L’uomo e la donna raccontati da Dio Don Gigi Vari Parlare di antropologia biblica , cioè quale uomo emerge dalla Bibbia, è un'impresa titanica perché la Bibbia è fin dalle prime battute orientata a dire chi è l'uomo. Queste pagine, a partire da quelle della Genesi, nascono dal desiderio di rispondere alle domande che le persone si ponevano riguardo alla loro esistenza, al loro posto nel creato, sul perché soffrivano, perché si innamoravano oppure si odiavano. Si chiedevano quello che tutti si chiedono, come mai fosse così difficile comunicare con gli altri, perché non ci si capiva e alcuni volevano dominare sugli altri. Poi si chiedevano se ci fosse qualcuno più grande di loro, e come li vedesse e come loro dovevano relazionarsi con Luì. E' proprio la visione dell'uomo che rende la Bibbia il più straordinario dei libri mai scritti , perché non è quella ordinaria che si poteva rintracciare nelle culture del tempo. Bisogna chiarire per parlare di antropologia biblica che la Bibbia non contiene un pensiero sistematico sull'uomo, non si possono trovare in essa dei trattati. La mancanza di sistematicità non equivale alla mancanza di riflessione. Il popolo di Israele aveva molto forte, data la sua dimensione e la precarietà in cui viveva, la necessità di vivere con preoccupazioni brevi e anche le classi intellettuali dovevano spesso rispondere all'urgenza. Di conseguenza la riflessione biblica sulla condizione umana è più collettiva che individuale, più concreta che astratta, più narrativa che filosofica. E', è bene ripeterlo, la che fa nascere le domande e provoca la riflessione, e queste riflessioni non hanno la pretesa del trattato, ma si presentano spesso come un racconto. Che cosa ci dice la Bibbia dell'uomo? Sfogliando già le prime pagine scopriamo che immagine di uomo c'è. La prima scoperta che facciamo è che l'uomo è al culmine della creazione , è una cosa molto buona ed è messo come re del creato; è immagine e somiglianza di Dio e questa sua caratteristica la porta con sé come un sigillo che non può cancellarsi. Vedremo quanto questo ha peso nella visione che Cristo ha dell'essere umano. Immediatamente dopo si scopre che l'uomo è relazione; come è difficile questo concetto se espresso in maniera filosofica; ma come è bello il racconto della Genesi, che quasi fa immaginare l'Adam, non il maschio, ma questo essere fatto di terra, che ha la sorte di essere immagine di Dio, aggirassi da solo nel giardino di Eden; è una perfezione solitaria, è come una stella nell'universo, straordinaria, ma persa nel cosmo. Non è quella la perfezione che pensa Dio, che si preoccupa per questa solitudine e desidera romperla; lo fa come un re che chiama il principe e gli mostra tutte le creature del regno, ma nessuna era tale da far uscire Adam dal silenzio. Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. 16 Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, 17 ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti”. 18 Poi il Signore Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”. 19 Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. 20 Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l’uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile. 21 Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. 22 Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. 23 Allora l’uomo disse (Gen 2, 15- 23): 15 1 Cala la notte, vedete come è straordinario questo racconto, capace di mettere in discussione tante nostre immagini di Dio e Dio rimette mano alla creazione e sdoppia l'unità, Adam diventa due: Adam e Adamah. L'uomo si sveglia dal suo sonno meno perfetto di prima, non è più completo in se stesso, scopre di aver bisogno, gli manca qualcosa, anzi qualcuno. Alle prime luci dell'alba Dio gli conduce, come un padre fa con il figlio nel giorno del matrimonio, Adamah e lui finalmente canta di gioia, finalmente parla e dice le prime parole dell'umanità, che sono una poesia d'amore: "Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall'uomo è stata tolta" La riconosce come parte di sé, le dà un nome. Per questo, continua il racconto biblico, l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, perché l'unità si ricomponga, perché rinasca sempre Adam, ma non come essere perfetto e solitario, piuttosto come essere capace di incontro e di relazione. Certamente questa scoperta della necessità della relazione nasce prima di tutto dall'esperienza della fragilità e della debolezza dell'uomo da solo, che difficilmente poteva sopravvivere se rimaneva solo. C'era bisogno di essere tanti per poter difendere la propria famiglia, il proprio accampamento e le proprie cose; per questo i figli sono una benedizione e, recita il Salmo, sono come frecce nelle mani di un prode e beato l'uomo che ne ha piena la faretra, essi continua il salmo sono un dono che viene dal Signore, i frutti del grembo materno un premio. L'esperienza della relazione è allora prima di tutto suggerita come necessaria per poter affrontare le difficoltà della vita, per diventare poi una riflessione che parla della relazione come necessità dell'essere. Un uomo, che immediatamente fa esperienza della violenza e della malvagità del cuore. Il paradiso è sfregiato dal peccato e la prima storia dell'umanità che si diffonde sulla terra è quella di Caino che sopprime Abele. La violenza e la malvagità crescono a tal punto che la creazione è irriconoscibile. Per l'uomo biblico non ci sono dubbi, la violenza nasce dal cuore dell'uomo, il male nasce dal suo cuore e non deve cercare di scaricare la responsabilità su Dio. La violenza è la forma del male che più fa tremare, che sempre fa tremare l'uomo. I profeti dicono che non c'è niente che la possa giustificare e in un tempo come questo che ci sazia di violenza, non è difficile pensare che essa sia una forza senza limiti e che l'uomo non può che soccombere. La violenza, però non è nel disegno di Dio, l'uomo violento non è quello che pensa Dio, la creazione è non violenta, perché a rileggere bene quella pagina di Genesi, in essa non c'è violenza, non si prevedono sopraffazioni, e per tutti ci sono le condizioni per vivere. La violenza è un disturbo della creazione. Quando noi diciamo che l'uomo è fatto così, diciamo una cosa sbagliata, perché l'uomo violento è un'anticreazione, una corruzione di questa. Il diluvio che si scatena quando la corruzione ormai rende irriconoscibile la creazione, è il segno di quello che il male può fare. Il diluvio, infatti rimette in discussione i giorni della creazione; non c'è più l'asciutto, le acque di sopra non sono più divise da quelle di sotto; non ci sono quasi più essere viventi sulla terra. Il caos ritorna e ad esso succede una nuova creazione, però ormai ferita. Nella creazione di dopo il diluvio è prevista la violenza, si cerca di incanalarla, ma tutto è molto lontano dal sogno di Eden. L'uomo che si confronta con la violenza china la testa di fronte alla scoperta che lui stesso ne è sorgente. Anche in questa constatazione un po' triste della caduta del sogno della creazione, c'è una grande novità, ed è quella che l'uomo è altro, non è solo la catena dei suoi fallimenti, proprio in questo essere altro si radica la possibilità della nuova relazione con Dio, quella dell'alleanza. C'è nella simbologia dell'alleanza, molto presente nei profeti e nei libri sapienziali, la dimensione dell'amore. L'amore è la possibilità dell'uomo di recuperare il disegno di Dio; c'è tutta una 2 simbologia dell'amore che riempie le pagine della Bibbia. Dio chiama il popolo sposa, con esso vuole allacciare un rapporto leale, fedele e fecondo. Pensando alla forza dell'amore come quella che recupera meglio la dimensione dell'uomo pensato da Dio, non si può non leggere il cantico dei cantici. Le perle malate Mi è capitato di avere fra le mani una rilettura di un autore Yddisch, Alter Kracyzne, che pubblica un piccolo libro che si intitola "le perle malate." La storia è quella di una regina che deve sposare Salomone e si accorge che la sua collana di perle è come spenta. Capisce che non può presentarsi al cospetto del re con quelle perle malate sul petto, perché esse sono il segno esteriore di una malattia più profonda, forse non lo ama veramente. Il suo tutore la consola e le suggerisce una soluzione, quella di far portare le perle a qualcuno che ami veramente, solo se esse saranno sul collo di una persona che abbia il cuore pieno d'amore, solo allora riprenderanno a vivere. Prima ancora dell'alba, i due si dirigono in una campagna fuori da Gerusalemme dove trovano una ragazza che guarda le pecore del gregge. Si avvicinano e cominciano a parlare e lei racconta della sua passione per un giovane pastore, dice loro che la sua carne è scura per il sole, parla dei fratelli che non la capiscono e che vorrebbero che sposasse chi dicono loro, che la trattano come una ragazza facile e quasi la tengono prigioniera. A lei non importa, basta incontrare il suo giovane amore per sopportare tutto. La regina parla del suo amore sfortunato, Le chiede di portare sul petto le perle; lei non vorrebbe per paura che torni il suo amore e vedendole cominci a fare domande, a dubitare di lei. La regina promette che prima della sera del giorno successivo sarà lì a riprendere le perle. Il libro descrive molto bene le ansie della ragazza, l'attesa che la regina torni e quando la sera si avvicina e non è tornata la tentazione di togliersi le pelle ormai diventate splendenti. Pensa che, se lo farà, condannerà la sua amica a una vita senza amore, le tiene sul petto, anche se il pericolo aumenta. Sente il rumore del ragazzo che arriva, esce per aprirgli, ma non c'è già più. Arriva anche il tutore della regina per riprendere le perle. Inizia così il viaggio della ragazza che va a Gerusalemme, incontra le guardie che si prendono gioco dì lei, scappa e incontra altri ubriachi, scappa fino ad attivare a un palazzo splendido e isolato. Entra e nessuno la ferma, arriva nella stanza più interna dove, vicino alla regina, vede che dome il re Salomone, quello che credeva il suo ragazzo, conquistato dalle perle splendenti che non raccontavano l'amore della donna che gli giaceva accanto, ma il suo. Questo amore, capace di far risplendere le perle malate, perché supera l'egoismo e riesce a sacrificarsi per l'altro e si espone alla sofferenza, è questo amore il tratto dell'uomo che più lo fa somigliare a Dio e da cui tutto riparte. Tutta la storia della salvezza non solo è descritta con simboli di amore, ma si concretizza in storie d'amore; la stessa incarnazione di Gesù passa per l'amore di due ragazzi, che rende possibile tutto quello che serve perché essa avvenga: la fiducia, il sacrificio, la cura. Tutti i personaggi della storia della salvezza sono tali perché non solo sono dei giganti di fede e di umanità, ma perché vivono per il popolo, sentono costituiva la loro relazione con le persone; affrontano qualunque sacrificio per amore della loro gente. Le uniche sofferenza che li provano sono quelle che derivano dalla non comprensione degli altri della loro vita. Il dubbio degli altri è quella la vera sofferenza; gli altri che non si fidano del loro cammino, come accade a Giobbe, ma anche allo stesso Mose.; questo fa nascere la sofferenza. I vangeli ci parlano dell’uomo e della donna Abbiamo appena iniziato a sfogliare la Bibbia e già si sono aperte prospettive infinite; non possiamo dire tutto quello che sarebbe utile dire, possiamo, però fare un rapido giro nei Vangeli per vedere come l'uomo Gesù considera gli altri e quale antropologia suggeriscano i suoi gestì e le sue parole. Facendo un rapido viaggio nei Vangeli, ci sono dei brani in cui è chiaro come la restituzione alla vita si traduca in un ingresso nella comunità. Gesù guarisce e rimette le persone in condizione di poter far parte di nuovo della sinagoga, del villaggio, del tempio. E' così per i lebbrosi che sono 3 invitati a presentarsi al sacerdote, è così per il cieco di Gerico, per il cieco nato, per le donne che sono giudicate e condannate, per gli indemoniati; il risultato è sempre quello di poter rientrare nella comunità, spesso con compiti diversi, come quello di essere suoi testimoni e con una nuova comunità di appartenenza come quella dei suoi discepoli. Leggiamo insieme l'episodio dell'indemoniato di Cerasa per comprendere ancora meglio che cosa significa restituire l'uomo alla comunione: Intanto giunsero all’altra riva del mare, nella regione dei Gerasèni. 2 Come scese dalla barca, gli venne incontro dai sepolcri un uomo posseduto da uno spirito immondo. 3 Egli aveva la sua dimora nei sepolcri e nessuno più riusciva a tenerlo legato neanche con catene, 4 perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva sempre spezzato le catene e infranto i ceppi, e nessuno più riusciva a domarlo. 5 Continuamente, notte e giorno, tra i sepolcri e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre. 6 Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi, 7 e urlando a gran voce disse: “Che hai tu in comune con me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi! ”. 8 Gli diceva infatti: “Esci, spirito immondo, da quest’uomo! ”. 9 E gli domandò: “Come ti chiami? ”. “Mi chiamo Legione, gli rispose, perché siamo in molti”. 10 E prese a scongiurarlo con insistenza perché non lo cacciasse fuori da quella regione. 11 Ora c’era là, sul monte, un numeroso branco di porci al pascolo. 12 E gli spiriti lo scongiurarono: “Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi”. 13 Glielo permise. E gli spiriti immondi uscirono ed entrarono nei porci e il branco si precipitò dal burrone nel mare; erano circa duemila e affogarono uno dopo l’altro nel mare. 14 I mandriani allora fuggirono, portarono la notizia in città e nella campagna e la gente si mosse a vedere che cosa fosse accaduto. 15 Giunti che furono da Gesù, videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. 16 Quelli che avevano visto tutto, spiegarono loro che cosa era accaduto all’indemoniato e il fatto dei porci. 17 Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio. 18 Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo pregava di permettergli di stare con lui. 19 Non glielo permise, ma gli disse: “Và nella tua casa, dai tuoi, annunzia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ti ha usato”. 20 Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli ciò che Gesù gli aveva fatto, e tutti ne erano meravigliati. (Mc 5, 1-20) 1 La descrizione di quest'uomo posseduto dal demone si concentra nel suo isolamento, nella sua dimora fra le tombe e i monti. E' una persona incontenibile che non ha più niente di umano. Alla fine del racconto vediamo lo stesso uomo è seduto, vestito e sano di mente. La guarigione si concretizza nell'invito a tornare nella propria casa, cioè nel reinserimento di quella persona nella casa, nella famiglia e fra i suoi. Non basta questo, però, Gesù, osserva un commentatore, non è un bravo psicoterapeuta e un buon assistente sociale; il suo ultimo comando è di andare e annunciare che cosa gli ha fatto la misericordia di Dio. L'uomo guarito da Cristo vive tutte le relazioni, quella con se stesso, infatti è seduto e vestito; quella con gli altri, infatti torna a casa e quella con Dio, infatti diventa annunciatore della sua misericordia. La sintesi dell'antropologia è proprio in questa persona che recupera queste tre relazioni fondamentali; l'idea di uomo che nasce dalla visione di quest'uomo guarito è quella di una persona in pieno equilibrio, non è sbilanciato. Non deve pensare a Dio e dimenticarsi degli altri, come pure vorrebbe fare chiedendo di salire sulla barca con Cristo, ma deve recuperare la relazione con i suoi; nemmeno deve solo ritornare a essere una persona socialmente a posto, deve anche essere missionario. La relazione con se stesso è quella che più di ogni altra è recuperata, non solo perché ha ritrovato il senno e si lava e si veste, ma anche perché si scopre come un prodigio di Dio. Non esiste un'antropologia delle opposizioni; un uomo è tutto ciò che lo fa definire tale; soccorrerlo è rimetterlo in condizione di essere quello che è chiamato a essere, come sanno bene quelli che si 4 impegnano per il recupero delle persone, che, per vari motivi, hanno perso qualcuna o tutte queste relazioni. Tutto questo, però si scopre nel racconto, non è un'affermazione di principio; ma noi scopriamo questo. Proprio perché è un racconto è riproducibile, permette di vedere se per caso non ci siano anche nella nostra vita persone che possono somigliare a quell'indemoniato, permette di riflettere che un uomo si recupera alla vita se si recupera alla relazione. Soprattutto consente di scoprire un fatto su cui non si riflette mai sufficientemente e cioè che per Gesù l'uomo vale molto. Gesù nel suo cammino incontra ogni tipo di umanità, e non ha una visione irreale della condizione umana, nelle parabole dipinge ogni tipo di persona, non solo esempi positivi, ma spesso negativi; nemmeno una negatività inconsapevole, ma una negatività scelta. E' così del figlio che fugge da casa e che riconosce di non essere nemmeno più degno di essere chiamato figlio. Il ritratto di Luca è particolarmente duro, perché mostra una persona che anche nel momento del riconoscimento della colpa, fa conto sull'amore del padre, che lui vede solo come un punto debole. Da Ebreo sapeva quale fosse la cattiveria dei romani dominatori, fino a che punto il desiderio del potere poteva spingersi per non sentirsi minacciato, racconta di Pilato che mischia il sangue degli ebrei giustiziati con quello degli animali del sacrificio, aggiungendo alla tragedia della morte quella del sacrilegio, del disprezzo della loro fede. Voi che siete cattivi, dice quando parla del papà, che non rifiuta di dare un po' di pane ai figli, voi che siete cattivi, siete capaci di questo, figuratevi il Padre vostro che è, invece, buono, che cosa non farà per voi. Il lessico della cattiveria è molto presente nei Vangeli, a conferma che non ci si trova di fronte a una visione ingenua dell'uomo. La fragilità dell’uomo Non è, però una visione che si limita all'analisi e alla descrizione, perché a questo uomo Gesù chiede di cambiare. Descrive spesso la fragilità dell'uomo, carne e sangue, come conosce il suo desiderio di grandezza e di realizzare cose grandi, uniti alla consapevolezza di non essere spesso in grado di realizzare i suoi desideri. L'uomo fragile non è, però per Gesù un motivo per giustificare il cammino incerto degli uomini, non teorizza la fragilità; non si iscrive nella scuola del pensiero debole, fragile , liquido e tutti gli altri attributi che ci siamo inventati per fare il de profundis dell'uomo. E' vero che l'uomo tende a proiettare fragilità attorno a sé e che attribuisce i suoi caratteri di debolezza anche a Dio; ma Gesù, che conosce ogni uomo, non lo permette. Gesù vuole correggere questa proiezione di fragilità, e così non consente al figlio che torna di finire quel pistolotto che si era preparato per commuoverlo, arrivando a chiedere a un padre di non trattarlo più come un figlio, ma come un servo. Il padre della parabola non fa finire il discorso al figlio, non permette che lui proietti sul padre la sua fragilità, ipotizzando che quello per risentimento o qualunque altro motivo, smetta di essere un padre. Dio non è un uomo, non reagisce come un uomo. L'uomo è immagine e somiglianza di Dio e non il contrario. Questa spinta a non fare della fragilità la legge di tutto è straordinaria, perché non è vero che tutti pensano come te e fanno come te; non è l'unica strada. La misericordia è qui la potenza di Dio che proietta l'uomo in un'altra dimensione. La fragilità gioca in maniera doppia e apparentemente contraddittoria nella vita umana, perché se da una parte tende a diffondere tutto sotto la sua legge, dall'altra tende ad assolutizzare ciò che è fragile, cioè le cose, le ricchezza, ma anche le regole e le leggi. Gesù avvisa che niente di quanto noi sottraiamo a Dio è degno di stare al posto di Dio, perché molte delle cose che ci fanno muovere, lottare, fare sacrifici, non ci sopravvivono; non sopravvivono al tempo, non sono Dio. Qui non si tratta di un discorso morale, ma è profondamente inserito nella vicenda umana, perché i riferimenti sbagliati fanno sbagliare la vita; Gesù dice che se il tuo riferimento è infinito, anche tu lo sei; se non lo è, non bisogna certo aspettare il giudizio universale per rendersi dolorosamente conto di quanto doloroso sia avere punti di riferimento brevi. Gesù vede che l'uomo vive fra molti condizionamenti, e denuncia che anche la religione può essere un condizionamento che toglie felicità alla vita. Pensa alla religione dei suoi contemporanei piena di regole impossibili da rispettare, capace di creare un sentimento di inadeguatezza tale da 5 togliere ogni luce alla fede. Chi non si ricorda quando dice ai farisei che hanno fatto delle regole, come quella di dichiarare offerta sacra per il tempio la somma da destinare al sostentamento dei genitori, autorizzandosi così a lasciarli nella povertà. Quella religione lì è fonte di ingiustizia, di ipocrisia, non promuove la tua umanità, ma la mortifica.Gesù anche qui spinge l'uomo a considerarsi diverso dai condizionamenti, dice che Dio è un Padre; chiede di far caso alla propria coscienza. Gesù ha dell'uomo un'immagine straordinaria, potremmo dire che conserva lo stesso sguardo che Dio ha avuto al momento della creazione, per cui l'uomo vale tanto, lo dice quando invita a guardare gli uccelli del cielo e i fiori del campo per concludere che un uomo vale molto più di essi. Se Dio si prende cura delle creature della terra, quanto più lo farà con un uomo. Nella sua valutazione dell'uomo dice che è più importante del Sabato e ci sembra di risentire il papa che ha ricordato a Cuba che le idee servono alle persone e non le persone alle idee. Il valore dell'uomo è affermato soprattutto nelle guarigioni fatte nel giorno di Sabato, quando nella controversia con chi contesta questo comportamento si sente Gesù che dice: Allontanatosi di là, andò nella loro sinagoga. 10 Ed ecco, c’era un uomo che aveva una mano inaridita, ed essi chiesero a Gesù: “È permesso curare di sabato? ”. Dicevano ciò per accusarlo. 11 Ed egli disse loro: “Chi tra voi, avendo una pecora, se questa gli cade di sabato in una fossa, non l’afferra e la tira fuori? 12 Ora, quanto è più prezioso un uomo di una pecora! Perciò è permesso fare del bene anche di sabato”. 13 E rivolto all’uomo, gli disse: “Stendi la mano”. Egli la stese, e quella ritornò sana come l’altra. 14 I farisei però, usciti, tennero consiglio contro di lui per toglierlo di mezzo. (Mt 12, 9-14) 9 Gesù non si limita a mostrare quanto possa essere meschino il comportamento che chiede di lasciare una persona nel bisogno per rispettare la regola del Sabato, ma oppone due antropologia, quella per cui l'avere conta più dell'essere, e dunque non si può rischiare di perdere un animale anche se è Sabato e quella di Gesù , che propone l'antropologia dell'essere per una persona è una persona e se un pastore fa tanto per recuperare una pecora, quanto più Dio è disposto a fare per una persona. Nell'antropologia dell'avere nella quale siamo tutti impelagati si ha la percezione che il possesso è la cosa che ci rende forti, facendoci dimenticare che quando si diventa ostacoli a un avere di qualcuno più forte, allora si diventa facilmente sacrificabili. Mi fa spesso riflettere il fatto che una frase molto presente sulla bocca dei nostri ragazzi, che hanno molto, sia che la vita è una vita di..., parola facilmente intuibile che non è il caso di pronunciare qui. Il riferimento al valore e alla dignità di qualsiasi uomo decide la questione. Ogni uomo, questo è un altro dato del modo di vedere l'uomo da parte di Gesù, che non parla in segreto, ma a tutti. Le folle che sono presenti nei vangeli sono quelle della gente comune, folla di poveri, di malati, di persone comuni; non ci sono elementi di esoterismo nell'agire di Gesù. Quando è interrogato sul suo insegnamento Gesù risponde che quello che ha detto lo ha detto a tutti. Proprio la sua decisione di non scartare nessuno gii procura le critiche più forte, come quella di Simone il fariseo che riflette che se Gesù fosse un profeta saprebbe chi è, che razza di donna è quella che gli sta bagnando i piedi. Un'antropologia che si diffonde anche nella vita della Chiesa, quando chiede che nella comunità non ci sia nessuno scartato perché piccolo, immaturo, non perfetto, anzi se qualcuno sarà messo da parte o impedito nel suo cammino a causa della sua debolezza, chi determina questo non merita nemmeno di essere chiamato uomo. L'insistenza che Gesù fa sui piccoli è uno dei tratti più straordinari della sua antropologia perché chi parte dall'ultimo certamente non salta nessuno. Il suo è un modo di vedere l'uomo come lo vede Dio; nel libro della Genesi l'uomo emerge come immagine e somiglianza di Dio con un suo valore, una sua libertà e una sua autonomia. 6 Un uomo capace e in grado di mettere fuori gioco Dio stesso; l'uomo non vive di luce riflessa, non vale solo perché Dio gli dà valore, ma è un interlocutore di Dio. Nei profeti il paragone che si fa è quello fra un marito e una moglie; si parla di alleanza, che è più che un patto che ha sempre il valore di un diktat. L'uomo è capace di parlare con Dio e non solo di Dio. Quando parla del divorzio, Gesù, rispondendo alla provocazione dei farisei che lo volevano mettere in difficoltà su un argomento così sensibile, Gesù dice loro quale è la regola, quella vera e non quella che i farisei avevano evocato nel loro discorso. Intanto non è vero che per qualunque motivo si può ripudiare la moglie, ma poi, qui io spostamento di attenzione, all'inizio non fu così; il vostro cuore si è indurito, per questo sono nate tante regole e tante leggi, ma nel sogno di Dio non era così. La relazione che fa uscire dalla solitudine e dalla tristezza, dall'aggirarsi da soli nel giardino della vita, era come tutte le altre cose, una cosa buona, definitiva; un'unità che si ricompone e che non sopporta la divisione. Questo è molto importante, una visione dell'uomo fatta di sogno, ma anche impastata dalla realtà della debolezza e del peccato. Porre, però di nuovo il sogno come prospettiva dell'uomo, è una novità straordinaria, che vale sempre. Gesù non entra nella discussione sul divorzio, pure se corregge un 'interpretazione sbagliata della legge, ma dice che tutto dipende dalla voglia che uno ha di fare delle propria vita un sogno. C'è un altro brano che aiuta a comprendere la visione che Gesù ha dell'uomo e che cosa è fondamentale, mi riferisco alla scena del tributo a Cesare, quando Gesù risponde all'ennesima domanda trappola dei farisei con una contro domanda, chiede che gli venga mostrata una moneta e una moneta aveva da una parte l'immagine di Cesare con la scritta Tiberio Cesare imperatore, figlio del divino Augusto (in Siria, dell'Augusto Dio), mentre dall'altra c'era scritto Pontefice. Gesù insiste molto sull'immagine, chiede di chi sia quell'immagine, e mentre dichiara che perché porta l'immagine di Cesare quella moneta appartiene a Lui, dice che ognuno è di chi porta l'immagine stampata. L'uomo porta l'immagine di Cesare o no? Cesare pretende che tutto sia suo, pretende di essere Dio, pretende di dominare l'uomo, ogni uomo; Gesù domanda fra le righe: "ma tu che immagine porti, di chi sei immagine?". Un ebreo sapeva rispondere con decisione, lo sapeva bene che portava in se, che era immagine di Dio. Nessuno può essere proprietario di un altro uomo, per il suo essere immagine di Dio; a nessun uomo un uomo deve affidare la propria vita, nessun uomo è schiavo o padrone, perché l'uomo, ogni uomo è immagine di Dio. Vedete tutto questo che stiamo dicendo fa parte della condizione di ogni uomo, non è solo condizione del credente o del cristiano, ma ogni uomo porta in sé questo valore; questo ci aiuta a guardare con stima ogni uomo, indipendentemente da tutto. Quello che Gesù fa è aumentare, rendere concrete queste possibilità, proiettare l'uomo verso una condizione e un tempo nuovo. L'uomo cristiano vive nel regno di Dio, vive il regno. Ci sono molte definizioni possibili del regno di Dio, per me quella più semplice è quella che dice che regno di Dio è Dio che esercita la sua signoria nella vita dell'uomo. Ancora in maniera più semplicemente, Regno di Dio significa che Dio c'entra nella vita delle persone e che le rende capaci di comportamenti che non appartengono all'uomo vecchio, suppongono un uomo nuovo. Che cosa significa questo? Significa che il comportamento dell'uomo del regno è capace di realizzare quanto non era nemmeno pensabile per l'uomo nella sua fragilità . Pensiamo al comandamento del perdono, un uomo può arrivare a perdonare, a farlo anche per un certo numero di volte, ma suppone una grande forza morale; farlo come atteggiamento permanente, questo accade solo se Dio è dentro di te. Ci sarebbe, lo ripeto, ancora molto da dire, ma la ricerca dell'antropologia della Bibbia, ha a che fare con la domanda su chi siamo noi, come ci pensiamo, quale futuro immaginiamo. Questa risposta la dà la vita di ognuno di noi, la racconta la nostra vita. Per tutti serva la meravigliosa descrizione dell'uomo che fa l'apostolo Paolo, che parla dell'uomo configurato con Cristo, dell'uomo nuovo. Non pensa Paolo a un uomo restaurato, ma a un uomo nuovo , che non ha le coordinate della creazione, ma quelle della redenzione; un uomo salvato, perdonato, figlio di Dio, gradito a Dio, benedizione e gloria. Se uno è in Cristo, è una creatura nuova. 7