Meccanismi di messa a fuoco Fino a non molto tempo fa, moltissime macchine fotografiche avevano un meccanismo per l'ausilio della messa a fuoco manuale che divideva un'immagine in due parti. Solo quando le due parti erano perfettamente allineate la focheggiatura era perfetta. Questo meccanismo era ottenuto tramite l'utilizzo di due prismi affiancati. La cosa interessante è che nei moderni autofocus, questa tecnica è tutt'ora utilizzata ed è una parte fondamentale della messa a fuoco a ricerca di fase. Risorse correlate Split Focus by Douglas Kerr Ringraziamenti Molti dei contenuti dei miei articoli sono il frutto di ricerche che spaziano su diversi campi, dall'editoria alle chiacchiere tra amici e fotografie e ovviamente alle ricerche su internet, che negli ultimi anni hanno preso il posto delle librerie o edicole. Questo particolare argomento, l'autofocus, è un argomento 'scottante' per molti fotografi e quindi ho cercato di documentarmi il meglio possibile. Le mie fonti principali per questo articolo sono principalmente in inglese e sono rappresentate da alcuni articoli di Douglas A. Kerr che ha un sito che consiglio a chiunque di visitare per la quantità di informazioni che vi sono presenti e da un po' di documenti di brevetti che sono stati resi pubblici su internet, riferiti ai meccanismi di messa a fuoco di alcune macchine fotografiche. Come funziona lo stigmometro? Esatto Stigmometro, questo sarebbe il nome in italiano di questo curioso giochetto ottico ottenuto tramite due prismi che spezzano l'immagine. In inglese è un pochino più semplice: split image, ovvero immagine spezzata. Il principio è piuttosto semplice, cominciamo a vedere cosa succede con il normale schermo della messa a fuoco: come si può vedere, l'immagine si ricrea sul piano focale come si è visto mille volte in tanti testi di ottica o di fotografia. Il capovolgimento dell'immagine è normale e quindi è normale che i punti Blu e Rosso siano capovolti rispetto a quanto ripreso. Se il fuoco è corretto, l'immagine verrà resa perfettamente nitida sul piano focale che poi diverrà quello dove risiede il sensore o la pellicola. Nel momento in cui il fuoco non è corretto, significa che il piano focale che si crea con la focheggiatura errata non è coincidente con il piano del sensore o pellicola e quindi si ottiene qualcosa riconducibile a quando si può vedere nella seconda figura: L'immagine si forma sul piano che è definito dalla sottile linea azzurra, mentre il piano della pellicola è quello all'estrema destra. Come si può notare quello che prima era un punto ben definito, ora è un cerchio di dimensioni ben maggiori poichè il piano di fuoco non coincide con il piano su cui misuriamo la nitidezza dell'immagine. In una macchina reflex, il piano di messa a fuoco su cui normalmente si lavora è rappresentato da un vetro smerigliato che sta alla base del pentaprisma o pentaspecchio che equipaggia la fotocamera. Tale vetro è (o dovrebbe essere) piazzato alla stessa distanza del piano del sensore o pellicola. In pratica se tutto è rispettato, basta vedere l'immagine nitida attraverso quel vetro per avere l'immagine nitida sul sensore o sulla pellicola. Immaginando di omettere tutto quanto non basilare per la nostra chiacchierata, il sistema ottico è descrivibile con l'immagine che segue: esattamente come avveniva prima per il piano focale immaginario, adesso avremo che l'immagine è veicolata tramite un vertro smerigliato verso il mirino della fotocamera. Chiaramente è immediato pensare che vista la natura del vetrino, la diffusione della luce sarebbe tale che il mirino sarebbe buio. Tutto corretto, tra le cose che non sono riportate nello schema c'è anche una lente di condensazione che permette di inviare quanta più luce possibile verso il mirino, in modo che l'immagine possa risultare quanto più luminosa possibile. A questo punto diventa immediato pensare a cosa possa accadere in caso di fuoco errato, la diffusione dei punti ricrea lo sfocato anche sul vetrino. Immagine spezzata A questo punto siamo pronti per poter capire qual'è il principio con cui lavora il dispositivo dello stigmometro. Nell'immagine a lato, abbiamo un oggetto che è perpendicolare allo schermo, che viene focheggiato attraverso una lente. I punti blu e rosso sono gli estremi di questo oggetto (immaginate un'asta) e servono per avere dei riferimenti nell'osservazione dell'immagine. La prima domanda potrebbe essere: "perchè consideri solo la luce che colpisce il diaframma?". E' un'ottima domanda, e ha anche una buona spiegazione. Per il momento però vi lascio con il dubbio, diciamo che ragionare con questo schema, anche se sembra una forzatura, non è troppo lontano da quanto avviene realmente. Nella parte in basso a destra, vedete la sezione dello stigmometro. In pratica si tratta di due prismi ottici messi uno a fianco all'altro e al rovescio uno rispetto all'altro. I due prismi devono essere identici, poichè devono comportarsi nello stesso modo se colpiti dalla luce. Il principio di funzionamento è semplice, i raggi Blu della figura, passano attraverso la lente e colpiscono lo stigmometro nello stesso punto in cui i raggi rossi colpiscono l'altro prisma. Il risultato è che sia i raggi blu che quelli rossi sono sottoposti alla stessa identica diffrazione e quindi vengono deviati nello stesso modo. Guardando i due prismi si avrà che il punto blu e quello rosso sono allineati. Questo allineamento fa sì che il fotografo sappia che l'immagine è a fuoco. La prossima immagine mostra cosa succede se la focheggiatura non è corretta. Il risultato è chiaro, i raggi rossi e quelli blu costituiscono l'immagine virtuale in un punto che non è quello del piano dello stigmometro e le rifrazioni fanno sì che le immagini inviate al mirino siano disallineate. Lo stigmometro è un aiuto molto importante per la corretta focheggiatura, ma ha dei limiti, dovuti proprio alla quantità di luce necessaria a fare in modo che si possa riconoscere la spezzatura dell'immagine. Uno dei problemi più classici degli stigmometri è proprio l'utilizzo di obiettivi con diaframmi molto chiusi. Prima vi dicevo che considerare i raggi che passano vicino al diaframma era una forzatura ma che non si era lontani dalla realtà. In effetti la luce che viene sfruttata da questo sistema è proprio quella che proviene dalle regioni più lontane dal centro dell'immagine, poichè la luce che arriva dal centro dell'obiettivo è deviata dai prismi in zone che non possono venire coperte dal mirino e quindi, in situazioni di diaframmi molto piccoli (numeri f alti per intenderci), i prismi diventano completamente neri. Ricapitoliamo Nella prima parte abbiamo visto come l'immagine venga 'spezzata' per poter controllare la corretta messa a fuoco. Uno dei vantaggi principale di questo meccanismo, detto 'a controllo di fase' è che non solo si capisce se la messa a fuoco è completa, ma anche in che direzione è necessario spostarsi in caso di fuori fuoco. Infatti le due linee risultanti dallo 'spezzamento' non vanno da un lato o l'altro per caso, ma seguono precise leggi di ottica, quindi il loro movimento è predicibile. Questo fa sì che focheggiando prima del punto esatto io abbia le linee in una certa posizione, mentre focheggiando dopo il punto esatto mi ritroverò le linee in posizione esattamente simmetrica a quelle appena descritte. E' su questo che si basa il sistema di AF per decidere se ruotare la messa a fuoco in senso orario o antiorario. AutoFocus La prima differenza rispetto a quanto abbiamo visto è che le due linee risultanti vengono gestite da due differenti sensori che non fanno altro che comparare quanto vedono. In parole molto semplici (e sto semplificando) finchè non vedono la stessa cosa, capiscono di non essere a fuoco. I due sensori non hanno la necessità di essere posizionati uno vicino all'altro, in modo che possano verificare il fuoco (per esempio) in termini sia verticali che orizzontali, così da poter garantire una maggiore precisione durante l'utilizzo. Nella figura a lato, si può notare che i raggi relativi al punto Blu e quelli relativi al punto rosso vengono inviati a due differenti microprismi. Questi prismi di separazione sono ovviamente posti in modo da poter deviare i raggi luminosi in modo opportuno sui sensori piazzati dietro ad essi. I sensori hanno una taratura che durante la costruzione viene impostata. Questa taratura è il punto in cui un'immagine perfettamente a fuoco va a formarsi sul sensore stesso. Questo diventa un punto di riferimento molto importante per l'intero sistema AF poichè tutto il calcolo sulla bontà del fuoco è relativo a questo punto. Nella immagine seguente abbiamo il risultato di un'immagine fuori fuoco. I raggi provengono con incidenze differenti rispetto a prima e ovviamente la risultante insisterà su un punto differente dall'immagine perfettamente a fuoco. La differenza del posizionamento tra il sensore relativo al raggio blue e quello rosso crea la differenza che viene calcolata dagli algoritmi di comparazione di fase. L'ampiezza e il segno della discrepanza tra i dati reepiti dai sensori indicheranno l'ampiezza e la direzione del fuori fuoco. In termini pratici, nulla è cambiato rispetto all'immagine spezzata dello stigmometro, solo che qui la comparazione può essere fatta con sensori a croce che quindi confrontano automaticamente il verticale e l'orizzontale e soprattutto hanno una sensibilità al contrasto molto elevata, poichè il circolo di confusione che si crea è estremamente piccolo, quindi anche piccoli fuori fuoco vengono intercettati. Precisione Ecco un paragrafo che inevitabilmente scalderà gli animi. Tutti vorrebbero AF precisi anche in situazioni di nebbia fitta, in montagna innevata, in una notte senza luna, ma temo che al momento non ci siano macchine con una capacità del genere, almeno per la fascia di prezzo a cui ho accesso io... La precisione è ovviamente determinata da quanto sono distanti le aperture virtuali da cui l'AF prende i raggi blu e rossi. é ovvio che può sono distanti più e ampia la variazione a parità di errore di focheggiatura, ma ridurrebbe molto l'errore residuo su cui determinare la differenza delle posizioni relative delle due immagini. Un'altro parametro su cui ci si basa è l'apertura dell'obiettivo, in quanto con aperture particolarmente piccole, il rischio sarebbe quello di non avere raggi blu e rossi che arrivano ai sensori dell'AF, per cui i costruttori escogitano alcuni stratagemmi per fare in modo che i sensori riescano a cogliere la luce da molto vicino i bordi delle lenti più 'scure'. Questo ovviamente riduce il margine di errore e quindi incide sulla precisione del fuoco. Un'ultima notazione, la temperatura del colore e le aberrazioni cromaitche caratteristiche di ogni lente. Vedremo nel prossimo capitolo della saga, come queste influiscano negativamente sulla precisione del fuoco. Conclusioni Spero che le due puntate siano state di vostro gradimento. Nel prossimo articolo cercherò di addentrarmi nella implementazione di alcune trovate di Pentax in merito al loro sistema di AF e come hanno ovviato ad alcuni problemi sulla determinazione del corretto fuoco.. che purtroppo non è ancora esente da errori.