè sceglie di aprire anche quando un istinto o un riflesso comanderebbero la chiusura. La funzione terziaria 126 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 126 16/09/14 17:44 supera anche la parola (già funzione secondaria), quando questa non è strettamente funzionale al canto. Ansia e paura innescano funzioni primarie, il canto necessita di funzioni terziarie. L’arte della voce è l’evoluzione alle funzioni terziarie. Preparazione mentale Importante è considerare che le emozioni sono il risultato di energia neurochimica. L’energia come tale non può essere distrutta ma solo trasformata: “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”2. Se si reprime un’emozione essa torna a manifestarsi, in modo distorto e inefficace nella postura e nei movimenti, o semplicemente come tensione sepolta. Le tensioni altro non sono se non lo scarto prodotto dal tentativo di soffocare le emozioni. Esse non possono essere eliminate, ma, attraverso una presa di consapevolezza, vanno trasformate in energia emotiva costruttiva. Ad esempio, quando un’inefficacia emotiva innesca uno stato di paralisi sensoriale, la scelta di tamponare questo disagio con un eccesso di stimolazioni, magari ricorrendo ad alcool, caffeina, fumo, cibo, droghe, non risolve il reale problema ma probabilmente lo aggrava, contribuendo a realizzare una stratificazione di stimoli sbagliati. Il risultato è un abbattimento della consapevolezza di sé e un incremento di energia inefficace. Questi principi sono molto chiari ad alcune figure professionali come l’atleta. La performance artistica è, per molti aspetti, simile a quella sportiva, infatti per entrambe sono necessarie: • doti naturali • preparazione tecnica • abilità interpretativa / performativa / strategica • preparazione mentale Artista e atleta vivono professioni incerte, che oltre a richiedere fatica e dedizione, devono esprimere e dimostrare capacità e talento in pochi salienti momenti performativi. I successi possono essere temporanei e transitori. Sono professioni sempre esposte al giudizio e soggette a discontinuità economica. Sport e arte del canto si fondano sulla performance e necessitano di grande studio e preparazione fisica, devono fruttare nell’esatto momento dell’esibizione. Inoltre l’arte del canto fonde agli atteggiamenti atletici, risultato dell’uso del corpo, quelli espressivi e artistici. 127 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 127 16/09/14 17:44 Tutto questo può aumentare il livello di ansia durante la performance. All’artista/atleta può accadere di scontrarsi con interrogativi quali: “Ne vale la pena? È davvero questa la mia strada? Come posso difendermi dalle paure e dalle incertezze legate alla professione?”. Una risposta univoca probabilmente non esiste, ma sussistono atteggiamenti vincenti, che si basano sulla valorizzazione della preparazione mentale. Si tratta di un fattore determinante, di una vera opportunità per gestire gli aspetti legati alla performance e sviluppare la resistenza psicologica necessaria a convivere più serenamente con le incertezze della professione. L’utilizzo delle potenzialità mentali può dare risultati sorprendenti. È necessario andare a esplorare i confini delle proprie risorse per scoprire quali possono essere i margini di miglioramento. La preparazione mentale apre a nuove opportunità, sia fisiche sia psichiche e spinge verso il superamento dei presunti limiti. Una buona preparazione a questo livello riduce lo scarto tra prestazione reale e prestazione potenziale. La voce è un sistema complesso e soggetto a molte variabili, per una sua ottimizzazione è necessario mettere in connessione le risorse biologiche con quelle psichiche. Questo equilibrio può innescare un funzionamento che rende disponibili tutte le risorse, tendendo nel contempo ad azzerare le inibizioni. Per un’ottima performance è necessario raggiungere quella concentrazione intrapsichica che permette l’accesso a tutte le potenzialità. Nel mondo sportivo, la preparazione mentale è considerata un moltiplicatore delle doti innate e della preparazione tecnica. Performance = (preparazione tecnica + doti naturali) x preparazione mentale La forza mentale può svilupparsi spontaneamente, ma può anche essere potenziata con l’allenamento di quegli aspetti personali legati alla consapevolezza, alla motivazione, alla capacità di concentrazione e alla gestione dei fattori emotivi. Si tratta di scegliere un percorso che vuole analizzare e comprendere le cause che scatenano l’ansia, oltre a individuare possibili modalità di contenimento e di risposta efficace alla situazione inibente, anche attraverso lo sfruttamento di risorse esterne quali l’assistenza di un vocal coach. 128 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 128 16/09/14 17:44 Consapevolezza emozionale Per comprendere gli stati d’ansia è necessario prima di tutto mettersi in ascolto, e chi è pieno del proprio canto non sempre è in ascolto. Bisogna impararne anche la “lingua” del corpo: ritmo cardiaco, respirazione, postura, stati contratti, fatica e tutto ciò che un corpo all’opera esprime. Il corpo non smette mai di comunicare, ma non sempre è correttamente attivo l’ascolto. Recita il motto greco che riassume il pensiero di Socrate: “Conosci te stesso”3. È uomo saggio e maturo colui che sa comprendere e controllare le proprie emozioni nel momento in cui esse si presentano. A partire da queste suggestioni, il cantante dovrebbe ricordare che ha sempre a sua disposizione la possibilità di controllare stati di disequilibrio emotivo, proprio partendo dalla capacità di “conoscersi” e di saper percepire e comprendere precocemente i propri stati emotivi. È l’“ignoranza” del sentire, la mancanza d’informazioni a generare ansia e paura, che a loro volta catalizzano l’attenzione generando un circolo vizioso che autoalimenta la condizione negativa limitando l’esperienza di se stessi. Atteggiamento premiante e costruttivo è porre attenzione, è cercare di essere consapevoli dell’ambiente emotivo nel quale si è immersi, è prendere coscienza delle preoccupazioni che si presentano. La preoccupazione in sé, cioè la parte cognitiva dell’emozione ansiosa, può rappresentare l’elemento che innesca una reazione positiva: la preoccupazione permette di identificare il pericolo e di conseguenza pone le condizioni per poter cercare una soluzione. L’ansia, se associata alla consapevolezza delle proprie emozioni, può quindi diventare elemento costruttivo. La consapevolezza favorisce anche il processo di traduzione della componente cognitiva che si esprime per immagini, in componente che si esprime in pensieri, trasformando le immagini in significati e riducendone così la potenza di disturbo (le immagini sono molto più penetranti e distruttive rispetto ai pensieri, che per loro natura sono invece più facilmente controllabili). Una consapevolezza e un conseguente controllo sull’aspetto cognitivo dell’ansia incidono sulle manifestazioni somatiche, smorzandone gli effetti. L’autoconsapevolezza come capacità di esplicito riconoscimento del proprio stato psicofisico, è una modalità di introspezione attiva, che aiuta a gestire e contenere stati emozionali alterati. L’autoconsapevolezza è perciò elemento fondamentale e a disposizione per il controllo 129 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 129 16/09/14 17:44 di ansia e paura. È necessario essere consapevoli degli stati emotivi alterati, addestrandosi a individuare precocemente i loro segnali e sintomi e a dirigerne costruttivamente il flusso, mettendo attivamente in discussione immagini e pensieri negativi. Secondo Charles Darwin4, la libera manifestazione di un’emozione utilizzando segnali esterni contribuisce a intensificare l’emozione stessa, cioè l’emozione è intensificata dall’azione che la esprime. Per William James5 le emozioni dipendono dalla percezione di una condizione fisica: modificare la percezione o la condizione significa agire sull’emozione. Studi sviluppati a partire dagli anni sessanta (PNL di Bandler e Grinder6) sostengono che essendo mente e corpo inscindibilmente connessi, a ogni stato mentale corrisponde una specifica condizione fisica e ad ogni condizione fisica corrisponde uno specifico stato mentale. Questi concetti non fanno altro che rimarcare la potente e continua comunicazione tra corpo e mente, tra azione ed emozione, ipotizzando la possibilità di incidere su una facendo leva sull’altra. Ogni volta che la mente si pone in una determinata condizione (concentrazione, rilassamento, agitazione, divertimento), il nostro corpo si adegua, assume specifiche posizioni e attiva determinati processi fisici. Il corpo reagisce in modo specifico e individuale agli stati mentali, come pure è vero il contrario, di conseguenza porre il corpo in determinati atteggiamenti aiuta l’accesso a correlati stati d’animo. Queste contaminazioni tra corpo e mente sono un’importante risorsa. Agendo cognitivamente su una si può ottenere un “riflesso” anche sull’altra. È possibile indurre nel sistema “corpo” un comportamento più efficace facendo leva sul sistema “mente”, e viceversa. Il cantante può sfruttare questa risorsa per aiutarsi nella gestione delle ansie da performance e dei sintomi a essa legati. Per una performance efficace è necessario innanzitutto individuare quali sono i segnali corporei che attivano uno stato di eccellenza, e di conseguenza implementare gli stessi, usando il corpo, per ricreare la situazione di eccellenza. Indurre nel corpo comportamenti che si sa essere comuni a stati di benessere, contribuisce a distogliere l’attenzione dallo stato d’ansia e a orientare anche la mente in senso più costruttivo. Durante lo studio in aula, ma anche durante una performance, è importante notare e avere consapevolezza di quali siano le sensazioni fisiche di benessere che generano il risultato vocale deside130 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 130 16/09/14 17:44 rato: orientamento spaziale (postura), percezione acustica, attività muscolari efficaci, sensazioni vibratorie, percezione di energia interna ecc. È così possibile indurre uno stato ottimale ricreandolo artificialmente, prima della performance, allenandosi anche lontano dal palco, imparando a ricostituire lo stato di eccellenza semplicemente rimodellando nel corpo gli specifici segnali fisici individuati. Automotivazione Studi condotti su personaggi di successo del mondo artistico e atletico, hanno evidenziato che una componente comune a tutti è la capacità di sopportare duri programmi di formazione oltre a una spiccata tendenza all’automotivazione. Si tratta di soggetti capaci di alimentare il proprio entusiasmo e di perseverare nonostante gli insuccessi. In altre parole, difficoltà, frustrazioni e ansie possono essere un potente stimolo per creatività e determinazione, trasformando il fattore emotivo in potente carburante per alimentare la crescita. Una spiccata forma d’intelligenza emotiva, intesa come capacità di controllo e gestione delle emozioni, è dunque un elemento importante non solo ai fini artistici e interpretativi ma anche come stimolo e supporto a un percorso di studio e di fatiche in costante sviluppo e realizzazione. L’intelligenza emotiva è in grado di influenzare le altre componenti d’intelligenza, favorendole o meno. Una buona strategia per il cantante potrebbe essere gestire l’ansia usandola come leva per favorire e stimolare la concentrazione, invece di permetterle di interferire. Per contro, gran parte degli insuccessi professionali sono conseguenza di false convinzioni autolimitanti, come: “Io sono fatto così… Io sono sensibile e mi emoziono facilmente”. Gli stessi insuccessi possono essere aggravati da abitudini inefficaci. Osservando artisti di successo, è probabile ritrovarvi delle abitudini particolarmente efficaci, come è verosimile che non facciano appello a scuse autocastranti. È necessario uscire dall’“area di comfort”, sia fisica sia mentale, in cui ci si sente a proprio agio, e costruire invece una routine positiva alimentata da regole efficaci anche se non propriamente confortevoli. Innanzi tutto è importante individuare la presenza di eventuali abitudini che potrebbero essere un ostacolo al raggiungimento dei risultati professionali desiderati. Va valutata la correttezza delle abitudini di preparazione tecnica e di studio messe in atto (modalità e tempistica del lavoro, routine di preparazione, gestione del tempo). 131 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 131 16/09/14 17:44 Vanno trovate e soverchiate le abitudini che rubano tempo, energia e denaro. Non ultimo, è il caso di domandarsi se esistono relazioni affettive/professionali che condizionano le nostre abitudini. A volte bisogna avere il coraggio di scoperchiare dinamiche emotive inefficaci, tendendo alla massima sincerità con se stessi e con il mondo professionale e affettivo che ci circonda. Se si desidera vivere con professionalità la dimensione artistica del canto, diventa necessario abbandonare ogni forma di autogiustificazione e d’indulgenza con se stessi. È necessario cercare un allineamento tra ciò che si pensa di sé, ciò che si desidera e ciò che si fa realmente. Rinvio delle gratificazioni Altro elemento importante è la capacità di rinviare le gratificazioni, di accettare le frustrazioni considerandole temporanee e transitorie, e ancorarsi a sentimenti costruttivi come la “speranza” e l’“ottimismo”. Di grande aiuto è fare propria la convinzione di avere a disposizione sia i mezzi sia l’energia necessari. L’artista dovrebbe intuire il proprio potenziale, senza fare appello a false illusioni. Dovrebbe lavorare e dedicarsi con costanza e determinazione, accettando anche momenti di prestazioni insufficienti, come tappe obbligatorie e necessarie (ma non castranti) all’interno di un articolato percorso. Gli ottimisti risultano meglio performanti dei pessimisti, proprio perché ansie o frustrazioni sono interpretate come momenti transitori che non demoliscono consapevolezze e aspettative. “Siamo ciò che facciamo ripetutamente. L’eccellenza, dunque, non è un’azione, ma un’abitudine”, insegna saggiamente Aristotele, e il raggiungimento di un obiettivo artistico passa certo attraverso talento personale ma anche e soprattutto attraverso fatica e lavoro inquadrati in sane e costanti abitudini. Stato di flusso Gli atleti chiamano “the zone” (la zona) o “trance agonistica” l’area all’interno della quale tutto diventa semplice e altamente gratificante, dove anche le emozioni si esprimono pienamente e in sintonia con la capacità di controllo del corpo, ove le componenti dell’intelligenza emotiva, cognitiva e procedurale si integrano virtuosamente e tutto il territorio estraneo alla performance non interferisce con il sistema: “the zone” è uno stato di flusso. L’eccellenza è perciò il risultato anche del 132 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 132 16/09/14 17:44 raggiungimento di uno stato di flusso o viceversa: uno stato di eccellenza innesca uno stato di flusso. Si tratta del risultato di una profonda coordinazione di azioni fisiche complesse in sintonia con la componente emozionale: un senso di galleggiamento, una perdita di peso inteso come fatica di lavoro, in condizioni di perfetta concentrazione mentale e di assoluta libertà emozionale. Lo stato di flusso è il territorio ideale per l’artista della voce, è l’opportunità per galleggiare nella dimensione temporale distribuendo e organizzando al suo interno un incontrastato flusso d’arte. In particolare questo stato si raggiunge quando si ha sufficiente tecnica per affrontare quel particolare atto performativo che tuttavia richiede grande concentrazione, cioè quando si è di fronte a un compito difficile e stimolante ma non irraggiungibile. Meno probabile è infatti innescare uno stato di flusso confrontandosi con una performance ritenuta comoda e facile, in tale caso viene a mancare una parte degli stimoli alla concentrazione con limitazione dell’accesso allo stesso. È proprio quando ci si confronta con un progetto ritenuto ambizioso, ma per il quale possediamo risorse sufficienti, che diventa possibile accedere allo stato di flusso. Dice Mihály Csíkszentmihályi: “Il flusso è possibile in quella fragile zona che si trova tra la noia e l’ansia”7. Chi si trova in uno stato di flusso appare rilassato e senza segni di sforzo, questo perché possedendo padronanza degli schemi motori necessari, la mente è soggetta a un minor sforzo cerebrale e può essere più efficiente. Presupposti per l’accesso allo stato di flusso sono: •possedere grande motivazione; •possedere chiarezza d’intenti; •avere consapevolezza sulle personali capacità; •essere completamente coinvolti e concentrati nell’azione creativa; •essere in sintonia assoluta con il presente, attimo per attimo. Sintomi della presenza dello stato di flusso sono: •sensazione di serenità e di piacere; •sensazione di estasi scissa dal quotidiano e dal reale; •perdita di cognizione spazio-temporale; •senso di espansione del proprio io; •assenza di fatica fisica e/o emotiva. 133 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 133 16/09/14 17:44 Lo stato di flusso crea una coincidenza tra emozioni e performance permettendo di raggiungere, e tal volta superare, i limiti personali: da uno stato di flusso si esce arricchiti. Conclusioni Da ultimo ricordo che utilizzare un abbigliamento che dà gratificazione personale, prepararsi con cura attraverso dei gesti rituali, dedicare attenzione a piccoli dettagli, serve a scaricare la tensione, a predisporre corpo e mente e a dare più valore alla performance. Al rito vengono delegate alcune responsabilità, così la mente può dedicarsi ad altro. Determinante è sempre il pensiero positivo e quindi l’energia a esso legata. Il pensiero positivo è un potente carburante. Rabbia e aggressività non appartengono al pensiero positivo, non sono energia costruttiva, non sono un fattore che può aiutare. Un eccesso di competizione sottolinea il bisogno di opposizione e può indicare un inconscio senso d’inferiorità. Mentre una sana ambizione è auspicabile e va sostenuta con obiettivi a lungo termine. Occorre desiderare una performance perfetta per se stessi e non per superare in bravura un collega. È importante trasformare pulsioni d’invidia in desiderio di crescita. Per un’eccellenza emozionale della performance vocale artistica ecco la catena dei comportamenti virtuosi: Compren- Controllare, Accettare Sviluppare Ambire dere regolare e superare stati emotivi ansia e paura, impulsi aggressivi, invidie studio e costanza, rinvio delle gratificazioni, limiti personali motivazioni, stato consapevolezza, di flusso ottimismo 134 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 134 16/09/14 17:44 G. Rohmert, Sistemi funzionali aperti e chiusi in relazione alla voce parlata e cantata, capitolo 7.3, in Il cantante in cammino verso il suono. Leggi e processi di autoregolazione nella voce del cantante, Diastema Libri, Treviso 1995. 2 Citazione dal chimico francese Antoine Lavoisier 1789 (Parigi 1743-1794), che enunciò la prima versione della legge di conservazione della massa (in una reazione chimica la massa dei reagenti è esattamente uguale alla massa dei prodotti). Più di cent’anni dopo, Albert Einstein riformulò in altri termini questa legge, come legge di conservazione dell’energia (primo principio della termodinamica), dimostrando che il principio di conservazione coinvolge la materia-energia, intese non più come due realtà separate bensì unitariamente, dato che l’una può trasformarsi nell’altra secondo una precisa relazione matematica. 3 Motto iscritto sul tempio dell’Oracolo di Delfi, che sintetizza e semplifica il pensiero di Socrate secondo il quale la verità va cercata dentro di sé e non altrove. 4 Charles Robert Darwin (Shrewsbury, 12 febbraio 1809 - Londra, 19 aprile 1882), biologo, geologo, zoologo e botanico britannico, ha formulato la teoria dell’evoluzione delle specie animali e vegetali per selezione naturale (origine delle specie), e ha teorizzato la discendenza di tutti i primati (uomo compreso) da un antenato comune (origine dell’uomo). L’origine delle specie (1859) è la sua pubblicazione più nota. 5 William James (New York, 11 gennaio 1842 - Chocorua, 26 agosto 1910) psicologo e filosofo statunitense e presidente della Society for Psychical Research dal 1894 al 1895. Nella sua opera Principles of Psychology, enuncia l’importante “Teoria periferica delle emozioni” (legata al sistema nervoso periferico), capovolgendo l’idea comune 1 secondo la quale alla percezione di uno stimolo segue un’emozione, sostenendo invece che la manifestazione somatica precede l’emozione, che solo successivamente viene riconosciuta a livello “cognitivo”. 6 Richard Wayne Bandler (Jersey City, 24 febbraio 1950) è uno psicologo, saggista e linguista. Negli anni settanta, insieme al linguista John Grinder (Detroit, 10 gennaio 1940), è stato il co-fondatore della Programmazione Neuro Linguistica. La PNL è un approccio alla comunicazione, allo sviluppo personale e alla psicoterapia ideato in California. L’idea fondante è basata sul principio che ci sia una connessione fra i processi neurologici, il linguaggio e gli schemi comportamentali appresi con l’esperienza. La PNL afferma che possono essere organizzati degli schemi specifici per ogni obiettivo. Oggi la PNL non ha validità scientifica ed è considerata una pseudoscienza. 7 Mihály Csíkszentmihályi: nato a Fiume (oggi Rijeka) nel 1934, professore di psicologia di origini ungheresi, emigrato all’età di ventidue anni negli Stati Uniti, è stato capo del dipartimento di Psicologia dell’Università di Chicago e del dipartimento di Sociologia e Antropologia al Lake Forest College, attualmente alla Claremont Graduate University, oggi riconosciuto come importante ricercatore della psicologia positiva. Il concetto di stato di flusso fu introdotto da Csíkszentmihályi nel 1975 nella sua Teoria del flusso e successivamente si diffuse in diversi ambiti, tra cui psicologia, sport, spiritualità, educazione ecc. 135 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 135 16/09/14 17:44 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 136 16/09/14 17:44 Ultimo pensiero Con questo libro ho voluto dimostrare l’inscindibilità di corpo e anima. Corpo e anima si proiettano interamente e pienamente nella voce. La voce è una, ed è l’espressione di un unicum corpo-anima. A ogni voce corrisponde un’unità inscindibile. Solo la morte, spegnendo la voce, scinde il corpo dall’anima. 137 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 137 16/09/14 17:44 Bibliografia F. Ambrosio, Il metodo Feldenkrais, Xenia, Milano 2004. R. Celletti, La grana della voce. Opere, direttori e cantanti, Baldini & Castoldi, Milano 2000. P.G. Concone, Introduzione all’arte per ben cantare ossia Metodo elementare di canto contenente le regole ed i principii più essenziali seguito da esercizi di vocalizzazione tratti da opere di Rossini…, Giudici e Strada, Milano 1872 circa M. De Santis, F. Fussi con la collaborazione della dott.ssa A. Ricotti, La parola e il canto. Tecniche problemi, rimedi nei professionisti della voce, Piccin, Padova 1993. L. Fedele, Il canto: appunti di viaggio; considerazioni e consigli sul canto moderno; Edizioni Curci, Milano 2005. M. Feldenkrais, Le basi del metodo, per la consapevolezza dei processi psicomotori, Casa Editrice Astrolabio – Ubaldini Editore, Roma 1991. F. Fussi, S. Magnani, Le parole della scena. Glossario della voce del cantante e dell’attore, Omega, Torino 2010. F. Fussi, S. Magnani, Lo spartito logopedico. Ovvero la gestione logopedica della voce cantata, Omega, Torino 2003. D. Gaita, Il pensiero del cuore, musica simbolo e inconscio, a cura di A. 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Oliverio, La vita nascosta del cervello, Giunti Editore, Firenze 2009. 139 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 139 16/09/14 17:44 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 140 16/09/14 17:44 Ringraziamenti Grazie a Mary Lindsey, da sempre la mia paziente guida nel canto; Stefano Battaglia, che mi ha permesso di allargare i confini della mia voce; Bruno Santori, Franco Fussi, Silvia Infascelli, Caterina Scotti, Franco Mussida, Stefano Gervasoni, Umberto Labozzetta, Tino Silvestri, Andrea Rodini, Silvia Aprile, per la premurosa collaborazione e la generosità nella condivisione di esperienze personali; Lorella Algeri, per la preziosa consulenza sul tema della psicoanalisi; Marco Tonini, per le immagini scientifiche, Ljuba Bergamelli, Enrico Dondè, Nunzia Latini per la disponibilità alla lettura e per gli indispensabili suggerimenti; Angelo Roma, per avermi consigliata, spronata e iniziata al mondo editoriale; Roberto Gualdi per la fiducia incondizionata; Antonio Marinoni, per la grande pazienza avuta con me, la mia gatta Isidora e le mie galline Kappa e Drago da sempre grande fonte di ispirazione. IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 141 16/09/14 17:44 © 2014 Mondadori Electa S.p.A., Milano Mondadori Libri Illustrati Tutti i diritti riservati Prima edizione ottobre 2014 www.librimondadori.it Published by arrangement with DELIA AGENZIA LETTERARIA Finito di stampare nel mese di ottobre 2014 presso Elcograf S.p.A., via Mondadori 15, Verona Stampato in Italia - Printed in Italy IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 142 16/09/14 17:44 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 143 16/09/14 17:44 IM_Vocal coach_1-144_LTC2.indd 144 16/09/14 17:44