ART - ODCEC di Vasto

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ARTT. 559 e 560 c.p.c.; ARTT. 171 E 178 disp. att. c.p.c.
1. Premessa.
La “riforma” del 2005, traendo ispirazione dalle cosiddette prassi “virtuose” di
taluni tribunali, ha fortemente potenziato l’istituto della custodia.
Va subitaneamente puntualizzato che, ex art. 2, co. 3 sexies, dec. leg. 14.3.2005, n.
35 [Decreto legge convertito con modificazioni nella legge n. 80 del 14.5.2005], come
sostituito dall’art. 1, 6° co., legge 28.12.2005, n. 263, la nuova disciplina della
custodia si applica anche alle procedure espropriative pendenti alla data del 1° marzo
2006, dì di entrata in vigore, ex art. 39 quater dec. leg. 30.12.2005, n. 273 [Articolo aggiunto dalla legge di conversione n. 51 del 23.2.2006 - che ha modificato l’art. 1, 6° co., cit.],
delle novelle disposizioni codicistiche.
Il custode è da ricomprendere senz’altro tra gli ausiliari del giudice [Cfr. al riguardo
Cass. 5.6.1967, n. 60. Si è assunto che “l’amministratore giudiziario è una particolare figura di
custode, soggetta alla disciplina generale dell’art. 65 c.p.c., contraddistinta dalla marcata finalità
<gestoria> e dalla ricorrenza dei requisiti oggettivi…… e soggettivi…. per la nomina”: così G.
FANTICINI, La custodia dell’immobile pignorato, in La nuova esecuzione forzata dopo la l. 18
giugno 2009, n. 69, diretta da P.G. Demarchi, Bologna, 2009, 571]. D’altronde l’art. 68
c.p.c., che segue immediatamente gli articoli - 65, 66 e 67 c.p.c. - dedicati alla figura
del custode e, rispettivamente, rubricati “custode”, “sostituzione del custode” e
“responsabilità del custode”, è, a sua volta, rubricato “altri ausiliari”, in tal guisa
esplicitando che il custode è senza dubbio un ausiliario dell’autorità giudiziaria [ In tal
senso, del resto, cfr. Cass. sez. lav. 15.7.2002, n. 10252].
L’enunciata positiva caratterizzazione induce a ritenere che la custodia è un
munus publicum; e ciò tanto più che l’art. 67, 1° co., c.p.c., oltre a far salve le
disposizioni del codice penale [Rilevano gli artt. 334 e 335 c.p. nonché l’art. 388 c.p.],
prevede che il custode che non dà esecuzione all’incarico assunto, può essere
condannato a pena pecuniaria.
Ai sensi dell’art. 65, 1° co., c.p.c. al custode è affidata la conservazione e
l’amministrazione dell’immobile pignorato.
La Suprema Corte, di già in epoca antecedente alla “riforma”, ha chiarito, seppur
in relazione al custode dei beni sequestrati, che il custode è il termine soggettivo di
riferimento di un patrimonio separato e, quindi, centro di imputazione soggettiva delle
situazioni giuridiche attive e passive inerenti al medesimo separato patrimonio [Cfr.
Cass. sez. lav. 15.7.2002, n. 10252; Cass. 30.5.2000, n. 7147].
2. La custodia “legale”.
La custodia dei beni pignorati e dei relativi accessori, comprese le pertinenze ed i
frutti, compete ope legis al debitore: chiara in tal senso è la lettera dell’art. 559, 1° co.,
c.p.c. [“Trattandosi di custodia ope legis l’esecutato non può ricusare l’incarico, ma può solo
chiedere di essere sostituito, sicché il suo eventuale rifiuto di accettare la custodia dovrà
considerarsi inefficace e non impedirà che egli assuma gli obblighi e le responsabilità proprie del
custode”: così G. FANTICINI, La custodia dell’immobile pignorato, in La nuova esecuzione
forzata dopo la l. 18 giugno 2009, n. 69, diretta da P.G. Demarchi, cit., 573 s.].
Beninteso la custodia spetta senz’altro al debitore esecutato in quanto occupi
l’immobile subastato: l’ultima parte del 2° co. dell’art. 559 c.p.c. impone invero al
giudice dell’esecuzione di designare custode persona diversa dal debitore, allorché
non sia costui, ma un terzo, ad aver la disponibilità del cespite pignorato.
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La custodia devoluta al debitore è precisamente la cosiddetta custodia “legale”
[Cfr. in tal senso G. ARIETA – F. DE SANTIS, L’esecuzione forzata, II, in Trattato di diritto
processuale civile, a cura di L. Montesano e G. Arieta, Padova, 2007, 1167].
Evidentemente l’assunzione del munus publicum in cui la custodia si risolve,
implica che il debitore ha da conservare ed amministrare il bene pignorato non già,
propriamente, nel suo esclusivo interesse, sibbene anche e soprattutto nell’interesse
del creditore pignorante e dei creditori intervenuti.
La relazione con la res staggita assume, dunque, una ben precisa ed
imprescindibile connotazione teleologica.
Il debitore è costituito custode sin dal giorno della notifica dell’atto di
pignoramento, non, di contro, dal successivo momento della trascrizione; invero nei
confronti del debitore il pignoramento spiega i suoi effetti dal dì della notificazione.
Pur tuttavia gli atti della custodia sono validi a condizione che alla notificazione segua
la trascrizione del vincolo.
La custodia “legale” costituisce comunque la species meno onerosa, giacché, in
deroga alla previsione dell’art. 65, 2° co., c.p.c., ove è prefigurato a favore del custode
il diritto al compenso, all’ultima parte del 1° co. dell’art. 559 c.p.c. è stabilito che il
debitore, custode ex lege, non ha diritto a compenso alcuno, al più potendo ammettersi
che al debitore - custode spetti il rimborso delle spese se del caso sostenute per la
conservazione del cespite staggito.
3. L’autorizzazione ad abitare l’immobile.
A norma dell’art. 560, 3° co., c.p.c. “il giudice dell’esecuzione dispone, con
provvedimento non impugnabile, la liberazione dell’immobile pignorato, quando non
ritiene di autorizzare il debitore a continuare ad abitare lo stesso, o parte dello stesso,
ovvero quando revoca la detta autorizzazione”.
A tal riguardo si è assunto che, “anche se nella prassi di vari uffici giudiziari non è
richiesto che il debitore formalizzi la richiesta di autorizzazione ad abitare
nell’immobile…, la richiesta di autorizzazione deve ritenersi necessaria, anche
perché, per un verso, il custode non potrebbe servirsi della cosa in custodia e, per altro
verso, il giudice dell’esecuzione è chiamato dalla legge ad una valutazione circa
l’opportunità di concedere l’autorizzazione in ragione delle esigenze del processo”
[Così A. M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, Padova, 2012, 869. Si veda anche Cass.
31.5.2010, n. 13202, secondo cui la possibilità che il debitore esecutato prosegua nella
detenzione abitativa dell’immobile staggito, non può prescindere dall’emanazione del preventivo
provvedimento autorizzativo del giudice dell’esecuzione]. E’ fuor di dubbio, ad ogni modo,
che il giudice dell’esecuzione è abilitato ad una vera e propria valutazione di
opportunità, allorché sia sollecitato ai fini del rilascio dell’autorizzazione de qua. Ed,
in ogni caso, ha da attendervi, in aderenza al disposto dell’art. 171 disp. att. c.pc.,
previa audizione delle parti e degli altri interessati.
Nulla osta, d’altro canto, a che il medesimo giudice autorizzi il debitore a
proseguire nell’occupazione abitativa dell’immobile subordinatamente al pagamento
di un’indennità, ossia accordi l’autorizzazione in quanto il debitore accetti la
corresponsione di una somma di denaro.
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Difatti, se il g.e. è chiamato ad una vera e propria valutazione di opportunità, nulla
esclude che simile valutazione sia ancorata alla disponibilità dell’esecutato a versare
un importo pecuniario alla procedura.
Si è assunto, ancora, che “il giudice può concedere l’autorizzazione ad abitare
l’immobile solo nel caso in cui il debitore lo occupasse al momento del
pignoramento” [Così A. M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 870].
La riferita opzione esegetica appare confortata, sul piano della mera esegesi
letterale, dalla locuzione “continuare ad abitare” figurante nel testo del 3° co. dell’art.
560 c.p.c., locuzione, che, evidentemente, si correla all’ipotesi di frequente riscontro
pratico in cui, appunto, al dì del pignoramento il debitore occupi l’immobile ed
ambisca a conservarne la disponibilità nel corso della procedura.
Ciò nonostante non è da escludere, quantunque all’atto del pignoramento il
debitore non occupasse il cespite e a detenerlo fosse un conduttore con titolo
opponibile, sicché si sia imposta ex art. 559, 2° co., ultima parte, c.p.c. la nomina di
un custode terzo, che il giudice dell’esecuzione ripristini in luogo del terzo il debitore
nella custodia – ad esempio giacché il conduttore ha rilasciato l’immobile alla
scadenza – e lo autorizzi al contempo ad abitare l’immobile [Cfr. nello stesso senso P.
CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, Milano, 2006, 577, secondo cui
“se, al momento del pignoramento, il debitore non abita nell’immobile pignorato l’abitazione di
sicuro non continua ma, se mai, può aver luogo per la prima volta. Poiché, però, pur sempre si
tratta di realizzare lo stesso fine umanitario, non direi che l’ipotesi è sostanzialmente diversa”].
L’autorizzazione ex art. 560, 3° co., c.p.c. può essere accordata al debitore anche
nell’evenienza in cui il cespite pignorato non abbia destinazione abitativa.
Sussistono infatti gli estremi per una plausibile interpretazione estensiva della
voce verbale “abitare” ricompresa nel dettato codicistico.
D’altronde il giudice dell’esecuzione potrebbe considerare più che opportuno
facultare l’esecutato a proseguire nella fruizione dell’immobile staggito adibito a sede
della propria attività d’impresa, qualora la prosecuzione della medesima attività possa
consentire il pagamento delle ragioni di credito esecutivamente azionate o consentire
una più utile e proficua vendita del cespite.
Il g.e. comunque, previa ben vero audizione delle parti e degli altri interessati, può
in ogni tempo revocare l’autorizzazione in precedenza accordata, pur, si badi, in
assenza di motivi che propriamente varrebbero a giustificare la destituzione del
debitore dalla custodia ope legis devolutagli, può disporre cioè la revoca in presenza
di mere ragioni di opportunità, di segno antitetico, naturalmente, rispetto a quelle che
avevano in precedenza suggerito il rilascio dell’autorizzazione.
4.1. La custodia “giurisdizionale”.
L’art. 559 c.p.c. contempla altresì delle forme di custodia ope iudicis.
Trattasi delle ipotesi di custodia cosiddetta “giurisdizionale” [Cfr. in tal senso G.
ARIETA – F. DE SANTIS, L’esecuzione forzata, II, in Trattato di diritto processuale civile, a
cura di L. Montesano e G. Arieta, cit., 2007, 1168], il cui profilo comune è costituito dalla
necessaria assunzione dell’ufficio da parte di persona diversa dal debitore.
In siffatte evenienze il debitore, pur conservando la proprietà dell’immobile, è
privato del potere di godimento e di amministrazione del cespite.
Le ipotesi di custodia ope iudicis sono tre.
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In primo luogo la custodia, di cui agli artt. 559, 2° co., prima parte, e 559, 3° co.,
c.p.c., disposta dal giudice dell’esecuzione su istanza del creditore pignorante, di un
creditore intervenuto ovvero ex officio, previa audizione del debitore, delle altre parti
e di ogni ulteriore interessato.
Evidentemente il giudice dell’esecuzione è chiamato a vagliare le ragioni di
legittimità e di opportunità che all’uopo si prospettano.
In secondo luogo la custodia, di cui all’art. 559, 2° co., seconda parte, c.p.c.,
parimenti rimessa al giudice dell’esecuzione, che, previa audizione delle parti e degli
eventuali interessati, vi provvede ex officio o ad istanza di parte sulla scorta del puro e
semplice riscontro di una data situazione di fatto, ossia del riscontro dell’occupazione
dell’immobile, ancorché con titolo opponibile, da parte di soggetto diverso dal
debitore.
Si è precisato che è sufficiente acquisire in qualsiasi modo notizia che l’immobile
è occupato da persona diversa dal debitore - la notizia è solitamente assunta per il
tramite dell’esperto nominato per gli accertamenti di cui all’art. 173 bis disp. att. c.p.c.
- perché si possa far luogo alla nomina di un custode terzo [Cfr. in tal senso G. ARIETA
– F. DE SANTIS, L’esecuzione forzata, II, in Trattato di diritto processuale civile, a cura di L.
Montesano e G. Arieta, Padova, 2007, 1171].
In terzo luogo la custodia, di cui all’art. 559, 4° co., c.p.c., essenzialmente - ma
non esclusivamente - officiosa, demandata all’apprezzamento discrezionale del
giudice dell’esecuzione, sostanziantesi nella nomina di un nuovo custode
rigorosamente in luogo del debitore, qualora il giudice dell’esecuzione, in
considerazione della natura del bene staggito, reputi che la sostituzione rivesta
comunque una qualche utilità.
Tal ultima species si qualifica ulteriormente sia con riferimento al passaggio della
procedura in coincidenza del quale vi si può far ricorso - identificantesi con la
pronuncia dell’ordinanza con cui è autorizzata la vendita o è statuita la delega delle
relative operazioni - sia con riferimento ai soggetti deputati ad assumerla,
necessariamente coincidenti con la persona incaricata di dar attuazione alle operazioni
di liquidazione o con l’istituto di cui all’art. 534, 1° co., c.p.c. [Indubbiamente il
legislatore muove dal presupposto che, addivenutisi alla fase propriamente liquidatoria, un
custode terzo, in luogo del debitore, può più efficacemente adoperarsi affinché i terzi interessati
all’acquisito visionino l’immobile].
Ad ogni modo il giudice dell’esecuzione può esimersi dalla nomina
allorquando pronuncia l’ordinanza di vendita o delega le correlate
unicamente nel caso in cui, in dipendenza della particolare natura
pignorato [Verosimilmente perché di assoluto modesto valore o perché
del custode
operazioni,
del cespite
ispezionabile
agevolmente e senza alcun tipo di supporto da parte degli eventuali soggetti interessati
all’acquisito], la sostituzione del debitore sia sfornita di qualsivoglia utilità [Cfr. in tal
senso G. ARIETA – F. DE SANTIS, L’esecuzione forzata, II, in Trattato di diritto processuale
civile, a cura di Montesano ed Arieta, Padova, 2007, 1173].
4.2. La custodia “giurisdizionale”. Segue: la sostituzione del custode.
L’art. 66, 1° co., c.p.c. statuisce in linea generale che il giudice in ogni tempo,
d’ufficio o su istanza di parte, può disporre la sostituzione del custode.
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Possono distinguersi casi di sostituzione connessi al riscontro di ragioni di
legittimità, casi di sostituzione connessi al riscontro di ragioni di opportunità, casi di
sostituzione connessi al riscontro di ragioni di mera opportunità.
Le sostituzioni del primo tipo son quelle, d’ufficio o su istanza di parte,
riconducibili alla previsione del 3° co. dell’art. 559 c.p.c.: la sostituzione si impone
allorché il custode, eventualmente persona diversa dal debitore, non abbia ottemperato
agli obblighi di legge su di lui incombenti, in via esemplificativa allorché non abbia
domandato il rilascio dell’autorizzazione necessaria ai fini del compimento di un atto
gestorio, non si sia adoperato affinché eventuali interessati all’acquisto del cespite
staggito potessero visitarlo, non abbia provveduto al deposito del conto della gestione
alla scadenza di ogni trimestre ovvero al deposito delle somme disponibili nei modi
stabiliti dal giudice dell’esecuzione.
Fattispecie di sostituzione connessa al riscontro di motivi di legittimità è
certamente quella correlata alla violazione dell’obbligo prefigurato a carico del
debitore occupante l’immobile pignorato, in quanto tale custode ope legis, di
domandare al giudice dell’esecuzione l’indispensabile autorizzazione onde continuare
ad abitarlo [Al riguardo si è puntualizzato che “la sostituzione del debitore nella custodia va
disposta anche quando egli occupi l’immobile senza essere autorizzato. Tanto si desume dall’art.
560 co. 3 c.p.c. nella parte in cui prevede che il giudice dell’esecuzione emette l’ordine di
liberazione quando non ritiene di autorizzare il debitore ad occupare l’immobile ovvero revochi
l’autorizzazione precedentemente accordata”: così A. M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione
forzata, cit., 872. In giurisprudenza cfr. Trib. Milano 21.3.2003, in Giur. it., 2003, 1610, secondo
cui il potere del giudice dell’esecuzione di sostituire il debitore custode ai sensi dell’art. 559, 2°
co., c.p.c. ricorre quando il debitore si sia mostrato inaffidabile violando gli obblighi imposti
dalla legge o quando non sia stato autorizzato a continuare ad abitare l’immobile pignorato].
Nelle ipotesi de quibus, comunque, va senz’altro disposta la comparizione dinanzi
al g.e., oltre che delle altre parti e degli eventuali ulteriori interessati, del custode
surrogando, affinché costui sia posto in condizione di esplicitare le sue difese in
rapporto alle ragioni di legittimità che a suo carico si prospettano [Del resto si è
specificato che “poiché la nomina o la revoca del custode devono essere adottate con ordinanza,
deve ritenersi che la stessa presupponga l’audizione delle parti”: così A. M. SOLDI, Manuale
dell’esecuzione forzata, cit., 874. Nondimeno, per la sostituzione d’ufficio del custode,
allorquando il custode da sostituire non coincida con il debitore, si è ritenuta opportuna, ma non
necessaria la previa instaurazione del contraddittorio, con la convocazione del custode
revocando: cfr. in tal senso G. ARIETA – F. DE SANTIS, L’esecuzione forzata, II, in Trattato di
diritto processuale civile, a cura di L. Montesano e G. Arieta, cit., 1174]. La mancata
comparizione, ovviamente qualora la comunicazione dell’avviso di convocazione sia
stata rituale, in alcun modo osta alla sostituzione [Nell’evenienza in cui il custode
sostituendo si identifichi con la persona del debitore, nulla osta a che la comunicazione gli venga
effettuata presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione, a norma dell’art. 492, 2° co., c.p.c.,
qualora il medesimo debitore esecutato non abbia dichiarato la residenza o eletto domicilio in
uno dei comuni del circondario ove ha sede lo stesso g.e.].
Le sostituzioni del secondo tipo sono da inquadrare essenzialmente nell’ambito
della previsione della prima parte del 2° co. dell’art. 559 c.p.c..
Al riguardo occorre tener conto che il custode deve dar ragione pur del merito
della sua azione, dei risultati conseguiti, sicché nell’esplicazione della sua potestas
gerendi deve osservare anche l’obbligo di “soddisfacente amministrazione”, obbligo
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del pari di valenza giuridica, la cui inottemperanza, tuttavia, può esser sanzionata
esclusivamente con la sostituzione e non con il risarcimento del danno.
La sostituzione connessa al riscontro di ragioni di opportunità, di convenienza,
oltre che d’ufficio ovvero su istanza del creditore pignorante o di un creditore
intervenuto, può, giusta la previsione dell’art. 66, 2° co., c.p.c., esser disposta anche
su richiesta del medesimo custode avente diritto al compenso; in tal ultima evenienza,
nondimeno, è necessario che le ragioni di opportunità addotte si qualifichino come
“giusti motivi” [Cfr. art. 66, 2° co., seconda parte, c.p.c.].
Fattispecie di sostituzione connessa al riscontro di motivi di convenienza è senza
dubbio quella di cui al 2° co., seconda parte, dell’art. 559 c.p.c.: l’occupazione
dell’immobile da parte di un soggetto diverso dal debitore - nell’ipotesi de qua il
custode da surrogare si identifica necessariamente con la persona del debitore impone l’opportunità di attivarsi prontamente onde assicurare alla procedura il
corrispettivo dell’aliena detenzione dell’immobile [Si tenga conto che, ai sensi dell’art.
820, 3° co., c.c., il corrispettivo delle locazioni rientra tra i frutti civili, frutti cui si estende ope
legis - ex art. 2912 c.c. - il pignoramento].
Specie ulteriore di sostituzione del tipo in disamina è quella - non oggetto di
puntuale prefigurazione legislativa - ricollegabile allo stato di non occupazione
dell’immobile subastato [Si è anticipato che la custodia “legale” compete al debitore, in
quanto costui occupi l’immobile; altresì, che l’occupazione dell’immobile da parte di un terzo
impone ex lege la sostituzione del debitore e la nomina a custode di una persona diversa].
In simile evenienza è più che opportuno sollevare il debitore dalle funzioni
custodiali ed affidarle ad una persona diversa, non solo perché quest’ultima provveda
efficacemente alla conservazione dell’immobile, sibbene perché attenda alla sua
amministrazione con il massimo profitto, assicurando alla procedura i frutti che dal
cespite possono esser ritratti.
Nelle ipotesi di sostituzione de quibus va del pari disposta la comparizione
dinanzi al g.e., oltre che delle parti e degli eventuali ulteriori interessati, del custode
surrogando, onde consentirgli di addurre le proprie ragioni in ordine ai motivi di
opportunità che si prospettano. La mancata comparizione, in caso di rituale
comunicazione dell’avviso di convocazione, analogamente non è di ostacolo alla
sostituzione.
Sostituzione connessa al riscontro di ragioni di mera opportunità è senza dubbio
quella, di cui all’art. 66, 2° co., c.p.c., suscettibile di esser disposta su istanza,
formulabile in ogni tempo, dello stesso custode, beninteso in quanto non abbia diritto
al compenso [Altrimenti, siccome si è anticipato, l’istanza ha da fondarsi imprescindibilmente
sulla prospettazione di “gravi motivi”].
E parimenti può essere reputata di tale species la sostituzione di cui all’art. 559, 4°
co., c.p.c..
5. La forma ed il regime dei provvedimenti di sostituzione e nomina del
custode.
I provvedimenti di nomina e sostituzione sono pronunciati con ordinanza
espressamente qualificata come non impugnabile dagli artt. 559, ult. co., e 66, ult. co.,
c.p.c..
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Del resto, in epoca antecedente alla “riforma”, il Supremo Collegio si era
espresso nel senso della natura meramente conservativa, a contenuto ordinatorio e non
decisorio, delle ordinanze de quibus e su tale scorta ne aveva disconosciuto la
ricorribilità per cassazione ex art. 111 Cost. [Cfr. Cass. 14.10.1992, n. 11201; cfr. altresì
Cass. 27.7.1996, n. 6812, con specifico riferimento all’ordinanza di nomina del custode dei beni
sottoposti a sequestro giudiziario].
Dal canto suo la dottrina aveva escluso pur l’esperibilità del rimedio
dell’opposizione agli atti esecutivi, giacché la nomina del custode non si sarebbe
connotata alla stregua di un vero e proprio atto esecutivo [Cfr. in tal senso S. SATTA,
Commentario al codice di procedura civile, III, Milano, 1959 – 1971, 476].
Nondimeno si è puntualizzato, in primo luogo, che, “dopo che l’esperienza delle
<prassi virtuose> e la novella legislativa hanno indicato nella sostituzione del debitore
nella custodia una delle condizioni essenziali per l’efficienza della vendita forzata,
pare difficile sostenere che l’ordinanza ex art. 559 c.p.c. non sia volta all’attuazione
della pretesa esecutiva” [Così G. FANTICINI, La custodia dell’immobile pignorato, in La
nuova esecuzione forzata dopo la l. 18 giugno 2009, n. 69, diretta da P.G. Demarchi, cit., 588 s.]
ed, in secondo luogo, che, “se si ammette la natura prettamente esecutiva di tali
provvedimenti, deve conseguentemente ammettersi l’opposizione ex art. 617 c.p.c.
quanto meno per motivi di legittimità, mentre più delicata appare l’opponibilità per
motivi di opportunità” [Così G. FANTICINI, La custodia dell’immobile pignorato, in La
nuova esecuzione forzata dopo la l. 18 giugno 2009, n. 69, diretta da P.G. Demarchi, cit., 589.
L’A. soggiunge che “l’assoluta inoppugnabilità dell’ordinanza rischia di spingere l’art. 559, 6°
co., c.p.c. (così come l’art. 560, 3° co., c.p.c.) verso una possibile… dichiarazione di
incostituzionalità:..”. Cfr., altresì, G. ARIETA – F. DE SANTIS, L’esecuzione forzata, II, in
Trattato di diritto processuale civile, a cura di L. Montesano e G. Arieta, cit., 1176, secondo cui
le ordinanze de quibus sarebbero comunque suscettibili di opposizione ex art. 617 c.p.c., “le
quante volte il provvedimento sia adottato in violazione dei principi sanciti dai primi quattro
commi dell’art. 559 c.p.c….., né possa – anche se si tratta di un’eventualità certamente rara –
inibire, maiore ratione, l’esperimento del ricorso straordinario per cassazione, ove il
provvedimento incida in maniera definitiva su diritti soggettivi perfetti”].
Nel solco in tal guisa segnato appare corretto, in ultima analisi, intendere il regime
di non impugnabilità espressamente sancito per le ordinanze de quibus quale atto a
precludere unicamente la deducibilità, con il rimedio di cui all’art. 617 c.p.c., di vizi e
di ragioni di opportunità; al contempo, quale atto a precludere tout court il ricorso per
cassazione ex art. 111 Cost., similmente a quanto accade, pur sul terreno del diritto
fallimentare riformato, per l’ordinanza ex art. 37, 3° co., l.fall. con cui la corte
d’appello abbia confermato la revoca del curatore pronunciata in primo grado ovvero
abbia provveduto a disporla a modifica del provvedimento reclamato.
Va evidenziato, per altro verso, che, in dipendenza del disposto dell’art. 177, 2°
co., n. 3, c.p.c., ove é sancito che “non sono modificabili né revocabili dal giudice che
le ha pronunciate… le ordinanze dichiarate espressamente non impugnabili dalla
legge” [L’art. 487, 2° co., c.p.c. dispone testualmente che “per le ordinanze del giudice
dell’esecuzione si osservano le disposizioni degli articoli 176 e seguenti in quanto applicabili e
quella dell’articolo 186”], potrebbe sussistere margine per reputar irrevocabili e
immodificabili le ordinanze in tema di custodia.
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In ossequio al limite che nel corpo dell’art. 487, 2° co., c.p.c. è espresso
dall’inciso “in quanto applicabili”, è condividere viceversa l’antitetico postulato
esegetico.
A parte il rilievo per cui nella giurisprudenza del Supremo Collegio trova
riscontro l’indirizzo favorevole alla revocabilità, alla modificabilità delle ordinanze
in disamina [Cfr. Cass. 27.7.1996, n. 6812, secondo cui l’ordinanza di nomina del custode dei
beni sottoposti a sequestro giudiziario, in quanto priva del requisito della decisorietà, esplica
effetti unicamente sul piano processuale ed è comunque sempre revocabile e modificabile], non
può non rimarcarsi, in linea con la più attenta dottrina [Cfr. G. FANTICINI, La custodia
dell’immobile pignorato, in La nuova esecuzione forzata dopo la l. 18 giugno 2009, n. 69, diretta
da P.G. Demarchi, cit., 588 s.], che è la medesima legge, segnatamente gli artt. 66 e 559
c.p.c., che ammettono la modificabilità o revocabilità delle ordinanze de quibus, nella
misura in cui contemplano espressamente la possibilità di sostituzione, ope iudicis,
del custode già investito per motivi di legittimità, di opportunità ovvero di mera
opportunità.
6. La scelta del custode nelle ipotesi di custodia “giurisdizionale”.
L’art. 179 ter disp. att. c.p.c., rubricato “elenco dei professionisti che provvedono
alle operazioni di vendita”, reca esplicita prefigurazione delle categorie professionali notai, avvocati, dottori commercialisti ed esperti contabili - nel cui ambito vanno
prescelti i soggetti ai quali può esser delegato l’espletamento delle operazioni di
vendita dei beni immobili pignorati.
L’art. 559 c.p.c., invece, non detta alcun analoga indicazione.
Più esattamente, al riguardo, va debitamente rimarcato, per un verso, che, ai sensi
dell’art. 559, 4° co., c.p.c., allorquando pronuncia l’ordinanza con cui autorizza la
vendita o delega le relative operazioni, il giudice dell’esecuzione è vincolato - ben
vero, qualora sino a tale passaggio procedurale si sia protratta la custodia devoluta ex
lege al debitore - ad officiare quale custode il medesimo professionista ovvero il
medesimo istituto incaricato per la vendita [La circostanza, del resto, la si è già anticipata].
Per altro verso, che va di certo condiviso il rilievo per cui, “quando, prima
dell’adozione dell’ordinanza di vendita o di delega, la custodia del bene sia stata
affidata ad un soggetto terzo in sostituzione del debitore… appare.. opportuno che la
custodia continui ad essere esercitata dal soggetto già incaricato” [Così A. M. SOLDI,
Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 873].
Il soggetto investito della custodia può senz’altro rifiutare l’incarico [ Cfr. G.
FANTICINI, La custodia dell’immobile pignorato, in La nuova esecuzione forzata dopo la l. 18
giugno 2009, n. 69, diretta da P.G. Demarchi, cit., 591.].
L’incarico, giacché munus pubblicum, è da accettare formalmente e per iscritto.
Nulla osta, tuttavia, a che l’incarico sia accettato per facta concludentia, mercé il
compimento da parte del custode nominato di un atto che presuppone necessariamente
l’accettazione dell’investitura. E ciò tanto più che il custode, a differenza dell’esperto
e dello stimatore, tenuti ex art. 161 disp. att. c.p.c. a prestar giuramento di bene e
fedelmente procedere alle operazioni ad essi affidate, non è tenuto ad assolvere simile
preliminare incombenza.
E’ da escludere, comunque, che il giudice dell’esecuzione sia vincolato ad
officiare l’istituto di cui all’art. 534, 1° co., c.p.c., qualora il professionista - notaio,
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avvocato, dottore commercialista od esperto contabile - in primo luogo prescelto per
l’espletamento delle operazioni di vendita e per la custodia declini l’incarico; nulla
osta, cioè, a che si dia incarico ad un secondo e diverso professionista, anziché
all’istituto vendite giudiziarie.
Con il potere di scelta e di nomina del custode interferiscono le disposizioni del
r.d. 16.3.1942, n. 267, e succ. modif., allorché sopraggiunga il fallimento
dell’esecutato ed il curatore del fallimento non rivolga al giudice dell’esecuzione, a
norma dell’art. 107, 6° co., l.fall., istanza per la declaratoria di improcedibilità della
procedura esecutiva ai sensi del’art. 51 l.fall. [In simile evenienza la sostituzione del
curatore al creditore procedente opera di diritto, senza cioè che sia necessario un formale
intervento nell’esecuzione da parte dell’organo gestorio del fallimento, e l’esecuzione singolare
in ogni caso prosegue a beneficio della collettività dei creditori: cfr. in tal senso Cass. 16.7.2005,
n. 15103, e Cass. 15.4.1999, n. 3729].
Ebbene a tal proposito - e, si badi, pur quando il creditore procedente abbia veste,
ex art. 38 dec. lgs. 1.9.1993, n. 385, di creditore fondiario, come tale abilitato ad
iniziare e proseguire, ex art. 41, 2° co., dello stesso dec. lgs. n. 385/1993, l’azione
esecutiva singolare nonostante il fallimento dell’esecutato - non possono che essere
reiterate le indicazioni altrove espresse quantunque al cospetto di un antitetico
insegnamento del giudice del diritto [Ci si riferisce a Cass. 2.6.1994, n. 5352, secondo cui
nell’azione esecutiva individuale, iniziata o proseguita durante il fallimento del debitore, da un
istituto di credito fondiario, secondo le disposizioni eccezionali di cui al r.d. n. 646/1905 - ancora
vigenti alla data dell'entrata in vigore della legge 6.6.1991, n. 175 (abrogata soltanto a far data
dall’1.1.1994 dal testo unico di cui al dec. lgs. 1.9.1993, n. 385, e recante la revisione della
normativa in tema di credito fondiario), il cui art. 17, anche per i prestiti concessi in base alla
medesima legge, richiama la disciplina del procedimento esecutivo risultante dal succitato r.d.
del 1905 - il potere di nominare o sostituire il custode dei beni pignorati spetta, non già al giudice
delegato al fallimento, bensì a quello dell’esecuzione immobiliare, il quale, non è tenuto a
conferire tale incarico al curatore del fallimento, consentendo la legge la coesistenza delle due
procedure ed essendo, pertanto, quella individuale regolata dal codice di rito, per la parte non
disciplinata dalle richiamate disposizioni speciali, con la conseguenza che resta fermo il
provvedimento di nomina del custode, il quale, pur non impugnabile né revocabile (artt. 66 e 177
c.p.c.), è, tuttavia, suscettibile di modifiche per fatti sopravvenuti nel corso dell’esecuzione (art.
487 c.p.c.].
Più esattamente le indicazioni per cui “la potestas gerendi istituzionalmente
devoluta al custode non può che risultar assorbita dalla più generale potestà di
amministrazione dell’intero patrimonio fallimentare che l’art. 31 l.fall. devolve al
curatore” [Così L. ABETE, Creditore fondiario ed ufficio fallimentare: le reciproche
prerogative, il relativo rapporto e le correlate conseguenze, nota a Cass. 8.9.2011, n. 18436, in
Fall., 2012, 326]; sicché “non solo rischia di risultar contra legem, oltre che del tutto
inutile, la possibilità che il giudice dell’esecuzione attenda alla nomina di un custode
distinto dalla persona del curatore - perfino nell’evenienza, oggetto di astratta
prefigurazione nella seconda parte del 2° co. dell’art. 559 c.p.c., in cui l’immobile sia
occupato da un soggetto diverso dall’esecutato fallito - giacché un amministratore
terzo - e pubblico ufficiale - già vi è, identificandosi, appunto, con il titolare
dell’organo della procedura fallimentare, ossia della procedura esecutiva concorsuale
principale, ma risulterebbe in pari tempo del tutto superfluo investire dell’ufficio di
custode il medesimo curatore” [Così L. ABETE, Creditore fondiario ed ufficio fallimentare:
le reciproche prerogative, il relativo rapporto e le correlate conseguenze, cit.. Nell’eventualità
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in cui l’immobile staggito sia nella disponibilità di un soggetto distinto dall’esecutato fallito,
sarà il curatore fallimentare, ai sensi dell’art. 41, 3° co., dec. lgs. n. 385/1993, che
nell’ambito della proseguenda esecuzione attenderà alla percezione delle rendite degli
immobili ipotecati in favore dell’istituto di credito fondiario ed al loro susseguente
versamento alla stessa banca].
In questa medesima occasione, anzi, si è soggiunto che “appare più che legittimo,
più che opportuno che il giudice dell’esecuzione faccia luogo alla formale revoca
dell’incarico di custode in precedenza - antecedentemente alla dichiarazione di
fallimento - affidato ad un soggetto terzo distinto dalla persona dell’esecutato poi
fallito. In fondo la sopravvenuta nomina del curatore fallimentare può essere intesa
come una sorta di sostituzione officiosa del custode in precedenza incaricato dal
giudice dell’esecuzione, seppur operata dal tribunale fallimentare e non già dal
medesimo giudice che ha precedentemente atteso alla investitura” [Così L. ABETE,
Creditore fondiario ed ufficio fallimentare: le reciproche prerogative, il relativo rapporto e le
correlate conseguenze, cit.].
7.1. Funzioni del custode: gestione ordinaria e straordinaria.
A norma dell’art. 65, 1° co., c.p.c. al custode è affidata la conservazione e
l’amministrazione dei beni pignorati.
A norma, altresì, dell’art. 560, ult. co., seconda parte, c.p.c. il custode provvede,
previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione, all’amministrazione ed alla
gestione dell’immobile pignorato.
A norma, ancora, dell’art. 560, 2° co., c.p.c. al custode è fatto divieto di dare in
locazione l’immobile pignorato, se non vi è autorizzazione del giudice
dell’esecuzione.
Il medesimo art. 560, ult. co., c.p.c. offre enunciazione di un’attività tipica del
custode: costui deve adoperarsi, in conformità alle modalità stabilite dal giudice
dell’esecuzione con l’ordinanza con cui è disposta la vendita, affinché coloro che sono
interessati alla presentazione di offerte di acquisto, possano visionare l’immobile
subastato.
A tal ultimo riguardo, in particolare, si è precisato che “è implicito… che il
custode…. dia ai potenziali offerenti una disponibilità professionale, che va
certamente al di là dell’accompagnamento alla visita dell’immobile e si estenda a
fornire ogni informazione e/o documentazione che sia richiesta o comunque utile alla
ostensione delle caratteristiche dell’immobile” [Così G. ARIETA – F. DE SANTIS,
L’esecuzione forzata, II, in Trattato di diritto processuale civile, a cura di L. Montesano e G.
Arieta, cit., 1183; gli AA. soggiungono che l’esigenza di segretezza correlata alle offerte di
acquisto impone “che il custode disciplini il calendario delle visite all’immobile staggito in
maniera tale che i potenziali offerenti non entrino in contatto tra di loro”].
In ogni caso analitica ed articolata tipizzazione delle attività demandate al custode
è rinvenibile all’art. 2, 2° co., del d.m. 15.5.2009, n. 80, recante “regolamento in
materia di determinazione dei compensi spettanti ai custodi dei beni pignorati”.
Il quadro normativo testé sinteticamente delineato consente innanzitutto di
individuare la finalità della custodia.
Propriamente la conservazione del cespite staggito, positivamente affermata al 1°
co. dell’art. 65 c.p.c., rappresenta il connotato che imprescindibilmente concorre a
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caratterizzare in chiave teleologica il potere di amministrazione al medesimo
ausiliario demandato.
Nondimeno occorre tener conto che il pignoramento, a norma dell’art. 2912 c.c.,
comprende non solo gli accessori e le pertinenze, ma anche i frutti della res pignorata,
specificamente, non solo i frutti, naturali e civili ex art. 820 c.c., che la medesima
res produce, ma evidentemente anche i frutti, naturali e civili, ulteriori che
l’immobile pignorato è in grado di generare attraverso il diligente apporto
dell’opera di colui che ne ha la gestione.
In tal guisa la finalità conservativa della custodia non può esser intesa in mere
forme “statiche”, ma va concepita in forme più ampie, in forme “dinamiche”, quale
salvaguardia della piena attitudine della res a generare “valore aggiunto” [Cfr. al
riguardo G. FANTICINI, La custodia dell’immobile pignorato, in La nuova esecuzione forzata,
diretta da P.G. Demarchi, cit., 566].
Dal canto suo l’amministrazione dell’immobile non può che riflettere siffatta
duplice connotazione della finalità conservativa della custodia, sicché l’atto gestorio
proteso alla mera percezione delle utilità che l’immobile già di per sé, recte
indipendentemente e da epoca antecedente all’iniziativa del custode, produce, è da
qualificare atto di ordinaria gestione, l’atto gestorio proteso alla produzione di
ulteriore “valore aggiunto”, valore che, quindi, è destinato - se del caso - a scaturire
dall’iniziativa del custode, è da qualificare atto di straordinaria gestione.
L’enunciata diversificazione, al contempo, rispecchia e si risolve nella
duplicazione, ampiamente condivisa, degli atti di amministrazione in ordinari e
straordinari, a seconda che l’iniziativa gestoria non implichi alcun pericolo di
menomazione del valore patrimoniale dell’immobile pignorato ovvero esponga a
repentaglio il medesimo valore.
Si è anticipato che il letterale dato normativo prefigura tout court per ogni atto
gestorio la necessità della previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione, tant’è che
si è affermato che “in sostanza…. l’autorizzazione del giudice è necessaria per ogni
atto” [Così A. M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 879].
Ciò nonostante il dato positivo non può esser inteso sic et simpliciter.
Invero un’opzione ermeneutica rigorosamente ancorata al dato letterale non
solo risulterebbe in contrasto con la valorizzazione della figura del custode, che il
legislatore della “riforma” ha indiscutibilmente inteso operare, non solo varrebbe, per
giunta con riferimento alle attività ex se inidonee ad esporre a repentaglio il valore
dell’immobile pignorato, a ritardare ed a frapporre inutili ostacoli alla rapida ed
efficiente gestione della res staggita, ma eliminerebbe del tutto i margini per la
possibile configurazione di ipotesi di responsabilità civile del medesimo ausiliario responsabilità pur astrattamente contemplata all’art. 67, 2° co., c.p.c. - qualora della
nozione di autorizzazione [Sulla scia dell’insegnamento espresso dalla dottrina del diritto
fallimentare in relazione all’originaria disciplina di cui al r.d. n. 267/1942: cfr. R.
PROVINCIALI, Trattato di diritto fallimentare, I, cit., 684, secondo cui “tutte le volte che, nella
legge vigente, trovasi scritto che il giudice <autorizza>, devesi, con maggiore aderenza al
sistema e alla realtà, leggere che il giudice <dispone>, <ordina>, o simili”. In giurisprudenza cfr.
espressamente in tal senso App. Milano 7.3.1969, in Dir. fall., 1969, II, 281] dovesse
patrocinarsi la qualificazione in guisa di ordine, di disposizione, sicché la paternità
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della determinazione gestoria sarebbe in ogni caso da ascrivere al giudice
dell’esecuzione e non già all’ausiliario.
In questi termini vanno senza dubbio accolti il rilievo per cui l’attività di ordinaria
gestione non abbisogna di autorizzazione del giudice dell’esecuzione [Cfr. in tal senso
G. ARIETA – F. DE SANTIS, L’esecuzione forzata, II, in Trattato di diritto processuale civile, a
cura di L. Montesano e G. Arieta, cit., 1177, secondo cui la disposizione dell’art. 560 c.p.c.
“individua un’area di poteri <minimali> del custode che egli può esercitare senza autorizzazione:
si tratta di poteri intesi alla conservazione del bene, attinenti a quegli obblighi di gestione e di
conservazione del bene..”. In senso analogo cfr. G. FANTICINI, La custodia dell’immobile
pignorato, in La nuova esecuzione forzata dopo la l. 18 giugno 2009, n. 69, diretta da P.G.
Demarchi, cit., 606, secondo cui “ha… un suo pregio il prospettato mantenimento di una
suddivisione tra i) i poteri minimali di conservazione e <piccola amministrazione>
dell’immobile – attinenti alla funzione di conservazione in senso stretto – i quali non richiedono
autorizzazione giudiziale e ii) gli atti di amministrazione e gestione del bene, per i quali è invece
necessario un provvedimento autorizzativo….”] nonché il rilievo ulteriore per cui, traendo
spunto dalla seconda parte del 1° co. dell’art. 676 c.p.c., rubricato “custodia nel caso
di sequestro giudiziario”, siffatta attività, al più, potrebbe essere oggetto della potestà
di direzione del g.e., ossia esplicarsi nel solco di direttive generali dettate dal
medesimo giudice.
L’attività di straordinaria gestione, viceversa, deve in ogni caso reputarsi
subordinata alla preventiva autorizzazione del giudice dell’esecuzione [Cfr. in tal senso
G. ARIETA – F. DE SANTIS, L’esecuzione forzata, II, in Trattato di diritto processuale civile, a
cura di L. Montesano e G. Arieta, cit., 1180].
Del resto - lo si è premesso - l’art. 560, 2° co., c.p.c. espressamente richiede per
la concessione in locazione dell’immobile pignorato, tipico atto eccedente l’ordinaria
gestione, l’autorizzazione del g.e..
All’art. 171 disp. att. c.p.c., comunque, è previsto espressamente che il giudice
dell’esecuzione provveda a sentire le parti e gli altri interessati prima di impartire le
autorizzazioni che il custode sollecita.
7.2. Funzioni del custode: gestione ordinaria e straordinaria. Segue.
Nel quadro testé delineato la difficoltà ricostruttiva che in forma pregnante si
prospetta, attiene tuttavia alla determinazione dell’esatta valenza che riveste
l’autorizzazione riservata al giudice dell’esecuzione e, prima ancora,
all’individuazione del soggetto titolare del potere di concepire l’atto gestorio.
Costituisce al contempo mero corollario della prefigurata asperità esegetica quello
concernente la natura del vizio che inficia l’atto, ovviamente di straordinaria gestione,
compiuto dal custode in assenza di autorizzazione del g.e..
Più esattamente c’è da chiedersi se la potestà di concepire l’atto gestorio
spetti al giudice dell’esecuzione, sicché l’autorizzazione ha valenza di vera e propria
disposizione, di ordine, ovvero competa al custode, sicché l’autorizzazione del g.e.
vale semplicemente a rimuovere un ostacolo all’esercizio di una prerogativa propria
del medesimo ausiliario.
Preferibile, nel solco dell’operata valorizzazione della figura del custode ed in
linea con la tendenziale estromissione dell’autorità giudiziaria da compiti stricto sensu
gestori, quale indiscutibilmente attuata dalla “riforma” del fallimento, appare la
seconda soluzione, cosicché è senz’altro l’ausiliario che, in quanto abilitato a
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concepire le scelte gestorie, sia ordinarie che straordinarie, ha la paternità dell’atto e,
nonostante la disposta autorizzazione, ne è appieno responsabile.
Evidentemente, giacché concepire “il da farsi” non può che risolversi nel
compimento di valutazioni e di legittimità e di opportunità, va ulteriormente
puntualizzato che il riscontro preventivo demandato, sub specie di autorizzazione, al
giudice dell’esecuzione, attesa la sostanziale sua estraneità rispetto all’ambito
gestorio, inerisce al solo piano della legittimità, ben vero sia formale che sostanziale,
ossia al solo piano della conformità a legge della scelta di straordinaria gestione che il
custode ha da sottoporre, appunto, al preliminare vaglio dell’organo giudiziario.
Ne discende, per un verso, che il giudice ha da riscontrare pur il rispetto delle
elementari regole di buona amministrazione, attinenti alla sfera della legittimità
sostanziale e non al merito [Nell’esplicazione della sua potestà gestoria il custode deve
uniformarsi senza dubbio agli elementari principi di regolare amministrazione: trattasi di un
obbligo di legge che naturalmente inerisce a qualsivoglia potere di amministrazione, ex lege aut
ex contractu, degli altrui beni. Il rispetto di questo limite, tuttavia, concerne la legittimità non già
il merito; conseguentemente la sua osservanza, in rapporto all’attività eccedente l’ordinaria
gestione, è salvaguardata dal giudice dell’esecuzione mercé il potere di autorizzazione di cui la
medesima autorità giudiziaria è investita]; per altro verso, che, ancorché autorizzato, il
custode conserva la paternità dell’atto, sicché, se foriero di pregiudizio per i terzi, ne è
in toto responsabile ex art. 67, 2° co., c.p.c.; nonostante la conseguita autorizzazione,
cioè, il custode dovrà di certo astenersi dal darvi esecuzione.
D’altro canto l’atto gestorio eccedente l’ordinaria gestione posto in essere dal
custode in difetto della necessaria autorizzazione del giudice dell’esecuzione è senza
dubbio valido, supportato com’è dalla manifestazione di volontà dell’ausiliario
abilitato a concepirlo; nondimeno è inopponibile al pignorante, agli ulteriori creditori
ed all’esecutato, a meno che non decorra vanamente il termine di venti giorni
prefigurato per l’esperimento del rimedio dell’opposizione agli atti senza che la
medesima opposizione risulti proposta [Al riguardo cfr. Cass. 14.7.2009, n. 16375, secondo
cui la locazione di un bene sottoposto a pignoramento stipulata senza l’autorizzazione del
giudice dell’esecuzione, in violazione dell’art. 560 c.p.c., non comporta l’invalidità del contratto
ma solo la sua inopponibilità ai creditori e all’assegnatario, precisandosi che il contratto così
concluso non pertiene al locatore - proprietario esecutato, ma al locatore - custode, e che le
azioni da esso scaturenti devono essere esercitate dal custode].
In tal ultima evenienza l’atto, benché originariamente esposto al rischio
dell’inefficacia, acquista senz’altro l’attitudine a produrre in via definitiva gli
effetti suoi propri.
In ogni caso il sopravvenire dell’autorizzazione del g.e., successivamente al
compimento dell’atto di straordinaria gestione, importa sanatoria ex tunc del vizio –
d’inefficacia - che ab origine lo inficiava [Cfr. in tal senso A. M. SOLDI, Manuale
dell’esecuzione forzata, cit., 879].
7.3. Funzioni del custode: gestione ordinaria e straordinaria. Segue.
Si reputa solitamente che il custode abbia da attendere personalmente al proprio
incarico attesa l’infungibilità del munus publicum devolutogli.
Si ammette, nondimeno, che “il custode… può avvalersi della collaborazione
materiale di ausiliari che lo coadiuvino temporaneamente, sotto il suo personale
controllo e sotto la sua responsabilità, nel compimento di qualche specifica attività. In
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genere… il professionista custode si avvale di un proprio collaboratore” [ Così A. M.
SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 877].
Si esclude, per altro verso, che il medesimo ausiliario sia tenuto al pagamento
delle imposte che hanno a soggetto passivo il titolare del patrimonio o del reddito [E’
il caso dell’ i.c.i., dell’ i.r.per.f.. Cfr. in tal senso G. ARIETA – F. DE SANTIS, L’esecuzione
forzata, II, in Trattato di diritto processuale civile, a cura di L. Montesano e G. Arieta, cit.,
1181].
Viceversa, “se è condivisa l’opinione secondo cui è il custode a dover provvedere
al pagamento dell’imposta di registro, più complessa è la questione relativa agli
obblighi di fatturazione e di versamento dell’I.V.A. sui canoni corrisposti al custode”
[Così G. FANTICINI, La custodia dell’immobile pignorato, in La nuova esecuzione forzata
dopo la l. 18 giugno 2009, n. 69, diretta da P.G. Demarchi, cit., 615; cfr., altresì, G. ARIETA –
F. DE SANTIS, L’esecuzione forzata, II, in Trattato di diritto processuale civile, a cura di L.
Montesano e G. Arieta, cit., 1181, secondo cui, “quanto ai canoni di locazione percepiti e
all’obbligo di versamento dell’Iva o dell’imposta di registro, il regime fiscale segue la natura
giuridica del debitore che resta il soggetto passivo di imposta”. Si veda anche Cass. 11.11.2011,
n. 23620, secondo cui, in caso di sequestro giudiziario di immobili, con nomina di custode ai
sensi dell’art. 676 c.p.c., l’intestatario dell’immobile sequestrato non può considerarsi titolare del
reddito proveniente dall’immobile e, quindi, soggetto passivo dell’imposta sui redditi, perché i
canoni e, in generale, i frutti civili, sono nella disponibilità del custode].
E parimenti si discute in ordine all’operatività per il custode dell’obbligo di
pagamento degli oneri condominiali nonché dell’obbligo di far fronte alle spese di
manutenzione del cespite staggito, rispettivamente, insorti e maturate in epoca
successiva al pignoramento.
Al riguardo si reputa che, qualora - ben vero unicamente qualora - la procedura
ritragga un corrispettivo dal godimento che altri abbia dell’immobile pignorato, la
custodia debba senz’altro con l’attivo e nei limiti dell’attivo realizzato, in
prededuzione, provvedere al pagamento degli ordinari oneri condominiali maturati nel
corso dell’esecuzione e farsi carico delle spese di manutenzione ordinaria
dell’immobile del pari resesi necessarie durante la procedura, beninteso
nell’evenienza in cui a tanto non facciano fronte il conduttore ovvero colui che occupi
l’immobile [A tal proposito, benché si sia evidenziato che “il mancato pagamento degli oneri
condominiali da parte del debitore esecutato si ripercuote iniquamente sugli altri condomini
adempienti”, si è tuttavia rimarcato “che il pagamento in prededuzione andrebbe a detrimento
della massa dei creditori e che attribuirebbe ad un normale credito chirografario un diritto di
prelazione che la legge non gli conferisce”: così G. ARIETA – F. DE SANTIS, L’esecuzione
forzata, II, in Trattato di diritto processuale civile, a cura di L. Montesano e G. Arieta, cit., 1181.
Si tenga conto che, ai sensi dell’art. 63, 2° co., disp. att. c.c., “chi subentra nei diritti di un
condomino è obbligato, solidalmente con questo, al pagamento dei contributi relativi all’anno in
corso e a quello precedente”].
Invero, in sede di commento all’art. 555 c.p.c., si è puntualizzato che la nozione di
frutti, segnatamente di frutti civili, va intesa in guisa di “provento economico” ed,
altresì, che, con specifico riferimento ai frutti ritratti dall’immobile pignorato per il
periodo successivo al pignoramento, appare inevitabile recepire la nozione di
“provento economico” in termini lati, più esattamente al netto delle passività che al
“provento” inevitabilmente ineriscono o, comunque, si accompagnano.
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Ne discende che il corrispettivo della locazione o dell’aliena detenzione
dell’immobile non può che esser conseguito dalla procedura al netto degli oneri che al
medesimo corrispettivo naturaliter si correlano, qualora - si ribadisce - a siffatti oneri
non facciano fronte il conduttore ovvero l’occupante.
Altrettanto evidentemente non è a dirsi con riferimento agli oneri condominiali
ordinari ed alle spese di manutenzione ordinaria, qualora l’immobile pignorato non
produca frutti civili, e con riferimento agli oneri condominiali straordinari ed alle
spese di manutenzione straordinaria, rispettivamente, maturati e destinate ad imporsi
nel corso dell’esecuzione.
Se a tali oneri ovvero a tali esborsi il debitore, il creditore procedente o taluno
degli intervenuti non reputano di provvedere [Il creditore anticipatario ne potrà in sede di
distribuzione domandare il rimborso con il privilegio di cui all’art. 2770, 1° co., c.c.], sarà
inevitabile farne gravare il costo sull’eventuale aggiudicatario. Tuttavia, al fine di non
pregiudicare le possibilità di una pronta vendita dell’immobile subastato, una simile
soluzione, non può che riflettersi sul quantum del prezzo base e suggerirne la
riduzione per un ammontare corrispondente all’esborso sull’eventuale aggiudicatario
destinato a ricadere.
8. La legittimazione processuale del custode.
L’art. 560, ult. co., seconda parte, c.p.c. conferisce esplicitamente al custode la
legittimazione processuale all’esercizio delle azioni previste dalla legge ed occorrenti
per conseguire la disponibilità dell’immobile pignorato.
Risulta in tal guisa recepito l’orientamento giurisprudenziale che già in epoca
antecedente alla “riforma” si era espresso a favore della legittimazione processuale di
tale ausiliario [Cfr. in tal senso Cass. sez. lav. 15.7.2002, n. 10252; Cass. 30.5.2000, n. 7147;
cfr., altresì, Cass. 31.5.2006, n. 7693].
E’ indubitabile, pertanto, che il custode possa agire per conseguire il pagamento
dei canoni non corrisposti dal conduttore dell’immobile [Cfr. in tal senso Trib. Napoli
24.6.1987, in Arch. loc., 1988, 136, secondo cui il custode giudiziario è legittimato
processualmente, anche senza autorizzazione ad hoc del giudice, per tutte le questioni
concernenti l’ordinaria amministrazione e la conservazione dei beni sottoposti a misura
cautelare, prevedendo la legge un’apposita autorizzazione solo per l’ipotesi di cui al 2° co.
dell’art. 560 c.p.c.; ne deriva che non è necessaria autorizzazione per la riscossione dei canoni
locatizi, siccome fatto certamente meno rilevante della stipula di un contratto di locazione e
rientrante tra i compiti fondamentali del custode, che è tenuto a provvedere alla conservazione
anche dei frutti del bene pignorato], per ottenere la convalida dello sfratto per morosità o
per finita locazione [Cfr. in tal senso Cass. 13.12.2007, n. 26238; altresì, Trib. Roma
18.10.2006, in Corr. merito, 2007, 2, 167], per conseguire il rilascio dell’immobile
pignorato occupato senza titolo da un terzo nonché la condanna del medesimo terzo al
pagamento di un’indennità per l’occupazione [Cfr. a tal ultimo riguardo Cass. 24.3.1986, n.
2068; cfr., inoltre, App. Napoli 27.5.2010, secondo cui l’art. 560 c.p.c. prevede che il custode del
bene pignorato può esercitare le azioni previste dalla legge per conseguire la disponibilità del
bene stesso, al custode spetta, pertanto, sul piano sostanziale, la custodia ed amministrazione
della res, sicché un’eventuale azione volta ad ottenere il rilascio dell’immobile ed il pagamento
di un’indennità di occupazione rientra senz’altro ed in via esclusiva nel campo coperto dalla
legittimazione del custode; ne consegue che il proprietario di un bene ormai pignorato non può
agire per conseguire il godimento di quel bene che più non gli compete, ovvero per conseguire il
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pagamento di quel corrispettivo che parimenti non gli spetta, essendo rimasto colpito, unitamente
ai frutti della cosa in genere, dall’intervenuto pignoramento; in tal senso, nel caso concreto, deve
condividersi quanto asserito nella sentenza di prime cure secondo cui l’odierno appellante, quale
proprietario dei beni oggetto di controversia, era privo di legitimatio ad causam, spettante invece
al custode], per ottenere, sopravvenuta la scadenza del contratto di locazione in
pendenza di esecuzione e mancata la tempestiva riconsegna dell’immobile, la
condanna del conduttore al risarcimento del danno da ritardata restituzione nonché al
pagamento della penale al riguardo stabilita nel contratto [Cfr. a tal ultimo riguardo Cass.
12.11.1999, n. 12556].
Altresì è indubitabile che il custode possa esercitare le azioni possessorie [Cfr. a tal
riguardo, seppur con riferimento al custode di beni sottoposti a sequestro giudiziario, Cass.
19.3.1984, n. 1877] e quasi possessorie, far istanza di sequestro [Cfr. in tal senso G.
ARIETA – F. DE SANTIS, L’esecuzione forzata, II, in Trattato di diritto processuale civile, a
cura di L. Montesano e G. Arieta, cit., 1200] ed esperire ricorso ex art. 700 c.p.c..
Per converso si tende a negare che il custode possa esperire le azioni reali [Cfr. in
tal senso Cass. 21.5.1984, n. 3127. In dottrina cfr. A. M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione
forzata, cit., 880].
Tal ultimo assunto suscita qualche perplessità.
In primo luogo il dettato dell’art. 560, ult. co., seconda parte, c.p.c. parla
genericamente di azioni previste dalla legge ed occorrenti per conseguirne la
disponibilità dell’immobile, sicché ogni azione idonea a tale scopo, quale che sia il
titolo - reale o personale - che la sorregge, può essere esperita.
Inoltre, allorquando il custode domanda tout court il rilascio dell’immobile
pignorato in danno di colui che a sua volta lo occupa senza addurre alcun titolo, non
fa altro che esperire l’azione di rivendicazione.
Si è affermato, d’altro canto, che a seguito del pignoramento il debitore esecutato
viene privato della legittimazione all’esercizio delle azioni volte al recupero dei
canoni maturati successivamente [E’ indubitabile, viceversa, che la legittimazione al
recupero dei canoni maturati prima del pignoramento, in quanto estranei all’ambito oggettivo del
medesimo vincolo, permane in capo all’esecutato] alla notifica del pignoramento [Cfr. in tal
senso Cass. 21.6.2011, n. 13587, secondo cui il proprietario locatore di un immobile pignorato,
che ne sia stato nominato custode, è legittimato a promuovere le azioni scaturenti dal contratto di
locazione avente ad oggetto l’immobile stesso solo nella sua qualità di custode e non in quella di
proprietario locatore, essendo il bene a lui sottratto per tutelare le ragioni del terzo creditore; ne
consegue che, se nell’atto introduttivo del giudizio il proprietario locatore non abbia speso la
suddetta qualità, la domanda va dichiarata inammissibile].
Siffatto postulato non può essere incondizionatamente condiviso, giacché,
similmente a quanto accade sul terreno dell’esecuzione fallimentare, deve propendersi
per il permanere della legittimazione in capo al debitore esecutato, allorché il mancato
esercizio dell’azione non sia conseguenza di una consapevole scelta del custode, ma
conseguenza piuttosto di un atteggiamento di mera inerzia.
Analogamente la posizione di terzo ovvero di parte del custode, in relazione al
rapporto sostanziale cui inerisce la vicenda litigiosa, non può che essere determinata
alla stregua dei risultati cui si è pervenuti in ambito fallimentare con riferimento al
curatore.
Allorquando agisce in giudizio, il custode, ancorché avvocato, deve farsi
rappresentare ed assistere da un legale.
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Deve invero ritenersi operante il divieto prefigurato per il curatore all’art. 31, 3°
co., l.fall., sussistendo i margini per una plausibile interpretazione estensiva in
dipendenza del ruolo gestorio dall’uno e dall’altro ausiliario parimenti assolto.
Ovviamente la legittimazione processuale del custode non è null’altro se non la
proiezione della sua potestas gerendi, del suo potere di attendere all’amministrazione
dell’immobile pignorato.
Al contempo la determinazione di agire in giudizio, in quanto atto di straordinaria
amministrazione, idoneo a comportare la diminuzione del controvalore pecuniario del
cespite staggito, deve essere specificamente autorizzata dal giudice dell’esecuzione
[Di contro si è sostenuto che “il custode sia legittimato ad agire, in qualità di attore o convenuto,
anche senza autorizzazione ad hoc del giudice dell’esecuzione, in tutti quei giudizi che
riguardano direttamente l’ordinaria amministrazione e conservazione dei beni a lui affidati”: così
G. ARIETA – F. DE SANTIS, L’esecuzione forzata, II, in Trattato di diritto processuale civile, a
cura di L. Montesano e G. Arieta, cit., 1197].
Mercé il suo potere di autorizzazione il g.e. ne verifica la legittimità, e formale e
sostanziale, ossia, a tal ultimo riguardo, la conformità alle elementari regole di buona
amministrazione.
La scelta del legale è da reputar riservata all’iniziativa del custode, in quanto
anch’essa espressione della sua potestà gestoria.
La legittimazione processuale del custode comunque viene senz’altro meno in
caso di estinzione ed in ogni altra ipotesi di chiusura anticipata del processo esecutivo.
9. L’accesso nell’immobile.
Si è correttamente evidenziato che “l’accesso al bene rappresenta il primo ed
essenziale adempimento per la corretta attività del custode” [Così G. ARIETA – F. DE
SANTIS, L’esecuzione forzata, II, in Trattato di diritto processuale civile, a cura di L.
Montesano e G. Arieta, cit., 1177].
Occorre distinguere a seconda che l’immobile sia occupato dal debitore o da un
terzo.
Nella prima evenienza è necessario differenziare ulteriormente.
Qualora il debitore non frapponga alcun ostacolo all’accesso del custode [Recte del
custode – terzo nominato in sua vece e, successivamente, dell’esperto officiato per gli
accertamenti di cui all’art. 173 bis disp. att. c.p.c.], non si prospetterà evidentemente alcuna
difficoltà [Comunque “al custode spettano… la sorveglianza sull’operato dell’occupante… e la
tempestiva segnalazione di fatti o comportamenti che possono compromettere il bene colpito da
pignoramento affinché il giudice dell’esecuzione possa assumere le conseguenti
determinazioni… e predisporre o autorizzare gli opportuni rimedi…”: così G. FANTICINI, La
custodia dell’immobile pignorato, in La nuova esecuzione forzata dopo la l. 18 giugno 2009, n.
69, diretta da P.G. Demarchi, cit., 611].
Qualora, di contro, il debitore occupante, pur in precedenza autorizzato ad abitare
il cespite, contrasti od impedisca l’accesso, il giudice dell’esecuzione avrà giusto
motivo ex art. 560, 3° co., c.p.c. per revocare l’autorizzazione antecedentemente
accordata e per pronunciare, conseguentemente, l’ordine di liberazione. L’accesso
avverrà dunque sulla scorta ed in esecuzione dell’ordine di liberazione dell’immobile
[In senso contrario cfr. G. FANTICINI, La custodia dell’immobile pignorato, in La nuova
esecuzione forzata dopo la l. 18 giugno 2009, n. 69, diretta da P.G. Demarchi, cit., 608, secondo
cui, “se la detenzione del bene è attuata dal debitore o sine titulo o in forza di un titolo che cede
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alla forza del titolo esecutivo azionato, allora il custode potrà validamente accedere anche
forzosamente…. per il semplice accesso il custode può…. procedere direttamente con l’ausilio di
un fabbro e l’assistenza della forza pubblica”].
Nell’evenienza in cui ad occupare l’immobile sia un terzo, del pari è necessaria
un’ulteriore suddistinzione.
Qualora il terzo che intralcia o impedisce l’accesso, non vanti a fondamento della
sua disponibilità un titolo - reale o personale - opponibile al creditore pignorante, ai
creditori intervenuti nell’esecuzione e, quindi, all’aggiudicatario [ Il titolo reale è
opponibile al creditore pignorante e ai creditori che intervengono nell’esecuzione, giusta la
previsione dell’art. 2915, 1° co., c.c., qualora sia stato trascritto antecedentemente alla
trascrizione del pignoramento, recte, nell’evenienza in cui il pignorante fruisca di prelazione
ipotecaria, qualora - giusta la previsione dell’art. 2812 c.c. - sia stato trascritto antecedentemente
all’iscrizione dell’ipoteca. Il titolo personale è opponibile al creditore pignorante e ai creditori
che intervengono nell’esecuzione, recte, giusta la previsione dell’art. 2923, 1° co., c.c.,
all’acquirente, qualora risulti da atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento;
nondimeno il titolo personale coincidente con un contratto di locazione immobiliare
ultranovennale non trascritto in epoca antecedente al pignoramento, ancorché avente data certa
anteriore, è opponibile, giusta la previsione dell’art. 2923, 2° co., c.c., nei limiti di un novennio
dall’inizio della locazione. Si tenga conto, comunque, che, a norma del dell’art. 2923, 3° co.,
c.c., l’acquirente in sede esecutiva “non è tenuto a rispettare la locazione qualora il prezzo
convenuto sia inferiore di un terzo al giusto prezzo o a quello risultante da precedenti
locazioni”], non si prefigureranno particolari difficoltà: l’accesso potrà avvenire sulla
scorta ed in esecuzione dell’ordine di liberazione dell’immobile che il giudice
dell’esecuzione è indiscutibilmente abilitato - lo si reitererà nel prosieguo - a
pronunciare, ancorché l’art. 560 c.p.c. sia al riguardo silente [In senso difforme cfr. G.
ARIETA – F. DE SANTIS, L’esecuzione forzata, II, in Trattato di diritto processuale civile, a
cura di L. Montesano e G. Arieta, cit., 1177, secondo cui, “se la detenzione del bene è attuata in
forza di un titolo che cede alla forza del titolo esecutivo, allora il custode… potrà effettuare
l’accesso forzoso”].
Qualora, invece, il terzo occupante che ostacola o impedisce l’accesso, vanti a
fondamento della sua disponibilità un titolo - reale o personale - opponibile, non vi è
margine alcuno - siccome si ribadirà - perché sia pronunciato l’ordine di liberazione.
E parimenti, non vi è spazio alcuno per l’emissione dell’ordine di liberazione,
qualora - così come meglio si dirà - il terzo occupante non adduca a fondamento della
sua disponibilità alcun titolo, ossia semplicemente deduca il possideo quia possideo.
Ciò nondimeno deve nelle ultime due evenienze recisamente escludersi che
l’esecuzione subisca la paralisi del suo corso.
In questi termini può correttamente opinarsi nel senso che, sulla scorta della
disposizione generale di cui all’art. 118 c.p.c., rubricato “ordine di ispezione di
persone e di cose” ed inserito - evidentemente - nel libro primo del codice, intitolato,
appunto, “disposizioni generali”, e dell’ulteriore disposizione di cui all’art. 262, 2°
co., c.p.c., scritta sul terreno del processo di cognizione, ma inevitabilmente destinata
a riflettersi pur sul terreno dell’esecuzione forzata, il giudice dell’esecuzione possa
ordinare al terzo occupante, con titolo reale o personale opponibile ovvero senza
titolo, di consentire l’accesso nell’immobile, onde permettere l’ordinario ed ordinato
svolgimento delle incombenze inerenti alla procedura esecutiva, in ogni caso
prefigurando le cautele necessarie perché l’accesso avvenga senza grave danno per il
medesimo terzo, senza violazione di segreti rilevanti a norma del codice di procedura
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penale e senza menomazione degli interessi suoi e dei suoi familiari, e personali e
patrimoniali.
E’ necessario, pertanto, che il g.e. prescriva che l’accesso non avvenga in giorni
festivi o di sabato ed in orari non consoni alla salvaguardia dell’intimità e della
riservatezza della vita domestica.
Nulla osta, inoltre, a che, ai sensi dell’art. 68, ult. co., c.p.c., il g.e. richieda
l’assistenza della forza pubblica e disponga che il custode si avvalga della relativa
autorità nel domandare l’accesso, giammai tuttavia allo specifico scopo di superare,
manu militari, coattivamente, la resistenza che il terzo reputi eventualmente di
frapporre.
In caso di inottemperanza il giudice dell’esecuzione non solo potrà irrogare al
terzo la pena pecuniaria di cui all’ult. co. dell’art. 118 c.p.c., ma, evidentemente,
giacché al riguardo si configura un vero e proprio diritto - pubblico - soggettivo
perfetto dell’ufficio esecutivo all’accesso, potrà senz’altro autorizzare il custode ad
adire con ricorso ex art. 700 c.p.c. l’autorità giudiziaria all’uopo competente, affinché
nel solco appunto dell’art. 700 c.p.c. siano da tale autorità dettati i provvedimenti
necessari per l’accesso e suscettibili, questi ultimi, senza dubbio di esecuzione
coattiva.
10. La liberazione dell’immobile occupato dal debitore.
A norma dell’art. 560, 3° co., c.p.c., siccome d’altronde si è già anticipato, il
giudice dell’esecuzione dispone, in danno del debitore che lo occupa, la liberazione
dell’immobile staggito ovvero di parte dell’immobile staggito, a) quando non ritenga
di autorizzare il medesimo esecutato a proseguire nella detenzione abitativa dello
stesso cespite ovvero di parte dello stesso cespite, b) quando reputi di revocare
l’autorizzazione in precedenza concessa, c) quando attende all’aggiudicazione o
all’assegnazione dell’immobile.
Dal complesso delle enunciate previsioni si evince facilmente che la permanenza
del debitore nell’immobile pignorato è oggetto di un significativo favor, rappresenta
ossia la soluzione da preferire almeno sino al momento dell’aggiudicazione o
dell’assegnazione dell’immobile; tuttavia, addivenuti all’uno o all’altro dei due ultimi
passaggi procedurali, il g.e. è senza dubbio tenuto - e la voce verbale “provvede”
depone innegabilmente in tal senso - ad ordinare la liberazione del cespite, sicché non
ha margine alcuno per determinarsi diversamente.
La ratio dell’opzione legislativa testé riferita è di immediata intuizione: si
ambisce ad incentivare l’interesse all’acquisto e, quindi, ad agevolare la vendita
dell’immobile, prospettandone la pronta fruizione, in quanto libero e non oggetto di
occupazione da parte di terzi, ai possibili offerenti.
Al cospetto del descritto quadro normativo è consequenziale, inoltre, opinar nel
senso che il g.e., antecedentemente all’aggiudicazione ovvero all’assegnazione, avrà
motivo per disporre la liberazione dell’immobile, allorché il debitore esecutato tenga
un comportamento a vario titolo ostruzionistico, sì da risultar immeritevole del
beneficium che la legge gli accorda.
L’ordinanza di liberazione, a norma della prima parte del 4° co. dell’art. 560
c.p.c., ha valenza di titolo esecutivo per il rilascio.
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11. La liberazione dell’immobile “inutilizzato”.
E’ ben possibile che l’immobile pignorato non sia di fatto utilizzato né dal
debitore né da terzi.
Pur in simile evenienza il cespite è comunque oggetto del possesso corpore et
animo dell’esecutato.
Ne discende che, se il debitore ostacola in vario modo l’assolvimento delle
incombenze cui il custode è tenuto, ben può il giudice dell’esecuzione, ancor prima
dell’aggiudicazione ovvero dell’assegnazione dell’immobile, statuire per la
liberazione del cespite, si ché in tal guisa la procedura e, per essa, il custode,
designato ovviamente nella persona di un terzo, ne acquisiscano la piena disponibilità
[Al riguardo si è correttamente posto in risalto che “non appare… condivisibile la tesi secondo
cui il custode potrebbe accedere forzosamente nell’immobile che appaia pacificamente disabitato
con l’ausilio della forza pubblica e di un fabbro, onde provvedere alla sostituzione delle chiavi e
della serratura, ai sensi dell’art. 68 c.p.c.. L’opzione da ultimo prospettata appare, invero,
pericolosa poiché espone il custode al rischio di eseguire un accesso illegittimo in un luogo che
potrebbe non essere del tutto inutilizzato ma, ad esempio, occupato saltuariamente”: così A. M.
SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 882].
Nondimeno, ancorché nessuna forma di ostruzionismo sia ascrivibile al debitore, è
da ritenere che vada sistematicamente ordinata in danno del medesimo esecutato la
liberazione dell’immobile subastato, affinché la procedura ne acquisisca la piena
disponibilità e, possibilmente, percepisca il corrispettivo della fruizione che altri ne
abbia.
Ciò tanto più che, nell’ipotesi in cui il cespite sia “inutilizzato”, non soccorre
l’esigenza, imposta da una più che plausibile logica solidaristica, che suggerisce di
lasciar senz’altro il debitore che lo occupa nel godimento dell’immobile, perché
continui ad abitarlo.
12. La liberazione dell’immobile occupato da terzi.
Nulla prevede l’art. 560 c.p.c. in ordine all’eventualità in cui l’immobile staggito
sia occupato da un terzo.
In proposito non possono che riformularsi i rilievi in precedenza espressi in tema
di accesso nell’immobile.
In primo luogo che nulla osta a che la liberazione sia ordinata pur in danno del
terzo occupante, a condizione tuttavia che costui vanti un titolo reale o personale
inopponibile [Nei termini sanciti - e già debitamente richiamati - dagli artt. 2915, 2812 e 2923
c.c.] al creditore pignorante ed ai creditori intervenuti nell’esecuzione [In tema si è
debitamente sottolineato che “non può… condividersi la tesi di quanti, valorizzando la
formulazione letterale dell’art. 560 co. 3 c.p.c., sostengono che il custode debba provvedere
all’esercizio delle azioni ordinarie di rilascio per conseguire la disponibilità del bene quando
questo sia nella disponibilità, non del debitore, ma di altri”: così A. M. SOLDI, Manuale
dell’esecuzione forzata, cit., 883].
In secondo luogo che la pronuncia dell’ordinanza di liberazione [Si è puntualizzato
che l’ordine di liberazione ha natura di ordinanza: cfr. Cass. 31.5.2010, n. 13202] è senza
dubbio preclusa, allorché il terzo fondi la sua occupazione su di un titolo opponibile,
giacché, se reale, trascritto antecedentemente alla trascrizione del pignoramento o,
addirittura, all’iscrizione dell’ipoteca vantata dal procedente, giacché, se personale,
munito di data certa anteriore alla notificazione del pignoramento.
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“Ne consegue che per conseguire il rilascio dai terzi occupanti in virtù di titolo
opponibile ai creditori è necessario esercitare le azioni giudiziarie previste
dall’ordinamento in relazione alla tipologia del rapporto. Ad esempio, se il conduttore
avente titolo opponibile alla procedura non corrisponde il canone il custode può agire
contro di lui con l’azione di sfratto per morosità” [Così A. M. SOLDI, Manuale
dell’esecuzione forzata, cit., 883. Ovviamente il custode è legittimato ad agire anche in via
cautelare, ante causam ovvero in corso di causa].
In terzo luogo che alla pronuncia dell’ordinanza di liberazione si è impossibilitati,
allorché il terzo occupante non adduca alcun titolo, recte allorché si affermi,
esplicitamente o implicitamente, possessore e non già mero detentore [Il terzo
occupante che non deduce alcun titolo, in realtà non adduce altro che il suo possesso all’uopo
acquistato a titolo originario con l’esercizio di fatto del diritto; ben vero a condizione che la
relazione con la res non sia geneticamente da ricondurre all’altrui disponibilità o cortesia. In
dipendenza, difatti, della “cristallizzazione”, al momento e per effetto della trascrizione del
pignoramento, della situazione giuridica dell’immobile e, quindi, in dipendenza
dell’inopponibilità degli atti dispositivi successivi alla trascrizione del vincolo ex art. 555 c.p.c.,
il possesso dell’immobile staggito acquistato a titolo derivativo sulla scorta di un titolo
derivativo di acquisto della proprietà del medesimo cespite successivo alla trascrizione del
pignoramento, non solo è necessariamente “titolato”, giammai sine titulo, ma non può che esser
inesorabilmente votato (al pari del titolo cui si correla) all’inopponibilità. In senso analogo, cfr.
M. MONTANARO, Commento artt. 559 – 560, in Commentario alle riforme del processo civile,
II, a cura di A. Briguglio e B. Capponi, Padova, 2007, 284. In senso difforme, cfr. A. M. SOLDI,
Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 883 s.; altresì, G. FANTICINI, La custodia dell’immobile
pignorato, in La nuova esecuzione forzata dopo la l. 18 giugno 2009, n. 69, diretta da P.G.
Demarchi, cit., 669, secondo cui “l’ordine di liberazione… è in ogni caso idoneo a spiegare
effetti anche nei confronti dei terzi, anche quando l’occupazione di questi ultimi è anteriore al
pignoramento, purché (in ogni caso) non fondata su titoli opponibili al creditore procedente e
agli intervenuti…. e all’acquirente in executivis…”; ancora, in giurisprudenza, Trib. Salerno
2.11.2004, in Riv. es. forz., 2005, 378, secondo cui il giudice dell'esecuzione può ordinare a
qualunque occupante del bene pignorato, privo di titolo opponibile alla procedura, l’immediato
rilascio dell’immobile al custode giudiziario già nominato].
In simile evenienza, a meno che il custode all’uopo officiato, non abbia, dal canto
suo, riscontrato in via documentale che il terzo asserito occupante sine titulo, detiene
viceversa l’immobile sulla scorta di un titolo che di per sé esclude l’animus rem sibi
habendi e che risulta, per giunta, inopponibile, è inevitabile concludere nel senso che
il medesimo ausiliario, onde recuperare la disponibilità dell’immobile, abbia da agire
in possessorio, con l’azione di reintegrazione ex art. 1168 c.c., ovvero in petitorio, con
la rei vindicatio [Si badi che a norma dell’art. 1141, 1° co., c.c., è sufficiente che chi ha la
materiale disponibilità, fornisca la prova della detenzione, giacché è piuttosto colui che intende
negare il possesso, che deve dimostrare che la controparte detiene la res per un titolo che esclude
l’animus rem sibi habendi].
Opinar diversamente, vorrebbe dire eludere, violare, grazie alla forza di titolo
esecutivo di cui l’ordinanza ex art. 560, 3° co., c.c. è munita, la previsione dell’art.
1141, 1° co., c.c., e, quindi, costringere colui che già era in relazione di fatto con la
res, a fornir dimostrazione dell’animus del proprio possesso.
13. Ordine di liberazione: valenza, esecuzione e rimedi.
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Si è anticipato che l’ordinanza di liberazione, ex art. 560, 4° co., c.p.c., ha valenza
di titolo esecutivo per il rilascio.
All’ordine di liberazione, pertanto, va apposta, giusta la previsione dell’art. 475
c.p.c., la formula esecutiva.
Il medesimo titolo va eseguito, a cura del custode, nelle forme degli artt. 605 ss.
c.p.c., ovvero nelle forme dell’esecuzione per rilascio [ In tal senso cfr. A. M. SOLDI,
Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 887].
Il custode, quindi, deve notificare al soggetto cui è stata intimata la liberazione,
l’ordinanza del giudice dell’esecuzione, munita della formula esecutiva, e
susseguentemente l’atto di precetto.
Alla predisposizione ed alla sottoscrizione del precetto il custode può provvedervi
personalmente, ancorché non abbia veste di avvocato, attesa l’indubbia natura
sostanziale dell’atto di cui all’art. 480 c.p.c..
Viceversa, il custode ha da munirsi della rappresentanza e dell’assistenza di un
legale, dal medesimo custode prescelto e nominato, onde dar corso all’azione
esecutiva ex artt. 605 ss. c.p.c..
Anche a tal riguardo deve reputarsi operante il divieto sancito per il curatore
fallimentare all’art. 31, 3° co., l.fall..
Ai sensi della seconda parte del 4° co. dell’art. 560 c.p.c. il custode è legittimato a
porre in esecuzione, recte a proseguire nell’esecuzione ex artt. 605 ss. c.p.c.
dell’ordine di liberazione pur successivamente alla pronuncia del decreto di
trasferimento, ossia pur a seguito dell’emissione da parte del g.e. dell’atto che segna il
trasferimento del diritto sull’immobile staggito all’aggiudicatario o all’assegnatario.
La legittimazione processuale del custode, dunque, per il periodo posteriore
all’adozione del decreto di cui all’art. 586 c.p.c., si connota in guisa di legittimazione
straordinaria, azionando l’ausiliario indubitabilmente un diritto altrui in nome proprio.
Siffatta straordinaria legittimazione, la cui prefigurazione, ovviamente, risponde
ad una plausibile logica di efficienza, non è tuttavia incondizionata, subordinata
com’è alla circostanza che l’aggiudicatario ovvero l’assegnatario non esentino il
custode dal potere – dovere di dar corso od ulteriore corso all’azione esecutiva per il
rilascio dell’immobile.
Controverso è il regime delle spese processuali che il custode inevitabilmente ha
da sostenere onde dar corso in epoca posteriore alla pronuncia del decreto di
trasferimento all’azione esecutiva per il rilascio.
Preferibile è la soluzione alla cui stregua le predette spese son destinate a gravare
sull’aggiudicatario o sull’assegnatario, ossia a ricadere a carico del soggetto nel cui
interesse, indiscutibilmente, prosegue l’azione esecutiva per il rilascio
successivamente alla pronuncia del decreto ex art. 586 c.p.c. [Si è specificato che a tal
fine è necessario che l’ordinanza di vendita “dovrà prevedere espressamente che tutte le
spese di liberazione dell’immobile (che diventano un costo, sia pur eventuale dell’acquisto) siano
a carico dell’aggiudicatario”: così A. M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 885].
Quantunque la previsione del n. 3 del 2° co. dell’art. 177 c.p.c. [Ove é sancito che
“non sono modificabili né revocabili dal giudice che le ha pronunciate… le ordinanze dichiarate
espressamente non impugnabili dalla legge”] si rifletta sul terreno dell’esecuzione, in
dipendenza del richiamo che ne opera il 2° co. dell’art. 487 c.p.c. [ Ove è statuito che
“per le ordinanze del giudice dell’esecuzione si osservano le disposizioni degli articoli 176 e
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seguenti in quanto applicabili e quella dell’articolo 186”], vi è margine, tuttavia,
analogamente a quanto si è assunto con riferimento alle ordinanze di sostituzione e
nomina del custode, ordinanze dichiarate espressamente non impugnabili, per reputar
che l’ordinanza di liberazione, del pari non impugnabile alla stregua del letterale
tenore del 3° co. dell’art. 560 c.p.c., possa, in dipendenza del limite che nel corpo
dell’art. 487, 2° co., c.p.c. è espresso dall’inciso “in quanto applicabili”, esser,
successivamente alla sua pronuncia, oggetto di revoca o di modifica da parte del
medesimo giudice che ha provveduto ad emetterla [In senso contrario cfr., tuttavia, Cass.
31.5.2010, n. 13202, ove si esplicita che il provvedimento di liberazione ha natura di ordinanza,
che non è né revocabile né modificabile, in quanto espressamente dichiarata non impugnabile, ed
è adottabile, previa assicurazione del principio del contraddittorio, omettendosi ogni formalità di
sorta e senza presupporre la richiesta di parte, potendo essere disposta dal giudice
dell’esecuzione anche d’ufficio].
E’ difficile disconoscere, invero, che antecedentemente al passaggio
dell’aggiudicazione ovvero dell’assegnazione, passaggio procedurale che
inconfutabilmente vincola il giudice all’adozione dell’ordinanza di liberazione
dell’immobile staggito, possano presentarsi o sopravvenire circostanze tali, quali la
disponibilità del terzo occupante con titolo non opponibile a siglare con l’ufficio
esecutivo un contratto di locazione ovvero la disponibilità del medesimo debitore
esecutato, che pur aveva ostacolato l’ordinato corso dell’esecuzione, a versare
un’indennità per la sua occupazione abitativa, che valgano a rendere più che
opportuna la revoca o la modifica dell’ordinanza di liberazione in precedenza assunta
[Del resto, “nella prassi, sono comunemente ammesse sia la modifica, sia la revoca dell’ordine di
liberazione”: così G. FANTICINI, La custodia dell’immobile pignorato, in La nuova esecuzione
forzata dopo la l. 18 giugno 2009, n. 69, diretta da P.G. Demarchi, cit., 649].
E, d’altro canto, nulla osta a che la revoca o la modifica dell’ordinanza seguano
sulla scorta di una mera differente valutazione di circostanze preesistenti.
Per altro verso, quanto allo spettro dei rimedi che in chiave impugnatoria possono
avverso l’ordinanza de qua essere esperiti, è sufficiente rimarcare, in primo luogo, con
precipuo riferimento alla persona del debitore esecutato, che l’insegnamento del
giudice del diritto è nel senso che, avverso il provvedimento con il quale il giudice
dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 560, 3° co., c.p.c., ordina la liberazione
dell’immobile pignorato, il rimedio esercitabile non si identifica con il ricorso
straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111, 7° co., Cost., bensì con
l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., la cui applicabilità - puntualizza la
Suprema Corte - non è esclusa dalla proclamazione di inimpugnabilità del
provvedimento [Cfr. in tal senso Cass. 17.12.2010, n. 25654].
Ed, in secondo luogo, con precipuo riferimento al persona del terzo occupante,
che assume di aver titolo opponibile, che l’insegnamento del giudice di legittimità è
nel senso che, avverso del pari l’ordinanza di liberazione, il rimedio da esercitare si
identifica coll’opposizione ex art. 615 c.p.c. all’esecuzione per rilascio [Cfr. in tal senso
Cass. 30.6.2010, n. 15623; in senso conforme, con riferimento all’assetto normativo antecedente
alla “riforma”, cfr. Cass. 2.4.1997, n. 2869, secondo cui il conduttore di un bene immobile, per il
quale è stata avviata l’esecuzione per rilascio nei confronti del fallito in base ad un decreto di
trasferimento - provvedimento non assimilabile ad una sentenza, per cui non è opponibile ai
sensi dell’art. 404 c.p.c. - del giudice delegato per la procedura fallimentare, può opporsi ai sensi
dell’art. 615 c.p.c., senza contestare la legittimità di tale titolo esecutivo, facendo valere il suo
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anteriore diritto personale di godimento, ostativo dell’esercizio dell'azione esecutiva nei suoi
confronti. Al di là dei testé enunciati insegnamenti della Suprema Corte è da ritenere,
evidentemente, che il medesimo rimedio deve essere sperimentato dal terzo occupante
senza titolo, nondimeno fatto segno indebitamente - alla stregua della ricostruzione in
questa sede patrocinata – dell’ordinanza di liberazione].
Un’ultima notazione comunque si impone: così come per le ordinanze di
sostituzione e nomina del custode, appare corretto intendere e circoscrivere il regime
di non impugnabilità espressamente sancito dal 3° co. dell’art. 560 c.p.c., quale
idoneo ad impedire unicamente la deducibilità da parte del debitore esecutato, con il
rimedio di cui all’art. 617 c.p.c., di meri vizi, di mere ragioni di opportunità.
14. I beni mobili rinvenuti nell’immobile oggetto dell’ordine di liberazione.
Accade frequentemente che nell’immobile oggetto dell’ordinanza di liberazione
ex art. 560, 3° co., c.p.c. siano collocati beni mobili di spettanza del debitore o del
terzo occupante.
Viene in rilievo, al riguardo, la disposizione di cui all’art. 609, 1° co., c.p.c.,
rubricato “provvedimenti circa i mobili estranei all’esecuzione” e scritto in tema di
esecuzione per consegna o rilascio, ove è stabilito che, “se nell’immobile si trovano
cose mobili appartenenti alla parte tenuta al rilascio e che non debbono essere
consegnate, l’ufficiale giudiziario, se la stessa parte non le asporta immediatamente,
può disporre la custodia sul posto anche a cura della parte istante, se consente di
custodirle, o il trasporto in altro luogo”.
In questi termini l’ufficiale giudiziario - che attende all’esecuzione per rilascio
intrapresa dal custode - può senz’altro intimare al debitore o al terzo la pronta
rimozione delle res mobiles di loro pertinenza ed, in caso inottemperanza, può
officiare della custodia delle stesse res, nel luogo in cui si trovano, il medesimo
custode che procede per il rilascio, se costui vi acconsente, ovvero, altrimenti, ne può
disporre il trasporto e la collocazione in altro sito.
E’ ovvio che ogni onere che afferisce alla custodia di siffatte res, così come gli
oneri specificamente connessi all’esecuzione per il rilascio dell’immobile, sono ai
sensi dell’art. 95 c.p.c. destinati a gravare sul soggetto tenuto al rilascio, soggetto
passivo dell’esecuzione ex artt. 605 ss. c.p.c..
Su tale scorta il custode officiato dal giudice dell’esecuzione immobiliare ben può
da questo medesimo giudice essere autorizzato, ex art. 560, ult. co., c.p.c., al
pignoramento mobiliare delle res mobiles de quibus e realizzare in tal guisa
coattivamente le pretese creditorie tutte che la procedura esecutiva immobiliare ha
maturato in dipendenza dell’intrapresa esecuzione per rilascio.
15. La locazione dell’immobile pignorato.
Si è premesso che al 2° co. dell’art. 560 c.p.c. è fatto divieto al custode di dare in
locazione l’immobile pignorato, se non vi è autorizzazione del giudice dell’esecuzione
[Cfr. G. ARIETA – F. DE SANTIS, L’esecuzione forzata, II, in Trattato di diritto processuale
civile, a cura di L. Montesano e G. Arieta, cit., 1183, secondo cui “l’autorizzazione possa essere
data solo in quanto, anche in ragione della durata preventiva della locazione, non ne derivi
pregiudizio al creditore pignorante e ai creditori intervenuti nell’esecuzione”].
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La violazione del prescritto divieto comporta l’inopponibilità al pignorante, ai
creditori intervenuti nell’esecuzione ed all’aggiudicatario del contratto di locazione
eventualmente stipulato.
Nondimeno, alla luce dell’insegnamento del Supremo Collegio, va rimarcato che
l’inefficacia relativa che inficia la locazione siglata in difetto di autorizzazione, può
esser fatta valere unicamente dal custode e non anche dal conduttore [Cfr. in tal senso
Cass. 30.10.2002, n. 15297, seppur con riferimento al sequestro giudiziario; altresì Cass.
13.7.1999, n. 7422].
Al contempo va posto in risalto che l’ordinanza con cui il giudice dell’esecuzione
autorizza il custode a concedere in locazione l’immobile pignorato, in quanto priva
del carattere della decisorietà, non è impugnabile con ricorso straordinario per
cassazione ex art. 111 Cost. [Cfr. in tal senso Cass. 16.11.1991, n. 12321, del pari in
relazione alla figura del sequestro giudiziario e ove si precisa che l’ordinanza di autorizzazione è
priva di carattere decisorio, giacché non risolve tra le parti della causa un contrasto in ordine
all'appartenenza di un diritto, né essendo configurabile un diritto delle stesse parti a che le
funzioni dell'ufficio di custodia siano esercitate in uno o altro modo].
In ogni caso va sottolineato che la locazione siglata dal custode sulla scorta della
imprescindibile autorizzazione del g.e. è un contratto la cui durata risulta naturaliter
contenuta nei limiti della procedura esecutiva, con la conseguenza che non sopravvive
alla vendita coattiva e non è opponibile all’acquirente in executivis [Cfr. in tal senso
Cass. sez. un. 20.1.1994, n. 459, seppur con riferimento al contratto di locazione siglato
dall’ufficio fallimentare, ove si soggiunge che una locazione siffatta non è assimilabile alla
locazione di data certa anteriore alla sentenza dichiarativa di fallimento disciplinata dall’art.
2923 c.c. ed, altresì, che la clausola con la quale il curatore ed il conduttore espressamente
pattuiscano la risoluzione della locazione per effetto della vendita forzata del bene è pienamente
valida, in quanto esplicita un limite di durata connaturato al contratto ed alle sue peculiari
finalità, che lo sottraggono all’ambito di applicabilità del combinato disposto degli artt. 7 e 41
della legge 22.7.1978, n. 392, che colpiscono di nullità la clausola di risoluzione del contratto di
locazione in caso di alienazione del bene locato. Nello stesso senso cfr. Cass. 28.9.2010, n.
20341].
E’ ben possibile, per altro verso, che la locazione dell’immobile pignorato sia in
corso, allorquando la procedura esecutiva immobiliare ha inizio.
Viene in rilievo la previsione, di cui già si è fatta menzione, dell’art. 2923 c.c.
[“Nessuna norma specifica riguarda l’opponibilità del comodato antecedente al pignoramento; la
questione deve perciò essere risolta in base alle regole generali sulla cessazione del contratto.
Così, ex art. 1810 c.c., il custode giudiziario – subentrato nelle ragioni del comodante – può
pretendere l’immediata restituzione dell’immobile concesso in comodato senza determinazione
di durata (anche azionando direttamente l’ordine ex art. 560 c.p.c.)”: così G. FANTICINI, La
custodia dell’immobile pignorato, in La nuova esecuzione forzata dopo la l. 18 giugno 2009, n.
69, diretta da P.G. Demarchi, cit., 680].
Al 1° co. è sancito che la locazione stipulata antecedentemente al pignoramento
dall’esecutato è opponibile per l’intera durata per la quale risulta siglata - purché non
eccedente il limite massimo di nove anni - al creditore procedente, ai creditori
intervenuti ed all’acquirente, in quanto abbia data certa anteriore al pignoramento,
recte alla notifica del pignoramento [Si tenga conto che, in sede di amministrazione
dell’immobile staggito, locato con titolo opponibile, il custode fruisce senz’altro della previsione
dell’art. 2918 c.c., rubricato “cessioni e liberazioni di pigioni e di fitti”].
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Al 2° co. si soggiunge che la locazione stipulata in epoca precedente al
pignoramento per una durata eccedente i nove anni, pur munita di data certa anteriore
alla notifica del pignoramento, è opponibile per l’intera sua durata al creditore
procedente, ai creditori intervenuti ed all’acquirente, in quanto sia stata trascritta in
epoca antecedente alla trascrizione del pignoramento; in mancanza di trascrizione la
sua opponibilità è limitata al lasso temporale di nove anni a decorrere dall’inizio del
rapporto locativo.
Al 3° co. si legge testualmente che “in ogni caso l’acquirente non è tenuto a
rispettare la locazione qualora il prezzo convenuto sia inferiore di un terzo al giusto
prezzo o a quello risultante da precedenti locazioni”.
Al 4° co. inoltre è statuito che “se la locazione non ha data certa, ma la detenzione
del conduttore è anteriore al pignoramento della cosa locata, l’acquirente non è tenuto
a rispettare la locazione che per la durata corrispondente a quella stabilita per le
locazioni a tempo indeterminato”.
Con specifico riferimento alla disposizione di cui al 3° co. è innegabile, alla
stregua dell’esplicita formulazione normativa, la legittimazione ad agire
dell’acquirente in executivis, onde conseguire la declaratoria di inopponibilità - di
inefficacia - nei suoi confronti della locazione a “canone vile”.
Dubbia, viceversa, è la legittimazione del custode ad agire a norma del 3° co. cit.
[In tal senso cfr. G. ARIETA – F. DE SANTIS, L’esecuzione forzata, II, in Trattato di diritto
processuale civile, a cura di L. Montesano e G. Arieta, cit., 1194].
La soluzione negativa è nondimeno da preferire, giacché il custode farebbe valere
non solo anzitempo, ma per giunta in via straordinaria la legittimazione del futuro
acquirente. Il che avrebbe postulato, in ossequio alla riserva di legge di cui all’art. 81
c.p.c., un’altrettanto esplicita prefigurazione di legittimazione – straordinaria –
similmente a quanto previsto - per il medesimo organo della custodia - nella seconda
parte del 4° co. dell’art. 560 c.p.c..
Con specifico riferimento alla disposizione di cui al 4° co. è innegabile che, quivi,
si abilita il conduttore dell’immobile staggito, benché privo di scrittura di locazione
munita di data certa anteriore alla notificazione del pignoramento, alla dimostrazione
della stipulazione del contratto in data antecedente con qualsiasi mezzo, ossia anche a
mezzo testimoni o semplici presunzioni.
E’ verosimile che il conduttore privo di titolo munito di data certa attenda alla
prova cui il 4° co. lo faculta, nell’ambito del giudizio di opposizione ex art. 615 c.p.c.
all’uopo promosso avverso l’ordinanza di liberazione pronunciata in suo danno dal
giudice dell’esecuzione immobiliare.
Pur in ipotesi di esito positivo della prova e, quindi, del giudizio ex art. 615 c.p.c.,
il vincolo atto a scaturire dalla locazione sarà comunque opponibile all’acquirente in
executivis per la durata massima delle locazioni senza determinazione di tempo,
durata, ben vero, da stabilirsi alla stregua della disciplina speciale in materia di
locazione [A tal specifico riguardo cfr., amplius, G. FANTICINI, La custodia dell’immobile
pignorato, in La nuova esecuzione forzata dopo la l. 18 giugno 2009, n. 69, diretta da P.G.
Demarchi, cit., 675 s.].
Ad ogni buon conto, in ordine ai rapporti di locazione ex lege 27.7.1978, n. 392,
in corso alla data del pignoramento ed a pieno titolo opponibili, l’elaborazione
giurisprudenziale è nel senso che la rinnovazione tacita della locazione integra un
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nuovo negozio giuridico bilaterale, con la conseguenza che a tal fine è imprescindibile
l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione [Cfr. in tal senso Cass. 2.11.2011, n. 22711,
secondo cui in pendenza di procedimento di esecuzione forzata, la rinnovazione del contratto di
locazione dell’immobile pignorato deve essere disposta dal giudice dell’esecuzione ai sensi
dell’art. 560 c.p.c., essendo inopponibile all’aggiudicatario qualsiasi forma di rinnovazione tacita
dovuta a mancata disdetta; altresì, Cass. 13.12.2007, n. 26238; ancora, Cass. 30.10.2002, n.
15297, ancorché in relazione ad immobile sottoposto a sequestro giudiziario; App. Napoli
30.1.1997, in Giust. civ., 1997, I, 1940, secondo cui, in ipotesi di omessa comunicazione, nel
termine previsto dall’art. 3 della legge 27.7.1978, n. 392, della disdetta della locazione di un
immobile assoggettato a pignoramento, non è configurabile alcuna rinnovazione tacita
opponibile all’aggiudicatario, in mancanza di formale autorizzazione del giudice dell’esecuzione
alla prosecuzione del rapporto locatizio alla sua scadenza naturale, in quanto tale comportamento
omissivo ha contenuto negoziale e non può essere produttivo di effetti giuridici dopo la
trascrizione del pignoramento, se non con la predetta autorizzazione; Trib. Roma (ord.)
2.11.2006, in Arch. loc., 2007, 5, 505].
Nondimeno, qualora l’immobile pignorato sia, alla stregua della disciplina di cui
alla medesima legge n. 392/1978, locato ed adibito ad uso diverso dall’abitazione,
l’insegnamento giurisprudenziale è nel senso che la rinnovazione tacita del contratto
alla prima scadenza contrattuale, per mancato esercizio da parte del locatore della
facoltà di diniego motivato di rinnovazione, costituisce un effetto automatico
scaturente direttamente dalla legge e, quindi, qualora successivamente alla
stipulazione del contratto l’immobile sia stato sottoposto ad esecuzione forzata, è
opponibile al terzo aggiudicatario anche nel caso in cui non sia stata autorizzata dal
giudice dell’esecuzione [Cfr. in tal senso Cass. 7.5.2009, n. 10498. Si veda anche Trib.
Salerno 9.11.2007, secondo cui, in caso di fallimento del locatore, la locazione “ad uso diverso”
opponibile al fallimento si rinnova alla prima scadenza contrattuale, in difetto della disdetta
motivata di cui all’art. 29 della legga n. 392/1978, senza che occorra l’autorizzazione giudiziale
prevista dall’art. 560 c.p.c.].
Va debitamente soggiunto che differenti sono le conclusioni cui si perviene in
ordine ai contratti di locazione ad uso abitativo siglati nel vigore della legge
9.12.1998, n. 431, e, quindi, a decorrere dal 1° gennaio 1999.
Onde impedire l’effetto della rinnovazione automatica ovvero della proroga di
diritto del contratto di locazione, il custode deve, a norma dell’art. 3, 1° co., lett. g),
della menzionata legge n. 431/1998, comunicare al conduttore il diniego del rinnovo
del contratto almeno sei mesi prima della scadenza [“Infatti, l’ufficio esecutivo… ben può
(anzi ha il potere - dovere) di valersi della facoltà di diniego del rinnovo prevista… dall’art. 3,
lett. g), l. 431/1998”: così G. FANTICINI, La custodia dell’immobile pignorato, in La nuova
esecuzione forzata dopo la l. 18 giugno 2009, n. 69, diretta da P.G. Demarchi, cit., 621]. In
mancanza i contratti a canone vincolato - di cui all’art. 2, 1° co., legge cit. - si
rinnovano per altri quattro anni, quelli a canone libero - di cui all’art. 2, 3° co., legge
cit. - per altri due [Cfr. in tal senso A. M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 889].
La circostanza, pertanto, che non sia intervenuta l’autorizzazione del g.e., non
preclude l’effetto della rinnovazione automatica ovvero della proroga di diritto del
rapporto locativo.
16. L’assegnazione dell’immobile pignorato a casa familiare.
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E’ ben possibile che l’immobile pignorato sia oggetto di assegnazione, a norma
dell’art. 155 quater c.c., a taluno dei coniugi separandi, ovvero oggetto di
assegnazione, a norma dell’art. 6, 6° co, legge 1.12.1970, n. 898, a taluno degli
coniugi divorziandi.
Non si prospettano difficoltà di sorta allorché il coniuge o ex coniuge che
beneficia del provvedimento di assegnazione della casa familiare, abbia provveduto a
trascriverlo [La trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa familiare è
espressamente prevista, in ipotesi di separazione dei coniugi, dall’art. 155 quater, 1° co., c.c.,
ove, appunto, se ne prevede la trascrivibilità ed opponibilità ai terzi ai sensi dell’art. 2643 c.c., in
ipotesi di scioglimento del matrimonio, dal menzionato art. 6, 6° co., legge n. 898/1970] in
epoca antecedente non solo alla trascrizione del pignoramento, sibbene, per giunta,
all’iscrizione dell’ipoteca di cui fruisce il creditore procedente o taluno dei creditori
intervenuti nell’esecuzione.
In simile evenienza il diritto alla fruizione della casa familiare è senz’altro
opponibile al pignorante ed ai creditori intervenuti, almeno sino a quando il medesimo
diritto abbia ragione per configurarsi [Ai sensi del medesimo 1° co. dell’art. 155 quater c.c.
“il diritto di godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o
cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo
matrimonio”].
Parimenti non dà luogo ad asperità ricostruttive l’ipotesi in cui il provvedimento
di assegnazione della casa familiare è successivo alla trascrizione del pignoramento:
ne è indubitabile l’inopponibilità al pignorante ed ai creditori intervenuti
nell’esecuzione.
Problematiche piuttosto son l’evenienza in cui il provvedimento di assegnazione
della casa familiare sia stato trascritto antecedentemente, sì, alla trascrizione del
pignoramento, nondimeno successivamente all’iscrizione dell’ipoteca di cui fruisce il
pignorante ovvero il creditore intervenuto che dà impulso alla procedura.
E l’evenienza ulteriore in cui il provvedimento di assegnazione, ancorché non
trascritto, è anteriore al pignoramento [E’ appena il caso di rimarcare che il provvedimento
di assegnazione della casa familiare è per sua stessa natura munito di data certa].
In relazione ad ambedue le testé prefigurate eventualità, e, nonostante, con
specifico riferimento alla prima, la previsione dell’art. 2812, 1° co., c.c. [Quivi, al 1°
co., si legge testualmente “le servitù di cui sia stata trascritta la costituzione dopo l’iscrizione
dell’ipoteca non sono opponibili al creditore ipotecario, il quale può far subastare la cosa come
libera. La stessa disposizione si applica per i diritti di usufrutto, di uso e di abitazione”; al 2° co.,
“tali diritti si estinguono con l’espropriazione del fondo e i titolari sono ammessi a far valere le
loro ragioni sul ricavato, con preferenza rispetto alle ipoteche iscritte posteriormente alla
trascrizione dei diritti medesimi”], la giurisprudenza della Suprema Corte [Ancorché
antecedente all’inserzione nell’ordinamento, ex art. 1, 2° co., legge 8.2.2006, n. 54, dell’art. 155
quater c.c., ove ai fini dell’opponibilità del provvedimento di assegnazione della casa familiare
si rinvia sostanzialmente alle norme in tema di trascrizione] è nel senso che, a norma
dell’art. 6, 6° co., legge n. 898/1970 - dettato con riguardo al procedimento di
divorzio, ma applicabile anche in caso di separazione personale dei coniugi - il
provvedimento giudiziale di assegnazione in uso della casa familiare, in quanto avente
data certa, è opponibile al terzo acquirente l’immobile (in data successiva al
provvedimento di assegnazione), anche se non trascritto, nei limiti di un novennio,
decorrenti dalla data del provvedimento, ovvero anche dopo i nove anni, ove il titolo
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sia in precedenza trascritto [Cfr. in tal senso Cass. sez. un. 26.7.2002, n. 11096. Si veda
anche Cass. 29.8.2003, n. 12705, secondo cui nel caso di assegnazione della casa familiare al
coniuge affidatario, ai sensi degli artt. 155, 4° co., c.c. - in tema di separazione personale - e 6, 6°
co., legge 1.12.1970, n. 898, (come sostituito dall’ art. 11 legge 6.3.1987, n. 74) - in tema di
divorzio - il terzo acquirente del bene in epoca successiva al provvedimento di assegnazione è
tenuto, negli stessi limiti di durata (nove anni dalla data dell’assegnazione, ovvero, nel caso di
trascrizione, anche oltre i nove anni) nei quali è a lui opponibile il provvedimento stesso, a
rispettare il godimento del coniuge del suo dante causa, nello stesso contenuto e nello stesso
regime giuridico propri dell’assegnazione, quale vincolo di destinazione collegato all’interesse
dei figli; ne consegue che è escluso qualsiasi obbligo di pagamento da parte del beneficiario per
tale godimento, atteso che ogni forma di corrispettivo verrebbe a snaturare la funzione stessa
dell’istituto, in quanto incompatibile con la sua finalità esclusiva di tutela della prole, ed
inciderebbe direttamente sull’assetto dei rapporti patrimoniali tra i coniugi dettato dal giudice
della separazione o del divorzio].
Più esattamente “il diritto conseguente all’assegnazione della casa coniugale è
opponibile sino alla sua cessazione ove il provvedimento relativo sia stato trascritto
prima del pignoramento, senza che rilevi l’iscrizione di eventuali ipoteche.
Diversamente, l’assegnazione della casa coniugale, ove non trascritta o trascritta dopo
il pignoramento, è opponibile all’acquirente per nove anni dalla data
dell’assegnazione, sempreché abbia data certa anteriore al pignoramento stesso” [Così
A. M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 891].
17. Il rendiconto del custode.
A norma del 1° co. dell’art. 560 c.p.c. il custode, ancorché si identifichi con il
debitore, è tenuto a rendere il conto ai sensi dell’art. 593 c.p.c..
All’art. 593 c.p.c. è sancito, al 1° co., che l’amministratore giudiziario nel
termine fissato dal giudice dell’esecuzione ed, in ogni caso, alla fine di ciascun
trimestre deve presentare in cancelleria il conto della sua gestione e depositare le
rendite disponibili nei modi stabiliti dal medesimo giudice.
Al 2° co. che al termine della gestione l’amministratore deve presentare il
rendiconto finale.
Al 3° co. che i conti parziali ed il conto finale debbono essere approvati dal g.e.,
che, con ordinanza non impugnabile, risolve le contestazioni che eventualmente
insorgono in ordine ai medesimi conti, applicando le disposizioni degli artt. 263 ss.
c.p.c. [“Il giudice, qualora tali contestazioni non si risolvano in maniera bonaria, deve procedere
al giudizio di cognizione ordinario secondo quanto previsto dagli artt. 263 e ss. c.p.c.”: così G.
ARIETA – F. DE SANTIS, L’esecuzione forzata, II, in Trattato di diritto processuale civile, a
cura di L. Montesano e G. Arieta, cit., 1203 s.].
Rileva altresì il dettato dell’art. 632, 3° co., c.p.c., alla cui stregua, “avvenuta
l’estinzione del processo, il custode rende al debitore il conto, che è discusso e chiuso
davanti al giudice dell’esecuzione”.
Rileva ancora l’art. 178 disp. att. c.p.c., rubricato “procedimento di rendiconto”;
quivi, in particolare al 1° co., si afferma che il g.e. provvede all’approvazione dei
rendiconti previa audizione delle parti.
Il custode, dunque, al pari dell’amministratore giudiziario, è tenuto al deposito dei
rendiconti trimestrali e del rendiconto finale di gestione, quest’ultimo, in particolare,
anche in ipotesi di estinzione della procedura esecutiva.
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Al riguardo può farsi proficua applicazione dei risultati dell’elaborazione, anche
giurisprudenziale, in tema di rendiconto del curatore fallimentare [Ai sensi del 1° co.
dell’art. 116 l.fall. il conto della gestione deve ordinatamente esporre le partite di dare e avere
secondo principi contabili - ragionieristici e, contestualmente, illustrare in forma adeguata i fatti
storici che hanno generato le singole entrate od uscite, onde consentire il riscontro
dell’osservanza da parte dell’organo di gestione dell’obbligo di diligenza. Il 1° co. dell’art. 116
l.fall. ha senza dubbio recepito i risultati della pregressa elaborazione. Si era invero esplicitato
che “formalmente il rendiconto consiste in una relazione sull’attività svolta, sufficientemente
analitica e chiara oltre che documentata, tale da consentire un esame di legittimità e di merito
dell’opera del curatore; non si tratta quindi semplicemente di un mero rendiconto di cassa (pur
essendo anche questo), ma qualcosa di più importante e complesso, rappresentando il banco di
prova di un’oculata e diligente amministrazione. In particolare esso sarà composto da una parte
descrittiva nella quale il curatore prospetterà che è stata compiuta la liquidazione dell’attivo così
come richiesto dalla legge fallimentare, e da una parte numerica che contrapporrà uscite ed
entrate ed il cui risultato positivo dovrà coincidere con il conto intestato alla procedura”: così P.
PAJARDI (a cura di), Codice del fallimento, cit., 507 s.. In giurisprudenza nello stesso senso cfr.
Cass. 23.1.1985, n. 277. In dipendenza, quindi, di siffatta duplice valenza del rendiconto del
curatore il procedimento destinato se del caso a concludersi con la sua approvazione, involge non
solo il controllo della regolarità contabile, ma anche del merito della gestione della procedura
fallimentare].
In ogni caso si è sostenuto che, “se l’immobile non produce rendite il custode non
deve depositare un vero e proprio rendiconto, ma una relazione sull’attività svolta con
giustificazione delle spese sostenute” [Così A. M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata,
cit., 892].
Si è correttamente puntualizzato che, “dal punto di vista temporale, cioè della
individuazione della fase della procedura in cui il conto deve essere reso, è
ragionevole ipotizzare che il rendiconto finale sia presentato in corrispondenza del
riparto (l’udienza per l’approvazione del progetto di distribuzione è anche l’udienza
per l’approvazione del rendiconto)” [Così G. ARIETA – F. DE SANTIS, L’esecuzione
forzata, II, in Trattato di diritto processuale civile, a cura di L. Montesano e G. Arieta, cit.,
1203].
18.1. La responsabilità del custode.
Ai sensi dell’art. 67, 2° co., c.p.c. il custode “è tenuto al risarcimento dei danni
cagionati alle parti, se non esercita la custodia da buon padre di famiglia”
Più esattamente la responsabilità ex art. 67, 2° co., c.p.c. postula che il custode
abbia, con dolo o con colpa, in violazione dei doveri che afferiscono al proprio
ufficio, posto in essere una condotta, anche omissiva [Ben vero qualora il medesimo
ausiliario fruisca delle necessarie disponibilità pecuniarie e sia stato debitamente autorizzato dal
g.e. a compiere l’attività omessa], da cui, in connessione eziologica, sia scaturito un
pregiudizio per l’immobile, per gli immobili subastati, e, quindi, per il creditore
pignorante, per i creditori intervenuti e per l’esecutato [“L’ausiliario risponde altresì dei
pregiudizi arrecati, per dolo o colpa, ai terzi (in genere) nell’esecuzione dei compiti affidatigli”:
così G. FANTICINI, La custodia dell’immobile pignorato, in La nuova esecuzione forzata dopo
la l. 18 giugno 2009, n. 69, diretta da P.G. Demarchi, cit., 704].
La condotta si qualifica come fonte di responsabilità in quanto il danno derivatone
sia ingiusto, ossia qualora la condotta, cui il pregiudizio si ricollega in chiave causale,
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sia stata posta in essere in violazione di un dovere prefigurato dall’ordinamento a
salvaguardia di un diritto soggettivo, più in generale di un determinato interesse.
I doveri, la cui violazione fonda l’antigiuridicità della condotta, sono in primo
luogo i doveri specifici che, ex lege, ricadono sul custode. E’ il caso, in via
esemplificativa, dell’obbligo, di cui all’art. 593, 1° co., c.p.c., di provvedere al
deposito delle rendite disponibili nei modi stabiliti dal giudice dell’esecuzione.
Nondimeno, al di là della violazione di obblighi specifici e puntuali, la
responsabilità del custode è da ricondurre innanzitutto alla violazione del dovere
generico - ex lege - di corretta amministrazione: si è anticipato che nell’esplicazione
della sua potestas gerendi il custode deve osservare gli elementari principi di regolare
amministrazione, sicché è senz’altro tenuto al risarcimento dei danni scaturiti da
scelte palesemente irrazionali [Si è premesso che attiene alla legittimità e non al merito
l’ottemperanza a tal ultimo dovere; altresì si è precisato che il custode ha da dar conto pure del
merito della sua azione, dei risultati conseguiti, sicché ha da osservare anche l’obbligo di
“soddisfacente amministrazione”. Ovviamente solo la violazione del dovere generico di corretta
amministrazione può assurgere a fonte di responsabilità risarcitoria; la violazione dell’obbligo di
“soddisfacente amministrazione”, viceversa, può indurre esclusivamente alla sua sostituzione per
ragioni di opportunità].
Il dovere generico di corretta amministrazione si impone sia con riferimento
all’attività di ordinaria amministrazione, ossia in relazione all’attività finalizzata a
conservare l’integrità dell’immobile, degli immobili staggiti, sottratta senza dubbio al
potere di autorizzazione ex art. 560, ult. co., c.p.c. del giudice dell’esecuzione, sia, a
fortiori, con riferimento all’attività di straordinaria amministrazione, ossia in relazione
agli atti da cui può scaturire la diminuzione del valore ovvero del controvalore
pecuniario dell’immobile, degli immobili staggiti.
Al riguardo, tuttavia, va imprescindibilmente rimarcato che non elide né
affievolisce l’esclusiva responsabilità del custode per i danni derivati da scelte
palesemente irrazionali, la circostanza per cui il giudice dell’esecuzione non abbia
provveduto a denegare ed abbia accordato l’autorizzazione di cui il medesimo
ausiliario abbia fatto esplicita richiesta [Al riguardo cfr. Cass. sez. lav. 15.7.2002, n. 10252,
secondo cui il custode di beni sottoposti a sequestro giudiziario risponde direttamente degli atti
compiuti in siffatta veste, quand’anche in esecuzione di provvedimenti del giudice ai sensi
dell’art. 676 c.p.c.; cfr., altresì, Cass. 19.3.1984, n. 1877].
Invero il custode non è semplicemente investito di un potere di iniziativa, di
sollecitazione, ma ha la paternità stessa della scelta gestoria; il che lo costringe in
ogni caso a non perfezionare e a non dar attuazione ad opzioni gestorie contrastanti
con l’elementare principio di buona amministrazione, ancorché avallate dal g.e..
18.2. La responsabilità del custode. Segue: la diligenza richiesta.
La responsabilità del custode - lo si è premesso - è, quanto meno, responsabilità
per colpa, anche omissiva.
Nell’individuare, alla stregua della figura del buon padre di famiglia, il parametro
in ossequio al quale ha da espletare il proprio ufficio e, quindi, in virtù del quale va
valutato - con giudizio evidentemente ex ante, da riferire, cioè, alle circostanze,
oggettive e soggettive, del momento in cui è stato posto in essere l’atto da cui è
scaturito il pregiudizio - lo sforzo che il medesimo ausiliario ha da profondere, la
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disposizione dell’art. 67, 2° co., c.p.c. si uniforma alla previsione del 1° co. dell’art.
1176 c.c. [Quivi è statuito che “nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la
diligenza del buon padre di famiglia”].
Nondimeno può ragionevolmente opinarsi nel senso che, allorquando custode sia
persona diversa dal debitore, ovvero allorquando la custodia sia assunta da un
“professionista”, specificamente da un notaio, da un avvocato, da un dottore
commercialista o da un esperto contabile ovvero dall’istituto di cui al 1° co. dell’art.
534 c.p.c., il parametro di riferimento sia da identificare, nonostante il letterale dettato
dell’art. 67, 1° co., c.p.c., con quello di cui al 2° co. dell’art. 1176 c.c. [ Quivi è stabilito
che “nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la
diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”].
Invero il possesso di determinate qualifiche professionali implica di per sé il
possesso di un determinato grado di “perizia”.
In ogni caso la commisurazione dello sforzo minimo di diligenza da profondere a
quello - più elevato - “professionale”, importa restrizione dell’area di esenzione da
responsabilità, area, invece, cui il riferimento - per il debitore custode - alla figura del
mandatario, ossia del bonus pater familias, vale ad assicurare più ampi confini.
18.3. La responsabilità del custode. Segue: la natura della responsabilità.
La responsabilità de qua agitur è senza dubbio di natura extracontrattuale; ed in
tal senso, difatti, è orientata l’elaborazione giurisprudenziale [Cfr., seppur con
riferimento al custode di cose sequestrate in sede penale, Cass. 24.5.1997, n. 4635. Trattasi
ovviamente di un profilo dai significativi risvolti pratici, giacché condizionante la soluzione delle
quaestiones concernenti l’operatività o meno della presunzione di colpa di cui all’art. 1218 c.c. e
la determinazione del termine di prescrizione].
Su tale scorta appare opportuno soggiungere che il pregiudizio arrecato al valore
ovvero del controvalore pecuniario dell’immobile, degli immobili staggiti riveste
valenza, per il creditore procedente e per i creditori intervenuti nell’esecuzione, quale
menomazione inferta al diritto di credito dell’uno e degli altri, non già, ben vero, nelle
forme proprie della tradizionale elaborazione in tema di lesione aquiliana del credito,
ossia quale inadempimento provocato dal terzo, quale impossibilità sopravvenuta
della prestazione colposamente ascrivibile al terzo, ma, piuttosto, nel quadro delle
concezioni “patrimoniali” dell’obbligazione, quale nocumento al substrato precipuo
del credito, in quanto, essenzialmente, diritto realizzabile in via esecutiva sul
patrimonio del debitore.
Sulla stessa scorta appare opportuno soggiungere, in secondo luogo, che il
medesimo pregiudizio riveste valenza, per il debitore, quale menomazione inferta al
suo diritto di proprietà sull’immobile, sugli immobili pignorati, qualora l’esecuzione
si estingua o si chiuda senza che si faccia luogo alla vendita, ovvero quale
menomazione inferta al controvalore pecuniario del medesimo diritto di proprietà
eventualmente per lo stesso debitore residuante all’esito della distribuzione di quanto
ricavato dalla vendita [“La lesione dell’altrui diritto di proprietà mediante fatti dolosi o
colposi integra la classica ipotesi di danno ingiusto”: così C. M. BIANCA, Diritto civile 5 La
responsabilità, Milano, 1994, 596].
18.4. La responsabilità del custode. Segue: profili processuali.
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Nulla è espressamente statuito agli artt. 65, 66, e 67 c.p.c. nonché agli artt. 559 e
560 c.p.c. in ordine alla legittimazione all’esercizio dell’azione di responsabilità ex
art. 2043 c.c. in danno del custode.
Di certo la proposizione dell’azione di responsabilità sembra postulare, quanto
meno per ragioni di doverosa coerenza logico – giuridica, la destituzione dall’incarico
e la sostituzione del custode da convenire in giudizio.
Nondimeno è da escludere, in difetto di una disposizione del tipo di quella di cui
all’art. 38, 1° co., l.fall. [Quivi è sancito che “durante il fallimento l’azione di responsabilità
contro il curatore revocato è proposta dal nuovo curatore….”], che la legittimazione attiva
competa al nuovo custode.
E, del resto, attesa la riserva di legge di cui all’art. 81 c.p.c., unicamente in
presenza di un’esplicita prefigurazione di legittimazione, evidentemente straordinaria,
il nuovo custode potrebbe reputarsi abilitato ad azionare la pretesa risarcitoria del
creditore procedente, degli intervenuti ed, eventualmente, del debitore.
Ne consegue che pur durante ed in pendenza della procedura esecutiva i creditori
ed il debitore sono legittimati ad agire in danno del custode sostituito.
Il dies a quo del termine di prescrizione ex art. 2947, 1° co., c.c. dell’azione di
responsabilità deve essere identificato con il giorno in cui si è verificato l’evento
dannoso.
Può ammettersi, quanto meno per il debitore, che operi la causa di sospensione di
cui al n. 6) dell’art. 2941 c.c..
19. Le spese di custodia.
E’ fuor di dubbio che le spese di custodia sono, in ultima analisi, ai sensi dell’art.
95 l.fall., destinate a gravar su colui che subisce l’esecuzione.
Tuttavia, in corso di procedura, sono, tendenzialmente, in virtù della regola
generale di cui all’art. 8, 1° co., d.p.r. 30.5.2002, n. 115, oggetto di anticipazione da
parte del creditore procedente, che, in sede di distribuzione della somma ricavata, ne
può conseguire il rimborso con il privilegio di cui all’art. 2770, 1° co., c.c..
Nulla osta, ovviamente, a che le spese siano anticipate dal medesimo custode, al
quale saranno, in quanto debitamente documentate, da rimborsare, all’esito
dell’approvazione del rendiconto finale, in sede di liquidazione del compenso
spettantegli.
Qualora la custodia abbia la disponibilità di somme liquide, è ben possibile che le
spese siano sostenute mercé l’utilizzo di detti fondi, sulla scorta dell’autorizzazione
al prelievo debitamente accordata dal giudice dell’esecuzione.
In ipotesi di estinzione del processo, l’art. 632, ult. co., c.p.c. richiama l’art. 310
c.p.c.. Ne consegue che le spese processuali maturate sino al momento dell’estinzione
restano a carico della parte che le ha anticipate, recte del creditore procedente.
20. Il compenso spettante al custode.
Al custode, che si identifica con persona diversa dal debitore, spetta un compenso
per l’opera prestata.
Il compenso, a norma dell’art. 65, 2° co., c.p.c., è liquidato con decreto dal
giudice dell’esecuzione che ha provveduto a nominarlo, successivamente
all’approvazione del rendiconto finale ed antecedentemente alla predisposizione del
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progetto di distribuzione ovvero al pagamento, a norma dell’art. 510, 1° co., c.p.c.,
dell’unico creditore.
Il decreto con cui il giudice dell’esecuzione liquida il compenso al custode dei
beni pignorati, ha natura d’ingiunzione di pagamento nei confronti della parte indicata
nel medesimo provvedimento come obbligata alla relativa anticipazione [Cfr. in tal
senso Cass. (ord.) 20.3.2003, n.. 2625, ove si soggiunge che contro tale decreto non è esperibile
ricorso in cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost.. Del resto l’art. 53 disp. att. c.p.c. statuisce
espressamente che “i decreti con i quali il giudice liquida a favore del custode e degli altri
ausiliari i compensi loro dovuti debbono indicare la parte che è tenuta a corrisponderli. Tali
decreti costituiscono titolo esecutivo contro la parte stessa”. Al riguardo si veda, altresì, Cass.
23.3.1989, n. 1471, secondo cui avverso il decreto di liquidazione del compenso al custode,
emesso dal giudice ai sensi dell’art. 65 c.p.c., in relazione agli art. 52 e 53 disp. att. c.p.c., i
soggetti intimati possono proporre opposizione ai sensi dell’art. 645 c.p.c. e la sentenza che
definisce il giudizio è impugnabile con l’appello e non direttamente con il ricorso per cassazione.
Si veda, ancora, Cass. 2.12.2010, n. 24443, secondo cui, in tema di esecuzione immobiliare, il
creditore procedente è obbligato a corrispondere al custode dei beni pignorati l’indennità a questi
spettante per l’attività di custodia, nel caso in cui il ricavato della vendita di detti beni non sia
stato sufficiente al pagamento del compenso, dovendo invece escludersi che siffatto obbligo
gravi sul terzo intervenuto nell’esecuzione, che non abbia provocato atti del procedimento].
Con decreto ministeriale n. 80 del 15.5.2009, intitolato “Regolamento in materia
di determinazione dei compensi spettanti ai custodi dei beni pignorati” [Pubblicato in
Gazzetta Ufficiale n. 150 del 1° luglio 2009], sono stati dettati i criteri ai fini della
liquidazione del compenso spettante ai custodi [L’art. 1, rubricato “ambito di
applicazione”, recita testualmente: “Il presente decreto determina, ai sensi dell’articolo 21 della
legge 24 febbraio 2006, n. 52, i compensi spettanti nei processi di espropriazione forzata ai
custodi dei beni pignorati, nominati in sostituzione del debitore, nonché agli addetti all'asporto
ed al trasporto di tali beni”].
Vengono in rilievo, in particolare, gli artt. 2, rubricato “compensi per le attività
ordinarie di custodia dei beni immobili”, e 3, rubricato “compensi per le attività
straordinarie di custodia dei beni immobili”, del citato d.m..
Al 1° co. dell’art. 2 è disposto che per le attività, da considerare unitariamente, di
cui al 2° co. del medesimo articolo, al custode spetta un compenso a percentuale
calcolato per scaglioni sul valore di aggiudicazione o di assegnazione di ciascun lotto;
allo stesso comma sono inoltre prefigurati gli scaglioni ed indicate le percentuali a
ciascuno scaglione relative; si stabilisce, ancora, che “è comunque dovuto un
compenso non inferiore ad euro 250,00”.
Al 3° co. è statuito testualmente che, “in caso di cessazione dell'incarico, di
inefficacia del pignoramento, sospensione o estinzione del processo prima della
vendita, il compenso del custode, calcolato, con le percentuali di cui al comma 1, sul
valore indicato nell'ultima ordinanza di vendita o, se non ancora pronunciata, su
quello stimato, è ridotto in proporzione all'attività effettivamente svolta”.
Al 4° co. si specifica che “il compenso liquidato ai sensi dei commi 1 e 3, è
diminuito fino alla metà quando l'immobile è libero o in altri casi di ridotta
complessità dell'incarico”.
Al 5° co. si precisa, viceversa, che “il compenso… può essere aumentato sino al
20% nei casi di eccezionali difficoltà nello svolgimento dell'incarico”.
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Al 6° co. si prevede che “al custode è dovuto il rimborso forfetario, in ragione del
10% del compenso liquidato, per le spese generali di organizzazione e studio, nonché
per quelle di corrispondenza, viaggi e comunicazioni, anche telefoniche”.
Al 7° co. si puntualizza che “al custode sono altresì rimborsate le spese vive
documentate diverse da quelle indicate al comma 6”.
All’ 8° co. si soggiunge che “non è dovuto alcun compenso all’aggiudicatario
dell’immobile eventualmente nominato custode”.
Dal canto suo l’art. 3 stabilisce, al 1° co., che il custode ha diritto ad un compenso
aggiuntivo, calcolato per scaglioni e con percentuali all’uopo indicate [ Fino a euro
5.000,00 la percentuale è del 4%; oltre euro 5.000,00 la percentuale è del 3%], sull’ammontare
delle somme incassate per le attività di riscossione dei canoni di locazione ovvero di
altre somme dovute per l’occupazione dell’immobile, nonché per le attività di
rinnovo, disdetta e stipula dei contratti di godimento del bene [Il 2° co. dello stesso art. 3,
a sua volta, così testualmente recita: “per le attività di seguito indicate, spetta al custode una
maggiorazione complessiva del compenso calcolato ai sensi dell’articolo 2, comma 1, variabile
tra il 5% e il 20%: a) azione per la convalida della licenza o dello sfratto per finita locazione o
per morosità e promozione di ogni altra azione, anche esecutiva, occorrente per conseguire la
disponibilità del bene; b) partecipazione alle assemblee condominiali; c) interventi di
manutenzione ordinaria o straordinaria; d) regolarizzazione catastale, urbanistica ed edilizia
degli immobili; e) direzione e controllo delle attività di asporto e trasferimento presso un
depositario delle cose mobili appartenenti al debitore o a terzi rinvenute nell'immobile
pignorato”].
Qualora il medesimo soggetto abbia atteso sia all’attività di custode sia a quella di
delegato alle operazioni di vendita, è preferibile che il giudice dell’esecuzione
provveda con separati provvedimenti, onde tenerle opportunamente distinte, all’una
ed all’altra liquidazione [L’una, sulla scorta del d.m. n. 80/2009, l’altra, sulla scorta del d.m.
25.5.1999, n. 313].
La Corte costituzionale, con sentenza n. 174 del 28.4.2006 [In Guida al diritto, 2006,
19, 58], ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 146, 3° co., del d.p.r. n. 115
del 30.5.2002, nella parte in cui non prevede che sono spese anticipate dall’erario le
spese e gli onorari dovuti al curatore; pertanto, nell’ipotesi in cui il fallimento sia
privo di fondi, il rimborso spese ed il compenso minimo spettante al curatore devono
essere posti a carico dell’erario.
Si è assunto che il principio affermato dalla Consulta “può estendersi al custode
giudiziario” [Così A. M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 894], su tale
premessa si è esplicitato che “nel caso di gratuito patrocinio tutte le spese, compreso il
compenso al custode, sono anticipate dall’erario e vengono rimborsate allo stesso solo
in caso di esito positivo della procedura esecutiva” [Così A. M. SOLDI, Manuale
dell’esecuzione forzata, cit., 894].
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