Untitled - Gruppo Carige

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Arte e cultura
Quando sul palco salivano
quei bambini di Rossaldo
di Piero Fossati
Quaderni di scuola, manifesti sgualciti, foto sfocate: storia appena
di ieri ma dal sapore d’altri tempi. Pochi ricordano che alla fine
del secondo conflitto mondiale e nell’immediato dopoguerra
da Genova, dove era nata, partiva in tournée per i teatri
di tutt’Italia una compagnia di varietà formata da ragazzini.
Era una carovana di una trentina di persone, bambini dai
cinque ai dodici anni, qualche adulto, gli orchestrali con
il maestro Ettore Diglio, un macchinista; a volte si aggregava qualche nome già lambito dalla notorietà, come Tino Scotti o Carlo Campanini. Sotto lo sguardo della signora Bice, sarta, costumista e tuttofare su sbuffanti e scomodi treni a vapore attraversavano da un capo all’altro della penisola con soggiorni nelle principali città dove il primo spettacolo era motivo di diffidente curiosità (“Bambini?”) per diventare il giorno dopo caloroso successo. I piccoli attori specializzati in numeri di varietà, di ballo, di canto, di destrezza incantavano le platee, sapientemente diretti e preparati da un estroso impresario, Aldo Rossi che
aveva preso il nome d’arte di Rossaldo: quella era infatti
la “Compagnia dei bambini di Rossaldo”.
Aldo Rossi era stato un pugile ed aveva anche conosciuto
una certa notorietà sul ring negli anni Venti (lui era nato
nel 1906 alla Spezia). Poi aveva smesso e si era dato al
teatro con una geniale idea: il mondo della rivista stava conoscendo un favore crescente presso un pubblico che nelle battute, spesso di grana grossa, nei facili doppi sensi,
nelle scenografie ammiccanti allo spensierato mondo d’oltre oceano sembrava volersi lasciare alle spalle le tristezze
e le distruzioni della guerra. Rossaldo alla voglia di spetta-
A fronte
Immagini d’archivio della Compagnia creata da Aldo Rossi.
coli leggeri di un pubblico che guardava con speranza all’Italia della Ricostruzione, aveva aggiunto una punta di maliziosa curiosità per catturare le simpatie delle platee: una
troupe di bambini che si esibivano con l’ingenua sicurezza degli attori consumati e con la grazia ambigua dell’età.
Bambini che vivevano la penuria del dopoguerra e avevano ancora negli occhi le brutture del conflitto, ma che non
erano né sbandati né vagabondi: erano piccoli adulti che
si lanciavano con fiducioso entusiasmo nell’avventura del
teatro, in blando contrasto con genitori un po’ timorosi per
l’allontanamento da casa e da scuola, ma rassegnati a lasciarli seguire il loro destino in un momento difficile e rincuorati dalle cure che Rossaldo e la Signora Bice promettevano. E non erano parole. Lo aveva accertato una solerte maestra genovese che, preoccupata per la scomparsa
di un suo scolaro partito con la Compagnia dei bambini di
Rossalto (sic), aveva chiesto a una mamma di informarsi.
E sul registro di classe del 1947 aveva riportato i risultati
dell’indagine: L’assistenza morale è buona ma l’istruzione
crede non sia curata perciò si informerà con precisione se
i fanciulli vanno a scuola.
A scuola col girovagare del loro mestiere non andavano se
non nelle pause genovesi, ma l’istruzione non era del tutto trascurata. Un antico “bambino di Rossaldo” ricorda lo
scarso entusiasmo che accompagnava la comparsa della
Signora Bice con due quaderni in mano, uno a righe e uno
a quadretti. Era l’inizio della lezione: un dettato, un problema per preparare gli attori-scolari a passar l’esame da una
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letto? e come non tributare scroscianti applausi alla minuscola contorsionista che balzava fuori da un angusto contenitore ben confezionato a imitare una scatola di cipria e
si metteva a lanciare bottigliette del Profumo Paglieri, la ditta che sponsorizzava molti spettacoli di Rossaldo?
Io cercavo di mettermi là dove sapevo che cadevano i profumi per arraffarne qualcuno! racconta il signor Raniero Piccolo con negli occhi la nostalgia della scena: lui era un affezionato spettatore e non perdeva una recita quando la
Compagnia arrivava all’Augustus di corso Buenos Aires, tappa obbligata e successo assicurato - Veniva giù il teatro! prima di passare al Doria, al Colosseo. Aveva più di un motivo per appassionarsi: suo fratello Piero era uno dei Bambini di Rossaldo: A casa non si stava male, mia madre durante la guerra aveva saputo arrangiarsi, ma eravamo in cinque bocche da sfamare: una di meno era meglio. Ma non
era per i soldi, era che la scuola non mi piaceva. Il signor
Piero Piccolo, una vita turbinosa di attività diverse fino al
lavoro in porto e oggi ancora sulla breccia nello staff del
Presidente della Regione Liguria, ha ricordi precisi: Rossaldo manteneva i suoi bambini, ma soldi non se ne vedevano, ogni tanto qualcosa; una volta riuscii a comprare un
paio di scarpe. Era l’avventura che contava: i lunghi viaggi su treni a carbone; l’arrivo in alberghetti -ma di solito camere ammobiliate - dove ci si rifocillava e si dormiva in poche stanze; lo studio delle parti, le prove e poi in scena.
Un pasto solo nel primo pomeriggio perché alla sera c’era lo spettacolo.
La memoria del signor Piccolo si fa più attenta, i ricordi
si precisano, addolciti dalla lontananza. C’era un bravo
cantante; lo presentavano con una strofetta che ho ancora in mente:
classe all’altra. La maestra poteva anche lamentare l’incuria dei genitori che per un guadagno immediato non pensavano alle dannose conseguenze, ma ragionava appunto
da maestra, che ignorava tutto di quella esperienza e solo
confusamente avvertiva che per bambini appena usciti dalle sciagure della guerra quella dell’attore era vita più concreta della scuola. Bambini per età anagrafica, ma adulti
in sintonia con ciò che in quel momento affascinava i gusti popolari: luci della ribalta, numeri che divertivano senza porre troppi problemi, battute salaci di immediato effetto. Dopo le sofferenze della guerra si voleva ridere alle smorfie di Totò, alla finta balbuzie di Walter Chiari, alla ruvida
bontà di Fabrizi, alle imitazioni di Campanini, alle storditaggini di Peppino De Filippo.
Aldo Rossi aveva avuto la felice trovata di far rappresentare quel mondo spensierato da bambini che portavano sul
palco l’ingenua malizia della loro età: come restare indifferenti quando a chiudere lo spettacolo usciva sul palco la
più piccina, di appena cinque anni, a incantare col suo balManifesto che pubblicizza lo spettacolo della giovane Compagnia.
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“Tito Schipa in miniatura,
vero dono di natura,
un prodigio di bambino:
questo è Gino, Gino, Gino.”
Il suo cavallo di battaglia era lo sketch nel “Trio Stiffelius”:
si presentava sulla scena in frak e con i suoi due compagni, anch’essi in seriosi abiti da società, sparava sapide battute sui personaggi più noti del momento. Vita avventurosa con sorprendenti imprevisti da romanzo dell’Ottocento:
Una volta una coppia di Ferrara avrebbe voluto adottarmi.
Si commuove il signor Dino Burlando, uno dei primi Bambini della Compagnia di Rossaldo, dove era approdato spinto dalla passione per il canto: Un musicista vicino di casa
mi aveva dato qualche consiglio per impostare la voce ed
effettivamente avevo successo. E c’è da credergli nell’udire il timbro limpido e melodioso della sua parlata. Aveva avuto l’occasione di esibirsi a fianco di Ugo Tognazzi col nome di battaglia di Burlandino, soprannome che gli era rimasto. Era un cantante, ma sul palco faceva di tutto a cominciare dalle riuscite imitazioni. Era uno dei più grandi-
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celli e mentre gli altri vivevano quasi come in collegio, lui,
in compagnia del maestro Diglio, ogni tanto andava a zonzo per le città quando non si infilava nei teatri attirato da
quel mondo di artisti. Gli era capitato di imbattersi in Totò,
già toccato dalla popolarità, e l’attore, estasiato di questo
ragazzino che lo imitava con la sfacciataggine dell’età, gli
aveva regalato una foto con spiritosa dedica: “Al simpatico sosia. Il principe de Curtis 7.11.1948”.
E Burlandino è un fiume in piena quando comincia a raccontare e a tirar fuori foto e manifesti che ha conservato;
una litania di città e di teatri: Palermo, Cremona, Alessandria, Napoli, L’Aquila... Ricorda Rossaldo con ammirazione e una punta di invidia: aveva una bella macchina, una bella compagna, forse una soubrette, che il dodicenne guardava con interesse... E quanti sogni su quell’automobile! Quando si è sposata mia sorella, gli chiesi di
prestarci l’automobile per andare dalla chiesa al ristorante e lui ce la lasciò per tutta la mattinata con lo chauffeur.
Era una bellissima Lancia.
Coi compagni del gruppo? Ottima collaborazione; Rossaldo pensava a tutto: assegnava i ruoli, svelava i trucchi del
mestiere, distribuiva i fogli perché si imparassero le parti.
Eravamo tutti innamorati di Iole Pupetta, la cantante, ma
eravamo piccoli e tutto si risolveva in platoniche simpatie:
una volta la signora Bice mi cacciò via dalla stanza delle
bambine dove mi ero trattenuto un po’ troppo... Tramontata la carriera Burlandino era diventato vetrinista alla Standa: un po’ dell’artista gli era rimasto.
Di personaggi che sarebbero diventati famosi la Compagnia
dei Bambini di Rossaldo ne tenne a battesimo parecchi:
Gian Fabio Bosco (il noto Gian), Nico di Palo dei New Trolls,
Aldo Cioffi, Giorgio Corradini (il bambino con Gilberto Govi ne Il diavolo in convento), Maria Paris, Rino Marcelli.
Poi, alla fine degli anni Quaranta l’avventura terminò: la concorrenza del cinema offriva emozioni e sogni più affascinanti. Rossaldo aveva fiutato l’occasione e i suoi Bambini
nel film Briscola del 1949 erano diventati monelli costretti a giocare al pallone negli angusti spazi del mercato. Beneficiati dalla bontà della figlioletta di un industriale, che
per loro apriva un campetto, ricambiavano il generoso atto dedicando alla bambina, in fin di vita per un incidente,
la loro prima vittoria. Nel cast c’erano persino alcuni giocatori della Sampdoria, presenza che tuttavia non era stata sufficiente a sollevare le scarse fortune del film. Neppure alle sale approdò invece Adolescenti al sole, del 1964,
che forse avrebbe meritato di più.
Quanto a Aldo Rossi, dopo esperienze di sceneggiatore e
aiuto regista, concluse la sua carriera gestendo una sala
cinematografica a Milano. In certo qual modo sempre nel
mondo dello spettacolo.
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