Mercoledì, 26 ottobre 2011
LA VOCE
DEL POPOLO
il pentagramma
De cantibus fluminensis
et de identitate
di Patrizia Venucci Merdžo
Gentilissimi,
in occasione della serata in onore del poeta dialettale triestino Claudio Grisancich, il coro misto della CI ha
eseguito due “vecie” canzoni fiumane, “Sora el Quarnero” e “Dime Rita”. Per me è stata una rivelazione. Era
la prima volta che le udivo.
E chi mai me le avrebbe insegnato? La scuola ai
tempi dei “druzi”? Certamente no. Dato il carattere patriottico quando non “irredentista”; erano i tempi in cui
si cantava “Noi siam piccoli pionieri, della patria l’avvenir” o, al massimo, “Quel mazzolin de fiori”. I miei
genitori no. Ai tempi dell’Italia, le piccole italiane e la
gioventù erano troppo impegnati a imparare “Giovinezza” e “Faccetta nera, bell’abissina”. Oggi, a scuola, non
le insegnano di sicuro, occupati come sono ad apprendere il canzonettario di Sanremo, le canzoni inglesi, peruviane, spagnole, “Jingle bells” e quant’altro, perfettamente in linea con l’ideologia globalizzatrice, pluralista, multilingue, multiculturale, esterofila, ossequiosa di
tutto e di tutti fuorché di noi stessi. E così, le vecchie e
simpaticissime canzoni popolari fiumane, principalmente di epoca austroungarica, sono finite nel dimenticatoio, sono sparite dalla circolazione, non esistono più. Alla
faccia dell’identità, della riscoperta delle nostre radici,
di un piccolo mondo antico dal quale traiamo origine,
ecc, ecc.
Fresche, vivaci, piene di “morbin”, di marcette ritmate e di melodie orecchiabili e suadenti, queste antiche
canzoncine del popolo (sebbene messe su carta da precisi autori di musiche e testi che si facevano interpreti dell’animo popolare) sembrano uscite dalla penna di
uno Strauss, di un Lehar o comunque di un operettista
della Felix Austria, con evidenti contaminazioni melodiche belcantistiche e venete.
Da un’indagine lampo su internet, apprendo che di
canzoni popolari fiumane ce ne sono ben trentacinque
(!), e, letti i contenuti, concludo che tutte rappresentano un formidabile veicolo d’identità, in quanto narrano,
con la loro caratteristica schiettezza, vivacità e arguzia ma anche con toni poetici a volte velati di nostalgia - la
storia, i costumi, le bellezze naturali del Quarnero, i per-
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musica
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VII
sonaggi tipici, l’orgoglio di appartenere alla bella città
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di San Vito e di favellare in fiuman.
Emergono così, da questi canti, le “tabachine”, figlie del popolo, e le bele sartorele, graziose, furbette a
cui piace amoreggiare; e il “tram fiuman” (“...dal ponte ai Pioppi, col suo: dan, dan), la storia dello stemma,
(“Indeficienter”, “Da tanto tempo - là sula tore/Ghe
stava el stemma - de la cità,/Ma un bruto giorno - non
se sa come,/via dela tore - el xe svolà!), l’Aquila della
Torre civica (“O grande Aquila un patrio afeto, palpita in peto d’ogni Fiuman !...); melodie inneggianti ai
santi patroni, alla torre, all’arco roman, e manco a dirlo
“Dime Rita” (“Cantime Rita, cantime bela, nela soave,
dolce favella che xe l’orgoglio de ogni Fiuman, cantime
Rita in Italian!”). E ancora, “El mio giardin” (1911),
“La mia perla” (1899), “Son tabachina” (1907), “Ninna nanna nostalgica” (1956), “Viva san Vito - Inno civico popolare” (1901), “El mio fior” (1901), “Sangue
fiuman” (1904), “Cor de plebe” (1905), “Bacoli (1910),
“Andemo al Comunal” (1897)... Meravigliose!
Sono queste le canzoni che andrebbero riscoperte e
studiate nelle scuole di Fiume! Non basta cantare in italiano per coltivare la nostra identità, che, come sappiamo, è dura conquista quotidiana. Bisogna cantare proprio “in fiuman”, così come i napoletani cantano le loro
tarantelle, i “venesiani” “Nineta in gondola”, i rovignesi le bitinade (e bravi i rouvignesi che sono riusciti ad
ottenere per la bitinada lo “status” di patrimonio spirituale dell’umanità!).
A furia di cantare in inglese, in croato, in italianese
sanremese la nostra identità va a farsi friggere, in primis quella fievole, fievole, dei giovani. Non è una questione di nostalgia, ma necessità di conoscere, e quindi
comprendere una storia e un’anima cittadine che non
esistono più, e che tuttavia fanno parte del nostro Dna.
È una questione di testimonianza; e ancora prima di autocoscienza.
Non credo sia importante fare tante (forse troppe) cose, quanto fare le cose giuste; e in questo caso
mi pare sarebbe “giusto” ed opportuno realizzare un
cd con queste spassosissime canzoni fiumane, piene di
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colore e di sentimento; e diffonderle, almeno nel nostro piccolo. Infine desidero concludere con i versi de
“La Perla” (1899), con l’auspicio che essi diventino
realtà:
“Cantemo quei bei canti
Che i veci n’à insegnà,
che avemo in cor costanti
che i fioi ne cantarà.”
Fiumandialettalmente Vostra
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PEDAGOGIA MUSICALE Apprendere la musica nel senso più ampio del termine fin
Il mondo magico dei suoni e la cr
di Patrizia Chiepolo Mihočić
L
Orchestrina di strumenti Orff
a
musica
rappresenta
l’espressione più ricca di benefici educativi ed, essendo
un linguaggio non verbale, tocca la
sfera “emotiva”. Il bambino si avvicina ben volentieri a quelle attività dalle quali trae una gratificazione. Da tali esperienze egli trae inoltre dei benefici per la sua crescita.
le tradizionale, ma l’esplorazione,
la produzione e l’ascolto di tutti i
molteplici fenomeni sonori e non,
che stanno alla base di una futura educazione musicale. Insegnare ai bambini piccoli la musica è
un compito che deve venir fatto in
modo creativo e deve comprendere la ritmica, il canto, l’ascolto e
l’animazione.
I principi base
Con la ritmica avremo finalidell’educazione musicale tà educative come: senso dell’ordine, autocontrollo, precisione,
e suoi benefici
senso dell’equilibrio, memoria e
Gli Orientamenti per la scuo- quant’altro. Si partirà con la ritmila materna, concretamente, sugge- ca gestuale dove i bambini dovranriscono però non attività musica- no ad esempio eseguire una marTutti a lezione di cetra
gioco, integrando il fare e ascoltare musica con l’espressione
corporea. Accompagnati da strumenti musicali i bambini potranno fare un salto, una capriola,
una corsa, ma anche l’esecuzione di innumerevoli posizioni. Infatti, i movimenti e posture permettono di enfatizzare le sensazioni che provengono dalla stimolazione sonora o dai silenzi.
Musica, gioco,
In questo modo anche i più piccoli vengono stimolati ad ascolcomunicazione
tare e ascoltarsi, ricercando tra
Una particolarità di questa le esperienze sonore più varie pratica è l’introduzione all’edu- come l’utilizzo di oggetti di uso
cazione musicale attraverso il comune - i suoni che provengocia, variando lento/veloce, eseguire due battute di mani e due battute
con un piede o viceversa, girarsi a
destra o a sinistra seguendo il ritmo ecc ecc...
Nella ritmica strumentale invece il compito del bambino sarà
quello di ripetere il ritmo con gli
strumenti Orff (legnetti, tamburelli, triangoli...).
Carl Orff e il problema pedagogico
Ai problemi dell`educazione
musicale il compositore Carl Orff
(1895 - 1982) incominciò ad avvicinarsi nel 1924 quando, in collaborazione con la moglie Dorothée Günther, fondò a Monaco la
“Günther-schule” ispirata, in un
certo senso, alle teorie precedentemente elaborate da Jacques-Daolcroze il cui metodo, basato sulla
musica quale agente coordinatrice
dei movimenti del corpo, era culminato qualche anno prima nella
fondazione dell`omonimo istituto
di Ginevra.
Alcuni principi sui quali si regge
il metodo Jaques Dalcroze, e precisamente la ritmica, i movimenti corporali, l`improvvisazione, si
trovano anche nel sistema di educazione elaborato dal compositore tedesco Carl Orff il quale, entro
certi limiti, può essere considerato uno dei continuatori delle idee
e delle iniziative dalcroziane secondo nuove esigenze che incominciarono ad affermarsi intorno
agli anni 40. Nell`iniziare la sua
attività di didatta, Orff non tentava di applicare delle possibilità già precedentemente teorizzate
ma egli tentava di dar vita ad una
nuova esperienza molto più personale di ciò che allora veniva definita educazione ritmica e cioè “…
una reciproca compenetrazione e
completamento dell`educazione al
movimento e alla musica”. Orff,
in pratica, mirava ad approfondire le relazioni tra musica e movimento non tanto in funzione di una
educazione ritmico - espressiva di
tipo sostanziale corporale e mimico, quanto complessivamente musicale...
Il sistema orffiano affonda le
sue radici in una concezione educativa che si preoccupa di inserire il fanciullo in una realtà che è
costante e fuori del tempo, che riconosce i legami con il linguaggio popolare, con i ritmi essenziali
della vita, con la vita della natura.
Così come scaturisce dalle proposte di Orff, il ruolo dell`insegnante
è quello di proporre, attivare, stimolare l`esperienza, senza una
particolare attenzione alla valorizzazione delle capacità possedute quanto piuttosto a una gradualità di apprendimento supposta in
modo intuitivo.
A differenza di Kodàly che ha
lasciato numerosi scritti riguardanti il suo pensiero pedagogico e
la pratica didattica del suo “metodo corale”, Carl Orff non ha mai
scritto nulla intorno alla propria
concezione educativa e al Schulwerk. Ne ha lasciato il compito a
Fritz Reusch, autore di Grundlagen und Ziele des Orffs-Schulwerks (fondamenti e fini dello Schulwerk di Orff) e a Wilhelm Keller,
autore di Einfuhrung in “Musik fur
Kinder” (Introduzione a “Musica
per bambini”). Nell`intendimento
e secondo le affermazioni di Orff
e dei suoi discepoli, lo Schulwerk
non è un “metodo” nel suo senso
tradizionale del termine, ma piuttosto una raccolta di suggerimenti, di esempi e di esercizi. Attraverso essi i bambini sviluppano il senso ritmico, imparano ad esprimersi
musicalmente, improvvisano ritmi
e suoni propri, personali pervenendo infine all`esecuzione di brani
ritmicomelodici...
Il metodo Orff parte dalla semplice constatazione che gli elementi essenziali di ogni “prodotto” musicale, antico o moderno,
vocale o strumentale, sono stati
sempre gli stessi. Questi elementi,
il materiale indispensabile a ogni
creazione musicale, sono sempre
il ritmo e il melos. Essi, prima disgiunti e poi uniti, prima in semplici strutture e in ambiti limitati, poi
in più ampie costruzioni, diventano per Orff i fattori unici e costanti dell`azione educatrice. bisogna
aggiungere, inoltre, che l`impiego
dell`elemento melodico e di quello
ritmico non è limitato al canto vocale o agli strumenti: anzi la voce
(nei limiti imposti da ragioni fisiologiche dell`età) e degli strumenti
(non tutti, ma quelli che sono sta-
no dal corpo che si muove, dalla
voce, dal respiro, ecc. Durante il
gioco riescono facilmente a parlare attraverso la musica e a servirsene come mezzo di espressione e di comunicazione.
Il metodo pedagogico
Montessori
La pedagogia musicale vuole
anzitutto evidenziare l’importanza che assume l’educazione musicale nella scuola, a cominciare
dalla scuola dell’infanzia. Forse, anche ricordando l’importanza che assumeva nell’educazio-
Carl Orff
ti prescelti da Orff per le loro qualità timbriche e facilità di impiego) sono, singolarmente, alternatamente o insieme il tramite grazie al quale si attuano in concreto
l`educazione ritmica, la formazione dell`orecchio e, in definitiva, la
sensibilità e il gusto musicale...
Il punto di partenza della didattica orffiana non risiede, però,
in un fatto o in elemento musicale, ma nel linguaggio. Come rivela uno studioso tedesco Ludwig
Wismeyer, il linguaggio umano
occupa in tutta la scuola un posto importante: esso infatti è usato
in tutte le materie ma, nello sforzo di farsene uno strumento preciso sotto l`aspetto semantico, nello
sforzo di appropriarsi più profondamente delle sue possibilità concettuali, si trascura di potenziarlo quale elemento di espressione
umana, nel senso di forma e suono. Se, quindi, gli elementi del linguaggio sono nello stesso tempo
gli elementi della musica, sembra
esatta l`affermazione di Orff, secondo cui “all`inizio di ogni esercizio musicale, sia melodico che
ritmico, c`è un esercizio linguistico”. Egli si rifà perciò alla lingua
madre. Dal tradizionale patrimonio delle filastrocche infantili, dalle sentenze popolari, dai proverbi
dei contadini egli trae le più semplici forme e le prime formule di
motivi ritmici, e vi scopre il modello delle prime creazioni melodiche: Dal parallelismo di frasi
parlate e di melodie nascono prima fasi puramente ritmiche e in seguito ritmiche melodiche.
(da “Le metodologie didattiche di Orff e Dalcroze” di Antonio
Spadaccino)
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dall’infanzia produce benefici di stimolo e coordinazione psicofisici
rescita armoniosa dei bambini
Strumenti Orff
Alle prese con gli strumenti Orff
ne classica, l’educazione musicale andrebbe posta al secondo posto, dopo l’educazione motoria,
in ogni ordine di scuola, per una
molteplicità di motivi, che non
sono solo quelli della grande diffusione che oggi la musica ha nella società e nella vita dei giovani.
L’educazione musicale è componente essenziale, fondamentale,
strutturale della formazione della persona umana e, come tale, va
avviata sin dai primi anni, prima
dell’ingresso nella scuola dell’infanzia.
Anche il metodo pedagogico
di Maria Montessori, molto attenta all’osservazione del bambino come una persona competente ed in grado di fare tutte le
cose come un adulto, dava grande
spazio anche all’educazione musicale che veniva divisa come segue: ritmo e ginnastica ritmica: la
musica si introduce negli esercizi di equilibrio detti ‘camminare
sul filo’, ripetendo più e più volte una sola frase musicale; riproduzioni musicali: con brevi lezioni si mette il bambino in grado di
fare le sue esecuzioni liberamente, fornendogli strumenti adatti a
lui per dimensioni e per semplicità. Lo sviluppo è dato dall’opportunità di prendere uno strumento, quando l’ispirazione li
spinge a cercare qualche armonia che è rimasta radicata nel loro
cuore; lettura e scrittura musicale: si impernia sugli esercizi sensoriali, consistenti nel riconoscere i suoni musicali del materiale
delle campane ad esempio, che in
un primo esercizio si appaiano,
e poi si mettono in gradazione;
l’ esplorazione dell’io sonoro, l’
educazione sensoriale all’ascol-
to, la socialità del suono e creatività interpretativa e produttiva.
Educazione al suono
in quanto tale
Ma l’educazione musicale non
è solo educare alla musica, ma anche al suono in generale. Oggi per
fortuna esistono numerosi sussidi
didattici, sottoforma di CD, che
producono vari suoni (legati alla
natura, alla città, suoni di macchine, apparecchi domestici...) i quali
devono poi venir riconosciuti dai
bambini. Ci sono storie raccontate dagli animali, e sarà compito dei
piccolini indovinare di quale bestiola si tratta, oppure favole sonore dove ogni strumento viene abbinato ad un singolo animale; così
l’uccellino verrà rappresentato dal
flauto, l’elefante dalla tromba, il
lupo dal corno, il gatto dalla chitarra ecc. Per i bambini sarà molto divertente indovinare, durante questa piccola operetta, qual è
l’animale in scena in quel momento.
Creare strumenti
musicali
Il bambino però non avrà solo
il compito di ascoltare e ripetere suoni e ritmi, ma sarà coinvolto direttamente nella costruzione
di semplici strumentini musicali.
Basterà prendere alcuni bicchieri
di plastica, riempirli con faggioli,
riso, sabbia o sassolini, chiuderli
con un coperchio (o con della pellicola) ed ecco dei simpatici maracas che potranno venir usati per accompagnare una breve musichetta.
Lo stesso lo si potrà fare con bottiglie di plastica, cilindri di carto-
ne o altri recipienti che potranno
venir usati per il gioco delle coppie, dove sarà compito del bambino, ascoltando il suono che producono, trovare due recipienti uguali
(in questo caso non trasparenti) –
esempio due bottigliette che contengono riso o due con sabbia.
E poi via libera a tamburelli,
batterie fatti di scatole di cartone o recipienti di plastica. Insomma la moltiplicità di suoni che noi
produciamo ogni giorno (battendo
le mani, scalpitando con i piedi o
schioccando con le dita) diventerà
per il bambino un mondo magico
fatto di ritmi, suoni e armonia, tutto da esplorare.
Violinista in erba
La varietà degli strumenti didattici
Lo “strumentario Orff” come
è comunemente chiamato il gruppo di strumenti proposti per
l`esecuzione degli esercizi e dei
brani dello Schulwerk, è articolato nel modo seguente: strumenti a percussione a suono indeterminato: legnetti sonori, piattini
(cimbali), piatti, triangoli, nacchere, cassettina di legno, sona-
gli, tamburo basco, timpanetto (a
una pelle), tamburi (a due pelli)
di varie dimensioni. - strumenti
a percussioni a suono determinato: strumenti a lamine: in metallo (metallofoni) e in legno (xilofoni), nonché Glockenspiel (campanelli) e armonica a bicchieri. I
metallofoni e gli xilofoni sono di
formato ed estensione varia, in
base al concetto strumentale di
“famiglie” (metallofoni - o xilofono - soprano, contralto, tenore
e basso)
- strumenti melodici: Flauti
dritti (soprattutto soprano e contralto) e fidule. - Strumenti gravi
di sostegno: violoncelli, viole da
gamba, contrabbassi, liuti, chitarre.
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ARTE ORGANARIA Pietro Nacchini, Gaetano Callido, Giovanni Battista Piaggia, i
Storia, caratteristiche e restauri
di Patrizia Venucci Merdžo
C
ircumnavigando la frastagliata penisola Histria o addentrandovi nel dedalo di
strade e stradine, che come rughe
antiche - o arterie vitali - segnano l’entroterra di questo suolo, si
scorgono appollaiati sulle amene
collinette, (preannunciati dagli alti
campanili) i tanti pittoreschi borghi
medievali.
Bellezze antiche
Mezzo diroccati, siti fantasma o
parzialmente riconsegnati alla vita
L’organo di S. Pietro in Selve
questi misteriosi agglomerati, (non
di rado percorsi da sotterranee vene
energetiche, dicono) quasi di regola
conservano piccoli tesori nascosti,
pallide vestigia del passato, segni remoti di un ormai andato bene di vivere: rilievi leonini marciani, antiche
e fregiate cisterne, simboli gentilizi,
ornamenti in ferro battuto e, fulcro
L’organo di Piemonte d’Istria
ed epicentro dell’esistenza paesana, rante il Terrore, assieme alla profal’immancabile luogo di culto.
nazione e saccheggio di tantissme
si fece quasi scempio totale
Tesori strumentali chiese,
di questi nobili strumenti).
Dentro, nel silenzio pesante, le
Presa di coscienza
volte amiche, le icone dei santi; si
eleva lo sguardo e... su in cantoria,
e restauri
racchiuso in un tripudio di angeli, in
Tuttavia, soffiano tempi nuovi
casse lapidarie e vetuste o nelle misurate forme classiche, brilla il luc- per questi illustri dimenticati, tant’è
cichio delle canne. In alto, sovrano vero che negli ultimi due decenni in
e dignitoso, l’organo! Strumento di Istria le acque si son mosse. Diversi
Dio e del popolo, il suo suono soave, restauri di organi storici e il festival
spirituale e regale ha scandito (come organistico “Organum Histriae” hanquello delle campane) ed accompa- no convogliato nell’ultimo decennio
gnato per secoli la vita dei nostri avi organisti d’altissima qualità, espernei momenti più importanti come ti organari, organologhi, musicolonella quotidianità: dal battesimo, al ghi smuovendo pure i mezzi d’inmatrimonio, dalla prima Comunio- formazione e le istituzioni culturali
ne, al vespro serale, dalle feste na- ai massimi livelli. Ciò ha determinatalizie, al rito funebre. Un suono che to una presa di coscienza dell’ultimo
ha lungamente e nobilmente intriso minuto che fa ben sperare.
la cultura europea e che, a nostra insaputa o nostro malgrado, si è intru- Le origini dell’organo
La genesi dell’organo è antichisfolato nel nostro sangue, si è annidato nei sedimenti del nostro codice sima. Risale ai cinesi un tipo di orgenetico. Forse è anche con questo gano idraulico a bocca con canne
che si spiega la strana commozio- di bambù per trovare presso i greci,
ne mista a riverenza che ci prende già nel III secolo a.c. un tipo di orquando ci disponiamo ad ascoltare gano (alimentato da aria comprestale favoloso strumento. Quasi un sa) idraulico evoluto provvisto di ta“richiamo della foresta!” Gli anti- stiera ed alcuni registri. Già in uso
chi organi istriani! Quale tesoro per presso i bizantini l’organo fa il suo
troppo tempo bistrattato, messo da ingresso in Europa nel 757 quale
parte, sottovalutato, lasciato quasi dono dell’imperatore d’oriente a Pimarcire nella polvere e nel degrado! pino, re dei franchi. Nel Medio Evo
(Quanto devono invidiarceli i fran- è strumento liturgico per eccellenza.
cesi. Bisogna sapere che reperire in Nel ‘300 viene dotato di piccola taFrancia un organo anteriore all’Ot- stiera, pedaliera ed una fila di cantocento è cosa molto rara. Infatti du- ne, elementi che vengono ampliati
La chiesa polese dispone attualmente di un magnifico «Eisenbarth»
Gli organi della Cattedrale di Pola
Splendido strumento l’ Eisenbarth donato alla Cattedrale di Pola
dalla ditta di Passau(Germania), per
interessamento del Kappelmeister
Eugen Sagmeister della circoscrizione diFreyung-Grafenau,un «signor» organo, adattato con somma
maestria per l’antico tempio polese
nello spirito della tradizioneorganaria italiana. Il decennale dello strumento è stato festeggiato con uno
straordinario concerto di uno dei
più grandi organisti tedeschi contemporanei, il prof. Norbert Duchtel
in duo con Stefan Binder alla tromba, e uno stage di giovani musicisti dei Laboratori musicali di Arena International e del CSMC dell’
UI; giovani che porteranno avanti
un’ attività unica e straordinaria sul
«re»degli strumenti, come abbiamo
già riportato lo scorso 10 ottobre.
Il Duomo di S. Maria Assunta di Pola, già elevato a Cattedrale
nel XV sec., ha alle spalle una storia
travagliata di continui rifacimenti
ed aggiustamenti, e nel suo secolare
andare ha avuto ben quattro organi
per la pratica del canto liturgico. Il
più antico è’ stato certamente l’organo costruito nella bottega di Gaetano Callido, l’organaro veneto del
Settecento che si formò alla Scuola del famoso PietroNacchini (Petar
Nakić), e che operò per lo più nel
Veneto, ma anche in Istria e nella
natia Dalmazia.
Posto nella cantoria sorretta da
sei colonne, sopra la porta principale, l’ organo Callido andò distrutto
nell’ incendio che scoppiò tra la notte del 6 e 7 ottobre 1923 e che incise
sull’aspetto architettonico del Duomo in quanto la cantoria non venne
ricostruita. Solo nel 1933 la Cattedrale fu dotata di un nuovo grande
organo elettrico a tre manuali e pedaliera, firmato Vincenzo Mascioni
di Cuvio(Varese), considerato come
uno dei più famosi organari italiani del tempo.La ditta Mascioni ha
costruito oltre 1000 organi in tutta
Italia, tra i quali vanno annoverati
quelli del Duomo di Pisa, della Basilica di S. Antonio di Padova e del
Duomo di Cremona.
Nel giugno 1944, durante i bombardamenti di Pola da parte degli alleati, la Cattedrale fu colpita da una
bomba che distrusse l’ Arco trionfale ed il lato sinistro della parte presbiteriale della Chiesa, come pure il
grande organo Mascioni.
Appena negli anni ‘80 il Duomo
potè disporre di un nuovo organo,
non certo adeguato all’importanL’organo “Eisenbarth” donato alla Cattedrale di Pola dalla ditta di Passau za e alla mole del Tempio polese.
(Germania), dietro interessamento del Kappelmeister Eugen Sagmeister Si trattava di un piccolo e modesto
Nella Cattedrale di S. Stefano di Passau
la Fabbrica d'organi «Eisenbarth»
ha installato l'organo più grande al
mondo, con 17.974 canne e 233
registri azionati da ben cinque tastiere
Il maestro Eugen Sagmeister con un’ allieva di Arena International
strumento della Casa organaria Gustavo Zanin di Codroipo, con due
manuali e pedaliera, che rimase in
funzione fino al 2001. In quell’anno
infatti, arrivò, in maniera inaspettata e graditissima, l’attuale maestoso
strumento, prodotto nel 1974 dalla
ditta Manufacture d’orguesLuxembourgoise-Lintgen e riadattato nel
2001 dalla Casa Wolfgang Eisenbarth, con particolare cura per la
situazione acustica e sonora della
Cattedrale.
L’organo è dotato di due manuali, della pedaliera e di 23 registri. Sebbene, a detta del M.o Sagmeister e potrebbe esservi aggiunta
ancora una tastiera, ma anche così
l’organo si presenta superbo.
Di esperienza la Casa Eisenbarth
ne ha moltissima; basti rilevare che
nella Cattedrale di S. Stefano a Pas-
sau (Passavia) ha installato l’organo più grande al mondo, un Eisenbarth con 17.974 canne e 233 registri azionati da ben cinque tastiere.
Queste in breve sono le vicissitudini degli organi della Cattedrale
di Pola. Una storia nella grande Storia della basilica paleocristiana la
quale ha un suo percorso continuo
sin dall’ Editto di Costantino e che,
ad ogni, anche minimo scavo, riporta alla superficie elementi nuovi.
Ai giovani musicisti di oggi si
affida l’alto e prestigioso compito
di far “ vivere” questo magnifico
strumento suonandolo degnamente in tutte le occasioni possibili. Ai
grandi concertisti dell’organo spetta invece la missione di presentare e
divulgare il prezioso patrimonio del
repertorio organistico mondiale.
Orietta Šverko
sica
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grandi organari di scuola veneta che impreziosirono il patrimonio liturgico
dei tesori organistici dell’Istria
dagli organari toscani nel ‘400. Parallelamente ai grandi organi delle
cattedrali i cui enormi mantici venivano azionati da decine di uomini
c’erano l’organo portativo (cioè trasportabile; con una mano si suonava
alla tastiera e con l’altra si azionava
il mantice) e l’organo positivo, più
grande del portativo il cui mantice
veniva messo in azione da una persona mentre l’altra suonava a due
mani sull’unico manuale.
L’organo positivo
di Piemonte
Ed ecco che arriviamo ai piccoli grandi gioielli istriani. Infatti
è nel paesino istriano di Piemonte
(Završje) che si trova l’unico esempio di organo positivo antico in
Istria e forse in Croazia. Il delizioso strumento il cui prospetto a cuspide è incastonato in una cornice
riccioluta porta su un listello sottostante al manuale, su fondo chiaro,
la dicitura in caratteri dorati “OPUS
IOANNIS BAPTISTAE PIAGGIA
VENETIARUM MDCCXL”. (L’illustre organo veneto fu allievo di di
Pietro Nacchini da Sebenico, il massimo organaro dalmata del ‘700 che
costruì e perfezionò tanti pregevoli
organi lungo la costa dalmata, detti
appunto di scuola veneto-dalmata).
La tastiera ha l’estensione di E/Cc (63,70 cm), la pedaliera ha otto
piedi, i sette registri con manette in
acero sono disposti verticalmente a
destra del manuale. I mantici funzionano ad azionamento alternato.
L’organo è considerato bene culturale di categoria A. Nel 1973 la Gioventù Musicale del Belgio coadiuvata dal restauratore Patrick Collon
avviò il restauro (come pure quello
dell’organo del Girardi a Grisignana) del prezioso strumento che fu
ultimato nel 1986, grazie alle elargizioni della Federazione delle case
discografiche di Londra, della Fondazione europea per la cultura di
Amsterdam e de ministero alla cultura del Belgio.
Prevalgono gli organi
di scuola italiana
Appartengono alla scuola italiana (ed in particolare veneta) del
‘700, sono di dimensioni relativamente contenute (rispetto agli or-
gani tedeschi del Settecento, portati all’apice da Gottfried Silbermann,
dotati di più tastiere e con i vari corpi indipendenti) ed hanno generalemente un suono pieno, tondo, dolce
gli organi di Umago, Buie, Capodistria e San Giuseppe della Chiusa.
L’organo della chiesa della Beata
Vergine Assunta e San Pellegrino di
Umago è stato costruito nel 1776 da
Francesco Dacci (allievo del Nacchini), e appartiene ai grandi organi della scuola veneto-dalmata (23
registri, una tastiera, pedaliera a sospensione); purtroppo anche questo
strumento come gli altri organi storici istriani, in seguito a restauri discutibili ha perduto in parte le caratteristiche sonore originali che comunque si cercheranno di ripristinare con il prossimo restauro.
A proposito di restauri, Albert
Schweitzer, il quale oltre ad essere
medico e teologo fu apprezzatissimo
concertista d’organo (studiò anche
il Widor a Parigi e redasse l’opera
completa di Bach per organo) difese
a spada tratta la personalità dei vecchi organi e fece i salti mortali per
convincere gli organari a non snaturare i vetusti nobili strumenti trasformandoli in ibride enormità spettacolari però di livello industriale.
Gli strumenti
di Gaetano Callido
Gli organi di Buie e di Capodistria sono stati costruiti da Gaetano
Callido (!) massimo rappresentante della scuola veneta (organaro stabile di S. Marco in Venezia) rispettivamente nel 1791 e 1773. La cassa
dell’organo di Buie è opera lussuosa
dell’alto barocco. Ambedue strumenti in seguito a restauri (Giorgio Bencz
e figli di Gorizia) hanno perduto parte
delle caratteristiche tecniche originali che si intendono recuperare in futuro con ulteriori interventi. L’organo a
trasmissione meccanica ad una tastiera della chiesa di San Giorgio di Pirano è stato costruito da Pietro Nacchini da Sebenico nel 1746 ed è l’unico
strumento del geniale fondatore della
scuola veneto-dalmata che si conserva in Istria. Collocato in cantoria sopra l’ingresso principale è chiuso nella bellissima cassa di stile barocco; i
registri disposti a destra del manuale, in una fila sono azionati da manubri a tirante. Gravemente danneggia-
Duomo di Ulm, un organo “Walcker” del 1969
L’organo di Buie
to durante la Prima Guerra Mondiale
in seguito ad interventi di restauro ha
parzialmente perduto le caratteristiche originali.
L’organo di Umago
La grazia barocca
dell’organo
di S. Pietro in Selve
Tra tutti questi organi veneti e veneto-dalmata spicca per la
sua spumeggiante festosità barocca
l’organo storico di S. Pietro in Selve nella chiesa dei S.S. Pietro e Paolo. Risalente al 1780 ad opera di
Janez Juraj Eisl, allievo dell’Egedacher è strumento tipico dell’area alpina e mitteleuropea. Anche in questo caso i cambiamenti a livello di
registri hanno determinato un allontanamento dall’originale suono settecentesco.
I monumentali
strumenti
del romanticismo
L’itinerario ottocentesco dell’organo romantico è stato segnato da
un ingigantimento a tutti i livelli (più tastiere, tantissimi registri
e perciò canne, introduzione della cassa espressiva e della trasmissione elettrica); un organo atto (ad
esprimere tutti i timbri orchestrali in potenze inaudite) allo stile organistico romantico di gusto “orchestrale sinfonico” (Mendelsohn,
Brahms, Liszt) che ha il suo apice
in Franck, Reger e Widor. Esempi di
Weingarten, Abbazia benedettina di S. Martino, la
consolle dell’ organo “Joseph Gabler” 1750 a quattro tastiere (Kuhn 1983)
mastodontici organi italiani del ‘900
sono quelli dell’Auditorio di palazzo Pio XII di Roma (5 tastiere, 165
registri, 12278 canne), dell’Auditorio Nuovo di Napoli (4 tastiere, 140
registri, 9200 canne) opera Pontificia Fabbrica d’Organi “Giovanni
Tamburini”. Ed ora nuovamente la
riscoperta dell’organo antico...
L’organo “Eisenbarth” del Duomo di Passau
6 musica
Mercoledì, 26 ottobre 2011
L’INTERVISTA Astrid Kuljanić nome emergente della scena musicale
Dalle formule chimiche
alla passione per il jazz
di Helena Labus Bačić
FIUME – “Mildreds” è un complesso di provenienza jazz, composto da affermati musicisti croatosloveni, che qualche anno fa è apparso sulla scena musicale croata
arricchendo il panorama della musica di qualità e mettendo in primo
piano la voce giovane e fresca di
Astrid Kuljanić, cantante di Fiume
attiva in numerose formazioni musicali fin dalla più giovane età, che
si sta facendo strada nel genere jazz
con tenacia e impegno.
Dando inizio alla sua collaborazione con i “Mildreds”, gruppo
formato da Uroš Rakovec, Krunoslav Levačić, Žiga Golob (tutti e tre
membri “Transhistria Ensemble di
Tamara Obrovac) e Blaž Celarec,
la giovane cantante ha avuto l’opportunità di dimostrare le sue notevoli doti canore e s”Mildreds”
dagli altri complessi è un repertorio composto da evergreen croati,
da note canzoni pop internazionali e da brani d’autore che parlano
di dettagli quotidiani che compongono il mosaico della vita, il tutto
reso con sincerità e semplicità e avvolto in una cornice musicale melodiosa e minimalista. Melodico ed
essenziale è pure lo stile canoro di
Astrid, che lavora al suo ulteriore
perfezionamento frequentando il
corso di canto jazz al Conservatorio “Giuseppe Tartini” di Trieste.
Nell’intervista che ci ha concesso
tra un impegno e l’altro, la giovane cantante ci ha parlato della sua
passione per il canto, dei suoi inizi musicali, del jazz festival che ha
fondato a Cherso e dei suoi piani
per il futuro.
- Quando è iniziato il tuo
amore per il jazz e come sei giunta all’idea di studiarlo?
”Provengo da una famiglia musicale, nella quale sia mio padre
che mia madre suonano diversi
strumenti mentre mia sorella Karin si occupa pure di canto. Fin da
piccola, quindi, ero circondata dalla musica. Mi sono sentita attratta dal jazz per via della sua complessità formale e armonica. Amo
ascoltare, cantare e anche studiare tal genere. D’altra parte, conoscendo l’ambientemusicale ho notato che molte persone si assumono
il ruolo di ‘jazz-polizia’ e decidono
in base ai loro criteri quale musica rientra nella categoria di ‘jazz’
e quale, non essendo ‘all’altezza’,
bisogna scartare. Io non sono d’accordo con questo tipo di purismo
e ritengo che non bisogna limitarsi a un determinato genere, ma fare
semplicemente ciò che ci piace e ci
rende felici.
Ho terminato la Scuola elementare di musica ‘Ivan Matetić Ronjgov” di Fiume, dove suonavo il
violino. Anche se desideravo continuare gli studi alla Scuola media
di musica ho rinunciato dato che i
miei genitori avevano altre idee riguardo il mio futuro. Nonostante
ciò, ho continuato a occuparmi di
musica cantando nel coro giovanile
‘Putokazi’ e in complessi musicali
che erano attivi presso alcune chiese di Fiume.
Durante gli studi universitari mi divertivo come back-vocal
nella band di Šajeta (Dražen Turina Šajeta, noto cantautore abbaziano, nda). Conseguita la laurea (in
scienze chimiche, nda) a Zagabria,
avevo deciso di provare a occupar-
mi e a vivere soltanto di musica. È
stato questo il periodo nel quale ho
iniziato a collaborare con rinomati
musicisti, abbiamo fondato i ‘Mildreds’ e sembrava che la mia idea
di vivere di musica potesse avverarsi.
Entrando, però, nel mondo del
jazz mi sono resa conto dei miei limiti. Infatti, non conoscendo a fondo le regole del jazz mi trovavo ad
avere problemi con l’armonia e mi
mancava la conoscenza di uno strumento armonico, come il pianoforte. Per questo motivo ho deciso di
iscrivermi al corso di canto jazz al
Conservatorio di Trieste, dove spero di arricchire il mio sapere e sviluppare le mie capacità”.
- Come è iniziata la tua collaborazione con i rinomati jazzisti
che compongono i Mildreds?
”Mi ritengo fortunata di poter
cantare con loro. Assieme a Kruno
Levačić, che conoscevo da diversi
anni, avevo iniziato a fare musica
collaborando con una serie di musicisti. Da qui siamo giunti a Žiga e
a Uroš, che suonano pure con Tamara Obrovac, e poi a Blaž. Anche
se si tratta di musicisti che compongono il ‘Transhistria Ensemble’
di Tamara, questa band è completamente diversa, sia per il repertorio
che coltiva sia per il suono acustico
che cura.
Il primo album ‘Brisači prašine’
del 2007 era composto in prevalenza da vecchi evergreen croati, mentre il secondo, ‘Život u ušima’ del
2009, si basava su brani d’autore.
Purtroppo, quello che rende difficile la nostra collaborazione è il fatto
che ciascuno di noi vive in una città diversa e tra due Paesi, per cui
è arduo trovarsi insieme per provare. Per fortuna, si tratta di musicisti eccezionali che, in effetti, non
hanno bisogno di molte prove. In
ogni caso, mi sento molto fortunata
e onorata di collaborare con jazzisti
di tale calibro”.
- Sei direttrice artistica del
jazz festival estivo CREScendo a
Cherso. Come hai deciso a occuparti di organizzazione di eventi
musicali?
”Avevo notato che durante
l’estate a Cherso mancano eventi di
carattere musicale che potrebbero
permettere anche ai “Mildreds” di
esibirsi, per cui sono giunta all’idea
di organizzare qualcosa. La musica jazz, infatti, è un genere ‘delicato’ che esige uno spazio adeguato
dal punto di vista acustico, ma anche estetico. Posso dire, quindi, che
ho deciso di organizzare un festival
per motivi egoistici, cioè per poter
avere finalmente uno spazio adeguato per fare musica con la mia
band. Il festival, che è stato fondato nel 2008, si svolge in un vecchio
cinema all’aperto nel centro stretto della città di Cherso e dura solitamente due giorni alla fine di giugno”.
- Segui i concerti dei tuoi colleghi?
”Cerco sempre di seguire ciò
che fanno gli altri musicisti, anche
se ultimamente non ho avuto molto
tempo per frequentare i concerti”.
- C’è qualche musicista con il
quale vorresti collaborare?
Mi piacerebbe collaborare con
tanti musicisti, ma soprattutto vorrei cantare e suonare molto di più.
Vorrei partecipare nuovamente al
Festival del film muto che si svolge a Zagabria ogni novembre e nel
cui ambito ho fatto una bellissima
esperienza assieme a Žiga Golob e
a Kruno Levačić. Infatti, nel contesto di un’edizione passata del festival avevamo curato lo colonna
sonora di una pellicola, improvvisando e divertendoci un mondo. È
stato molto impegnativo, ma così
bello che spero proprio di riprovarci”.
- Qual’ è il tuo prossimo progetto?
”Continuare gli studi al secondo
anno di Conservatorio. Spero, inoltre, di iniziare a lavorare al terzo album con i ‘Mildreds’. E vorrei continuare a cantare il più possibile.
musica 7
Mercoledì, 26 ottobre 2011
IL CAPOLAVORO Le architetture stravinskiane si erigono con ieratica geometria
La sacrale atemporalità
della «Sinfonia dei Salmi»
«L
a forma della sinfonia, quale ci è stata
tramandata dall’Ottocento e che ha visto la sua fioritura in un’epoca le cui idee e
il cui linguaggio ci sono tanto
più estranei dato che ne siamo
usciti, mi seduceva assai poco.
Come per la mia Sonata, volli
creare un tutto organico senza
conformarmi ai differenti schemi codificati dall’uso, ma conservando al pezzo l’ordine periodico, grazie al quale laSinfoniasi distingue dallaSuite, la
quale non è altro che una successione di brani di diverso carattere...”: così Stravinskij, nelle sue “Chroniques”, descrive il
progetto per una nuova composizione sinfonica - la “Sinfonia
del Salmi”, appunto - la cui natura, come si desume dalle parole del compositore, rinneghi il
modello della sinfonia romantica. Ma torniamo un attimo ancora alle “Chroniques”: “Nella mia
idea - ci confida Stravinskij - la
sinfonia doveva essere un’opera dal grande sviluppo contrappuntistico, e per ottenerlo avevo bisogno di ampliare i mezzi
a mia disposizione. Finalmente
mi fermai su di un organico corale e strumentale nel quale i due
elementi fossero posti allo stesso livello, senza alcuna predominanza l’uno sull’altro. In questo modo il mio punto di vista
sui reciproci rapporti delle parti
vocali e strumentali coincideva
con quello degli antichi maestri
della musica contrappuntistica, che appunto li trattavano da
pari e non riducevano la funzione dei cori a un canto omofono,
né la funzione dell’insieme strumentale a quella di un accompagnamento”. Queste le intenzioni: lo strumento sarà il recupero di uno stile pre-romantico,
ovvero neo-classico, soluzione
linguistica non certo limitata al
solo Stravinskij ma appannaggio di un vero e proprio capitolo
nella storia musicale del Novecento. In questa “rinascita” molti compositori ritennero di trovare quel legame tra il presente
ed il passato arcaico in grado di
arricchirli: basti ricordare l’uso
MUSICA ANTICA
del “modo dorico” in Debussy
(Pelléas et Mélisande), Ravel
(Quartetto in fa), del “modo misolidio” in Sibelius (Quarta Sinfonia), Bartòk (Terzo Concerto per pianoforte) e quanti altri
(Respighi, Satie, Walton, Hindemith) hanno abbracciato tale
manifesto musicale.
La Sinfonia dei Salmi viene composta a Nizza tra l’inverno e l’estate del 1930 con la
seguente dedica: “Questa sinfonia composta a gloria di Dio è
dedicata alla Boston Symphony
Orchestra in occasione del cinquantesimo della sua esistenza”. Di fatto, questa partitura
è per Stravinskij - compositore così in bilico tra misticismo
orientale e pragmatismo occidentale - l’occasione di una particolare ispirazione religiosa:
la scelta dei testi cade sui Salmi di Davide, il 150, il 78 ed il
39, laddove il primo - la visione del carro di Elia che ascende
al cielo - rimanda ad una precisa intenzione dell’Autore. La
musica non si fa più interprete
del “significato” del testo, ne
evita il coinvolgimento personale bensì diviene il messaggio,
il “tempio” purificato di un’intera comunità: essa non dice né
“io” né “tu”, ma “noi”. Proprio
per tale motivo la partitura dei
Salmi appare estremamente “figurativa”: “Mai prima di allora - scriverà infatti Stravinskij
- avevo scritto qualcosa di così
poco immaginoso come le terzine per corno e pianoforte che
dovevano suggerire i cavalli ed
il carro”.
In detto clima neo-classico, che per sacrale monumentalità non può non ricondurre
alle note dell’Œdipus rex, le tre
parti della”Sinfonia dei Salmi”
si dipanano senza interruzione
di continuità: le architetture di
questa straordinaria partitura si
erigono con ieratica geometria e
potenza costruttiva (attenzione
al doppio fugato della seconda
parte) per spegnersi, col gioco
reiterativo di una cellula melodica, nella staticità atemporale
dell’ultima sezione.
Giovanni Fontechiari
«Alleluia. Lodate Dio
nel suo santuario,
lodatelo nel suo maestoso
firmamento.» (Salmo 150)
Come Tasso firmò la «regia» del suo poema musicato
Ecco quanto scrisse Monteverdi per la Prefazione alla prima edizione (1638) del Combattimento:
«Combatimento in Musica di Tancredi et Clorinda, descritto dal Tasso; il quale volendosi esser fatto in genere rappresentativo, si farà entrare alla sprovista (dopo cantatesi alcuni Madrigali senza gesto) dalla parte de la Camera in cui si
farà la Musica. Clorinda a piedi armata, seguita da
Tancredi armato sopra ad un Cavallo Marrano, et
il Testo all’hora comincerà il Canto. Faranno gli
passi et gesti nel modo che l’oratione esprime, et
nulla di più né meno, osservando questi diligentemente gli tempi, colpi et passi, et gli ustrumentisti gli suoni incitati e molli; et il Testo le parole
a tempo pronunciate, in maniera, che le creationi
venghino ad incontrarsi in una immitatione unita;
Clorinda parlerà quando gli toccherà, tacendo il
Testo; così Tancredi. Gli ustrimenti, cioè quattro
viole da brazzo, Soprano, Alto, Tenore et Basso et
contrabasso da Gamba, che continuerà con il Clavicembalo, doveranno essere tocchi ad immitatione delle passioni dell’oratione; la voce del Testo
dovrà essere chiara, ferma et di bona pronuntia alquanto discosta da gli ustrimenti, atiò meglio sii
intesa nel ordine. Non doverà fare gorghe né trilli
in altro loco, che solamente nel canto de la stanza, che incomincia Notte; il rimanente porterà le
pronuntie et similitudine delle passioni del’oratio-
ne. In tal maniera (già dodici Anni) fu rapresentato nel Pallazzo del’Illustrissimo et Eccelentissimo
Signor Girolamo Mozzenigo, mio particolar Signore. Con ogni compitezza, per essere Cavaliere di benissimo et delicato gusto; In tempo però di
Carnevale per passatempo di veglia; Alla presenza di tutta la nobiltà, la quale restò mossa dall’affetto di essere statto canto di genere non più visto
né udito”.
Monteverdi e «Il combattimento di Tancredi e Clorinda»
L’ indagine psicologica portata ai livelli massimi
I
l Combattimento di Tan- di Madrigali Guerrieri et
credi e Clorinda, che fa Amorosi (Venezia, Vinparte dell’Ottavo Libro centi, 1638), fu commissionato da Girolamo Mocenigo, e venne eseguito
per la prima volta in casa
Mocenigo nel carnevale
del 1624.
Monteverdi si trovava
a Venezia dal 1613, e nello stesso anno fu nominato maestro di musica della
Serenissima nella cappella
di San Marco, al posto di
Giulio Cesare Martinengo.
Era ormai uno dei più celebri musicisti italiani, ma
col Combattimento ottenne un successo senza preParitura del “Combatti- cedenti.
La ricerca psicologicomento di Tancredi e Clomusicale monteverdiana è
rinda”
spinta all’estremo: siamo
ai primi accenni della vera
musica imitativa, presagio
di impressionismo. Monteverdi adattò il madrigale alle esigenze contemporanee e ne stabilì lo stretto
collegamento con il palcoscenico “in genere rappresentativo”.
Come autore di teatro,
nell’opera, nel balletto, nel
divertimento all’aperto, si
dimostrò un musicista preminentemente vocale; per
quanto eccellenti e originali siano le sue sinfonie e
ritornelli, tuttavia è la musica vocale che lo configura come un vero genio
e come il padre dell’opera italiana. Monteverdi
rappresenta il momento
di passaggio dalla polifonia pura alla melodia e il
lento ma inesorabile insorgere della voce superiore,
che si affermava come parte principale.
Con la sua formula teatrale che esige una precisa interpretazione attraverso il canto e la mimica, il
Combattimento segna una
data monumentale sia nella produzione monteverdiana che nella storia della
musica. Il testo di Torquato Tasso (La Gerusalemme
Liberata, Canto XII), colmo di violenza romantica,
avrebbe dovuto presentare
difficoltà all’artista che fu
essenzialmente preoccupa-
Claudio
Monteverdi
to dell’anima umana. Ma
qui lo stile rappresentativo trova la sua più perfetta
illustrazione, e la diversità
dei sentimenti e delle passioni trovano l’equilibrio
nella semplicità musicale
impiegata da Monteverdi.
8 musica
Mercoledì, 26 ottobre 2011
LE GRANDI VOCI Tamagno, il re dei tenori verdiani
La potenza e lo squillo vocale
di un interprete storico
F
rancesco Tamagno (Torino, 28 dicembre1850–Varese,31 agosto1905) è stato un
massimo tenore drammatico italiano della seconda metà dell’Ottocento. Di umili origini, nacque
nel quartiere di Borgo Doraa Torino in una famiglia numerosissima
composta da 15 fratelli e sorelle,
10 dei quali morti in giovanissima
età a causa dicoleraetubercolosi. Il
padre Carlo era l’oste di una modesta trattoria a Porta Palazzo (laTrattoria dei Pesci Vivi), la madre
Margherita Protto morì poco dopo
quando lui era ancora fanciullo.
Lavorò fin da piccolo nella trattoria di famiglia come cameriere.
Suo padre aveva la passione per
il canto, che però non coltivò ma
trasmise ai suoi figli. Francesco,
che il padre giudicò dotato, prese alcune lezioni da un maestro di
Torino e faceva settimanalmente i
suoi esercizi corali coi suoi compagni sotto le arcate delPonte MoscadellaDora, luogo sufficientemente lontano dalle abitazioni. Un
giorno gli capitò l’occasione della
vita: il Teatro Regio aveva urgente bisogno di un tenore per l’opera Poliuto poiché uno dei comprimari si era improvvisamente ammalato. Il maestro che gli insegnava canto, informatone, pensò
a lui e segnalò il suo nome. Dopo
aver quindi esordito nel1871a Torino come comprimario nel Poliu-
to (Nearco), conquistò il primo rimarchevole successo a Palermo nel
1875 in Un ballo in maschera. Venne quindi scritturato alla Fenice di
Venezia e al San Carlo di Napoli,
debuttando nel1878 alla Scala di
Milano ne L’Africana di Giacomo
Meyerbeer. Fu il protagonista alla
prima assoluta dell’Otello di Giuseppe Verdi il 5 febbraio1887, ruolo che divenne in seguito il suo cavallo di battaglia. Fu inoltre il primo Gabriele Adorno nella seconda
versione del Simon Boccanegra di
Verdi (Scala,24 marzo1881), il primo Azaele nel Figliuol prodigo e il
primo Didier in Marion Delorme,
entrambe di Amilcare Ponchielli.
Ebbe in repertorio anche titoli della prima metà dell’Ottocento come
Gli Ugonotti e Il profeta di Meyerbeer e Guglielmo Tell di Rossini.
La sera del30 agosto1905, mentre
era in visita aVareseda un amico,
Tamagno venne colto da un’emorragia cerebrale, dalla quale non si
riprese. Nella notte venne colto da
un secondo attacco, che dopo poche ore di agonia provocò la morte
del tenore. Erano le 7,30 del mattino del31 agosto. Per sua espressa volontà la salma venne imbalsamata e i funerali si tennero il 5
settembre a Torino, sua città natale.
È sepolto in un poderosomausoleo-
bianco alto 37 metri, eretto per volontà della figlia Margherita, molto
affezionata al padre. Il mausoleo si
trova all’interno del Cimitero monumentale di Torino, nella parte
antica (quinta ampliazione).
Secondo la critica, la sua voce
prodigiosa per potenza, squillo ed
estensione, e il suo vocalizzo vigoroso e definito fecero di lui il più
grande tenore verdiano ed uno dei
massimi artisti lirici della fine del
XIX secolo. La sua tecnica era legata a quella del ‘puro’ canto di
tradizione italiana, che attribuiva
ancora grande importanza all’intelligibilità testuale. Le vocali erano ben differenziate, permettendo
una chiara comprensione dei significati del libretto, potenziandone così l’interpretazione drammatica. Ascoltando le registrazioni
storiche della limpida voce di Tamagno, appare evidente che l’affidamento del ruolo di Otello ad una
cosiddetta “voce scura” di tenore
drammatico, confinante con quella del baritono, risulta più un vezzo
novecentesco, che una reale scelta
artistica voluta da Verdi.
I suoi costumi e i complementi che si conservano al Teatro Regio di Torino sono la testimonianza
del privilegio di un artista di livello
internazionale, che poteva dispor-
re di un guardaroba personale per
ogni personaggio interpretato. Le
date dei debutti dei vari personaggi e dei teatri che l’accolsero dimostrano l’incredibile carriera di questo artista, che partendo dal Regio
toccò i più illustri teatri del mondo. La Rocca e il Borgo medievale,
costruiti per la Grande Esposizione Generale Italiana a Torino del
1884, vengono inaugurati quando Francesco Tamagno è in Sud
America. Ma il tenore non mancò
di tornare nella sua città in occasione della grande manifestazione, visitando i Padiglioni dell’Elettricità,
delle Scienze e del Lavoro, nonché
il Borgo e la Rocca. Il tenore dà il
nome alla Società Culturale Artisti
Lirici Torinese “Francesco Tamagno” di Torino e all’associazione
Amici della lirica “Francesco Tamagno” di Varese.
In “Aida”
Aforismi
Wystan Hugh Auden
”La musica è il miglior mezzo per sopportare il tempo”
Aldous Leonard Huxley
”Dopo il silenzio ciò che si avvicina di più nell’esprimere ciò
che non si può esprimere è la musica”.
Artur Schnabel
”Non tratto le note meglio di altri pianisti. Ma le pause tra le
note... oh, è lì che sta l’arte!”
Sant’Agostino
”Chi canta prega due volte.”
Jacob Levy Moreno
”Uso il mio strumento come se suonassi con una voce umana.
Suono come se parlassi. Mi piacciono i cantanti.”
Franz Liszt
”La pena e la grandezza sono il destino dell’artista.”
Franz Schubert
”O fantasia, inestinguibile fonte dalla quale bevono l’artista e lo
scienziato! Vivi presso di noi, anche se sei riconosciuta ed onorata
da pochi, per preservarci dalla cosiddetta ragione, da quel fantasma
senza carne e senza sangue. “
Richard Wagner
”La gioia non è nelle cose, è in noi. “
Fryderyk Chopin
”Buffone è chi non ride mai.”
Fryderyk Chopin
”(Musica) Tu sei per me la porta del Paradiso. Per te rinuncerei
alla fama, al genio, ad ogni cosa. “
Come Otello
Con Giuseppe Verdi
Mozart aiuta la crescita dei bimbi nati prematuri
Un nuovo studio pubblicato sulla rivista “Pediatrics” dal
dottor Ronit Lubetzky del Tel
Aviv Sourasky Medical Center
di Israele, conferma gli effetti
positivi dell’ascolto di musica
di Mozart sulla salute dell’uomo ed in particolare sullo sviluppo dei bambini nati prematuri.
L’affermazione segue una ricerca sperimentale effettuata su
20 bambini nati prematuri e con
un peso inferiore alla media, che
sottoposti all’ascolto di un cd di
Mozart per 30 minuti al giorno hanno visto rallentare il metabolismo del 10-13% e quindi
aumentare anche il loro peso in
misura maggiore del normale.
Mozart è stato spesso oggetto di
studi in ambito medico scientifico, tanto che relativamente agli
effetti della sua musica sull’uomo si parla apertamente di un
vero e proprio ‘effetto Mozart’,
che poi sviluppa i suoi effetti
positivi sull’intelligenza, o nella cura di varie patologie, tra cui
quelle legate all’udito.
Anno VI / n. 52 del 26 ottobre 2011
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina
IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina
Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat
edizione: MUSICA [email protected]
Redattore esecutivo: Patrizia Venucci Merdžo / Impaginazione: Denis Host-Silvani
Collaboratori: Patrizia Chiepolo Mihočić, Helena Labus Bačić e Orietta Šverko
Foto: Zlatko Majnarić