Apollonio Zanderigo Rosolo Lo zio scultore di Raffaella Zanderigo Rosolo Apollonio Zanderigo Rosolo Dopo Giovanna, Lorenzo, Monica, ecco Apollonio seguito da Maria. Apollonio, classe 1904, figlio di Francesco Zanderigo Rosolo e di Monica Zannantonio Vena. Mi raccontava zia Monica: "Apollonio era il più vivace e il più testardo di tutti noi fratelli. Era il mio compagno di giochi. Eravamo sempre insieme. Saliva in groppa al cavallo, usciva dalla stalla rannicchiato sulla sua schiena e l'accompagnava alla fontana, vicino a casa. Io dovevo filare la lana, fare le calze, imbottire le suole degli scarpetti, lui incideva il legno con il coltellino o disegnava su pochi pezzi di carta che si potevano trovare in casa. All'ora di andare a letto, Apollonio amava scherzare su per le scale. Subito la mamma lo zittiva: "Recitate l'eterno riposo per i poveri morti". Morto il padre nel 1917, causa l'epidemia della spagnola, il peso della famiglia cade su Lorenzo il primo maschio. Finita la guerra tutto è da ricominciare. La mamma, donna. di poche parole ma decisa, riorganizza la vita della sua famiglia. I conti che devono tornare, sono affidati a Lorenzo e Giovanna, i maggiori per età. Tra le tante decisioni da prendere c'è anche il problema di valorizzare le capacità potenziali di Apollonio. Decidono di mandarlo a bottega da uno scultore della Valgardena. Lorenzo lo accompagna andando a piedi, fino a San Candido, per prendere il treno. Apollonio si impegna, l'ambiente è stimolante, impara il mestiere, sta poi a lui essere creativo. Ritornato a casa, cerca a Verona poi a Roma, l'ambiente più adatto al suo spirito artistico. Ma arrivano gli anni della recessione economica 1929-30-31-32. Manca il denaro per sopravvivere. Chi pensa a ordinare sculture? Il padrone della bottega, dove lui aveva trovato lavoro, gli dice: "Gli anni sono neri. Hai terra al tuo paese? Ritorna lassù a fare il contadino, avrai almeno il cibo assicurato". Ritorna deluso al paese, ma trova una famiglia unita che lo sostiene e lo rassicura. Apre bottega nella stanza accanto alla stua. Scolpisce dei crocifissi. E' compito di zia Maria, che gira le parrocchie per raccogliere offerte "Pro santa infanzia" opera missionaria, mettere nella borsa anche qualche "cristo" da vendere. Ero bambina e ricordo la vecchia zia ritornare a mani vuote e sedersi su uno sgabello. Lo zio è nervoso. Nemmeno i soldi per il tabacco per le sigarette fatte a mano. Poi la situazione si schiarisce a poco a poco. Zia Pia, la maestra Pia Festini Cucco gli affida il compito di scolpire la statua di Santa Teresa del Bambin Gesù, da sistemare nella nicchia vuota, nella chiesa del paese. Gruppo scultoreo bellissimo, dai lineamenti raffinati. Io ero la prima nipotina ed ero spesso nella sua stanza da lavoro. Ricordo il tavolo quadrato al centro sul quale avvitare il pezzo di legno cirmolo, la sgrezzatura a colpi di scalpello e mazzuolo di legno. Mi lasciava incidere su qualche pezzo di legno. Porto ancora 17 Si sposa, forma una sua famiglia. Ecco la seconda guerra mondiale, nuova crisi economica, specie per uno scultore. C'è il problema di sopravvivenza. Arriva il dopo guerra, c'è voglia di rinnovare. Si apre uno spiraglio, gli commissionano lavori di intaglio per rosoni, scanni, pannelli, cassapanche, stemmi... per il palazzo della Magnifica Comunità Cadorina ed altri palazzi antichi. Un lavoro ripetitivo non creativo. Questo zio buono ma molto solo non ha Santa Teresa del Bambin Gesù sulle mani i segni dei colpi sbagliati. Lì tutto profumava di cirmolo. Era bello stare con lui. Vivevamo ancora tutti in famiglia. Ogni tanto ci voleva una interruzione dal lavoro. Prendeva una tavoletta e, come faceva suo padre, se il tempo lo permetteva, si sedeva sui gradini davanti casa. Si arrotolava una sigaretta e si rilassava. Era mattiniero e guai a disturbarlo nel riposo pomeridiano La mamma ci zittiva sempre. Scolpisce altre statue per chiese e capitelli, come "Gesù consola un soldato ferito" nel capitello di via Piana a Casamazzagno. Rimane questo il periodo migliore della sua realizzazione artistica. “Gesù consola un soldato ferito” incontrato situazioni ottimali per realizzarsi come artista. troppi condizionamenti gli hanno tarpato le ali... Anche se alla fine il dialogo si risolveva in un "bundì" è uno zio che rimane nel nostro cuore. Gli abbiamo voluto bene nel suo silenzio. "Ciao, Barba Ploni!" Tabiadas a Sturottu 18