Scienza e poesia (Scienze e Ricerche 2014)

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SCIENZE E RICERCHE • N. 2 • DICEMBRE 2014 | STORIA
Scienza e Poesia
VINCENZO CROSIO
Docente nelle scuole superiori e docente relatore all’Istituto degli studi storici e filosofici di Napoli
La relazione scienza/poesia è una delle più intriganti e
conflittuali relazioni tra campi del sapere. Intorno agli anni
’90 del secolo scorso Ilya Prigogine tentò di gettare un ponte tra le scienze e l’umanesimo. Nel post-moderno i confini
tra i domini del sapere si sbriciolavano, pur nelle differenze
specifiche, un po’ come il muro di Berlino. La complessità
del sistema mondo impose una rivisitazione anche tra scienza e poesia. In questo articolo si dà conto dei passaggi essenziali di
questa relazione.
come si accorse il Nietzsche, estremo indagatore del campo
epistemico e fisico, Leopardi è forse il più noto tra i poeti che
segnano con linee così eleganti ma anche forti la topografia
del luogo poetico. Leopardi ci indica il senso, la direzione in
cui muoversi per alcune note sul legame tra scienza e poesia.
Gaston Bachelard, il grande matematico, ingegnere ed epi-
S
crive Giacomo Leopardi ne
‘La Ginestra’, uno dei canti più belli, più affascinanti,
più complessi della nostra
letteratura poetica, questi
straordinari versi che introducono ad un’estetica dello sguardo, della visibilità e della
visione, quasi una notazione dell’interrelazione tra l’occhio-visione e l’universo frattalico e corpuscolare insieme:
e quando miro,
Quegli ancor più senz’alcun fin remoti
Nodi quasi di stelle
Che a noi paion qual nebbia, cui non l’uomo
E non la terra sol, ma tutte in uno,
Del numero infinito e della mole,
Con l’aureo sole insiem, le nostre stelle
O sono ignote, o così paion come
Essi alla terra, un punto
Di luce nebulosa;
Questi versi riprendono il maestoso e nobile ondeggiare
dell’altro canto “L’Infinito” e ci si accorge del confine labile, discreto, anche se incerto tra scienza e poesia. Tra scienza, poesia e filosofia. Grandissimo poeta, strabiliante filosofo
stemologo francese, colse meglio di tutti questo legame, che
è appunto uno spazio, un luogo della poesia, come costruzione, come architettura di uno spazio, come immaginazione
che avvicina l’uomo all’infinito. Tra l’infinito coscienziale e
l’infinito matematico, cosmico. Quasi che l’uno fosse possibile come risonanza dell’altro. Quasi che lo spazio poetico
fosse l’abitazione sua propria, della parola, così come lo spazio fisico fosse l’abitazione dell’umano. Il suo heimat, il suo
luogo originario:
Nell’anima distesa che medita e sogna, una immensità pare at9
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visione sana, non illusoria della realtà e dunque dentro una sana immaginazione poetica, che è domanda
all’oggetto stesso dell’indagine: Che
fai tu in ciel? Dimmi che fai, silenziosa Luna?, nel Canto notturno di
un pastore errante dell’Asia.
Per Lucrezio poi la vastità del
mondo è effetto di una vastità del
vuoto, una proprietà del vuoto stesso, secondo la visione epicurea e democritea, atomista del reale. Esattamente come nella teoria elettroquantistica del vuoto. Né più né meno. Il
quantum, la quantità vuota è esattamente il principio stesso della indeterminazione fisica e matematica secondo Planck e secondo Heisenberg
(Richard P.F eynman, Sei pezzi facili. Lectures on Physics). Così la
intende pure la filosofia buddhista
della vacuità. Ed è singolare, se non
incredibile, che questo venga detto
dall’intuito poetico:
Quegli ancor più senz’alcun fin remoti
Nodi quasi di stelle
Che a noi paion qual nebbia.
tendere le immagini dell’immensità. Lo spirito vede e rivede oggetti, in un oggetto l’anima trova il nido di una immensità’(G.
Bachelard, Lo spazio poetico. pag. 212).
Nella correzione a mano nel testo autografo di Leopardi
dell’Infinito, viene trascritto infinità al posto di immensità,
ma che comparirà poi nel testo dato alla stampa al posto di
infinità. Dunque immensità è parola Leopardiana meditata,
scelta dopo una lunga esitazione.
Ma c’è un’altra correzione: interminati spazi al posto di
interminato spazio. A 15 anni leopardi aveva scritto e pubblicato un’opera scientifica, una Storia dell’Astronomia che
ricevette le attenzioni dell’Università di Bonn, che chiamò
il giovane autore a tenere delle lezioni di Fisica e Astronomia in quella città. Leopardi rispose di essere solo un poeta.
Margherita Hack ha nobilitato questo sforzo dell’adolescente Leopardi, scrivendo insieme con lui, con Leopardi, proseguendo da dove Leopardi era giunto, un’altra storia della
astronomia. Ma la categoria filosofica è vastità che appartiene anche al genio di Baudelaire dove il calco originario è la
vastità dell’essere e della esistenza, come ci ricorda Anassimandro. Al di là del nostro essere, l’esistenza dell’infinito,
dell’incommensurabile. Sembra quasi che la categoria della
in finitudine, ontologica, fisica, sia la qualità estrema di una
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Nodi dunque che sono quasi stelle
e che a noi appaion come nebulose.
Si capisce allora come il matematico
Paolo Zellini introduca costantemente le sue lezioni sull’infinito e sul numero con la poesia di Leopardi. Tra l’effetto numerico di una matrice e l’effetto strabiliante dei Canti Pisani
di Ezra Pound che differenza c’è?
Ma non vorrei parlare del rapporto tra scienza e poesia
solo attraverso la cosa più evidente, voglio invece parlare
proprio della relazione che c’è, se c’è, tra l’immaginazione
poetica e l’immaginazione scientifica. O meglio tra la fenomenologia dello spirito scientifico e la fenomenologia dello
spirito poetico. Dal mio punto di vista, si tratta proprio di
questo: di un punto di vista della fenomenologia dello spirito, cioè di quelle categorie che per le neuroscienze è l’attività
di ideare, immaginare e realizzare, la cosiddetta attività auto
poietica. L’autopoiesi, la autogenerazione delle cognizioni,
delle strutture pensanti, delle strutture creative appartengono
sostanzialmente all’intera dimensione della biosemiosfera,
del vivente e dunque anche del mondo umano. Il mondo psichico come quello del vivente è una macchina auto poietica
e simbolica, secondo Maturana e Varela, una macchina autopietica che produce segni che hanno il carattere di un simbolo, di una topologia segnica e simbolica. E’ una macchina
semiotica, generativa di segni dentro un sistema della mente
natura e della mente natura non natura, artificiale. Come sostiene Chomsky in “Le strutture della sintassi”. Già Freud (e
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poi Piaget), accennava e chiarirà queste funzioni pulsionali e
quasi cibernetiche legate alle pulsioni appunto, ad una logica
del desiderio. Scrivono Franco Scalzone e Gemma Zontini in
“Freud e il suo invisibile fantasma”: Un sistema rappresentazionale, come lo è lo psichismo umano, è costruito su una
rete di categorie ed è autoreferente: cioè esso è in relazione
soprattutto con altre sue parti più che con l’esterno. Ma qual
è il processo che permette alla macchina - come lo chiama
lo stesso Freud - di mettersi a camminare da sola da un momento all’altro?”
L’incosciente macchinico come chiamano Deleuze e
Guattari la produzione di
senso proprio del testo e in
particolare del testo poetico (Julia Kristeva insegna)
produce il linguaggio dei
segni attraverso un asse
simbolico particolare. Un
asse diacronico e uno sincronico come se fosse la
texture, un canovaccio in
cui il çà parle, la parola
di Lacan, scrive il suo linguaggio come fa la maglia
con l’uncinetto. Il segno è
dunque un senso traslato
del reale (Julia Kristeva
e Roman Jakobson). Una
mappa di un territorio, una
topografia che introduce
ad una tipologia dei luoghi
poetici secondo una combinazione di segni fonetici
e sintattici, le unità fonematiche, che costruiscono
la meravigliosa macchina di produzione poetica.
Una macchina astratta e
trascendente come i Numeri di Cantor sulla sua
diagonale. Scrive il fisico
Franco Piperno in “Macchine, scienza, linguaggi”:
Il momento in cui la matematica riconosce i propri limiti,
si conclude proprio nel computer o, metaforicamente, nello
spazio cibernetico. Ma concludendosi ci lascia come residui
gli aspetti linguistici non formali, il linguaggio comune come
presupposto di tutto questo. Il transfinito, il trascendente, il
segno astratto coniuga secondo un formalismo grammaticale
generativo qualcosa che produce combinandolo, il reale con
il non reale, il formale matematico con il non formale del linguaggio comune e metaforico, il materico con l’immateriale,
il corpo vivo con corpo di relazione astratto.
E’ stato osservato che ogni ramo della scienza sembra ci
voglia dimostrare che il mondo si regge su entità sottilissime
come i quark, i messaggi del DNA, gli impulsi dei neuroni
e quelli determinati nello spazio dell’individuo fin dalla sua
vita e dal suo concepimento. Eppure i poeti ci dimostrano che
è dall’incontro dell’uomo con se stesso e con gli altri significati che scaturiscono, attraverso i secoli, le forze più fertili
ed immaginative della nostra cultura e, come si sa, sono stati
i poeti stessi e gli artisti a infondere alle passioni e alle vicissitudini dell’individuo la dimensione umana del psichico e
del tragico (Andreas Giannakoulas, Processi creativi e creatività). Dunque dal fondo della macchina che produce segni
e simboli che la condizione naturale ed umana induce nel
sapiens, che ne modifica la sensibilità e la conoscenza nella
temporalità storica, avviene un imprevedibile scarto
linguistico e della coscienza. Questa è la poesia, questo è l’intuito e il dominio
sapienziale della poesia,
cui affidiamo appunto questa logica combinatoria di
segni e simboli che hanno
raccontato, all’alba della
civiltà e della civiltà della
scrittura, ad esempio le peripezie di Odisseo che così,
nelle peripezie del mondo
e sue personali, sperimenta
la tenacia del suo multiforme ingegno.
La trascrizione in un
codice sillabico, sintattico di queste esperienze
dell’umano, la meraviglia
dell’umano, noi la definiamo in un ordine/disordine,
caotico e normativo, che è
la poesia. Dissimmetria e
simmetria, ordine e caos,
numero e non numero, ritmo e misura sono gli algoritmi sapienziali di questa
macchina di scrittura semiotica. La poesia è la manifestazione geniale e tragica
di questa esperienza dell’essere gettato nel mondo. Il modo
migliore che l’uomo conosca di immaginare se stesso e il
mondo. Questo è il senso della poesia per Horderlin e dunque
anche per Heidegger, che gli dedicherà significativamente un
saggio. E che i poeti come i matematici rinnovino sempre
questa esperienza, quella del calcolo e quella della poesia la
dice lunga sulla fascinazione che ha presso l’uomo e la macchina calcolatrice e la macchina simbolica, ambedue cioè
macchine poetiche, il cui confine è un confine bilingue caratterizzato da una asimmetria tra esterno e interno, come intelligentemente nota Jury Lotmann. E’ lo scarto, la differenza
tra il reale reale e l’astratto simbolico che opera come struttura di senso poetico, come nella ricorsività matematica. In
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altro ambito, quello musicale, l’esperienza del canone inverso, della ricorsività del suono, di una infinita piega ricorsiva,
matematica e metamatematica, di J. Sebastian Bach, produce
appunto questa magia sonora della esperienza creativa.
‘Questo incantesimo poetico-matematico, questo mantra
(tessuto poetico, formula magica), così come l’esametro greco o l’anna-viraj (verso di dieci suoni in dieci suoni) dei poemi vedici, conduce la spola del senso, del tessuto di verso in
verso fino alla potenza (viraj) dell’assoluto metamatematico.
Dunque la poesia nella sua essenza è un evento, uno scarto
temporale tra il reale e l’immaginario. Oserei dire un Potlach
quasi divino, un infinito intrattenimento tra un osservatore e
un osservato, tra un dicitore e un ascoltatore, tra uno sguardo
e una serie di percezioni del reale, un campo fenomenico di
cognizioni relazionate. E relazionabili. Alla poesia compete, è consentito ciò che alla scienza è vietato e viceversa. E
ad entrambe, la facoltà del conoscere per linearità logica o
non linearità semantica. E’ il caso questo di Dante Alighieri
che fa scendere o salire i suoi demoni infernali o le sue virtù
angeliche nelle volute geometriche, nella spirale logaritmica
del ritmo ternario, fa salire o scendere se stesso fino alla dimensione del senza fine, dell’incommensurato regno divino,
dell’ensof cabalistico. Il senza nome, il senza volto, il senza
numero, Dio viene reinventato nell’immaginazione poetica
di un sogno, di una reverie, teologica ed angelica.
Verso il basso, con una torsione verso il basso e con continue linee di fuga, la scrittura di Kafka delinea una topografia
della Non provvidenza che segna nel negativo l’esperienza di
Dio. L’ingresso nel villaggio del signor K., dell’agrimensore
ne “Il Castello”, è un capolavoro di questa tensione verso
il basso della misura aurea. Nessun altro definisce meglio
di Kafka il Luogo come luogo dell’umano, fino alla nichilazione, fino alla metamorfosi dell’umano nel non umano. Un
non numero, l’assenza di un numero, il grado zero di ogni
conoscenza, permette a Kafka di analizzare centimetro per
centimetro l’essenza dell’umano. Nella prima fondazione di
un cyberspazio, come in un quadro di Escher, nella surrealtà di Magritte o De Chirico, nella spazialità simbolica del
Maestro dei Pannelli Barberini e di Francesco del Cossa, del
Bramantino, nella maestria angelica e fiamminga della Madonna Salting di Antonello da Messina, nello spazio poetico ancora gotico di Barthélemy d’Eyck. E’ questa, secondo
Pierre Lévy, filosofo ed ingegnere informatico, l’origine della potenza del virtuale, la potenza stessa dell’immaginazione
e della memoria. Dal segno logografico, dalla scrittura, alla
potenza della virtualità matematica e poetica, creativa.
Abbiamo definito la relazione tra scienza e poesia? Non lo
so. So che le linee di questa cartografia del conoscibile sia
affidata alla scienza topologica di Poincarè e Renè Thom e
che tocchi alla poesia indicare il senso dell’oltre, oltre il quale scompare ogni distinzione. Così è per il telescopio spaziale
Hubble o il viaggio della sonda Cassini, così è per lo sguardo
rivolto al cielo del Pastore errante dell’Asia di G. Leopardi, o
le visioni poetiche ed ultramondane di Rimbaud, Baudelaire,
Th. De Quincey o J. Joyce. Un provvisorio sguardo gettato
dentro i confini dell’universo. In fondo tra il canto alla luna
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dello sciamano dell’Indonesia, che eleva il suo canto notturno per metabolizzare la sua solitudine, che si è rifiutato
di entrare nella civiltà mercantile occidentale, e lo sguardo
d’incertezza di Einstein, io ci vedo poca differenza.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
G. Leopardi, Opere, Utet
P. Zellini, Breve storia dell’infinito, Adelphi
G. Bachelard, La poetica dello spazio, Dedalo libri
M. Blanchot, Lo spazio letterario, Einaudi
H. Maturana e F. Varela, Macchine ed esseri viventi,
Astrolabio
Alfonso M. Iacono, L’evento e l’osservatore, Pierluigi Lubrina editore
R. Jakobson, La sviluppo della semiotica, Bompiani
N. Chomsky, Le strutture della sintassi, Laterza
G. Deleuze-F.Guattari, Mille piani, Einaudi
Ilya Prigogine-Isabel Stengler, La nouvelle alliance, Gallimard
Douglass. R. Hofstadter, Godel, Escher, Bach, Adelphi
P. Lévy, Il virtuale, Raffaello Cortina
R. P. Feynman, Sei pezzi facili, Adelphi
Franco Piperno, Macchine, scienza, linguaggi, in Cibernauti, Castelvecchi
F. Scalzone-G.Zontini, Freud e il suo invisibile fantasma,
in Tempo d’Analisi n. 2 2013, Aracne
A. Giannakoulas, Processi creativi e creatività, in Tempo
d’Analisi n. 2 2013, Aracne
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