CANTIERE LIBERALE PAPER LA LIBERTÀ DI HAYEK E LA LIBERTÀ LIBERALE DI SILVIA FERRARI 02 2014 CANTIERE LIBERALE Via San Bartolomeo, 103 La Spezia - 19126 La Spezia (SP) www.cantiereliberale.it [email protected] follow us 02/2014 LA LIBERTÀ DI HAYEK E LA LIBERTÀ LIBERALE - S. FERRARI La libertà di Hayek e la libertà liberale di Silvia Ferrari INTRODUZIONE La scelta di procedere in uno studio su Hayek e il suo concetto di libertà, e più in generale sulla libertà liberale, è stata dettata dall’esigenza, sempre più preminente dal basso della società civile ma non dall’alto della politica che la governa, sia di una riflessione profonda sul rapporto che intercorre fra la libertà dei singoli individui e quella della collettività di cui essi fanno parte, sia una riflessione su uno stato che legifera troppo e incide sulle libertà individuali o al contrario non legiferando affatto produce dei vuoti normativi che non possono essere colmati con la creatività teorica e etica dei singoli. Hayek, premio Nobel per l’economia nel 1974, rappresenta uno dei maggiori esponenti della Scuola Austriaca ma allo stesso tempo, fra quelli, risulta essere uno dei più vivaci intellettuali a causa del suo carattere poliedrico. Collaboratore stretto prima di Wieser e poi di Ludwig von Mises, inizia la sua carriera nella storia del pensiero economico, pur avendo conseguito la laurea in legge. Viaggia negli Stati Uniti, studiando alla New York University e iniziando una collaborazione proficua con Thorp; in poco tempo viene nominato direttore dell’Istituto Austriaco del Ciclo Economico. La seconda fase della carriera di Hayek è tutta quanta spesa alla Lond School of Economics and Political Science dove egli insegna fino al 1949. Grande riverbero internazionale ebbe la sua disputa intellettuale con Keynes e grande fortuna i suoi saggi, sia quelli di carattere più politico sia quelli di carattere più economico. Questa tesi prende spunto proprio da una riflessione su quanto l’impianto epistemologico di Hayek e, in particolare, quanto le sue 01 LA LIBERTÀ DI HAYEK E LA LIBERTÀ LIBERALE - S. FERRARI 02/2014 teorie su come in realtà funzioni cognitivamente la mente umana e come essa si relazioni con i vari oggetti e enti, abbiano influito sulla formulazione della sua teoria sulla libertà e su quella di ordine. Il primo capitolo in questo senso, Dall’epistemologia alla filosofia politica, tenta di seguire questo fil rouge e, con l’importante supporto dei testi di Dario Anriseri e di Popper, si è tentato di costruire un ponte proprio fra queste due discipline, l’epistemologia e la filosofia politica. È facendo leva sulla teoria della fallibilità e dell’ignoranza delle conoscenze umane che si è cercato di rispondere alle esigenze di libertà che Hayek aveva colto e a cui ha cercato di rispondere in un Novecento sempre più inquieto. Allora è proprio per contrastare il timore di una sorta di homo homini lupus che Hayek cerca di tenere insieme queste esigenze di libertà dei singoli individui e della collettività con la formulazione di un ordine non di natura coercitiva, che sempre risponda ai requisiti di una libertà liberale. Nel secondo capitolo si è cercato brevemente di ricostruire i prodomi di questa libertà liberale soffermando l’attenzione prima su Mill e la sua polemica contro Kant, poi cercando di chiarire meglio che cosa s’intenda per libertà liberale paragonando anche la libertà degli antichi con quella dei moderni ed infine, andando più prettamente a indagare i punti di forza e le criticità della teoria della libertà di Hayek. Nell’ultimo paragrafo del secondo capitolo, si è ritenuto interessante non tanto far emergere le criticità della teoria di Hayek evidenziando problematicità di stampo socialista o interventista, quanto una riflessione più teoretica su quelle stesse criticità da un altro grande esponente liberale quale Aron. Nel terzo e ultimo capitolo invece, si è preferito concentrarci sull’annosa diatriba fra hegeliani e Hayek che, in tre punti, libero mercato, povertà e conservatorismo, contrastano in approcci non solo metodologici. Cercando di difendere in tutti questi tre territori la teoria di Hayek, quel che si presenta alla fine nient’altro non è che una panoramica dei punti di forza e dei punti di debolezza dell’impianto sistematico di Hayek. 02 02/2014 LA LIBERTÀ DI HAYEK E LA LIBERTÀ LIBERALE - S. FERRARI 1. Dall’epistemologia alla filosofia politica 1.1 Questioni di metodo Da Hegel al Novecento si è cercato di dimostrare che le Geisteswissenchaften1, le scienze dello spirito, ovvero la storia, la filosofia, l’economia politica ecc. avessero una metodologia differente dalle cosiddette scienze della natura, Naturwissenschaften, fondandosi sul presupposto che oggetti di studio differenti avessero bisogno di metodi di studi differenti. Eppure, proprio nel corso del Novecento, si solleva più di una perplessità circa il metodo induttivo-deduttivo tutto, preferendo andare verso una direzione maggiormente ipotetica secondo cui un’importante funzione è da attribuirsi alla forza creatrice e creativa dei ricercatori e degli scienziati. Le ipotesi acquistano così un ruolo di maggiore forza rispetto alla rigida impostazione di duri e puri metodi che andavano alla ricerca di una tesi infallibile e immutabile nel tempo. È con Popper che cambia la concezione del metodo della scienza, attraverso una concezione epistemologica che può essere riassunta in tre stadi: l’individuazione di un problema, la formulazione di una teoria e la formulazione di critiche alla teoria. In questo senso, allora, questo metodo può essere assunto per tutta quanta la scienza razionale: “Elaborare la differenza fra scienza e discipline umanistiche è stato a lungo una moda ed è diventato noioso. Il metodo di risoluzione dei problemi, il metodo delle congetture e confutazioni sono praticati da entrambe. È praticato nella ricostruzione di un testo danneggiato, come nella costruzione di una teoria della radioattività.”2 Il problema deve essere allora affrontato a partire da un’ipotesi teorica, la quale immagina una sorta di cascata di conseguenze che debbono essere confutate sul piano empirico ovvero attraverso delle falsificazioni frutto di esperimenti. Se quest’ultimo confuta la teoria, allora possiamo definirla verosimile, altrimenti se quest’ultimo la falsifica, la teoria deve essere ripensata. La differenza fra uno scienziato e non consta della consapevolezza di formulare delle ipotesi che in un secondo momento andranno, più che “controllate”, verificate, vera facere teoria. È impossibile per l’uomo dimostrare come vera una teoria, per ragioni tutte intrinseche alle maglie logico-matematiche, eppure la forza preminente è quella di poter controllare la teoria nella spe- Il primo uso di questo termine è da attribuire a J. S. Mill nel Sistema di logica 1 K. R. Popper, Scienza e filosofia, Einaudi, Torino 1969, pp. 146 ss. 2 03 LA LIBERTÀ DI HAYEK E LA LIBERTÀ LIBERALE - S. FERRARI 02/2014 K. R. Popper, La logica della ricerca scientifica (1934-1935), Einaudi, Torino, 1970, pp. 9-11 ranza, quasi paradossale rispetto a tutta l’impostazione teorico-epistemologica precedente, di trovare al più presto l’errore cosicché la comunità scientifica si ritrovi nell’urgenza di rimettere in moto il suo spirito creativo e reinventare e ritrovare una nuova e migliore teoria. Il progresso della scienza si ritrova ad essere in questo movimento: congetture e confutazioni, tentativi ed errori. “Non esiste alcun metodo logico per avere nuove idee e nessuna ricostruzionelogica di questo processo”.3 Popper in questo senso, cerca di fondare un metodo razionale non tanto sulla certezza della teoria proposta, quando sulla sua falsificabilità. Come ben spiega Antiseri: “Perché una teoria possa venir di fatto controllata, essa deve essere controllabile, cioè falsificabile, deve essere tale che le sue conseguenze possano scontrarsi con i fatti: una teoria, per poter essere vera, deve poter essere anche falsa. È così che si garantisce l’oggettività dei risultati della ricerca, seguendo in modo scrupoloso e con il maggior rigore le regole del metodo. Oggettività, pertanto, che equivale a controllabilità di una teoria e non al possesso della certezza.”4 Se è vero che con una teoria della fallibilità del genere elaborata da Popper si possa fuggire sia dal dogmatismo sia dallo scetticismo, sarà Hayek che intraprendendo la strada del fallibilismo e sostenendo una teoria dell’ignoranza potrà, dopo aver individuato nello scientismo e nello storicismo le due principali cause del totalitarismo, da cui si deve fuggire per preservare la libertà che è l’elemento imprescindibile della sua riflessione, costruire una teoria della conoscenza dalla quale prendere le mosse per andare a costruire poi un sistema politico. Quella dunque che è parsa forse all’inizio una forzatura concettuale –e quindi una sorta di digressione metodologica rispetto alla questione di cui questa tesi si occupa, la questione della libertà in Hayek – appare adesso più cogente se si ripensa alla relazione che il filosofo di Vienna conduce fra la sua teoria della conoscenza e la sua teoria politica di un ordine fra l’individuo e la società in cui è egli è immerso. 4 D. Antiseri, Le ragioni della libertà. Più filolgia nel mondo di Google, p. 514. 1.2 Fallibilità come occasione di libertà 3 04 Come grande economista, Hayek si aggiudicò il premio Nobel nel 1974. Spesso però si dimentica che l’attribuzione di questo premio 02/2014 LA LIBERTÀ DI HAYEK E LA LIBERTÀ LIBERALE - S. FERRARI fu proprio per il suo teorema dell’ignoranza, in un framework fallibilista: la sua prolusione, La pretesa di conoscenza, era anche ispirata alla contestuale rinascita intellettuale della Scuola Austriaca di Economia.5 L’antropologia che Hayek propone è fondata sulla fallibilità e sull’ignoranza costituiva dell’uomo nel momento in cui egli intraprende un qualsiasi atto cognitivo: la fallibilità e l’ignoranza delle conoscenze non possono assolutamente essere centralizzate né dal miglior governo né dal miglior tiranno. Da qui la consapevolezza e la proposta del viennese: una società che voglia veramente sfruttare al massimo le potenzialità conoscitive di ogni individuo dovrebbe impegnarsi affinché quelle stesse conoscenze, che saranno foriere di decisioni e azioni, debbano essere il più possibile decentralizzate. Sempre per Hayek, è chi possiede i mezzi che è nella condizione di stabilire tutti i fini, ed è per questo motivo che chi ama la libertà dovrebbe essere assolutamente contrario a un monopolio sia di stampo pubblico sia di stampo privato: solo una proprietà privata maggiormente diffusa sarebbe in grado di garantire una maggiore estensione di quella stessa libertà. Il coronamento della decentralizzazione delle conoscenze sta in Hayek nel teorema della dispersione della conoscenza, fondato sull’assenza empirica di un monopolio di tutte le conoscenze e, contestualmente, dell’assenza di un’autorità che possiede ogni conoscenza. In un’ottica invece di competizione, si riuscirebbe a scoprire chi, in quella data circostanza, ha la conoscenza fattuale migliore concessa da una migliore prospettiva: si dimostra che una conoscenza dei dati sia, per forza di cause maggiori, migliore se decentralizzata. In questo senso, con la Scuola Austriaca, la società diviene un processo spontaneo ma, allo stesso tempo, complesso di azioni, reazioni e relazioni umane che tutte insieme creano e trasmettono informazioni dinamiche in un’ottica imprenditoriale. Il motivo per cui si è così insistito sul metodo delle epistemologie contemporanee, e fondamentalmente su Popper e sul concetto di fallibilità e ignoranza, è perché il rapporto che sussiste fra una consapevolezza di tale stampo – la consapevolezza della finitezza, della fallibilità e ignoranza delle conoscenze umane – e una società di tipo aperto in cui possano abitare uno stato di diritto, e per stato di diritto si intende qui liberal-democratico, è indissolubile. L’uomo non solo è fallibile in quanto conosce, poiché ha in sé la capacità, la potenza e anche la creatività del conoscere, ma è altresì portatore Cfr. D. Antiseri, L. Infantino, La scuola austriaca di economia. Album di famiglia, Rubbettino, Soviera 1999; R. Cubeddu, Tra Scuola Austriaca e Popper. Sulla filosofia delle scienze sociali, Edizioni Scientifiche Italiane 1996. 5 05 LA LIBERTÀ DI HAYEK E LA LIBERTÀ LIBERALE - S. FERRARI K. R. Popper, La società aperta e i suoi nemici, vol. I, Platone Totalitario, Armando, Roma 1973. 6 “Si è spesso affermato che gli antichi non conoscevano la libertà come libertà individuale. È un discorso vero […] rispetto alla democrazia degenerata dei tempi di Platone”, cit. F. A. von hayek, La società libera, Rubbettino, Soviera 2007, pp. 347-348. 7 06 02/2014 di ignoranza soprattutto di quelle verità, di tempo e di luogo, che non possono essere, come suddetto, centralizzate. La decentralizzazione è uno degli argomenti più potenti a favore della libertà che propone Hayek ed uno dei fondamenti più importanti di una società aperta poiché, differentemente dall’utopia, una società più si rivela estroflessa più ha necessità del mondo, di partecipare al mondo. Quella che allora propone Hayek, e che finora qui ho soltanto anticipato brevemente, è quanto più lontano da un’utopia – come del resto dovrebbero essere tutte le teorie che si definiscano liberali. L’idea di fondo del pensiero utopico è che qualcuno conosca e porti con sé l’idea di società perfetta, e con questa definizione abbia tutte le ragioni per imporla. Non causalmente, la metafora con cui generalmente si accompagnano le teorie utopiche più celebri si incarna nel mito di un’isola lontana in cui fondare l’utopia, perché essa si autoesclude per natura dal mercato, dal contatto con altre realtà, usi e costumi differenti che potrebbero soltanto mettere in crisi lo statuto di perfezione dell’utopia. In questo senso s’immette anche Popper che, nel primo volume de “La società aperta e i suoi nemici”6, confuta il filone anti-platonico giungendo alla conclusione che Platone abbia compromesso tutta la storia del pensiero politico occidentale rispondendo alla banale domanda “chi ha il diritto di comandare?” con l’asserzione “i filosofi”, poiché soltanto essi conoscono la differenza, il discrimine, fra che cosa è il bene e che cosa è il male. È proprio in virtù di questa forza conoscitiva che Platone cade nell’errore e trascina con sé poi tutta la storia del pensiero occidentale. Portando questa “consapevolezza concettuale” di discrimine appunto fra bene e male alle estreme conseguenze, si potrebbe presupporre che essa sia il prodomo teorico dei trionfi totalitari del secolo scorso, dal fascismo allo stalinismo passando per il nazismo, poiché in tutti questi regimi il presupposto teorico era identico: nella presunzione di conoscere che cosa sia il bene e che cosa sia il male, e con la giustificazione e auto assoluzione di avere accesso diretto a questa verità, questo discrimine viene imposto anche con mezzi violenti. Inoltre, in questo volume di Popper tutto volto ad una critica contro il platonismo politico, emerge la distinzione, che è propria anche di Hayek7 , fra società chiusa e una società aperta. La prima, e che per 02/2014 LA LIBERTÀ DI HAYEK E LA LIBERTÀ LIBERALE - S. FERRARI Popper Platone auspicherebbe con il suo progetto di restaurazione totalitaria8, è caratterizzata dall’eternità immutabile dei suoi fondamenti, nella quale gli individui godono di libertà soltanto apparenti. Una società aperta, invece, sarebbe maggiormente disposta al cambiamento, ad accettare la mutevolezza delle condizioni astratte e dinamiche della politica e della società, lasciando maggior spazio di manovra all’individuo. Con Popper allora, la domanda razionale da porre non è, à la Platone, chi debba comandare, ma anzi come sia possibile controllare chi ha il comando, e quindi, tornando ad un impianto prettamente epistemologico, come si controlli la teoria, in questo contesto di natura politica. Ancora una volta, si denota la stretta relazione che sussiste fra una teoria epistemologica e una teoria filosofico-politica. Il problema a questo punto che emerge però è: come è possibile in un tale processo sociale sfruttare tutte quelle informazioni che non sono disponibili in modo centralizzato e che sono disperse fra tutti gli individui? E ancora, la presupposta libertà di Hayek fra gli individui come si concilia con la pretesa sempre nuova di nuove libertà? 1.3 La teoria dell’ordine di Hayek Come suddetto, la teoria economica, politica e quindi tutta la riflessione sulla libertà di Hayek non può prescindere dalla sua teoria cognitiva, ovvero sul come la mente umana organizzi gli eventi e i fenomeni che sono percepiti dal mondo esterno. In entrambe le sue teorie, diciamo da un lato quella più filosofico-politica, dall’altro quella più teoretica, il presupposto teorico è sempre quello della fallibilità e dell’ignoranza degli individui che è causa di una dispersione sociale delle conoscenze e quello dell’impulso che l’uomo ha di agire e reagire per soddisfare i propri bisogni e le proprie necessità soggettive. Tutto ciò che però ha inizio, in particolare mi riferisco all’opera The Sensory Order: An Inquiry into the Foundations of Theoretical Psychology9 del 1952, nella pluralità e nella diversità degli ordini individuali, ha una sua conclusione sistematica in un ordine sociale. Quale spazio però Hayek concede per preservare la libertà come principio teorico fondamentale? La vera rivoluzione che Hayek apporta non tanto nella filosofia politica quanto nella pratica e nello studio delle scienze sociali è la consapevolezza che le azioni umane, di qualsiasi natura esse siano, producano sempre delle conseguenze che si riversano nella società: il punto è allora chiedersi da una parte quale rapporto sussista fra Per Popper Platone ha in mente questo progetto restauratore attraverso alcuni step concettuali che qui chiaramente non si ha il tempo di esplicare maggiormente ma che sostanzialmente si riducono a un essenzialismo metodologico, il fondare la società sul collettivismo, una teoria sistematica, organica (biologica) dello Stato che poggi sulla tecnocrazia da un lato e sullo storicismo dall’altro. Tutto questo in K. R. Popper, La società aperta e i suoi nemici, op. cit., pp. 25-28; pp. 39-59; p. 118; pp. 197-219. 8 F. A. von Hayek, L’ordine sensoriale. I fondamenti della psicologia teorica (1952), Rusconi 1998. 9 07 LA LIBERTÀ DI HAYEK E LA LIBERTÀ LIBERALE - S. FERRARI A. Ferguson (1723-1816), Saggio sulla storia della società civile (1767), Laterza, Bari 1999. 10 A. Smith (1723-1790), Teoria dei sentimenti morali (1759), Bur, Milano 1995 e Ricerca sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni (1776), Utet, Torino 2006. 11 J. Millar (1735-1802), Osservazioni sull’origine delle distinzioni di rango nella società, Franco Angeli, 1990. 12 08 02/2014 queste azioni che rispondono sempre a un’esigenza di libertà nuova e un ordine che sempre potrebbe essere sconvolto da queste azioni imprevedibili. Ancora, quale ordine sociale possa generarsi dalla fallibilità e dall’ignoranza dell’uomo che, come si è detto, genera dispersione di conoscenze. Innanzitutto è bene precisare che la costruzione teorica di tale ordine Hayek la ricavi dalla lezione dei moralisti scozzesi i quali concordano tutti, per lo più, che gli scambi non accadano semplicemente, non si vengano a costituire in un vuoto normativo totale, in una libertà sfrenata di azione, ma anzi siano ben confinate in un certo spazio. Per moralisti Scozzesi non si intende soltanto qui la formazione tridente composta da Ferguson10 , Smith11 e Millar12 che si opponevano tanto a Rousseau quanto a Hobbes, per ragioni non meramente intellettuali ma anche geo-politiche: si ricordi infatti che l’unione della Scozia e dell’Inghilterra provocò un immediato sviluppo industriale le cui implicazioni sociali e filosofiche si riversarono subito nelle università. In questo contesto ha riscosso notevole influenza su Hayek soprattutto l’impostazione di Hume. Il problema è sempre quello di una compatibilità fra gli individui che senza un ordine non potrebbero coesistere. Il grande contributo al pensiero di Hayek deriva senza dubbio da Hume per quanto riguarda l’abolizione dell’ordine prescrittivo, ovvero di un ordine dominato dal potere pubblico, e da Smith dall’altra con l’abolizione dell’ordine compatibile, ovvero quando non sussiste alcuno che pianifichi alcun ordine. Applicando la legge di Hume, e per dirla con Antiseri, non è possibile ricavare un grammo di morale da una teoria scientifica e, ancor più, non è possibile derivare con la logica proposizioni prescrittive da proposizioni descrittive. Diversamente, una società caratterizzata da un ordine prescrittivo altro non è che una società chiusa, alle cui fondamenta coesistono coercizioni e conservatorismi. Non a caso, l’ideale di società chiusa è incarnata nel mito classico di Sparta, una società esclusa dal commercio e fondata sull’economia delle guerre. Da Smith invece, sulla teoria della dispersione della conoscenza, le conoscenze di tempo e spazio non possono essere centralizzate e ognuno nella propria particolarità locale ha una conoscenza della propria realtà migliore di qualsiasi legislatore che dall’alto possa occuparsene. In questo senso allora si sviluppa il concetto di società 02/2014 LA LIBERTÀ DI HAYEK E LA LIBERTÀ LIBERALE - S. FERRARI aperta che s’ispira ad Atene, caratterizzata da un’assenza di monopolio di verità e teorie assolute e definitive. L’Atene a cui qui si fa riferimento, a cu si riferisce Hayek, è quella di Pericle che ricordava agli ateniesi: “La libertà di cui godiamo nel nostro sistema di governo si estende anche alla nostra vita quotidiana [in cui], lungi dall’esercitare una gelosa sorveglianza l’uno sull’altro, non ci sentiamo in obbligo di essere irritati con il nostro vicino perché fa ciò che vuole”13 e, continua Hayek riferendosi sempre a un certo tipo di Atene, quella in cui “durante la spedizione siciliana, il generale ricordò che prima di tutto combattevano per un paese in cui avevano “l’assoluta libertà di vivere come meglio credevano”. 14 Hayek quindi prende spunto dai grandi fondatori dell’individualismo metodologico e sulle conseguenze inintenzionali: in questo senso, entrambi – e in un certo modo anche Mendeville15 con l’abbattimento della virtù in favore di un illuminismo scozzese e delle scienze sociali – sono stati i principali ispiratori per la sua teoria della catallassi16 poiché essa si pone come fondamento di un ordine di mercato e sociale. Il termine catallassi emerge perché nella terminologia classica era utilizzato per fare riferimento allo scambio e da Hayek viene invece utilizzato, in Law, Legislation and Liberty per precisare la sostituzione del termine equilibrio con quello di ordine spontaneo e il termine economico con quello di catallassi, per indicare la stretta connessione fra i rapporti di scambio economico e i legami culturali, morali e giuridico-contrattuali che si vengono a creare intorno ai rapporti economici. Il saggio The Use of Knowledge in Society è centrale per la realizzazione di un accordo fra la libertà spontanea degli individui che deve rimanere esente da coercizione pubblica, un ordine che non lasci sfociare in un homo homini lupus e che abbia una coerenza con la sua teoria della mente: è con una concorrenza spontanea delle diverse classificazioni dei fenomeni nelle menti degli individui che si forma così un ordine di aspettative. È nel saggio L’ordine sensoriale quello in cui Hayek traccia lo sviluppo del concetto di ordine, poiché esso tenta di configurare un piano di realtà equilibrato tra società e economia. Il contesto che per primo ha utilizzato il concetto di ordine è quello economico che poi è stato definito ordine di mercato o catallassi. Successivamente, ne La presunzione fatale, Hayek si ritrova invischiato in una complessa contraddizione semantica fra i termini sistema, struttura e modello ma che poi in Legge, Legislazione e libertà F. A. von Hayek, La società libera, op. cit., p. 348. 13 14 Ivi, pp. 348-349. B. de Mandeville, La favola delle api (1728), Laterza, Bari 1987 15 Hayek in Law, Legislation and Liberty usa la parola catallassi, dal verbo greco katallattein per indicare un ordine, un equilbrio di mercato economico e, più precisamente, per indicare lo scambio monetario entro quell’ordine. 16 09 LA LIBERTÀ DI HAYEK E LA LIBERTÀ LIBERALE - S. FERRARI 02/2014 risolve con la preferenza di utilizzo del termine “ordine” poiché esso avrebbe in sé una molteplicità di elementi che partecipano gli uni degli altri. Lo snodo problematico di tutta l’argomentazione di Hayek è che la libertà individuale non è universale, non è semplicisticamente parlando, uguale per ogni individuo, poiché ognuno ha differenti bisogni e necessità che implicano libertà differenti per perseguire il raggiungimento e il soddisfacimento di questi bisogni. In questo senso allora è necessario chiedersi se tutte queste libertà così particolari, diverse e singolari debbano o meno essere assecondate dall’ordine che finora si è qui descritto. Una soluzione potrebbe infatti essere che ognuno possa in qualche modo utilizzare le possibilità delle regole dell’ordine, oppure altresì che intervengano una sorta di elementi equilibratori che possano concorrere alla distribuzione dei beni, con lo stesso metodo in cui si è “risolto” il problema di far concorrere le diverse conoscenze decentralizzate. A questo punto, si denota facilmente quale sia il miglior ordine politico per Hayek, un ordine che riesca a soddisfare il maggior numero di e aspettative individuali senza che queste inficino la possibilità altrui di partecipare alla stessa gara di soddisfacimento. È attraverso la catallassi che Hayek rileva come migliore ordine perché ciò avvenga, poiché intervengono tre fattori che risultano essere altresì fondamentali per una teoria politica liberale: l’assenza di morale, la competitività e concorrenza fra gli individui, la capacità di sfruttare al meglio le risorse, la capacità decentralizzata delle conoscenze, la libertà con la quale gli individui possono muoversi. 2. La libertà individuale e la libertà collettiva 10 Fino a questo momento, si è scelto sempre di utilizzare il termine individuo, rispetto per esempio a quello di uomo o di soggetto. Questa scelta non è casuale ma dettata dalla tradizione filosofica e storica da cui la filosofia politica di Hayek deriva. In territorio anglosassone, dalla fine del Seicento, si è iniziato a utilizzare il termine individuo, coniato da Locke, in inglese “self”, proprio per slegare l’uomo dal concetto di universalità e restituirlo al concetto di particolarità. L’individuo per Locke è una “cosa pensante”, consapevole di pensa- 02/2014 LA LIBERTÀ DI HAYEK E LA LIBERTÀ LIBERALE - S. FERRARI re i propri pensieri e quindi ripiegato su di sé, sui propri bisogni e sulle proprie necessità, il che implica la sua riflessività costitutiva; ha un’identità qualificata ed è in relazione profonda fra la sua identità personale e la sua coscienza. Da ciò inizia a svilupparsi una riflessione di secondo grado sulla relazione fra etica e politica del sé, ovvero: è giusto, è adeguato, che la politica si occupi del sé, dell’individuo? È desiderabile, auspicabile che l’individuo sia inserito come oggetto di una discussione etico-politica? Tutta la moderna filosofia si è infatti occupata di separare queste tre sfere, l’individuo, l’etica e la politica presupponendo una sorta di incomunicabilità e contrapponendosi alla filosofia kantiana che connetteva la legge morale a un universale astratto di uomo, e non certo alla sua particolarità. Indubbiamente, e si procederà piuttosto velocemente su questa carrellata, la moderna politica nasce con Hobbes che propone un modello di vita associata alla nozione dell’individuo che però rimane, nei suoi trattati, sempre un individuo astratto sul quale fondare la società. Si ricordi soltanto che per Hobbes le qualità primarie siano in realtà le stesse per tutti gli individui e che essi siano mossi tutti da un’unica legge e da un unico diritto, quello alla vita. Una conseguenza diretta di questa filosofia è l’atteggiamento della politica e dello stato che debbono assicurare a tutti questo diritto e garantirlo. La metafora che meglio incarna in Hobbes l’idea di un individuo universale e non particolare come quello che disegna Locke, è senza dubbio quella del Leviatano. Questa grande figura biblica che rappresenterebbe lo Stato è composto in realtà da una molteplicità infinita di figure, di uomini, tutte quante però girate di spalle, come a ribadire il concetto di impersonalità di cui il self hobbesiano si nutre. Da un’altra prospettiva però, anche l’intervento di Hobbes è stato utile per interrompere il flusso di reciproca attenzione fra etica e politica poiché quest’ultima non deve più porsi la domanda su che cosa sia il bene e che cosa sia il male, ma semplicemente che cosa sia utile e dannoso per la società; in questo senso, la politica non deve reggersi in base a strutturazioni sovrapolitiche o esterne. 11 LA LIBERTÀ DI HAYEK E LA LIBERTÀ LIBERALE - S. FERRARI 02/2014 2.1 La libertà liberale 12 È con Mill che ci sarà una riflessione fondamentale sulla libertà che muoverà le prime mosse verso il liberalismo, e quindi una vera e propria teoria politica secondo cui la legge debba tacere dinnanzi all’individuo. Con Mill infatti sia il sé è liberato dall’astrazione della politica sia la funzione della politica è soggetta soltanto a definire un’area di azione senza però mai pronunciarsi. Sebbene il saggio On liberty di Mill sia stato ispirato dalle letture di Tocqueville, anche metterlo a confronto con il testo di Kant Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo? è di grande aiuto per comprendere che cosa in realtà significhi una libertà di stampo liberale. Mill appartiene a un paradigma di politica moderna poiché risponde alla necessità della separazione delle tre sfere, ma allo stesso tempo fa propria una nozione di self più ricca rispetto a quella che aveva in mente Locke. La sua si configura come una definizione negativa della libertà, e la sua trattazione ha inizio con l’esplicito riferimento al problema della minorità, lo stesso di Kant. Vi è una forte somiglianza fra i due nel pensare alla definizione di minorità, poiché per entrambi uno stato di mancanza di libertà agisce sull’individuo come una seconda natura ma è sulle cause di questa minorità che Mill, soprattutto nell’ultima, si distanza dal filosofo tedesco e in cui si gioca tutta la scommessa liberale. Innanzitutto la causa prima della minorità sta nella pavidità (per Kant era la viltà); la seconda causa consta del servilismo e la terza, la più importante, è il peso della società in generale che si propone come metro di giudizio – in questo senso Mill ricava la terminologia della “tirannia della maggioranza” da Tocqueville. In questo sta la lontananza da Kant: la tirannia non è più vista come un’operazione politica verticale ma orizzontale, e quindi essa è diffusa ed esercitata da altri individui che in realtà sono nella medesima condizione di minorità. Il giudizio sul valore del pubblico è rovesciato rispetto a Kant: l’uso pubblico della ragione non è più considerato come un elemento positivo ma di coercizione. L’unica soluzione, per Mill, per uscire dallo stato di minorità è quello di enfatizzare l’anticonformismo, ovvero la liberazione delle pluralità, poiché l’unica libertà possibile è quella di perseguire il nostro (own) bene. Con questa definizione, Mill esce da una libertà definita fino a quel 02/2014 LA LIBERTÀ DI HAYEK E LA LIBERTÀ LIBERALE - S. FERRARI momento solo come negativa ma inzia a concedere definizioni di stampo positivo. È in quell’own che Mill gioca tutta la sua critica a Kant e al suo universalismo, poiché sotto questo own egli fa ricadere non solo la pluralità di intelligenze, ma anche la sfera di tutti i desideri. Per Mill la sola domanda What do I prefer?, Che cosa preferisco? è condizione sufficiente e necessaria per liberarmi dallo stato di coercizione e di minorità. Il problema, a questo punto, è sempre lo stesso: come è possibile conciliare ciò che io preferisco, il mio desiderio, con quello degli altri? Mill è un punto imprescindibile per una riflessione sulla libertà di famiglia e di ispirazione liberale perché ha segnato un momento di passaggio teorico fondamentale, ed inoltre ha iniziato a caratterizzare la libertà non solo ex negativo ma anche ex positivo. La libertà antica, si pensi alla concezione romana, era definita sempre negativamente perché il liber altro non era che il non-schiavo e, ancora, la parola free ha una derivazione germanica che indica che la presa di libertà è sempre a partire dalla sua negazione. La risposta alla domanda che cosa neghi la libertà è semplice, la coercizione, e in questo senso allora, la libertà di ispirazione più liberale possibile è quella che è caratterizzata da un’assenza di coercizione. Come ci ha insegnato Berlin magistralmente, esistono due concetti di libertà, una “libertà da” e una “libertà di”. La “libertà da” ricade sempre sotto la categoria di una libertà negativa, ovvero di una libertà libera dall’interferenza di altri di agire: “Normalmente si ritiene che io sia libero nella misura in cui nessun individuo o società di individui interferisca con la mia atttività. In questo senso la libertà politica è semplicemente l’area entro cui una persona può agire senza essere ostacolata da altri. Nella misura in cui mi si impedisce di fare qualcosa che altrimenti potrei fare, io non sono libero; se quest’area viene ridotta oltre un certo limite minimo, si può dire che io sia costretto con la forza o, forse, ridotto in schiavitù”17 . Berlin però ci avverte anche di un’implicazione di cui il liberalismo più maturo farà tesoro e di cui si è precedentemente parlato facendo riferimento alle lezioni di Popper e di Antiseri, nel momento in cui la sfera della libertà e quella della politica interagiscono: “La risposta alla domanda “chi mi governa?” è logicamente distinta dalla risposta alla domanda “Fino a che punto il governo interferisce con me?”. È in questa differenza che consiste, in ultima analisi, il grande I. Berlin, Due concetti di libertà, Feltrinelli, Milano 2000 p. 12. 17 13 LA LIBERTÀ DI HAYEK E LA LIBERTÀ LIBERALE - S. FERRARI 18 Ivi, p. 22. 19 Ivi, p. 22-23. 14 02/2014 contrasto fra i due concetti di libertà negativa e liberà positiva”18. Differentemente l’esigenza di libertà positiva è una libertà che consente la possibilità concreta di agire e partecipare nel mondo – una libertà che ovviamente si distanzia da quella intesa come autonomia di Rousseau e Kant: “Perché il senso “positivo” della libertà emerge se cerchiamo di rispondere non alla domanda “che cosa sono libero di fare o di essere ” ma “da chi sono governato?” o “chi deve dire che cosa devo e che cosa non devo essere o fare?”. Il nesso fra democrazia e libertà individuale è molto più labile di quanto sia apparso a molti difensori di entrambi”19. In questo senso allora è possibile sviluppare anche una riflessione fra una libertà formale e una libertà sostanziale. Una libertà di tipo formale non fa altro che tracciare i confini della libertà di ciascuno entro i quali gli individui possono muoversi come meglio credono e soprattutto desiderano e aspirano, e non prescrive affatto che cosa si debba fare con la propria libertà. Più semplicemente la libertà è una forma liquida senza contenuto. Diversamente nell’ambito di una libertà sostanziale si mette sullo stesso piano la libertà e l’uguaglianza, andando quindi non solo a definire lo spazio di manovra degli individui ma anche quale rapporto ciascun individuo debba intrattenere con la propria libertà. Un’ulteriore riflessione a questo punto è doverosa, avendo spesso citato la liberà degli antichi, ovvero un confronto con quest’ultima e quella dei moderni. La libertà degli antichi, per come ce la spiega Constant, è foriera di schiavitù, legittimata e delegittimata da una democrazia diretta, costretta da polis per lo più esigue, una magistratura che emerge dal sorteggio fra i cittadini e dettata dal principio dell’isonomia. Su quest’ultimo concetto ben più di una parola è stata spesa da Hayek, nel momento in cui egli si domanda: “Quali erano le caratteristiche salienti di quella libertà del “più libero dei paesi liberali” (secondo le parole con cui Nicia, in quella medesima occasione definì Atene) come la vedevano gli stessi greci e inglesi dell’epoca conclusiva dei Tudor e del periodo degli Stuart? […] “Isonomia” fu importata in Inghilterra dall’Italia alla fine del XVI secolo, come parola che significava “uguaglianza della legger per qualsiasi tipo di persona”, poco dopo venne usata liberamente dai traduttori di Livio, nella forma anglicizzata di isonomy, per indicare una situazione di uguaglianza davanti alla legge e di responsabilità dei magistrati. Si 02/2014 LA LIBERTÀ DI HAYEK E LA LIBERTÀ LIBERALE - S. FERRARI continuò a usarla durante il secolo XVII, finché “l’uguaglianza davanti alla legge”, “il governo della legge” o “la regola della legge” non la sostituirono”20. Ripercorrendo la storia della parola isonomia nella Grecia, Hayek ci rivela quanto anche in quel contesto antico sia stata distorta e trasfigurata: da una creazione ateniese di stampo soloniano che voleva “leggi uguali per i nobili e per gli uomini”, divenne con Platone un elemento per il quale “in una democrazia le leggi dovrebbero essere sovrane”. Da qui la consapevolezza liberale che l’unica libertà possibile possa essere negativa, formale e di stampo moderno, e su suggerimento di Hayek, una libertà che debba essere strumento dell’esplorazione dell’ignoto e delle correzioni dell’errore, uno strumento di orientamento nella vita quotidiana della società che si fonda non tanto sui fini – lungi da Hayek fare una gerarchia dei fini della libertà – ma fondata sul libero scambio dei mezzi. Un’ultima riflessione di secondo grado sul rapporto fra liberalismo e democrazia: se quest’ultima deve rispondere alla domanda “chi deve prendere decisione politiche?”, il liberalismo diversamente deve rispondere alla domanda su come preservare in qualsiasi contesto politico, anche democratico, la libertà degli individui. 2.2 La libertà in Hayek Anche Hayek, da buon liberale, difende in La costituzione della libertà del 1960 la libertà negativa in quanto unica libertà che possa garantire un’esenzione della coercizione, ovvero il controllo dello spazio di manovra, del soddisfacimento dei bisogni e dei desideri dell’individuo, ponendolo così al di fuori da una gerarchia dei fini che una libertà positiva comunque proporrebbe. Hayek, ovviamente, non parte dal presupposto che ci sia una coercizione tout court ma che ci siano diversi gradi e coercizione, in una scala crescente da una coercizione più leggera, anestetizzata quasi, a una più pesante, tirannica-dispotica. La coercizione però come la intende il filosofo di Vienna è quella per la quale le azioni di un individuo dipendono necessariamente dalla volontà di un altro individuo. In questo modo però lo Stato, se l’individuo già conosce a priori la sua forza di azione che pone come regola generale, non può essere rappresentativo di coercizioni: in altre parole, se le leggi sono state in anticipo conosciute e la cui nascita e applicazione hanno visto, sempre in anticipo, la parteci- F. A. von hayek, La società libera, op. cit., pp. 349-350. 20 15 LA LIBERTÀ DI HAYEK E LA LIBERTÀ LIBERALE - S. FERRARI 16 02/2014 pazione di tutti, esse sono e debbono essere da tutti seguite e esse non rimandano ad una coercizione. Hayek investe molto nel principio di “rule of law” – esattamente come insiste sulla catallassi – in difesa della libertà e del principio liberale sia nell’applicazione delle leggi dello stato che comunque ha il monopolio nella coercizione, sia nell’intervento dei singoli individui che potrebbero intervenire negativamente sulla libertà dell’altro. La coercizione allora entra in azione quanto sussistono delle leggi arbitrarie e mirate contro la libertà degli individui a posteriori. È solo muovendoci da tali presupposti che lo Stato può non dirsi coercitivo ma liberale e al contempo preservare ogni libertà di ogni individuo, e ancora, la coesistenza degli individui e delle loro libertà. Anche lo Stato però deve essere limitato, in piena coerenza, dalle stesse leggi che regolano gli individui così che la sfera di libertà di ciascuno possa essere preservata. Se esiste il “rule of law”, la coercizione è limitata al minimo e la libertà è garantita, perché gli individui possono stabilire i propri piani; quando obbediamo alle leggi, intese come norme generali e astratte, non siamo soggetti alla volontà di altri. La libertà a cui Hayek pensa è sia quella di pensiero certo, ma oprattutto la libertà di azione, ovvero di un’azione di natura commerciale, economica. Ed è attraverso sempre il meccanismo concorrenziale che è possibile scoprire il metodo migliore con cui raggiungere i fini a cui ciascun individuo vuole tendere. A questo livello allora, Hayek riprende in mano sia la decentralizzazione delle conoscenze, sostenendo che un’autorità centrale non possa conoscere meglio le situazioni contingenti che investono la vita quotidiana degli individui e che spingono loro stessi a azioni e reazioni e, ancora, riprende come si è precedentemente fatto riferimento, alla antica proposizione secondo cui chi controlla i mezzi economici controlla ovviamente anche tutti i fini, e quindi in una logica squisitamente liberale, quello sarebbe davvero un elemento di coercizione e contrasterebbe con lo spazio di libertà individuale. Diversamente da altri liberali più “duri e puri”, Hayek è un liberale moderato circa la suddivisione delle attività economiche che debbono competere allo Stato e quelle che debbono competere agli individui nella loro singolarità. Per esempio una forza coercitiva dello Stato è esemplificata dal controllo dei prezzi e dalla pianificazione economica nazionale, ma al contempo uno spazio legittimo di azione dello Stato è quello di un’erogazione di un servizio. La preoccupazione che 02/2014 LA LIBERTÀ DI HAYEK E LA LIBERTÀ LIBERALE - S. FERRARI sottende a una simile concezione, che all’apparenza potrebbe contrastare con un’impostazione puramente liberale, è sempre quella dell’homo homini lupus che frantumerebbe il sistema capitalistico il quale, se non rappresenta il migliore dei mondi possibili, sicuramente rappresenta il male minore. Quello su cui Hayek insiste molto è l’uguaglianza delle regole del gioco economico, sociale e quindi di competizione fra le libertà nella sua partenza, e non già dunque al loro arrivo. Tutti debbono partire con eguali possibilità, ma poi il raggiungimento del traguardo e del podio è affidato alla responsabilità, alle capacità individuali. In questo senso allora, ancora una volta è importante soffermarsi sul rapporto fra liberalismo e democrazia, che non per forza deve auspicare un matrimonio felice, sebbene a mio avviso rappresenti la soluzione politico sociale migliore. Il problema è dettato dalla rappresentanza e dal problema della maggioranza: in una democrazia rappresentativa – che comunque, ripeto, rappresenta il male minore rispetto a una democrazia diretta e da ciò che ne consegue – la libertà di uno verrà sempre compromessa o risulterà svantaggiata rispetto a quanto la maggioranza deciderà e, ancor più inquietante, come già ripeteva Weber (la democrazia è il male minore) non è detto che tutte le democrazie siano illuminate. La storia ci insegna che i peggiori totalitarismi del Novecento non hanno raggiunto il potere se non con una larghissima partecipazione democratica alle spalle, e quindi, è necessario rassegnarsi al fatto che la democrazia altro non possa che rappresentare che un metodo, non un fine. Il fine della democrazia, invece, dovrebbe essere uno Stato liberale che tutelerebbe le libertà di ciascuno, anche quelle in profonda minoranza e di scarsa rappresentazione politica. Una nuova concezione della legge dovrebbe rappresentare il punto di svolta. Essa in quanto nomos dovrebbe avere tre caratteristiche fondamentali: vietare ma non prescrivere, essere quanto più generale e astratta possibile. Soltanto a tale condizioni è possibile preservare la vera libertà liberale, negativa, moderna e formale e che possa preservare l’ordine di Hayek ma anche incoraggiarne uno assolutamente spontaneo. Le critiche liberali più famose mosse a Hayek sono senza dubbio quelle di Leoni e di Rothbard, in chiara polemica con il passaggio sul governo della legge, forse necessario ma assolutamente insufficiente per preservare le libertà individuali che sempre la politica 17 LA LIBERTÀ DI HAYEK E LA LIBERTÀ LIBERALE - S. FERRARI 02/2014 potrebbe limitare. L’uguaglianza davanti alla legge – l’isonomia nel suo senso più autentico per essere più precisi – non significherebbe per forza preservare la libertà e allo stesso modo il conoscere a priori una legge. 2.3 La critica di Aron R. Aron, Il concetto della libertà, Ideazione Editrice, Roma 1997, p. 39. 21 22 Ivi, p. 42. 18 Una delle critiche mosse a Hayek che più sembra essere interessante perché mossa sempre da un ambiente liberale e che, mi pare, ha una certa implicazione con il presente è quella di Aron nel saggio La definizione liberale della libertà. A proprosito del libro di F. von Hayek La costituzione della libertà. Il bersaglio polemico di Aron nell’impostazione di Hayek è essenzialmente sia quello che egli ricava da Berlin sulla dicotomia fra libertà negativa e liberà positiva sia una certa reticenza ad accettare come semplicemente vera l’assenza di coercizione dalla libertà negativa. Il problema di Aron che rileva in Hayek è se sia davvero possibile “attenersi alla separazione tra la libertà-sfera di decisione private e le altre accezioni della libertà” 21 nel momento in cui Hayek insiste sul fatto che la libertà consista nell’appartenenza ad una comunità senza che essa comunque pregiudichi le libertà di ciascuno. È il problema della libertà soggettiva che solleva Aron, cioè il modo in cui ogni individuo si rapporta alla propria libertà – un elemento che Hayek trascura. Per risolvere questo problema, Aron introduce: “un campo di azione neutro in quanto tale tra la libertà-attività personale e la libertà come non-costrizione, attuata attraverso la minaccia”22. La seconda critica che Aron muove a Hayek e che a mio modo di vedere forse è la più cogente e interessante, è il modo in cui legittimamente o meno l’individuo possa opporre resistenza a una legge generale o a una legge particolare. Per Hayek, come abbiamo detto, l’insieme delle leggi dello Stato, conosciute, partecipate e costruite a priori dall’individuo, non sono conseguenza di coercizione ma anzi sintomo di libertà. Che cosa accade nel momento in cui le condizioni di libertà di quegli individui cambiano? Nel momento in cui quegli individui, o solo alcuni, o soltanto uno, hanno esigenze di libertà differenti che vanno anche a collidere con le leggi dello stato? Per Hayek il problema si avviluppa solo nel momento in cui – e quindi di coercizione sono in questo momento si parla – c’è un’influenza di alcuni su altri, nel momento in cui io non mi sento totalmente libero di realizzare una libertà. Aron insiste su 02/2014 LA LIBERTÀ DI HAYEK E LA LIBERTÀ LIBERALE - S. FERRARI questo: “La generalità della legge non consente di affermare che il divieto decretato dalla medisima non possa essere considerato oppressivo per coloro i quali vi sono sottomessi. […] Queste leggi non sono rivolte a nessuno in particolare, ma riguardano tutti coloro i quali possono cadere sotto questi divieti. Ora le leggi, per quanto generali possano essere, rivolte cioè a tutte le persone, riguardano effettivamente soltanto quelle che sono in situazione di fare ciò che è vietato. Dove va situata allora la separazione fra le leggi discriminatorie e le altre?”23 Ciò che Aron critica alla fine in Hayek e della sua teoria liberale è che essa non risponda alle esigenze di realtà che una teoria liberale imporrebbe perché dimentica o sottovaluta comunque l’importanza soggettiva della libertà in favore di una libertà “addomesticata” – si sottende sempre qui la preoccupazione di una possibile crisi dell’ordine in un’antropologia hobbesiana – che non rischi di sovvertire alcun ordine. 3. Le critiche e i sospetti hegeliani Il confronto fra Hayek e gli hegeliani può risultare interessante per alcune problematicità, che nel nostro tempo si sono trasformate in sospetto, circa la teoria liberale. Più precisamente, lo scetticismo del nostro tempo rivolto proprio al liberalismo deriva molto probabilmente da una concezione hegeliana che nel tempo si è sedimentata nella storia del pensiero economico e politico e che ancora oggi è difficile scardinare. Innanzitutto la percezione che Hegel aveva circa il capitalismo e che egli definiva società civile è il fatto che la società per essere legittima dai cittadini dovesse essere universale e del tutto coincidente con l’individuo. Il problema di fondo del capitalismo, in questa ottica, consta tutto sull’idea che i rapporti umani sussistano fra loro soltanto a partire dal proprio interesse egoistico, dalla propria particolarità e singolarità e non su un’idea di bene comune e di identità comune. Pensata in tal modo, allora, la società civile diviene una società fondata sull’alienazione e sullo straniamento, sull’estraneità, in cui ogni singolo individuo esperisce la comunità; allo stesso modo la comunità diviene foriera del conflitto fra lo spirito commerciale di Smith e lo spirito etico con cui si deve partecipare alla società. È il classico dilemma fra la società civile e lo Stato che può essere superato soltanto, hegelianamente parlando, dall’Aufhebung della R. Aron, Il concetto della libertà, op. cit., pp. 48-49. 23 19 LA LIBERTÀ DI HAYEK E LA LIBERTÀ LIBERALE - S. FERRARI 02/2014 società civile nello Stato e quindi, nella trasformazione di uno Stato che divenga interventista e partecipi fortemente alle forze di mercato. 3.1 Contro il libero mercato 20 Le criticità di Hegel sul libero mercato sono diverse e tutte si concentrano sulle indesiderabili conseguenze che questo potrebbe avere sulla società. La prima conseguenza da scongiurare sarebbe quella che coinvolgerebbe l’individuo. Egli sarebbe privato del suo sviluppo individuale poiché esso è reso possibile soltanto attraverso una relazione con la comunità, ed inoltre, con la divisione del lavoro, sebbene nel suo complesso possa avere nobili fini, condurrebbe ad una legittimità dell’ordine liberale che implicherebbe nella società situazioni di imprevedibilità che lo Stato non potrebbe sostenere. Un’altra conseguenza del libero mercato sarebbe quella per cui l’individuo diventerebbe una preda delle forze del mercato non controllate, appunto, in tutta la loro imprevedibilità e in tutta la loro incertezza. La dialettica interna alla società civile era ciò che, nella Filosofia del diritto, preoccupava maggiormente Hegel: una dialettica che avrebbe spinto la società civile oltre i propri limiti, oltre i propri mezzi di sussistenza e che, alla fine, non avrebbe più potuto sostenere se stessa. La povertà o, ancor più precisamente, il pauperismo era la preoccupazione di Hegel. Eppure egli era ben consapevole che la povertà fosse ben presente in società pre-capitaliste, e aveva altresì familiarità con una buona dose di classici che lo avvertivano della possibilità, attraverso la realizzazione del capitalismo, di una maggiore ricchezza. Il sospetto di Hegel era tutto in una visione della povertà pre-capitalista che lui definiva individuale, ma che, con l’avvento del capitalismo sarebbe invece diventata una povertà sociale diffusa. Il problema su cui ruota tutta la questione hegeliana è il fatto che il grado più alto di libertà nella sfera etica è ovviamente che ciò che guida le proprie azioni dovrebbe coincidere con i principi reali della propria comunità, nella consapevolezza e in conformità con le azioni degli altri membri della comunità. È indubbio che invece, con il liberi mercato, non si potrà mai avere completa fiducia circa l’eticità e tutto il comportamento dei componenti della comunità – soprattutto perché in una logica liberale, come si è visto precedentemente, si è eliminato dall’equazione tutta la sommatoria della morale. 02/2014 LA LIBERTÀ DI HAYEK E LA LIBERTÀ LIBERALE - S. FERRARI 3.2 Il problema della povertà Quindi è evidente che le criticità sono due: da una parte l’idea di una povertà che è vista come una privatizzazione relativa che deve essere risolta dallo Stato; dall’altra che le aspettative che si sono generate nella società siano legittime e che lo Stato, ancora una volta, abbia il diritto e il dovere di soddisfarle. Tutto questo è in netto contrasto con una logica liberale e anzi, una sembra essere alternativa all’altra. Alle fondamenta di una concezione statale del genere vi è innanzitutto una concezione antropologica completamente opposta rispetto a quella liberale. L’individuo, per Hegel, non può snodarsi dalle maglie dello Stato, perché lo Stato è sia una comunità politica sia una comunità etica, con scopi e ideali condivisi. L’uomo è libero perché è nella comunità, e non potrebbe essere libero se non all’interno di quella comunità: la libertà individuale coincide con la libertà statale nel pieno rispetto del motto hegeliano “tutto ciò che è reale è razionale, tutto ciò che è razionale è reale”. Le posizioni hegeliane non debbono essere inquadrate come lontane nel tempo ma anzi hanno trovato collocazione in tempi più recenti sia nella riva destra della politica, sia in quella sinistra. Scruton, Kristol e Gilmour accusano Hayek e altri liberali di avvallare l’incertezza dell’individuo debole che potrà solo trovarsi nella condizione, alla fine, di mettere in crisi il rapporto fra sé e la società. Taylor e Flora, diversamente, lo accusano insieme ad altri liberali di avere una concezione impoverita della natura umana, alla stregua di un utilitarismo ormai caduto in disuso, e quindi considerandoli teorici di un insoddisfacente disegno della società. Tutte queste considerazioni hanno fatto breccia nelle teorie politiche contemporanee e Hayek nel suo Capitalism and the Historians tenta di spiegarne le ragioni. Innanzitutto nell’introduzione esplicitamente polemizza con quanti non hanno davvero colto il vero aumento della ricchezza e del benessere raggiunto dagli standard e dalle ispirazioni sollevate con l’avvento del capitalismo; in seconda battuta, poi, sottolinea l’importanza della battaglia ideologica delle classi dei proprietari terrieri che avevano tutto l’interesse di dipingere negativamente le aree industriali e la loro filosofia capitalista. Hayek risponde in questo caso più da storico che da teorico e sebbene questo tipo di lettura possa cambiare i preconcetti degli hegeliani, essa non è assolutamente sufficiente per far cambiare loro posizione. Di maggiore aiuto è allora Nozick che in Anarchia, stato 21 LA LIBERTÀ DI HAYEK E LA LIBERTÀ LIBERALE - S. FERRARI 22 02/2014 e utopia dirime la questione delle legittime aspettative sulla base di una scelta volontaria e personale degli individui che non ha alcuna giustificazione esterna possibile. Il fondamento dietro questa concezione è che da un punto di vista morale, per metterci nei panni di un hegeliano, tutte le azioni individuali sono volontarie. E ancora più importante, se è giusto che le persone siano interdipendenti nella società civile, non ne deve conseguire necessariamente che ne siano ugualmente interdipendenti. È proprio il loro valore di mercato, il loro prezzo, come concordato nelle transazioni volontarie , che riflette la dipendenza degli altri su di loro. È indubbiamente vero che vivendo in una società progressista gli individui abbiano delle esigenze maggiori rispetto in una società primitiva e che quindi essi possano in qualche misura sentirsi privati di un loro bisogno, di una loro necessità che non riescono a soddisfare, sebbene il loro tenore di vita sia altrettanto indubbiamente migliore che in una società primitiva. Nel saggio La costituzione della libertà, Hayek propone una morale del tutto arbitraria come fondamento alla nostra appartenenza, o meno ad una comunità: non si è il più delle volte scelto di appartenere a una comunità ma per caso ci si è ritrovati immersi. Ed è proprio sulle sovvenzioni che il singolo dovrebbe concedere alla comunità di appartenenza che il Nostro si scatena, poiché questo principio è in netto contrasto con quello di meritocrazia e di distribuzione che sempre andrebbe fondato sul merito personale. Hayek poi insiste, come si è visto in precedenza, come lo Stato debba partecipare a concedere alcuni servizi alla comunità senza pregiudicare né la libertà personale né soprattutto la libertà economico-imprenditoriale di ciascuno. Allo stesso tempo Hayek non si preoccupa troppo delle aspettative deluse di ciascuno perché, come si è detto, ciascuno individuo dopo essere messo in condizione di partecipare alla “gara” con gli altri, ha solo nelle sue mani il proprio destino. È proprio sul piano economico si staglia la risposta hegeliana. Ovviamente in ogni sistema esisterà almeno un individuo non soddisfatto o peggio, deluso. In questo senso allora in tutti i sistemi economici ci dovrebbe essere un processo in cui le persone assumono i compiti per i quali sono ritenuti qualificati. E soprattutto, in tutti i sistemi chi commette l’errore deve essere in grado di assumersi la propria responsabilità e non sollevato da questa, altrimenti nessuno sarà in grado di correggere i loro errori. 02/2014 LA LIBERTÀ DI HAYEK E LA LIBERTÀ LIBERALE - S. FERRARI Sotto il socialismo o un altro tipo di Stato piuttosto interventista ognuno è presumibilmente assegnato a una posizione specifica all’interno della società: anche lo Stato in questa scelta può sbagliare e quindi è possibile che spesso si venga assegnati a posizioni che in realtà non si vorrebbero assumere. Diversamente nel capitalismo, ciascuno è libero di scegliere e decidere quale posizione assumere all’interno della comunità, non essendo legato a una posizione specifica, a un ruolo specifico di quella società. La decisione è ovviamente proposta anche sotto forma di prezzo di mercato e il feedback dell’individuo è necessario per verificare il funzionamento di quel sistema. È la risposta dell’individuo a tale posizione che è fondamentale, che acquista un valore pregnante perché anche gli altri individui appartenenti alla stessa comunità avranno un ventaglio di scelta più ampio dettato non tanto dalle loro condizioni di possibilità quanto dalle loro stesse capacità. Il fatto poi che ciascuno sia consapevole di avere libertà di scelta, implica non solo un effetto di ritorno sulle responsabilità di ciascuno ma soprattutto diviene implicito che è più facile accettare che anche gli altri individui possano e debbano sfruttare la loro libertà compiendo scelte che non sempre si accordano con le nostre. Indubbiamente il problema dello straniamento è presente. È statisticamente più probabile che l’alienazione e lo straniamento accadano in individui che non scegliendo per se stessi, non liberamente, una qualsiasi posizione in quella società ma che non ne siano soddisfatti o che non riescano poi a perseguire gli obiettivi che quella società gli ha imposto, difficilmente possano cambiare la loro situazione esistenziale. La risposta da parte degli hegeliani non è rinunciare a questo principio ma anzi ribadire che le aspettative di ciascuno in realtà non siano legittime, e quindi ancora una volta, rigettare come falsi i molti aspetti positivi che la scelta di un libero mercato offrirebbe. 3.3 Il liberalismo come risposta al conservatorismo Il problema attorno al quale ruota tutta la riflessione di Hegel e poi degli hegeliani è il fatto di voler sia mantenere la società civile nel modo in cui essi l’hanno trovata ma allo stesso tempo il bisogno di riformarla sotto certi punti di vista. Ovviamente Hegel ha riconosciuto che la particolarità e la singolarità degli individui che partecipano e che abitano la società civile implicano appunto libertà, differenziazione e individualità e anche il problema dell’alienazione 23 LA LIBERTÀ DI HAYEK E LA LIBERTÀ LIBERALE - S. FERRARI 02/2014 una volta privata la società del soddisfacimento dei bisogni a cui ciascuno aspira. In questo senso allora, parrebbe che Hegel ammetta uno stato moderno ma che sia in grado e che anzi sia in dovere di correggere intervenendo con la politica laddove il mercato non dia le risposte sperate. È nella Filosofia del diritto che comunque Hegel propone una sorta di sussistenza per le classi meno abbienti, per quelle calate nella povertà, attraverso una sorta di assistenzialismo pubblico. Tutto questo è, invero, in contrasto con la logica liberale, poiché la sussistenza diretta da parte dello Stato violerebbe il principio secondo cui debba rimanere sacro il sentimento di indipendenza del singolo dallo Stato, e rispetto a tutti i membri di quello stesso Stato. Partecipando in qualche modo alla sussistenza del singolo, tutti gli altri si sentirebbero in dovere di partecipare anche alle sue scelte di libertà – il che farebbe ricadere in un circolo vizioso di coercizione. Il compito dello Stato dovrebbe quindi, se si accettano le premesse hegeliane, cercare di eliminare le rigidità del mercato del lavoro e la dispersione e la decentralizzazione delle informazioni; ma questo potrebbe accadere soltanto, secondo Hayek, consentendo alle forze di mercato di operare liberamente. Ancora, il denaro speso dal governo sulle opere pubbliche potrebbe essere alternativamente speso da individui perseguono finalità di lucro in competizione libera fra loro. Mentre poi la pauperizzazione è aumentata a causa della carità statale, chi è respinto dal mercato è respinto solo fintanto che cerca di pagare un prezzo per un servizio che considera irragionevole. La nostra conclusione è, quindi, che l’economia di Hegel sono profondamente sbagliata , almeno da un punto di vista hayekiano e che il problema della povertà possono essere risolti all’interno della società civile. 24 02/2014 LA LIBERTÀ DI HAYEK E LA LIBERTÀ LIBERALE - S. FERRARI Conclusione A mio avviso, la forza di Hayek è nell’aver riconosciuto il bisogno dell’uomo, anzi, la necessità umana di un società, di una comunità a cui appartenere. Ed è indubbio altresì che il mercato debba essere comunque fondata su una morale specifica – studi sul rapporto fra cristianesimo e liberalismo e capitalismo, condotti anche con delle critiche a Max Weber sono piuttosto fecondi in tal senso – che potrebbe fondarsi sulla massima neminem laedere, suum cuique tribuere, ovvero, vivere onestamente, danneggiare nessuno. La tesi liberale su ispirazione di Hayek ha i mezzi, a mio avviso, per contrastare i problemi che l’economia di mercato genera talvolta a causa della sua imprevedibilità e spontaneità. L’aspetto che maggiormente è da recuperare è forse il più problematico, ovvero quello dell’ordine. L’ordine proposto da Hayek è spontaneo perché è caratterizzato da un numero infinito di variabili e di relazioni di fra gli uomini più o meno complesse. È un ordine di tipo flessibile e dinamico, capace sempre di adattarsi a nuove circostanze. Il punto è che esso contrasta con un ordine gerarchico perché esso non viola le regole liberali che amministrano la libertà. La filosofia politica di Hayek è costruita infatti sull’ideale di libertà individuale e strettamente connesso, come ha sottolineato Norberto Bobbio, tra libertà economica e libertà. È questa sua idea di libertà che più ha cogenza politica, libera di interferenze e coercizioni, con cui l’uomo può inseguire i propri fini e senza che quest’ultimi siano dettati da sovrastrutture sociali o politiche: “Ciò che distingue radicalmente le condizioni di un paese libero da quelle di un paese sottoposto a un governo arbitrario è il fatto che nel pirmo si osserva il grande principio denominato l’imperio della legge. Spogliato da ogni tecnicismo, esso significa che il governo, in tutte le sue azioni, è vincolato da regole fisse e annunziate in anticipo, regole che danno la possibilità di prevedere con ragionevole sicurezza in qual modo l’autorità userà i suoi poteri coercitivi in determinate circostanze, e di indirizzare i propri affari individuali sulla base di tale cognizione.”24 F. A. von Hayek, La via della schiavitù, Rubbettino, Soviera 2011. 24 25 LA LIBERTÀ DI HAYEK E LA LIBERTÀ LIBERALE - S. FERRARI 02/2014 BIBLIOGRAFIA D. Antiseri, Liberi perché fallibiliRubbettino, Soviera 1995. D. Antiseri, Karl Popper, Rubbettino, Soviera 1999. D. Antiseri, Hans Albert, L’ermeneutica è scienza?, Rubbettino, Soviera 2006 D. Antiseri, H. Kiesewetter, La società aperta di Karl Popper, Rubbettino, Soviera 2007. D. Antiseri, L. Infantino, La scuola austriaca di economia. Album di famiglia, Rubbettino, Soviera 1999. D. Antiseri, Von Hayek visto da Dario Antiseri, Luiss University Press, Roma 2007. R. 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Le critiche e i sospetti hegeliani 28 pag. pag. 03 pag. 04 pag. 07 pag. 10 pag. 12 pag. 15 pag. 18 pag. 19 3.1 Contro il libero mercato 3.2 Il problema della povertà 3.3 Il problema della povertà pag. 20 pag. 21 pag 23 Conclusione pag. 25 Bibliografia pag. 26 CANTIERE LIBERALE Via San Bartolomeo, 103 La Spezia - 19126 La Spezia (SP) www.cantiereliberale.it [email protected] follow us