LA PROVINCIA DI BERGAMO PER L`AUTISMO

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PROVINCIA DI BERGAMO
Settore Politiche Sociali
I QUADERNI DI RISORSE
LA PROVINCIA DI BERGAMO
PER L’AUTISMO
Percorsi Formativi
“Sensorialità e percezione nell’autismo”
“Genitori ed autismo”
I QUADERNI DI RISORSE
LA PROVINCIA DI BERGAMO
PER L’AUTISMO
PROVINCIA DI BERGAMO
Settore Politiche Sociali
I QUADERNI DI RISORSE
LA PROVINCIA DI BERGAMO
PER L’AUTISMO
Percorsi Formativi
“Sensorialità e percezione nell’autismo”
“Genitori ed autismo”
Realizzazione:
Provincia di Bergamo
Settore Politiche Sociali
Via Camozzi, 95 - Passaggio Canonici Lateranensi, 10 - Bergamo
Tel. 035.387.652 - Fax 035.387.695
E-mail: [email protected]
www.provincia.bergamo.it
Coordinamento editoriale:
Silvano Gherardi - Dirigente del Settore
Coordinamento tecnico:
Gabriella Savoldi Cortinovis - Coordinatore Provinciale Progetti Autismo
La traduzione dei testi di Olga Bogdashina è a cura di:
Gabriella Savoldi Cortinovis
Si ringrazia per la preziosa collaborazione:
Patrizia Pezzali
Fotografie:
Dario Bau
Stampa:
Studio Lito Clap snc - Bergamo
Presentazione
La pubblicazione di questo impegnativo quaderno di risorse ci consente di fare il punto
sui percorsi formativi che il Settore Politiche Sociali della Provincia di Bergamo ha realizzato negli ultimi due anni nell’ambito del progetto autismo.
È questa un’occasione per mantenere la memoria storica di un’attività che ci vede impegnati in prima persona ma, soprattutto, ci consente di offrire alle famiglie, al mondo della
scuola e agli operatori documenti utili nel loro contesto di lavoro e di vita con persone affette da sindromi autistiche.
Convinti che la formazione sia un aspetto basilare per potenziare le professionalità di
coloro che si prendono cura di questa complessa disabilità, abbiamo privilegiato l’incontro
con esperti italiani e stranieri in grado di aiutarci ad ampliare le conoscenze dei meccanismi alla base del “funzionamento” delle persone con autismo e, soprattutto, capaci di fornirci indicazioni operative chiare, concrete, con risultati misurabili.
Per rispondere alle numerose richieste, che abbiamo ricevuto non solo dai nostri corsisti, ma anche da parte di persone che da tempo seguono con interesse nelle varie regioni italiane l’impegno della Provincia di Bergamo per l’autismo, abbiamo deciso di
raccogliere tutte le relazioni del convegno internazionale “Sensorialità e percezione nell’autismo” e dei due percorsi di formazione “Genitori ed autismo” che abbiamo organizzato nel corso del 2006.
Nella logica del lavoro in rete e nella profonda convinzione che alle parole devono seguire i fatti, abbiamo condiviso la programmazione degli interventi formativi con le Unità
di Neuropsichiatria Infantile delle tre Aziende Ospedaliere bergamasche, con l’Ufficio Scolastico Provinciale, con i centri Spazio Autismo di Bergamo, Romano di Lombardia, Ponte
San Pietro, Seriate, con il Centro Autismo della Valle Cavallina e con le istituzioni che
hanno sottoscritto il protocollo provinciale dei centri spazio autismo o che fanno parte del
nostro tavolo di coordinamento.
Questo quaderno è la logica prosecuzione del testo “Da Spazio Autismo a Spazio
Famiglia. Un itinerario attraverso le opportunità operative nel contesto educativo e del sollievo” che ha raccontato nel 2004 gli inizi della nostra esperienza e gli sviluppi dei nostri
progetti, riscuotendo apprezzamenti che ci hanno spinto ad andare avanti.
Bianco Speranza
Assessore alle Politiche Sociali
Valerio Bettoni
Presidente
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INDICE
ATTI DEL CONVEGNO
“SENSORIALITÀ E PERCEZIONE NELL’AUTISMO”
15-16 dicembre 2006
APERTURA DEI LAVORI
Dr. Bianco Speranza
Assessore alle Politiche Sociali - Provincia di Bergamo ...................................... pag. 13
IMPORTANZA E DIFFICOLTÀ DELLA DIAGNOSI PRECOCE NELLA PROGNOSI
DEI DISTURBI GENERALIZZATI DI SVILUPPO
Dott. Marco Tomaso Rho
Responsabile U.O. Neuropsichiatria Infantile
Azienda Ospedaliera Bolognini - Seriate ............................................................. pag. 15
CONVIVERE CON L’AUTISMO:
TESTIMONIANZE DALLA VITA DI
TEMPLE GRANDIN
Intervista tratta dal sito www.leadershipmedica.com
presentata da Dott.ssa Gabriella Savoldi Cortinovis
Coordinatore Provinciale Progetti Autismo ......................................................... pag. 23
LA RICOSTRUZIONE DEL MONDO SENSORIALE NELL’AUTISMO
Dott.ssa Olga Bogdashina
Psicologa; Docente Università di Birmingham
Presidente Associazione Autismo Ucraina .......................................................... pag. 25
LO SPETTRO DEI DISTURBI AUTISTICI AD ALTO LIVELLO DI FUNZIONAMENTO:
COMORBIDITÀ, DIAGNOSI DIFFERENZIALE E VALUTAZIONE
Dott.ssa Paola Visconti
Responsabile U.O. Neuropsichiatria Infantile - Azienda Usl - Bologna ............ pag. 45
CONSAPEVOLEZZA EMOTIVA E ABILITÀ SOCIALI: ESPERIENZE CLINICHE
Dott.ssa Roberta Truzzi
Psicologa - U.O. Neuropsichiatria Infantile - Ospedale Maggiore - Bologna ..... pag. 65
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I PROBLEMI LEGATI ALLA PERCEZIONE SENSORIALE
NEI DISORDINI DELLO SPETTRO AUTISTICO
Dott.ssa Olga Bogdashina
Psicologa; Docente Università di Birmingham
Presidente Associazione Autismo Ucraina .......................................................... pag. 77
ATTI DEL PERCORSO FORMATIVO
“GENITORI ED AUTISMO”
gennaio – maggio 2006
NUOVE FRONTIERE DELL’AUTISMO
Dott. Maurizio Brighenti
Responsabile Centro Diagnosi Cura e Ricerca per l’autismo,
ULSS 20 di Verona - Primario di Neuropsichiatria Infantile
Coordinatore Dipartimento Neuropsichiatria Infantile
e Psicologia dell’Età Evolutiva .............................................................................. pag. 127
AUTISMO E LOGOPEDIA: PRINCIPI DI TERAPIA ED EDUCAZIONE
AL LINGUAGGIO E ALLA COMUNICAZIONE
Dott.ssa Sara Isoli
Logopedista presso il Centro Diagnosi, Cura e
Ricerca per l’autismo, ULSS 20 di Verona ........................................................... pag. 163
COME IMPLEMENTARE LA COMUNICAZIONE:
RIFLESSIONI TEORICHE E SPUNTI PRATICI - PRIMA PARTE
Dott.ssa Liliana Pensa
Responsabile Scientifico Spazio Autismo Seriate e Ponte San Pietro
Coordinatore Handicap per l’Istituto Comprensivo
“A. da Rosciate” di Bergamo ................................................................................ pag. 187
COME IMPLEMENTARE LA COMUNICAZIONE:
RIFLESSIONI TEORICHE E SPUNTI PRATICI - SECONDA PARTE
Dott.ssa Gina Forlani
Responsabile Scientifico Spazio Autismo Romano di Lombardia
Docente dell’Istituto Comprensivo “E. De Amicis” di Bergamo ....................... pag. 203
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COMPORTAMENTI PROBLEMA:
GESTIONE DELLA CRISI E PROGRAMMI EDUCATIVI
Dott.ssa Stefania Ucelli
Ricercatore e Docente presso la Clinica Psichiatrica dell’Università di Pavia
Responsabile Scientifico Fondazione Genitori per l’autismo
Direttore Cascina Rossago ..................................................................................... pag. 225
LA VALENZA DELL’INTERVENTO PSICOMOTORIO E MUSICALE
NELLE ATTIVITÀ DIDATTICHE E LUDICHE PER L’AUTISMO
Dott.ssa Stefania Donda
Operatrice Spazio Autismo Seriate e Spazio Famiglia
Esperta in Psicomotricità con Diploma Isef ......................................................... pag. 245
Dott.ssa Gina Forlani
Responsabile Scientifico Spazio Autismo Romano di Lombardia
Docente dell’Istituto Comprensivo “E. De Amicis” di Bergamo ........................ pag. 247
“CONTRIBUTI”
ADOLESCENTI ED ADULTI CON AUTISMO: LA SESSUALITÀ POSSIBILE
ALCUNE RIFLESSIONI
Dott. Paolo Aliata, Dott.ssa Stefania Ucelli
Già Coordinatore e Direttore di Cascina Rossago ............................................... pag. 255
AUTISMO, UN UNIVERSO ANCORA TUTTO DA SCOPRIRE
TROPPE SENSAZIONI MANDANO IN TILT
Articoli di Susanna Pesenti tratti da “L’Eco di Bergamo”
del 7 Gennaio 2007 ................................................................................................ pag. 269
PROPOSTE BIBLIOGRAFICHE ................................................................................... pag. 275
APPENDICE ............................................................................................................. pag. 307
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ATTI DEL CONVEGNO
“SENSORIALITÀ E
PERCEZIONE NELL’AUTISMO”
BERGAMO, 15 - 16 DICEMBRE 2006
Apertura dei lavori
Bianco Speranza *
Signore e signori, buongiorno.
Desidero esprimere il mio vivo compiacimento per la vostra presenza qui oggi al convegno
“Sensorialità e percezione nell’autismo”, organizzato dal Settore Politiche Sociali della Provincia di Bergamo.
Noto con piacere che molte delle persone sedute in questa sala ci seguono da tempo e che
accanto a loro ce ne sono molte altre, che provengono da province e regioni anche lontane. Questo mi induce a pensare che la scelta dei temi che verranno affrontati nel convegno odierno e nel seminario intensivo di domani risponde a bisogni formativi molto
attuali e sentiti.
Questo incontro ci offre lo spunto per una riflessione sull’impegno della Provincia nei confronti dell’autismo.
Nella cartelletta che avete ricevuto al vostro arrivo, abbiamo inserito una scheda che riassume le tappe fondamentali che abbiamo compiuto dall’inizio del Progetto Autismo nel
2001 ad oggi.
Senza dubbio, abbiamo conseguito risultati apprezzabili, che hanno richiesto un grosso
sforzo organizzativo, risorse umane adeguate e risorse economiche non indifferenti, messe
a disposizione, oltre che dalla Provincia, anche dalla Fondazione Cariplo, dalla MIA, dalla
Fondazione della Comunità Bergamasca e dalla Fondazione Istituti Educativi di Bergamo.
Fin dall’inizio abbiamo deciso di lavorare in rete con tutti i protagonisti di questo contesto:
la scuola, attraverso l’Ufficio Scolastico Provinciale; le Neuropsichiatrie Infantili delle tre
Aziende Ospedaliere locali, l’Istituto Sordomuti di Torre Boldone, che ha messo a disposizione una sede per “Spazio Famiglia” e si è fatto carico della sua realizzazione e gestione;
infine le associazioni dei genitori.
Questo modo operativo ha consentito di costruire di comune accordo, nel rispetto delle reciproche competenze, le risposte che le famiglie ed il territorio si aspettavano.
Ritornando alla nostra attività formativa, abbiamo cercato di affrontare con gradualità gli
aspetti più complessi delle persone affette da autismo o riferibili a questa sindrome, consentendo agli operatori dei centri “Spazio Autismo” e “Spazio Famiglia”, oltre al mondo
della scuola e ai genitori, di mettere a fuoco temi di forte criticità praticamente poco conosciuti e per i quali sentono il bisogno di disporre di strumenti adeguati di intervento.
* Assessore alle Politiche Sociali - Provincia di Bergamo
13
Tornando al tema odierno, è opportuno sottolineare che le abilità percettive sono basilari
in ogni aspetto della nostra vita.
Sebbene le persone con autismo vivano nella nostra stessa realtà fisica e abbiano a che fare
con gli stessi input, il loro mondo percettivo si manifesta diversamente da quello degli
altri. La loro percezione, come sentiremo oggi, li porta a conoscere la realtà in modo insolito e può manifestarsi con iper o iposensibilità, fluttuazioni fra diversi volumi percettivi e
difficoltà ad interpretare i sensi.
L’interesse per questi aspetti, non sempre adeguatamente indagati nella loro manifestazione quotidiana, ci ha spinto a porre l’attenzione sulla sensorialità e sulla percezione, temi
sui quali interverrà la dott.ssa Olga Bogdashina, autrice di alcuni recentissimi testi, purtroppo non ancora tradotti in italiano.
Domani avrà luogo il seminario intensivo di formazione dal titolo “I problemi legati alla percezione sensoriale nei disordini dello spettro autistico” con la dott.ssa Olga Bogdashina, rivolto nello specifico agli operatori ed agli insegnanti.
Mi fa piacere ribadire il notevole interesse che hanno riscosso questi due momenti formativi, ai quali avete aderito in più di seicento: insegnanti di sostegno, educatori, operatori,
psicologi e pedagogisti, ai quali si affiancano i genitori.
Per concludere, prima di dare la parola ai nostri relatori desidero ringraziare la dott.ssa
Gabriella Savoldi, coordinatore del Progetto Provinciale sull’autismo e la dott.ssa Patrizia
Pezzali, che hanno organizzato questo convegno con il supporto dello staff della segreteria del Settore Politiche Sociali della Provincia di Bergamo.
Visita della delegazione della Provincia al Centro per l’Autismo La Garriga (Spagna)
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Importanza e difficoltà della diagnosi precoce
nella prognosi dei disturbi generalizzati di sviluppo
Marco Tomaso Rho *
Ormai tutti, operatori e genitori sono consapevoli dell’importanza di porre diagnosi di Autismo il più precocemente possibile.
La precocità della diagnosi infatti:
– rende possibili trattamenti educativi precoci ed intensivi che sembrano determinare
una prognosi migliore a distanza (Dawson, Rogers, Filipeck), forse “modificando l’organizzazione e l’espressività del patrimonio biologico” (Muratori);
– permette di fornire consulenza genetica per ulteriori gravidanze, nei casi in cui è accertata la causa genetica (ad es: X fragile, Sclerotuberosi, ecc);
– riduce lo stato di malessere generale all’interno del nucleo famigliare e lo stress dei
genitori, che finalmente danno un nome ed una spiegazione ai comportamenti problematici del figlio. Il ritardo della diagnosi causa nel nucleo famigliare gravi danni
secondari, che peggiorano la prognosi del bambino. La famiglia adatta i suoi comportamenti ai comportamenti del figlio autistico; i comportamenti compensatori dei
genitori e dell’ambiente circostante a volte sono inadeguati e da molti specialisti sono
considerati la causa e non l’effetto della sindrome autistica del bambino.
Una diagnosi tardiva porta all’isolamento sociale della famiglia. È esperienza comune di questi genitori essere accusati come “educatori incapaci” per i comportamenti disadattivi del figlio. Questo nel tempo porta a difficoltà e timore di confrontarsi con genitori di bambini “sani”,
che vengono concepiti come “fortunati”, distanti, con altre problematiche. Gradatamente si
instaura una sorta di muro tra loro e gli altri con difficoltà a chiedere aiuto: “Chi può capire
mio figlio?”, “Come fare a lasciarlo ad estranei?”. Con l’andare del tempo si sentono isolati,
soli: “Nessuno in fondo ci può capire…” e come conseguenza si riducono anche le possibilità di crearsi amici del figlio.
Ciò vale per tutti i soggetti dello spettro autistico, anche per i soggetti ad alto funzionamento
o per i soggetti Asperger. Se l’isolamento sociale della famiglia e del bambino risulta essere un
fattore prognostico negativo (ostacolo all’evoluzione della disabilità), invece risulta importante
per migliorare la prognosi a distanza dei bambini autistici creare una “rete sociale”.
* Responsabile U.O. Neuropsichiatria Infantile - Azienda Ospedaliera Bolognini - Seriate
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L’accordo tra più agenzie che seguono il bambino (famiglia, scuola, servizi sociali, centri
Autismo, oratori, servizi specialistici di NPI, etc.) permette di:
• semplificare l’ambiente per renderlo più riconoscibile (riduzione degli stress)
→ aumentando così le capacita sociali del soggetto
• sviluppare una relazione con i coetanei
→ migliora non solo la comunicazione, ma le capacità di ideazione
• sviluppo di una comunicazione più adeguata
→ aumenta la qualità comunicativa
Per quanto tutti siano d’accordo sulla precocità della diagnosi, non è così semplice farla,
almeno all’inizio. (Le diagnosi a posteriori sono sempre più facili).
“….Non esiste un singolo patognomonico deficit di sviluppo o comportamento che sia caratteristico di tutti i bambini con autismo; tuttavia la maggior parte dei bambini presenta
un certo grado di compromissione nell’attenzione congiunta e nel gioco simbolico”. American Academy of Pediatrics: “Technical Report. The Pediatrician’s role in the diagnosis
and management of Autistic spectrum Disorder in Children” Pediatrics vol. 107, 2005.
Per fare una diagnosi di Autismo noi dobbiamo riscontrare ritardi o funzionamento anomalo
in almeno una delle seguenti aree, con esordio prima dei 3 anni di età:
• interazione sociale,
• linguaggio usato nella comunicazione sociale,
• gioco simbolico o di immaginazione.
Alcuni sintomi compaiono già nei primi mesi di vita:
1) Carenza nell’attenzione congiunta; questa si manifesta nei seguenti modi:
– difficoltà di contatto con lo sguardo (segue più gli oggetti che il volto della madre
e non segue quando la madre guarda un oggetto);
– difficoltà di interazione sociale (non manifesta gesti anticipatori: voltarsi quando
arrivano i genitori, sorridere, allungare le mani, mancanza di piacere alla presenza dei genitori);
– difficoltà di indicare/mostrare.
2) Alterata reazione alla voce o al nome (in un primo tempo sembrano sordi, spesso i
genitori consultano uno specialista in otorinolaringoiatria in prima istanza, poi si
rendono conto che sono in grado di sentire rumori anche minimi).
3) Scarso utilizzo della voce o modalità particolari di sviluppo del linguaggio che compare in epoca, ma che si limita alla ripetizione di pubblicità, filastrocche, senza finalità comunicative.
4) Disinteresse per l’ambiente e scarso o inadeguato utilizzo dei giochi (alcuni bambini
non esplorano l’ambiente, come se non “vedessero” quello che sta loro intorno,
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anche quando girano e/o corrono in giro per le stanze. Del gioco spesso interessa
una particolarità sensoriale: le ruote, una superficie dalla consistenza strana etc.).
5) Movimenti autoconsolatori anche in situazioni di interazione (dondolii, sfarfalleggiamenti delle mani etc.).
6) Alterazioni del ritmo del sonno.
7) Particolarità nell’alimentazione (molti bambini masticano alcuni cibi e non altri, alcuni selezionano solo pochi cibi scartando gli altri etc.).
Non tutti questi i sintomi sono presenti contemporaneamente. È difficile trovare un bambino che non abbia almeno in una fase del suo sviluppo qualcuno di questi segni, che sono
causati da disagi o da nodi di sviluppo che tutti i bambini possono incontrare. Per supporre
diagnosi di autismo devono essere presenti più sintomi contemporaneamente e per un
certo periodo di tempo. Questi sintomi causano nel genitore differente preoccupazione al
momento dell’apparire e non sempre sono riferiti al pediatra al momento della comparsa
o nella loro esatta modalità di espressione. Molti genitori enfatizzano i sintomi, altri tendono a minimizzarli.
Il pediatra stesso non sempre ha la possibilità di constatare di persona i sintomi del bambino e, se non insospettito, tende a sottovalutare i sintomi riportati dai genitori allo scopo
di tranquillizzarli.
Nelle linee guida SINPIA sull’autismo riguardo alla diagnosi precoce si auspica uno screening precoce da parte del pediatra di base.
Nell’ambito dei periodici bilanci di salute, all’età di 18 mesi e all’età di 24 mesi dovrebbe
essere somministrato un test screening standardizzato per lo sviluppo comunicativo-sociale.
Viene consigliato l’uso della Checklist for Autism in Toddlers (CHAT) (Baron-Cohen
et al., 1992).
Test screening elaborato in Gran Bretagna ed utilizzato in diversi Paesi. Prevede 9
domande da rivolgere ai genitori e l’osservazione diretta di 5 comportamenti. I 14 item
misurano vari aspetti dell’imitazione, del gioco di finzione e dell’attenzione condivisa.
La CHAT, è stata utilizzata su oltre 16.000 bambini ed ha mostrato un’alta specificità ed
un’elevata predittività (i bambini individuati sono quasi certamente affetti da Autismo),
ma una bassa sensibilità (Baird et al., 2000).
Utilizzando le risposte ad alcuni item-chiave, si può esprimere un orientamento per:
• “Alto Rischio” di autismo (caduta in tutti gli item-chiave)
• “Lieve Rischio” di autismo (caduta in definiti item-chiave)
• Rischio per altri problemi di sviluppo (caduta in diversi item, ma non in
quelli previsti per un rischio di autismo)
• Nessun Rischio
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A differenza della specificità e della predittività la sensibilità di questo strumento è insoddisfacente: ciò significa che bambini che all’età di 18 mesi sembrano presentare uno
sviluppo “normale” possono poi mettere in evidenza, in epoche successive, comportamenti
riferibili ad un Disturbo dello spettro Autistico.
CHAT (prima somministrazione) e Diagnosi 6 anni dopo
Totale del campione (16.235)
Gruppo ad alto rischio (38)
Gruppo a medio rischio (369)
Non rischio (15.828)
Autismo (10)
Autismo (9)
Autismo (31)
DPS (1)
DPS (13)
DPS (30)
Altre Diagnosi (7)
Altre Diagnosi (37)
Clinicamente Normali (20)
Clinicamente Normali (310)
CHAT (seconda somministrazione) e Diagnosi 6 anni dopo
Totale del campione (16.235)
Gruppo ad alto rischio (12)
Gruppo a medio rischio (22)
Non rischio (15.828)
Autismo (9)
Autismo (1)
Autismo (40)
DPS (1)
DPS (9)
DPS (34)
Altre Diagnosi (1)
Altre Diagnosi (10)
Clinicamente Normali (1)
Clinicamente Normali (2)
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Un altro test screening molto utilizzato è la Modified - Checklist for Autism in Toddlers (MCHAT) (Robins et al., 2001). Si tratta, in pratica, della versione americana della CHAT, la
quale prevede una lista di 23 comportamenti a cui i genitori rispondono con un SI/NO.
Possono essere aggiunte 5 domande a cui il valutatore risponde dopo la visita. Va somministrata a 24 mesi e, a tale età, ha dimostrato una buona validità. Ma gli stessi autori sottolineano come il risultato sia stato facilitato dalla presenza nel loro campione del 43% di
soggetti affetti da autismo (Wong et al., 2004).
Una delle fonti più utili per fare diagnosi di Autismo sono le osservazioni della famiglia, sia
attraverso dei questionari semistrutturati (ADI-R), che attraverso materiale documentario
sull’evoluzione del bambino raccolte nei primi anni di vita.
Studi di filmati familiari di bambini che successivamente hanno ricevuto una diagnosi di
autismo hanno confermato l’attendibilità delle descrizioni dei genitori (Baranek, 1999;
Brown et al., 1998; Osterling et al., 1998). In particolare, tali studi hanno evidenziato che:
– Alcuni bambini presentano, fin dai primi mesi di vita, deficit delle competenze interattive e comunicative (forma ad espressività crescente).
– Alcuni bambini evidenziano un apparente sviluppo normale sul versante comunicativo ed interattivo, ma nel secondo anno di vita presentano una perdita di tali competenze (autismo con regressione).
– Alcuni bambini presentano un ritardo nelle competenze interattive e comunicative
fin dai primi mesi di vita, seguito tuttavia nel secondo anno di vita da un arresto
dello sviluppo e da una perdita delle poche competenze acquisite.
Ma come si arriva ad una diagnosi ed in particolare ad una diagnosi di Autismo?
La diagnosi è la sintesi della storia (anamnesi) del paziente, delle osservazioni cliniche (con
eventuali test cognitivi, proiettivi, comportamentali), dei risultati degli esami strumentali,
in cui tutte le evidenze da noi viste trovano un’unica giustificazione coerente per il medico
e/o psicologo.
Chiaramente questa “giustificazione coerente” si basa su una precedente formazione professionale, su una precedente casistica analizzata, su riferimenti culturali e scientifici precisi.
Questo comporta un diverso modo di diagnosticare una “malattia”, che si pensa causata
da cause non sempre coincidenti.
Problema presente in tutte le diagnosi di tutte le discipline mediche.
A volte ci si trova di fronte ad un aumento dei casi diagnosticati di una malattia e si pensa
che si possa essere di fronte ad un’epidemia che ci riporta indietro alle storiche epidemie
del passato (peste, colera ecc), ma è sempre così in tutti i casi, ad esempio nell’“Epidemia
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della “malattia del sonno” nel nord Uganda nei primi anni ’60?”; nell’ “Epidemia di AIDS
in Italia negli anni ’80?”; nell’ “Epidemia di Autismo negli ultimi anni?”
Non sempre: si aggiorna la capacità diagnostica e si dà un nome a quello che prima non si
riconosceva, ma era già presente.
Ma perché è difficile fare diagnosi di disturbo pervasivo dello sviluppo (dello spettro autistico)?
Alcune ipotesi, analizzando i diversi attori della diagnosi, possono suggerire:
1) I genitori
Il timore della conferma di una diagnosi sospetta fa:
• Enfatizzare i sintomi del bambino, per essere certi che allo specialista non sfugga
qualche cosa, questo può condurre a falsi positivi.
• Minimizzare i sintomi, nella speranza di una “normalizzazione” futura e se lo specialista non ha possibilità di riscontrare i sintomi nel momento della visita può sottovalure il problema.
2) Il bambino
– Non tutti i bambini si comportano in modo uniforme in tutti i luoghi, in ogni momento della giornata e con i diversi adulti presenti.
– Non tutti i sintomi si manifestano in modo costante nell’evoluzione del bambino e
difficilmente si presentano contemporaneamente.
– Le manifestazioni del bambino assumono significati diversi a seconda dell’età.
3) L’esaminatore
• Diversi obiettivi dell’osservazione.
• Modelli differenti di interpretazione.
• Differenti opinioni su quando sia corretto informare i genitori della diagnosi.
• Permanenza di alcuni “miti” sull’autismo.
Anche l’apparente accordo sul così detto “autismo di Kanner” nasconde numerose diversità.
Per unificare i comportamenti dei diversi servizi la Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SINPIA) ha concordato delle linee guida su come affrontare
il problema dell’Autismo.
Ci sono metodiche ormai standardizzate che si basano su:
• interviste semistrutturate per genitori: ADI-R
• scale di osservazione dei comportamenti del bambino CARS
• ADOS
• osservazioni del comportamento del bambino in diversi contesti
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Il lavoro svolto dalle diverse associazioni di genitori e la comparsa in commercio, anche in
Italia, di libri riportanti esperienze di vita di genitori e soggetti autistici hanno modificato
la valutazione e l’approccio sull’autismo. Questa situazione ha fatto sì che:
• Negli anni l’età media delle diagnosi dei bambini affetti da autismo è andata diminuendo.
• La maggior parte delle richieste di consultazione giungono spontaneamente dai genitori e spesso prima dell’ingresso alla scuola materna.
• In molti casi ci si rende conto che i comportamenti del ragazzo rientrano nello spettro autistico, soprattutto nei soggetti Asperger.
La diagnosi non è sempre facile, molte sono le condizioni da tenere in mente, questo può
essere superato se tutti gli adulti che vivono attorno al bambino comunicano tra loro, questo permette di completare le osservazioni sul bambino in un insieme coerente e significativo.
Solo una collaborazione tra diverse professionalità può aiutare a risolvere il problema!
21
Convivere con l’autismo:
testimonianze dalla vita di Temple Grandin
Intervista tratta dal sito www.leadershipmedica.com presentata da
Gabriella Savoldi Cortinovis *
Quali sono i problemi e le difficoltà che incontrano le persone affette da autismo
nella loro vita quotidiana?
Per esempio, uno dei principali problemi nell’autismo è dato dai problemi sensoriali. I
problemi sensoriali sono: pelle ipersensibile e problemi tattili, uditivi e visivi. Questi problemi variano molto da bambino a bambino.
Ci racconta la sua esperienza a riguardo?
Per esempio, il lavarmi i capelli e vestirmi per andare a messa erano due cose che da bambina non sopportavo. Molti bambini odiano indossare i vestiti della domenica e fare il
bagno. Tuttavia a me fare lo shampoo provocava vero e proprio dolore al cuoio capelluto.
Era come se le dita che mi frizionavano la testa avessero dei ditali sulla punta. Le sottovesti ruvide erano come carta vetrata che mi graffiavano direttamente le terminazioni
nervose.
Infatti, non sopportavo assolutamente il dovermi cambiare i vestiti.
Una volta abituata ai pantaloni non sopportavo più la sensazione delle gambe nude
quando portavo la gonna. Dopo essermi abituata ad indossare pantaloncini corti in estate,
non sopportavo più i pantaloni lunghi.
Sono dunque diversi i tempi di adattamento?
Sì: la maggior parte delle persone si adatta nel giro di alcuni minuti, ma io impiego ancora almeno due settimane ad adattarmi. Porto un reggiseno fino a quando è completamento usurato ed un reggiseno nuovo deve essere lavato almeno 10 volte prima di
sentirmelo comodo addosso. Ancora oggi, preferisco indossarlo alla rovescia, perché le
cuciture mi sembrano spesso delle punte di spillo che mi pungono la pelle. I genitori
possono evitare molti capricci indotti da problemi sensoriali vestendo i bambini con abiti
morbidi che coprano la maggior parte del corpo.
* Coordinatore Provinciale Progetti Autismo
23
Anche l’udito le procurava problemi?
Sempre quando ero piccola, i rumori forti costituivano anch’essi un problema e sembravano
spesso come il trapano di un dentista a contatto con il nervo. Causavano dolore fisico. Ero
terrorizzata dai palloncini che scoppiavano, perché il loro suono era per me come un’esplosione nelle orecchie. Suoni lievi che molte persone riescono ad ignorare tranquillamente
costituivano per me motivo di distrazione. Quando frequentavo il college, l’asciugacapelli
della mia compagna di camera sembrava un jet a reazione in fase di decollo. Alcuni dei
suoni che disturbano maggiormente i bambini autistici sono i suoni acuti e striduli prodotti
da trapani elettrici, frullatori, seghe ed aspirapolvere. L’eco che si produce nelle palestre e
nei bagni delle scuole è difficile da tollerare per gli autistici. I tipi di suono che disturbano
di più variano da persona a persona. Un suono che mi produceva dolore fisico poteva risultare piacevole ad un altro bambino. Ad un bambino autistico possono piacere gli aspirapolvere e un altro può averne paura. Alcuni sono attratti dallo scarico o dallo sciacquio
dell’acqua e passano ore a tirare lo sciacquone, mentre altri possono farsela addosso dalla
paura perché il rumore dello scarico sembra il rombo delle Cascate del Niagara.
E per le percezioni visive degli autistici che cosa ci può raccontare dalla sua esperienza?
Per esempio, l’illuminazione a fluorescenza dà grossi problemi a molti autistici, perché
possono vedere uno sfarfallio a sessanta cicli. L’elettricità ad uso domestico si accende
e si spegne sessanta volte al secondo ed alcuni autistici percepiscono visivamente questo fenomeno. I problemi causati dallo sfarfallio possono variare da stanchezza visiva
fino alla visione della stanza che pulsa di luce che si accende e si spegne. La percezione
di immagini visive distorte potrebbe spiegare perché alcuni bambini autistici prediligono
la visione periferica. Probabilmente ricevono informazioni più attendibili se osservano le
cose con la coda dell’occhio. Una persona affetta da autismo ha dichiarato di vedere meglio lateralmente e che quando guardava le cose direttamente non le vedeva. I problemi
sensoriali legati all’autismo sono spesso trascurati dai ricercatori e dagli educatori perché ritengono che il miglioramento prioritario da conseguire nell’autismo consista negli
aspetti sociali ed emozionali.
Certo i problemi sociali ed emozionali sono gravi nell’autismo, non crede?
Da piccola, mi riusciva impossibile raccogliere i suggerimenti riguardanti la vita sociale.
Quando i miei genitori cominciarono a pensare al divorzio, mia sorella avvertiva la tensione; ma io non avvertivo nulla perché i segnali erano impercettibili. I miei genitori non
hanno mai avuto grossi litigi davanti a noi. I segnali di conflitto emozionale erano stressanti per mia sorella, ma io non me ne avvedevo neppure. Poiché i miei genitori non dimostravano rabbia reciproca in modo evidente e aperto, io non avvertivo la tensione.
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La ricostruzione del mondo sensoriale nell’autismo
Olga Bogdashina *
15 dicembre 2006
È un piacere per me trovarmi qui per la prima volta oggi in un Paese che, devo ammettere,
di non conoscere molto bene.
Ciò che mi appare immediatamente evidente è la differenza del tempo meteorologico, che
differisce molto da quello dell’Inghilterra.
Oggi ho trovato un tempo stupendo e voi siete veramente fortunati. Quando ho lasciato
Manchester, alle quattro di questa mattina, stava piovendo.
Per iniziare, parlerò un po’ di me, perché credo sia importante.
Diciotto anni fa ero a capo del Dipartimento di Linguistica di un’Università dell’Unione Sovietica; ero lettrice di linguistica e non avevo mai sentito parlare di autismo. Poi è nato mio
figlio, al quale venne fatta una diagnosi di autismo che lo definiva senza speranze. È proprio da questo momento che ho iniziato la mia ricerca, scoprendo che mio figlio aveva un
profilo a basso funzionamento. Egli non ha parlato fino all’età di sette anni; mai una parola,
faceva soltanto dei versi.
Mi ricordo di aver pregato tutte le notti: “Per favore inizia a parlare; ti prego; poi ti racconterò tutto su questo mondo”. Adesso ha 18 anni, è un ragazzo molto alto che parla correttamente russo e inglese. Certo è autistico, è ancora autistico. Ora mi capita di dirgli:
“Stai un po’ zitto” perché parla continuamente, non smette mai di parlare. A volte è veramente difficile rispondere a tutte le sue domande.
La ricerca che ho portato avanti in questi anni ha aiutato me, ha aiutato mio figlio e centinaia di bambini con i quali ho lavorato. Proprio per questo, credo sia una ricerca importante in questo settore.
Quando parliamo di autismo pensiamo alla triade delle menomazioni più evidenti: la menomazione nell’interazione sociale, quella nella comunicazione, quella nell’immaginazione. È giusto, certo, e necessario fare una diagnosi di autismo e riconoscerlo, però non
dobbiamo mai dimenticare che, una volta individuata l’esistenza di questa triade, nessuno
ci dice il motivo per cui questi pazienti hanno menomazioni nell’interazione sociale, nella
comunicazione e nell’immaginazione.
* Psicologa; Docente all’Università di Birmingham; Presidente Associazione Autismo Ucraina
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La diagnosi di autismo è basata sui seguenti comportamenti
– Deterioramento nell’interazione sociale
– Deterioramento nella comunicazione
– Deterioramento nell’immaginazione
Questo è il motivo per cui preferisco, personalmente, la teoria dell’autismo chiamata
“iceberg”, che considera la triade per ciò che essa è: soltanto quello che si vede al di
fuori della superficie dell’acqua, sotto la quale esiste un altro mondo sconosciuto.
L’iceberg dell’autismo
La triade dei deterioramenti
I SISTEMI DI PENSIERO
LE ABILITÀ
LE PERCEZIONI
I SENSI ...
Ci sono cose che non conosciamo assolutamente. Questo è il motivo per cui nell’ultima
linea ho messo dei punti di sospensione. Noi non sappiamo le cause dell’autismo, ma quello
che adesso ci è noto è che le persone con autismo hanno delle differenze nella percezione
sensoriale e i loro sensi funzionano diversamente dai nostri.
Questo è il motivo per cui anche le loro percezioni sono diverse, li portano a sviluppare
capacità completamente diverse e a pensare in maniera diversa.
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I problemi della percezione sensoriale nell’autismo ora sono
riconosciuti, ma sfortunatamente sono spesso troppo semplificati
Quando parliamo di problemi sensoriali, la prima cosa che si immagina è un bambino seduto, che si copre le orecchie per non sentire e che si culla avanti e indietro.
Questo è il motivo per cui questi problemi sono spesso descritti come ipersensibilità agli
odori, ai suoni, ai profumi, ma se identifichiamo tutte le ipersensibilità di ogni singolo bambino e strutturiamo l’ambiente circostante alle sue necessità, questo significa che abbiamo
risolto il problema?
Ipersensibilità
Se individuiamo le ipersensibilità di ciascun individuo
e adattiamo l’ambiente ai suoi bisogni,
significa che tutti i suoi problemi saranno risolti?
Olga Bogdashina durante il convegno
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Assolutamente no.
Per esempio mio figlio è decisamente ipersensibile soprattutto dal punto di vista visivo; non
tollera la luce forte. Se andiamo insieme a fare le spese in uno degli enormi centri commerciali che ci sono in Inghilterra, se potessi entrare prima e chiedere di spegnere tutte le
luci, pensate che risolverei il suo problema? No, assolutamente no.
Le ipersensibilità sono conseguenze di altri problemi sensoriali, che caratterizzano l’autismo e proprio di questo io parlerò.
Un altro aspetto critico è che per noi è difficile immaginare di percepire un mondo diverso
dal loro; anche se non sono ciechi, né sordi. Quindi, se noi non possiamo immaginare
come sia il loro mondo, come potranno essi comprendere il nostro, se non sono consapevoli di percepirlo in modo diverso rispetto al 99% della popolazione?
Il problema per molte persone con autismo è che non si rendono conto del
fatto che lo sviluppo della loro percezione sensoriale è diverso.
Un pensiero tipico che potrebbero avere è il seguente:
“C’è qualcosa che non funziona in me. Non riesco a fare le cose nella maniera giusta e tutti sono adirati con me. Non importa quanto io ci provi con
tutte le mie forze, qualcosa va sempre storto. Gli altri riescono a fare cose che
io non riesco. Deve essere colpa mia se ho tanti problemi”. (Spicer)
Quindi, per capire cosa essi provano, immaginiamo di essere daltonici e di trovarci in una
classe insieme ad altri alunni. Vi viene dato un foglio di carta con delle istruzioni scritte in
rosso su sfondo verde, colori che non riuscite proprio a distinguere. Quindi tutti gli altri
studenti sanno che cosa devono fare perché riescono a leggere il testo, mentre a voi il
pezzo di carta appare grigio e senza alcuna indicazione.
Le istruzioni sono stampate in rosso su sfondo verde, ma tu sei daltonico
e non puoi distinguere tra il rosso e il verde.
Sapresti che cosa fare?
Questo è soltanto un esempio perché voi riusciate ad avere un’idea di quello che le persone con autismo possono provare.
Donna Williams ha detto:
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“Quando qualcuno mi cominciava a spiegare come altre persone giudicavano il mio comportamento, comprendevo che ogni comportamento ha
due definizioni: quella degli altri e la mia. Queste persone “utili” cercavano di aiutarmi a “superare la mia ignoranza, ma non provavano mai a
comprendere come io vedevo il mondo”.
Dico questo perché voi cerchiate di capire i diversi stili percettivi.
Tutti abbiamo sette sensi: la vista, l’udito, il tatto, l’olfatto, il gusto, il sistema vestibolare,
la propriocezione o consapevolezza del proprio corpo. Questo ultimo senso che ho citato
è estremamente importante, perché molte persone autistiche hanno proprio problemi con
la propriocezione, che non riguarda un problema di movimenti del corpo, ma di ricettori
interni.
I sensi
vista - udito - tatto - olfatto - gusto
consapevolezza di sé - sistema vestibolare
Alcuni bambini autistici non sentono la sensazione della fame. Il loro corpo non trasmette
mai il messaggio “è ora di mangiare”, ed essi vanno avanti per ore e per giorni senza mai
mangiare. Altri bambini possono avere il problema opposto: il corpo non dice loro quando
devono smettere di mangiare. Quindi, continuano a mangiare, a mangiare e a mangiare
senza mai sentirsi sazi. In altri bambini il corpo non è in grado di trasmettere lo stimolo
di andare in bagno, anche se sono ad alto funzionamento. Per esempio Donna Williams
mi disse, tra le altre cose, che aveva proprio questo problema: “Io non lo so, non lo so,
non ho mai lo stimolo di andare in bagno”, per questo aveva una tabella appesa al muro
con l’indicazione degli orari in cui doveva recarsi in bagno.
Continuiamo con altre riflessioni sulla percezione.
Che cos’è la percezione?
La percezione
Stimolo
→
Sensazione
→
Interpretazione
→
Comprensione
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La percezione è un processo attraverso il quale il nostro organismo ottiene le informazioni
dai sensi, le interpreta e le comprende. Ci sono varie fasi della percezione. Per esempio,
io metto la mia mano su questa superficie e ho una sensazione. La prima fase della percezione è una sensazione, io sento, non so ancora di che cosa si tratti, ma la sento.
Dal punto di vista visivo quando vedo qualcosa, ma non so ancora che cosa è, questa è una
sensazione. Molte persone con autismo rimangono in questa fase molto più a lungo di noi
quando vedono o sentono, ma non riescono a interpretare l’informazione e non sanno,
quindi, di cosa si tratta.
Il mondo reale e la nostra immagine di questo mondo sono diverse, non collimano e la nostra interpretazione del mondo è basata sulla nostra memoria personale e sulla nostra esperienza. Diverse esperienze sensoriali creano, di conseguenza, diversi mondi percettivi.
– Il mondo reale e la nostra immagine mentale del mondo differiscono
– La nostra interpretazione del mondo è basata sulla nostra memoria
e sull’esperienza
– Differenti esperienze sensoriali creano diversi mondi percettivi
In questo modo dobbiamo ricostruire il loro mondo percettivo, altrimenti ci muoviamo in
due mondi paralleli.
Ci sono due modi per conoscere il mondo
– il modo di chi non è autistico
– il modo autistico
Mi piace molto questa citazione di Jasmine O’Neill, una persona autistica considerata a
basso funzionamento, che non riusciva a parlare e non riusciva a muoversi adeguatamente.
“È fondamentale comprendere che la funzione sensoriale di ogni individuo con autismo è una chiave cruciale per la comprensione di quella
persona”.
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Ci sono migliaia di altre persone autistiche che dicono la stessa cosa, perciò è importante
capire come esse percepiscono il mondo.
Questa difficoltà non riguarda solo gli individui non verbali a basso funzionamento, ma
anche quelle verbali.
Per portare un altro esempio, riferisco di seguito una frase di Wendy Lawson, che credo
tutti conosciate, affetta da sindrome di Asperger ad alto funzionamento.
“Ciò di cui mi rendo conto è che io non vedo il mondo come lo vedono gli
altri. La maggior parte delle persone assume le routines della vita e le connessioni giorno per giorno come ovvie. Per me queste cose sono spesso dolorosamente travolgenti, inesistenti o semplicemente fonte di confusione” .
Quindi, direi che è ora di iniziare a sperimentare il mondo alla maniera degli autistici, cercare di immaginare com’è la vita per loro, come la sentono, come la percepiscono.
I problemi o le differenze iniziano già a livello della sensazione. Non si tratta di ipersensibilità, ma di qualcosa di diverso.
La conoscenza del mondo in modo autistico
Stimolo
→
Sensazione
→
Interpretazione
→
Comprensione
Vorrei parlare di Percezione Gestalt e darvene una definizione.
La percezione Gestalt è l’incapacità di distinguere fra informazioni in primo
piano e sullo sfondo.
“Era come avere un cervello senza filtro…”. (Donna Williams)
Un esempio di Gestalt visiva: allo stato della sensazione, queste persone percepiscono tutti
gli stimoli visivi simultaneamente, non li elaborano, non li capiscono, ma li percepiscono
tutti nello stesso tempo. Questo è il motivo per cui gli autistici possono vedere un buco nel
muro, qualcosa di insolito sul pavimento, perché tutti gli stimoli visivi arrivano alla loro retina simultaneamente.
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Abbiamo la percezione dell’intera scena come singola entità con tutti i dettagli percepiti (ma non elaborati!) contemporaneamente
Esempio di Gestalt uditiva. Noi adesso ci concentriamo sulla voce dell’interprete o sulla
mia voce. Per una persona autistica con Gestalt uditiva, tutti i suoni saranno uguali; questa persona sentirà la mia voce, la voce dell’interprete, il rumore di una macchina, qualcuno che tossisce. Qualsiasi suono arriva al suo sistema uditivo simultaneamente,
impedendo il riconoscimento dei suoni irrilevanti da quelli rilevanti.
Anche Temple Grandin, la persona con autismo forse più famosa al mondo, quando l’ho
incontrata mi ha raccontato che non riusciva a capire nulla se più di una persona parlava
nello stesso tempo. Tutti quei suoni la portavano ad un sovraccarico sensoriale. Come ha
detto Donna Williams, era come se avesse un cervello senza filtro, senza maglie, dove
tutto riusciva ad entrare nello stesso tempo. Quindi aveva una percezione dell’intera scena
come un’entità singola, con tutti i dettagli, anche quelli minimi, che noi non percepiamo,
che vengono percepiti, ma non elaborati simultaneamente.
Questo è un disegno fatto da un artista autistico inglese molto famoso che disegna strutture architettoniche di Londra nei minimi dettagli. È un esempio molto chiaro di Gestalt
visiva.
Noi vediamo rappresentati moltissimi edifici di Londra, mentre l’autore ha la percezione
di una singola entità. Egli aveva gravi lacune in matematica, che gli impedivano di contare,
ma se uno di questi edifici aveva 175 finestre, per esempio, egli lo avrebbe disegnato con
175 finestre. Non le contava, non doveva contarle, era semplicemente una Gestalt visiva
singola. Ci sono due differenze direi principali: la prima, è che le persone come lui non sono
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sopraffatte da queste informazioni, le assorbono e le memorizzano nel cervello, mentre
per un autistico a basso funzionamento troppe informazioni non riescono a venir elaborate
e, quindi, sopraffanno il paziente. Un’altra differenza è che persone come lui riescono a riprodurre questo tipo di informazione, mentre una persona autistica a basso funzionamento
non è assolutamente in grado di farlo.
Questo dà una perfetta idea della Gestalt visiva.
Riuscite a vedere le differenze tra queste due fotografie della stessa stanza? Esse sono state
scattate a meno di un minuto l’una dall’altra. Per me non c’è nessuna differenza, non sono
mai riuscita a individuare che differenza c’era. Adesso dovrebbe partire un video: si tratta
della stessa stanza dove c’è un ragazzo che in due secondi ha fatto un’azione. Avete visto
che una delle due maniglie del cassettone era rivolta verso l’alto, mentre l’altra verso il
basso? Io non ci ho mai fatto caso, anche se è casa mia; ma quando mio figlio scende dalla
camera per fare colazione, le allinea. Ogni giorno mi capita di vedere qualcosa di diverso,
magari una moneta sotto il tavolo o un quadro spostato appeso al muro. Per me non è un
problema, ma quando lui arriva rimette tutto a posto perché la sua Gestalt visiva è diversa
dalla mia. Ogni piccola differenza lo fa sentire a disagio.
Adesso ha 18 anni ed è contento se riesce a rimettere ordine; fino a tre anni fa entrava in
crisi ed aveva eccessi di collera, che mi sembravano assolutamente immotivati perché non
ero in grado di comprendere ciò che lo disturbava; poteva essere una seggiola leggermente
spostata o qualche altra cosa per me priva di significato.
Se c’è un minimo cambiamento nell’ambiente o nel contesto, la Gestalt visiva è completamente diversa e crea problemi di gestione.
Ogni situazione è unica, ogni piccolo cambiamento modifica l’intera situazione.
– Ogni situazione è unica
– Ogni cambiamento distrugge la percezione dell’insieme e crea confu
sione e timore
– Ciascuno crea le proprie connessioni che determinano nuove organiz
zazioni percettive
– Il comportamento secondo la teoria della Gestalt – rituali e routines
C’è un paradosso nell’autismo: queste persone riescono a gestire meglio i grandi cambiamenti rispetto a quelli piccoli.
Per esempio, io posso portare mio figlio in vacanza all’estero, direi quasi la maggior parte
delle volte senza problemi, ma se cerco di cambiare qualcosa all’interno della sua stanza
a casa, Dio mi aiuti! La spiegazione di questo fenomeno è semplice: quando ci rechiamo
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in un posto per lui sconosciuto, sperimenterà una Gestalt nuova, che lui ricorderà, ma se
cambio qualcosa nella sua stanza, di cui ha una Gestalt familiare e consolidata, non si sente
più sicuro ed entra in panico.
Quindi, qualsiasi cambiamento distrugge la Gestalt e porta confusione e paura.
Vi voglio fare un altro esempio.
Tito, un bambino indiano con un quoziente intellettivo altissimo di 150, veramente elevato, ha un autismo molto grave: non è verbale ed ha comportamenti molto stereotipati.
La sua mamma gli ha insegnato a scrivere ed egli è diventato un autore di testi molto interessanti, nei quali parla di sé e della sua infanzia. Un giorno, racconta, si trovava seduto
sull’erba del suo giardino, quando improvvisamente sentì la voce di un vicino, che lui conosceva bene. Qual’è era il problema? Di solito il vicino parlava con la sua mamma dal recinto della casa accanto, mentre in quell’occasione le parlò entrando direttamente nel loro
giardino. Tito sentì la sua voce da una distanza diversa ed entrò nel panico, iniziando ad
urlare. Ovviamente sua madre non riusciva a comprendere la ragione di tanti urli, chi mai
avrebbe potuto capirla? Le persone con autismo creano connessioni singolari per comprendere il mondo con conseguenti Gestalt.
Dopo quell’episodio del giardino e dell’erba, Tito iniziò a mettere in collegamento l’erba
con il grandissimo disagio provato in quell’occasione che ho appena citato e si rifiutò per
anni di camminare sull’erba. Per lui c’era una connessione tra erba e dolore. I suoi genitori come avrebbero potuto comprendere una cosa del genere se lui non parlava? Adesso
lo sappiamo perché l’ha scritto nei suoi libri.
Le Gestalt determinano comportamenti rituali e routine: c’è un ordine preciso nel fare
le cose.
Ho conosciuto un bambino che, prima di andare a letto, doveva camminare due volte
intorno alla sedia di suo padre, poi doveva toccare il muro che stava dietro alla sedia,
quindi picchiettare le nocche sul tavolo, non mi ricordo quante volte, ma lui lo sapeva
bene, e, solamente dopo aver fatto tutte queste cose, poteva andare a letto.
Se per caso veniva interrotto in questo rituale, iniziava tutto dell’inizio perché, mentre
per noi queste sono azioni diverse, per lui camminare, toccare, picchiettare, ecc. facevano parte di un unico comportamento Gestalt, che doveva essere completato sempre
nella stessa sequenza, altrimenti il bambino non era in grado di sapere che cosa avrebbe
dovuto fare in seguito.
Quindi, anche se voi avete fretta, non interrompete mai un comportamento di questo
genere.
Desidero darvi un altro consiglio che, vi assicuro, funziona: gli autistici amano portare
qualcosa in mano, magari un gioco, un pezzo di nastro, un bicchiere, qualsiasi cosa, perché li aiuta, è un oggetto transizionale, qualcosa di familiare, un oggetto che dà sicurezza.
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Fate in modo che abbiano con sé un “oggetto sicuro” (un giocattolo, un
pezzo di corda, ecc.) quando vanno in luoghi sconosciuti o si trovano in situazioni non familiari
Queste foto rappresentano mio figlio e sono state scattate a distanza di 5 anni. Vedete
che ha in mano sempre lo stesso gioco, che lo fa sentire sicuro. Quando andiamo da
qualche parte, per esempio all’estero, egli lo tiene con sé perché è perfettamente consapevole della sua importanza. Prima di partire mi segue per casa e mi chiede se l’ho
messo in valigia. Ovviamente io stessa non voglio certo dimenticarlo a casa, perché altrimenti non dormirei di notte in albergo. Quando ha il suo gioco in mano, non entra in
panico e io riesco a dormire.
A questo punto, può sorgere una domanda molto importante: l’età del bambino è adeguata all’oggetto? No. Ma ha importanza? No. Funziona? Bene! Non crea imbarazzo
perché egli non lo usa in pubblico: per lui è importante, vuole averlo con sé nella sua
stanza, gli dà sicurezza, quindi per me va benissimo.
Sempre a questo proposito desidero portare un altro esempio.
Una mia assistente di 36 anni, all’Università di Birmingham, che è autistica ad alto funzionamento, tiene in tasca un giochino piccolissimo e mi dice: “Eh! Quando entro in panico mi metto una mano in tasca, stringo il mio giochino e mi sento meglio”. Pensate
che l’età sia adeguata? No? Ma non importa, va bene lo stesso.
Le percezioni Gestalt portano ad esperienze diverse, strategie compensatorie e stili percettivi diversi di cui parlerò molto brevemente.
La percezione Gestalt può risultare in differenti esperienze,
strategie compensatorie e stili percettivi
Può essere caratterizzata da percezione frammentata,
iper / iposensibilità, monoelaborazione e percezione periferica
Innanzitutto dovete ricordare la Gestalt quando abbiamo parlato del livello di sensazione.
Come ho detto, le persone con autismo percepiscono tutti gli stimoli simultaneamente,
dato che il cervello non è in grado di elaborare tutti questi stimoli nello stesso tempo, esse
iniziano da una parte qualsiasi.
Donna Williams ha descritto in modo molto efficace la sua frammentazione visiva.
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Percezione frammentata
“Nel migliore dei casi avevo una percezione frammentata delle cose,
vedevo gli occhi o il naso o i baffi o la bocca,
ma soprattutto mettevo i pezzi insieme nella mia testa”.
Questo è il motivo per cui è così difficile gestire stimoli di tipo diverso ed eccessivi.
Ho un amico teenager di 14 anni con sindrome di Asperger, che mi ha fatto questo disegno. Gli piaceva tantissimo e pensava che fosse riuscito proprio bene. Riuscite a capire che
è un aeroplano?
Questo è un altro suo disegno: si tratta di un treno. Potete immaginare come percepiscono
le persone questo insieme rumoroso di pezzi che si muovono intorno a loro?
Ho chiesto sempre a questo ragazzo di fare un disegno della sua mamma e questo è stato
il risultato.
“Ritratto della mamma” fatto da D.
“Ritratto della mamma” fatto da Alex
Noi a volte definiamo le persone con autismo aliene, ma non pensate che anche noi per
loro siamo degli alieni? Per loro è così difficile percepire tutti questi movimenti che creano
tantissimi problemi, con la conseguenza di comportamenti strani e percezione ritardata,
come se non vivessimo nella stessa zona temporale.
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Percezione ritardata
Viviamo nello stesso spazio temporale?
Di nuovo torniamo alla percezione Gestalt, quando tutti gli stimoli sono percepiti simultaneamente.
Essi hanno bisogno di elaborare pezzo per pezzo e ovviamente hanno bisogno di più tempo
di noi. A proposito di percezione ritardata Donna Williams diceva:
“Da bambina sembrava che non avvertissi dolore o non avessi mai problemi, non volessi aiuto, non ascoltassi o non guardassi. Con il tempo alcune di queste sensazioni, reazioni o comprensioni furono decodificate
ed elaborate come interazioni e elementi significativi sensoriali ed io ho
avuto l’accesso ai significati delle reazioni. Potevano passare quindici minuti, una settimana, un mese, persino un anno dal contesto nel quale era
avvenuta l’esperienza” .
Vi posso assicurare che questa non è assolutamente un’esagerazione: per la maggioranza
dei casi bastano pochi secondi, ma per alcuni ci vogliono minuti, a volte ore, a volte
giorni.
Avete mai sentito un bambino autistico fare un annuncio? A volte ciò che dicono appare fuori luogo. Ciò accade perché questi bambini elaborano una domanda, che avevate
fatto loro il giorno prima, e vi danno la risposta in un contesto completamente diverso.
È una domanda che è rimasta nel loro cervello, che non sono riusciti ad elaborare immediatamente, perché hanno bisogno di più tempo rispetto a noi.
Può capitare che a scuola l’insegnante, quando non riceve immediatamente risposta ad
una domanda ed ha l’impressione che il bambino stia riflettendo, sia portato a ripeterla.
Per il bambino si tratta di una domanda completamente nuova; non capisce che è la
stessa domanda di prima, perché magari l’insegnante ha usato un tono di voce o un volume diverso. Questo lo porta a iniziare da capo il processo di elaborazione.
Passiamo ora ad affrontare gli aspetti legati all’intensità con la quale lavorano i sensi:
l’ipersensibilità, l’iposensibilità e le fluttuazioni.
L’ipersensibilità è molto comune e conosciuta, non mi sembra il caso di parlarne e mi limiterò a dare alcuni esempi, ricordando che può subire forti variazioni in persone diverse.
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Wendy Lawson e Temple Grandin hanno detto a tal proposito:
Ipersensibilità
“Sembrava che avessi orecchie, occhi e pelle molto sensibili. Alcuni rumori urtavano in modo insopportabile le mie orecchie e alcune luci “ferivano” i miei occhi”. (Wendy Lawson)
“Per quanto riguarda il mio udito, è come se avessi un amplificatore sonoro sintonizzato al massimo volume. Le mie orecchie sono come un microfono che raccoglie il suono e lo amplifica”. (Temple Grandin)
Voglio darvi un altro consiglio: nel caso di ipersensibilità alla luce forte, cosa abbastanza frequente, ricordatevi di suggerire sempre l’uso di occhiali da sole o lenti Irlen.
La strategia adeguata per affrontare la sensibilità luminosa è spegnere ogni
luce non necessaria (soprattutto le luci a fluorescenza), usando semplici
lampade, lampadine a basso voltaggio, lenti colorate, evitando di posizionarle sopra la testa
Molti ragazzi non riescono a sopportare le luci forti, il sole o i fuochi d’artificio. Ci sono occhiali speciali con lenti Irlen.
Alex sta trascorrendo
la sua giornata all’aperto
in pieno sole
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Da quando mio figlio li usa, esce senza problemi e il suo comportamento è migliorato. È
opportuno fare molta attenzione alla scelta del colore delle lenti, che risponde a necessità
individuali.
Mio figlio usa occhiali marroni, altri blu, rosa, gialli, che funzionano molto bene per contrastare l’ipersensibilità alla luce.
Esattamente all’opposto è il problema di iposensibilità, che si manifesta quando i sensi non
forniscono sufficienti stimoli. Succede che alcune persone fissino a lungo luci forti oppure
vadano alla ricerca di suoni o li creino per supplire alla carenza della percezione sonora intorno a loro.
Iposensibilità
“Non avevo consapevolezza del mio corpo... non ne avevo mai avuto coscienza. Il mio corpo era un semplice riflesso di fronte ad uno specchio...
Non avevo mai percepito alcun dolore”. (Tito)
Per esempio Tito, di cui ho già parlato precedentemente, non ha la percezione del suo corpo
e voi potete immaginare come possa sentirsi? In un suo libro egli racconta che quando era
piccolo non sapeva mai se era vivo o se era morto. Questo bambino, senza alcun aiuto
esterno, è riuscito a trovare da solo una soluzione: muoveva su e giù la mano e osservava
l’ombra prodotta dal movimento che gli faceva capire che era vivo: “La mia ombra era la mia
migliore amica, perché sapevo quello che stavo facendo guardando la mia ombra”. Una
volta, però, racconta di essersi svegliato nel cuore della notte e di avere sentito il bisogno di
controllare se esisteva oppure no; allora ha iniziato a muovere su e giù la mano, che ovviamente non ha proiettato alcuna ombra. A questo punto Tito ha iniziato a strillare disperato.
Vorrei chiamare sensorismi tutti questi comportamenti causati da problemi di percezione
sensoriale: a volte sopprimono il dolore e calmano, nel caso di ipersensibilità; a volte servono ad ottenere uno stimolo sensoriale dal mondo esterno, in caso di iposensibilità; a
volte forniscono un piacere interiore.
Funzione dei comportamenti autostimolatori (sensorismi)
–
–
–
sopprimono il dolore e calmano (in caso di ipersensibilità)
stimolano il sistema nervoso e aiutano a cogliere stimolazioni
sensoriali dall’esterno (in caso di iposensibilità)
qualche volta procurano un piacere interiore
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Questi comportamenti possono essere causati da ragioni diverse: un bambino con problemi
di ipersensibilità visiva compie un determinato movimento per distrarsi dal dolore o un
altro bambino iposensibile ripete lo stesso movimento per aumentare gli stimoli visivi.
Quindi è importante capire la situazione di ogni singolo bambino per poterlo aiutare.
Un'altra cosa, che vi posso assicurare, è che l’autismo non è mai noioso, non si manifesta
mai in situazioni semplici: un bambino può essere iposensibile alla luce, un altro al suono;
a volte nella stessa persona ci sono iposensibilità e ipersensibilità, che si manifestano in situazioni diverse a causa della loro fluttuazione.
Inconsistenza della percezione
Fluttuazione
“La sensibilità della pelle era così forte un momento e poi completamente
nulla nel momento successivo”. (Lucy Blackman)
Quindi, vedete come lo stesso stimolo, in tempi diversi, può provocare diverse reazioni.
Ovviamente si arriva al sovraccarico molto facilmente, soprattutto in luoghi affollati come
negozi, centri commerciali, dove l’eccesso di stimoli provoca comportamenti problematici.
Vulnerabilità al sovraccarico sensoriale
Il sovraccarico di informazioni può essere causato da:
– incapacità a filtrare le informazioni esterne o eccessive (Gestalt)
– ipersensibilità
– percezione distorta o frammentata
– elaborazione differita
Ovviamente le persone con autismo sviluppano sistemi di adattamento e compensazione,
mettendo in atto un proprio sistema: non diventano ciechi, ma chiudono il sistema visivo;
si chiudono nel loro mondo come fossero in una bolla.
A tal proposito Temple Grandin ha detto:
“Quando la stimolazione sensoriale diventava troppo intensa, ero in grado
di interrompere l’ascolto e di ritirarmi nel mio mondo”.
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Un’altra forma di compensazione è lo stile percettivo e questo è molto importante.
Inizieremo a parlare di monoelaborazione. Molti autistici hanno un sistema di monoelaborazione: fanno uso di un solo senso per volta. Noi lavoriamo su canali diversi, io per
esempio utilizzo tutti i miei sensi contemporaneamente: sto parlando, vi vedo, sento rumori, mi muovo e sono consapevole del mio movimento. Per la maggior parte delle persone autistiche questo è troppo ed esse utilizzano un solo senso per volta.
Adattamento e compensazione: stili percettivi
Elaborazione su un solo canale: usare un senso alla volta
“Mi sono accorta che quando uso un canale particolare per indirizzare
una funzione (compito), se cerco di introdurre un altro canale, poi “mi
perdo” nel completamento della funzione ed ho bisogno di cominciare di
nuovo”. (Wendy Lawson)
Passiamo ora brevemente alla percezione periferica.
Noi sappiamo che gli autistici evitano il contatto visivo diretto, perché la percezione diretta
risulta per loro molto dolorosa.
La maggior parte delle volte riescono a vedere a livello periferico meglio che a livello centrale.
I bambini nella foto hanno ballato a lungo con le loro mamme senza mai guardarle; davano
loro le spalle perché non riuscivano a sostenerne lo sguardo. Molti adulti con autismo intervengono in qualità di relatori alle conferenze senza mai stabilire un contatto visivo, perché ciò rende troppo difficile per loro gestire la situazione.
Joan Dovì, un americano autistico, quando veniva presentato a persone nuove poneva
loro questa domanda: “Vuole il contatto visivo diretto, oppure vuole parlare?” perché non
riusciva a fare entrambe le cose: o parlava o stabiliva un contatto visivo.
Ovviamente non ci sono due persone autistiche che hanno la stessa percezione sensoriale; per questo motivo ho sviluppato un profilo della percezione sensoriale, che chiamo
“rainbow”, cioè arcobaleno, dove i sette colori dell’arcobaleno rappresentano i sette
sensi: rosso per la vista, arancione per l’udito, giallo per il tatto, azzurro per l’olfatto,
blu per il gusto, indaco per la percezione propriocettiva, viola per la percezione vestibolare.
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Profili sensoriali gentilmente forniti dal dott. Marco Tomaso Rho
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Questi profili si riferiscono a bambini autistici, con menomazione nell’interazione sociale,
nella comunicazione, nell’immaginazione. Guardate il loro profilo sensoriale com’è diverso.
Riuscite a immaginare che cosa succederebbe se essi fossero inseriti nella stessa classe? Sarebbe impossibile gestirli: sono tutti autistici, ma hanno problemi sensoriali completamente
diversi.
Voglio concludere con queste ultime frasi:
Non ci sono due persone con autismo che hanno esattamente gli stessi modelli di esperienze percettive sensoriali
“Imparare come funzionano i sensi di ogni singola persona con autismo
è una delle chiavi cruciali per comprendere quella persona”. (Jasmine
O’Neill)
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Lo spettro dei disturbi autistici ad alto livello di funzionamento:
comorbidità, diagnosi differenziale e valutazione
Paola Visconti *
Ringrazio la Provincia di Bergamo che mi ha invitato. Un pubblico così numeroso è segno
di forte interesse; ringrazio anche i miei precedenti relatori che sicuramente hanno tenuto
fede alle loro attese e vi hanno presentato non solo un’alta concettualizzazione teorica del
problema, ma sicuramente hanno fatto sentire la loro esperienza in questo campo.
Adesso vi racconterò qualcosa riguardo ai Disturbi Autistici, in particolare in merito allo
Spettro dei Disturbi Autistici ad alto funzionamento.
Nel nostro Servizio vengono svolte delle valutazioni sul versante neuropsicologico, neurocomportamentale e un approfondito protocollo di esami medici; sappiamo quanto questo sia fondamentale per caratterizzare il profilo di un bambino o di un ragazzino autistico,
con l’obiettivo non di mettere un’etichetta, ma in vista di un progetto funzionale al migliore
adattamento possibile di questi bambini.
Abbiamo bisogno di molte informazioni per elaborare un progetto psicoeducativo tarato su
quelle che sono le loro specificità, sia per le loro caratteristiche generali, come ci viene raccontato dalla letteratura, sia singolarmente per ogni bambino.
Tutto questo si unisce alla possibilità di un trattamento farmacologico che al momento purtroppo non rappresenta una grande arma poiché si limita a ridurre qualche sintomo a livello
comportamentale.
Le caratteristiche dell’Autismo
Attualmente l’autismo va ancora considerato una costellazione, una configurazione di sintomi e manca ancora la precisazione dell’eziologia, quindi è chiaro che il trattamento andrà
ad agire sul sintomo e non sulla causa prima.
E anche in questo caso purtroppo, a volte, è inefficace.
Chiaramente per andare incontro alle problematiche insite e connesse all’autismo non
basta un’unica persona, un unico centro; è necessario (come direi che voi avete egregiamente fatto qui a Bergamo) un’ampia correlazione tra servizi territoriali, scuola e provincia, in maniera tale da riuscire a creare una rete: in primo luogo perché siamo di fronte ad
un disturbo estremamente complesso e pervasivo e in secondo luogo perché serve una di-
* Responsabile U.O. Neuropsichiatria Infantile - Azienda Usl - Bologna
45
versa specificità delle varie figure professionali in modo che ognuna possa contribuire con
ottiche differenti.
Come si diceva prima, è difficile identificare per questo disturbo un segno o parametro patognomonico (usiamo questo termine in medicina quando intendiamo qualcosa che caratterizza esattamente una patologia).
L’autismo è un’anomalia del comportamento e sono d’accordo con la relatrice che mi ha
preceduto quando afferma che questa triade può essere insufficiente per caratterizzare
bene questi soggetti.
Probabilmente abbiamo bisogno di qualcosa di più e verosimilmente nel prossimo Manuale
DSM emergerà anche un criterio riferibile ai problemi sensoriali.
Però è anche vero che abbiamo bisogno di un linguaggio comune, e in questo momento il
linguaggio comune è rappresentato da questa triade; come dice giustamente la Dott.ssa
Lorna Wing, grande esperta inglese, le anomalie del comportamento presenti derivano da
diverse cause, verosimilmente anomalie del funzionamento cerebrale indotte da cause genetiche e/o biochimiche. Accanto alla varietà dei fenotipi c’è poi il bambino nella sua unicità e quindi differenze individuali in quella che è la riorganizzazione celebrale e inoltre ci
sono anche i cambiamenti indotti dal variare dell’età.
La neuropsichiatra Paola Visconti
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E, come Lei stessa ammette, “... riconoscere delle configurazioni in questa complessità sconcertante è un compito simile a quello di classificare le nuvole”.
Comunque ci stiamo provando e ricercatori in tutto il mondo stanno cercando di trovare la
maniera più adeguata e degli indici precisi per differenziare le varie categorie diagnostiche.
Si preferisce, pertanto, non parlare di “disturbo autistico” o di autismo come si faceva circa
venti anni fa; ora come ora si preferisce parlare di Spettro dei disturbi autistici, proprio ad
indicare che esiste un continuum di situazioni cliniche, anche se diversificate, sempre caratterizzate da quelle tre anomalie nell’ambito dell’interazione sociale, della comunicazione e con una immaginazione povera e stereotipata.
Più globalmente, questa è l’ampia cornice che raggruppa questi “Pervasive Developmental Disorders” dove le situazioni meglio caratterizzate sono effettivamente quelle dell’Autismo più
classico, quello che volendo potremmo definire Kanneriano, e la sindrome di Asperger.
Le altre situazioni sono meno caratterizzate, anche sul versante prognostico; in particolare
i Disturbi Pervasivi dello Sviluppo NAS (Non Altrimenti Specificati) sono situazioni più sfumate, un contenitore categoriale dove inseriamo ciò che non riusciamo a meglio definire
per la presenza di alcuni elementi della triade ma in maniera più sfumata e vaga.
Le diverse tipologie sociali di Autismo
Un altro concetto interessante riguarda uno studio epidemiologico degli anni ’80 (sempre
opera di Lorna Wing) dove, indipendentemente dal livello intellettivo, viene presa in esame
la tipologia di rapporti sul versante dell’interazione sociale. Ovvero, noi siamo abituati a
pensare all’autistico come Kanner per primo ci ha descritto, ma non sempre i soggetti autistici si caratterizzano per questo isolamento di cui abbiamo visto le possibili cause.
Su questo versante possiamo distinguere:
– “il riservato” che è quello più isolato
– “il passivo” quello che lascia fare, pur non avendo mai intenzionalità
– “l’attivo ma strano”
Nel secondo caso la diagnosi probabilmente sarà più tardiva perché è un bambino che sostanzialmente dà poco disturbo, di cui ci si accorge poco e quindi probabilmente viene riconosciuto negli ultimi anni della scuola materna. Poi l’attivo ma strano, ovvero bambini
che hanno anche una forte dose di iperattività accanto a delle atipicità; infatti non è solamente il deficit o la mancanza di certe capacità che deve attrarre la nostra attenzione, ma
è proprio l’atipicità, la maniera bizzarra in cui portano avanti la relazione.
I diversi livelli intellettivi
Quando si parla di autismo, l’altra importante questione è quella che riguarda il deficit in47
tellettivo, il deficit cognitivo. Abbiamo soggetti come Rain Man, che rappresentano un po’
l’autistico classico, e abbiamo soggetti come Cristopher Boone, un ragazzino di 15 anni che
ha una sindrome di Asperger.
Questo diverso funzionamento cognitivo avrà una ripercussione non solo ai fini della nostra accurata valutazione diagnostica, ma soprattutto sarà in funzione dell’intervento psicoeducativo- riabilitativo che andremo a portare avanti.
La comorbidità
Poi, per rendere ancora più complesso il quadro, dobbiamo prendere in considerazione
anche la comorbidità, intesa nel senso di situazioni cliniche, sindromi o patologie o anomalie neurologiche che si associano alla classica triade.
Chiaramente, anche in questo caso, avremo situazioni differenti a seconda che parliamo
di low functioning o di high functioning.
Nel caso dei low functioning, ovvero individui autistici che hanno un basso livello di funzionamento, avremo in associazione ritardo cognitivo, disturbo da movimenti stereotipati,
più spesso epilessia con il relativo trattamento che potrà in qualche maniera alleviare certi
tipi di sintomi e più frequentemente patologie rare ovvero sindromi genetiche. Anche in
questo caso è d’obbligo un approfondito protocollo d’esami. Come situazioni comuni agli
high e ai low functioning ritroviamo l’iperattività e disturbi d’ansia (più frequenti nei soggetti autistici ad alto funzionamento), disturbi alimentari e disturbi del sonno.
Negli high functioning con l’aumentare dell’età si registrano situazioni tipo disturbi dell’umore,
disturbi dell’apprendimento, tics, disturbi ossessivo-compulsivi, sindrome di Tourette.
È necessario pertanto prendere in considerazione ciò che è associato all’autismo anche in
vista di un trattamento farmacologico mirato.
Tutto quanto vi ho finora esposto vi dà l’idea di quanto sia complicato il problema della diagnosi differenziale.
La diagnosi differenziale
Accanto al Disturbo Autistico abbiamo tutta una serie di situazioni che si configurano sempre all’interno dei Disturbi della comunicazione e relazione ma si differenziano da questa
forma principale. Ad esempio MCDD (Multiplex Complex Developmental Disorders), categoria non ancora validata in ambito scientifico, pur rappresentando un quadro clinico di
riscontro nella pratica quotidiana. Concordo con il Dottor Rho sulla necessità di identificare sottogruppi differenti, elemento che ci porterà ad una migliore definizione di fenotipi
che possono aiutarci nell’indagine genetica.
Accanto a questo, abbiamo situazioni frequenti soprattutto nei bambini piccoli con disturbi
di linguaggio, probabilmente disturbi di linguaggio un po’ più complessi di un ritardo sem48
plice, ma per la giovane età del bambino e per il suo essere in evoluzione tale problema si accompagna in maniera reattiva ad anomalie del comportamento simili a quelli dell’autismo.
Anche in questo caso quindi va valutato come questo bambino reagisce nel tempo, prendendoci tutto il tempo necessario prima di arrivare ad una conferma diagnostica, ma cominciando fin da subito un trattamento riabilitativo.
Talvolta, infatti, con la progressione della sfera linguistica il bambino acquisisce più capacità sul versante interattivo e sfumano i comportamenti simil autistici.
Altro tipo di situazioni che spesso ci troviamo ad osservare è rappresentato da Diagnosi differenziali rispetto ai Disturbi autistici ad alto funzionamento, per es. “Non verbal learning
disabilities” dove abbiamo disturbi d’apprendimento non verbale, quindi a carico soprattutto delle performance visuo-spaziali; in questo caso c’è una sovrapposizione con la sindrome di Asperger e i disturbi semantico pragmatici. E la diagnosi differenziale sarà aiutata
dal tipo di interazione sociale che questi soggetti presentano.
I Disturbi dell’Empatia
Si è parlato nella relazione precedente di disturbo dell’empatia, della capacità di mettersi nei
panni degli altri. Rispetto a quanto detto prima dalla Dott.ssa Bogdashina appare naturale la
riflessione su quanto possa essere attribuibile ad una base di alterata percezione che può inficiare la capacità di comprendere quanto viene detto o espresso mimicamente da altri.
Come vedete ci sono molte situazioni coinvolte in questo disturbo dell’empatia, l’Asperger, il DAMP, ovvero bambini con un normale livello intellettivo ma con un deficit in attenzione, nel controllo motorio, nella percezione, poi vedete menzionati anche i disturbi
di Tourette e il ritardo mentale.
Il gruppo è quindi variegato e ampio, e chiaramente sarà importante operare delle diagnosi
differenziali ma anche intraprendere un trattamento che per molti versi potrà anche risultare simile.
I Criteri diagnostici
Il DSM-IV e l’ICD 10, rappresentano la base del linguaggio tra operatori, per comprendersi
sui diversi aspetti clinici e avere una sorta di uniformità di diagnosi. Per il disturbo autistico
devono essere presenti questi tre criteri: compromissione qualitativa dell’interazione sociale, della comunicazione e modalità dì comportamenti interesse e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati.
Cosa succede se parliamo invece di Asperger?
Se parliamo di Asperger cade il problema del linguaggio, il problema della comunicazione,
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ovvero i soggetti con sindrome di Asperger non dovrebbero avere avuto, e uso intenzionalmente il condizionale, il ritardo del linguaggio né dovrebbero avere al momento dell’osservazione un chiaro ed evidente problema a livello di comunicazione né a livello
cognitivo. Pertanto si caratterizzano per marcate difficoltà a livello della relazione sociale,
sono soggetti goffi e impacciati nell’ambito delle relazioni sociali, con tratti che talvolta
possiamo ritrovare anche in persone particolarmente dotate ed esperte selettivamente in
una materia (a volte si parla anche di professori universitari) che tuttavia capiscono e comprendono poco del vivere quotidiano, ci sanno fare poco nei rapporti sociali, fanno fatica
a capire le battute, non sanno inserirsi in ambito di un gruppo e così via.
Anche in questo caso l’anomalia di interazione sociale deve causare una compressione clinicamente significativa, perché a questo punto dobbiamo stare attenti a non identificare
soggetti un po’ goffi e impacciati come soggetti tutti con sindrome di Asperger.
Non vi dovrebbe essere un ritardo del linguaggio clinicamente significativo, ma tale tipo
di criterio è ancora messo ampiamente in discussione fra i vari ricercatori; non vi è un ritardo clinicamente significativo dello sviluppo cognitivo tranne il fatto che ci sono invece
delle incapacità a livello di comportamento adattivo sociale.
L’autismo ad alto livello di funzionamento, a nostro parere entità diversa rispetto alla Sindrome di Asperger, rappresenta un’ulteriore tentativo di individuare un sottogruppo con
l’intento di meglio operare all’interno di studi di neuro imaging o di genetica.
È vero tuttavia che, a differenza dell’Asperger, non esiste una categoria diagnostica definita
nei manuali diagnostici internazionali.
I criteri clinici sono gli stessi dettati per l’autismo in generale. Si distingue dall’autismo a
basso livello, per un funzionamento intellettivo nella norma e può esserci anche un ritardo
del linguaggio, elemento di cui tenere conto poiché non compare a rigore e per definizione nell’Asperger. La prima descrizione della sindrome di Asperger viene fatta nel 1944,
un anno dopo la descrizione dell’Autismo da parte di Kanner. La presentazione in lingua
inglese di questa sindrome avviene solo nell’81, forse anche in relazione al fatto che la lingua tedesca aveva in quegli anni meno diffusione e meno facilità di traduzione rispetto
alla lingua inglese; il riconoscimento ufficiale di questa descrizione avviene poi con ICD10
nel 1993 e nel 1997 con il DSM-IV.
Elementi differenziali fra Sindrome di Asperger (AS) e Autismo High
Functioning (HFA)
Esaminiamo ora nel dettaglio quali possono essere elementi comuni e non tra questi due
tipi di situazioni, ovvero Sindrome di Asperger e Autismo ad alto livello di funzionamento,
la cui differenziazione riveste, a nostro parere, importanza sia per gli studi genetici sia per
il programma abilitativo.
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Età della diagnosi
Si diceva prima quanto sia difficile fare diagnosi in questi soggetti a più alto livello di funzionamento. In effetti, il dato di 5.5 anni per HFA 11 per AS confermano questa difficoltà
e provengono da un articolo inglese della Howlin e pertanto si riferiscono alla situazione
inglese. Come potete vedere la diagnosi avviene piuttosto tardi per l’autismo high functioning, ancora più tardi per la sindrome di Asperger. Questo si riferisce a qualche anno
fa, ma non penso che adesso la situazione sia cambiata in maniera radicale.
Il linguaggio
Nel caso dell’autismo HFA notiamo un ritardo che non è presente nell’Asperger; l’ecolalia
sicuramente è più presente e più evidente nell’autismo HFA, così come la prosodia e problemi di vocabolario; solitamente invece i soggetti con sindrome di Asperger sono estremamente forbiti nel vocabolario e hanno molte conoscenze; al contrario il loro linguaggio
è un po’ pedante, un po’ monotono, pragmaticamente inadeguato; hanno un modo di parlare un po’ meccanico, tipo stranieri, in quanto non danno quell’inflessione emotiva che
caratterizza le diverse culture.
Caratteristiche neuropsicologiche
Anche in questo caso è stata tentata una differenziazione.
Per quanto riguarda il quoziente intellettivo gli Asperger sono ben ampiamente al di sopra
di 70, (anche noi, nel nostro Ambulatorio, abbiamo ragazzini Asperger che hanno 130-140
di QI), ma soprattutto il dato interessante è un’inversione del rapporto QI verbale e QI di
performance, nel senso che gli Asperger hanno più alto quello verbale rispetto a quello di
performance al contrario degli HFA.
Solitamente la Teoria della Mente di I° livello può essere acquisita dai soggetti con sindrome di Asperger, meno, molto meno dagli Autistici high functioning.
I deficit
I deficit hanno per lo più a che fare con la parte visuo-motoria, ovvero le performances che
risultano ridotte negli Asperger ma non negli HFA, più compromessi sul versante verbale.
E questo aspetto, come ben si può comprendere, ha immediate ripercussioni sul versante
riabilitativo, perché quando si ha a che fare con un soggetto con autismo HFA si utilizza
molto il versante visivo per la difficoltà di decodifica del messaggio verbale, che non significa, come già abbiamo sentito, sordità.
A questo proposito mi sembra interessante riferire di uno studio fatto da dei giapponesi
con i potenziali evocati, dove viene messo in evidenza come ai soggetti autistici mancasse
la capacità di avere informazioni sulle vocali; e se giunge un messaggio senza vocali è molto
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difficile riuscire a capire quanto viene detto. Tutti questi studi vengono effettuati con gruppi
controllo, ovvero soggetti senza le atipicità dell’autismo. Quindi i risultati nell’ambito degli
studi neurofisiologici e neurobiologici in generale, sono ampiamente di supporto a quanto
diceva prima la Dottoressa Bogdashina.
Poi, in merito alla goffaggine sembra più evidente nei soggetti Asperger, ma si ritrova anche
negli HFA, analogo è il rapporto maschi/ femmine (vedremo poi nella nostra casistica cosa
abbiamo trovato) con una migliore prognosi negli Asperger che hanno chiaramente un migliore adattamento e per quanto riguarda l’eziologia genetica, la comorbidità neurologica
cioè la presenza di situazioni neurologicamente determinate e i correlati neuroanatomici
non ritroviamo in entrambi i casi alcunché di significativo.
Per i PDD-NOS vale la presenza della triade come per gli autistici, solo che devono essere
presenti meno criteri e solitamente il quadro clinico è più sfumato.
La diagnosi differenziale rispetto alla Sindrome di Asperger
A questo punto mi interessa riportare la problematica di diagnosi differenziale nell’ambito
della sindrome di Asperger, perché il sospetto diagnostico su questa patologia sta crescendo
in questi anni, soprattutto nei centri maggiormente consolidati.
Ci troviamo di fronte ad un aumento di questa patologia, come diceva prima il Dott. Rho?
Verosimilmente c’è una migliore capacità diagnostica, un affinamento della nostra sensibilizzazione rispetto a questo tipo di disturbi, anche se non è trascurabile che ci possa essere anche un incremento vero e proprio dal punto di vista proprio epidemiologico, come
risulta dai dati di Fombonne.
Per quanto attiene la diagnosi di Asperger, penso sia necessario stare attenti a non misconoscere né a sovradiagnosticare, ovvero non scambiare per Asperger tutti gli autistici che
hanno una buona capacita di parola, di linguaggio e buone capacità cognitive. Ci sono dei
criteri precisi, e anche le valutazioni neuropsicologiche aiutano in questo senso.
È altrettanto importante formulare una diagnosi differenziale con i PDD-NOS, quadro di
autismo più sfumato, o con situazioni di iperattività, gli ADHD o i disturbi ossessivo compulsivi; entrambe queste situazioni possono sconfinare in problemi relazionali, e nell’ambito dei disturbi schizofrenici va menzionato in diagnosi differenziale il disturbo schizoide
di personalità, ma non la schizofrenia che rappresenta un campo a sé; inizialmente, tanti
anni fa, 30 anni fa, si parlava di un’evoluzione dell’autismo in schizofrenia, successivamente si è visto che sono due situazioni nettamente distanti.
Per inciso quando si parla di Disturbo Schizoide ci si riferisce a strutture di personalità
piuttosto fredde e rigide, soggetti chiusi in un loro mondo, che incontrano chiaramente difficoltà relazionali.
Altre categorie diagnostiche sono rappresentate dal Disordine semantico pragmatico che
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sostanzialmente è un disturbo della capacità di adeguare la propria frase, la propria espressione verbale a un contesto, abbiamo poi la “Non verbal learning disabilities” di cui abbiamo parlato prima e la situazione ascrivibile a DAMP (disturbo da deficit d’attenzione
motoria e percettiva).
Andiamo ora a vedere quali sono le differenze e le possibili sovrapposizioni tra Asperger
ed Autismo ad alto livello, visto che abbiamo parlato di non aderire solo alle etichette ma
di valutare anche il funzionamento cognitivo di questi ragazzini.
Profili neuropsicologici nei Soggetti AS e HFA
La WISC-R è un test di valutazione cognitiva che contiene prove di performance e prove
verbali. Il profilo che si ottiene, seppure ad un livello più basso, è analogo negli Asperger
e negli HFA; e questo potrebbe mettere in discussione l’idea che ci sia un diverso profilo
neuropsicologico; forse non è tanto un problema di differenza neuropsicologica quanto
un continuum di situazioni che si differenziano per livello intellettivo. Anche se questo può
rappresentare un dibattito teorico, ritengo corretto portarlo alla vostra attenzione.
Andiamo ora a vedere quali sono i punti di forza.
Secondo la nostra esperienza per entrambi abbiamo identificato punti di forza e di debolezza; punti di forza sono pertanto rappresentati dal disegno con i cubi, e quindi buone capacità a livello visuo-spaziale, punti di debolezza a livello dell’aritmetica e a livello del
cifrario che implicano capacità logiche e di astrazione maggiori.
Ora, dopo aver preso in esame le caratteristiche neuropsicologiche, andiamo a vedere
come si può elaborare un progetto psicoeducativo tenendo conto delle differenze riscontrate in queste situazioni.
È vero, infatti, che sarà necessario, in egual misura, arrivare ad un inquadramento diagnostico, ad un profilo, in correlazione con l’età, e, al tempo stesso, ascoltare e dare risposta
alle domande della famiglia. Noi chiediamo sempre, infatti, alle famiglie: qual è il vostro
problema più impellente? Per una famiglia può essere l’autonomia nel gestirsi ad andare
in bagno, per un’altra possono essere delle attività più di tipo cognitivo, e tutto questo va
tenuto presente. Poi vanno considerate le risorse che ci sono all’interno del centro nel
quale è seguito il bambino.
Ritornando alla nostra valutazione neuropsicologica e comportamentale, questa viene
condotta con test, sia su carta e matita sia su computer, ed un’osservazione clinica; e
questo va a comporre un profilo multi-dimensionale, e quindi diversi ambiti vengono
messi in evidenza, valutazione neurologica, osservazione in diversi contesti (scuola, famiglia…) tramite videocassette e filmini portati dai genitori, al fine di offrire una valutazione integrata.
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La valutazione
Ai fini della valutazione funzionale vengono utilizzati come strumenti psicoeducativi la
PEP-R e la AAPEP in maniera tale da andare a identificare le abilità acquisite, le abilità non
acquisite e le abilità emergenti, concetto molto importante e utile messo in campo da Schopler, ovvero quelle abilità che stanno “emergendo” in quel bambino, abilità che il bambino
non riesce completamente a compiere da solo, ma rappresentano quello che è il suo potenziale di sviluppo.
La valutazione si compone poi di un’osservazione partecipativa e non, cioè con l’ausilio
della persona in situazioni libere e in un contesto più strutturato.
Abbiamo visto che funzionano meglio dove c’è una struttura, ma perché?
Perché hanno più indici visivi che li aiutano a reperirsi nel mondo circostante.
Quello che diceva prima la Dottoressa Bogdashina, sull’aspetto sensoriale, si può ricollegare al bisogno di “sameness”, di identico, e quindi la nostra necessità di andare loro incontro con la prevedibilità.
Nell’ambito delle nostra valutazione indaghiamo pertanto il versante linguistico e comunicativo, il versante cognitivo, le capacità di integrazione visuo-motoria, le abilità di gioco
simbolico, le funzioni esecutive ed adattive, tramite test adeguati per comporre un profilo
multidimensionale.
Un altro elemento molto interessante è rappresentato dall’abilità di Teoria della mente con le
conseguenti implicazioni sul versante dell’adattamento sociale. Gli studiosi di neuropsicologia inglese hanno ampiamente esplorato questo campo nei bambini e negli adulti autistici.
A livello di funzioni esecutive eseguiamo il Wisconsin Card Sorting Test, che molti di voi
conoscono, dove il ragazzino deve abbinare ogni volta, o per colore o numero o forma,
a quattro gruppi di carte, la carta che noi gli forniamo e poi di volta in volta cambiamo
il criterio. Dopo un numero fisso di presentazioni si cambia il criterio, senza spiegarlo
al ragazzino, in maniera tale che si valuta quanto per lui sia possibile operare una flessibilità, cioè riuscire a cambiare il criterio.
Questa capacità, indipendentemente dal livello cognitivo, per un ragazzino autistico è
molto limitata ed il livello cognitivo alto non elimina il problema, non fa sì che il ragazzino sia capace di fare questa cosa, perché quello che deve fare non è solo un ragionamento cognitivo, ma è riuscire a sciftare, a deviare il proprio ragionamento da un certo
tipo di criterio ad un altro. Questo ci rende ragione anche della loro rigidità, che in parte
è ascrivibile alle difficoltà sociali, ma è riconducibile anche a questo deficit delle funzioni esecutive che grossolanamente vengono identificate come coordinate a livello del
lobo frontale, quindi deficit di pianificazione, deficit di flessibilità e deficit di inibizione.
Quest’ultimo non sarebbe presente negli autistici, mentre c’è negli ADHD (deficit d’attenzione ed iperattività).
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Un altro esempio è il disegno della figura di un omino; come potete vedere quest’immagine è stata composta da una ragazzina di 12 anni, con 120 di QI; per questa figura
viene dato un foglio solo, ma la sua difficoltà di pianificazione ha fatto sì che ha cominciato a disegnare la testa senza pensare “ma ci starò nel foglio?”.
Le persone a sviluppo tipico, con una certa flessibilità, tendono sempre ad operare con
questo schema di programmazione di fronte ad un compito proposto. Per questa ragazzina è stato difficile pianificare il disegno in funzione dei confini del foglio e malgrado il
120 di QI ha richiesto un altro foglio per finire il compito.
Un altro tipo di valutazione è tramite ausilio del computer; in questa schermata si possono notare dei bachi che scendono dagli alberi e occupano una parte o l’altra del foglio;
si tratta, anche in questo caso, di avere un concetto di flessibilità e poter ipotizzare che
i bachi possono scendere per un po’ da una parte e poi dall’altra. Quindi è presente il solito deficit di Shifting, oltre ad un‘iperattenzione per i dettagli che impedisce loro di
avere una visione di insieme, una “Gestalt”.
Da una parte, quindi, tendono a non saper filtrare gli stimoli sensoriali che affluendo insieme portano ad una sorta di indiscriminato rumore di fondo, dall’altra l’iperattenzione
al dettaglio che non permette una visione di insieme. Sono i due estremi con cui si trovano ad avere a che fare i ragazzini autistici.
Appare evidente che in questi casi il computer può essere di aiuto, perché è un tipo di
strumento che potremmo definire “neutro” dove è minimizzata l’influenza emotiva, non
c’è variazione a seconda delle inflessioni e della capacità del tutor, dell’operatore, e la
presentazione visiva risulta molto più accattivante.
Aspetti neurobiologici
Studi recenti mettono in evidenza correlazioni anatomo-funzionali ed in particolare appare interessante il circuito del “Social Brain”, ovvero vi sarebbe una rete di strutture cerebrali implicate nei deficit di base presenti nei bambini autistici.
Come potete vedere questo circuito coinvolge strutture a livello della corteccia frontale,
del giro cingolato anteriore, zone nella amigdala, nella corteccia orbito-frontale; tutte
queste zone sono state identificate come attive e quindi funzionanti nei soggetti a sviluppo sociale tipico, mentre appaiono carenti negli autistici. I bambini autistici quindi ci
hanno aiutato e ci stanno aiutando molto a comprendere quali sono le aree cerebrali implicate nelle capacità sociali, malgrado la nostra difficoltà a raffrontarci con loro e a comprenderli a pieno.
Gli studi compiuti hanno preso in esame sia soggetti ad alto funzionamento e Asperger
che soggetti-controllo e si è evidenziata una carenza funzionale, non strutturale; è come
se potessimo pensare che c’è l’interruttore e ci sono i fili, ma non si accende la luce.
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Tutto questo probabilmente rende ragione delle loro difficoltà sociali, che vanno ad aggiungersi alle difficoltà sensoriali.
In questa schermata riepilogativa potete notare le varie aree coinvolte in correlazione con
i deficit neuropsicologici riscontrati. Come si può notare, per la teoria della mente abbiamo
una zona a livello della regione frontale, mentre in altri deficit sono implicati il lobo limbico, aree temporali, cervelletto e varie altre zone che vanno a costituire il cosiddetto “Social Brain”.Verosimilmente non è sufficiente l’alterazione di una sola zona, probabilmente
è un network che non funziona, cioè una rete a livello cerebrale; alcune sono zone molto
antiche, l’amigdala per es., il lobo limbico, ovvero zone più primitive, ancestrali, che come
tali probabilmente fin dagli inizi, durante l’ontogenesi, hanno caratterizzato la nostra capacità umana di percepire l’altro e sapervi rispondere in maniera adeguata.
Ed anche questo si può ricollegare a quanto detto prima dalla Dott.ssa Bogdashina.
Infatti i ricercatori stanno cercando di andare a vedere che cosa sia implicato di base, al
di là di quello che appare come “punta dell’iceberg”, per es. il difetto sensoriale. È chiaro
che non tutti trovano le stesse cose, i dati non sono uniformi, ma è interessante, per
esempio, il riscontro in un gruppi di pz Asperger di alterazioni a livello della sostanza grigia, nel senso di una diminuzione di questa in certe zone ed aumento in altre, per esempio a livello dei nuclei della base.
Cosa potrebbe succedere? Diminuisce il meccanismo di inibizione degli impulsi afferenti
ed efferenti con un accesso e un’uscita indiscriminata degli stimoli.
Si può ricordare quanto detto prima quando si accennava a questa sensorialità eccessiva, tutto entra ed esce, senza filtri, con molta confusione.
I vari studi stanno facendo emergere che le persone a sviluppo tipico hanno molti più filtri.
Questo dato è stato rilevato anche in soggetti che hanno altri tipi di patologie, in particolare alterazioni a livello dei nuclei della base, elemento che potrebbe rendere ragione di
pensieri, linguaggi e azioni ripetitive; negli autistici vi sarebbe invece un’elaborazione cognitiva degli stimoli per dettagli, dettagli che tuttavia entrano ed escono in modo confuso,
da cui un Deficit di Gestalt, il difetto di coerenza centrale di cui si è parlato prima.
Il nostro studio: possibili differenze fra AS, HFA e PDD-NOS
Andiamo ora a vedere cosa abbiamo trovato nella nostra casistica.
La casistica è estrapolata dai casi che abbiamo avuto modo di vedere in questi anni, dal
2000 al 2005; i soggetti con Disturbo Autistico sono la quota prevalente, poi abbiamo
gli high functioning (7%), e poi i soggetti con sindrome di Asperger (6%). In definitiva
sono tutti soggetti con autismo ad alto funzionamento, tuttavia noi stiamo tentando di
suddividerli, anche a fini riabilitativi, per creare sottogruppi diagnostici, di cui andremo
a valutare l’andamento nel tempo; l’altro gruppo oggetto di indagine, i PDD-NOS, sono
una quota decisamente più numerosa, il 27%.
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Ora andiamo a vedere che cosa succede nell’ambito di questi tre gruppi, nell’intento di
trovare dei possibili criteri differenziali, perché il problema per noi clinici è di poter operare delle diagnosi differenziali anche in vista dell’intervento riabilitativo. Esistono pertanto dei criteri differenziali nella nostra casistica tra Asperger e high functioning?
Esiste poi una differenziazione tra tutti questi high functioning e sindrome di Asperger
rispetto ai PDD-NOS?
Rappresentano dei gruppi ben differenziati o sono un continuum di situazioni cliniche?
E la CARS, che è stata ampiamente nominata e che tutti utilizziamo, rappresenta uno
strumento efficace per questa individuazione diagnostica o mostra qualche limite?
Sussiste poi, come abbiamo visto prima, la necessità di avere degli indicatori anamnestici,
ovvero per es. a che età ha esordito il linguaggio?
È chiaro che tutto questo può apparire una sottigliezza da ricercatori, in realtà, rivelare
delle differenze può avere una ricaduta sul trattamento.
E riguardo al coinvolgimento neurologico?
E nell’ambito dell’osservazione emergono segni più significativi per un gruppo rispetto
ad un altro?
Va premesso che questo è uno studio retrospettivo, basato sulle informazioni anamnestiche ottenute dai genitori e sull’osservazione che facciamo in ambulatorio con tutte le
metodiche di cui io ho parlato prima.
La casistica riguarda 49 soggetti selezionati fra quelli giunti più recentemente e per i
quali è stato possibile effettuare tutta una serie di test e di valutazioni. Di Asperger ne
abbiamo selezionati 15, HFA 17, PDD-NOS 17.
Tab.1 Casistica
Categoria diagnostica
N. soggetti
Età media
Range
A.S.
15
9aa 2m
(5-13)
HFA
17
11aa 9 m
(9-15)
PDD-NOS
17
6aa 8 m
(4-13)
Rapporto maschi-femmmine
In primo luogo varia il rapporto maschi/femmine; in letteratura viene definito come non
differente; in effetti abbiamo visto che negli Asperger sono nettamente superiori i maschi;
mentre negli high functioning vi è un rapporto meno sfavorevole per le femmine.
Nel caso degli HFA e dei PDD-NOS vi è un buona sovrapposizione con quanto descritto
in letteratura, 4:1 circa, negli Asperger il rapporto è molto più alto.
57
La valutazione cognitiva
La valutazione cognitiva è stata effettuata con i test sopracitati e in funzione del grado
di collaborazione del bambino; una misura di riferimento è il QI che risulta variabile nei
tre gruppi in media (vedi tabella 2).
Tab. 2
104,73
86,37
61,3
Range: 92-127
69-115
23-100
Ciò che colpisce, tuttavia, non è tanto o solo il valore assoluto ma la differenza tra
performance e verbali, a scapito delle performance negli Asperger (funzionano meglio
nelle prove verbali), invece il gruppo HFA funziona meglio nelle prove di performance
(come tutto il gruppo degli autistici più classici (vedi tabella 3).
Tab. 3 QI performance / QI verbale
58
QI
Range QIP
range QIV
A.S.
82-118
84-140
HFA
85-115
66-101
PDD-NOS
46-101
55-80
Quindi questo tipo di valutazione clinica differenzia bene queste due situazioni. Anche
i PDD-NOS funzionano meglio con le performance.
La CARS
La CARS purtroppo non risulta uno strumento particolarmente affidabile in queste tre
situazioni, perché la CARS verosimilmente funziona bene ad un livello medio di autismo
dove c’è un certo grado di ritardo e quindi in questi casi non rappresenta uno strumento
efficace ai fini di una distinzione.
Tab. 4 Valori CARS nelle tre categorie diagnostiche
A.S.
HFA
PDD-NOS
< cut-off
28.2
28.6
Eccetto 1 pz. (p. 33, 5aa)
Range (16.5-37.5)
Range (18.5-33)
L’età di esordio del linguaggio
In questo caso (tabella 5) vediamo che ben 11 pazienti su 15 nel gruppo Asperger hanno
un linguaggio con un’evoluzione e uno sviluppo completamente nella norma, solo in
quattro pazienti inizia con un lieve ritardo ma al momento in cui li vediamo all’osservazione è normale.
Negli HFA in ben 15 pazienti su 17 inizia più tardi, e la cosa si ripete anche nel caso dei
PDD-NOS (11 su 17), dove però abbiamo un paziente in cui è assente e tre che hanno
avuto un fenomeno di regressione.
Tab. 5 Linguaggio: età d’esordio*
A.S.
HFA
PDD-NOS
31 mesi/4 pz
(11 pz n.n.)
40 mesi /15 pz
(2 pz n.n.)
37 mesi /11pz
(2 pz n.n.;
1 assente, 3 regressione)
Range (24-42 mesi)
Range (24-60 mesi)
Range (24-42 mesi)
* Criterio: min. 5/6 parole all’età di 2 anni
59
Le caratteristiche del linguaggio
Il dato si riferisce all’osservazione durante la valutazione.
Fondamentalmente abbiamo considerato l’atipia rispetto al ritardo, cioè un linguaggio che
si caratterizza per anomalie a livello di prosodia, di pragmatica, inversioni pronominali,
stereotipie verbali e ossessività (vedi tabella 6). Negli Asperger l’atipia è presente in tutti
e quindici i pazienti, negli HFA è decisamente prevalente rispetto al ritardo ed è soprattutto
a livello pragmatico, nei PDD-NOS si rileva sia atipia che ritardo.
Quindi probabilmente questi soggetti rappresentano un gruppo diverso, un gruppo che ha
più commistioni con ritardi di sviluppo in generale, o ritardi di linguaggio che per la giovane età appaiono come disturbi della relazione.
Tab. 6 Linguaggio: caratteristiche
A.S.
HFA
PDD-NOS
Linguaggio attuale
Atipia: 15 pz
Atipia: 15 pz
Rit./atipia: 3
Ritardo: 1
Atipia: 15 pz
Rit./atipia: 9
Ritardo: 2
Assente: 1
Tipologie
Prosodia
Pragmatica
Scripts
Inv. Pronom.
Ecolalia
Pragmatica
Prosodia
Inversione Pronom.
Ossessività
Contenuti
Stereotipie verbali
Gergonofasia
Ecolalia
Inversione Pronom.
Pragmatica
Stereotipie verbali
L’età di insorgenza dei sintomi e loro tipologia
Abbiamo preso in esame l’età di insorgenza dei sintomi, così come ci sono stati raccontati
dai genitori, ovvero i primi sospetti che hanno attirato la loro attenzione. Nel gruppo Asperger è decisamente più alta rispetto agli HFA e rispetto ai PDD-NOS in cui sono evidenti i
primi segni, come osservati dai genitori, prima dei 24 mesi.
E quale tipologia di sintomi ha attratto la loro attenzione? Nel caso degli Asperger soprattutto sintomi relazionali, ovvero ci raccontano di bambini che se ne stavano per conto
60
loro, non rispondevano alle richieste, non cercavano gli altri, anche se potevano presentare una iperattività; abbastanza sovrapponibile per gli HFA, con maggior frequenza di problemi di comportamento e di linguaggio, mentre per i PDD-NOS c’è una forte commistione
tra problemi di linguaggio, del tipo ritardo e problemi relazionali.
Tab. 7 Età di insorgenza anamnestica
A.S.
HFA
PDD-NOS
Età media
39.2 mesi
27.8 mesi
22.4 mesi
Range
18-72 mesi
11-36 mesi
11-42 mesi
Tipologia
Relaz. / Comp. (7)
Relaz. (3)
Relaz. / Ster.-Oss. (2)
Relaz. / Ling. (2)
Ling. / Comp. (1)
Relaz. /Comp. (4)
Relaz. (4)
Relaz. /Rit. Ling. (1)
Ritardo Ling. (4)
Ling. / Comp. (4)
Relaz. / Comp. (3)
Relaz. (3)
Relaz. / Rit. Ling. (6)
Rit. Ling. / Comp. (4)
Relaz . /Comp. / Ling (1)
La modulazione emotiva
Spesso noi vediamo questi ragazzini che quando sono piccoli tendenzialmente sono ipominici, più sono grandi e più esagerano la loro mimica.
Si può dire che questo è particolarmente evidente negli HFA, dove la mimica appare nei
ragazzini più grandi eccessiva e caricaturale. Potremmo pensare, in via del tutto ipotetica, che in un certo senso abbiano esagerato la loro mimica perché hanno appreso un
“saper fare sociale”; tuttavia malgrado la loro intelligenza rimane il deficit di fondo interattivo e hanno appreso l’abilità in maniera un po’ meccanica, un po’ rigida, per cui
sono al limite del caricaturale; negli altri gruppi non appaiono dati così significativi (vedi
tabella 8).
Tab. 8 Modulazione emotiva: espressione verbale e mimica
Abbastanza modulata
Eccessiva e/o caricaturale
Ipomimia
A.S.
4
6
5
HFA
5
11
1
PDD-NOS
6
3
8
61
L’impaccio motorio
Anche in questo caso sono soprattutto gli HFA a caratterizzarsi per un impaccio motorio.
Tab. 9
A.S.
HFA
PDD-NOS
Impaccio globale
4
17
6
Motricità fine
3
0
0
Disgrafia
2
0
0
Posture Atipiche
1
0
0
Impaccio grafo-mot.
0
0
3
n.n.
4
0
8
Il coinvolgimento neurologico
Ritroviamo quasi esclusivamente anomalie elettroencefalografiche (EEG) ed epilessia nei
PDD-NOS, assenti negli altri due gruppi che annoverano solo anomalie cerebellari, descritte nei casi di autismo, anche se relativamente aspecifiche.
Tab. 10 Casistica: coinvolgimento neurologico
A.S.
HFA
PDD-NOS
2
(ipo. verme cerebellare)
1
(ipo. verme cerebellare)
0
Anomalie EEG
0
1
3
Epilessia
0
0
1
RM encefalo
62
Riflessioni sui dati
Il rapporto maschi e femmine è in accordo con quanto dice la letteratura, però differenzia
gli Asperger dagli HFA.
Più pregnante la valutazione cognitiva dove si evidenzia, come valori assoluti, una diminuzione graduale dagli Asperger ai PDD-NOS, ma appare rilevante la differenza fra Asperger e High Functioning con l’inversione del rapporto QI verbale-QI di performance.
La CARS in questi casi non ci appare uno strumento efficace per l’individuazione e la differenziazione diagnostica.
L’età di esordio del linguaggio potrebbe rappresentare un buon parametro differenziale
tra Asperger e high functioning, più difficile la discriminazione tra high functioning e
PDD-NOS.
Come abbiamo evidenziato l’età di esordio del linguaggio è mediamente più alta negli high
functioning, ovvero è presente un ritardo.
Il linguaggio è atipico soprattutto negli Asperger e anche, in gran parte, negli high functioning,
mentre nei PDD-NOS ci sono molti più elemento di ritardo.
Uno scorcio della Sala Oggioni del Centro Congressi “Giovanni XXIII” durante il convegno
63
L’età riferita di insorgenza dei sintomi differenzia bene tra Asperger e high functioning, ovvero gli Asperger sono visibili come tali, un po’ dopo rispetto agli high functioning, e la tipologia è soprattutto attinente al versante delle interazioni sociali, mentre i PDD-NOS
probabilmente hanno bisogno di essere caratterizzati meglio come gruppo, in quanto c’è
molta componente e molta commistione con il ritardo.
Il quadro clinico è visibile prima dei 24 mesi nei PDD-NOS e dopo i 24 mesi negli autismi ad
alto funzionamento, ad indicare ancora che il primo è verosimilmente un gruppo a sé stante.
La modulazione emotiva caratterizza bene gli HFA, nel senso di eccesso, appare quasi caricaturale, l’impaccio motorio è anch’esso prevalente negli HFA, quasi che fossero, in via
ipotetica, più caratterizzati come autistici rispetto alla sindrome di Asperger. Ed infine il
coinvolgimento neurologico non appare discriminante fra i tre gruppi.
Conclusioni
Dal nostro studio, malgrado sia ancora in progress e pur con tutte le cautele dovute alla numerosità della casistica, sembrano emergere alcuni elementi che spingono nella direzione
di due “cluster” distinti nell’ambito degli autismi ad alto funzionamento sia in ambito retrospettivo, in merito agli elementi anamnestici che a partire dall’osservazione clinica. Se
il significato di questi riscontri differenziali vada a configurare due gruppi distinti appare ancora un’ipotesi prematura, tuttavia sembra interessante almeno poter operare “ab inizio”
una distinzione fra soggetti con un nucleo patologico simile ma verosimilmente con diverse traiettorie di sviluppo e necessità riabilitative differenti. Parimenti può essere utile ai
fini di indagini genetiche o di diagnostica per immagini funzionali avere a disposizione casistiche con grandi numeri ma ben studiate in ambito fenotipico in modo da poter meglio
articolare raggruppamenti ed eventuali correlazioni. Per quanto attiene al gruppo dei PDDNOS, il nostro studio appare delineare un gruppo a parte rispetto agli autismi ad alto funzionamento (HFA e AS), non solo per più precoce insorgenza dei sintomi, prima dei 24
mesi, ma anche per la presenza di una maggior componente “ritardo” sia di sviluppo più
in generale che linguistico, con un sospetto maggior coinvolgimento neurologico. Difficile
pensare in questo caso ad un quadro che si pone “in continuum” rispetto agli altri due, appare più probabile l’ipotesi di una differente situazione clinica, verosimilmente ancora poco
conosciuta e per questo “contenitore” di situazione limite accomunata da alcune difficoltà
relazionali e comunicative. Per concludere è chiaramente azzardato trarre conclusioni in
questa prima fase di raccolta dati; tale studio si pone nell’ottica di poter meglio indirizzare
i nostri sforzi futuri tesi a proseguire confronti sistematici fra categorie diagnostiche più e
meno definite con manifestazioni fenotipiche che si dipanano su un continuum di funzionamento e che sono incluse in questa cornice clinica dimensionale, ancora per molti aspetti
mal conosciuta, che va sotto il nome di “autismo”.
64
Consapevolezza emotiva e abilità sociali:
esperienze cliniche
Roberta Truzzi *
Buonasera a tutti, vi chiedo ancora qualche minuto di attenzione, sperando che, dopo il
break, l’attenzione si sia ristabilita. Innanzitutto volevo ringraziare coloro che hanno organizzato questo convegno che mi hanno invitata a partecipare, perché partecipare ai convegni è sempre molto emozionante, ma nello stesso tempo offre anche la possibilità di
riflettere su quella che è la mia esperienza clinica quotidiana. Inoltre volevo – permettetemi un attimo – ringraziare pubblicamente la Dottoressa Visconti con cui sto lavorando
ormai da sei anni e che mi ha permesso di osservare un ampio numero di bambini, con caratteristiche diverse e ciò ha contribuito ad un’esperienza professionale e umana importante.
Quindi, quello che abbiamo elaborato insieme oggi è proprio frutto di questa nostra esperienza clinica; in particolare io parlerò di alcuni casi di bambini entrati nell’età dell’adolescenza o della pre-adolescenza, con disturbo autistico ad alto livello di funzionamento e
sindrome di Asperger che sono giunti alla nostra osservazione.
L'immagine iniziale, accanto al titolo del mio intervento, che rappresenta la tela di Chagall,
“Il compleanno” (1915), mi dava l’idea di un insieme di emozioni e sentimenti raffigurati
in un unico dipinto, cioè la sorpresa, la tenerezza e l’innamoramento. E proprio le emozioni
rappresentano il punto centrale del mio intervento di oggi.
Se noi guardiamo questa immagine, che fa parte delle carte “Emotion” della Favelliana
che cosa si osserva? Quali possono essere i pensieri o le emozioni di questi due ragazzi?
Sicuramente è qualcosa di molto complesso, si potrebbe individuarne tante, quali l’imbarazzo, la vergogna, l'attrazione, la tenerezza. Chiaramente già è complessa questa immagine per noi, figuriamoci se dovesse essere interpretata o verbalizzata da ragazzini con
autismo ad alto livello di funzionamento o con sindrome di Asperger.
Nella mia pratica clinica questa immagine è molto difficile da interpretare e molto spesso
i ragazzini rispondono che i due personaggi della fotografia stanno osservando qualcosa
sul pavimento.
È molto più semplice un compito di tipo cognitivo e visuo-spaziale, in cui si chiede ai soggetti di completare una sequenza (subtest Leiter-R). Questo compito per un bambino di dodici anni, Alberto, con autismo ad alto livello di funzionamento, è risultato molto semplice
* Psicologa - U.O. Neuropsichiatria Infantile - Ospedale Maggiore - Bologna
65
in quanto ha impiegato pochi secondi per completare la sequenza. Mentre non è riuscito
a comprendere la foto raffigurante le emozioni più complesse spiegata in precedenza.
Un altro esempio, mutuato dal subtest Vocabolario della Scala di Intelligenza (WISC-R): una
bambina con sindrome di Asperger di nove anni alla domanda di che cosa significhi “estinguere” mi ha risposto con un esempio “Il noa si è estinto per una caccia senza limiti”.
Per soggetti con questo tipo di disabilità è molto più facile rispondere ad item che fanno
parte del vocabolario della WISC-R, piuttosto che a frasi di questo tipo che fanno sempre
parte dello stesso test. Cioè: “Come ti comporti se dalla finestra di un tuo vicino vedi uscire
un fumo denso e nero?”, “Eh, chiudo le finestre” ha risposto molto concretamente la stessa
bambina.
Un altro ragazzino mi ha risposto: “Ma, io devo andare a scuola se no faccio tardi e perdo
l’autobus”.
In altri termini questi bambini e ragazzi con Disturbo Generalizzato dello Sviluppo (DPS)
rimangono ancorati al dato concreto, percettivo e difficilmente riescono a mettersi nei
panni altrui.
Questi sono solo alcuni esempi che abbiamo tratto dalla nostra esperienza clinica e che
fanno riflettere su quanto questi ragazzini abbiano difficoltà sia nel trarre inferenze di tipo
emotivo-sociale che nel mettersi nei panni degli altri.
Quindi, le abilità sociali, quelle che noi chiamiamo “abilità sociali”, a seconda dell’età del
bambino, non sono un tutto o nulla ma possiamo immaginarle in un continuum a partire
dall’intersoggettività primaria e secondaria per poi passare a riconoscere e comprendere le
emozioni legate ad una determinata situazione, fino a script sociali più complessi quali il
comprendere come mi devo comportare e come devo modulare il mio comportamento in
relazione agli altri.
Quindi, anche l’insegnamento e in generale i training sulle abilità sociali devono procedere lungo un continuum in cui si tenga conto sia dell’età del bambino che delle difficoltà
emerse. Occorre prendere in considerazione diversi tipi intervento, che possano in parte
anche procedere in parallelo, come ad esempio la TED (teoria di scambio e di sviluppo) per
implementare l’intersoggettività primaria e secondaria, oppure il training sulla teoria della
mente per quanto riguarda l’empatia, cioè intesa da molti autori come capacità cognitiva
di inferire stati mentali altrui a partire da una data situazione. Infine vi sono i training sulle
abilità sociali volti ad implementare capacità quali iniziare e mantenere una conversazione,
saper chiedere aiuto, ecc.
Ora vediamo quali sono le cause alla base delle difficoltà in ambito sociale ed emotivo.
Le teorie neuropsicologiche, che hanno avuto un grande spazio nel passato recente e ancora
oggi hanno una grande importanza, prevalentemente cognitive, individuano i deficit pragmatici di comunicazione sociale come carenze cognitive congenitamente determinate.
In particolare modo, la Dott.ssa Visconti vi ha già parlato del deficit delle funzioni ese66
cutive, e poi anche la Dottoressa Olga Bogdashina ha parlato per esempio di come le difficoltà di Gestalt derivino da un deficit di coerenza centrale. Dati questi due deficit (delle
funzioni esecutive e di coerenza centrale) il mondo esterno viene percepito dal bambino
con autismo in modo estremamente frammentato. Anche la teoria della mente, che
prenderemo in considerazione in modo più specifico, è una teoria cognitiva neuro-psicologica e risulta deficitaria in bambini affetti da DPS.
La teoria della mente viene definita come la capacità, e in questi bambini quindi come l’incapacità, di attribuire a sé e agli altri degli stati mentali.
La difficoltà a compiere delle inferenze, per cui è stato detto che i bambini con autismo sono
dei “ciechi sociali”, si traduce in difficoltà nel comprendere le emozioni, i pensieri e gli stati
mentali delle altre persone.
Come possiamo verificare questo? Attraverso il test della teoria della mente di primo livello.
È la storia di due bamboline (Sally e Ann), e una di queste nasconde un oggetto in una
cesta, poi se ne va, esce dalla stanza. Successivamente l’altra bambolina, che è molto dispettosa, cambia posto all’oggetto, lo mette in un'altra scatola. Quando torna la prima bambolina si chiede al bambino dove andrà a cercare Sally il suo oggetto? È chiaro che noi tutti
rispondiamo sicuramente che lo andrà a cercare nel posto dove l’aveva riposta prima di
uscire, perché ci siamo messi nei panni di questa bambolina che è uscita dalla stanza e
non ha visto quello che è successo dopo. Invece bambini con autismo rimangono ancorati
al lato percettivo, per cui affermano che sicuramente andrà a cercarlo nell'ultima scatola
dove era stato spostato dalla bambola dispettosa.
Quindi, questo è un test molto semplice e pratico che ci permette di valutare se i bambini
hanno acquisito una teoria della mente, dunque se riescono a mettersi nei panni di qualcun altro.
Poi c’è anche una teoria della mente di secondo livello di cui è bene fare un accenno perché è uno strumento utilizzato nel raccogliere i dati con alcuni soggetti afferenti all’Ambulatorio Autismo.
Allora, questa è la teoria della mente avanzata, che abbiamo estrapolato dalle ricerche ed
abbiamo messo sul computer perché per questi bambini lo strumento informatico – come
ha affermato prima la Dott.ssa Visconti – rappresenta un mezzo molto accattivate e motivante e dunque utile per ottenere la loro attenzione e collaborazione.
La storia è questa: il nonno sta per partire per un viaggio e quando deve salutare Giulia e
Marco regala loro la cioccolata, ma dice che la possono mangiare solo dopo aver fatto i compiti e, quindi, dice di riporla nel frigorifero.
I due bambini mettono la cioccolata nel frigorifero e poi escono fuori a giocare; tuttavia
Marco, uno dei due bambini, che è molto goloso, di nascosto va al frigorifero, si prende la
cioccolata, la mette nel suo zaino ed è molto felice. Però non si era accorto che nel frattempo Giulia lo stava guardando dalla finestra. E questo viene detto ai ragazzini.
67
Giulia aveva osservato in realtà tutto l'accaduto e quindi sapeva.
Dopo si chiede al bambino: secondo Marco dove pensa che Giulia andrà a cercare la cioccolata? È chiaro che lui dovrebbe rispondere secondo Marco nel frigorifero, invece dov’è
realmente la cioccolata? Nello zaino, perché? Perché Giulia nel frattempo aveva visto alla
finestra.
Quindi è un compito ancora più complesso che implica anche una capacità di comprensione verbale effettivamente molto elevata.
Dalla nostra esperienza clinica i bambini con autismo fanno molta fatica sia nella teoria della
mente di primo livello che di secondo livello.
In generale abbiamo visto che bambini con sindrome di Asperger riescono a superare quella
di primo livello e incontrano difficoltà, anche se a volte riescono con successo, in quella di
secondo livello. Ricerche longitudinali (Steele, 2003) hanno mostrato che training di compiti, sia verbali che non verbali, di teoria della mente facilitano l'acquisizione della comprensione degli stati mentali altrui. Inoltre hanno evidenziato che quanto più l’intervento
è precoce tanto migliori saranno le acquisizioni e la generalizzazione, cioè la trasposizione
di questi compiti nella vita quotidiana. In effetti, come ho accennato prima, i bambini con
sindrome di Asperger molto probabilmente superano compiti di teoria della mente anche
di secondo livello, ma il problema è che molto spesso non traducono tutto ciò nella loro
vita quotidiana. Sappiamo bene quanto le situazioni sociali si presentino ogni volta variegate e diversificate. Quindi non sempre bambini che superano compiti così strettamente
cognitivi e strutturati riescono poi a generalizzarli nella vita di tutti i giorni.
Tuttavia Steele sostiene che un intervento precoce sulla teoria della mente può aiutare i
bambini a superare i compiti di false credenze e a mettersi nei panni degli altri, però è necessario anche un intervento sul piano comunicativo linguistico, fattore predittivo importante per il superamento di compiti di teoria della mente.
Un altro studio importante è (Gallagher et al., 2000) volto a rilevare la presenza o meno
di un correlato neuro-anatomico. Ciò è stato valutato attraverso la risonanza magnetica
funzionale ed è stato evidenziato che in compiti di teoria della mente verbali, e non verbali, si attivava principalmente, in soggetti normali l’area mediale. Tale dato sembra far rilevare che l'acquisizione della teoria della mente sia indipendente dal livello linguistico
posseduto.
Poi un altro concetto correlato con la teoria della mente, anche se con valenza più ampia,
è il concetto di empatia.
Baron-Cohen nel 2004 ha svolto una ricerca in cui ha tentato di mettere insieme le teorie
cognitive e quelle emotive. In particolare afferma che nell’empatia vi sia una parte più
strettamente cognitiva, cioè la teoria della mente, e una parte più affettiva ossia la reazione
emotiva allo stato affettivo dell’altra persona, cioè come reagisco io quando vedo che un'altra persona è triste o quando vedo che un’altra persona è arrabbiata.
68
Effettivamente Baron-Cohen intende anche quest’ultimo aspetto come empatia congenitamente determinata che negli autistici appare con figurarsi come un disordine primario;
infatti ha cercato attraverso questi due sistemi (cognitivo ed affettivo) di elaborare un quoziente emotivo attraverso uno strumento di self-report cioè di autovalutazione somministrato sia a soggetti normali, che sono quelli tratteggiati, cioè che non avevano una diagnosi
particolare, sia a soggetti con autismo ad alto livello di funzionamento oppure con sindrome di Asperger.
Effettivamente, come si osserva dal grafico, i punteggi di questi soggetti con autismo ad alto
funzionamento e sindrome di Asperger sono significativamente più bassi rispetto a quelli
di controllo. È chiaro che l'autore ha supposto un disordine di empatia congenitamente determinato.
Un esempio degli items previsti nello strumento self-report: “trovo spesso difficoltà se devo
dare giudizi, se qualcosa è giusto o sbagliato”.
L'aspetto di criticità è che questo tipo di item contiene termini molto astratti che nella nostra esperienza clinica abbiamo appurato essere molto difficili da comprendere per questi
soggetti, anche se di età fra i 16 e 17 anni. Il campione di soggetti della ricerca doveva esprimere il proprio grado di accordo o disaccordo secondo una scala a più livelli. Effettivamente rappresentano quesiti molto difficili per questo tipo di soggetti.
Un'altra ipotesi alla base dei deficit sociali ed emotivi, indagata più recentemente, è rappresentata dalle teorie neurofisiologiche, come per esempio quelle sviluppate da Gallese
(2004) che attraverso studi di risonanza magnetica funzionale ha trovato un funzionamento dei neuroni a specchio in determinate aree celebrali. I neuroni a specchio sarebbero implicati in quelli che sono i meccanismi di imitazione motoria che permettono
all’altra persona di entrare in contatto con il vissuto della persona che ha di fronte.
Quindi, in breve, l'ipofunzionamento dei neuroni a specchio in soggetti con autismo, implica un deficit di consonanza intenzionale, ovvero della difficoltà di percepire significati
condivisi con l’Altro. E questo, secondo Gallese, farebbe sì che non vi siano, a livello
congenito, le abilità necessarie per entrare in contatto con le altre persone e comprendere
i loro stati mentali.
Questa sua ipotesi ha avuto una conferma in uno studio recente (Dapretto M., et al. 2006)
in cui sono stati confrontati, con risonanza magnetica funzionale, gruppi di controllo con
soggetti con disturbo pervasivo dello sviluppo in compiti di riconoscimento delle emozioni
visive. I risultati indicano che in tali compiti le aree del giro frontale inferiore si attivano in
maniera più estesa nei soggetti “normali” rispetto ai soggetti con DPS, e per di più sono le
stesse aree in cui sono stati trovati molti neuroni a specchio. Questo significa che, in compiti di riconoscimento visivo delle emozioni, i soggetti con DPS sembrano avere un deficit
primario, a livello corticale di ipo-funzionamento, e questo dà l’idea che effettivamente lo
spettro autistico, il disturbo autistico ad alto livello di funzionamento o comunque in ge69
nerale la sindrome di Asperger abbiano alla base un disordine di empatia primaria, cioè
congenitamente determinata.
Poi però questo non significa che non si debbano valutare le abilità sociali anche più complesse
attraverso la Scala di Adattamento Vineland e prevedere, proprio perché il punto di debolezza
maggiore che troviamo in questi soggetti è relativo al versante della socializzazione, un training di abilità sociale sulle emozioni che chiaramente dovrà essere individualizzato.
Le abilità sociali più complesse si possono individuare, ad esempio attraverso la griglia di
Attwood (2000), dove vengono menzionate in ordine di crescente complessità, la capacità
di entrare in una conversazione, la capacità di chiedere aiuto, la capacità di ricevere o fare
complimenti, di ricevere delle critiche, di accettare consigli, la reciprocità e la capacità di
risolvere un conflitto. Tutte queste abilità possono essere insegnate e ciò rappresenta il fine
di quel continuum sul versante sociale di cui avevo accennato inizialmente.
E come possiamo tradurre questo nella vita quotidiana?
Noi abbiamo provato, con alcuni ragazzini dagli 8 ai 14 anni con diagnosi di autismo ad
alto livello di funzionamento, ad attivare training di abilità sociali per
accrescere delle competenze sociali
di tipo integrato sia a livello emotivo che a livello di interazione sociale.
Tutti avevano un QI verbale al di
sopra di 69 e quindi in qualche
modo riuscivano a mantenere una
semplice conversazione, a condividere una comunicativa. Il training
sulle abilità sociali è stato pensato secondo una metodologia strutturata
che permettesse un apprendimento
di quelli che sono gli schemi sociali
tramite la via cognitiva, perché,
come abbiamo detto prima, soggetti
con DPS hanno un deficit di empatia congenitamente determinata,
quindi occorre aggirare l’ostacolo e
fornire loro degli strumenti tramite il
canale cognitivo.
Abbiamo visto che, dapprima attraverso l'input teorico e poi con il moI corsisti concentrati nell’ascolto degli interventi
70
dellamento, cioè il vedere il modello agire un determinato schema sociale, successivamente
attraverso il role-playing si è potuto verificare a medio e lungo termine che gli schemi sociali
appresi in un setting molto strutturato si potevano generalizzare nelle situazioni di vita normale. È chiaro che ogni training deve essere individualizzato in modo tale che per ogni ragazzo si amplino schemi sociali specifici adatti ai bisogni rilevati insieme alla famiglia. È
inutile insegnare la socializzazione o l’integrazione all’interno di una classe a livello generale, ma occorre ritagliare un progetto a misura di quel bambino o di quel ragazzo che avrà
un livello di competenze e di abilità specifiche. Facciamo l’esempio di un bambino che noi
abbiamo visto e che continuiamo a seguire, adesso oramai è un ragazzo, la sua difficoltà sociale era quella di salutare tutti indiscriminatamente. Quindi pensate la fatica per un genitore ad andare in giro con questo ragazzo che doveva salutare ogni persona incontrata,
chiedere quanti anni aveva, che macchina aveva, di che colore era la sua macchina. Tutto
ciò era estremamente faticoso per i genitori e non funzionale alla socializzazione del ragazzo e, quindi, è stato pensato un training su “conosciuto e sconosciuto”.
Come faccio a sapere se una persona la conosco oppure non la conosco, e come mi devo
rapportare con gli sconosciuti e con le persone che conosco. Anche questo è stato un passaggio molto importante.
Ora vi porto l’esperienza di Fabio, che è un ragazzo su cui abbiamo sperimentato un training sulle abilità sociali; abbiamo rilevato insieme alla sua educatrice, all’insegnante di sostegno e alla famiglia i bisogni principali in ambito sociale. Fabio è un ragazzo che
attualmente ha 17 anni, quando abbiamo iniziato ne aveva 15; è un ragazzo con disturbo
autistico ad alto livello di funzionamento, e degli aspetti estremamente caricaturali con un
discreto adattamento all'ambiente di vita, grazie soprattutto al lavoro svolto molto precocemente in collaborazione con i servizi territoriali e con l’ambulatorio autismo.
Inoltre lui ama tantissimo il computer ed è molto abile ad apprenderne l’utilizzo. Tuttavia
sia i genitori che gli insegnanti hanno notato importanti difficoltà nella gestione e nella regolazione delle emozioni. Come affermato in precedenza dalla Dott.ssa Visconti, Fabio
aveva comportamenti non adattivi se succedeva qualcosa di imprevisto oppure se vedeva
qualcosa che a livello percettivo gli dava fastidio come ad esempio un estintore. Quando
per la prima volta in un corridoio della scuola Fabio ha visto un estintore, la sua reazione
di terrore si è manifestata gettandosi a terra e facendo l'urlo della foca (come successivamente lo ha definito lui stesso). Un altro avvenimento che provocava una difficile regolazione delle emozioni era quando si dimenticava la cartellina di disegno a casa e iniziava ad
urlare e a tirare i capelli agli insegnanti che non potevano fare niente durante l’intera mattinata scolastica.
Quindi si è deciso, date le sue capacità al computer, di prevedere un training sulle abilità
sociali che partisse dalla consapevolezza emotiva. Sono stati costruiti i materiali attraverso
il pc insieme a Fabio, attraverso Contatto Win (Anastasis) che è una modalità autore che
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permette la personalizzazione degli elaborati. Questa modalità ha permesso di creare diversi
elaborati e di aggiungere anche il sonoro. Fabio così è riuscito a scrivere un pensiero spontaneo: “mi sono divertito molto a registrare le voci, con il microfono perché mi piacciono
molto le faccine”.
Prima si è proceduti a costruire uno schema cartaceo insieme all’insegnante della situazione
reale, da lui vissuta, che gli creava disagio, e poi è stata trasposta a computer in modo tale da generalizzare il più possibile gli apprendimenti, in seguito è stato verificato nella situazione reale.
Si è partiti dalla situazione reale, concreta che poteva quindi maggiormente attrarre il ragazzo e ancorarlo a questo compito, perché svolgere training su abilità più generali come
il “sapere ascoltare” non è funzionale ad ottenere attenzione e interesse.
Ad esempio la situazione reale è: Fabio si è dimenticato a casa la cartellina di disegno
tecnico.
E quindi che cosa succede? Fabio si arrabbia, comportamento reale, tira i capelli a Francesca, la sua educatrice, e la conseguenza reale è che Fabio si agita sempre di più e non ottiene la cartellina. Quindi Fabio è triste e agitato. L’accento sull'emozione veniva sempre
tradotto visivamente tramite l’utilizzo di faccine stilizzate a cui si associava anche lo stimolo
sonoro, con la sua voce.
A questo punto l’educatrice, l’insegnante danno lo schema corrispondente ad un comportamento alternativo: se succede che Fabio si dimentica la cartellina non si deve agitare, ma
può telefonare a casa per farsi portare la cartellina.
Questa è la situazione.
Conseguenza: Fabio è tranquillo, tiene la cartellina.
Ecco, questo è stato quello che praticamente si è dato, si è offerto come alternativa a questo comportamento che implicava disagio in lui e anche negli operatori che lavoravano per
lui, e quindi ha permesso poi al ragazzo di elaborare più facilmente le emozioni e di associarle agli eventi vissuti.
Successivamente ha rielaborato lo schema attraverso il disegno: Fabio è triste, vedete qua
perché non ha la cartellina, l’ha elaborato lui. Fabio è arrabbiato, tira i capelli all’insegnante,
oppure Fabio è felice e telefona; inoltre ha estrapolato una regola generale: “anche se mi
dimentico a casa un oggetto sono triste e mi agito, ma non devo arrabbiarmi posso invece
telefonare a casa e chiedere di portarmi l’oggetto”.
Infine la regola generale è stato trasposta al computer attraverso uno schema visivo e ciò
ha permesso a Fabio di collegare altre due situazioni vissute a scuola, in cui ha avuto un
comportamento non adeguato.
Secondo i genitori ora Fabio sembra più capace di verbalizzare i propri stati emotivi.
Tutto ciò induce ad alcune riflessioni quali: l’intervento sulle abilità sociali deve tenere
conto di tappe specifiche sul continuum, per esempio nel training sulle abilità sociali con
Fabio non si è potuti prescindere dall'implementare la consapevolezza emotiva, dunque
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collegare il proprio comportamento a dei vissuti emotivi e quindi fornire comportamenti
alternativi.
Un’altra riflessione è che resta necessario comunque per i ragazzini più grandi, anche ad
alto livello di funzionamento o con sindrome di Asperger, un intervento sulle abilità sociali.
E questo è importante perché non sono bambini che rifiutano il contatto con gli altri, anzi
lo ricercano, tuttavia non hanno diciamo istintivamente degli strumenti per avere a che fare
con gli altri in modo funzionale.
E se non si interviene che cosa succede? Questi ragazzini crescono e aumenta la loro consapevolezza sull’essere diversi, come affermato da una ragazzina con sindrome di Asperger “io odio essere una figlia di Hans Asperger”, e ciò può dar luogo a disturbi dell’umore,
o vissuti di ansia e depressione importanti.
Inoltre abbiamo notato che un efficace intervento sull’abilità sociale non può prescindere
da un intervento sulla teoria della mente, e l'intervento sarà ancora più efficace se utilizzeranno non solo il computer ma tanti altri sistemi come il training di gruppo o anche il
compagno tutor.
L’importante quindi è avere come obiettivo ultimo la generalizzazione, cioè estendere
quello che il bambino ha appreso nel compito con l’insegnante anche in contesti di vita,
ed è un fattore determinante il quoziente verbale, in quanto chiaramente, maggiore è il
livello linguistico raggiunto maggiore sarà la capacità di riflettere sulla propria esperienza
e di avere uno scambio con l’Altro.
Un altro fattore fondamentale è la rete che ha permesso questo intervento: la scuola, la famiglia, i servizi, noi dell’ambulatorio chiaramente, e Fabio.
Il training sulle abilità sociali sperimentato con alcuni ragazzini ci ha fatto riflettere su come
possa evolvere nel tempo l'acquisizione dell'empatia in soggetti con livello intellettivo nella
norma e con un livello di acquisizione linguistica relativamente adeguato.
Da qui abbiamo pensato di iniziare una ricerca clinica qualitativa alla luce anche delle ultime ricerche.
Abbiamo esaminato un campione al momento attuale molto ridotto, di quattro soggetti, due
soggetti con sindrome di Asperger, un maschio e una femmina di 14 e 15 anni, e due soggetti con autismo ad alto livello di 13 e 17 anni sempre un maschio e una femmina che
avevano tutti i quattro un QI uguale o superiore comunque a 70. All'interno del gruppo di
soggetti esaminato un ragazzino con sindrome di Asperger aveva un QI di 140, quindi significativamente al di sopra rispetto alla media, e un altro di 120-130.
La scelta su questi quattro soggetti è data dal fatto che solo su di essi era stata somministrata
una serie di compiti e di test, quali la teoria della mente di primo e secondo livello citate
in precedenza, le carte immagini “Emotion” (Favelliana) in cui dovevano verbalizzare le
emozioni raffigurate e le carte immagine “What’s wrong” che contenevano delle situazioni
buffe e bizzarre, in cui dovevano cercare di comprendere l’elemento ironico. Inoltre è stato
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somministrato un test psicodiagnostico proiettivo (MRO), a nostro parere più adeguato ad
esplorare i vissuti degli adolescenti relativi alle relazioni interpersonali (rispetto agli strumenti self-report citati nella ricerca di Baron-Cohen).
MRO è un acronimo per Modello delle Relazioni Oggettuali, uno strumento psicodiagnostico proiettivo che utilizza la tecnica delle frasi incomplete per delineare quelli che sono
i profili delle relazioni nell'adolescente, cioè la percezione interna dei rapporti emotivamente significativi.
Un esempio: ai ragazzi viene chiesto di completare delle frasi del tipo “mio padre ed io…” oppure: “Io penso che la mia famiglia…” oppure altre fasi sul futuro: “Il futuro mi sembra…”.
Dal punto di vista della nostra esperienza clinica noi abbiamo notato una maggiore facilità
nel somministrare questo secondo tipo di strumento e una comprensione più affidabile e
realistica dei vissuti emotivi dei soggetti a cui è stato somministrato. Per contro gli strumenti
self-report a domande chiuse contengono diversi tipi di concetti astratti per cui le risposte
in soggetti con DPS tendono a esprimere vissuti contraddittori spesse volte esprimendo
preferenze casuali, presentando così un basso indice di affidabilità.
La scelta su questo strumento proiettivo è data dal fatto che presenta minore ambiguità rispetto a strumenti self report rivolti ad adolescenti, ed ottiene dei dati su quattro aree: dimensione del sé, familiare, psicosessuale, interpersonale.
Lo scopo della nostra indagine preliminare di tipo qualitativo era verificare se i soggetti che
avevano un’acquisizione di una teoria della mente avevano maggiore facilità nel completare il test proiettivo, e poi se esistono delle dimensioni in cui incontrano maggiori difficoltà
e quali sono le differenze e da cosa dipendono.
L'analisi dei risultati alle diverse prove evidenzia che il maggiore livello intellettivo si correla con risposte più articolate. Facciamo un esempio all'item “mio padre ed io...”, un ragazzino con alto livello di funzionamento, però con un QI ai limiti della norma, ha risposto
“Mio padre e io andiamo a fare la spesa” restando dunque ancorato al concreto.
Un altro invece, con sindrome di Asperger, ha detto: “Parliamo spesso insieme e anche litighiamo” quindi un concetto molto più ampio e generale rispetto ai vissuti emotivi.
Indubbiamente abbiamo osservato che migliori capacità linguistiche si correlano con risposte più articolate; soggetti con autismo ad alto livello di funzionamento forniscono risposte più sintetiche e maggiormente ancorate ad un dato concreto “Mia madre ed io
giochiamo insieme, mia madre ed io facciamo la spesa”. L’acquisizione di compiti di teoria della mente di secondo livello influenza positivamente la capacità di “insight”, cioè
di comprensione dei propri vissuti emotivi rispetto a determinate situazioni. Infatti, i
due soggetti con sindrome di Asperger riuscivano ad esplorare più in profondità dinamiche personali e relazionali. Vi porto un esempio, la ragazzina di cui vi ho parlato prima,
(“Odio essere una figlia di Hans Asperger”) ha completato questa frase: “Se penso a
quanto ero piccola... e chi ci pensa? Ho avuto tanta sfortuna, ho fatto le elementari da
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inferno e anche le medie. Non sono riuscita a stare più di un anno”. Quindi è riuscita
comunque ad esplorare le emozioni e gli stati d'animo collegando insieme diverse esperienze del suo passato.
Le dimensioni in cui emergono maggiori difficoltà per i 4 soggetti sono quelle relative al
futuro e al passato. Alle frasi da completare tipo “Il futuro ti appare…” quasi tutti, tre su
quattro, hanno detto: “Ma, non lo so, a questa domanda non so rispondere non vedo il futuro, non penso al futuro”. E anche il passato, perché effettivamente per loro funziona
quasi esclusivamente una memoria episodica.
Un altro elemento emerso è la difficoltà nell’esame di realtà, ovvero abbiamo notato che
soprattutto quelli che avevano una maggiore capacità di articolazione sia di pensiero che
di linguaggio, non è detto che avessero un adeguato esame di realtà, perché o tendevano
all’iper-idealizzazione dei vissuti o ad un’iper-svalutazione. Ad esempio Mario, un ragazzino
con il QI di 140, alla domanda: “Mio padre ed io…” ha risposto: “Abbiamo un rapporto
bellissimo perché parliamo insieme di tante cose e quando c’è qualcosa che non va lui mi
aiuta sempre a risolvere i miei problemi”. Questo è un ragazzino di 16 anni in piena adolescenza in teoria, invece ha tutte queste risposte estremamente idealizzate. Un altra sua
risposta: “Se penso ai miei compagni ...chiederei a loro di dire ai propri genitori di stargli
più vicino per aiutarli a risolvere i loro problemi”. E questo ci fa comprendere come soggetti con alto livello intellettivo, magari con un linguaggio molto articolato come si trova
nella sindrome di Asperger, facciano fatica proprio a elaborare pensieri più strettamente
spontanei e personali. Verosimilmente, grazie a d un buon livello cognitivo, questi ragazzi
hanno appreso degli schemi sociali, ad alto livello di desiderabilità sociale, che poi applicano nel corso della propria vita con un discreto livello di adattamento all’ambiente.
Infine questo strumento è utile per valutare quelle che sono le componenti depressive e ansiose che possono insorgere in questi preadolescenti e adolescenti con autismo ad alto funzionamento e sindrome di Asperger. Questo dato è da tenere in considerazione per quanto
riguarda le implicazioni sul trattamento.
Grazie per l’attenzione.
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Riferimenti bibliografici
– Attwood, T. (2000), “Strategies for improving the social integration of children with
Asperger Syndrome”, Autism 4(1): 85-100
– Baron-Cohen, S., Wheelwright, S. (2004), “The Empathy Quotient: An investigation
of Adults with Asperger Syndrome or High Functioning Autism and Normal Sex Differences”, Journal of Autism and Developmental Disorder, 34, 2,163-173
– Dapretto, M., Davies, D.M., Pfeifer, J.H., Scott, A.A., Sigman, M., Bookheimer,
S. & Iacoboni, M. (2006), Nature Neuroscience, Vol. 9, n.1, 28-30
– Gallagher, H. L, Happé F, Brunswick N, Fletcher PC, Frith U, Frith CD (2000), “Reading the mind in cartoons and stories: an fMRI study of ‘theory of mind’ in verbal and
nonverbal tasks”, Neuropsychologia 38(1): 11–21
– Steele, S., Joseph, R.M.,Tager-Flusberg, H. (2003), “Brief report: Developmental
Change in theory of Mind Abilities in Children with Autism”, Journal of Autism and
Developmental Disorder, 33, 461-7
– Gallese, V., Eagle, M., Migone, P., (2004), “La Simulazione Incarnata: I Neuroni Specchio e Le Basi Neurofisiologiche dell’Intersoggetività”, Psicoterapie e scienze Umane,
XL, 3, 543-580
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I problemi legati alla percezione sensoriale
nei disordini dello spettro autistico
Olga Bogdashina *
16 dicembre 2006
Credo che molte anomalie sensoriali possono essere alla base di molti se non di tutti i comportamenti che sembrano non appropriati o bizzarri.
Si tratta di menomazioni dell’immaginazione, della relazione sociale e della comunicazione, che costituiscono la triade di cui parlavamo ieri. Sono quello che vediamo, ma sono
causate da qualcosa che non conosciamo. Non conosciamo ancora le cause biologiche dell’autismo, anche se vengono condotte molte ricerche su questo argomento.
Per questo è di estrema importanza comprendere come funzionano i sensi, come si formano le percezioni, come le persone con autismo sviluppano le proprie capacità e come
pensano.
Percezione
Stimolo
→
Sensazione
→
Interpretazione
→
Comprensione
Abbiamo preso in considerazione ieri il processo della percezione: prima vediamo qualcosa, siamo al livello della sensazione, senza sapere ancora di cosa si tratta; poi passiamo
all’interpretazione, dalla quale formiamo i concetti, cioè completiamo la percezione.
I concetti portano ordine nella nostra vita, la rendono più semplice.
I concetti portano ordine
Per esempio, il disegno nella pagina seguente rappresenta sei animali estremamente diversi tra loro: sono di colore, di odore diverso, si muovono in maniera differente, ma per
noi queste sei creature appartengono tutte alla stessa categoria di “gatto” e possono essere
incluse in un’unica casella.
* Psicologa; Docente all’Università di Birmingham; Presidente Associazione Autismo Ucraina
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“Un gatto”di Ian Wilson
Pertanto il concetto porta ordine all’interno della nostra vita.
Per esempio in questa diapositiva, riuscite a vedere un cane dalmata? Un dalmata con il
naso rivolto verso terra? Riuscite a vederlo?
Macchie nere o
un cane dalmata?
Bene, se lo vedete siete in errore perché non c’è nessun dalmata, ma soltanto puntini neri
su di uno sfondo bianco. Ma dato che noi abbiamo nella nostra testa questo concetto del
cane dalmata, lo vediamo nella diapositiva. Capite che cosa voglio dire? Imponiamo, dall’interno della nostra mente, dei significati a quello che vediamo.
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La nostra percezione normale è reale, ma a volte può essere sbagliata. Quando vediamo, pensiamo di vedere il tutto? Se vi mostrassi la fotografia di una persona al contrario, la riconoscereste comunque? Credete di riconoscere una persona anche se la fotografia è capovolta? Ora
vi mostro la stessa fotografia nella giusta posizione. Siete riusciti a capire chi era oppure no?
Le vostre percezioni funzionano molto male. Non vedete quello che c’è realmente, ma
giungete subito alla conclusione. Pensavate di aver riconosciuto quello che c’era nella foto
e avevate torto.
Questo è l’ultimo esempio che voglio fare.
Cos’è questo secondo voi? Ormai sapete tutti che non si tratta di un triangolo, il triangolo
in realtà non esiste. La vostra percezione, il vostro cervello vi impone questo significato dall’interno, dal momento che avete questo concetto di triangolo. Questo è il motivo per cui
vedete un triangolo anche laddove il triangolo non esiste e sarete d’accordo con me che la
nostra percezione a volte non funziona molto bene perché il mondo reale e la nostra immagine reale del mondo sono diversi.
Noi vediamo quello che vogliamo vedere e l’informazione preveniente dai sensi è influenzata dall’informazione interna. Vediamo quello che abbiamo già all’interno della nostra mente e, con l’età, distorciamo ancora di più quello che percepiamo. Più invecchiamo
meno vediamo e la nostra interpretazione del mondo è basata proprio sulla nostra memoria e sulla nostra esperienza. Vediamo quello che sappiamo.
Se avessi fatto vedere la diapositiva del cane dalmata a qualcuno che viene dal Sudafrica,
non vi avrebbe visto un dalmata, dal momento che in Sudafrica non ci sono questi cani,
ma, magari, avrebbe visto un altro animale.
La percezione autistica è più accurata e disfunzionale (?)
La percezione autistica, ve lo assicuro, è molto più accurata e disfunzionale. Le persone
con autismo hanno una migliore percezione di noi, però non sono funzionali. La parola “disfunzione” non mi piace, preferisco usare al suo posto “diversa esperienza sensoriale”, dal
momento che non tutte le differenze percettive sono disfunzionali e che le differenze sensoriali non sono necessariamente problemi o difficoltà.
Disfunzione sensoriale o esperienze sensoriali differenti?
– Non tutte le differenze nella percezione sono disfunzionali e le
differenze sensoriali non sono necessariamente problemi o difficoltà.
– Alcune difficoltà possono essere causate da fattori ambientali. Se essi
fossero corretti, questa particolare disfunzione scomparirebbe
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Per esempio in Inghilterra, non so se sia così anche in Italia, vengono usate molte luci al
neon. Sono presenti in tutte le scuole e per alcune persone con autismo questo è un vero
problema, perché vedono un bagliore, un lampeggio all’interno della luce, che noi non
percepiamo. Questa specifica caratteristica della luce al neon è difficile da tollerare per
loro, quindi per noi è una disfunzione.
C’è l’ipotesi che l’acquisizione di informazioni sia intatta nell’autismo.
I problemi incominciano ad un livello più alto di elaborazione?
Sì e No
L’acquisizione delle informazioni all’interno dell’autismo sembra essere intatta: le persone con
autismo non sono cieche, non sono sorde. Si dice che i problemi iniziano ad un più alto livello
di elaborazione. A livello delle sensazioni esse percepiscono in maniera diversa da noi.
Le caratteristiche della “percezione autistica”
Stimolo
→
Sensazione
→
Interpretazione
→
Comprensione
vista - udito - tatto - olfatto - gusto
consapevolezza di sé - sistema vestibolare
Volevo ricordarvi che individui diversi possono avere problemi differenti in ognuno dei sette
sensi o che può essere coinvolto più di un senso, ma ricordate che non c’è una persona con
autismo che abbia gli stessi problemi sensoriali di un'altra persona con autismo.
Allora iniziamo la nostra discussione sulle possibili esperienze sensoriali nel disturbo dello spettro autistico. Le vorrei chiamare “differenze qualitative nella sperimentazione delle sensazioni o nella ricezione delle informazioni” o, perlomeno, queste sono le caratteristiche
principali della percezione Gestalt di cui abbiamo parlato ieri e della percezione letterale.
Esperienze sensoriali possibili in ASD
Differenze qualitative nello sperimentare sensazioni e nel ricevere
informazioni:
– La percezione “Gestalt”
– La percezione “letterale”
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La percezione Gestalt
Percezione dell’intera situazione come una singola entità con tutti i dettagli percepiti (ma non elaborati) contemporaneamente
Vorrei ricordarvi che la percezione Gestalt consiste nella percezione di tutta la scena come
entità singola, quando tutti gli stimoli sono percepiti simultaneamente a livello di sensazione, ma non vengono elaborati. Ogni situazione è unica nel suo genere, ogni cambiamento cambia completamente la Gestalt.
Questa è una citazione di Tito, il bambino indiano di cui vi parlavo ieri:
“Le situazioni nuove mi mettevano in tale difficoltà che cominciavo ad
avere paura di tutto: vestiti, scarpe, cibo, sedie e voci umane insolite.
Ognuna di esse mi faceva sentire a disagio poiché mi poneva di fronte ad
una nuova situazione da affrontare e capire”
Questo è il motivo per cui a volte le persone con autismo non amano e non tollerano il cambiamento. Se andiamo a fare shopping, bisognerà percorrere sempre la stessa strada e fare
lo stesso percorso perché esse non amano i cambiamenti; i cambiamenti le sconvolgono.
La percezione Gestalt porta alla mancanza di generalizzazione perché ogni situazione è così
diversa per loro.
“Avevo imparato come affrontare una data situazione in un contesto, ma
ero in difficoltà quando mi confrontavo con la stessa situazione in un altro
contesto. Le esperienze semplicemente non erano trasferibili. Se imparavo qualcosa mentre stavo con una donna in una cucina in estate e durante il giorno, ciò che avevo appreso non poteva essere attivato in una
situazione simile se ero con un uomo in un’altra stanza durante l’inverno
e di sera. L’esperienza era stata assimilata, ma la sua categorizzazione ad
un livello più elevato era così specifica che le situazioni dovevano essere
quasi identiche per essere considerate comparabili”. (Donna Williams)
Per esempio, molti ragazzi con autismo riescono a fare a scuola qualcosa che poi non sono
in grado di ripetere a casa, perché la situazione è completamente diversa. Trovano estre81
mamente difficile generalizzare le proprie capacità e la percezione Gestalt porta alla resistenza al cambiamento o all’insistenza sulla ripetitività.
Percezione Gestalt → Resistenza al cambiamento /
Insistenza sulla ripetitività
Kanner, che per la prima volta descrisse l’autismo nel 1943, notò:
L’incapacità di conoscere l’insieme senza la completa attenzione alle parti
che lo costituiscono:
“Una situazione, una frase non sono considerate complete se non sono
fatte esattamente con gli stessi elementi che erano presenti nel momento
in cui il bambino si è confrontato con loro”
Per esempio, se una maestra prima di fare una domanda tocca la spalla del bambino, il
bambino non riuscirà a rispondere alla domanda se non gli viene toccata la spalla, perché
tutti gli elementi che costituiscono la situazione devono essere presenti quando si ripropone
la situazione. Cosa dobbiamo cercare? Come possiamo riconoscere se un bambino ha una
percezione Gestalt e se si tratta di Gestalt visiva o uditiva?
Questi sono alcuni degli indicatori che dobbiamo tenere in considerazione:
Che cosa cercare (percezione Gestalt)
– Nota ogni minimo cambiamento nell’ambiente (vista)
– Non riconosce un ambiente familiare da un punto di vista diverso da
quello solito (vista)
– Si sente facilmente in difficoltà se tenta di fare qualcosa in una stanza rumorosa e affollata (udito)
– Sembra non comprendere le istruzioni se più di una persona sta parlando
(udito)
– Non è capace di distinguere tra stimoli tattili di diverse intensità, ad
esempio un contatto leggero o ruvido (tatto)
– Non è capace di distinguere fra odori e gusti forti e deboli (gusto e olfatto)
– È goffo, si muove in modo rigido (percezione di sé)
– Rifiuta di muovere o di cambiare posizione della testa (vestibolare)
82
Se nota piccoli cambiamenti nell’ambiente, si tratta di Gestalt visiva: vede tutti i minimi dettagli oppure non riconosce un ambiente familiare se lo avvicina da una direzione diversa dal
solito. Ricorda della propria casa soltanto la visione frontale, non la riconosce di lato: questo
è un gravissimo problema non soltanto per le persone a basso livello di funzionamento, ma
anche per quelle ad alto livello.
Se si trova facilmente in situazioni di frustrazione quando cerca di fare qualcosa in mezzo ad
una folla rumorosa, ciò indica una Gestalt uditiva. Ci sono troppi rumori e il bambino non
riesce a differenziare tra i vari suoni; oppure sembra non capire le istruzioni se più di una persona parla simultaneamente, non riesce a concentrarsi sulla voce di una sola persona se viene
distratto da altri suoni simultanei.
Si ha una Gestalt tattile, quando non riesce a distinguere tra stimoli tattili di diversa entità.
Abbiamo una Gestalt olfattiva quando non riesce a distinguere tra odori o gusti forti o deboli.
Abbiamo una Gestalt della propriocezione quando si muove in maniera goffa, rigida; una Gestalt vestibolare quando ha una resistenza a cambiare la posizione della testa oppure resiste
a determinati movimenti.
Se sappiamo tutte queste cose, possiamo comprendere che tipo di Gestalt presenta il bambino.
Cosa possiamo fare per aiutarlo a selezionare le informazioni sensoriali?
– Dovremmo trovare quale modalità non filtra le informazioni e rendere
l’ambiente semplice da un punto di vista visuale, uditivo, ecc… Il passo
successivo è quello di insegnare alla persona a scindere l’immagine visuale o uditiva, ecc. in unità significanti, per esempio insegnando al bambino a riconoscere le caratteristiche rilevanti degli oggetti e delle situazioni
e ad ignorare quelle irrilevanti.
– La strutturazione e le routine rendono la comprensione dell’attività di tutti
i giorni più facile e forniscono sensazioni di sicurezza e fiducia.
– È importante informare sempre il bambino in modo che possa capire (per
esempio usando mezzi visivi o tattili) cosa cambierà e perché. I cambiamenti dovrebbero essere graduali e prevedere la sua partecipazione attiva.
– Fate in modo che il bambino abbia un oggetto familiare (un giocattolo, un
pezzo di corda) quando si reca in un luogo che non conosce o affronta
una situazione nuova.
Non so se anche in Italia, come in Inghilterra, a scuola c’è la politica del “learning is fan”,
cioè imparare è divertente.
Tutte le classi hanno poster e cartelloni molto colorati appesi alle pareti delle classi. Per qual83
cuno, affetto da Gestalt visiva, questo è un incubo e, ve lo posso assicurare, non è assolutamente divertente. È troppo per loro. Questo è il motivo per cui nelle nostre scuole per
autistici cerchiamo di mettere i bambini con Gestalt visiva in stanze arredate molto più semplicemente. E funziona. La struttura e la routine rendono più facile la comprensione delle
attività quotidiane e danno un senso di sicurezza e di fiducia. Se tutto viene strutturato e
non ci sono molti cambiamenti, i bambini si sentono al sicuro. La cosa più importante è comunicare sempre in anticipo, utilizzando mezzi verbali, visivi o tattili, eventuali cambiamenti
ed i motivi per cui avvengono. I cambiamenti devono essere graduali e prevedere la loro partecipazione attiva. Se prendono parte ai cambiamenti tutto diventa più facile, capiscono perché fanno una certa cosa e cosa verrà dopo.
E ancora una volta vi ricordo gli oggetti di cui hanno bisogno per sentirsi al sicuro. Ieri parlavo di questo bambino (foto) che, come vedete, ora ha un altro giocattolo in mano. Il giocattolo che avete visto ieri è andato in pensione, perché aveva dieci anni, era stato lavato in
lavatrice decine di volte e ormai stava per disfarsi. Adesso ha un elefante. Per qualche strana
ragione adora gli elefanti, che colleziona. Ogni volta che vado all’estero, gli porto sempre un
elefante. È importante lasciare che i bambini abbiano questi oggetti per affrontare le situazioni
in cui si sentono frustrati o stressati. Tuttavia è fondamentale non permettere che li usino sempre, altrimenti perdono la loro funzione.
La percezione Gestalt rende gli individui con autismo vulnerabili al sovraccarico sensoriale o di informazioni:
“Come un computer sovraccarico di informazioni inserite tutte in una
volta per l’elaborazione, noi spesso andiamo in tilt. Alcune persone si chiudono in se stesse e staccano la spina completamente”. (Sainsbury)
Se ci sono troppi stimoli contemporaneamente, non riescono a capire quale devono elaborare
per primo. Ecco perché è così difficile per loro e tendono a sovraccaricarsi frequentemente.
Un altro motivo per insistere sulla ripetitività, è la loro incapacità, o meglio difficoltà, di smettere di percepire il cambiamento, cosa che li porta al sovraccarico e all’ipersensibilità.
Vorrei spiegarvelo perché è davvero molto importante. Per esempio, se tocco questo piano,
ho una certa sensazione; se stacco la mano, non ho più questa sensazione. Alcuni di loro, invece, continuano ad averla, non riescono ad interromperla e la sentono molto a lungo.
Recentemente è stata effettuata una ricerca da parte dal dottor Manuel Casanova, che credo
che sia davvero rivoluzionaria. Il Dottor Casanova è stato il primo a trovare alcune differenze strutturali nel cervello delle persone affette da autismo. Si sapeva che esistevano, ma
fino ad ora non era ancora stata individuata la parte del cervello sede di queste differenze. In
84
persone diverse vengono coinvolte e interessate parti diverse del cervello. Il Dottor Casanova ha trovato differenze strutturali nei cervelli di tutti i suoi pazienti con autismo, che ha
definito “mini columns”, mini colonne.
Ora vi do la definizione: una mini colonna è l’unità più piccola del cervello in grado di elaborare le informazioni. Casanova ha scoperto che, nel cervello degli autistici, le “mini columns” sono più numerose che nei cervelli delle persone non autistiche e, naturalmente,
sono più piccole. La scoperta di Casanova ci porta a distinguere i cervelli delle persone autistiche dai cervelli di persone affette da altri disturbi.
Come li descrive? Fa l’esempio di una doccia. Se la mattina uno di noi va a fare la doccia e
la tenda della doccia funziona, va tutto bene, perché l’acqua cade all’interno; ma se la tenda
della doccia non funziona bene, l’acqua si sparge ovunque. Ed è questo che accade nell’autismo. Le mini colonne, poiché sono molto più numerose del necessario e sono più piccole,
non sono in grado di trattenere l’acqua. Capite? Mandano segnali ovunque nel cervello. Ecco
perché queste persone non riescono a smettere di provare una sensazione. Anche le persone
affette da autismo ad alto funzionamento hanno difficoltà nel passare dagli abiti invernali a
quelli estivi; impiegano molto più tempo ad abituarsi alla sensazione di un indumento nuovo
addosso. Quando ci vestiamo al mattino, per qualche secondo proviamo una particolare sensazione che poi dimentichiamo. Per alcuni di loro è molto difficile farlo perché continuano a
sentire addosso questa sensazione e impiegano molto più tempo per abituarsi. In inverno
portiamo indumenti a maniche lunghe, pantaloni lunghi; l’estate è il momento delle magliette a maniche corte e la sensazione del corto è diversa.
Wendy Lawson, per esempio, ha un’enorme difficoltà a cambiare abbigliamento dall’inverno all’estate: ci mette molto tempo a liberarsi di questa sensazione proprio a causa di queste mini colonne. Non so se vi è mai capitata l’esperienza di tagliare le unghie ad un bambino
autistico: per alcuni di loro è davvero difficile da sopportare perché continuano ad avere questa sensazione per molto tempo. Mio figlio lo trova davvero difficile, adesso mi permette di
farlo, ma poi si lamenta per tre o quattro giorni perché percepisce una sensazione che non
gli piace, diversa con le unghie corte. Dopo pochi giorni è nuovamente ora di tagliargli le unghie e il processo ricomincia.
Altri non amano cambiare la maglietta perché quando è pulita provano una sensazione diversa.
Quando riescono ad abituarsi è tempo di cambiarla un’altra volta, quindi si riparte da capo.
La ricerca del Dottor Casanova è davvero promettente.
La percezione Gestalt porta alla percezione letterale. Vi ricordo che il primo livello della percezione è quello legato alle sensazioni: sentono, vedono, annusano tutto senza interpretare.
Il primo passo della percezione – La percezione “letterale”
Stimolo
→
Sensazione
→
Interpretazione
→
Comprensione
85
Per darvi un’idea di come funziona la percezione letterale, vi chiedo di leggere i colori, non le
parole di questa diapositiva. È difficile, vero? Non riuscite a percepire in modo letterale, perché non siete affatto letterali. Ora vi facilito il compito. Voglio che proviate cosa significa essere
letterali. È più facile adesso? Lo vedete? Nessuno parla russo immagino? No. Quando non comprendete, quando il significato non interferisce è più facile percepire in modo letterale. Ecco
cos’è la percezione letterale: vedere i colori senza nessun significato. Questa è una componente tipica dell’autismo. Come possono quelle sei creature essere un gatto, un solo gatto se
sono così diverse e se hanno colori, forme e movimenti diversi. Questo è il motivo per cui per
le persone con autismo è così difficile generalizzare, formare categorie, perché esse percepiscono
ogni cosa in modo letterale, dal momento che la loro percezione è diversa dalla nostra. Per
esempio, se mostriamo un bicchiere di plastica, per loro è un bicchiere; se il giorno dopo mostriamo un bicchiere di vetro e non più di plastica, per loro non può essere un bicchiere perché al tatto è diverso. Se presentiamo una palla di gomma, essa sarà riconosciuta dall’odore e,
quindi, il ragazzo ricorderà che quell’oggetto si chiama palla. Se il giorno dopo, daremo allo
stesso bambino una palla di plastica, non la riconoscerà come palla perché ha un odore diverso.
Ecco perché è così importante che una parola corrisponda ad un oggetto. Mio figlio aveva uno
spazzolino da denti blu, che ad un certo momento ho dovuto sostituire. Sono stata così sciocca
da comprarne uno rosso: per lui non era più uno spazzolino, pertanto si rifiutava di lavarsi i denti
con quell’oggetto. Solo con molta fatica è riuscito ad adattarsi a quel nuovo oggetto.
Ora facciamo un passo avanti, verso un livello più elevato: la memoria Gestalt. Essi hanno
una memoria perfetta, ricordatelo, hanno un’ottima memoria, ma sono in grado di ricordare
l’intera situazione come una sola entità. Noi siamo diversi, ricordiamo cosa abbiamo fatto ieri.
Per esempio io ieri sono andata all’aeroporto di Manchester, ho preso l’aereo, sono venuta in
Italia etc. Sono in grado di raccontarvi quello che ho fatto ieri. Per una persona con autismo,
che ha una memoria Gestalt, è difficile perché l’intera situazione è una sola entità.
Se hanno un’ottima memoria, perché non sono in grado di rispondere alle domande più semplici tipo: “Che cosa hai fatto oggi a scuola?”. Il massimo che si può ottenere è un “Non lo
so” oppure “Non mi ricordo” e questo a causa della Gestalt. Come si fa a rispondere se si ha
l’intera situazione nella memoria, come si fa a tradurla in parole? Hanno una difficoltà linguistica ed è per questo che ci vogliono gli stimoli adeguati. Bisogna conoscere ciò che è successo per poter formulare la domanda giusta.
Lo spiega bene Donna Williams:
Gli stimoli giusti
Per mezzo di un punto chiave stimolato, io non posso lasciare che la
“scena scorra” e potrei trovare una sequenza di cose dette in un certo ordine in relazione all’ordine delle altre cose fatte. Posso essere capace di ripetere queste cose anche se non ne ho elaborato il significato”
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A volte essi sono in grado di toccare qualcosa e la memoria e il ricordo di quanto hanno provato nel toccare questa cosa, magari si rifà ad una settimana prima. Bisogna stimolare il punto
giusto, può essere un tocco, una parola, un odore, qualunque cosa, anche un movimento.
Una strategia Gestalt nell’apprendimento del linguaggio
– Ecolalia
– Insistenza su alcune routine verbali (esigendo lo stesso scenario verbale)
Se si chiede ad un bambino “Vuoi un biscotto?” e poi si dà il biscotto al bambino, la frase
“vuoi un biscotto” per questo bambino è una sola parola, è così che la ricorda ed è così che
sa di poter ottenere il biscotto. Ecco perché quando un bambino vuole un biscotto, dirà:
“Vuoi un biscotto?”, perché vuole comunicare che lui vuole un biscotto. L’insistenza su alcune routine verbali, che esigono lo stesso scenario verbale, con la stessa formulazione
consente l’apprendimento.
Vi faccio un esempio del lavoro di Leo Kanner (1943).
Insistenza sulle routine verbali
“Una grande parte del giorno trascorreva nell’esigere non soltanto le stesse
parole di una richiesta, ma anche la stessa sequenza di eventi. Donald non
si alzava dal letto dopo il suo sonnellino finché diceva ‘Boo (mamma) dì
Don vuoi scendere?’ E la madre lo assecondava. Ma questo non era tutto.
L’atto non era ancora considerato completo. Donald continuava ‘Ora dì:
Tutto bene’. Di nuovo la mamma lo doveva assecondare altrimenti egli urlava finché la commedia non era completata.
Tutti questi rituali erano una parte indispensabile dell’azione di alzarsi
dopo un sonnellino”.
Le persone con autismo sono in grado di ricordare, ma hanno bisogno del nostro aiuto, perciò ci chiedono di dire: “Dì questo, fai questo”. Poiché con mio figlio ora mi rifiuto di fare
questo gioco, egli parla con se stesso, come se parlasse a me.
La percezione Gestalt può spiegare sia i punti di forza che le debolezze
della percezione nelle persone con autismo
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La percezione Gestalt può risultare
in differenti esperienze e strategie compensatorie
– percezione distorta
– percezione frammentata
– processi ritardati
– iper / iposensibilità
– inconsistenza della percezione
– sovraccarico sensoriale
– chiusura dei sistemi
– mono-elaborazione
– percezione periferica
– ecc.
Possiamo avere: percezione distorta, percezione frammentata, elaborazione dei dati ritardata, ipersensibilità, iposensibilità, incoerenza della percezione, sovraccarico sensoriale,
chiusura del sistema, mono-elaborazione, percezione periferica e molto altro ancora.
Iniziamo a parlare della percezione distorta.
Percezione distorta
Per esempio nel campo della vista:
– percezione della profondità e dello spazio limitata o distorta
– vedere il mondo a due dimensioni
– visione doppia
– distorsione di forma, misura, movimento, ecc.
La percezione distorta può riguardare qualsiasi modalità sensoriale, come risulta da un
esempio di Lucy Blackman, una signora australiana non verbale, considerata a basso livello di funzionamento, che però ha scritto un libro:
Distorsioni
“Il mio mondo incantato di luci e buchi improvvisi, nel quale le persone e
gli oggetti si muovevano, influenzava il modo con cui elaboravo la conoscenza del mio prossimo. Fondamentalmente enfatizzavo le pieghe e profondità. Così percepivo le persone come fossero leggermente distorte.
Questo non solo nella forma, ma anche nella composizione degli elementi
del loro corpo nella mia immaginazione visiva”
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Lucy Blackman, aveva anche problemi di movimento e della sua percezione, non riusciva
a vedere le persone mentre si muovevano; vedeva una persona in un luogo, per esempio,
e poi improvvisamente vedeva la stessa persona in un'altra posizione. Non riusciva a percepire i movimenti. Si spaventava quando aveva la sensazione che una persona “saltasse”
improvvisamente da un posto all’altro. Attraverso la sua esperienza siamo in grado di capire questo tipo di percezione.
Gunilla Gerland, una signora con sindrome di Asperger, ha scritto a tal proposito:
Percezione distorta
“Talvolta perdevo del tutto il senso della prospettiva. Qualcosa poteva sembrare mostruosamente largo se veniva verso di me con velocità o se ero
impreparata. Qualcuno, che improvvisamente si piegava verso di me, poteva spaventarmi enormemente. Sentivo come se qualcosa mi stesse cadendo addosso e mi schiacciasse”
Cerchiamo di capire il significato di questo fenomeno per una persona con autismo a basso
livello di funzionamento di fronte a tale distorsione della realtà.
Percezione distorta
Cosa cercare
– Ha paura dell’altezza, delle scale, delle scale mobili (vista)
– Ha difficoltà ad afferrare la palla (vista)
– Sobbalza quando qualcuno si avvicina (vista)
– Ha movimenti compulsivi della testa, delle mani e del corpo che oscillano
tra vicino e lontano (vista)
– Problemi di pronuncia (udito)
– Non è capace di distinguere alcuni suoni (udito)
– Si colpisce occhi, orecchie, naso
– Ha difficoltà nel saltare, saltellare e andare in bicicletta (percezione di sé)
– Si arrampica in alto su un albero, salta alte recinzioni, ecc. (vestibolare)
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Anche Donna Williams soffriva di problemi di percezione visiva, con forte distorsione.
Quando attraversava la strada, non vedeva le macchine, vedeva soltanto lo spazio che intercorreva tra una macchina e l’altra. Riuscite a immaginare una cosa del genere?
Questi indicatori possono far capire se il bambino ha una distorsione percettiva e se ha diverse modalità sensoriali. Se si tratta di distorsione visiva, può avere paura delle scale, degli
ascensori, del vuoto, dell’altitudine, può avere difficoltà nel prendere la palla, può spaventarsi quando qualcuno si avvicina, può avere movimenti compulsivi della testa e del
corpo; può avere problemi di pronuncia; può essere incapace di distinguere tra i suoni. In
caso di sovraccarico sensoriale può colpire i propri occhi, bocca, orecchie e naso. Colpisce
gli occhi per capire se funzionano; colpisce le orecchie perché le stesse sembrano non funzionare in maniera adeguata. Se si tratta di propriocezione, hanno difficoltà a saltare, ad andare in bicicletta, ad usare i pattini. In presenza di problemi vestibolari, hanno difficoltà a
salire su un albero, a saltare gli ostacoli.
Percezione frammentata
“Ho sempre saputo che il mondo è frammentato. Mia madre era un odore,
mio padre una nota e mio fratello maggiore era qualcosa che si muoveva”.
(Donna Williams)
Passiamo ora alla percezione frammentata. La Gestalt, come ho più volte detto, consiste
nella percezione simultanea di tutti gli stimoli. La persona inizia ad elaborarli per poi interpretarli e capirli. La percezione sensoriale di Donna Williams era veramente difficoltosa
e frammentaria: per questo motivo riusciva a percepire sua madre, ma non riusciva ad elaborare le informazioni ed a riconoscerla; ne sentiva soltanto il profumo. Per questo motivo
quando era bambina seguiva per strada tutte le donne con lo stesso profumo della madre.
Questo è un problema estremamente grave per le persone con percezione frammentata.
Passiamo ad un esempio di frammentazione tattile propriocettiva, perché la frammentazione può riguardare qualsiasi modalità sensoriale, cioè tutti i nostri sette sensi. Anche questa è una citazione di Donna Williams.
Percezione di sé e frammentazione tattile
“Percepivo il corpo come se fosse costituito da pezzi separati fra di loro.
Ero un braccio o una gamba o un naso. A volte una parte poteva essere
molto pesante, come fosse di legno, come se fosse stata la gamba di un tavolo o semplicemente come fosse morta”
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Molti anni fa Donna mi raccontò di aver visitato moltissimi cimiteri perché sopra le tombe
c’erano delle statue che lei toccava per ore per essere certa che la testa fosse collegata al
collo, alle spalle, alle braccia. Ciò la aiutava ad avere una maggiore conoscenza del proprio
corpo. Riuscite ad immaginare una cosa del genere? Me lo descrisse in maniera così efficace, mi disse che non riusciva a percepire il proprio corpo come un intero, ma che ne percepiva soltanto le parti.
“Puoi osservare una persona con autismo sfregare carta vetrata sul suo
braccio nudo o picchiare le nocche bruscamente su una credenza di legno
e poi guardarle come per dire “Oh, ciao mano. Quindi tu appartieni a
me”. A volte il corpo viene percepito come frammentato, così appare come
se fosse sospeso o fluttuasse a pezzi”. (J. O’Neill)
Conosco una persona nello Yorkshire che lamenta sempre di non riuscire a sentire il proprio corpo dalla vita in giù. Percepisce soltanto la parte superiore. Questo è il motivo per
cui deve guardarsi i piedi mentre cammina.
Un altro esempio di estrema importanza è quello di un teenager con sindrome di Asperger. Amava tantissimo andare a scuola dove aveva molti amici, ma da dove molte volte
era stato espulso a causa della sua aggressività, che lo portava a colpire l’insegnante. Non
riuscivamo a capire il motivo per cui facesse una cosa del genere. Se amava la scuola,
perché picchiava l’insegnante? Siamo riusciti a fargli la domanda giusta, alla quale ha
risposto così: “Una mano si è improvvisamente materializzata davanti ai miei occhi”;
non la mano dell’insegnante ma una mano, una mano si è materializzata davanti ai
miei occhi”. Immaginatevi la situazione, l’insegnante che dice “fate questo, fate quest’altro” puntando il dito; poi immaginate questo ragazzo che improvvisamente vede
una mano davanti ai suoi occhi. Voi cosa fareste? Direste: “Oh, ciao mano”? No, rispondereste con un pugno perché una cosa del genere vi spaventa. Questo è quello che
è successo al nostro ragazzo, che è stato punito per qualcosa di cui non aveva assolutamente colpa.
Vi porto un altro esempio per enfatizzare un’esperienza del genere. Donna Williams,
prima di iniziare a portare occhiali scuri, diceva: “Quando guardavo una persona vedevo il naso di questa persona, poi muovevo gli occhi e vedevo il suo occhio, poi vedevo il labbro, l’orecchio e poi, quello che dovevo fare, era mettere insieme tutti questi
pezzi nella mia testa”.
Per alcuni di loro è veramente un grossissimo problema. Come possiamo riconoscerlo?
Cosa dobbiamo cercare? Quali sono gli indicatori della percezione frammentata?
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Cosa cercare (percezione frammentata)
– Resiste ad ogni cambiamento (vista)
– Fa attenzione agli aspetti dell’ambiente meno importanti degli oggetti
invece che all’intera situazione (vista)
– Si perde facilmente (vista)
– Non riconosce le persone vestite in modo insolito (vista)
– Sente solo poche parole invece dell’intera frase (udito)
– Protesta per alcune parti dei vestiti, per gli odori di alcuni pezzi di cibo, ecc.
– È disorientato dal cibo che di solito mangia (gusto)
– Si lamenta degli arti o di altre parti del corpo (percezione di sé)
– Fa resistenza a nuove attività motorie (vestibolare)
Ovviamente possono essere coinvolte diverse modalità sensoriali. Innanzitutto verifichiamo se resistono ai cambiamenti, se selezionano i dettagli degli oggetti nell’ambiente
invece della scena in toto: ad esempio vi ignorano come persone e vi vedono come dettagli.
Poi si perdono facilmente a causa della frammentazione visiva; non riconoscono le persone con vestiti nuovi. Nel caso della frammentazione uditiva, sentono alcune parole
invece dell’intera frase: capiscono il significato solo di alcune parole e poi sentono “bla
bla bla”, capiscono un'altra parola e poi sentono nuovamente “bla bla bla”.
Se siamo a conoscenza di una situazione di questo tipo cosa possiamo fare per aiutarli?
Cosa possiamo fare per aiutare
– Strutturazione e routine rendono l’ambiente prevedibile e più facile da
controllare. Le routine e i rituali aiutano a rendere più facile la comprensione di ciò che sta accadendo e di ciò che sta per succedere
– Introdurre ogni cambiamento molto lentamente e spiegare sempre prima
cosa sta per succedere e perché
– Se una persona è prosopoagnostica, cioè fatica a riconoscere gli altri,
bisogna presentarsi ogni volta che la si vede.
Indossare sempre gli stessi vestiti e avere la stessa pettinatura aiuta il riconoscimento.
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Altre esperienze possibili
– Integrazione bilaterale dei problemi
– Prosopoagnosia
– Sinestesia
Altre esperienze possibili, sono problemi di integrazione bilaterale, prosopoagnosia e
sinestesia.
I problemi di integrazione bilaterale non sono specifici dell’autismo, ma conosco alcune
persone con autismo che hanno questa tipologia di problemi: difficoltà nel coordinamento delle due parti del proprio corpo, mancanza di controllo sulle mani e difficoltà ad
individuare la linea mediana del corpo.
Problemi di integrazione bilaterale
– Difficoltà nel coordinare due parti del corpo
– Impossibilità di sviluppare la predominanza di una mano
– Difficoltà nell’incrociare la metà del corpo
Nel nostro centro ci sono due adulti con questo problema. Non riescono a coordinare la
parte destra e la parte sinistra del loro corpo, ma, come ho detto, questa non è una caratteristica specifica dell’autismo. È un problema che possono avere anche altre persone.
Prosopoagnosia
incapacità di riconoscere persone note
e anche la propria immagine allo specchio
È molto importante includerla nei problemi sensoriali. La prosopoagnosia o cecità per i
volti si manifesta con l’incapacità di riconoscere i volti. Può essere riscontrata anche in
persone non autistiche. Sappiamo con certezza che ne soffrono alcuni soggetti ad alto funzionamento e con sindrome di Asperger, come mia figlia e mio figlio. In realtà non è qualcosa di specifico per l’autismo, ma può essere presente anche in questa sindrome. È
importante saperlo.
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Le persone che hanno la prosopoagnosia e che non sono autistiche, come fanno a riconoscere le altre persone? Sviluppano un loro sistema di riconoscimento.
Sistema di identificazione
– vestiti
– andatura
– movimenti
– capelli
– barba, baffi
– occhiali
– voce
Innanzitutto ciò avviene attraverso gli indumenti, i vestiti. Noi non ci vestiamo sempre nello
stesso modo, ma con lo stesso stile di abbigliamento e questo aiuta. Sono importanti anche
l’andatura, il passo, i movimenti. Ognuno si muove in modo diverso e anche questo aiuta a
riconoscere le persone. Sappiamo con certezza che i bambini autistici, o quantomeno alcuni
di essi, sono affascinati dai capelli delle persone, amano toccarli e guardarli. Le persone che
sono affette da prosopoagnosia, li vedono in modo diverso: una di loro li ha descritti come se
ogni singolo capello corrispondesse ad uno spaghetto. Esse riscontrano diversità nei capelli,
nella capigliatura. Anche la barba, i baffi, gli occhiali, le voci aiutano a riconoscere un volto.
Cosa accade quando tutte le persone sono vestite in modo uguale? Non so se avviene anche
in Italia, ma in Inghilterra, a scuola, i bambini portano un’uniforme. Come fanno queste persone a riconoscere gli altri se sono tutti vestiti allo stesso modo? In particolare pensiamo a
quando le ragazze portano i pantaloni, perché fanno parte dell’uniforme. Questa situazione
è molto difficile per chi è affetto da prosopoagnosia.
Difficoltà a scuola
Voglio parlare ora di un teenager affetto da sindrome di Asperger che soffre anche di prosopoagnosia: ha un elevato quoziente d’intelligenza, è molto verbale ma fatica a riconoscere
le persone. Conosce i nomi di tutti i compagni di scuola, ma quando si trova in classe li
chiama semplicemente “ragazzo” o “ragazza”, perché non è in grado di riconoscere i loro
volti. È interessante un’esperienza che abbiamo fatto. Quando una delle compagne si è tagliata i capelli è stata spostata dal gruppo delle femmine a quello dei maschi.
Il nostro ragazzo non era più in grado di vedere la differenza: portava i pantaloni, aveva i
capelli corti, quindi per lui era un maschio. Potete immaginare le difficoltà.
Non tutte le persone con autismo hanno la prosopoagnosia, ma sappiamo che è qualcosa
di molto comune.
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La prosopoagnosia può portare a
– isolamento sociale
– difficoltà nel comprendere e nell’esprimere le emozioni
La prosopoagnosia senza l’autismo può portare ad isolamento sociale, perché crea imbarazzo: ho salutato questa persona o non l’ho salutata? Può portare anche a difficoltà nella
comprensione delle emozioni degli altri. Se una persona non è in grado di riconoscere un
volto, non è neanche in grado di riconoscere le emozioni che traspaiono da esso. Se non
è in grado di riconoscere le emozioni, non è in grado di esprimere le proprie.
Una recente ricerca ha mostrato che la cecità per i volti o prosopoagnosia può manifestarsi
insieme a disturbi dello spettro autistico.
La prosopoagnosia può concorrere con ASD
“La prosopoagnosia può essere un sintomo fondamentale nell’ASD, probabilmente uno specifico gruppo della sindrome di Asperger”. (Kracke)
Passiamo ora alla definizione di sinestesia.
La sinestesia è la stimolazione di una modalità sensoriale che attiva la percezione in uno o più sensi diversi
Se potete rispondere sì ad una di queste domande, vuole dire che ne soffrite anche voi.
Sinestesia
–
–
–
–
Puoi vedere i suoni?
Puoi odorare i colori?
Puoi sentire il sapore delle forme?
Puoi percepire i suoni sulla pelle?
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Questa è la sinestesia. Ora vediamo la sinestesia in assenza di autismo; poi vi fornirò dati
che si basano sulla mia ricerca della sinestesia associata all’autismo.
Queste sono alcune citazioni di persone affette da sinestesia.
– “Non ricordo il suo nome, ma ricordo il suo rosso”
– “Ha un nome verde – Ho dimenticato se era Ethel o Vivian”
– “Il nome Richard ha il gusto di una barretta al cioccolato, caldo e che si
scioglie sulla mia lingua”
“Alcune parole sono un’esperienza completa in quanto hanno sapore, consistenza, temperatura e sono sentite da una specifica parte della mia bocca,
come in fondo alla gola, sulla punta della lingua, ecc. Spesso lo spelling influenza il gusto. ‘Lori’ ha il sapore di una gomma per matite, ma ‘Lauri’ ha
un gusto acido”. (citato in Cytowic)
“Di solito sperimento il gusto e il peso di una parola. Ma è difficile da descrivere. Quello che sento è qualcosa di oleoso nella mia mano, o un piccolo ticchettio nella mia mano sinistra prodotto da una massa di piccoli,
insignificanti punti”. (Shereshevsky)
Non conosciamo molto della sinestesia, che deve essere indagata attraverso la ricerca.
La sinestesia può essere di due tipi
– sinestesia a due sensi (quando la stimolazione in una modalità attiva la
percezione in una seconda modalità, in assenza della stimolazione diretta di questa seconda modalità)
– sinestesia multipla
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Iniziamo con la sinestesia bisensoriale
Sinestesia a due sensi (quando la stimolazione in una modalità attiva la
percezione nella seconda modalità, in assenza della stimolazione diretta
della seconda modalità)
– udito colorato (quando un suono attiva la percezione di un colore)
– olfatto colorato (quando un odore stimola la percezione di un colore)
– tatto colorato (quando toccare qualcosa attiva la percezione di un colore)
– udito tattile (quando un suono produce una sensazione tattile)
– vista tattile (quando vedere qualcosa attiva la percezione di forme e consistenze che toccano la pelle)
Passiamo ora alla sinestesia multipla
Sinestesia multipla
– numeri colorati (quando i numeri sono ascoltati o letti, essi sono conosciuti come fossero colori)
– lettere colorate (quando le lettere sono ascoltate o lette, esse sono conosciute come colori)
– numeri dotati di forma (quando i numeri sono ascoltati o letti essi sono
conosciuti come forme)
Sinestesia
– La sinestesia predomina fra le persone di sesso femminile: il rapporto è
da 3:1 a 8:1
– Si ritiene che la sinestesia sia genetica
– Il 15% delle persone con la sinestesia ha qualcuno tra i parenti di primo
grado affetto da dislessia, autismo o ADD
– La sinestesia è più frequente tra i mancini
– L’esperienza della sinestesia è molto soggettiva, per esempio tra le persone che vedono i suoni colorati non c’è uno specifico colore per ogni
suono, esso varia da persona a persona
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Sappiamo che le donne con sinestesia sono in numero maggiore rispetto agli uomini, il
rapporto può essere di 3:1 fino ad arrivare a 8:1.
Si pensa che la sinestesia, come l’autismo, possa essere un problema di tipo genetico. Sappiamo che approssimativamente il 15% delle persone affette da sinestesia hanno un parente di primo grado con dislessia, autismo o con disturbo di deficit d’attenzione. Tutti
questi disturbi direi che sono correlati tra loro.
La sinestesia è più frequente tra le persone mancine, non si sa per quale motivo. Ovviamente non tutti i mancini sono affetti da sinestesia.
– Una delle caratteristiche più comuni delle persone affette da sinestesia è
la loro memoria superiore
– Le persone affette da sinestesia hanno competenze cognitive discontinue
– Molte delle persone affette da sinestesia non lamentano la loro condizione perché per loro è la normale percezione del mondo. Comunque è
vero che la sinestesia è unidirezionale.
– La sinestesia a due sensi (quando per esempio una persona non solo vede
i colori, quando sente i suoni, ma sente anche i suoni quando vede i colori) è spesso travolgente
Molte sensazioni possono essere insopportabili. Per esempio abbiamo una citazione di
Shereshevsky che dice:
Le sensazioni possono essere incontenibili
“Le voci di alcune persone sono come un mazzo di fiori e io sono molto
interessata dalle loro voci, ma non riesco a seguire ciò che viene detto.
Altre volte mi appare fumo o nebbia e più persone parlano più diventa difficile, finché raggiungo un punto in cui non posso comprendere più
niente”
Bisogna ricordare che quelle di cui stiamo parlando sono persone non affette da autismo.
Immaginate cosa vuol dire aggiungere l’autismo a queste situazioni.
I problemi di apprendimento sembrano essere più comuni nelle persone con la sinestesia,
comunque l’incidenza al momento è ancora sconosciuta.
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La bassa incidenza della sinestesia nell’autismo può essere spiegata dal
fatto che non è facile rilevarla
– problemi di comunicazione (anche individui verbali hanno difficoltà nell’esprimere le loro esperienze)
– anche persone affette da sinestesia che non sono autistiche trovano difficile rendersi conto che esse conoscono il mondo in modo differente e
potrebbe essere difficile per loro immaginare che gli altri non possono
sentire i suoni mentre vedono i colori
Dicevamo che è difficile individuare la sinestesia all’interno di un paziente autistico, soprattutto a causa dei problemi della comunicazione.
La sua difficoltà è che non riesce a sentire lo stimolo presente, ma invisibile per noi, oppure
“probabile”. Voglio portare come esempio Mark Flesher, con sindrome di Asperger e una
diagnosi di ritardo mentale, che incontrava problemi di apprendimento. Ora ha circa 28
anni e una laurea in matematica pura conseguita all’Università di Cambridge. Durante
una lezione ha portato un righello e ci ha detto di immaginare una lezione di matematica.
In una stanza c’è un tavolo, voi muovete una mano. Ci può essere un righello sul tavolo
che cade o sta per cadere. Se è presente uno studente autistico, che non riesce a tollerare
rumori improvvisi e imprevedibili, la lezione per lui è finita perché il suo mondo si concentra sul righello che sta per cadere o che è caduto. Egli vuole essere pronto, vuole prepararsi, vuole conoscere in anticipo i movimenti perché così per lui sono più facili da
sopportare. Quindi tutta l’attenzione dello studente autistico si concentra sul righello e
non sulla lezione di matematica.
Questo è quello che io chiamo “antecedente, probabile nel futuro” il righello può cadere
se è in bilico o magari può non cadere, ma la persona con autismo vuole essere pronta.
La stessa cosa vale per il telefono. Questo è il motivo per cui tanti pazienti affetti da autismo staccano i telefoni perché possono suonare in qualsiasi momento in modo imprevedibile.
Non si tratta di un comportamento di sfida, ma di un comportamento volto a proteggere
se stessi. Ad esempio, uno studente con autismo è stato inserito in una scuola normale perché aveva un buon livello di funzionamento. Ad un certo punto ha incominciato a spaccare tutti gli allarmi antincendio. La scuola veniva continuamente evacuata e gli altri
studenti erano molto contenti di questo. Perché si comportava così? Spaccava quei campanelli perché l’allarme antincendio per lui era insopportabile, pertanto era più facile essere la causa dell’allarme piuttosto che doverlo sentire all’improvviso.
Vi porto un altro esempio che riguarda i neonati. Alcuni bambini affetti da autismo non rie99
scono a sopportare il pianto dei neonati, che risulta troppo doloroso per loro. Con mio
figlio succedeva la stessa cosa. Vi ricordate che ieri ho detto che lui non ha parlato fino
all’età di 7 anni. Dal punto di vista fisico era molto forte, ma non riusciva a sopportare
il pianto dei bambini: diventava furioso e per me, ovviamente, era un grosso problema
da gestire.
Era ovvio che evitassi di portarlo nei luoghi in cui potessero esserci bambini che piangevano. Ma il problema rimaneva, perché picchiava qualsiasi bambino, anche se stava
dormendo o non stava piangendo. Potete immaginare come potessi trovarmi in difficoltà.
Perché lo faceva? Perché i bambini non sono prevedibili, iniziano a piangere in qualsiasi
momento. Picchiarli era il suo modo per proteggersi, per autoproteggersi. Era più facile
picchiare un bambino, sapendo che avrebbe iniziato a piangere, piuttosto che sopportarne
il pianto improvviso. In questo modo cercava di rendersi la vita più facile, ma potete immaginare quale era la mia vita e, soprattutto, la mia preoccupazione.
Per rispondere alla domanda su cosa è possibile fare con loro, vi racconterò la mia esperienza. È stato indubbiamente difficile. Non possiamo rimuovere i
bambini dalla loro vista; dobbiamo
cercare di desensibilizzare i nostri
bambini autistici. È difficile. Indubbiamente sì, ma è anche possibile. Ora mio figlio ha 18 anni ed
ha ancora difficoltà quando un
neonano piange, ma è in grado di
reagire molto meglio, è in grado di
capire di più, e pertanto, posso parlargli. Quando un neonato piange,
lui dice: “Neonato che piange”, io
gli rispondo: “Sì”, e poi continuo e
dico, anche se non è politicamente
corretto quello che sto facendo in
questo caso, però vi posso dire che
per quanto riguarda mio figlio funziona, “I neonati sono piccoli e
stupidi, tu sei grande e intelligente”, e funziona. Poi aggiungo
sempre: “Quando tu eri neonato
piangevi ininterrottamente perché
eri piccolo e non capivi niente, Al convegno hanno partecipato corsisti provenienti da tutta l’Italia
100
quindi è normale poi i neonati crescono e non piangono più”. Adesso è in grado di reagire all’istinto di picchiarli.
È possibile, anche se difficile, desensibilizzarli con un’adeguata preparazione.
Dunque, stavamo parlando di disturbo o di sensibilità ad alcuni stimoli. Queste sono le
cose che dobbiamo cercare per riconoscere gli stimoli che disturbano questi bambini in
particolare.
Sinestesia: cosa cercare
Vista:
– copre, sfrega, colpisce, sbatte le palpebre in reazione ad un suono, un
gusto, un odore o un contatto
– si lamenta del colore sbagliato delle lettere, dei numeri, scritti su blocchi colorati, ecc.
Udito:
– copre, colpisce le orecchie come reazione ad uno stimolo visivo, un
sapore, un odore, un contatto o una consistenza
– si lamenta del suono come reazione a colori/consistenze/profumi/
gusti/contatti
Gusto:
– deglutisce come reazione a stimoli visivi e uditivi, a odori e contatti
– si lamenta del sapore come reazione a stimoli visivi e uditivi a odori
e contatti
Odorato:
– si copre, si sfrega o colpisce il naso come reazione a stimoli visivi o
uditivi, a odori contatti
Tatto:
– si lamenta perchè sente colori o suoni mentre viene toccato
– si lamenta della sensazione di essere toccato mentre viene guardato
– si lamenta del mal di schiena, calore, freddo in luoghi dove predominano colori forti o affollati e con molto movimento
Percezione di sé:
– movimenti involontari e posture del corpo in reazione a stimoli visivi
e uditivi, odori e sapori
101
Se parliamo della vista, sono in grado di stropicciare o socchiudere gli occhi davanti ad
una fonte di luce molto forte? Si sentono frustrati o stanchi sotto le luci al neon oppure in
presenza di alcuni colori o suoni? I suoni fastidiosi possono variare a seconda degli individui; alcuni possono amare il suono dell’acqua che scorre, altri lo possono odiare.
Cercano di distruggere, di rompere gli oggetti che producono i suoni come l’orologio, il telefono? Non sono in grado di tollerare alcune componenti, alcune consistenze, degli odori,
dei sapori, particolari movimenti o posture corporee? Hanno paura di cadere dall’alto per
un problema al sistema vestibolare?
Quando capiamo che cosa disturba un individuo, possiamo fare qualcosa per aiutarlo?
Ricordiamoci sempre che quello che secondo noi è piacevole può creare paura o essere insopportabile per una persona con autismo. In particolare risultano fastidiosi le luci ed i
suoni forti. Molti autistici non sono in grado di capire cosa ci sia di bello nei fuochi d’artificio che a noi piacciono tanto!
Dobbiamo essere sempre consapevoli dei colori e dei disegni, degli indumenti che indossiamo e del profumo. Alcune persone non sono in grado di tollerare determinati colori, ad
esempio per alcune il colore giallo dà fastidio fisico, le fa sentire male, provoca vertigini.
Se lavoriamo in una stanza con le pareti gialle, con un bambino che non è in grado di tollerare questo colore, avremo sicuramente dei problemi. Lo stesso vale per i profumi. Ci sono
persone che non sono in grado di tollerare determinati profumi, che provocano addirittura
un’allergia.
È fondamentale avvertire sempre una persona delle possibilità degli stimoli che teme oppure
mostrarne la fonte. È importante che sappiano cosa può succedere, per poterlo tollerare meglio. Quando passa l’auto della polizia a sirene spiegate, dobbiamo spiegare perché questa
auto fa un gran baccano. Dobbiamo mettere in campo strategie per affrontare la sensibilità.
Ho già accennato alla luce quando ho parlato delle lenti colorate. Poiché ogni individuo è
unico nel suo profilo sensoriale, è molto difficile adattare l’ambiente alla sua sensibilità.
Spesso non sono gli stimoli che scatenano quello che noi definiamo comportamenti difficili, ma piuttosto l’incapacità di controllare o di predire l’effetto. La comprensione della sensibilità di ogni individuo è di importanza vitale, altrimenti qualunque intervento si rileva
un incubo sia per il malato che per la persona che lavora con lui.
Per questo motivo preferiscono essere loro ad attivare il disturbo, come nel caso dell’allarme antincendio, perché se tengono sotto controllo la situazione riescono a tollerarla
più facilmente.
A volte, in caso di comportamenti difficili come l’autolesionismo non sappiamo cosa fare.
L’aggressività o l’autolesionismo sono la conseguenza di stimoli insopportabili che essi cercano di cancellare con atteggiamenti che procurano dolore, ma che riducono la prima fonte
di sofferenza. Se qualcosa è troppo doloroso per la vista, l’udito o il tatto e non sono in grado
di controllarlo, tendono a farsi del male, si mordono, sbattono la testa contro un muro.
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Rose Plattem, di cui vi ho parlato ieri, ha detto: “Sbattevo la testa contro il muro e lo faccio ancora quando è troppo doloroso riuscire a tollerare determinati stimoli”. Qualcuno
le ha detto: “Sì, ma fa male anche sbattere la testa contro il muro”, lei ha risposto: “Sì, ma
è diverso. Innanzitutto quando sei in uno stato di sofferenza e non puoi controllarla; distrarsi da quel dolore impone un'altra forma di dolore e quindi cerchi di distrarti. Soprattutto quando sbatto la testa contro il muro so che posso smettere quando voglio. È
questa la differenza”. Può smettere di procurarsi il secondo dolore quando vuole, perché
lo controlla. Per questo è più facile ed è per questo che per lei funziona questo metodo.
Parlavamo prima di iposensibilità, che può portare a due differenti esperienze: il fastidio per
alcuni stimoli e l’attrazione per altri. Il ragazzo che vedete nella foto è mio figlio e ne sono
molto fiera. Ha un ramoscello in mano e ci gioca per ore perché gli dà piacere. Posso dirvi
che le persone con autismo sono in grado di apprezzare meglio gli stimoli sensoriali di
quanto non siamo in grado di fare noi. Per noi non sono importanti, perché non vediamo
e non sentiamo quello che vedono e sentono loro.
La mia amica Wendy Lawson dice di poter fissare con lo sguardo una foglia o un prato
per delle ore e aggiunge sempre: “Ma non vedi quanto è bello?”. Per me si tratta semplicemente di erba o foglie, mentre lei ha una visione più completa.
Provate ad immaginare cosa succede se non siete in grado di vedere il colore rosso. Sareste in grado di apprezzare la bellezza di una rosa rossa? No! Capite cosa voglio dire? Noi
non abbiamo molte delle loro abilità perché per noi sono inutili. È per questo che non è
giusto dire che sono disfunzionali, mentre noi siamo pienamente funzionali. Non è così.
Quindi cosa cercare.
Cosa cercare
– La risposta a stimoli visivi, uditivi, gustativi, olfattivi e tattili è ritardata
– Ecolalia in reazione a voci monotone, acute e ripetitive (udito)
– Ogni esperienza è percepita come nuova e non familiare, al di là del
numero delle volte che la persona l’ha già sperimentata
– Scarsa attitudine allo sport (percezione di sé)
– Sembra ignorare i rischi dell’altezza, ecc.
– Tiene la testa diritta, anche quando si piega o si china (vestibolare)
Possono essere affascinati da oggetti colorati e brillanti, da alcuni suoni, da alcune componenti, consistenze, odori e sapori. Naturalmente ogni modalità cambia a seconda dell’individuo. A volte intraprendono complessi movimenti corporei, soprattutto quando si
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sentono frustrati o annoiati, come ondeggiare o girare su se stessi. Dobbiamo chiederci
cosa fare per aiutarli. Suggerisco un elenco degli stimoli piacevoli che, naturalmente, varierà da individuo a individuo.
Pensate alle attività, ai comportamenti, ai materiali che la persona utilizza per l’autotrattamento, per distrarsi da qualcosa che gli procura un dolore.
Se pensate che le attività ed i materiali siano inappropriati, identificate le loro funzioni e
sostituiteli con qualcosa di più adatto.
Uno dei nostri utenti, una donna affetta da autismo, arriva nel nostro centro con uno strofinaccio in mano, lo mette via mentre svolge le altre attività, ma durante l’intervallo lo riprende. Ricordo che lo staff che lavorava con lei mi ha chiesto se non era il caso di
toglierglielo. Ho risposto: “No, perché? Cosa c’è di male? Tutti abbiamo degli hobby e alcuni di questi sono strani. Allora cosa c’è di male? Nulla!”.
La cosa importante è che abbiano qualcosa che li tenga occupati. Come facciamo noi: prima
lavoriamo e poi ci dedichiamo al tempo libero. La stessa cosa vale per loro. Un altro utente,
un uomo grande e grosso di 40 anni, portava sempre con sé una grossa coperta. In quel
caso ero d’accordo con lo staff che bisognava fare qualcosa, per impedirgli di cadere quando
saliva le scale avvolto in questa gigantesca coperta. È stato importante identificare la funzione della coperta, che per lui era la consistenza del tatto. Non tutte le coperte danno
quella sensazione, ma quella in particolare sì. Così l’abbiamo ritagliata sempre di più, sino
ad arrivare ad un pezzo che poteva tenere in una mano e che lo faceva sentire felice. E’
un processo molto lento, ma funziona, ve lo assicuro.
Se un oggetto non è appropriato, come nel caso che ho citato sopra, dobbiamo sostituirlo
con qualcosa di più appropriato, ma che abbia la stessa funzione.
L’elenco delle cose che affascinano il nostro paziente è importante, perché le utilizzeremo in
caso di emergenza per calmare una persona dopo un’esperienza stressante o frustrante. Possiamo portare la persona in una stanza tranquilla e darle qualcosa che le piace: per qualcuno
è musica e quindi le facciamo sentire il brano preferito, oppure odorare qualcosa, un giocattolo, uno strofinaccio da cucina, ecc. Vi ricordate che l’autismo è tutto fuorché noioso, vero?
Intensità con la quale i sensi lavorano
– Ipersensibilità
– Iposensibilità
– Fluttuazione (instabilità della percezione)
La stessa persona può alternare ipersensibilità o iponsensibilità agli stessi stimoli perché la
sua percezione fluttua.
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Ipersensibilità
“Alcune cose che tocco feriscono le mie mani. A volte cammino e percepisco l’aria che mi punge le mani come fonte di dolore”. (McKean)
Questo è vero in base alla mia esperienza, ma non sono in grado di dirvi perché cambiano
continuamente giorno per giorno, ora dopo ora, a volte anche minuto dopo minuto. Questo può essere molto frustrante. La stessa cosa avviene con il volume del televisore.
La loro percezione fluttua e, quindi, è importante esserne consapevoli. Come possiamo riconoscere tutto questo? Qui ho indicato esempi di fluttuazioni. Possono reagire in modo
diverso alla stessa attività o allo stesso stimolo visivo, uditivo, olfattivo, gustativo, tattile.
Una volta dà loro piacere, il giorno dopo suscita indifferenza e il giorno successivo può
dare fastidio.
Per quanto riguarda la percezione di sé possono avere un tono muscolare che varia, un
giorno alto e un giorno basso. Non dimentichiamo la vulnerabilità al sovraccarico sensoriale, soprattutto in situazioni che per noi non presentano problemi, perché questo sovraccarico può essere causato dall’incapacità di filtrare informazioni rilevanti, percezioni
Gestalt, ipersensibilità, percezione frammentata o distorta e l’elaborazione ritardata. Cosa
dobbiamo fare?
È molto difficile. Cerchiamo di analizzare e di fare sentire loro cosa significa il sovraccarico
dopo un comportamento difficile. In un’occasione avevo chiesto a mio figlio di disegnare
il suo panico. Questo è stato il risultato.
Si è disegnato con le mani dappertutto. La sua percezione è molto frammentata, odia
quando uno lo addita perché vede solo le dita, le mani. Così ha cercato di farmi capire
cosa gli è successo. Poi gli ho chiesto dove si trova, dove sente il suo panico.
Vedete la freccia che indica la testa? Quello è il panico, è lì che lui sente il panico.
È molto importante aiutarli a capire cosa succede, insegnare loro come affrontare la situazione perché sono in grado di crescere, di svilupparsi, di imparare a tollerare ed a comprendere ciò che succede.
Donna Williams racconta che quando era piccola la sua soglia di elaborazione durava
solo qualche secondo: capiva una parola e poi c’era una serie di “bla bla bla” e poi ancora
una parola. A 10 anni, la sua soglia variava da 5 a 10 minuti; dall’adolescenza fino ai 20
anni questa soglia andava da 15 a 30 minuti circa; adesso varia da 20 a 45 minuti.
In un ambiente più accogliente queste soglie potrebbero essere molto più elevate, pertanto
è importante adattare l’ambiente alle esigenze sensoriali, consentendolo loro di affrontarle
nel modo migliore.
Cosa dobbiamo cercare in caso di sovraccarico? Un improvviso scatto d’ira, di autolesionismo,
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di chiusura, di attacchi di collera. Ancora una volta il metodo ABC non funziona (antecedente
– comportamento – conseguenza), perché quando stanno bene e tutto va bene intorno a
loro, sono in grado di tollerare di più, ma se sono già stanchi, se ci sono troppe persone o
troppa luce vanno in sovraccarico e mettono in atto comportamenti di sfida.
Sono come un bicchiere: se il bicchiere è vuoto va bene, ma se aggiungiamo acqua e ancora acqua, quando arriva la goccia che fa traboccare il vaso è la fine. Per loro avviene la
stessa cosa, per cui quando sopraggiunge il sovraccarico, senza una ragione apparente,
esplodono. Altri indicatori sono la chiusura nel loro mondo ed il fatto che si stancano facilmente, in particolare nei luoghi affollati, luminosi e rumorosi o quando devono stare in
piedi. Cosa possiamo fare per aiutarli?
Ipersensibilità:
– Identificare quali stimoli sono disturbanti ed eliminarli (per es. usare
luci naturali invece di luci fluorescenti) o, qualora ciò non fosse possibile, si suggerisce di fornire alla persona “aiuti sensoriali” (occhiali colorati, tappi per le orecchie, ecc.)
– Desensibilizzare gradualmente la persona affinché tolleri gli stimoli attraverso una “dieta” sensoriale
– Monitorare il numero di stimoli simultanei e ridurre gli stimoli irrilevanti
– Se possibile, avvertire la persona in merito alla presenza di allarmi antincendio, campane, ecc.
Iposensibilità:
– Fornire una stimolazione ulteriore ai canali comunicativi che presentano deficit
È molto importante riconoscere i primi segni di sovraccarico sensoriale. È meglio prevenirli
che affrontarne le conseguenze. Questi primi segnali variano da soggetto a soggetto.
Vi parlo di mio figlio. I primi segni che sta andando in sovraccarico e presto andrà in crisi,
sono le labbra che diventano molto tese, sottili, come chiuse in un’unica linea. I suoi occhi
diventano vuoti, come se fosse distante. Il problema è che non appena vedo questi primi
segni, l’intervallo di tempo prima che si verifichi la crisi è inferiore al minuto e, quindi, devo
fare qualcosa in un lasso di tempo inferiore ai 60 secondi. Appena si vedono i primissimi
segni di un sovraccarico sensoriale, che varia da individuo ad individuo, bisogna interrompere l’attività e fornire il tempo e lo spazio per fare sì che si riprendano. Ciò significa
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prendere la persona, spostarla in un altro luogo, darle lo spazio perché si riprenda. Purtroppo, a volte, non c’è abbastanza tempo.
Voglio farvi due esempi che sono i più grossi errori che ho fatto nella mia vita. Cerco sempre di desensibilizzare mio figlio perché voglio che viva nella società e ora lui reagisce
molto meglio. Ogni domenica lo porto a fare shopping in un supermercato. Gestisce bene
questa esperienza perché l’ho esposto a questo stimolo un po’ alla volta.
Due anni fa, devo ancora riprendermi, l’ho portato in un supermercato per lo shopping prenatalizio. Ho fatto un grosso errore al quale sono sopravvissuta per raccontarvelo, ma è stata
veramente dura. Non c’erano centinaia di persone, ma migliaia; non si riusciva nemmeno
a muoversi; c’era gente ovunque, musica, annunci, bambini, neonati che piangevano. Riuscite ad immaginare una situazione del genere?
Quando ho visto il primo segno di sovraccarico non sono riuscita a fare assolutamente
niente. Eravamo troppo lontani dall’uscita. Era impossibile muoversi perché c’era troppa
gente. Eravamo in una coda lunghissima. Continuavo a parlare e dicevo: “Bravo, sei proprio forte”. Cercavo di calmarlo perché vedevo che c’erano i segni di sovraccarico, ma ciò
che lo ha fatto esplodere è stata una ragazza che cercava di raggiungere da dietro qualcuno
che stava più avanti. Questo è stato veramente troppo per lui. La mia strategia è stata quella
di capovolgere la sua aggressione verso la ragazza e rivolgerla verso di me. Se vedete le sue
foto, è un bellissimo ragazzo, molto alto, dall’aspetto assolutamente normale.
Sapevo quello che lui avrebbe fatto e sapevo come proteggermi, sapevo che mi avrebbe
preso a calci e che mi avrebbe graffiato. Conosco le sue reazioni e so come gestirle perché
mi sono trovata in tali situazioni molte altre volte. L’ho afferrato con energia per portarlo
fuori, mentre dava calci alla gente, spingeva carrelli. Quando siamo arrivati fuori, piangendo mi ha detto: “Non volevo farti male”.
Il suo comportamento dipendeva dal panico, non da qualcosa di personale rivolto verso una
persona. Quando le persone affette da autismo diventano aggressive e pericolose per gli altri
non hanno intenzione di fare del male, ma non riescono a sopportare una certa situazione
e reagiscono in modo violento. Era lì che piangeva e diceva: “Non volevo farti male, ti prometto non lo farò mai più”. Gli ho risposto che lo sapevo. Ovviamente piangevo pure io e
gli dicevo: “Va bene, lo so, ti amo, non c’è problema, ti voglio bene”.
La gente intorno a noi ci guardava con gli occhi sbarrati perché non riusciva a capire la situazione. Non capiva perché questo bellissimo ragazzo improvvisamente mi picchiasse ed
io, malgrado mi picchiasse, gli dicevo: “Non ti preoccupare, ti voglio bene”.
Questa è una situazione difficilmente comprensibile dall’esterno.
A volte non c’è abbastanza tempo per allontanare la persona in sovraccarico, pertanto è importante insegnargli come riconoscere i segni interni e chiedere aiuto, oppure usare strategie diverse, come per esempio insegnare a rilassarsi per evitare il problema. Perché questo
è importante?
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Io non sono sempre con lui: per questo motivo è estremamente importante riconoscere i
segni interni di sovraccarico. Entrare in sovraccarico è una sensazione fisica; quindi è importante insegnare ad uscire da quella situazione, mettendo in atto delle strategie di rilassamento, oppure a chiedare aiuto.
Un kit di pronto soccorso dovrebbe essere sempre a disposizione con: occhiali da sole,
tappi per le orecchie, giochi da schiacciare, oggetti preferiti, cartellino con scritto “ho bisogno di aiuto”. Il cartellino è importante non solo per quelli che non riescono a parlare,
ma perché durante il sovraccarico persino una persona affetta da autismo ad alto funzionamento diventa assolutamente incapace di farlo. Durante gli attacchi di panico o di sovraccarico devono sapere come usarlo.
Questo sovraccarico può portare a diverse reazioni. Se continuano a cercare di elaborare
tutte le informazioni in entrata, malgrado la loro incapacità di gestirle, si può avere una situazione di ipersensibilità o frammentazione che porta ansia, confusione, frustrazione, con
conseguenti attacchi di collera e comportamenti difficili.
Ora voglio dirvi una cosa che potrebbe sembrare assurda. Cosa pensate se vi dico che le
persone affette da autismo sono persone difficili, aggressive, ma hanno un potenziale migliore di coloro che sono passivi? Non è una mia idea, ma di Donna Williams. Secondo la
mia esperienza di lavoro con queste persone posso dire che sono completamente d’accordo
con lei. Sapete perché?
Le persone autistiche che sono chiuse e passive, hanno difficoltà a lavorare con gli altri
perché vivono nel loro mondo, non hanno una motivazione particolare per vivere con noi
e nel nostro mondo. Alcuni insegnanti preferiscono un bambino passivo perché si siede in
classe per ore senza disturbare nessuno, senza creare problemi, però raggiungere questi
bambini è estremamente difficile perché sono ragazzi che non sono motivati. Invece i ragazzi aggressivi, che lancino sfide, vogliono stare con noi, ma non riescono a gestire il sovraccarico e ad affrontare la sovrastimolazione.
Ho parlato di questo perché credo che Donna Williams abbia centrato il problema.
E ora voglio parlarvi del secondo errore, al quale fortunatamente sono sopravvissuta. Come
dicevo ieri, porto mio figlio ovunque per cercare di desensibilizzarlo alle situazioni. Una
volta, mio figlio ha guardato il film più lungo che sia mai riuscito a gestire, Harry Potter 1.
Ve lo ricordate? Dura tre ore e lui è riuscito a seguirlo dall’inizio alla fine. Ero con lui a guardare questo film annoiatissima.
Dopo quell’esperienza, gli ho chiesto se volesse andare a vedere l’ultimo film di James
Bond. L’esperienza è stata tremenda. Ve lo ricordate? Macchine che si scontravano, incidenti, rumori, urli, sirene. Dopo 40 minuti, quando mi sono accorta che aveva gli occhi
sbarrati, le labbra serrate, gli ho detto: “Andiamo via?”, con noi c’erano anche mio marito
e mia figlia, mi ha risposto: “No, voglio stare qui a guardare il film fino alla fine”.
Era estremamente motivato a guardare il film, ma ovviamente non ce l’abbiamo fatta e
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siamo dovuti uscire prima della fine. Vuole stare con noi e condividere le nostre esperienze.
Il nostro compito è di aiutarlo, passo dopo passo, a desensibilizzarsi all’ambiente esterno,
per gestire le situazioni della quotidianità.
Dopo un sovraccarico sensoriale, possono verificarsi agnosia sensoriale o difficoltà a interpretare un senso. Questa di nuovo è una situazione descritta da Donna Williams dopo un
sovraccarico sensoriale, quando non è riuscita a riconoscere quello che si trovava di fronte.
Agnosia sensoriale (difficoltà ad interpretare i sensi)
“Guardavo la macchia grigia di fronte a me. Il suo significato era sconosciuto non solo per le mie orecchie, ma anche per i miei occhi. Potevo vederla, ma non avevo alcuna idea di che cosa potesse essere”
Vi ricordate lo schema percezione – sensazione – interpretazione - comprensione. Quello
che succede loro è ritornare al primo passo, alla sensazione. Vedono tutto, sentono tutto,
ma sono incapaci di interpretare quello che li circonda. Anche le persone ad elevato livello
di funzionalità possono avere questa regressione che è temporanea.
Cosa cercare
–
–
–
–
–
Si sente o agisce come se fosse cieco, sordo, ecc.
Rituali
Ha difficoltà ad interpretare suoni /sapori
Sembra non sapere cosa stia facendo il suo corpo
È disorientato se cambia la posizione della testa
Come indicato nello schema precedente, possono comportarsi e sentirsi come ciechi o sordi,
mentre vedono e sentono tutto, ma non capiscono di che cosa si tratta e non riescono a decodificare la realtà. Hanno difficoltà nell’interpretazione dei gusti e degli odori, sembrano
non sapere che cosa sta facendo il loro corpo, diventano improvvisamente disorientati dopo
un cambiamento nella posizione del capo (questo è un problema di tipo vestibolare).
A causa di tutti questi problemi, hanno dei meccanismi di adattamento e compensazione
per poter sopravvivere in questo mondo.
Volontariamente o involontariamente sviluppano dei sistemi di adattamento e compensazione.
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Adattamenti e compensazioni
Stili percettivi:
– chiusure del sistema
– mono-elaborazione
– percezione periferica
– compensazione di un senso non affidabile con gli altri sensi
Incapaci di gestire le informazioni sensoriali, chiudono alcuni o tutti i canali sensoriali; possono esserci dal punto di vista fisico ma non da quello mentale.
Chiusura del sistema
Quando la persona non può fronteggiare l’informazione sensoriale, può
chiudere alcuni o tutti i canali sensoriali.
I neonati mettono in atto un“auto-sospensione sensoriale”
“Staccandomi dalla percezione sensoriale, posso non aver ricevuto la stimolazione necessaria per uno sviluppo normale”. (Temple Grandin)
Noi diagnostichiamo l’autismo non prima dei 16-18 mesi nei casi più gravi, nei casi ad alto
livello di funzionamento questo avviene più tardi.
Ovviamente i neonati, subito dopo la nascita, sembrano quasi tutti normali.
Prima non sappiamo cosa succede, ma sembra che alcuni neonati, diagnosticati poi come
autistici, sviluppino questi sistemi di chiusura per proteggersi dal sovraccarico sensoriale.
Quindi creano ciò che ho definito “privazione sensoriale autoimposta”.
La cosa interessante è che più stanno in questo stato di chiusura, peggio è in quanto, a
volte, diventano ciechi o sordi dal punto di vista funzionale.
Cosa vuole dire questo? Un utente del nostro servizio di 46 anni, che è sordo dal punto di
vista funzionale, è nato con udito normale. Dal momento che il suo udito era ipersensibile,
ha imparato a chiudere il proprio sistema uditivo molto presto nel corso della vita, e così
è divenuto funzionalmente sordo, perché non voleva usare il senso dell’udito. A volte questo è possibile. Abbiamo conosciuto alcuni casi in cui è successo un fatto analogo. Alcune
persone fanno uso di queste chiusure per sopravvivere a situazioni che sono per loro ingestibili.
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Cosa cercare (chiusure)
–
–
–
–
Sembra che imiti in modo irragionevole
Si sorprende venendo a conoscenza di informazioni sconosciute
A volte non reagisce a nessuno stimolo tattile, suono, odore o sapore
Sembra non sapere come muovere il suo corpo (incapacità di cambiare
la posizione del corpo per svolgere un compito)
– Si disorienta in luoghi rumorosi o luminosi
– Si dondola in modo inconsapevole durante altre attività (per es. mentre
guarda un video)
Donna Williams ha raccontato la stessa cosa, cioè che chiudeva tutti i suoi sensi in casi di
sovraccarico, ma a volte l’informazione entrava lo stesso e lei non sapeva spiegare come mai
conoscesse determinate cose.
A volte queste persone non reagiscono agli stimoli tattili, ai rumori, a profumi o gusti; altre
volte sembrano non sapere come muovere il corpo, sono incapaci di cambiare posizione, di
gestire dei compiti, oppure inconsciamente si dondolano durante altre attività.
Passiamo ora alla monoelaborazione con una diapositiva dello stesso bambino che vi ho fatto
vedere ieri. Vi ricordate che vi ho detto che faceva tutto con gli occhi chiusi? Che non usava
mai la vista, bensì il suo sistema tattile per apprendere? Sapete come abbiamo fatto ad insegnargli a leggere? È un bambino non verbale ma legge e scrive, è molto bravo in matematica.
Gli abbiamo dato delle lettere di plastica da toccare con le dita; così ha imparato a leggere e
a scrivere, perché il sistema tattile è più significativo per lui. Prima di venire da noi, ha frequentato una scuola normale dove hanno cercato di integrarlo, dal momento che aveva funzionalità molto elevate. Tuttavia non combinava assolutamente niente. Sapete perché? Perché
il maestro o la maestra gli dicevano sempre: “Guarda quello che stai facendo!” e lo costringevano ad utilizzare il canale visivo. A quel punto entrava in confusione non sapeva più cosa
fare. Se sappiamo che una persona funziona in monoelaborazione, dobbiamo essere consapevoli che cercare di fargli utilizzare altri canali è troppo.
Mono-elaborazione
“Per esempio, quando un bambino con sindrome autistica sta usando il canale del tatto per vestirsi, se un adulto gli dice “guarda cosa stai facendo”
(introducendo un secondo canale) il bambino può fermarsi del tutto e reagire con aggressività, autolesionismo o rinunciare completamente a terminare il compito”. (W. Lawson)
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Diverse persone con autismo usano la monoelaborazione, perché l’apertura di tutti i canali
crea troppa confusione, con la conseguenza di un sovraccarico.
Vediamo quali sono gli indicatori per riconoscere se una persona sta utilizzando la monoelaborazione.
Cosa cercare
–
–
–
–
–
–
–
Non sembra che veda mentre sta ascoltando – odorando – sentendo
Non sembra ascoltare se sta guardando – odorando – sentendo
Non sembra sentire i sapori se sta ascoltando – odorando – sentendo
Non sembra sentire gli odori se sta ascoltando – odorando – sentendo
Non sembra percepire contatto se sta ascoltando – odorando – sentendo
Non riesce a definire la consistenza o la posizione di un contatto
Non sembra conoscere la posizione del corpo nello spazio – che cosa il
corpo sta facendo – mentre guarda – ascolta qualcosa
– Non sembra prestare attenzione a nessun movimento mentre sta guardando – ascoltando qualcosa
Sappiamo che un bambino utilizza il canale tattile, un altro usa il canale visivo o uditivo.
Cosa possiamo fare per aiutarlo?
Cosa fare per aiutare
– Un bambino con mono-elaborazione può avere problemi con gli stimoli
multipli. È fondamentale scoprire quale canale è aperto ogni volta e ridurre tutti gli stimoli irrilevanti
– Dobbiamo presentare sempre l’informazione nella modalità preferita dal
bambino. Se non lo conoscete o non sapete quale canale è attivo in quel
momento (nel caso della fluttuazione) usate una presentazione multisensoriale e osservate quale modalità “funziona”. Ricordate che il bambino può cambiare i canali.
Passiamo ora alla percezione periferica. Avete visto questa immagine? Questi bambini,
come molti altri autistici, non sono in grado di tollerare la percezione diretta, non possono
guardare negli occhi perché è troppo faticoso e provoca un sovraccarico; per alcuni è addirittura doloroso. Come possiamo insegnare a questi ragazzi? Dicendo: “Guardami”.
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È così che facciamo di solito. Come possiamo insegnare loro qualcosa dopo averli mandati
in una situazione di chiusura?
È illogico non trovate? Che male c’è se non vi guardano in faccia o negli occhi? Vi dirò una
cosa: imparano molto di più in modo periferico.
Percezione periferica
“Le persone con autismo spesso usano i lati degli occhi per guardare gli
oggetti o le altre persone. Esse hanno una vista periferica acuta e una memoria per i dettagli che altri non hanno. Fissare direttamente le persone
o gli animali è la maggior parte delle volte troppo difficile per loro. Essere
cercati con gli occhi può far rabbrividire”. (O’Neill)
Le persone con autismo spesso guardano dai lati degli occhi; hanno una vista periferica
molto acuta e memorizzano dettagli che ad altri sfuggono. Uno sguardo diretto alle persone o agli animali, spesso è troppo da sopportare, può dare una sensazione di fastidio,
di intrusione. Ecco perché noi dobbiamo adattare i nostri mezzi.
Ci sono persone che non tollerano lo sguardo diretto, è difficile da spiegare: non si tratta
soltanto del contatto oculare ma del fatto che ci sia una percezione diretta. Alcune persone, tra cui mio figlio, non so se ve l’ho già raccontato, sente sulla pelle quando qualcuno lo guarda in modo diretto. Io non grido mai a casa, non ho bisogno di gridare. Se
fa qualcosa che non voglio che faccia, lo guardo e lui comprende il mio pensiero e dice:
“Ok, non lo faccio più”.
Cosa cercare
– Evita il contatto visivo diretto
– Reagisce meglio alle istruzioni quando esse “vengono indirizzate al
muro”
– Tollera solo il contatto strumentale (non sociale)
– Evita odori o sapori diretti
– Mangia con molta prudenza
– Ha difficoltà ad imitare i movimenti
– Evita le attività di equilibrio
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Cerco di trovare sempre qualcosa di positivo nell’autismo perché così la mia vita diventa
più facile. È bello non dover gridare. Il problema è che mio figlio non è in grado di sopportare quando la nostra gatta lo guarda. Dice sempre: “Dille di girarsi”. Vi rendete conto
qual’è il mio problema: negoziare con la gatta. A volte, credo che la gatta lo faccia apposta, è molto intelligente.
La percezione periferica è decisamente migliore. Ecco perché vi consiglio di non insistere,
e fidatevi funziona, perché lo applichiamo da più di dieci anni con tantissime persone. Coloro che non sono in grado di tollerare la percezione diretta, coloro che passano attraverso
la percezione periferica, non hanno solo un problema di vista ma anche di udito e di tutti
gli altri sensi. Provano un grande vantaggio dal confronto e da un approccio indiretto.
Come possiamo aiutarli
– Mai forzare il contatto visivo
– Non approcciarsi alla persona direttamente nella sua modalità ipersensibile. Quando l’ipersensibilità del canale interessato è incanalata e ridotta, la percezione diretta diventa più facile
Se volete insegnare a vostro figlio qualcosa o dargli delle informazioni, sia che sia un bambino che un adulto, dovete trovarvi nella stessa stanza con questa persona, menzionare il
suo nome e parlare al muro, parlare al pavimento, parlare alla finestra, alle scarpe. La persona recepisce così in modo decisamente migliore. Se poi vi sedete e gli dite “Guardami”
è finita.
In modo periferico questa persona recepisce tutto. Vedrete risultato, ve lo prometto, non
in modo immediato perché a volte la percezione è ritardata, ma la persona riceve l’informazione, anche se non vi guarda.
Dobbiamo insegnare loro ad interagire con le persone naturalmente. A qualcuno non
piace evitare lo sguardo, ma è importante guardare nella direzione del bambino o del ragazzo senza stabilire il contatto oculare, consentendo loro di svilupparsi e di imparare ad
affrontare la pressione sociale. L’approccio del confronto indiretto funziona, ve lo garantisco.
Un'altra strategia è che ci siano due persone nella stessa stanza con un bambino, ma che
parlino tra loro del bambino in sua presenza. Non discutete come fareste in un incontro
con i genitori: fate un gioco di ruolo: “Katy è davvero brava nel fare questa cosa”, e Katy
riceve il messaggio nel modo migliore. Dovete fingere una messa in scena, parlare della ragazza. Che cosa volete che faccia? Adottare un atteggiamento positivo, così riceve nel
modo migliore questo messaggio. Non funziona dire: “Katy fai questo”.
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Un avvertimento però molto importante. A volte gli insegnanti o gli altri membri dello staff,
i genitori, gli assistenti, pensano che il ragazzo sia seduto in un angolo senza capire quello che
succede, senza ascoltare. Invece, il ragazzo recepisce tutto ed è in grado di ripetere a casa
quello che sente. Conosco tanti segreti delle vite private degli insegnanti di mio figlio, che credono che non li stia ascoltando, mentre in realtà ascolta tutto. A volte non capisce, ma ripete
interi brani di conversazione. Conosco una serie di aneddoti delle vite private degli insegnanti dei miei figli, non ve li rivelo, ma state attenti quando parlate in presenza dei ragazzi.
Cerco di preparare mio figlio, anche se ormai conosce i miei orari, sa che lavoro in Scozia e
altrove, che il lunedì vado in un luogo e il martedì in un altro. Non sono stata io a dirglielo,
ma lo ha appreso quando parlo al telefono, mentre ascolta nella sua camera da letto al piano
superiore. Conosce tutte le mie conferenze ed il mio programma meglio di chiunque altro,
come fosse il mio segretario. State molto attenti a parlare in sua presenza, come faccio io,
quando sono a casa se voglio parlare di un argomento che non voglio che senta, perché è ipersensibile sul piano dell’udito e può utilizzare in seguito le informazioni che ascolta.
Ci sono bambini che vi guardano fissi, vi vengono vicino e vi fissano: questo non è contatto
visivo, è una cosa completamente diversa che implica una volontà. Ora vi faccio vedere un
video di pochissimi secondi, ancora con mio figlio, perché con altri bisogna sempre chiedere
l’assenso dei genitori per la privacy. Nel nostro giardino sono venute alcune persone a trovarci
e lui ha voluto essere presente. Non è stato un problema per lui dal punto di vista sociale; in
quel caso gli ho detto: “Dì ciao” quando se ne sono andati. Ho fatto sì che lui diventasse più
socievole, anche se nel video vedrete che ci ha girato la schiena mentre salutava con la mano.
Cosa cercare
– Evita il contatto visivo diretto
– Reagisce meglio alle istruzioni quando esse “vengono indirizzate al
muro”
– Tollera solo il contatto strumentale (non sociale)
– Evita odori o sapori diretti
– Mangia con molta prudenza
– Ha difficoltà ad imitare i movimenti
– Evita le attività di equilibrio
La compensazione del senso debole con gli altri sensi
Un senso non è mai abbastanza
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Per esempio ci sono bambini che controllano tutto: annusano il cibo, le persone, toccano o picchiettano su tutto. Immaginate un po’ se la loro vista è distorta, frammentata,
ipersensibile, dolorosa, in un certo senso inaffidabile, come possono fare? Come possono
riconoscere gli oggetti? Li riconoscono annusandoli, leccandoli, toccandoli, picchiettandoli.
Al centro veniva un bambino con una vista molto inaffidabile, la cui mamma diceva che
toccava e picchiettava su tutto. Solo picchiettando con le nocche sulla televisione, riusciva a riconoscerla dal suono che produceva.
Anche mio figlio annusava tutto, ad esempio il cibo prima di mangiarlo, perché la sua
vista non era affidabile. Ora che la sua vista è migliorata grazie all’uso degli occhiali, non
ha più bisogno di annusare tutto.
Per esempio, quando diamo ad un bambino una palla e lui la annusa o quando annusa
le persone, voi gli dite: “Non annusare le persone, non è bello”. Ma se gli altri sensi sono
inaffidabili o se non funzionano, come fanno questi bambini a riconoscere le persone
che li circondano?
Quindi dobbiamo scoprire quali sono i canali inaffidabili. È molto importante scoprire
quale canale costituisce il loro problema principale, in quanto tutti i canali, tutti i sensi
sono in relazione tra loro. Se alcuni sensi sono colpiti, saranno colpiti anche gli altri
sensi. Ad esempio se è colpita la vista, il bambino farà uso dell’udito per vedere, come
faceva Donna Williams. Questo significa che l’udito fa due lavori, svolge due compiti: vedere e sentire. Questo è il motivo per cui i ragazzi entrano facilmente in sovraccarico e
diventano facilmente ipersensibili.
Se si risolve il problema della vista, cioè il problema principale, migliorerà anche l’udito.
È successo anche a mio figlio che non è più ipersensibile. Sì, magari lo è ancora un po’,
ma non come nel passato perché la sua vista è migliorata tantissimo, non usa, quindi, più
l’udito per supportare la vista carente. Mia figlia, in passato, se dalla cucina voleva dire
qualcosa a mio figlio che si trovava al piano di sopra in camera, glielo comunicava con
la voce normale e lui la sentiva perfettamente. Ora non riescono più a farlo e lei dice:
“Ma è sordo?”. Preferiva quando lui la sentiva ad un piano di distanza, con due o tre
porte chiuse.
Un’altra storia che voglio raccontarvi riguarda Giorgiana, una ragazza americana con autismo, che ha trascorso undici anni della sua vita in un istituto speciale. Poi la mamma
ha deciso di portarla in una clinica in cui curavano i problemi di udito. Risolto quel problema, non è guarita anche dall’autismo, ma ha dimostrato di essere ad alto livello di funzionamento. La sua storia è stata pubblicata in un libro che ha convinto centinaia di
genitori a portare i loro figli in questo centro. Nel caso di Giorgiana, l’udito era il problema principale, quindi una volta risolto, il suo comportamento generale è migliorato.
In altri casi l’udito, come nel caso di mio figlio, compensa la carenza della vista, quindi
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non aveva senso portarlo in un centro specializzato. Vedete che, come ho detto prima,
tutti i sensi sono correlati.
Cosa cercare per comprendere se c’è compensazione fra i sensi?
–
–
–
–
–
–
Odora, lecca, tocca o sbatte gli oggetti
Cerca la fonte dei suoni
Ispeziona il cibo prima di mangiarlo
Si guarda i piedi mentre cammina
Si guarda le mani mentre sta facendo qualcosa
Evita di arrampicarsi, saltare, camminare sul terreno irregolare
Cosa possiamo fare per aiutarli
– È importante lasciare che gli individui usino la modalità sensoriale che
preferiscono per verificare la loro percezione
Con il trattamento appropriato e gli aggiustamenti ambientali per diminuire
l’ipersensibilità, essi possono imparare gradualmente ad usare i loro sensi
in modo appropriato – occhi per vedere, orecchie per sentire
Le reazioni insolite agli stimoli sensoriali
sono bizzarre e anormali?
– I comportamenti bizzarri sono spesso strategie compensative per regolare i loro sistemi e fronteggiare l’informazione in eccesso
– Questi comportamenti auto-stimolatori possono servire a molteplici
scopi e lo stesso comportamento può avere diverse cause
“Molte auto-stimolazioni, incluso dondolare il corpo, oscillare, battere le
mani, sfregare la pelle e molte altre, sono connessioni piacevoli e calmanti
per i sensi”. (O’Neill)
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Funzioni delle stereotipie
– Difesa (per ridurre il dolore o lo sconforto causati dall’ipersensibilità,
frammentazione, sovraccarico, ecc.)
“Eliminazione dell’eccesso sensoriale che interferisce con il funzionamento”. (Shore)
– Auto-stimolazione (per incrementare l’input in caso di ipersensibilità)
– Compensazione (per interpretare l’ambiente in caso di ridotta informazione sensoriale)
“Stavo fronteggiando un mondo di cui gli altri non comprendevano
nulla. Reagivo a tutti questi bombardamenti e alla confusione con quei
movimenti fisici, il silenzio e i suoni strani che di solito sono etichettati
come comportamenti autistici”. (Lucy Blackman)
– Manifestazioni di frustrazione:
“A volte sbattere la testa e mordere le nocche, scoppi d’ira o collera
sono modi per dire che non se ne può più”. (Lawson)
– Esperienze piacevoli che aiutano ad allontanarsi da un ambiente che
confonde
“Dondolarsi ed oscillare sono altri modi per chiudere fuori il mondo
quando c’è troppo rumore. Oscillare mi calma. È come una droga che
crea assuefazione. Più lo faccio e più ho voglia di farlo”. (Grandin)
Temple Grandin a proposito dello spettro autistico dice:
“Per le persone con autismo ci sono continuamente problemi di elaborazione sensoriale, che vanno da fratture e immagini disgiunte da un lato, ad
una lieve anormalità dall’altro”
I casi più gravi sono quelli definiti a basso livello di funzionamento, per quelli ad alto livello
la situazione è meno grave.
La tempistica è importante quando appaiono questi problemi sensoriali.
118
“L’esatta manifestazione nel tempo dei problemi sensoriali può determinare in un bambino un autismo ad alto funzionamento, un autismo non
verbale o un autismo a basso funzionamento. Ipotizzo che la maggior sensibilità al tatto e all’udito, che si sviluppa prevalentemente all’età di due
anni, possa causare rigidità di pensiero e mancanza di sviluppo emotivo,
che si riscontrano nell’autismo ad alto funzionamento. Questi bambini recuperano parzialmente la capacità di comprendere il linguaggio tra i due
anni e mezzo e i tre. Coloro che hanno un normale sviluppo fino ai due
anni, possono avere un livello normale di emotività perché i centri emotivi del cervello hanno avuto la possibilità di svilupparsi prima che si manifestassero problemi di elaborazione sensoriale. Può essere che una
semplice differenza di manifestazione nel tempo determini quale tipo di
autismo si svilupperà”. (Grandin)
Questa è un’ipotesi di Temple Grandin, che credo sia estremamente interessante e valga
la pena di sviluppare.
Le differenze nella percezione possono cambiare radicalmente il corso del linguaggio, dello
sviluppo sociale, emotivo e cognitivo e possono portare a sviluppare abilità, stili di pensiero e di comunicazione differenti.
Questo è il motivo per cui si sviluppano soltanto attraverso canali diversi.
Il profilo percettivo sensoriale (SPP)
Nessuna persona con autismo sembra avere esattamente lo stesso tipo di
esperienze percettive sensoriali
Il profilo di percezione sensoriale (SPP) è di estrema importanza. Ricordate che non ci sono
due persone affette da autismo che hanno le stesse esperienze di percezione sensoriale. Questo è il motivo per cui è importante usare i questionari che ho elaborato.
Ho poi usato colori diversi a seconda dei sensi considerati. La vista è rossa, l’udito è arancione, il tatto è giallo, eccetera. Ho sviluppato dei grafici in base ai colori dei sensi ottenendo
profili sensoriali completamente diversi. Sono relativi a bambini autistici, il cui comportamento in apparenza è esattamente lo stesso: deficit nell’interazione sociale, nella comunicazione, nell’immaginazione. In realtà sono solo la punta di un iceberg che nasconde
sott’acqua una realtà percettiva assolutamente diversa.
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Riportiamo di seguito alcune delle domande alle quali ha risposto
Olga Bogdashina
“È possibile intervenire per curare l’autismo ed i problemi che comporta?”
Non c’è una cura per l’autismo, però può essere trattato come sindrome. Se conosciamo i
meccanismi della percezione del mondo esterno, se sappiamo come sviluppano il linguaggio e i loro sistemi cognitivi, possiamo adottare approcci che li aiutino a comprendere ed
a sviluppare una serie di capacità.
Naturalmente sono trattabili e sono in grado di avere un loro ruolo e funzionamento all’interno della società. Ad esempio il trattamento dell’integrazione sensoriale funziona abbastanza bene. Al momento ci sono diverse controversie: ci si chiede se trattare ogni
bambino allo stesso modo. Secondo il mio punto di vista è fondamentale riuscire a ricostruire il profilo sensoriale dei pazienti per chiedersi quale tipo di trattamento adottare nei
vari casi. C’è speranza!
“Quale può essere il ruolo dei genitori nella cura di un figlio con autismo?”
Anch’io sono madre di un ragazzo autistico. I genitori vogliono sapere che cosa succede,
vogliono imparare. È vero che a volte hanno una resistenza ad accettare la situazione, però
è importante continuare a parlare con loro, a dare informazioni, a spiegare come funziona.
Io non sapevo nulla all’inizio. Ad esempio, se l’operatore spiega ai genitori cosa accadrà al
figlio e dà consigli sul comportamento da adottare, la loro vita e quella del ragazzo diventeranno più facili. Tutti i genitori imparano, anche se ci vuole tempo. Credo che l’istruzione,
l’educazione dei genitori sia molto importante, per cui dobbiamo preoccuparci anche di loro
e non soltanto dei ragazzi.
Io lavoro molto con i genitori in Gran Bretagna, occupo molti giorni per la loro formazione
perché è importante lavorare con tutta la famiglia.
“Qual è la differenza fra autismo ad alto e basso funzionamento?”
In realtà non esiste una diagnosi specifica di autismo ad alto o basso funzionamento. Si
parla soltanto di diagnosi autistica per quanto riguarda la classificazione della Società Americana di Psichiatria. Noi effettivamente dividiamo autismo ad alto e basso funzionamento
semplicemente per capire con che cosa abbiamo a che fare. In generale si parla di autismo
a basso funzionamento quando un bambino non parla, mentre l’alto funzionamento riguarda una persona che è molto verbale, che ha un quoziente di intelligenza normale. Per
esempio in Tito, che non è ancora verbale, che non è in grado di parlare ed ha un comportamento difficile, pur con un quoziente intellettivo molto elevato, è veramente difficile
considerare quello che è il ritardo mentale.
120
In Inghilterra è politicamente scorretto parlare di ritardo mentale. Si parla di difficoltà di
apprendimento. La mia opinione personale è che in realtà oggi non abbiamo tempo per discutere. Sto facendo una ricerca sulla cognizione e sul pensiero autistico e, quindi, direi che
è meglio utilizzare il test del quoziente intellettivo, formulato per definire le persone normali; in base ai risultati ottenuti noi definiamo un ritardo mentale. Credo che si tratti soltanto di diversità di abilità e di approccio sbagliato da parte nostra. Sono convinta che
abbiano veramente un sistema cognitivo molto diverso dal nostro. In verità, credo che il
nostro approccio verso le persone con autismo sia sbagliato perché esse hanno un sistema
cognitivo molto diverso.
Questa è la mia opinione personale: noi li avviciniamo in modo sbagliato per quanto riguarda il ritardo mentale. Vi prego di credere a quello che dico.
Immaginate di verificare il quoziente intellettivo di un bambino non vedente chiedendogli di dare un nome ai colori che ha davanti. Anche se questo bambino toccasse il colore,
non sarebbe in grado di rispondere alla vostra domanda. Questo significa forse che ha un
ritardo mentale? Capite quello che sto cercando di dire? A volte utilizziamo test inadeguati rispetto al loro sistema cognitivo, che è profondamente diverso dal nostro.
“Come dobbiamo comportarci di fronte alle situazioni con comportamenti problematici?”
Quando diventano aggressivi, come dicevo prima, non sono in grado di affrontare nulla;
bisogna semplicemente spostarli e dare loro il tempo di ricaricare le batterie, di rilassarsi.
Durante gli attacchi di panico, non possiamo aiutarli, ma semplicemente spostarli o spostare
le altre persone che sono presenti.
Qualcuno in Inghilterra una volta mi ha chiesto come fare quando in classe c’è un bambino agitato e in sovraccarico. È utile cercare di confortarlo, di abbracciarlo? Ho risposto
che invece di aiutarlo, rischiamo di sovraccaricarlo ancora di più. Dobbiamo lasciare da solo
il bambino, assicurandosi prima che non sia in pericolo. Il tentativo di confortarlo, di contenerlo è eccessivo per lui; bisogna dargli il tempo per riprendersi.
“Ha senso insegnare a leggere e scrivere ad un bambino con autismo?”
Ho una presentazione che tratta proprio della comunicazione e dell’apprendimento linguistico
nei bambini autistici, ma ci vogliono otto ore per fornire questa informazione. È una domanda vastissima e richiede un’intera giornata per rispondere. Vi ho già spiegato come imparano le parole a causa della percezione Gestalt e letterale. È importante sapere che hanno
difficoltà a generalizzare. Possono apprendere, ma noi dobbiamo essere in grado di insegnare
adeguatamente. La lettura e la scrittura sono molto importanti, ha fatto bene a chiedermelo.
A volte abbiamo delle concezioni sbagliate. Ad esempio, riteniamo che un bambino che non
121
è verbale, non sia in grado di scrivere o di leggere, ma sbagliamo. È in grado di farlo, non potete immaginare quanto. La stessa cosa vale per gli adulti autistici, anche quelli a basso funzionamento. Ho visitato molti centri di cura in Inghilterra e mi sono sentita molto frustrata,
perché trovavo blocchi colorati, giocattoli e nient’altro. Nessun materiale per la lettura, niente
di niente, e io dicevo: “Perché non ci sono riviste, giornali, libri”. Qualcuno mi rispondeva:
“Non sanno leggere”. “Come fate a saperlo! Date loro l’opportunità di farlo, presentate
loro gli strumenti adeguati!”.
Alcuni sono in grado di imparare a leggere guardando televisione, vi rendete conto? Imparano a leggere con i sottotitoli, le scritte, le parole non lettera per lettera ma in modo globale.
È così che mio figlio ha imparato. I problemi, nel mio caso, sono iniziati quando ha imparato
a leggere in tutte e due le lingue. Non gli ho insegnato molto e lui ha imparato a leggere il
russo e l’inglese con una comprensione di tipo letterale. In un negozio che frequentiamo, è
capitato che per cercare di attirare clienti a comprare una determinata marca di sapone fosse
stato preparato un pannello con la scritta “Prendete e andate”. Lui l’ha fatto. Capite cosa intendo dire? Ho avuto problemi con la sicurezza, ma per lui era un’istruzione, “Prendete e
andate”. Per questo è importante insegnare loro a leggere e a scrivere.
Vi do un consiglio a questo proposito. Quando alcuni di loro si rifiutano di tenere in mano la
matita o la penna, noi teniamo la loro mano, gli mettiamo la mattina in mano e scriviamo e
disegniamo con le loro mani. Molti hanno problemi motori, non sono in grado di muovere
la mano e collegare quattro punti. Noi lo facciamo con loro per giorni interi, per settimane,
finché imparano a scrivere. È così che Tito ha imparato a scrivere, è così che sua madre gli
ha insegnato a scrivere: tenendogli la mano e scrivendo insieme a lui. Ora ha scritto due libri,
nonostante fosse stato diagnosticato come un ritardato mentale autistico grave.
È importante insegnare loro a leggere ed a scrivere, ma utilizzando queste strategie. Se un
bambino usa un solo canale alla volta, oppure se è ipersensibile, bisogna adattare l’ambiente
e trovare il canale adeguato. È un argomento vastissimo e potrei parlarne per delle ore. Spero
di aver risposto, almeno in parte, alla sua domanda.
“Cosa intende per desensibilizzazione?”
Quando parlo di desensibilizzazione, parlo del metodo di lavoro che condivido e applico.
Di questo stavo parlando senza dargli un nome: la desensibilizzazione attraverso gli esercizi. Come dice Delacato è importante esporre gradualmente i ragazzi agli stimoli sensoriali che non sono in grado di tollerare. È quello che faccio quando porto mio figlio a fare
la spesa il sabato: abbiamo iniziato con la spesa di 5 minuti, poi 10, poi 15 e così via.
Credo che sia una terapia molto utile.
“Può servire la psicomotricità?”
Per quanto riguarda la terapia psicomotoria sì e no, sinceramente. Non esiste una sola te122
rapia in grado di aiutare tutti i bambini. Ecco perché è importante capire che tipo di terapia è più adatta ad un particolare bambino, magari attraverso il profilo sensoriale. Molti di
loro hanno problemi motori, ma ogni bambino deve avere una terapia su misura o una
combinazione di terapie diverse.
“Posso sapere come sono organizzati i servizi per le persone con autismo?”
Iniziamo dall’Ucraina. Fino a 10 anni fa, non c’erano bambini autistici in Ucraina, non esistevano. Ecco perché ho creato questa società 10 anni fa. Prima di allora c’erano diagnosi sbagliate di schizofrenia o di grave ritardo mentale o altre patologie. Erano senza speranza.
Semplicemente venivano tenuti in istituti speciali per bambini con ritardo.
Lì ho avviato la mia scuola, di cui ho ancora la direzione, per persone con autismo, che avevano avuto la diagnosi di una malattia senza speranza. Ufficialmente questa scuola non ha
alcun riconoscimento. Tutti ne conoscono l’esistenza, i genitori ci portano i loro figli da ogni
angolo del Paese, in particolare quando ci sono io, perché sono io a fare la diagnosi ai bambini e la formazione agli insegnanti che danno anche consulti ai genitori. In Ucraina la situazione è difficile. Ci stiamo dando da fare: ho creato degli enti caritatevoli in Inghilterra,
attraverso cui paghiamo gli insegnanti ed ora va un pò meglio, ma c’è ancora molto da migliorare. Per quanto riguarda la Gran Bretagna, ci sono delle scuole sia private che pubbliche.
Il problema, come ovunque, è che le autorità locali non vogliono mandare i bambini autistici
in scuole private, per via dei costi che questo comporta, ma la qualità è indubbiamente migliore, perché appartengono alla società internazionale per l’autismo. Per avere un incarico
all’interno di questi istituti bisogna essere molto esperti e avere una formazione adeguata e
approfondita. Ci sono diversi corsi a livello universitario, dove formiamo gli insegnanti e i terapeuti del linguaggio, gli psicologi, gli operatori ed anche i genitori. Io curo uno di questi
corsi, all’università di Birmingham. Anche in Inghilterra ci sono problemi di finanziamenti.
Per quanto riguarda i metodi che utilizziamo, l’approccio TEACCH va per la maggiore, lo conoscete? I genitori hanno iniziato a chiedere anche l’approccio ABA. Io non lo condivido
come madre, perché secondo me si tratta di un addestramento come quello degli animali, basato sulla psicologia comportamentale. È un tipo di approccio che non mi piace, ma mi rendo
conto che è di moda in alcune regioni dell’Inghilterra. Noi seguiamo l’approccio sensoriale.
Tutte le scuole cercano di adeguare l’ambiente sensoriale e hanno dei profili sensoriali su
tutti gli studenti autistici, quindi l’approccio sensoriale è molto importante in Inghilterra, non
soltanto per quanto riguarda i ragazzi, ma anche gli adulti.
“L’essere madre di un ragazzo con autismo l’ha aiutata nel suo lavoro”?
Sicuramente essere madre è stato il punto fondamentale. Vi racconto un mio segreto, lo racconto a tutti, quindi non è più un segreto in realtà. Sono molto egoista ed ho iniziato la mia
ricerca per aiutare mio figlio, però sapevo che per aiutare mio figlio dovevo educare più per123
sone possibili e quindi è così che ho iniziato. Ripeto, sono molto egoista, ecco perché ho
iniziato una ricerca in un’area che non interessava ad altri, perché non faceva parte della
triade delle inabilità. Vivevo questa realtà e capivo che la percezione era il problema principiale, quindi era da lì che dovevo partire. Sicuramente il fatto di essere madre è il fatto
di averlo fatto per il mio bellissimo figlio, ha sicuramente aiutato molto.
Ci sono dei professionisti che sviluppano una teoria, che la difendono a spada tratta a qualunque costo; che funzioni o che non funzioni non ha molta importanza per loro. Io ho sviluppato una teoria, ma se non funziona la scarto; capite cosa voglio dire, perché io ho bisogno
di una teoria che mi serva, che possa essere applicata e che funzioni. Sono disposta ad ammettere di aver sbagliato approccio e di provarne uno diverso, quindi senz’altro essere madre
mi ha aiutato. Potete vedere la mia crescita professionale quando ho iniziato a lavorare con
i bambini. Mio figlio era piccolo; poi quando è diventato adolescente ho iniziato a lavorare
con gli adolescenti. Adesso lavoro nei servizi, con gli adulti affetti da autismo.
“Cosa fare quando un bambino si rifiuta di mangiare a scuola”?
Innanzitutto, se il bambino rifiuta il cibo dalla mensa, io mi concentrerei sul sovraccarico.
Magari rifiuta il cibo, perché c’è rumore, caos, troppe persone. La pausa pranzo può essere
difficile da gestire. Tutti i ragazzi della scuola sono insieme e fanno un gran baccano che i
compagni con autismo non riescono a sopportare.
“Cosa ne pensa del DAN”?
Prima di rispondere a questa domanda, voglio dire una cosa: non c’è una singola causa di
autismo, ci sono diverse cause; giusto? Non le sappiamo. Queste cause portano allo stesso
quadro clinico di autismo, cioè abbiamo gli stessi comportamenti dovuti a ragioni diverse.
Per alcuni bambini funziona la dieta di cui lei ha parlato: cibi senza glutine e cibi senza caseina. Donna Williams, per esempio, seguiva una sua dieta personale, per lei questa soluzione funzionava molto bene. Io ho provato con mio figlio e non ha funzionato. Mio figlio
odia il latte, non lo berrebbe mai, non gli piace perché è bianco. Ci sono ragioni sensoriali,
vedete. Per alcuni bambini funziona, per altri no, quindi qual è il senso di imporre una
cosa del genere? Donna Williams dice che lei ama tantissimo il cibo, ma soprattutto quello
che lei ama di più è ciò che le fa più male. Quando ha controllato lo stato di salute del suo
corpo ed ha iniziato una dieta adeguata, ha detto che si è sentita molto meglio. Per esempio la coca cola non va bene per i bambini; giusto? Ma io la lascio bere a mio figlio. Alcune
volte, magari per il suo compleanno. Non voglio dire: “No, questa cosa non la devi mai
fare in vita tua”. Ci sono delle occasioni in cui una certa cosa si può fare, ma se sapete che
il sistema chimico di un bambino è fatto in modo tale che questa cosa lo danneggia, allora
non dategliela. Le diete possono funzionare in alcuni casi e in altri no.
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ATTI DEL PERCORSO FORMATIVO
“GENITORI ED AUTISMO”
BERGAMO
GENNAIO - MAGGIO 2006
Nuove frontiere dell’autismo
Maurizio Brighenti *
Moderatore
Due parole sull’incontro di oggi e sul programma. Inizialmente avevamo pensato di limitarci ad organizzare questo percorso formativo per i genitori. Durante gli incontri a Spazio
Famiglia, parlando soprattutto con i genitori dei soggetti adulti, sono emerse tantissime
domande, le stesse che probabilmente si pongono anche i genitori dei piccoli e molti familiari. Ci hanno ricordato l’importanza della preparazione negli operatori e la necessità che
anche le famiglie sappiano come muoversi in determinati contesti.
Avrete notato che abbiamo cercato di focalizzare il nostro interesse, al di là dell’incontro
di oggi, sul tema della comunicazione, che sarà affrontato da alcuni dei nostri operatori, in
particolare dalla dottoressa Liliana Pensa e dalla signora Gina Forlani e successivamente,
per quanto riguarda la logopedia, dalla dottoressa Sara Isoli.
Un altro aspetto di cui non abbiamo mai parlato nello specifico con i genitori è quello della psicomotricità e dell’utilità di un intervento di tipo musicale nelle attività didattiche e ludiche.
Rispetto a quanto avete trovato sulla locandina, ci sarà un cambiamento, perchè il giorno
29 aprile purtroppo la dottoressa Donata Vivanti non sarà in grado di venire, quindi vedremo se sostituirla con qualcun altro, oppure incontrarla in un’altra occasione.
Adesso passo la parola al dottor Maurizio Brighenti per affrontare il tema “Nuove Frontiere
dell’Autismo”.
Intervento di Maurizio Brighenti
Buongiorno a tutti. Vi ringrazio dell’invito: in genere la posizione, i punti di vista che io e
il mio gruppo di lavoro portiamo, si differenziano dagli altri. Questo, a mio parere, è una
ricchezza o almeno spero che non diventi motivo di conflitto. Sicuramente potrete avere
un’ipotesi o un parere diverso.
Mi complimento con l’Assessorato alle Politiche Sociali della Provincia di Bergamo perché
ha messo in campo iniziative estremamente interessanti e importanti sia come accoglienza,
sia come organizzazione e sono il primo a sostenere che, al di là delle teorie, delle ipotesi,
delle tecniche e dei metodi che si possono utilizzare, un lavoro di rete in cui le parti co-
* Responsabile Centro Diagnosi Cura e Ricerca per L’autismo, Ulss 20 di Verona - Primario di Neuropsichiatria
Infantile - Coordinatore Dipartimento Neuropsichiatria Infantile e Psicologia dell’Età Evolutiva
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munichino tra loro è fondamentale per coloro che hanno un bisogno così ampio e generalizzato come le persone con autismo, essendo un disturbo generalizzato dello sviluppo che
interessa più specialisti. Specialista può essere anche l’insegnante, il genitore, il medico, lo
psicologo, l’educatore o il riabilitatore. È un problema che riguarda il gruppo di persone che
si deve occupare di questi bambini, adolescenti o adulti.
Quindi, almeno nella mia esperienza, è proprio l’approccio integrato, inteso come insieme
di parti che comunicano, che serve e porta dei risultati. Credo che nessuno oggi sia in
grado di portare un intervento risolutivo, un intervento migliore degli altri nell’ambito dell’autismo. Ognuno di noi, che ci occupiamo di queste persone, credo lo faccia in scienza
e coscienza per cercare di migliorare la condizione dei propri utenti e pazienti.
Faccio questa premessa perché quello che oggi, forse, manca un po’ in Italia sono uno
scambio ed un confronto sereno su ipotesi di funzionamento, su teorie diverse e su modelli
di intervento che danno comunque dei risultati. Tante condizioni permettono di far star
bene e di migliorare ciò che conosciamo della problematica autistica.
Vi parlerò di queste nuove “frontiere”. Sono convinto che nell’autismo ogni due-tre anni
ci sia una nuova frontiera. Poi si ritorna nel territorio che, nell’ultimo convegno che abbiamo fatto, abbiamo chiamato la “terra di mezzo”, indicando quello spazio dove le persone con autismo non riescono a trovare ancora una propria definizione e per le quali è
difficile trovare un’armonia tra le differenze e quello che noi riteniamo normale. Differenza che, secondo me, non deve essere fraintesa con quello che viene definito come deficit o diversità. Non voglio negare che ci siano disturbi di sviluppo, deficit strutturati, ma
nell’armonia di una persona si trova sempre un equilibrio tra deficit e risorse.
Una delle cose che critico molto, anche quando i miei colleghi danno le definizioni di ritardo mentale, è di attribuire questo concetto all’idea di una persona globalmente deficitaria e, quindi, globalmente incapace di accedere alle risorse che l’ambiente presenta.
Tutti noi abbiamo l’esperienza, in quanto operatori o genitori, che ad alcuni reali e dimostrabili deficit, per esempio nella capacità di astrazione, nel calcolo o nel linguaggio, si accompagnino potenzialità e risorse che vanno a bilanciare il rapporto della persona con gli
altri. Per esempio, recentemente abbiamo valutato una bambina, arrivata con una vera diagnosi di ritardo mentale grave e autismo. In realtà questa bambina aveva delle carenze, dei
deficit specifici, ma la comprensione del linguaggio comune era molto buona, per cui le permetteva di avere una produzione verbale altrettanto buona e quindi di poter dialogare e
stare con gli altri. Certamente a livello scolastico i deficit emergevano, per cui mostrava
delle difficoltà, ma aveva anche buone potenzialità e capacità. Forse andava rivisto il profilo funzionale, neuropsicologico di questa bambina, dando al deficit ed alle potenzialità la
loro reale natura. Questo portava a sviluppare un progetto educativo più adatto a quel tipo
di bambina, legato alle sue necessità e ai suoi bisogni.
Questo per dire che facciamo fatica a fare le nostre valutazioni, perché cerchiamo sempre
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di trovare gli elementi caratteristici e attuali di quel bambino in quel momento. Perché
dico attuali? Perché l’evoluzione di ogni individuo non è un fatto generico o banale, ma
reale. I bambini cambiano, per cui se oggi utilizziamo un percorso riabilitativo di un certo
tipo, domani dobbiamo usarne un altro. Dobbiamo variare il nostro approccio perché cambia la persona, altrimenti rischiamo di fallire, perchè li facciamo restare sempre nella stessa
situazione di partenza. Per questo dico che ogni tipo di intervento utilizzato deve portare
ad usarne un altro, perché deve favorire l’evoluzione del soggetto.
Vi faccio vedere la nostra struttura. Il nostro centro si trova su un’area collinare sopra Verona, le cosiddette Torricelle, che sono la continuazione della città. Uno spazio piacevole,
con una piscina esterna ed una interna offerta dai Lions Club di Verona. Abbiamo un centro di ippoterapia, perchè l’area fa parte di un istituto di accoglienza per persone disabili.
Noi ne utilizziamo un’ala. Il Centro Diagnosi, Cura e Ricerca per l’autismo fa parte del Dipartimento di Neuropsichiatria Infantile e Psicologia dell’Età Evolutiva dell’USSL 20 di Verona. In quest’altra slide vedete un gruppo di educatori, tra cui anche la logopedista Sara
Isoli che lavora con noi da quattro anni. Siamo un gruppo attivo da dieci anni: siamo partiti in tre e oggi siamo una quindicina di operatori.
Cerchiamo di lavorare il più possibile in un’ottica di équipe: vi sono varie figure professionali e il nostro obiettivo è lavorare insieme. Collaboriamo direttamente con le associazioni
di genitori, nel senso che fanno parte dei nostri progetti, ci consigliano e ci fanno richieste. Con le risorse che abbiamo a disposizione cerchiamo di dare delle risposte. In modo
particolare collaboriamo con il gruppo dell’AGAVE di Verona, che è un’associazione di genitori con i quali, grazie all’intervento dell’USSL, costituiremo una fondazione che ci consentirà di investire sugli aspetti sociali, ludici, del tempo libero, sanitari, che si rivelano
necessari per le persone con autismo, soprattutto quando diventano adulte.
Siamo in contatto anche con l’Associazione Luna di Novagli, con un’associazione di Rovereto, con cui abbiamo realizzato un’attività di integrazione sociale in rete per adolescenti
e adulti, con l’AGSAT di Trento e con l’Associazione Oltre il Muro di Napoli.
Ora vi do alcuni dati, così vi potete fare un’idea di come ci muoviamo. Abbiamo circa
6.000 prestazioni l’anno e gli utenti, provenienti da varie parti d’Italia, affluiti nel corso dell’anno sono stati 785.
Ogni settimana abbiamo in carico 46 pazienti che vengono al centro due-tre volte alla settimana per terapie specifiche e mirate. Ogni bambino può seguire una o più terapie. Spesso
associamo l’intervento educativo a quello riabilitativo, perché riteniamo che quello che il riabilitatore fa emergere durante le sedute, debba essere consolidato in ambito familiare, educativo e scolastico. C’è un grosso lavoro di rete che cerchiamo di far emergere. Svolgiamo
un’attività prevalentemente di tipo clinico, di diagnosi precoce; valutazione e accertamenti
biologici; un’attività riabilitativa nelle aree che vi ho descritto, nell’area educativa seguendo
il progetto Sifne (Sviluppo e Integrazione delle funzioni neuropsicologiche).
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Quindi un’attività di integrazione sociale, di supporto alle famiglie. Seguiamo i gruppi di
genitori ogni quindici giorni con la presenza di uno psicologo e di un educatore; sono
gruppi di confronto, di scambio, non si fa psicoterapia.
Conoscete già bene cosa sia l’autismo, quindi non voglio ripetermi. So che siete per la maggior parte genitori, insegnati, educatori e quindi ne siete sicuramente consapevoli.
Noi partiamo dal punto di vista secondo cui l’autismo è una problematica su base organica,
sostenuta dalla combinazione fra alterazioni biologiche-genetiche e fattori ambientali. Il
disturbo si evidenzia nella disorganizzazione delle funzioni e delle integrazioni neuropsicologiche e cognitive. È diversamente rappresentato nei vari soggetti e coinvolge in particolare le aree del linguaggio e dell’interazione. È inevitabilmente un disturbo delle funzioni
cerebrali dal momento che il cervello ci serve per entrare in relazione con l’ambiente.
Tutto ciò che si sviluppa nel cervello serve alla persona per interagire e adattarsi alla realtà.
Il bambino sviluppa progressivamente la funzione motoria: passa in modo automatico dalle
funzioni primarie, come succhiare, a funzioni più evolute e questo perchè la sua predisposizione genetica viene attivata dall’incontro con l’ambiente. Automaticamente o con una
certa gradualità, si strutturano le modalità di rapporto con l’ambiente.
Per esempio, il gesto dell’indicare, che sembra un gesto geneticamente predeterminato, in
realtà si incontra con la risposta dell’ambiente. Questo gesto diventa quindi qualcosa di consapevole, diventa vera e propria comunicazione.
Quello che può essere stato un fenomeno geneticamente predeterminato si consolida come
un apprendimento. Lo stesso potremmo dire della funzione esecutiva: per esempio le funzioni motorie, disorganizzate e caotiche in ogni neonato, diventano sempre più precise.
Pensate alla prensione: voi tutti avrete sicuramente visto bimbi che invece di farvi una carezza vi danno una sberla, vi mettono un dito nell’occhio, vi tirano i capelli; non hanno ancora una buona capacità di gestire il gesto in funzione della loro intenzione. Per raggiungere
un oggetto devo utilizzare questo schema di movimento, uno schema che si consolida ed
elimina tutte le altre ipotesi e possibilità che il bambino sperimenta all’inizio.
Nell’ambito dell’autismo noi vediamo, invece, che queste situazioni non si sviluppano in
tutti i casi, ma solo in una buona percentuale. Quanti bambini, per esempio, di fronte ad
un computer danno un’occhiata e solo in seguito si attivano con un gesto perché non riescono a fare due cose insieme. Quanti bambini, se devono dare un calcio alla palla, riescono
a vederla, sanno che devono usare il piede, ma non riescono ad attivarsi in quel momento,
almeno che non arrivi qualche forma di facilitazione, che può essere un’immagine, un’imitazione o un semplice contatto.
Capite che l’integrazione tra la componente genetica e l’input ambientale viene a mancare. Ciò si può manifestare con modalità differenti. Ci sono bambini che hanno una buona
abilità nel costruire un puzzle e una scarsissima abilità nel vestirsi o versarsi da bere. Perché queste contraddizioni? È un problema di abilità? Probabilmente è un problema di
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mappe, di strutture che funzionano in modo sequenziale, rapido, perchè la struttura funzionale glielo permette e, laddove, ci sono da collegare più sistemi questo non avviene. Per
individuare percettivamente una forma e collocarla in uno spazio, noi compiamo due-tre
operazioni visive e spaziali.
Quindi, un bambino potrebbe avere un’ottima capacità di rapporto spaziale, ma se deve
mettersi le scarpe, le funzioni cambiano, deve integrare diversi movimenti, gesti, sequenze,
ordini e, in questo caso, potrebbe manifestarsi una difficoltà. Vediamo delle abilità emergenti e delle abilità poco sviluppate. Questo cosa ci dice? Mentre noi prevediamo che nello
sviluppo normale alle attività di base seguano quelle più complesse, nell’ambito dell’autismo l’organizzazione delle funzioni di integrazione (guardo, mi muovo, ecc.) sembra non
essere completa. Questa consapevolezza ci permette di impostare un lavoro riabilitativo mirato sul bisogno. A questo punto facciamo le valutazioni che ci dicono qual’è la funzione
esecutiva del bambino. Abbiamo bambini che sanno imitare molto bene con i quali sviluppare un percorso che nasce dalla buona capacità imitativa; bambini che non sanno imitare e con i quali lavorare sul requisito che precede l’imitazione; bambini che usano sempre
la stessa mano e non sanno utilizzare le mani insieme; bambini che hanno un’ottima abilità manuale e di equilibrio.
I quadri clinici che vediamo nelle persone con autismo sono vari e differenti, con livelli di
evoluzione altrettanto vari. Individuando il livello di un bambino nelle varie aree di interazione percettive o comunicative, riusciamo a formulare un ipotesi di progetto. È un discorso sicuramente complesso, ma cerchiamo di farlo nel modo più aderente al bambino.
Per questo lavoriamo in équipe sulle seguenti aree: percezione, attenzione, funzione esecutive, comunicazione, linguaggio, processi di interazione che sono un po’ la sintesi di
tutti gli altri percorsi. Per esempio nell’ambito del linguaggio vediamo varie tipologie di
deficit linguistici, per cui abbiamo bambini assolutamente non verbali, bambini che ripetono, bambini che hanno un linguaggio disorganizzato anche se formalmente ma con disturbi di selezione delle parole, bambini che hanno un disturbo fonologico e tutta una serie
di altre problematiche di cui vi parlerà la dottoressa Sara Isoli nei prossimi incontri.
Riteniamo che tutte queste attività siano collegate tra loro: un disturbo dell’attenzione può
essere isolato, ma può anche essere secondario ad un disturbo della percezione. Se mostro
ad un bambino una figura semplice ho un livello attentivo buono, ma se la figura diventa
più complessa non ho più un buon livello attentivo.
Agire non significa trovare la risposta, vuol dire cercare di lavorare su quell’ambito. Siamo
tutti consapevoli dei limiti e delle risorse che abbiamo.
Sicuramente l’intervento riabilitativo serve ad identificare ed a chiarire il percorso per superare la difficoltà, mentre l’intervento educativo è fondamentale per diffondere e consolidare nel bambino la difficoltà emersa o la risorsa trovata. Per cui se un bambino comincia
a dire di sì e di no con la logopedista, si deve inevitabilmente trovare un contesto che gli
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consenta di fare lo stesso a casa con i genitori e a scuola con gli insegnanti ed i coetanei.
Noi utilizziamo una serie di sistemi che vanno dalla valutazione clinica, neurologica, psicologica del bambino alla valutazione cognitiva, applicando i test dove è possibile, riassumendo un percorso che ci dice come sono gli aspetti percettivi, le funzioni esecutive, la
comunicazione, i livelli di ansia, il comportamento, l’iperattività, per cui la nostra “griglia”
o valutazione si rifà sul profilo neuropsicologico.
Naturalmente ci occupiamo anche delle funzioni emotive, intese come stati d’ansia o secondari alla difficoltà del bambino di interagire, che si possono evidenziare con iperattività,
con ritiro dell’attenzione o isolamento. Un comportamento di rinuncia può essere la conseguenza di stati di ansia che hanno frustrato il bambino, l’adolescente o l’adulto: non comunicare, non parlare, non essere compresi, porta ad una frustrazione fortissima in questi
soggetti, che rinunciano così ad interagire perché non sanno quale strumento utilizzare
per mettersi in relazione.
L’aspetto comunicativo è uno dei più importanti per l’essere umano. Noi utilizziamo la comunicazione facilitata, che chiamiamo anche integrata perché la associamo all’intervento
logopedico laddove è necessario. Va offerta alle persone che ne hanno bisogno ed è uno
strumento alternativo per comunicare laddove ci sono certi requisiti. Ricordo una ragazzina
che chiedeva finalmente al genitore di poter andare al mercato o al supermercato e scegliere
la gonna, perchè era stanca di indossare la tuta, che portava da quando era nata.
C’è anche la consapevolezza di un desiderio che, senza nessuno strumento comunicativo,
non può essere espresso, per cui riteniamo che l’intervento sulla comunicazione debba essere iniziato precocemente con i bambini.
Nei nostri interventi ci occupiamo di queste terapie. Nuove sfide o illusioni? È un argomento molto complesso e delicato, perché sono più le certezze negative di quelle positive,
se parliamo in termini scientifici.
Farò una brevissima premessa. Gli studi epidemiologici confermano la presenza di un fattore rispetto alla popolazione. Ma dobbiamo tener presente che uno studio epidemiologico
viene svolto su almeno 100 mila persone. Problematiche specifiche, come le intolleranze o
i danni da metallo, non hanno a disposizione un numero così elevato di persone per poter
fare degli studi epidemiologici. Oggi siamo di fronte a gruppi di genitori che vogliono sperimentare queste nuove proposte, anche senza una base scientifica dimostrata, ma solamente
basate sull’esperienza e sull’evidenza di risultati soggettivi.
Ci stiamo occupando dell’autismo o ci stiamo occupando di tutto ciò che l’autismo rappresenta? È un miscuglio di tante problematiche che confluiscono in una serie di comportamenti standard che possono avere motivazioni differenti per ogni gruppo e sottogruppo.
Noi siamo dell’ipotesi di studiare i sottogruppi, perché voi sapete, sicuramente meglio di
me, quante varietà di sindromi autistiche ci possano essere. Oggi parliamo di autismi, non
più di autismo.
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Abbiamo esperienza che bambini che si sottopongono allo stesso tipo di intervento possono
ottenere risultati diversi. Non credo si possa parlare di terapie dell’autismo, ma di studi e
tentativi che hanno dato, in alcuni casi, un buon risultato. Come medici non possiamo esimerci dallo studiare queste cose: non prescriviamo ciò che non ha una validità scientifica,
ma non possiamo rifiutarci di aiutare un genitore che chiede di provare, perché, per intenderci, oggi è possibile accedere a qualunque tipo di farmaco, basta andare in Svizzera,
negli Stati Uniti, in Inghilterra. Per un genitore provare è molto facile. Pertanto ci siamo
posti una domanda come gruppo: “Ci rifiutiamo perchè non ci sono basi scientifiche, oppure cerchiamo di fare in modo che “il fai da te” sia il meno dannoso possibile”?
Quindi abbiamo cominciato ad osservare le persone che fanno questi trattamenti, a seguirle, a fare controlli ed esami. Il nostro dovere non è solo dare consigli, ma anche assumersi responsabilità rispetto a quello che fa un genitore. Vogliamo condividere con loro
questa esperienza; questo ci consente anche di avere un punto di vista diretto su quello
che accade.
Abbiamo nei confronti di queste “terapie” speranze e illusioni. Abbiamo costituito un
gruppo che si chiama Gira: è un gruppo indipendente di specialisti che si stanno occupando di autismo. Ad esempio io che sono un neuropsichiatra infantile mi sto occupando
di mercurio e di candida che sono argomenti che non mi hanno mai interessato dal momento che non che riguardavano la neuropsichiatria infantile.
Per cui, di fronte alla difficoltà di dover dare delle risposte di cui non siamo competenti,
abbiamo deciso di costituire questo gruppo italiano di ricerca, costituito da neuropsichiatri, gastroenterologi, tossicologi, pediatri, allergologi, immunologi, neuropsicologi, aperto
a tutti coloro che vogliono operare in modo indipendente e in scienza e coscienza per portare un contributo. Lavorare insieme è un grande arricchimento per tutti; collaboreremo
con le Università di Brescia, Verona, Padova, Torino, Genova e con altri gruppi che si
stanno interessando per far parte di questo gruppo di ricerca.
Saranno informate anche le associazioni di genitori. Speriamo che attivino dei fondi per
poter fare ricerca. Siamo indipendenti e autonomi, ma il tempo dedicato da molti colleghi
va riconosciuto anche in termini economici. Non abbiamo scopi di lucro, ma siamo tutti
abbastanza disincantati per rendersi conto che le risorse sono fondamentali. I genitori devono essere consapevoli di quello che si sta facendo, conoscere i limiti e i vantaggi di una
ricerca e, nello stesso tempo, avere delle risposte. Vi faccio l’esempio di un bambino che
ora ha undici anni. Quando l’ho conosciuto aveva otto anni; era magrissimo, mangiava
solo cose liquide e la mamma era disperata. La risposta che aveva ricevuto sino a questo
momento era che mangiava poco a causa dell’autismo. Questo è un mito da sfatare: un soggetto non urla perché ha l’autismo, ma perché, ad esempio, ha mal di denti o perchè gli
hanno dato un calcio. Noi siamo contrari a questa tipicità che non spiega nulla.
Ci siamo resi conto di quanti sintomi si associano. Come ha detto Granito negli anni 50,
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il nostro cervello non fa nulla senza uno scopo, quindi qualsiasi gesto, anche la stereotipia,
ha un senso per quel bambino. Se non lo capiamo è un problema nostro non suo. Lo diventa nel momento in cui non riesce ad interagire. Dobbiamo sforzarci di capire che senso
ha quel comportamento per il bambino e non ridurre il tutto alla sindrome autistica, perché questo non aiuta nessuno.
Tornando all’esempio di prima, il bambino non mangiava per un semplice motivo. Mi sono
arrabbiato con alcuni pediatri della zona, gastroenterologi, che non volevano fare una gastroscopia a questo bambino. Questo non significa che tutti i bambini che mangiano liquido devono sottoporsi a questo esame. Ma il nostro bambino ci aveva dato l’indicazione,
dicendo che aveva fame, ma quando inghiottiva il cibo sentiva bruciare lo stomaco. Aveva
un’ulcera del cardias, che è la valvola che permette il passaggio dall’esofago allo stomaco.
Ogni volta che passava del cibo che non era liquido o freddo provava un dolore fortissimo.
Naturalmente siamo riusciti a fare questo grazie all’intervento di un gastroenterologo. Abbiamo fatto anche un esame delle feci e abbiamo trovato dei livelli di candida altissimi,
ecco perchè il bambino si toccava, non era una stereotipia. Curato per la candida e per l’ulcera, ha ripreso a mangiare ed è scomparsa la stereotipia. Questo significa che dobbiamo
capire se sono presenti dei disturbi organici nei bambini con autismo. Non vuol dire che
sono disturbi tipici dell’autismo; tutti i bambini possono avere un’ulcera del cardias o disturbi gastroenterici, si tratta di capire, e questo fa parte della ricerca, se c’è una prevalenza
in questi bambini.
Internet è la via con cui i genitori trovano tutto. Ecco, perchè ritengo importante che un
centro che si occupa di persone con autismo, affianchi i genitori. Se rifiutate il genitore lo
farà comunque, non chiede il vostro consenso perché ha già deciso di farlo. Qual è il nostro punto di vista? Non possiamo prescrivere, ma se un genitore ci chiede un parere, possiamo fornirlo sulla base di una corretta informazione, dicendo non ci sono prove, quali
sono, eventualmente, gli effetti collaterali, se ci sono danni per il bambino, perché questo
ci chiedono oggi i genitori. Una dieta, se gestita bene, non crea danni specifici,. Ci sono colleghi che le prescrivono senza fare esami. Posso parlare solo di esempi clinici, non di teorie; non ho conclusioni di tipo scientifico da generalizzare. Facciamo gli esami, verifichiamo
se c’è una correlazione, mettiamo a dieta il bambino.
Il genitore fa delle proposte perché cerca risposte e, se può fare qualcosa di buono per il
proprio figlio, si attiva.
Gli studi più grossi sull’intolleranza alimentare e l’intestino sono quelli di Sheffield, che ha
coniato un nuovo termine per indicare una malattia intestinale infiammatoria e cronica,
chiamata enterocolite autistica. Alcuni sostengono che non esiste. Non si può negare perché ci sono le prove delle endoscopie. Il problema non è negarne l’esistenza, ma dire che
è tipicamente autistica. In realtà non è così, anche se recenti studi di Eufemia e altri, del
gruppo del Gaslini di Genova, ne hanno evidenziato una percentuale più elevata nei bam134
bini con autismo, rispetto alla popolazione normale. Anche noi abbiamo fatto uno studio
in questo senso su cinquanta bambini. Abbiamo visto che c’è una percentuale maggiore rispetto alla popolazione normale, ma non è presente in tutti. Quindi non esiste l’enterocolite autistica per tutti, ma per un sottogruppo di bambini con autismo, così come ci sono
sottogruppi di bambini che hanno deficit della funzione epatica o della capacità ossidativa.
Credo che questo nome verrà cambiato. Dobbiamo solo chiederci se c’è una prevalenza nell’autismo: quando avremo cinquecento casi con un disturbo intestinale, vedremo se tutti
cinquecento saranno correlati con le statistiche dell’autismo.
Un altro gruppo di autori ha parlato di autismo regressivo. Cosa vogliono dire? Si riferiscono
a bambini che stavano bene e poi sono cambiati, hanno seguito un’evoluzione diversa. Il
termine regressivo è riferito a queste cause. Non credo che il disturbo intestinale sia, come
si dice in medicina, una comorbidità, cioè qualcosa che si associa per alcuni soggetti e non
per altri, quindi non è tipico. Laddove è presente si deve intervenire. È anche vero che ci
sono molti genitori che ci dicono che il figlio fino al primo anno di vita stava bene, non
aveva problemi così evidenti. Non ci sono studi a proposito, ma solo riferimenti ai genitori.
Stiamo chiedendo alle famiglie di portarci i video. Finora ne abbiamo visti una quindicina:
ci sono situazioni in cui effettivamente, a quell’età, non avrei fatto la diagnosi di autismo.
Può darsi che questo non abbia a che fare con un prima e un dopo, ma con il fatto che l’autismo si manifesta successivamente. La regressione dovrebbe essere dimostrata da uno studio che oggi non c’è, quindi è solo un’ipotesi.
È anche vero che, intorno ai quindici-diciotto mesi, nella maggior parte delle raccolte anamnestiche, viene collocato un periodo di breakdown più accentuato, una caduta più accentuata di situazioni rispetto a prima. Ciò ha portato alcuni ricercatori a pensare che questi
cambiamenti fossero collegati alla vaccinazione per il morbillo. Per quale motivo? Perchè
hanno trovato nell’intestino gli anticorpi attivi del morbillo, ma anche in questo caso non
c’è uno studio statistico su cento casi che lo confermi.
Questi studi hanno portato a conclusioni scientifiche, non si può negare, anche se non applicabili a tutti. È un’associazione che non ha ancora avuto una sufficiente dimostrazione.
Le sostanze, quali casomorfina e radiomorfina, quindi latte, derivati e glutine sarebbero
prodotti nell’intestino dal resto di alcuni cibi assunti con la dieta e sembra che siano in
grado di esercitare un’azione simile. Vi spiego sinteticamente: questi peptidi (casomorfina
e radiomorfina) che sono catene di proteine, normalmente sono presenti, ma non passano
la barriera emato-encefalica e quindi non vanno in circolo. Se lo facessero, funzionerebbero
come neuromodulatori, per cui si sostituirebbero all’acetilcolina, alla noradrelalina, cioè a
quelle sostanze che permettono al cervello di trasmettere gli impulsi. Trasmettendo gli impulsi si organizzano le vie nervose, per cui un recettore che riceve sempre lo stesso impulso
con lo stesso messaggio, si collega sempre in quel punto per fare funzionare il sistema, che
a sua volta fa sviluppare il linguaggio, il movimento, l’udito, la vista. Ho sintetizzato molto,
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in realtà il processo è molto più complesso. Per cui se ho problemi intestinali e queste sostanze, a causa di un problema immunitario, non vengono scisse ed ho un intestino che
per qualche motivo è più permeabile, questa maggiore permeabilità farà passare le sostanze
non digerite, che nel circolo cerebrale potrebbero sostituire i neuromediatori e, quindi,
darmi una serie di comportamenti alterati.
Molte persone con intolleranza al glutine o alla caseina, presentano disturbi comportamentali associati al disturbo intestinale. L’asse intestino-cervello è fortemente correlato.
Immaginate i nostri bambini che non hanno nemmeno la capacità di comunicare che hanno
mal di pancia! Questa permeabilità intestinale ha portato alla teoria degli oppiodi. Sono sostanze che prodotte in eccesso nel nostro organismo e nel nostro cervello, creano disturbi
del comportamento e delle funzioni celebrali.
La domanda che ci poniamo è la seguente: “Il disturbo gastroenterico segnalato dai vari
autori è una caratteristica tipica dell’autismo o è presente in generale nella popolazione”?
Noi pensiamo che ci sia una comorbidità: non è una causa dell’autismo, ma è presente
anche in alcuni soggetti con autismo. Siamo arrivati alla conclusione che ci sia un’aumentata comorbidità tra disturbo autistico e disturbo gastroenterico (stipsi ostinata, diarrea, distensione addominale, meteorismo, feci maleodoranti) e che ci sia un sottogruppo
fenotipico distinto.
Gli studi più recenti affermano che, rispetto alla popolazione generale in cui è presente
un’incidenza di disturbi gastroenterici del 9-10%, nei bambini con autismo questa percentuale va dal 24 al 50% .
Sono utili da conoscere perchè sono quelli che andiamo a monitorare durante una dieta o
una terapia. Quindi possiamo riconoscere la patologia sanitaria come una comorbidità. C’è
tutto un discorso sul sintomo che ovviamente aiuta il bambino, ma i bambini con autismo,
che non riescono a dire se hanno male e dove per cui nessuno interviene, possono solo accentuare i propri comportamenti di disturbo, manifestando un grave disagio che non riescono ad esprimere in altre forme o modi.
Qual è il rischio che si corre e che invito medici pediatri a non sottovalutare? Il rischio di
dire che il bambino è iperattivo o aggressivo perché è tipico dell’autismo e, quindi, gli somministro dei neurolettici, senza curare niente. I sedativi neurolettici possono aiutare per un
periodo, ma non sono la risposta al problema del bambino. A volte non si capisce qual’è il
problema, ma glielo somministriamo lo stesso perchè bisogna calmarlo e, nessuno, si rifiuta
di dare un sedativo, ma solo dopo aver escluso tutta una serie di altre problematiche che
vanno dal mal di denti, alla carie, al mal di pancia. L‘intervento con i sedativi dovrebbe essere l’ultimo.
L’assorbimento di peptidi e oppioidi, la crescita di batteri neurotossici, l’alterazione dell’intestino, i deficit immunitari, lo stress possono portare a questa alterazione delle molecole, favorendo il passaggio nel torrente circolatorio.
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C’è un test specifico per vedere la permeabilità intestinale, il test al lattulosio, che nessuno
vuole fare perché complicato. Non ci sono prove, né ricerche. Per questo dobbiamo istituire dei gruppi studio, per capire, approfondire!
I peptidi oppiodi si possono trovare anche nelle urine. C’è un test basato sulla ricerca dell’IAG, un derivato del terzofano che però deve essere fatto da Paul Shadow, all’Istituto di
Farmacologia dell’Università di Sunderland che lui dirige. Questi non sono indicatori di certezza, ma sono molto più significativi di altri che comunemente vediamo negli esami dei
nostri laboratori. Sulla base di questa suscettibilità iniziamo la dieta e verifichiamo, dopo
due o tre mesi, se abbiamo risposte significativamente migliori del bambino e la manteniamo. Se non si trovano miglioramenti si torna indietro. Ci diamo sempre tre mesi di
tempo per verificarne l’efficacia.
Abbiamo utilizzato la parola regressivo perché abbiamo usato gli stessi parametri. I disturbi
intestinali venivano segnalati dopo che il bambino aveva raggiunto delle capacità. Quando le
ha perse sono comparsi i disturbi gastroenterici e comportamentali. La cosa non è priva di logica: se una persona sta male fisicamente si comporta male. Per alcuni bambini, i restanti
quattro, l’esordio era segnalato dai genitori tra la nascita e i primi sei mesi di vita. Tramite una
griglia abbiamo riscontrato comportamenti aggressivi e auto-lesivi, irritabilità, risveglio notturno, iperattività accentuata, presenza massiccia di comportamenti ripetitivi e stereotipati.
Il 48% dei soggetti, al momento degli accertamenti, aveva un disturbo gastroenterico in atto
e l’esordio dei primi, dai zero ai tre mesi in sei soggetti, con proseguimenti per oltre un anno
di questi disturbi in cinque soggetti; in alcuni abbiamo rilevato anche un disturbo cutaneo
e una rinite cronica che però non aveva nessun collegamento.
Nei quarantaquattro soggetti è stato eseguito un esame colturale delle feci, da cui è
emerso che ben quaranta avevano una candidosi, tra questi tredici avevano anche altri
batteri patogeni e sette parassiti. In quindici campioni sono stati misurate le EGA mucosali intestinali, aumentate in tre soggetti e diminuite in due; i parametri intestinali
come PH e lisozima positivi in dieci pazienti come indicatori di una possibile impermeabilità intestinale.
Su trentotto soggetti, diciassette sono risultati positivi alle intolleranze alimentari per
uno o più alimenti; a dieci soggetti abbiamo fatto il Rast per alimenti e tre sono risultati
positivi, due per inalanti e uno per il latte. Questa prevalenza però è simile alla popolazione pediatrica priva di malattie neurologiche. La positività dell’esame delle feci ha fatto
consigliare l’introduzione di probiotici, quali antagonisti naturali per terapie specifiche,
la classica enterogermina e l’uso della nistatina come farmaco antifungino. Per tre mesi
è stato sostituito l’apporto di latte di origine animale e i suoi derivati e sono stati ridotti
i cibi contenenti zuccheri. La ricerca di peptidi urinari è stata fatta inviando i campioni
di urina a Sunderland.
Anche l’intestino è migliorato; il bambino non aveva più feci maleodoranti, era sgonfio e
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più tranquillo. Non abbiamo curato l’autismo, ma l’intestino di un bambino con autismo
che rispondeva al disturbo gastroenterico con comportamenti accentuati perché era
l’unico linguaggio che aveva a disposizione.
Termino dicendo che parliamo di sottogruppi. Tutti i bambini che hanno avuto un trattamento di anticandida hanno ottenuto dei buoni risultati. C’è anche la questione dei vaccini, ma non abbiamo tanto tempo. Se qualcuno vuole avere informazione ne posso parlare.
Ora lascio spazio alla discussione.
Posso concludere dicendo che anche per i vaccini, probabilmente, c’è una comorbidità.
I vaccini vanno fatti, non si discute. Noi parliamo di mercurio: da tre anni in Italia lo hanno
tolto dai vaccini; è rimasto solo in quello per il tetano e nel vaccino antinfluenzale, però i
nostri bimbi in genere non hanno questo tipo di problema. Cosa fare: attendere o rischiare?
Cosa deve fare un genitore? Oggi non abbiamo una risposta che abbia una validità scientifica. L’unica risposta che possiamo dare è di ricercare, in scienza e coscienza, e di continuare. Vi ringrazio.
“Questi esami si fanno in Italia”?
Maurizio Brighenti
Gli esami che si fanno sono tanti. In un primo tempo venivano mandati al Gris Plain o a
Phoenix, negli Stati Uniti, con costi elevati. I genitori spendevano 1.500 dollari per ottenere dati di laboratorio non autorizzati dalla Vie americana, che sosteneva che i risultati si
erano raggiunti con metodologie non autorizzate, cioè con parametri non internazionali,
ma propri, per cui si poteva pensare che i parametri fossero manipolati.
In realtà chi faceva questo lavoro non era uno stupido, né un venditore di fumo. Ho incontrato William Shaw, direttore di questo laboratorio, e sua moglie a Rovereto. Mi sono
sembrate persone estremamente competenti e capaci; lavorano in questo campo perché
hanno un figlio con un disturbo autistico molto grave e che stanno trattando.
Quindi, gli sforzi che facevano i genitori per mandare gli esami all’estero non sono mai
stati sufficientemente considerati da noi “italiani”, perché ritenuti ricerche non valide.
Non si è mai avviato un gruppo di ricerca che andasse veramente a verificare in modo
specifico.
Dobbiamo chiederci se vogliamo fare uno studio e come farlo.
Noi partiamo dall’esperienza clinica, proviamo per tre mesi, valutiamo i risultati. Non mandiamo nessuno negli Stati Uniti a fare gli esami, perchè oggi possiamo anche in Italia, basandoci sull’esperienza di quei genitori che si sono offerti e hanno provato. Ci siamo accorti
che possiamo fare gli esami anche da noi, chiedendo gli accertamenti ai laboratori. Le ricerche sui metalli si fanno anche a Brescia; noi siamo in contatto con la cattedra di tossicologia di Brescia e ci hanno invitato a fare i nostri studi da loro.
138
Moderatore
Scusi se la interrompo, ma a tale proposito, al centro Spazio Autismo di Bergamo, l’associazione dei genitori ha organizzato, un paio di mesi fa, un incontro con il responsabile del
laboratorio di Brescia. Ci ha detto che ci potrebbe essere la possibilità di fare esami sul capello, pur trovando una difficoltà notevole nel valutare i risultati. I genitori ci hanno riferito di essere venuti a conoscenza della possibilità di un collegamento tra un eccesso di
metalli pesanti e alcune manifestazioni dell’autismo. Il professor Apostoli, ci ha detto che
si possono fare questi esami, ma per farli in maniera precisa bisogna, soprattutto con i bambini piccoli, cateterizzare. Era un procedimento abbastanza complesso che non ricordo
bene. I genitori gli hanno detto di portare avanti queste esperienze, cui avrebbero prestato
molta attenzione, prima di decidere.
Maurizio Brighenti
C’è anche la Fondazione Maugeri di Pavia, centro di tossicologia che collaborerà con noi
e con Brescia per fare uno studio. Dobbiamo fare noi gli studi, dal momento che le ricerche epidemiologiche non possono essere realizzate a causa dell’impossibilità di reperire
mille casi che hanno lo stesso problema, per cui non è possibile fare correlazioni. Ci sarà
un gruppo selezionato e ristretto, composto da venticinque bambini che saranno seguiti per
sei mesi da un immunologo, che farà uno studio sistematico sui movimenti immunitari, da
un tossicologo e da un neuropsichiatra. Faremo uno studio anche insieme alla Molinette
di Torino.
Se parliamo di cosa mi interessa, di cosa posso ipotizzare, vi posso dire tantissime cose; vi
posso raccontare la mia esperienza clinica, ma potrò darvi un consiglio solamente dopo
aver fatto l’esperienza. Non ho un consiglio da dare, posso informarvi che noi costituiremo
un gruppo di genitori e bambini che parteciperanno a questo tipo di studio. Questo gruppo
sarà seguito almeno per un anno. Il reclutamento sta avvenendo e si deve concludere tra
breve. Lo studio non sarà soltanto sulla ricerca dei metalli o sulla loro escrezione, ma anche
sulla ricerca delle varianti immunologiche in rapporto alle varianti comportamentali e gastroenterologiche. Le ipotesi servono a chi le vuole studiare, a chi fa ricerca, non ai genitori. State attenti perché il “fai da te” è veramente pericoloso. Vi consiglio di seguire, di
essere attenti e di tenervi informati. Noi siamo un gruppo aperto e vi terremo informati.
Se qualcuno di voi decide di fare qualcosa deve essere seguito, monitorato. Non prendete
le cose con leggerezza!
Assumersi in proprio una responsabilità è una disperazione che il genitore mette in atto,
non una speranza. La speranza è vedere cosa si studia, cosa succede ed essere sufficientemente informato per decidere. Andare da soli dal professor Apostoli, fare l’esame del capello, trovare il metallo, andare in farmacia in Svizzera a prendere il chelante e fare la
chelazione, è pericoloso. I primi genitori che l’hanno fatto hanno avuto dei problemi. Ci
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hanno chiesto di seguirli. Lo abbiamo fatto e continuiamo a fare regolarmente, una volta
al mese, gli esami del sangue. Dopo un anno li facciamo ogni due-tre mesi. In alcuni abbiamo dei risultati, in altri no.
Quindi apriamo un altro capitolo: a chi serve e a chi non serve?
Moderatore
Il motivo per cui abbiamo chiesto l’intervento del Professor Brighenti è nato parlando con
i genitori ed anche con alcuni operatori, dopo che era stato pubblicato il testo sul Dan.
Potevamo decidere due cose: la prima, visto che molto spesso da parte dell’ambiente medico esiste una sorta di ostracismo verso tutto ciò che è nuovo, era di rifiutare; la seconda
strada è nata dalle richieste dei genitori, che ci hanno detto di esserne al corrente e di volerne parlare. I genitori molto spesso usano Internet, cercano informazioni e le trovano.
Spesso sono poco attendibili o non sufficientemente obiettive. Per questo abbiamo chiesto
al professor Brighenti di venire, perchè sapevo che sta portando avanti questo tipo di ricerca, per la quale non ci sono risposte precise.
Io e il gruppo che coordino presteremo sicuramente attenzione ai risultati di questi studi.
Manteniamo l’attenzione sulla sperimentazione che si sta avviando in altre città, perché
questo potrebbe darci delle risposte. Non parlarne mi sembrava il male peggiore, perché
la curiosità comunque porta a cercare le risposte da soli e abbiamo visto che il “fai da te”
può essere veramente molto pericoloso, con conseguenze gravissime per la salute dei
ragazzi.
Questo inciso è per spiegare il motivo dell’intervento del dottor Maurizio Brighenti, perchè noi stessi siamo stati ripresi della scelta che sembrava troppo audace. Non è negando
che esistano strade diverse che risolviamo il problema.
Maurizio Brighenti
Non è più possibile prendere parte alla nostra ricerca. Possiamo informarvi tra sei mesi su
come abbiamo impostato il lavoro, su come vanno le cose. Lo facciamo anche con le associazioni di genitori cui siamo collegati. Non si deve avere fretta di fare tutto subito, anche
se capisco i genitori. Non dovete preoccuparvi di anticipare i tempi!
Sono convito che ci siano dei sintomi, dei comportamenti che si inseriscono nel disturbo
autistico, che non hanno niente a che fare con l’autismo, ma sono secondari a ciò che l’autismo rappresenta. Per esempio, fare giochi fortemente stereotipati, credo sia la conseguenza di una difficoltà del bambino a organizzare il gioco, piuttosto che della necessità di
evitare di comunicare, di interagire, di partecipare. Vi racconto l’esperienza di una ragazza
che seguo da tantissimi anni: ha frequentato la scuola superiore ed ha iniziato a fare educazione fisica e motoria. Facevano dei movimenti seguendo il ritmo musicale. Era molto
curiosa e attenta. Ad un certo punto è andata in ansia, perché si è resa conto di non fare
140
quello che era richiesto. Durante una lezione si è alzata ed è andata via. Per una settimana
non siamo più riusciti a coinvolgerla. Più si va avanti con gli anni, più si consolidano comportamenti che possono essere poco variabili in base ad attività di tipo riabilitativo. La
madre di questa ragazza ha avuto una celiachia all’età di 50 anni, perciò abbiamo avuto il
sospetto che anche la figlia avesse un problema di questo tipo, dal momento che manifestava stipsi ostinata, a volte diarrea, anche se il suo comportamento non era così vario
come potevamo vedere in un bambino, perché aveva trovato un suo modo di comportarsi,
di mantenere un equilibrio. È stata messa a dieta dal gastroenterologo dopo che, con la rettoscopia, le avevano trovato lo stesso problema della madre. Obbiettivamente non abbiamo
visto miglioramenti, ma la ragazza ci raccontava di sentirsi meglio, di dormire più rilassata, di essere più disponibile e attenta. Anche i ragazzi che la seguivano al centro, ci
hanno comunicato che, effettivamente, era molto più partecipe e aveva meno scatti d’ira
e aggressività.
Nel bambino si verifica un cambiamento molto più ampio. Nella persona adulta il cambiamento soggettivo è presente, ma è meno vistoso rispetto a quello dei bambini.
“Lo studio della sindrome autistica viene fatto anche con soggetti adulti o soltanto con soggetti piccoli”?
Maurizio Brighenti
Siamo un servizio pubblico e il centro, pur essendo all’interno del Dipartimento di Neuropsichiatria Infantile, è aperto a bambini, adolescenti e adulti.
Anche l’adulto merita una valutazione, una rivalutazione, perché anche l’adulto ha una propria evoluzione. Con uno studio, confermato anche da colleghi argentini, abbiamo visto che
lo sviluppo del linguaggio può evolvere anche dopo i cinque anni. Tutti allora parleranno
dopo i cinque anni? Non è questo l’argomento, ognuno ha una sua valutazione e potenzialità da esprimere. Dobbiamo abituarci a selezionare e ad offrire ad ogni persona quello
di cui ha bisogno.
Credo che anche un soggetto adulto meriti di essere osservato, valutato, rivalutato, riosservato e seguito.
Moderatore
Da noi la struttura è diversa. Mentre nel caso di Verona è l’USSL che segue questo tipo
di interventi, da noi non è così. Per questo motivo alcuni genitori sono disorientati e
non sanno a chi fare riferimento, perché fino a diciotto anni i ragazzi sono a carico dei
servizi di Neuropsichiatria Infantile e, quindi, usufruiscono di un certo tipo di approcci
e di servizi. Il problema si pone dopo quest’età: non ci sono punti di riferimento. E que141
sto è probabilmente una delle ragioni per cui le chiediamo se anche con i grandi si possono fare interventi. A Spazio Autismo gli interventi si fanno finché i ragazzi sono all’interno della scuola dell’obbligo, fino a diciotto anni, poi ci sono attività svolte con
successo sempre da Spazio Autismo Bergamo con progetti di tipo psico-educativo che portano all’autonomia.
Cristina venga a parlarne un attimo, dal momento che fa parte di questo gruppo.
Sono ragazzi nella fascia di età dai quindici ai trentacinque anni, che una volta ultimato
il percorso scolastico accedono a progetti che sono basati sull’autonomia e sulla dimensione socio-occupazionale. Abbiamo anche un progetto con la formazione professionale,
un progetto che è sempre un Flad, legato all’autonomia delle persone che hanno compromissioni più ampie che, dopo aver terminato l’obbligo scolastico, entrano a far parte
di questo progetto di tipo psico-educativo.
Maurizio Brighenti
Il rischio che corrono le persone adulte è quello di essere massificate nei centri in cui non
ci sono risposte specifiche. Deve esserci un’attenzione particolare per le problematiche
delle persone con autismo, come avviene per persone con la cerebropatia, con la paralisi
celebrale, come la Sindrome di Down. Ci possono essere anche gruppi misti, ma le risposte non devono essere comuni per tutti.
Non deve esserci l’omogeneità delle patologie, ma l’omogeneità delle funzioni, delle
competenze, delle capacità e questo purtroppo oggi non viene più considerato nei centri, perché si bada più all’organizzazione che ai bisogni del soggetto. In questo contesto
le persone adulte stanno veramente peggio del bambino e dell’adolescente, perchè le risorse finiscono.
Moderatore
Noi facciamo interventi di tipo socio-psico-educativo e non terapeutico perché questa parte
terapeutica non ci compete.
Maurizio Brighenti
Io sono primario di Neuropsichiatria Infantile e anche responsabile del centro per l’autismo. Perché abbiamo voluto un centro per l’autismo? È troppo complesso investire e
specializzare le persone su una tematica così vasta, questo è un problema istituzionale,
non di volontà, di capacità, di interessi. Tutti i servizi di Neuropsichiatria Infantile si occupano di autismo, ma anche di anoressia, epilessia, psicosi infantili, ritardo mentale,
dislessia, paralisi cerebrali, malattie muscolari.
È un problema istituzionale, non della singola neuropsichiatria. Per la complessità e la
multidisciplinarietà della materia, del problema, il bambino con autismo deve avere
142
un’équipe che lavora e si dedica solo a lui. Questo è un dato inconfutabile. Sono il primo
a riconoscere la necessità di stimolare le associazioni di genitori, i politici, tutte le persone sensibili per organizzare centri specifici, associati alle neuropsichiatrie che si occupino anche delle persone adulte.
Serve un’organizzazione differente da quella attuale. Io ho voluto il dipartimento di Neuropsichiatria Infantile non il servizio perché sul nostro territorio c’è un enorme bisogno
di risposte altamente specialistiche.
Nel dipartimento stiamo organizzando il gruppo che si occupa dei disturbi del comportamento, che collaborerà con le assistenti sociali, con le scuole, le famiglie. Non abbiamo
molte risorse. Per questo cerchiamo altre soluzioni: le famiglie che si associano ci danno
una mano, io faccio il giro delle banche. Ci si arrangia, l’importante è avere chiare le idee
sulla prospettiva, sull’obiettivo da raggiungere. Bisogna dedicare del tempo perché l’autismo è un problema multidisciplinare, ci vuole un’équipe che se ne occupi. Il nostro servizio è gratuito perchè è dell’USSL e si accede con l’impegnativa del medico di base.
“A proposito dei farmaci per l’umore, vorrei raccontarle brevemente la storia
di mia figlia. Abbiamo ragione di essere contenti in questo periodo, perché
Francesca si è molto calmata. Premetto che ha frequentato per dieci anni un
CSE e poi si è rifiutata di andare. Abbiamo comunque notato un notevole miglioramento e negli anni in cui non ha più frequentato il CSE si è verificato un
cambiamento radicale anche nel linguaggio, nella comprensione e nei comportamenti. Francesca prende i neuroenzimi e adesso sta bene. In base alla
sua esperienza quando possiamo provare a smettere”?
Per disturbi dell’umore intendo situazioni di aggressività e di instabilità, per cui ci sono manifestazioni di chiusura o eccitazione improvvise. Ci sono instabilità di umore che oggi
vengono affrontate da un punto di vista farmacologico in molti modi. Bisogna capire dove
nasce il disturbo: in genere le motivazioni si possono manifestare durante la pre-adolescenza e l’adolescenza, in seguito alla consapevolezza di avere l’autismo, di confrontarsi
con gli altri; a volte sono legate a situazioni ambientali non più adatte a quel bambino o a
quella persona. Ognuno di noi ha una propria soggettività. Di fronte ad un disagio che ha
una natura di tipo ambientale e non legata a se stessi, il fatto di dare un farmaco può aiutare la persona ad adattarsi meglio ad un cambiamento ambientale o a mantenersi nella
stessa realtà. Sono dell’idea che una volta ottenuto l’effetto varrebbe la pena pensare ad una
diminuzione, monitorata dal medico che l’ha prescritta. Il farmaco che lei usa è conosciuto,
abbastanza blando, non pericoloso, si può prendere per anni, anche perché è un farmaco
che si somministra anche nel caso dell’epilessia.
143
“Le faccio un’altra domanda. Francesca per un periodo ha avuto delle macchie
sulla pelle, una micosi, e l’abbiamo curata con un anti-micotico che però ha
avuto un effetto bruttissimo. Lo assumeva per via orale. In pratica non aveva
più la percezione dei sensi, cioè camminava all’indietro, si sedeva per terra.
Abbiamo smesso subito di somministrare il farmaco, ma nessuno mi ha saputo dare una spiegazione. Lo ha utilizzato per una settimana e mi sono accorta che non riusciva più ad allacciarsi il cappotto. Abbiamo smesso subito
ma ci sono voluti quindici giorni perché questi effetti scomparissero”.
Si è verificato un effetto chiamato “day-off”, cioè un peggioramento. Con l’assunzione di
anti-micotici, in alcuni casi, possono aumentare il livello di candida a livello intestinale o
cutaneo, perché assorbito per bocca.
Avendo sospeso prima, non ha potuto osservare il miglioramento. Sono situazioni drammatiche e un genitore, che non è ben informato sugli effetti, sospende la somministrazione. Non so se è proprio quello che è successo nel suo caso, comunque abbiamo verificato
questi effetti in alcuni bambini cui viene somministrata la nistatina.
“Ha parlato di come sono seguiti i bambini e i ragazzi della sua équipe. Volevo
sapere come sono affiancati i genitori nel periodo di grande cambiamento che
va dall’infanzia alla pre-adolescenza e all’adolescenza”.
Abbiamo offerto ai genitori la possibilità di avere ogni quindici giorni un’ora e mezzo di
scambio e di confronto sulle problematiche con un educatore ed uno psicologo. Abbiamo
scelto queste due figure insieme, perché lo psicologo molto spesso non è in grado di rispondere alle domande più semplici, che sono molto importanti e che l’educatore conosce
e gestisce bene, affiancando il ragazzo. I nostri ragazzi sono conosciuti da tutta l’équipe,
dal momento che ci troviamo una volta alla settimana. Quando i genitori ce lo chiedono
organizziamo anche riunioni serali. Inoltre ogni genitore può dialogare tranquillamente
con i terapisti e gli educatori quando vuole.
“Come vengono coinvolti gli insegnanti nel percorso e nel progetto che si
porta avanti con i bambini e i ragazzi”?
Maurizio Brighenti
Teniamo incontri regolari, stabiliti in base ad alcuni parametri: disponibilità della scuola a
collaborare, competenze delle insegnanti a gestire un trattamento, ecc. Dobbiamo lavorare molto su questo aspetto, perché gli insegnanti sono bravissime persone, ma la competenza non ha a che fare con l’essere delle brave persone.
144
In genere facciamo un periodo di formazione. Ad esempio, abbiamo un bambino con autismo che deve entrare in prima elementare o in prima media; cerchiamo di capire chi
sono gli insegnati del gruppo classe, prima ancora dell’insegnante di sostegno, che è nominato l’ultimo giorno, per cui vogliamo che ci sia una figura di riferimento nella classe.
Informiamo gli altri insegnati e presentiamo il bambino, in genere cerchiamo di farlo con
l’insegnante della scuola materna o elementare, dopodichè facciamo venire l’insegnante di
sostegno o il referente al nostro centro e gli mostriamo come lavora il bambino con l’educatore e con la logopedista.
Abbiamo appena pubblicato delle linee guida per l’integrazione scolastica del bambino e
dell’adolescente con autismo; abbiamo suggerito la presenza di un tutor, persona esperta
di area educativa, non un medico o uno psicologo, che faccia da ponte tra le famiglie, la
Neuropsichiatria, i bambini e gli insegnati. Non basta l’insegnante di sostegno. Pensiamo
ad un tutor che si occupi di una quindicina di bambini, che non lavori direttamente con
loro, che sia informato di tutte le strategie e le tecniche e che supporti gli insegnati.
Moderatore
È sicuramente vero che la scuola ha una grande importanza nel progetto di vita. Anche
noi, presso i nostri centri, invitiamo sempre i docenti a partecipare al nostro percorso.
Purtroppo non sempre riscontriamo questa disponibilità, per cui sono i genitori che fanno
da tramite e, spesso, sono gli operatori che vanno a scuola per istruire, nel vero senso
della parola, più che informare. Sono perfettamente d’accordo con lei quando parla di
équipe. Noi siamo agli inizi, ma credo un passa avanti rispetto ad altre realtà che conosciamo, anche al di fuori della provincia di Bergamo. Questo è un fiore all’occhiello per
noi. Abbiamo ancora molto da imparare, ma la nostra è una realtà abbastanza fortunata.
Domanda di un genitore
Come genitore, volevo dare un contributo per far comprendere come ci sentiamo.
Mio figlio, all’età di 5-6 anni, manifestava iperattività accentuata e macchie estese sul corpo
per diverso tempo. Abbiamo consultato un medico Dan, che si definiva alternativo. La pediatra ci dava del cortisone e altri farmaci, ma non avevano nessun effetto.
Questo medico ci ha invitato a fare una dieta priva di proteine vaccine e ci ha dato del Tinset, perché diceva che probabilmente nostro figlio aveva l’istamina alta e un’intolleranza
al fenolo. Abbiamo provato e, nel giro di poco, il bambino si è calmato e le macchie sono
sparite. Quando siamo tornati dalla pediatra ci ha chiesto cosa avevamo fatto dal momento
che il bambino era guarito. Gli abbiamo parlato della dieta e degli antistaminici.
Sentiamo il bisogno che ci sia qualcuno in grado di spiegarci il funzionamento dei farmaci
e gli effetti collaterali.
145
Maurizio Brighenti
La considero un’esperienza che non conosco ed a cui non posso rispondere.
“Nel vostro centro c’è anche un supporto per i fratelli e le sorelle dei bambini
che soffrono di autismo”?
Ci sono situazioni e famiglie che ci chiedono di intervenire: abbiamo tre psicologi che si
occupano di questi argomenti, oltre che di valutazioni cognitive. In modo particolare abbiamo una persona che si è specializzata in dinamiche familiari. Cerchiamo di rispondere
e non di stimolare il bisogno.
“A livello di ricerca c’è una collaborazione con la medicina alternativa”?
Non c’è un collegamento nel senso di una ricerca comune o condivisa. I genitori ci portano
a conoscenza delle prescrizioni dell’omeopata. Lasciamo al genitore la decisione e se ci
espongono eventuali effetti collaterali, li invitiamo a tornare dallo specialista cui si erano
rivolti. Non c’è una relazione ufficiale.
“Può elencare gli esami per l’intolleranza al lattosio? Mio figlio ha tredici anni
e, finora, ha avuto quattro grossi momenti di crisi e di iperattività superiore alla
norma. È sempre stato iperattivo, ma in questi episodi l’iperattività aumentava
notevolmente. Ha anche disturbi di sonno. Questi episodi si sono sempre accompagnati a disturbi gastrointestinali. Avevo già fatto fare alcuni esami, ma
sono risultati negativi. All’Ospedale, cui mi sono rivolta, mi hanno detto che
uno degli esami avrebbe avuto bisogno di un ulteriore accertamento, ma poiché
il bambino non era collaborante, non avevano potuto proseguire con l’indagine.
Perciò volevo chiedere quali esami potrei fare e dove”?
Gli esami sono quelli classici di laboratorio, l’esame delle allergie alimentari. Un’alternativa
può essere l’esame delle urine con la ricerca di neuropeptidi, ad esempio la casomorfina
che se presente in quantità molto elevate è indicatore di un’intolleranza. Questo esame si
può fare anche in Italia, però bisogna trovare il laboratorio che mette a disposizione i macchinari; altrimenti noi li mandiamo a Sunderland in Inghilterra. Inviamo le urine e abbiamo
la risposta, che compariamo con le IGG e le IGE che vengono dosate nel sangue nei nostri
laboratori. La prima cosa da fare credo che sia sentire il suo pediatra e vedere se si riesce
a fare un prelievo preparando il bambino.
146
“Mi hanno detto che il risultato non è sicuro al 100%, perchè comunque servirebbero ulteriori accertamenti. Tenga presente che mio figlio ha un disturbo
compulsivo dell’alimentazione”.
L’esame dei neuropeptidi urinari si può fare anche in Italia. Bisogna chiedere l’esame della
casomorfina, fare gli esami del sangue per vedere le allergie, ma anche le IGE e le IGG, che
sono le immunoglobine responsabili dell’intolleranza.
“A fine ricerca le informazioni verranno divulgate? Le faccio questa domanda
perché giustamente in tutta la sua relazione sottolineava l’importanza del non
fare da soli, però purtroppo si riscontra molta reticenza a divulgare anche solo
le informazioni e tante volte non si dà fiducia al genitore”.
Non ci sono collegamenti tra le neuropsichiatrie su argomenti specifici. Ognuna crea le
proprie collaborazioni e pubblica i risultati sulle riviste. Passa molto tempo prima che vengano pubblicati. In genere da noi sono più le associazioni di genitori che mantengono informati gli altri genitori o le altre associazioni.
“Dove si effettuano gli esami per l’intolleranza al latte”?
Si effettuano anche in Italia, ma non sono facilmente eseguibili per un problema di
strutture.
Per esempio a mio figlio ho fatto fare, alcuni anni fa, il cytotoxic test. Era risultato negativo sei anni fa e si era rilevata una lieve intolleranza al latte. Ultimamente ho portato mio figlio alle Molinette di Torino per quel programma
di ragazzini che dovrebbero essere messi a dieta senza latte.
Ha effettuato tutti gli esami e non è risultato né intollerante, né celiaco, però
mi hanno richiamato per iniziare questa dieta. È un esame attendibile?
Non ho esperienza di questo test. Lo conosco perchè molti genitori mi hanno portato gli
esami e ho visto i risultati, ma non ho mai approfondito. Quindi, se lei l’ha fatto qualche
risultato potrà averlo avuto. Sono test, tra cui anche il Vega, molto sensibili, che danno risultati che non sono confermati da altri test. Si dovrebbe fare uno studio per comparare questi risultati.
Noi quando non otteniamo risposte con gli esami del sangue, andiamo a cercare i peptidi
147
urinari. Li ha sviluppati Reichelt in Norvegia, Shadow negli Stati Uniti. Potremmo farli
anche in Italia, ma il problema è che serve una macchina, il gascromatografo ad alta definizione, che viene utilizzata per le intossicazioni. Tenere ferma una macchina per dodici
ore significherebbe far perdere altri trenta esami eseguibili in dieci minuti, per questo quindi
non la tengono ferma.
“Il costo degli esami che farete è a carico dei genitori”?
In Inghilterra l’esame delle urine costa 70 sterline. È un esame serio che viene fatto dall’Università di Farmacologia di Sunderland. Noi siamo purtroppo ancora in una fase in cui
non c’è certezza rispetto a questo tipo di intolleranza; la serietà c’è sicuramente ed anche
l’alta suscettibilità di risposta, ma non la certezza.
“Su quale rivista pubblicate gli interventi psico-educativi che fate nel vostro
centro? Dove possiamo trovare gli articoli”?
Non abbiamo ancora pubblicato nulla in ambito psico-educativo. Lo faremo probabilmente
alla fine dell’anno: abbiamo avuto bisogno di più tempo dal momento che il nostro approccio, di tipo clinico-educativo, è diverso da quello classico. Stiamo aspettando di avere
dei risultati e stiamo studiando l’evoluzione dei bambini. Pubblicheremo la nostra tecnica
e la nostra metodologia solo dopo aver verificato i risultati, che possediamo dal punto di
vista clinico, ma che devono ancora essere contestualizzati.
148
Riportiamo di seguito le slides proiettate da Maurizio Brighenti durante gli incontri
Presentazione delle attività del Centro Diagnosi Cura e Ricerca per l’Autismo Dipartimento NPI e PEE – ULSS20 Verona (Italia)
• il Centro è all’interno del Dipartimento di Neuropsichiatria Infantile e Psicologia
della età evolutiva.
• il Coordinatore del Dipartimento e del Centro è il dr. Maurizio Brighenti.
• è presente un Referente Clinico dei progetti che li realizza insieme alla équipe di
operatori: dr.ssa Anna Franco
• le attività sono previste in una ottica di équipe
Il Centro DCRA è costituito da:
• 2 Neuropsichiatri Infantili
• 1 Psicologo
• 3 Educatori
• 2 Logopediste
• 1 Psicomotricista
• 1 Pedagogista
• 1 Amministrativo
• 2 borsisti psicologi
Collabora con l’Associazione Genitori di:
• Verona - AGAVE
• Novagli (Bs) - Associazione LUNA
• Rovereto (Tn) - Associazione INSIEME
• Trento - Associazione AGSAT
• Napoli - Associazione OLTRE IL MURO
Prestazioni
• il Centro si rivolge a bambini, adolescenti, adulti
• il numero delle prestazioni dirette annuali (2004) è di 6000
• il numero totale degli utenti, provenienti da varie parti di Italia affluiti nel corso
degli anni è di 785
• totale pazienti
785
• totale pazienti in carico settimanale
46
• totale prime visite anno
93
• totale interventi settimanali
285
149
Attività
Clinica
(diagnosi precoce, diagnosi e valutazione, accertamenti biologici)
Riabilitativa (psicomotoria, logopedica, cognitiva, comunicativa)
Educativa
(progetto Sifne)
Integrazione sociale
Supporto alle famiglie
Consulenza alle scuole ed alle istituzioni
Formazione
Ricerca
Note sull’autismo
• L’Autismo è un Disturbo Generalizzato dello Sviluppo caratterizzato da alterazioni nella:
❖ interazione sociale
❖ comunicazione e linguaggio
❖ problematiche comportamentali (DSM IV°)
• nella nostra ipotesi l’Autismo è una problematica su base organica, sostenuto dalla
combinazione tra alterazioni biologiche, genetiche e fattori ambientali;
• il disturbo si evidenzia nella disorganizzazione delle funzioni di integrazione neuropsicologiche e cognitive, diversamente rappresentato nei soggetti, coinvolgendo
in particolare le aree del linguaggio e della interazione;
• il processo di integrazione delle funzioni è un fenomeno epigenetico e quindi dipende da fattori congeniti ed ambientali;
• un’alterazione di questi fattori disorganizza la costruzione pre - post-natale delle reti
di connessione nervosa e la loro integrazione funzionale, portando a sviluppare dei
disturbi nei processi di interazione con l’ambiente;
• da ciò può derivare un disturbo dei processi di analisi, decodifica e sintesi delle informazioni interne ed ambientali, che si manifesta con difficoltà nella elaborazione
dei processi di:
❖ percezione
❖ attenzione
❖ funzioni esecutive
❖ comunicazione e linguaggio
❖ processi di interazione
❖ meccanismi di regolazione dell’ansia e delle emozioni
150
• l’Autismo in rapporto alla compromissione di varie aree funzionali richiede un
approccio multidisciplinare;
• occorre perciò operare in una prospettiva d’équipe, in cui le varie parti comunichino
tra loro;
• la valutazione dovrebbe riguardare l’area neuropsicologica, i processi di interazione,
quelli emozionali e le problematiche comportamenti;
• ogni progetto di intervento, pertanto, dovrebbe corrispondere ai bisogni prioritari attuali del soggetto e dovrebbe essere individualizzato.
Terapie, nuove sfide od illusioni?
• Non vi sono certezze sui nuovi interventi, tuttavia molte esperienze cliniche sono
suggestive di nuove possibilità di cura;
• in nessun’altra problematica i dati della ricerca sono così contraddittori. Esistono
studi pro e contro le nuove ipotesi;
• chi li valuta?
• il nostro punto di vista è quello di non trascurare nulla che possa essere di aiuto alle
persone autistiche;
• non lasciare soli i genitori ed essere loro di sostegno quando iniziano determinate
terapie, controllando che non si sviluppino danni dal “fai da te”;
• monitorare gli effetti di una terapia per verificarne la validità clinica sul soggetto;
• assumere un atteggiamento di ricerca e formulare ipotesi, confrontando i vari studi
e le nostre esperienze cliniche.
GIRA: Gruppo Italiano Ricerca Autismo:
• Neuropsichiatra Infantile, Gastroenterologo, Tossicologo, Pediatra, Allergologo, Immunologo, Neuropsicologo ...
• Associazioni di Genitori
Internet è una risorsa ed un rischio
• Diffonde i vari tipi di informazione e le comunicazioni tra le persone;
• porta molti punti di vista sui vari argomenti, aiutando le persone ad essere più documentate
151
• non c’è alcun controllo sui contenuti;
• favorisce il rischio del “fai da te”;
• i genitori sono i diretti interessati alle problematiche e pertanto sono i maggiori fruitori del servizio;
• questo atteggiamento ci spinge alla ricerca di una risposta tra le varie sperimentazioni per poter rassicurare i genitori sugli interventi proposti;
• significa analizzare i comportamenti, individuare le modalità di indagine, valutare
gli effetti di una terapia;
• significa cercare delle risposte chiare, indipendenti, a favore delle persone autistiche;
• siamo attivi nella ricerca e nella attenzione alle nuove proposte, ma siamo inevitabilmente soggetti alle molte critiche di coloro che credono ad una sola verità e non
indagano oltre.
APPROCCIO SISTEMICO
(enciclopedia scientifica Fondazione Veronesi)
•
•
•
•
difetto genetico
disturbo immunitario
disturbo gastroenterico (digestione, disbiosi)
disordine metabolico (digestione, sostanze anomale endogene, anomalie nella metilazione per la sintesi dei neurotrasmettitori)
• infezione da microrganismi (micosi)
• sostanze tossiche (esogene)
• varia combinazione delle precedenti voci
Intestino e intolleranze alimentari
• Nel 1998 a Londra il Dr Wakelfield ha descritto per la prima volta in pazienti pediatrici affetti da autismo una nuova malattia infiammatoria cronica intestinale, diversa dal Morbo di Crohn e dalla Rettocolite ulcerosa, denominata “enterocolite
autistica”.
Questa nuova sindrome è caratterizzata da
1) disturbi dell'alvo con stipsi o diarrea cronica e disturbi digestivi con dispepsia e sintomi di reflusso gastro- esofageo;
152
2) presenza di iperplasia nodulare follicolare dell'ileo terminale e del colon insieme ad
una ileo-colilte cronica aspecifica;
3) disturbi comportamentali dello sviluppo di tipo autistico “regressivo”, caratterizzati
cioè da una perdita o da un arresto dell'acquisizione di alcune funzioni relazionali, sociali e di comunicazione, quali la capacità di parola e di articolazione del linguaggio che
si instaurano dopo un periodo di normale sviluppo di almeno 15/18 mesi di vita.
• Di particolare importanza per l'identificazione di questa nuova patologia sono state
le segnalazioni, da parte di genitori di bambini autistici e di alcuni pediatri, della
correlazione tra l'inizio dei sintomi di tipo regressivo e l'esposizione al virus del morbillo o alla vaccinazione trivalente (MMR, Morbillo Rosolia Parotite).
• Successivi studi hanno infatti dimostrato la presenza della proteina antigenica di superficie del virus del morbillo nelle cellule dentritiche del tessuto linfoide reattivo
dell'intestino ileale nei bambini con autismo regressivo.
• Inoltre grazie a tecniche molto sensibili e specifiche di biologia molecolare in situ,
(TaqMan PCR Sistem, Perkin-Elmer) è stato possibile amplificare e sequenziare il gene
dell'emoagglutinina (H) del virus del morbillo sia su biopsie intestinali che su sangue
periferico e liquido cerebrospinale in un gruppo di pazienti con “autismo regressivo”.
• È stato pertanto ipotizzato che in soggetti con “autismo regressivo” la persistenza
“asintomatica” del virus del morbillo all'interno dell'intestino possa indurre direttamente o indirettamente:
1) uno stato immuno-soppressore cronica con il mantenimento nel tempo di una risposta immunitaria di tipo Elper2, peculiare solo dei primi anni di vita;
2) un quadro infiammatorio intestinale cronico caratterizzato da un’alterata permeabilità gastro-intestinale. Questa maggiore permeabilità permetterebbe non solo un aumentato ingresso nell'organismo di antigeni normalmente presenti nel lume
intestinale (tossine batteri, alimenti ecc.), ma esporrebbe il sistema immune e la parete intestinale ad uno stimolo infiammatorio continuo.
• Le sostanze denominate, caseomorfina e gliadomorfina sarebbero prodotte nell'intestino dalla digestione di alcuni cibi assunti con la dieta come il latte o la pasta e
sarebbero in grado di esercitare un’azione simil-oppioide a livello cerebrale. Tuttavia questi peptidi sono normalmente presenti nell’intestino dei soggetti sani, ma non
sono in grado, in condizioni normali, di raggiungere concentrazioni elevate a livello
del sistema nervoso centrale.
153
• Per questo in condizioni particolari (autismo regressivo, encefalite epatica, celiachia,
acidosi lattica ecc.) una loro “eccessiva” presenza a livello centrale sarebbe responsabili del quadro neurologico. In particolare nell’ “autismo regressivo”, l’eccessiva
presenza di oppioidi a livello cerebrale causata dal maggior passaggio enterico dei
peptidi per l’alterata permeabilità intestinale non neutralizzata dal filtro epatico che
risulta essere ancora insufficiente in età pediatrica, potrebbe interagire direttamente
o indirettamente a livello del sistema nervoso centrale.
• Sebbene le basi fisiopatologiche dell’enterocolite autistica siano ancora oggetto di studio e di discussione, i dati preliminari fino ad ora ottenuti sulla ripresa di alcune
funzioni socio-comportamentali di questi pazienti trattati con dieta senza glutine e
caseina e/o con farmaci specifici (mesalazina o 5 -asa) sono molto incoraggianti, ma
purtroppo non ancora uniformi, duraturi e sopratutto progressivi nel tempo.
• Sono pertanto ancora necessari studi controllati su un numero maggiore di pazienti
e per periodi più prolungati per confermarne non solo la validità delle terapie proposte
nel lungo periodo, ma anche per meglio comprendere questa nuova patologia che
coinvolge così inaspettatamente l’asse intestino-cervello.
• Domanda: il disturbo gastroenterico segnalato dai vari autori fa parte di una caratteristica tipica dell’autismo o è presente nella popolazione generale così come nell’autismo?
• È una delle cause oppure rappresenta una comorbidità?
• Come si manifesta?
Mente e corpo nell’autismo
• In ambito medico la ricerca sta discutendo sull’evenienza che ci sia una correlazione
molto stretta tra la salute dell’intestino e il buon funzionamento dell’encefalo, ipotizzando la presenza di un’enteropatia con assorbimento di sostanze anomale neuroattive o meccanismi più complessi che coinvolgono il sistema immune e la
neuroregolazione.
• Si evidenzia un’aumentata comorbidità tra DSA e disturbo gastroenterico.
• Questi b. con m. infiammatoria GE possono rappresentare un sottogruppo fenotipico distinto all’interno dell’eterogeneo gruppo di soggetti che sono riuniti sotto i
criteri comportamentali per l’autismo.
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Sintomi gastrointestinali e autismo
Alcuni recenti lavori interessanti una popolazione non selezionata di bambini autistici
hanno evidenziato che sintomi gastrointestinali, quali:
•
•
•
•
•
•
stipsi ostinata
diarrea
dolore
distensione addominale
meteorismo
feci maleodoranti
Sono significativamente più comuni rispetto alla popolazione generale (9-10%) e colpiscono dal 24 al 50% dei soggetti.
Ad essi si aggiunge un’accentuazione dei sintomi comportamentali correlati a:
• disturbi del sonno
• disturbi del comportamento: aggressività accentuata, ansia, iperattività
• disturbi dell’attenzione
Oggi possiamo riconoscere la patologia GE come una comorbidità che disorganizza i comportamenti del bambino.
• La persona con autismo riporta dei comportamenti reattivi differenti da altri soggetti
verbalizzati e, pertanto, sono più accentuati rispetto alla norma.
• L’assenza di verbalizzazione impedisce un loro diretto riconoscimento, quindi i
sintomi presentati sono spesso interpretati come disturbi del comportamento “tipici” della S. Autistica e vengono curati frequentemente con neurolettici o con sedativi.
• La cura dei disturbi gastroenterici migliora in tutti gli individui lo stato di benessere
psicofisico. Nel b. A i miglioramenti sono facilmente riscontrabili in ambito clinico.
Wakefield e colleghi (2000)
• Melmed (2000) dimostra che i sintomi GE nei controlli sui soggetti sani sono il 10%
e nei casi riportati con autismo sono il 46%. Questo suggerisce che mentre la percentuale tra i controlli rimane costante, i sintomi GE possono incorrere più frequentemente nei b. con DSA seguendo le diagnosi di disturbo dello sviluppo.
• Taylor 2001 17% dei b. con DSA ha sintomi GE.
• Molloy e colleghi (Autism 2003): il 24% dei b con DSA ha sintomi GE.
155
• D’Eufemia e coll. (1996) hanno riportato un aumento di permeabilità intestinale nel
43% dei pazienti con autismo e nessuna storia di sintomi cronici GE. Questi b. possono rappresentare un ulteriore sottogruppo.
• Assorbimento di peptidi oppioidi (Cade 2000; Knivsberg 2001).
• Crescita di batteri neurotossici (Sandler 2000).
Permeabilità intestinale
• Una sua alterazione favorisce:
– il passaggio di molecole inusuali nel torrente circolatorio con il cervello quale possibile bersaglio;
– l’instaurarsi di allergie e intolleranze alimentari
numerosi riscontri nella letteratura in immunologia pediatrica.
Alterazione della permeabilità intestinale
• test al lattulosio: se il lattulosio è alto, la permeabilità della membrana cellulare è
alterata;
• parimenti, se nelle urine trovo quantità elevate di peptidi che normalmente non
dovrebbero esserci, posso ipotizzare la presenza di un’alterazione della permeabilità
intestinale.
Tipi di peptidi urinari
• peptidi oppioidi derivati dal glutine
– glutine-morfina A1- A5 – C – B5
• peptidi oppioidi derivati dalla caseina
– caseo-morfina 1-3, 1-4, 1-4 NH2, 1-7, 1-8
• altri peptidi oppioidi
– peptide P1, P2 , HK1 , HK
• peptidi che aumentano l’attività serotoninergica:
– p-glu-trp-gly, p-glu-trp-gly NH2
• altri peptidi di probabile origine fungina : deltorfina, demorfina
• molecola non psicolettica: indolil- acrilil-glicina IAG
Caratteristiche dei peptidi urinari
• la forma peptidica dell’acido detossificato INDOLIL ACRILICO, che si ipotizza derivi
dal TRIPTOFANO malassorbito: IAG;
156
• peptidi esorfinici, come la CASEO-MORFINA e la GLUTINO-MORFINA, che si ipotizzano legarsi a siti recettoriali dei neuroni, cellule immunitarie (linfociti) ed alcune
cellule della mucosa intestinale.
Studio di una popolazione
Abbiamo selezionato 50 soggetti, che erano stati sottoposti precedentemente o su nostro
consiglio ad alcuni esami atti a valutare lo stato del sistema immunitario e del sistema gastroenterico:
• rapporto M/F = 3,2 :1;
• ai pazienti era stata formulata una diagnosi dopo valutazione clinica effettuata da un
NPI e da una psicologa;
• 46 con diagnosi Disturbo Autistico;
• 4 con Disturbo dello Spettro Autistico;
• anamnesticamente sono emersi dati, segnalati dai genitori, di perdita di acquisizioni
precedentemente raggiunte in 46 pazienti, per i quali si introduceva la diagnosi di
“Autismo regressivo”;
• nei restanti 4 l’esordio era precoce (tra la nascita e i 6 mesi).
Nel nostro studio, dall’analisi clinico-comportamentale, oltre ai disturbi nello sviluppo del
linguaggio e della comunicazione, nell’interazione, nell’abilità imitativa e nella qualità dell’attenzione, per tutti i pazienti emergevano:
• comportamenti aggressivi ed autolesivi;
• irritabilità improvvisa ed inspiegata;
• risveglio notturno;
• presenza massiccia di comportamenti ripetitivi e stereotipati (anche nei 4 soggetti
con DSA);
• iperattività accentuate;
• sintomi gastroenterici presenti al momento degli accertamenti: 24 soggetti (48%);
• esordio dai primi 0 a 3 mesi di vita in 6 soggetti, con proseguimento per oltre
1 anno in 5 soggetti;
• in 5 soggetti era presente un disturbo a livello cutaneo e in 1 soggetto rinite cronica;
• per 44 soggetti fu eseguito un esame colturale delle feci con riscontro in 40 di CANDIDA Albicans (concludendo per una diagnosi di candidiasi);
157
• nei 40 campioni positivi per la candida 13 presentavano anche batteri patogeni e 7
parassiti;
• in 15 campioni sono state misurate le IgA mucosali intestinali (aumentate in 3 e diminuite in 2) e i parametri intestinali infiammatori come il pH e il lisozima (positivi
in 10 pazienti);
• in 38 soggetti prelievo ematico per indagare la presenza di intolleranze alimentari IgG
mediate: 17 positivi per uno o più alimenti;
• in 10 soggetti prelievo ematico per RAST (IgE) alimenti-inalanti: 3 positivi, due per
inalanti e 1 per latte (prevalenza simile alla popolazione pediatrica priva di malattie
neurologiche).
Significato degli esami e terapia
• La positività nell’esame delle feci ha fatto consigliare l’introduzione di probiotici quali
antagonisti naturali e terapie specifiche.
• Per candidiasi (farmaco specifico antifungino: di prima scelta la NISTATINA in quanto
sostanzialmente non assorbita dalla parete intestinale).
• Veniva, inoltre sospeso per un periodo di tre mesi l’apporto alimentare di latte di origine animale e suoi derivati e ridotta l’assunzione di cibi contenenti lieviti o zuccheri aggiunti, in quanto terreno favorente la proliferazione delle micosi intestinali.
• Per parassitosi o riscontro di batteri: terapia specifica.
• Per il riscontro delle allergie per inalanti e alimenti Ig E mediate è stata eseguita profilassi ambientale (all.acari) e dietetica.
• È stato effettuato invio al pediatra curante.
• Per il riscontro di intolleranze alimentari è stato ridotto considerevolmente l’introito
degli alimenti segnalati.
Studio di una popolazione
Ricerca dei peptidi urinari
• 46 soggetti hanno effettuato l’esame inviando il campione d’urine presso l’Università
di Sunderland (UK- Prof. Paul Shattock) e 40 sono risultati positivi per IAG e 5 con
tracciato dubbio.
• 12 hanno effettuato l’esame inviando il campione d’urina presso laboratori negli Stati
Uniti o a Parigi e 8 sono risultati positivi per la glutine-morfina e 8 per la caseo-morfina.
158
• dei 50 soggetti della popolazione studiata nessuno era completamente privo di
riscontro di peptidi nelle urine.
Peptide urinario IAG
• Paul Shattock e Paul Whiteley lo trovano frequentemente elevato nella popolazione
degli autistici.
• È, inoltre, possibile indice di:
– formazione disordinata della serotonina
– disbiosi intestinale o esposizione ai pesticidi
– stress epatico; gli enzimi epatici possono essere elevati
Studio di una popolazione
• Sul riscontro di tale peptide si ipotizza, comunque, un’aumentata permeabilità intestinale con infiammazione della mucosa e stato di “non salute” intestinale.
Sarebbero da indicare ulteriori esami sullo stato di salute del sistema gastroenterico
(test lattulosio-mannitolo, esami di funzionalità epatica).
• Da varie fonti viene suggerito un tentativo di dieta priva di glutine, soia e caseina al
fine di ridurre la formazione di peptidi neurotossici.
I genitori solitamente sono informati di tale ipotesi e se decidono per una dieta, li accompagnamo nel monitorare la salute del figlio in questo tentativo terapeutico
• Nei 40 soggetti positivi per presenza di Candida albicans nelle feci, la terapia prima
descritta ha portato in 33 casi alla reazione di die-off, (caratterizzata dall’aumento
temporaneo dei comportamenti aggressivi e/o autolesivi,o dell’irritabilità con aumento di stereotipie e aumento di risvegli notturni.
• E in due casi anche a comparsa di rash cutaneo temporaneo.
Dopo qualche giorno (5-14) si evidenziava in ogni paziente una netta riduzione dei seguenti comportamenti o di almeno uno di essi:
•
•
•
•
comportamenti aggressivi ed autolesivi
irritabilità improvvisa ed inspiegata
risveglio notturno
presenza massiccia di comportamenti ripetitivi e stereotipati (anche nei 4 soggetti
con DSA);
159
• nei restanti 10 soggetti 8 erano positivi per la IAG e 6 per la glutino-morfina e sono
state consigliate diete prive di glutine e/o caseina;
• nei soggetti che hanno seguito la dieta priva di caseina in pochi giorni si è riscontrato
il medesimo effetto di riduzione dei quattro comportamenti segnalati sopra;
• per i soggetti per i quali era consigliata una dieta priva di glutine non si sono evidenziati chiari cambiamenti comportamentali a breve tempo e forse lievi modificazioni verso il terzo mese. Per tale valutazione di efficacia clinica sono probabilmente
necessari tempi d’osservazione maggiori;
• in tutti pazienti sottoposti a terapia con probiotici o sintomatici si è normalizzata la
funzione intestinale, la composizione delle feci, il dolore addominale diurno e notturno, il meteorismo, l’odore delle feci;
• la ripresa occasionale o su iniziativa dei genitori della dieta libera, ha portato in tutti
i casi ad un peggioramento delle condizioni cliniche comportamentali e GE, mentre
il ripristino della terapia indicata ha riportato il benessere nel bambino.
Mente e corpo nell’autismo: conclusioni
Si può concludere che la comorbidità con patologie come:
– disbiosi intestinali
– parassistosi
– intolleranze alimentari
aggrava per aumento in frequenza e/o intensità la sintomatologia tipica dell’Autismo.
• L’evidenza clinica di un anche modesto miglioramento, in tempi brevi (1-3 mesi), ci
induce ad interrogarci sui meccanismi che sottendono i complessi sistemi gastroenterico, immunologico e neurologico e ci spingono a strutturare protocolli diagnostici
che coinvolgono più apparati.
• Ci spinge, inoltre, a trovare nuovi protocolli diagnostici e a proporre consolidate terapie mediche e farmacologiche.
• Il benessere migliora le capacità del bambino, per cui occorre diagnosticare eventuali problematiche GE.
• La cura dei disturbi GE migliora, quindi anche i problemi comportamentali dei bambini e i loro sintomi.
• I disturbi GE sono una causa dell’Autismo (teoria degli oppioidi) o sono una comorbidità che peggiora la condizione autistica?
160
• Qual è il rapporto d.GE e Autismo?
• La presenza di uno stato infiammatorio può favorire lo sviluppo di candida.
• È una conseguenza del disturbo GE, oppure è un dato occasionale?
• La sua cura porta a dei benefici indiretti sul comportamento interessando attenzione,
iperattività, insonnia, aggressività e sui sintomi.
161
Autismo e logopedia: principi di terapia
ed educazione al linguaggio e alla comunicazione
Sara Isoli *
Introduzione dell’Assessore Bianco Speranza
Buongiorno a tutti da parte mia e del Presidente della Provincia di Bergamo Valerio Bettoni. Oggi si apre il secondo modulo del percorso formativo “Genitori ed autismo” con il
quale diamo la possibilità a tutti coloro che non hanno potuto essere inseriti nel primo percorso di usufruire di una nuova fase di formazione.
Le numerose richieste che ci sono pervenute dimostrano che il nostro impegno verso l’autismo risponde ad un bisogno fortemente sentito nel territorio.
Non saremo in grado di affrontare in modo approfondito ogni questione sui nuovi orientamenti, ma contribuiremo, ne sono certo, ad aggiungere nuovi elementi e contributi alla
nostra conoscenza dell’autismo e a far sì che ciò abbia ricadute importanti sulla qualità
degli interventi sia presso gli Spazi Autismo e Spazio Famiglia, che nelle scuole, considerata la presenza di molti insegnanti di sostegno ed assistenti educatori.
Vorrei aggiungere che l’impegno della Provincia di Bergamo per il sollievo non si limita solo
alle persone con autismo, ma riguarda anche individui affetti da patologie diverse, in particolar modo malati psichici e soggetti con disabilità fisica, per il cui sollievo finanziamo progetti nei quattordici ambiti, per dare loro la possibilità di socializzare e vivere con i loro
coetanei e, nel medesimo tempo, di aiutare le famiglie a riprendere fiato.
Vi ringrazio per la vostra presenza e mi congratulo con la Dottoressa Sara Isoli, che ho
avuto già il piacere di sentire a Verona. In questo convegno lei parlerà di logopedia. Credo
che il dibattito che affronterà sarà molto interessante per tutti voi.
* Logopedista presso il Centro Diagnosi, Cura e Ricerca per l’autismo - Ulss 20 di Verona
163
Intervento di Sara Isoli
Buongiorno a tutti. Ringrazio innanzi tutto il Dottor Speranza e la Dottoressa Savoldi che
mi hanno dato l’occasione di essere qui. È veramente un onore potervi trasmettere le mie
conoscenze e le mie intuizioni sulla logopedia, nel trattamento del soggetto autistico.
Sono una logopedista del Centro Autismo di Verona, centro pubblico che dipende dall’USSL 20, che esiste da circa una decina di anni. Lavoro all’interno di un’équipe composta da tre neuropsichiatri infantili, (voi avete conosciuto il Dottor Brighenti) due psicologi,
tre logopedisti, quattro educatori, uno psicomotricista e una segretaria che tengo sempre
a nominare, perché anche il lavoro amministrativo all’interno di un’équipe riabilitativa è
fondamentale.
L’attività che svolgiamo all’interno del nostro centro è per lo più di tipo riabilitativo. Seguiamo soggetti in età evolutiva dai due anni, fino all’età adulta. Svolgiamo attività diagnostica e di consulenza a specialisti che seguono bambini che non possono accedere al
centro a causa della distanza, oltre a incontri di formazione sulla tematica dell’autismo, generalmente per genitori, insegnati e specialisti.
Due parole, prima di entrare nel merito del mio campo, per farvi capire la nostra prospettiva di intervento, perché ovviamente qualsiasi attività pratica deriva da assunti teorici,
dall’idea che abbiamo rispetto alla patologia autistica.
Il nostro progetto si chiama S.I.F.Ne. (Sviluppo e Integrazione delle Funzioni Neuropsicologiche). Riteniamo che il disturbo autistico possa essere visto da una prospettiva neuropsicologica, il che significa ritenerlo la conseguenza di una disorganizzazione di varie
funzioni neuropsicologiche (attentive, percettive, esecutive).
Quello che mi interessa maggiormente è la disorganizzazione delle funzioni comunicative
e interattive, cioè la difficoltà a porsi in relazione con altri soggetti, che è l’elemento più
caratterizzante del disturbo autistico. Se un soggetto ha delle difficoltà a entrare in relazione
con l’altro, è abbastanza probabile che incontri delle difficoltà anche nel comunicare e nel
controllare l’emotività, in particolare per quel che riguarda l’ansia. La persona autistica,
soprattutto di fronte ad una situazione di richiesta, fa fatica a gestire l’ansia da stress che
tutti possiamo avere, ad esempio, di fronte ad un esame; fa fatica a controllare l’emotività,
per cui spesso il tratto comportamentale è l’elemento che può andare ad alterare il normale
svolgimento della quotidianità.
Per quanto riguarda il linguaggio e la comunicazione, che sono gli ambiti dei quali mi occupo, assumiamo un’ottica funzionale, ovvero riteniamo che il soggetto autistico abbia
un’alterazione nell’organizzazione e nel controllo dei processi neuro-psicologici che regolano le funzioni comunicative e linguistiche. Come vi dicevo all’inizio, ottiche diverse
danno luogo a modalità di approccio diverse. Se noi consideriamo il soggetto autistico necessariamente un ritardato mentale, se partiamo dal presupposto che non possa avere ac164
cesso a processi di simbolizzazione o estrazione, non gli proporremo mai attività e stimoli
che richiedano tale funzione cognitiva. Assumere un’ottica di tipo funzionale significa dare
a questi soggetti il beneficio del dubbio.
Affronteremo due grandi temi: la comunicazione ed il linguaggio, a sua volta diviso nelle
aree della comprensione e della produzione.
Partiamo da due definizioni di comunicazione. La prima afferma che la comunicazione
non è riconducibile a schemi complessivi e riassuntivi uniformi. Tutto è comunicazione. La
seconda, nota a chi fa studi di linguistica, definisce la comunicazione come tutto ciò che
accade in presenza di almeno due persone. È impossibile non comunicare.
Queste definizioni mi piacciono molto applicate al mondo autistico per svariati motivi. Innanzitutto perchè troppo spesso, a mio parere, si è ritenuto che il soggetto autistico non
facesse le cose perché non ne aveva voglia. La nostra opinione è che il soggetto autistico
non fa perché non riesce, il che significa che il suo isolamento è dovuto ad un’incapacità
ad aprirsi al mondo, legata alla sfera interattiva.
I due grandi capitoli della comunicazione sono il linguaggio e la comunicazione non verbale, fatta di mimica, sguardi, espressioni del viso, gesti, movimenti, distanze e posture. Mi
capita molto spesso di avere bambini che imitano la mia voce, che ripetono quello che dico
con il mio stesso tono.
Questa distinzione è importante perché molti soggetti autistici non sono verbalizzati, cioè
non riescono ad accedere al linguaggio verbale, che è il sistema di comunicazione maggiormente condiviso dalla nostra comunità per cui, anche in una prospettiva di integrazione, non possiamo non tenerne conto.
Un altro aspetto da considerare è la nostra opinione secondo cui il linguaggio non è solo
un sistema comunicativo, ma anche un modo per organizzare il pensiero.
Approfondiremo il capitolo della comprensione del linguaggio che è composta dalle seguenti aree: conversazionale, morfo-sintattica, lessicale-semantica e fonetica-fonologica.
La produzione invece funziona al contrario, cioè quando parliamo, anche se non ne siamo
consapevoli perché lo facciamo in maniera automatica, prima organizziamo i suoni, poi le
parole e le frasi, inserendole in un contesto di conversazione e di interazione con l’altro.
Se la comunicazione è tutto ciò che accade in presenza di almeno due persone, quindi è
interazione, a maggior ragione il soggetto autistico avrà disturbi di comunicazione visto
che presenta disturbi di interazione.
Analizzeremo nello specifico le diverse componenti della comunicazione. Trovare delle
caratteristiche che definiscano la comunicazione in maniera uniforme è impossibile. Ho
scelto quelle che sono maggiormente compromesse nel soggetto autistico: l’intenzionalità
comunicativa, l’iniziativa comunicativa, la capacità di condivisione, la capacità di scambio, la mimica, il contatto oculare, l’uso dei gesti e la capacità di gestire i turni della conversazione.
165
Cos’è l’intenzionalità comunicativa? È la consapevolezza, non la volontà, di realizzare un
atto comunicativo. Nel soggetto autistico è difficile valutare la consapevolezza di un atto
comunicativo. Ad esempio se un bambino non mi guarda, lo fa perché consapevole del
fatto che se non mi guarda mi sta comunicando qualcosa o perché per lui guardarmi è
troppo difficile?
Questo aspetto è fondamentale quando si lavora sul linguaggio perchè è importante non
far acquisire frasi vuote ma, al contrario, farle usare con un fine comunicativo. Come si
fa? Vi do degli spunti. Il modo migliore per stimolare l’intenzionalità comunicativa è utilizzare il contesto naturale. Come ho già detto è fondamentale la collaborazione con la
scuola e la famiglia. Io insegno il linguaggio, ma le persone che lo fanno usare, sentire, vivere siete voi, perchè io posso anche insegnare al ragazzo a chiedere di andare in bagno
come sequenza di suoni, ma diventa una cosa meccanica se non riesce a verbalizzare il
suo bisogno.
La prima cosa da fare è lavorare sui bisogni, sul contesto naturale, sulla quotidianità del soggetto. È anche possibile lavorare sull’intenzionalità comunicativa verbalizzando l’azione del
soggetto autistico e le sue conseguenze. Questo significa che se penso che alcune volte mio
figlio faccia delle cose senza rendersi conto di quale ripercussione hanno sul mondo, pensiamo alle manifestazioni di ansia, di etero o auto-aggressività, non faccio altro che dirglielo.
Ad esempio pensiamo al ragazzo che è stanco di svolgere un’attività, ma la modalità che
ha di comunicare questa stanchezza è prendere il braccio dell’insegnante e morderlo!
In questi casi è presente, senza dubbio, una funzione comunicativa, ma non è efficace,
perchè la reazione dell’insegnante sarà probabilmente di stizza o di fastidio. Parlare ai soggetti autistici funziona. Dire al bambino: “ascolta la prossima volta se sei stanco non mi mordere, troviamo insieme qualcos’altro, batti piuttosto con i piedi per terra, batti con le mani
sul banco, al limite butta per terra la penna”. È chiaro che le cose vanno graduate in base
alla situazione individuale. Credetemi parlare ai soggetti autistici serve: spesso non lo si fa
proprio per il discorso che vi facevo all’inizio, perchè si crede che non capiscano, che non
ascoltino. Io do sempre loro il beneficio del dubbio, nella peggiore delle ipotesi non passa
nulla di ciò che ho detto, ma se c’è una sola minima speranza che possano comprendere,
se non lo faccio ho sprecato una grande occasione.
Cercherò anche di variare il contesto in base al comportamento manifestato. È importante
comunicare quale significato ha per voi il gesto del bambino.
Un altro punto importante è fornire, quanto più precocemente possibile, un sistema comunicativo. Far apprendere al soggetto autistico un sistema comunicativo di tipo gestuale
è molto difficile, perché avendo un disturbo nelle funzioni esecutive fa molta fatica ad organizzare un gesto, soprattutto se di tipo comunicativo. Nel 2005 sono stati pubblicati alcuni articoli che hanno mostrano la forte correlazione esistente tra funzioni esecutive e
linguaggio.
166
Un altro aspetto è l’iniziativa comunicativa. È molto difficile che i soggetti con autismo
prendano l’iniziativa per comunicare qualcosa, lo fanno più facilmente quando si trovano
in condizioni di bisogno, nel senso che è più facile che vi dicano quando devono andare
in bagno, piuttosto che il loro stato d’animo. È raro che abbiano iniziative comunicative o,
se sono presenti, sono inferiori al loro livello di verbalizzazione, nel senso che, anche se
un bambino riesce ad articolare qualche parola, quando ha bisogno di qualcosa di solito
prende la mano dell’adulto e la porta verso l’oggetto che vuole.
L’iniziativa comunicativa può essere indotta creando delle routine con le quali innescare
comportamenti anticipatori. Ad esempio per abituare un bambino a fare un gioco a turni
posso usare le bolle. Creo delle routine per poi interromperle e per vedere se nel bambino si attivano comportamenti anticipatori. Mi rendo conto che è difficile perchè spesso
l’interpretazione di quelli che possono essere degli abbozzi di comunicazione non è sempre univoca. Partendo dal presupposto che ogni cosa è comunicazione, cercate di interpretare il meno possibile, ma di farvi dire cosa vuole. Ciò serve a rinforzare l’iniziativa
comunicativa, perchè se il bambino vede che io avvallo le sue manifestazioni è chiaro che
le rinforzerà.
È chiaro che quanto più un sistema comunicativo è spendibile tanto più invoglierà il soggetto a costruire degli atti comunicativi.
La condivisione e lo scambio sono due momenti propedeutici a qualsiasi tipo di attività
con i soggetti autistici. Mi riferisco in particolar modo agli insegnanti, ma senza dubbio
anche ai genitori. A volte siamo noi operatori ad avere l’ansia da prestazione. Ho incontrato
situazioni critiche, ho fatto errori e probabilmente ne farò ancora, mi sono trovata a dover
riflettere su tutto quello che deve venire prima della richiesta diretta di prestazione. Il rischio è che se si insiste troppo e si fanno scattare momenti di intensa ansia e opposizione,
poi non si recupera più la relazione e l’interazione. Come fare? Innanzitutto si fanno dei
passaggi graduali, si lavora sulla condivisione e sullo scambio. Questi passaggi vanno seguiti
in maniera gerarchica. Ad esempio prima chiederete al soggetto di stare insieme nella stessa
stanza. Se è una classe di molti bambini, girare per la classe è già un buon risultato, perchè sta condividendo uno spazio con altre persone in pochi metri quadrati. Successivamente chiederete al bambino di venirsi a sedere vicino a voi. Quando anche questo
passaggio è stato raggiunto gli chiederete di usare lo stesso materiale; questo non vuol dire
né fare richieste, né scambiare, vuol dire usare lo stesso materiale, ma facendo cose diverse. Il passaggio successivo è più complesso perché implica un livello di interazione più
forte del precedente. Se ad esempio il bambino sta facendo il treno con le costruzioni, cominciate a passargli i pezzi senza dire niente, dopodichè cercate di indurlo a cercarvi. Ad
un certo punto non passate più le costruzioni. Il bambino è costretto a girasi verso di voi
e, a questo punto, potete provare a fare delle richieste. È chiaro che anche in questo caso
esistono differenti livelli. È importante che nel frattempo abbiate cercato di capire quali
167
possono essere le abilità e capacità del bambino in modo da fargli richieste semplici cui è
in grado di rispondere.
Un altro aspetto della comunicazione è la mimica, cioè la capacità di realizzare atti comunicativi con il viso. Questo è un capitolo piuttosto delicato nel soggetto autistico, non facile da affrontare, da valutare e da riabilitare.
Ritengo che, in un certo numero di casi, sia applicabile la teoria della mente, cioè l’ipotesi
che questi bambini facciano fatica ad assumere il punto di vista dell’altro e quindi a modificare il proprio comportamento non verbale in base alla persona che hanno di fronte. Per
l’interiorizzazione e la comprensione delle emozioni, è necessario che il bambino si metta
nei panni dell’altro. Come lavorare sulla mimica? Solitamente prima lavoro sulla comprensione e poi sulla produzione. È inutile che chieda al bambino di esprimermi con il viso
che è triste, se non riesce a decodificare nell’altro l’espressione di tristezza.
Per cui lavoro sull’enfatizzazione delle situazioni. “Marco mi hai dato un morso, non sono
per niente felice, anzi sono triste, sono proprio triste”, andando a lavorare sulle indicazioni
di immagini che gli metto davanti. Partirò dalle espressioni del viso più marcate del tipo
felice-triste, arrabbiato-spaventato, anche perchè sono le situazioni più spendibili nella realtà. Il passaggio successivo è mostrare al bambino queste figure e chiedere quale emozione è indicata. Poi lavorerò sul bambino stesso chiedendo di farmi una faccia triste, felice,
ecc. Capite anche voi che questo livello è molto meccanico, perciò anche in questo caso
cerco di lavorare su situazioni reali, coinvolgendo gli insegnanti, i genitori e chiedendo
loro che nei momenti di vita vera comunichino al bambino come si sentono e gli chiedano
come si sente.
La drammatizzazione ed il role play sono delle tecniche che a volte uso in seduta, soprattutto laddove manca la collaborazione. Con la drammatizzazione utilizzo dei pupazzetti per
creare delle situazioni, con il role play mimiamo delle situazioni. Per quanto possibile cerco
di lavorare in gruppo.
Come lavorare sul contatto oculare? La verbalizzazione funziona come richiamo attentivo.
A volte mi tolgo gli occhiali, che porto sempre, per introdurre una variante che attivi maggiormente l’attenzione.
Scelgo attività che favoriscono l’orientamento dello sguardo verso il terapista, ad esempio
le bolle di sapone o le canzoni mimate. Cerco di assumere delle postazioni che inducano
il contatto oculare, tenendo conto che a volte hanno delle controindicazioni, nel senso
che lavorare di fronte implica un grado di interazione che non sempre è accettato dal soggetto autistico. Mi metto semi frontale, ad angolo o uso uno specchio a leggio, che consente
al bambino di focalizzare l’attenzione.
Il gesto dell’indicazione, a mio avviso, ha un buon rapporto costo-benefici, nel senso che
riabilitare il gesto dell’indicazione è relativamente semplice e consente di aprire una gamma
di possibilità comunicative enormi. Perchè indicare e non prendere? Perché l’indicazione
168
mi può, ad esempio, permettere di lavorare sulle immagini. È uno degli elementi comunicativi, insieme allo sguardo, su cui puntiamo subito, perché apre molte possibilità. Come
fare? Non è facile, ma qualche spunto penso di potervelo dare. Ad esempio decidiamo di
mettere l’acqua in un punto in cui il bambino non riesce a prenderla da solo, ma sia costretto a cercarci. Di solito questi bambini sviluppano livelli di autonomia molto alta, per
cui se non vengono create le condizioni di bisogno sembra che non si manifestino nemmeno. È possibile anche utilizzare le potenzialità riabilitative della comunicazione facilitata.
Non mi dilungherò molto su questo argomento, però voglio far passare l’idea che la comunicazione facilitata non è solo scrittura alla tastiera; serve anche per riabilitare un gesto,
lavorando anche solo sulle immagini.
L’ultimo aspetto che tratteremo riguarda i turni conversazionali. Il soggetto autistico a volte
è troppo passivo, cioè non prende il turno quando dovrebbe, soprattutto se ci sono tante
stereotipie verbali. Come fare per questo aspetto? Innanzi tutto si deve sempre partire dall’ingresso: insegno che la comunicazione si svolge a turni, fornendo anche delle facilitazioni. Spesso mi viene chiesto come gestire le stereotipie verbali. Non esiste una tecnica
per farle diminuire; l’importante è non fomentarle. Lasciate perdere perché ogni vostra attenzione alle stereotipie è un rinforzo.
“Spesso a Spazio Famiglia ci sono bambini che continuano a ripetere la parola papà. A volte diciamo che viene dopo il lavoro. Come dobbiamo comportarci”?
Sara Isoli
Bisogna saper distinguere quando è il momento del bisogno, cioè quando il ragazzo è
stanco e verbalizza con papà la voglia di andarsene o quando invece è una stereotipia.
Se vedete che il bambino sta male, che non è contento, è chiaro che esprime un intento
comunicativo.
Moderatore
Mentre facciamo partire il video, vorrei dire due parole su questo corso, che si intitola “Genitori e Autismo”. Il titolo non è assolutamente un caso, perchè è nato da una serie di richieste da parte dei genitori che io incontro a Spazio Famiglia. Per gli operatori la Provincia
ha già realizzato molti momenti formativi, i genitori li abbiamo visti un pochino di meno
e ci hanno appunto fatto presente che una delle loro gravi necessità è proprio quella di intervenire sulla comunicazione; per questo abbiamo previsto all’interno dell’attuale percorso formativo due incontri, uno con Sara Isoli oggi, l’altro con Gina Forlani e Liliana
Pensa nelle prossime settimane.
169
Quindi, tutto quello che voi vedrete durante questo percorso non è frutto di una scelta nostra, ma è proprio nato da una necessità, da una serie di richieste che abbiamo recepito dalle
famiglie.
L’INTERVENTO CHE SEGUE È INTEGRATO DA UN VIDEO
Nel video vedete Michele, un bambino di cinque anni e mezzo che non ascolta, ma con
delle buone funzioni esecutive. Faccio moltissima fatica a fare in modo che risponda alle
mie richieste, che non sono legate alla prestazione, ma all’ascolto di quanto gli dico. Gli
metto davanti degli animali e gli chiedo di passarmeli. Vedete che lui si sta “parlando addosso” e non mi guarda mai. Gli prendo la mano in modo da fornirgli un modello, perchè
può anche darsi che non sappia come fare.
Provo a vedere se con la canzone riesco ad “agganciarlo”, se riesco a interagire con lui. Accendo il computer, Michele sente il rumore del computer e mi si avvicina. Vedete però
che non mi ascolta, anzi continua a giocare con gli animali, li mette in fila. Questa è una
sua stereotipia. Alla richiesta di portare il coccodrillo, per sentire la sua canzone, mi porta
tutta la scatola. Quando inizia la musica non riesce a gestire tutte le informazioni. Ho provato ad interrompere la musica, ma non ha mostrato nessun segno di interazione nei miei
confronti. Siamo nella stessa stanza, riusciamo a condividere anche il piano di lavoro, ma
non lo stesso materiale, dal momento che non accetta alcuna interferenza da parte mia.
Dal punto di vista degli apprendimenti è bravissimo: conta, fa le addizioni, ha cominciato
a leggere e a scrivere. L’aspetto dell’interazione è invece il più difficoltoso.
A questo punto faccio un recinto da sola per vedere se riesco a stimolare in lui una qualche forma di imitazione. Prova a prendere i miei animali, ma non è una forma di interazione, lì prende solo perché sono più vicini. Ho nascosto appositamente la borsa degli
animali in modo che me li chiedesse. Anche Michele inizia a costruire un recinto. A questo punto però ho fatto un errore: avrei dovuto cogliere la sua iniziativa di venire nel mio
recinto a prendere gli animali, invece ho insistito troppo e abbiamo sospeso l’attività.
La comprensione, invece, è la parte di ingresso che viene prima della produzione, per cui
qualsiasi verbalizzazione intendiate stimolare in vostro figlio lavorate prima sull’ingresso.
Non posso chiedere ad un bambino di dirmi che quella è una bottiglia se non sa che quella
è una bottiglia e che si chiama in quel modo.
La comprensione è un capitolo delicato nel soggetto autistico. A volte si confonde la comprensione con l’attenzione uditiva e con le capacità di percezione uditiva. Ci sono anche
dei problemi nell’output. Cosa vuol dire? Molto spesso la comprensione viene valutata in
base a quello che uno fa, cioè all’output, all’uscita, anche perchè è molto difficile fare al170
trimenti. Nel soggetto autistico le modalità di uscita a volte sono alterate, per cui quello
che si scambia per non comprensione della parola “bottiglia”, è in realtà un disturbo nelle
funzioni esecutive, tale per cui non il soggetto riesce ad allungare la mano per prendere la
bottiglia, dal momento che non riesce ad organizzare un programma motorio che gli consenta di compiere queste azioni.
Le componenti attentive maggiormente compromesse sono l’attenzione condivisa (la capacità di stare attenti mentre si fa qualcosa insieme) e l’attenzione selettiva (la capacità di
isolare lo stimolo rilevante all’interno di una serie di altri stimoli). Questo può avvenire in
classe, per cui il soggetto autistico fa fatica a isolare la voce dell’insegnante perchè c’è il vicino che parla o l’autobus che passa fuori, ma è altrettanto vero a casa, per cui il bambino
presta più attenzione alla lavatrice, piuttosto che alla mamma che parla. Hanno anche difficoltà nell’attenzione sostenuta, cioè nella capacità di mantenere l’attenzione per un certo
periodo di tempo.
Dobbiamo cercare di allungare i tempi di attenzione senza aumentare la complessità cognitiva, perchè nei soggetti con autismo è fondamentale lavorare su un obiettivo alla volta.
Dal momento che hanno un deficit di attenzione selettiva eviterò che sul tavolo di lavoro
ci siano molte cose; libero il campo. Per quanto riguarda l’esecuzione di ordini è preferibile che i comandi siano chiari e semplici. Ci sono soggetti autistici che hanno difficoltà
nell’iniziare una sequenza motoria, per cui possono essere utili facilitazioni quali un colpetto sulla gamba o sul braccio o frammentare la consegna. Se voglio far compiere al bambino un’azione complessa, ad esempio aprire la bottiglia e versare l’acqua nel bicchiere, non
darò un'unica consegna ma descriverò un’azione alla volta: vai al tavolo, apri la bottiglia,
svita il tappo, inclinala, versa l’acqua nel bicchiere.
Ora vi faccio vedere un video che riguarda l’indicazione.
L’INTERVENTO CHE SEGUE È INTEGRATO DA UN VIDEO
Vedete che difficoltà ha questo ragazzino ad isolare il dito. Devo scomporre il lavoro in
tante parti, perché tante sono le variabili che intervengono.
Molto spesso chi ha un disturbo delle funzioni esecutive, chi ha stereotipie nelle mani e fa
fatica ad indicare, ha anche un contatto oculo-manuale praticamente assente. Un lavoro che
stiamo facendo è cercare di coordinare dito e occhio, ma con Salvatore devo procedere
per gradi, dal momento che manifesta delle crisi auto-aggressive molto forti. Non ci sono
regole fisse. Vi posso dare degli spunti, ma poi ogni elemento dev’essere fortemente individualizzato.
La produzione è la parte di uscita, cioè la verbalizzazione fatta con la voce. È incredibile
171
quanto da questo punto di vista gli autistici siano diversi: ho Salvatore che non dice una
parola, che vocalizza solo, ho Giacomo che non sta zitto un secondo; tra questi estremi ci
sono una serie di quadri intermedi. Noi per comodità terapeutica abbiamo cercato di dividere i disturbi in aree linguistiche. Tenete conto che non sono mai dei quadri puri.
La grande distinzione è fatta tra presenza o assenza di verbalizzazione. Salvatore, ad esempio, è un bambino che non parla, che considero con assenza di verbalizzazione. In questi
soggetti si ritrova molto spesso un disturbo di tipo prassico, cioè una difficoltà a muovere
la bocca, la lingua, le labbra soprattutto su richiesta verbale.
Per ogni quadro ho identificato degli obiettivi di massima per darvi alcune indicazioni pratiche.
In alcuni soggetti è necessario ampliare le iniziative comunicative. Generalmente sono soggetti non verbalizzati con modalità comunicative piuttosto rudimentali, per cui è necessario ampliarle e modificarle verso modalità più evolute. Proprio perché hanno un disturbo
molto forte in tutta l’area interattiva, vengono meno anche alcune componenti della comunicazione.
Lavorerò ovviamente su tutto quello che è il potenziale. È molto importante riuscire a stimolare in loro la consapevolezza non solo dell’esistenza, ma anche del range di possibilità
che le varie strutture danno loro.
Il quadro successivo entra nell’area della verbalizzazione che è il livello fonetico-fonologico.
Un disturbo fonetico-fonologico si caratterizza per il fatto che il soggetto autistico non sa
come organizzare i suoni nella parola, alcune volte è carente anche il livello precedente,
ovvero l’inventario dei suoni (fonetico) non è completo. Troviamo spesso dei disturbi di
selezione nei soggetti autistici che si manifestano a vari livelli: nei suoni, nella selezione
delle parole, nella selezione e organizzazione della frase.
Un'altra caratteristica tipica dei soggetti che hanno questo tipo di disturbo è quella che
viene detto in clinica “conduites d’approche”. Ad esempio un bambino per riuscire a dire
bottiglia deve continuare a “balbettare” ripetendo la prima sillaba, dal momento che fa fatica a organizzare tutto quello che viene dopo. Gli obiettivi che ci poniamo per primi sono
un miglioramento delle capacità di articolazione e di co-articolazione.
Spesso nei soggetti che hanno un disturbo fonologico in uscita lavoriamo molto anche in entrata. Ad esempio se un bambino confonde il suono “p” con la “b nel parlare, lavorerò perché comprenda che sono suoni simili, vengono articolati nella stessa identica maniera; si
differenziano solo per il fatto che uno è sonoro e l’altro è sordo, cioè uno implica la vibrazione
delle corde vocali e l’altro no. Tuttavia possono veicolare significati completamente diversi.
Lavorerò proprio per raggiungere quella che viene detta “consapevolezza fonologica”, cioè
la capacità di maneggiare i suoni nella maniera più creativa e più consapevole possibile.
Da questo livello al successivo, usiamo moltissimo la letto-scrittura, con un avvio anche
precoce.
172
Questo non vuol dire che non si debba lavorare sul canale uditivo, ma che se ci servono
degli aiuti, possiamo trovarli in tutto quello che sfrutta il canale visivo. Per cui se devo lavorare sul fatto che il bambino distingua le parole “pere” e “bere”, è utile che il bambino
sappia scrivere le lettere “p” e “b”.
Il quadro successivo si rifà al livello della parola. Noi parliamo di disturbo a livello lessicale e
semantico. Vi spiego: un disturbo a livello semantico implica la mancanza di conoscenza di
una parola; nel disturbo lessicale, che è presente in maniera peculiare nel soggetto autistico,
si trova una discrepanza tra le parole conosciute e le parole che riesce ad esprimere. Possono
avere un vocabolario interno molto ricco, ma un vocabolario espressivo molto povero, con
errori tipici. Per questo parliamo di disturbo lessicale. L’errore che fa il soggetto autistico non
è casuale: di fronte alla matita mi dice penna, di fronte al dentifricio mi dice spazzolino. Sono
tutte parole che appartengono alla stessa classe semantica.
Questo suggerisce l’idea che riescano ad individuare la categoria semantica, probabilmente
hanno in testa la parola giusta, ma ci sono delle interferenze. L’obiettivo per questo tipo di
quadro è inizialmente un potenziamento della memoria di lavoro. È una memoria di tipo
procedurale che permette di aumentare l’effetto frequenza. Un altro obiettivo è il miglioramento nell’accesso al lessico, cioè si cerca di aumentare la possibilità che il soggetto dica le
parole giuste. Sappiamo infatti che il soggetto autistico, di fronte a frequenti frustrazioni, abbandona l’attività. Lavoro molto con il sostegno della facilitazione: ad esempio se sto facendo
denominare le parole, fornisco al bambino un aiuto fonologico, in modo da non farlo sbagliare.
La mia evoluzione in questo caso, non sarà data tanto dal numero di parole che denomino,
che probabilmente rimarranno sempre le stesse, ma dal cambiamento nell’aiuto che gli do.
Ad esempio oggi denominiamo dieci parole, otto delle quali con l’aiuto della prima sillaba;
domani denominiamo sempre dieci parole, delle quali due da solo, tre con il primo fonema, le restanti cinque con la prima sillaba.
La velocizzazione è importante perchè la processazione del pensiero in linguaggio è molto
rapida, per cui non devo fare solo in modo che il mio soggetto denomini correttamente,
ma anche rapidamente.
È chiaro che non posso lavorare sui due livelli contemporaneamente, altrimenti aumenta
l’ansia. Anche in questo caso lavoriamo molto sulla letto-scrittura proprio per la prevalenza
del canale visivo su quello verbale. Un altro tipo di aiuto che potete utilizzare, se il soggetto
legge ad alta voce, è scrivere la parola, la prima iniziale o l’iniziale della prima sillaba.
L’altro quadro riguarda il disturbo morfo-sintattico, ovvero le difficoltà nell’organizzazione
della frase ed degli aspetti grammaticali. Per quanto riguarda questi ultimi gli errori più
frequenti sono sostituzioni di genere (maschile/femminile), di numero (singolare/plurale)
e nella coniugazione dei verbi, che solitamente sono usati all’infinito.
Per quanto riguarda la struttura frasale, invece, abbiamo delle frasi che sono spesso povere, costituite da soggetto e verbo o verbo e oggetto, in cui l’elemento più forte è la man173
canza di creatività. Anche in questo caso svolgiamo un lavoro in ingresso. Da alcune ricerche sembra che i soggetti autistici prestino poca attenzione alle parole prive di significato. Tali parole sono proprio gli elementi grammaticali (articoli, congiunzioni, proposizioni,
ecc), per cui farò in modo che vadano ad indicare la figura corrispondente prestando attenzione a quelle che sono le parole prive di significato.
Cercherò di espandere la frase, anche in questo caso uso molto il rinforzo visivo, per esempio usando i blocchi logici. Sono delle figurine (cerchio rosso, rettangolo rosso, triangolo
giallo, ecc) cui scelgo, in maniera del tutto arbitraria, di far corrispondere gli articoli, i verbi,
i sostantivi. Avere questi sostegni visivi aiuta in maniera incredibile i ragazzi a recuperare
la struttura della frase.
L’uso di strategie visive è molto utile, ma sempre con le dovute precauzioni, nel senso
vanno usate con l’intento di toglierle al più presto, dal momento che limitano la creatività.
Dobbiamo lavorare anche sulla sequenza di eventi, non solo sulle frasi singole e, anche in
questo caso, introdurre la letto-scrittura.
L’ultimo quadro riguarda il disturbo dell’area conversazionale. Sono soggetti che parlano bene
dal punto di vista formale, coniugano i verbi e le frasi, ma mancano di coerenza verbale. Gli
obiettivi per questo tipo di quadro sono due: l’aumento della coerenza verbale, con la diminuzione delle stereotipie verbali, e il lavoro sulle regole sociali della comunicazione. Sono soggetti che parlano benissimo, che eseguono senza difficoltà esercizi di produzione verbale, ma
quando si trovano a dover conversare non riescono a mantenere l’argomento.
L’INTERVENTO CHE SEGUE È INTEGRATO DA UN VIDEO
Volevo lasciarvi con una frase che non è mia, ma che è molto più utile di tutto quello che
ho detto oggi. È di una ragazza autistica che ha scritto un libro: “nessuno si rendeva conto
che non potevo far uscire le parole così come si trovavano nella mia mente”. Grazie a tutti.
“Quante sedute vengono fatte durante la settimana”?
Sara Isoli
Facciamo poche sedute a settimana; essendo un servizio pubblico cerchiamo di dare risposta a quanta più utenza possibile. Facciamo una media di due sedute alla settimana,
però tenga conto che non lavoro da sola. Nessuno dei bambini con cui lavoro fa solo logopedia, fanno tutti anche terapia educativa o psicomotoria, per cui sono quattro sedute
alla settimana. La generalizzazione degli apprendimenti è una delle parti più difficili. In174
segnare il linguaggio e le parole è relativamente facile; l’esportazione è la parte più complessa. Per questo sono molto felice quando vado a parlare agli insegnati ed ai genitori,
perchè l’autismo non è un disturbo semplice di linguaggio, ma un insieme di fattori disarmonici su cui bisogna lavorare in molti e nel contesto reale.
Non credo nella divisione dei ruoli in questa patologia. Ci sono dei nuclei di specificità. Io
lavoro molto sul linguaggio e sulle funzioni esecutive con finalità comunicative; lo psicomotricista lavora sulla capacità di gestione dell’intero corpo; l’educatore lavora molto sul
gioco e sulla sua evoluzione.
Moderatore
Ecco, per chiudere, volevo far presente che una modalità abbastanza simile viene utilizzata
anche nei vari Spazi Autismo, nell’integrazione con le scuole, con la famiglia e con SpazioFamiglia, proprio perchè il rinforzo di questi apprendimenti deve essere continuo. È inutile fare un intervento di trenta incontri di logopedia, piuttosto che di psicomotricità, se poi
questi interventi non vengono portati nella vita quotidiana, ed è proprio il presupposto su
cui si basa anche il lavoro di Verona. Questa attività in rete è l’unica possibilità per poter
ottenere risultati e per fare in modo che questi siano poi costanti nel tempo, perché il rischio, altrimenti, è proprio quello di perdere i benefici.
Sara Isoli
Lo scorso week-end sono stata a Vacone, in provincia di Rieti presso una Casa Famiglia di
adulti autistici, che ci ha chiesto una consulenza. Ho trovato situazioni in cui si erano raggiunti dei buoni livelli a venti anni, dopodichè perdendo ogni stimolazione alcuni aspetti
erano regrediti. Ho pazienti dai due anni e mezzo ai venti anni, lavoro quindi anche al di
fuori della fascia prettamente evolutiva. È chiaro che non si pensa di fare logopedia per sempre, ma si lavora con l’obiettivo di trasmettere ai genitori, alla scuola, alle strutture che accolgono i ragazzi indicazioni operative efficaci.
175
Riportiamo di seguito le slides proiettate da Sara Isoli durante gli incontri
COMUNICAZIONE
“In genere si parla di comunicazione pensando, o facendo finta di credere, che questa sia un
fenomeno fondamentalmente unitario, o riconducibile a schemi complessivi e riassuntivi
uniformi” (Zijno, 1999).
“La COMUNICAZIONE è tutto ciò che accade in presenza di almeno due persone. Non si
può non comunicare” (Watzlavick, Beavin, Jackson - Scuola di Palo Alto - 1967).
COMUNICAZIONE NON VERBALE
gesti
mimica
movimenti, distanze
e posture del corpo
176
tono e prosodia
COMUNICAZIONE VERBALE
linguaggio
LINGUAGGIO
(verbale)
➢ è un sistema di comunicazione;
➢ è il sistema di comunicazione più utilizzato dall’uomo, perché è il più potente,
efficace ed economico;
➢ non assolve alla sola funzione comunicativa, ma è anche una facoltà mentale
capace di codificare il pensiero.
LINGUAGGIO
PRODUZIONE
Area fonetica-fonologica
Area lessicale-semantica
Area morfo-sintattica
Area conversazionale
COMPRENSIONE
177
COMUNICAZIONE
“La COMUNICAZIONE è tutto ciò che accade in presenza di almeno due persone. Non si
può non comunicare” (Watzlavick, Beavin, Jackson - Scuola di Palo Alto - 1967).
È interazione, esiste solo in
presenza di almeno 2 persone
che si relazionano tra loro.
Il soggetto autistico avrà sempre
difficoltà di comunicazione, perché
sempre manterrà difficoltà di interazione.
In particolare nelle componenti di:
• intenzionalità comunicativa
• iniziativa comunicativa
• condivisione
• scambio
• mimica
• contatto oculare
• uso dei gesti
• turni conversazionali
Intenzionalità comunicativa
Si riferisce alla consapevolezza (non alla volontà) di realizzare un atto comunicativo, nel momento in cui viene espresso.
Come?
• sfruttando il contesto naturale;
• verbalizzando l’azione e le sue conseguenze;
• variando il contesto in base al comportamento manifestato;
• fornendo al soggetto al più presto un sistema comunicativo sufficientemente efficace
e di rapida implementazione (es: CF, CAA, gestuale).
178
Iniziativa comunicativa
Si riferisce alla capacità di iniziare, di intraprendere un atto comunicativo,
abbandonando una posizione responsiva a favore di quella assertiva.
Come?
• creando routines con le quali innescare comportamenti anticipatori;
• cogliendone anche solo abbozzi;
• facendo evolvere sistemi presenti ma poco efficaci;
• fornendo al soggetto al più presto un sistema comunicativo sufficientemente efficace e
di rapida implementazione (es: CF, CAA, gestuale).
Condivisione
Si riferisce alla capacità di accettare di avere qualcosa in comune con qualcun altro.
Come?
Effettuando passaggi graduali:
• stare insieme nella stessa stanza
• stare vicini
• usare lo stesso materiale
Scambio
Si riferisce alla capacità di prendere dall’altro ma anche di dare, in un sistema a feed-back che si influenza continuamente.
Come?
Effettuando passaggi graduali:
• accettare le intromissioni dell’altro
• ricercare l’altro
• accettare le richieste dell’altro
179
Mimica
Si riferisce alla capacità di realizzare atti comunicativi mediante l’espressione
facciale.
Come?
• inizialmente lavorando in ingresso, sulla comprensione e sulla consapevolezza degli
stati emotivi:
➢ enfatizzazione di situazioni
➢ indicazione di immagini
➢ verbalizzazione e spiegazione
• quindi lavorando sull’espressione degli stati emotivi:
➢ descrizione di volti
➢ dramatizzazione
➢ role-play
Contatto oculare
Si riferisce alla capacità di guardare l’interlocutore negli occhi durante la realizzazione dell’atto comunicativo.
Come?
• richiesta verbale diretta
• associazione ad un gesto
• attività che favoriscano l’orientamento dello sguardo verso il viso del terapista
• preferendo postazioni frontali o semi-frontali e/o l’uso di uno specchio
Gesti
Si riferisce alla capacità di utilizzare sistemi comunicativi gestuali, anche in
alternativa al linguaggio verbale.
Cosa?
Gesti deittici = esprimono l’intenzione dell’emittente, ma il referente dipende dal contesto.
Sono:
• indicare
• mostrare
• richiedere
Usati con funzione di richiesta o di dichiarazione
180
Indicazione
Si riferisce alla capacità di utilizzare come sistema comunicativo gestuale il
dito indice isolato e puntato verso qualcosa.
Come?
• facendo evolvere modalità comunicative meno fini (es: prendere e portare)
• sfruttando situazioni di bisogno o di alta motivazione
• imitazione
• utilizzando le possibilità riabilitative della Comunicazione Facilitata
Turni conversazionali
Si riferisce alla capacità di rispettare l’alternanza comunicativa tra gli interlocutori, sia come presa di turno che come cessione.
Come?
• portando alla consapevolezza il soggetto della loro esistenza
• inibendo eventuali stereotipie verbali
• utilizzando giochi che prevedano turni
• verbalizzando il momento o sfruttando altre strategie di facilitazione
Tutti questi elementi sono senza dubbio propedeutici alla riuscita di una
buona comunicazione, soprattutto verbale. Tuttavia, essi devono essere tenuti
costantemente in considerazione durante tutta la riabilitazione, qualsiasi sia
l’aspetto da modificare.
COMPRENSIONE
Processo mediante il quale il ricevente è in grado di capire quanto viene detto dall’emittente.
Richiede innanzitutto che siano integre le capacità:
• attentive
• percettive dell’eloquio
Vanno accuratamente scelte le modalità con cui valutarla, ovvero le modalità di output
richieste.
181
CAPACITÀ ATTENTIVE
Cosa?
• condivisa
• selettiva
• sostenuta
Come?
• impegnando il soggetto in compiti condivisi per tempi sempre più lunghi, eventualmente partendo da attività di suo interesse;
• inizialmente “liberando il campo” per poi introdurre gradualmente stimoli disturbanti,
durante attività consolidate;
• aumentando gradualmente i tempi di lavoro, mantenendo stabile la complessità.
CAPACITÀ PERCETTIVE DELL’ELOQUIO
Cosa?
• detezione
• discriminazione
• identificazione
• riconoscimento
• comprensione
Come?
Ripercorrendo le tappe sopra-elencate, in particolar modo le prime due, attraverso attività
specifiche.
MODALITÀ DI OUTPUT RICHIESTE
Cosa?
• verbalizzazione
• esecuzione di ordini
• indicazione
assenza di linguaggio o linguaggio incoerente
disturbo delle funzioni esecutive
disturbo di orientamento del gesto
Come?
Utilizzo di strategie di facilitazione!
• verbalizzazione: aiuto fonologico
aiuto lessicale
aiuto semantico
182
• esecuzione di ordini: comando chiaro e semplice
tocco
frammentazione della consegna
• indicazione:
ambiente pulito
richiamo al compito
Comunicazione Facilitata
PRODUZIONE
Processo mediante il quale il soggetto costruisce un eloquio e lo emette mediante il canale uditivo-verbale.
La patologia autistica è caratterizzata da un’enorme variabilità di quadri di produzione verbale.
Si può osservare il soggetto che non parla, emette solo vocalizzi, così come quello che
parla molto, quasi troppo, che non riesce ad essere pertinente né adeguato.
Tra questi, numerosi quadri intermedi.
Identificazione di differenti aree linguistiche:
• ASSENZA DI VERBALIZZAZIONE
• VERBALIZZAZIONE
➜
area fonetica-fonologica
area lessicale-semantica
area morfo-sintattica
area conversazionale
che permettano l’identificazione dei disturbi riscontrabili. Ogni disturbo va inteso come
componente valutabile clinicamente e prevalente all’interno del disturbo comunicativo.
• ASSENZA DI VERBALIZZAZIONE
• VERBALIZZAZIONE
➜
disturbo area fonetica-fonologica
disturbo area lessicale-semantica
disturbo area morfo-sintattica
disturbo area conversazionale
183
ASSENZA DI VERBALIZZAZIONE
CARATTERISTICA CLINICA: disturbo prassico
Presenza di:
• impaccio motorio del distretto bucco-linguo-facciale
• difficoltà di imitazione con il distretto bucco-linguo-facciale
• incapacità o forte difficoltà a produrre semplici movimenti con il distretto buccolinguo-facciale su richiesta verbale
• ridotta verbalizzazione (vocalizzi o catene sillabiche)
VERBALIZZAZIONE
CARATTERISTICA CLINICA: disturbo fonetico fonologico
I fonemi ci possono essere tutti, ma il soggetto non sa come organizzarli; come selezionarli
per costruire la corretta stringa fonemica
Produzione di parafasie e/o neologismi fonemici, eventualmente con conduites
d’approche
CARATTERISTICA CLINICA: disturbo lessicale-semantico
Le parole come etichette, come insieme di suoni che formano la parola
C’è forte discrepanza tra l’input e l’output, come difficoltà a reperire l’etichetta lessicale
corretta, pur restando all’interno della categoria semantica adeguata = parafasie
lessicali
184
CARATTERISTICA CLINICA: disturbo morfo-sintattico
Grammatica
Struttura frasale
Produzione verbale con errori tipici di:
• genere
• numero
• coniugazione verbi
Produzione verbale con caratteristiche
tipiche:
• omissione parti frasali
• riduzione struttura
• mancanza di creatività
CARATTERISTICA CLINICA: disturbo conversazionale
L’uso del linguaggio a fini interattivi
L’eloquio è tipicamente descritto come “bizzarro”; il linguaggio è strutturalmente ben
formato, ma manca fortemente di coerenza verbale.
“Nessuno si rendeva conto che non potevo far uscire le parole così come si
trovavano nella mia mente”.
Katja Rohde – “La ragazza porcospino” – 2001
185
Come implementare la comunicazione:
riflessioni teoriche e spunti pratici - Prima parte
Liliana Pensa *
Buongiorno a tutti. Vorrei darvi la scaletta dell’intervento di questo pomeriggio che divido
con Gina Forlani. Partiremo dalla definizione di autismo per condividere con tutti i presenti
quali possibili soluzioni concrete possiamo dare al problema della comunicazione.
Il taglio che abbiamo deciso di dare non è troppo tecnico dal momento che il corso è rivolto soprattutto ai genitori. Cercheremo di esporre le esperienze che abbiamo accumulato
in questi anni; esperienze pratiche, concrete, condivise con le nostre operatrici qui presenti e che cercheremo di trasmettervi.
Il nostro sforzo sarà anche quello di darvi un’informazione globale di cui possiate fruire.
Dopo questa premessa, partiamo dalla definizione di autismo, secondo la Società Italiana
di Neuropsichiatria ed attualmente in vigore nelle A.S.L. L’autismo è una sindrome, un insieme di tanti disturbi, che ha esordio nei primi anni di vita e che ha cause biologiche ancora in fase di studio. Il nostro desiderio è di focalizzare l’attenzione sulle aree interessate
nell’autismo: interazione sociale reciproca, abilità di comunicare idee e sentimenti, capacità di stabilire relazioni con gli altri. C’è un denominatore comune tra questi tre punti, cioè
la comunicazione è sempre legata all’aspetto sociale e quindi, se noi parliamo di problema
di comunicazione nell’autismo, non ci riferiamo soltanto a un problema di linguaggio, ma
alla difficoltà di comunicare e di iniziare relazioni sociali. Cosa succede in sostanza nell’autismo? Risulta danneggiato quello che chiamiamo lo schema normale della comunicazione. Un ultimo dato che volevo darvi prima di entrare nel merito del discorso è questo:
le ultime ricerche hanno stabilito che la percentuale delle persone con autismo che non svilupperanno mai il linguaggio verbale o lo svilupperanno in minima parte, va dal 20% al
50%. Questa percentuale è molto alta e ci fa capire l’importanza di riuscire a sviluppare una
comunicazione alternativa al linguaggio.
* Responsabile Scientifico Spazio Autismo Seriate e Ponte San Pietro – Coordinatore Handicap per l’Istituto
Comprensivo “A. da Rosciate” di Bergamo
187
Questo è uno dei punti su cui si focalizzerà Gina Forlani questo pomeriggio, sulla comunicazione aumentativa alternativa, la cosiddetta CAA. Tutti sappiamo che per comunicare
dobbiamo averne voglia. È fondamentale l’intenzionalità comunicativa, che manca nei
nostri bambini con autismo che non sembrano motivati a comunicare con noi.
Ecco dove sta il nocciolo del problema e dove cercheremo di intervenire.
Questi sono gli argomenti che svilupperemo oggi: gli stadi di sviluppo del linguaggio, dove si
manifesta la compromissione, i deficit che troviamo nei bambini e come possiamo aiutarli ad
imparare a comunicare. Vi accenno brevemente agli stadi di sviluppo del linguaggio. Il primo
stadio avviene da 0 a 9 mesi ed è il momento in cui il bambino si forma le prime immagini
mentali ed il linguaggio interno di cui parla spesso Theo Peeters.
Come avviene questo meccanismo di apprendimento dei primi rudimenti del linguaggio?
Avviene attraverso le immagini. Vi faccio un esempio semplice e concreto. Supponete che
il bambino si trovi di fronte alla mamma che gli allunga le mani e lo incita ad andare verso
di lei. In questa fascia di età il bambino associa l’immagine della mamma con la parola
“mamma”. Come fa a riconoscere che quella persona è la mamma? La riconosce attraverso la sua sensorialità e, quindi, attraverso il tatto, la vista, l’olfatto. La riconosce e si
crea un’immagine mentale, per cui le sorride mostrando di riconoscerla.
Il secondo stadio è quello in cui il bambino inizia a comprendere il linguaggio parlato e sembra, da recenti studi , che sia proprio questo il punto in cui avviene il deterioramento per
il bambino con autismo.
Cosa succede? Se il nostro bambino ha difficoltà a comprendere le parole, non le associa
mentalmente, non costruisce il linguaggio interiore. Questo discorso è spiegato molto bene
nella teoria della mente. Se qualcuno di voi volesse approfondire il discorso, c’è il testo del
professor Wolkmer sulla teoria della mente che è edito dalla Erickson.
Nel terzo stadio il bambino incomincia a sviluppare il linguaggio espressivo, cioè inizia a
parlare. Chiaramente è uno stadio impossibile da raggiungere se prima il bambino non ha
imparato a decodificare il linguaggio. Se prima non c’è la fase del linguaggio ricettivo, non
si sviluppa quella di linguaggio espressivo. Tutti quelli che studiano una lingua straniera lo
sanno: prima imparo a capire il senso del linguaggio orale e poi imparo a parlare.
Quali sono, allora, le conseguenze per il nostro bambino? Sono compromesse o addirittura assenti, quelle che noi chiamiamo “le abilità di conversazione”, per cui il bambino non
interagisce con l’ascoltatore, manca di intenzionalità reciproca, non è capace di iniziare una
conversazione spontaneamente, non capisce quando deve inserirsi nella conversazione.
Da questa descrizione emerge che l’aspetto maggiormente compromesso è quello della comunicazione sociale.
Adesso andiamo a vedere nello specifico cosa noi insegnanti e noi operatori riscontriamo
nei bambini quando hanno questi problemi.
Innanzitutto rileviamo la mancanza dei sistemi gestuali di supporto alla comunicazione.
188
Quando parliamo noi ricorriamo moltissimo ai gesti, alla mimica facciale, al movimento del
corpo, all’intonazione della voce per fare capire quello che stiamo dicendo. Questo aspetto
della comunicazione non solo non viene compreso dal bambino ma, come dice il professor Peeters, gli complica la vita. Se mentre parlo con il bambino aggiungo i movimenti del
viso e delle mani, lo mando ancora più in confusione. Quindi non solo non lo capisce, ma
non può assolutamente usarlo.
In questo modo il bambino perde un grosso supporto alla comunicazione. Altri bambini, che
vediamo quotidianamente, hanno un ritardo generale nello sviluppo del linguaggio. Come
facciamo a capirlo? È evidente, se li paragoniamo a bambini della loro età c’è un divario molto
grosso e lo notiamo. Poi abbiamo bambini con mancanza totale di linguaggio, il cosiddetto
mutismo, fanno qualche piccolo vocalizzo ma ci comunicano poco. C’è poi un mutismo legato alla non collaborazione dell’atto comunicativo: parlo con il bambino ma lui non risponde,
non mi fa capire se ha compreso e non comunica con me. C’è anche l’ecolalia, che tutti conosciamo molto bene, perché è molto diffusa tra i nostri bambini. C’è quella immediata,
quando diciamo qualcosa ed il bambino la ripete subito, e quella differita, quando il bambino
ripete dopo alcuni minuti ciò che abbiamo detto, ma non comunica.
C’è il linguaggio perseverativo, cioè quello che il bambino usa ripetendo sempre le stesse
parole senza comunicare nulla. L’uso di frasi memorizzate è una delle modalità più diffuse
nei nostri bambini, per cui ripetono le frasi dei cartoni animati, dei film e della pubblicità.
Noi, ad esempio, a Spazio Autismo abbiamo un bambino che spesso ripete gli slogan televisivi, anche molto raffinati. Qualche giorno fa, mentre stava facendo un lavoro a tavolino
e, probabilmente era stanco e voleva comunicarci che non ne voleva più sapere, ci ha
detto: “L’auto ha delle performance che vi stupiranno” ed ha continuato con slogan sulle
auto. Chiaramente non è riuscito a comunicarci che era stanco di stare al tavolino e che
voleva smettere il lavoro strutturato. Non è stato in grado di ripescare nella sua memoria
la frase “sono stanco”.
Abbastanza frequentemente rileviamo anche l’uso rigido del linguaggio. Per esempio abbiamo insegnato ad uno dei nostri ragazzi a dire “basta”per evitare che, quando è stanco
e non vuole più continuare il gioco, rovesci tutto quello che ha sul tavolo. Però il bambino
comprende e utilizza la parola “basta” solo in quel contesto.
Questi sono i deficit che si riscontrano maggiormente.
Torniamo un momento al primo che vi ho descritto: la mancanza dei sistemi gestuali di
supporto alla comunicazione. Voi capite che, se un bambino non è in grado di additare o
di indicare quello che vuole, ha dei seri problemi a comunicarci ciò che desidera. Allora ci
chiediamo: se il bambino non ha intenzionalità comunicativa, se non è in grado di indicarci
con il gesto che vuole una certa cosa che è lontana da lui e non riesce a prenderla come
facciamo a motivarlo ed a comunicare? Ci sono due strade: la funzione di richiesta e le routine di gioco.
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La funzione di richiesta non è altro che il chiedere qualcosa; se il bambino non lo sa fare,
glielo dobbiamo insegnare. Per quale motivo partiamo dalla funzione di richiesta? Perché
è la prima funzione che compare nel bambino. Voi vedrete bambini preverbali, anche molto
piccoli, che comunque vi fanno capire se vogliono qualcosa. È la prima funzione che soddisfa un bisogno, è quella che compare per prima nel bambino. È l’unica funzione che sono
in grado di elaborare alcuni dei nostri bambini e ragazzi, per cui dobbiamo per forza puntare su quella.
Vorrei allacciarmi brevemente a quello che ha detto la Dottoressa Ucelli due settimane fa.
Molte volte i comportamenti problema dei nostri bambini sono un tentativo di comunicarci
qualcosa. Noi avevamo un bambino che non avendo linguaggio verbale e non essendo in
grado di indicare, cominciava a battere il mento sul tavolo, sul lavandino o su qualsiasi ripiano duro mettendo a repentaglio la propria incolumità. Era un problema serio.
Quindi, tornando alla nostra funzione di richiesta: come facciamo a insegnarla concretamente, cosa facciamo a Spazio Autismo per insegnare al bambino a chiedere?
Di solito partiamo dal contesto della merenda perché funziona con l’80% dei bambini. Tutti
sono sensibili alle patatine e alla coca cola! Sono due oggetti magici! Due bambini su dieci
dei nostri hanno problemi di alimentazione e sono molto selettivi; è difficilissimo convincerli a collaborare nel momento della merenda, però anche con questi si riesce sempre a
trovare qualcosa che piace e si può tentare di lavorare su questo. Poi vi darò un’alternativa,
nel caso in cui il bambino rifiuti assolutamente il cibo.
Torniamo al contesto merenda: abbiamo di fronte il bambino e prepariamo le cose che gli
piacciono. Come faccio a insegnargli a chiedere le patatine se le vuole? Faccio in modo
che lui non le possa prendere direttamente, gli insegno a darmi il piatto e, ogni volta che
me lo porge, gli metto le patatine.
Capite che prima è un insegnamento di tipo comportamentale, molto meccanico, ma vi assicuro che con il tempo diventa autonomo. Lo stesso con il bicchiere per chiedere da bere.
A volte qualche genitore mi chiede che senso ha dare al figlio le patatine solo quando porge
il piatto, quando è in grado di aprire l’armadio in cui si trovano e prenderle autonomamente. Dal punto di vista dell’autonomia questo è verissimo, ma dovete pensare che il
bambino vive anche al di fuori dell’ambiente strettamente familiare e, quindi, se deve chiedere qualcosa da mangiare a scuola e non può prenderlo, deve poter trovare una modalità
sostituiva, che consenta agli altri di capire il suo bisogno.
Nel momento in cui il bambino mi porge il piatto e il bicchiere, mi comunica il suo bisogno. Questo è un punto di partenza, che poi va sviluppato al di fuori di quel contesto.
Come facciamo a stimolare nel bambino la funzione di richiesta? Facciamo in modo che
non abbia a portata di mano quello che vuole. Per esempio, abbiamo lavorato con una ragazza – adesso abbastanza grande – che ha la passione per i Cd musicali. Per far sì che ce
li chiedesse, li abbiamo messi in una scatola gialla, il suo colore preferito. Abbiamo attac190
cato il logo di alcuni di questi all’esterno e abbiamo posizionato la scatola molto in alto in
modo che non potesse prenderla. Si è abituata a chiederci la scatola. Quindi abbiamo generalizzato questa funzione per cui adesso, quando vuole qualcosa, è in grado di scegliere
la foto dei suoi passatempi, di mostrarla e di avere in cambio quello che chiede.
Lo stesso si può fare con un gioco. A Spazio Autismo abbiamo un trenino stupendo che
piace moltissimo ai nostri bambini. Come si può usare per stimolare il bambino? Tolgo le
pile al treno in modo che non possa funzionare; faccio in modo che il bambino mi dia il
gioco e mi faccia capire che non funziona, che c’è qualcosa che non va e che ha bisogno
di aiuto.
Lo stesso per i puzzle. Se tolgo un pezzo del puzzle, cosa fa il bambino? Solitamente quasi
tutti si voltano e ti guardano. Faccio in modo che abbia a portata di mano l’immagine di
questo puzzle; se me la dà, gli consegno il pezzo che manca.
Capite che è un lavoro che va a stimolare gradualmente la funzione di richiesta, partendo
dall’interesse del bambino.
Se non funziona nell’ambito della merenda, potete provare con il gioco. Anche per i casi
più disperati, dopo un’attenta osservazione, vi assicuro che si riesce a trovare una strada
per comunicare.
Nelle esperienze che ho accumulato in questi anni, soltanto con due ragazzi non siamo riusciti ad avere progressi perchè erano presenti anche patologie di tipo fisico, fisiologico e motorio. Mi ricordo che con Johnny Roncalli ho lavorato con una bambina ucraina, la cui
mamma si era trasferita appositamente in Italia per trovare adeguati interventi Con lei abbiamo fatto un lavoro intensissimo a Spazio Autismo per mesi e mesi. Il problema era che
questa bambina aveva anche delle difficoltà a livello motorio, non riusciva ad afferrare gli
oggetti, non aveva forza muscolare, aveva crisi epilettiche continue per cui ci siamo dovuti arrendere. Vi dicevo che, oltre alla funzione di richiesta, possiamo intervenire attraverso le routine.
Sono la modalità prediletta dai bambini. Quasi tutti le hanno, tant’è vero che a volte diventano stereotipate perché sono continue. Se proviamo a toglierle, il bambino si innervosisce, ma noi possiamo tentare di costruire una routine positiva che gli possa diventare
familiare.
Come si può fare? Le routine si sviluppano molto bene tra pari, ma c’è un passaggio precedente, indotto dall’adulto. Vediamo quali sono le caratteristiche. Dobbiamo metterle in
atto in un contesto significativo per il bambino. Per esempio vedrete nel video che vi proietterò tra poco il contesto della piscina: i bambini sono tutti all’interno della piscina e sono
molto motivati a giocare con l’acqua, ad andare sott’acqua, a fare le bolle con la bocca. Le
routine coinvolgono sempre due persone: il bambino e l’adulto o il bambino e il coetaneo, per cui hanno un carattere sociale. Ci consentono di affiancare il bambino, di entrare
progressivamente in collaborazione e di insegnarli i turni. In questo modo riusciamo a
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coinvolgerlo in un’interazione. Vediamo quali sono concretamente queste routine e che
cosa possiamo fare. Le più semplici sono quelle di tipo motorio. A Spazio Autismo Seriate,
la nostra operatrice Stefania lavora con i bambini a tappeto, li fa sdraiare, esercita una pressione sulla schiena o sulla pancia. Tanti bambini, soprattutto quelli più piccoli, sono molto
sensibili alla pressione: piace loro essere schiacciati dalle mani o dal cuscino. Se iniziamo
questo contatto corporeo e poi lo interrompiamo, vediamo, ad esempio, uno dei nostri
bambini fermarsi, guardare Stefania, prenderle la mano e metterla sulla sua schiena o sulla
sua pancia, riproducendo il movimento.
In questo modo riusciamo a entrare in contatto, a creare un ponte con il bambino. Certo
questo è un bambino a cui piace tantissimo il contatto corporeo. Se, quando è perso nella
sua stereotipia con le mani, l’operatrice che è in empatia con lui gli soffia sul collo o emette
qualche suono, egli interrompe la stereotipia, sorride e incomincia ad entrare in contatto
con lei. Riusciamo in qualche modo a farlo uscire dal suo isolamento, dal suo mondo.
Ci sono anche delle routine più complesse, non solo di tipo motorio. Per esempio con due
ragazze più grandi facciamo attività di routine come preparare la spremuta, spalmare la
marmellata sulle fette biscottate per fare merenda. Sono tutte cose che hanno concordato
tra loro le operatrici e che mettono in atto nel pomeriggio dedicato all’autonomia. Come
insegnare questa routine? Si mettono in ordine tutti gli oggetti e si segue una sequenza
molto rigida. Il passaggio successivo può essere usare un libretto con le istruzioni che consente di finire il lavoro in modo autonomo. Chiaramente si selezionano lavori semplici.
Con una di queste ragazze siamo arrivate anche a fare il budino sul fornello, attività più
complessa.
Un’altra modalità che aiuta tantissimo lo sviluppo delle routine è la musica. Non mi addentro molto in questo argomento che tratterà poi Gina Forlani, che ha collaborato con i
centri Spazio Autismo, dove ha messo in atto un intervento intensivo di musica ed è riuscita a tirar fuori dal guscio bambini che sembravano impermeabili. Si tratta di un intervento
individualizzato. Gina opera con il singolo bambino, lo prende in braccio, lavora al tappeto.
L’intervento è abbastanza lungo e vi assicuro che produce routine in cui i bambini emettono vocalizzi, in cui rispondono alle richieste, cioè mettono in atto la comunicazione.
Per impostare le routine e la funzione di richiesta facciamo sempre ricorso al gioco. Il gioco
è veramente fondamentale per lo sviluppo dell’abilità di comunicazione e delle abilità sociali. Vi mostro il video che abbiamo girato questa estate a Spazio Estate per i genitori, perché volevamo che loro sapessero come stanno bene i loro figli anche quando sono lontani
dalla protezione della famiglia, come possono essere sereni e contenti insieme ad altri bambini. Quindi il taglio di questo video è molto gioioso; vi vuole trasmettere il clima di empatia e di serenità che si è creato all’interno di questo gruppo di bambini e di operatori. Non
è un video didattico. Vedrete gli operatori sorridenti e questo vi potrebbe trarre in inganno
nel senso che non è tutto bello e tutto facile come vi sembrerà. Vedrete la parte migliore,
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ma credete che dietro c’è un lavoro serio e duro, durato tantissimi anni con la collaborazione dei genitori e degli operatori sociali.
L’INTERVENTO CHE SEGUE È INTEGRATO DA UN VIDEO
Cosa troviamo in questo video di quello che vi ho detto prima? Avete visto quante routine
di tipo motorio mettiamo in atto. È tutto strutturato per riuscire a entrare in comunicazione
con questi bambini. È importantissimo avere una buona formazione su questo tipo di intervento, perché anche se si è ben formati sull’autismo, non si possono avere competenze
su tutto. Per questo bisogna appoggiarsi a persone che abbiano competenze a livello psicomotorio piuttosto che a livello musicale.
Detto questo, vi parlerò di come facciamo a sviluppare la comunicazione sociale attraverso
il gioco. Vi presento i prerequisiti che il bambino deve possedere prima di iniziare l’intervento. Come facciamo a stimolare i prerequisiti se il bambino non li possiede? Come impostiamo l’intervento comunicativo attraverso il gioco? Vi cito due metodologie che sono
le più diffuse oltre il TEACCH e che sono specifiche sullo sviluppo del gioco: la ABA, importata dagli Stati Uniti, e il DIR Model (o modello del dottor Greenspan) basato sul recupero delle abilità sociali e della comunicazione sociale attraverso il gioco.
Il primo e più importante prerequisito è il contatto oculare con le persone. Il bambino deve
saper riconoscere almeno uno e due oggetti; deve riuscire a rimanere seduto sul tappeto
se non a tavolino per qualche minuto; deve decodificare istruzioni molto semplici come
“Dammi la palla”, quindi è indispensabile un minimo di comprensione del linguaggio; deve
essere in grado di imitare un gesto o un movimento, ad esempio battere le mani. Quando
vado a verificare queste cose, devo assolutamente rispettare i tempi del bambino e verificare che abbia comportamenti accettabili.
Cominciamo dal contatto oculare.
Prendo il bambino, lo metto vicino, prendo la sua mano e comincio a farmi fare delle carezze sul viso, mi faccio toccare il naso, la bocca. Poi io faccio la stessa cosa, gli sorrido e
cerco di entrare in contatto con lui, anche se ci sono bambini che non amano molto il contatto corporeo. In questo caso ci mettiamo sulla loro lunghezza d’onda. Nel video avete
visto una bambina che si arrampicava sulla spalliera. Quando abbiamo iniziato l’intervento,
ricordo che abbiamo passato delle ore in giardino a rincorrerla mentre percorreva tutto il
perimetro esterno del giardino. Abbiamo macinato chilometri e chilometri per non so
quanto tempo, prima di riuscire a metterci vicino a lei e a prenderle la mano. Abbiamo ridotto lo spazio, siamo andati dal giardino alla palestra e, adesso, è assolutamente in grado
di rimanere tranquilla. Possiamo interagire, accarezzarla, fare le insieme le bolle di sapone.
Dobbiamo capire quale è l’approccio giusto per ogni bambino.
Ci è anche capitato un bambino, che durante la prima visita a Spazio Famiglia ha smon193
tato tutto quello che è riuscito a trovare, con cui non è stato facile stabilire il contatto oculare perché era molto piccolo, molto irrequieto e non riusciva a stare fermo. Gradualmente
lo abbiamo abituato a stare fermo, a stare seduto nello stesso posto sul tappeto, abbiamo
strutturato attività in cui doveva fissare lo sguardo su quello che faceva. Abbiamo preso alcuni scatoloni del supermercato, abbiamo fatto dei buchi in cui passassero uova Kinder di
plastica abbastanza grosse. Gliene abbiamo posizionate un quantità consistente e a furia di
insegnargli a schiacciare e stare attento a quello che faceva, prima guidandolo e poi via via
più autonomamente, siamo arrivati ad avere lo sguardo, a fargli fissare lo guardo su qualcosa non sempre con lo sguardo perso, e anche lì sono stati molti mesi di lavoro. Adesso
il bambino è inserito nella scuola potenziata dove stanno facendo un lavoro in questa direzione. Si è manifestato un progresso consistente in questi anni.
Un'altra modalità per stimolare alcuni bambini sono i giochi luminosi o gli oggetti sonori
con i quali si riesce a focalizzare l’attenzione per un momento. Poi si alza il tiro e si lavora
sull’appaiamento e sulla discriminazione degli oggetti.
Riprendendo quanto vi dicevo prima, i bambini imparano a fare per imitazione del compagno o dell’adulto. Sappiamo che i nostri bambini non ci osservano, non imitano. Difficilmente posseggono questa capacità di imitazione. Oltre a questo non hanno la motivazione
interna per fare qualcosa.
Cosa dobbiamo fare per stimolare questa motivazione? Dobbiamo trovare una strategia.
Spesso ricorriamo a un rinforzo esterno come battergli le mani e l’elogio sociale.
Dalla mancanza di imitazione e dalla mancanza di motivazione parte la metodologia ABA.
È una modalità di tipo comportamentale di cui abbiamo documentazione dal 1985. Nel
corso degli anni questa metodologia, molto diffusa negli Stati Uniti, è stata modificata e aggiornata. Parte da alcuni presupposti che sono comuni al metodo TEACCH. Bisogna abituare il bambino al gioco sociale in un ambiente strutturato. Poi vi parlerò dell’altra
modalità, il DIR Model, che invece è contraria ai metodi TEACCH e ABA. Cercheremo così
di avere una visione globale perché nessuno ha in mano la soluzione di tutti i problemi. Poi
vi accennerò alla metodologia AERC del professor Zappella. Ve la accenno perché è una
delle più recenti e sarà discussa la prossima settimana al convegno di Siena, cui andrò con
le mie operatrici, dove spero di acquisire qualcosa di concretamente spendibile. Ritorniamo
alla metodologia ABA.
L’ABA, che ha questo grosso centro a Fano e che prende in carico i bambini provenienti
da ogni città, stabilisce un programma di lavoro con i genitori ed effettua una verifica periodica su come funziona il metodo.
Si parte dal gioco. Prima di iniziare la sessione di gioco si struttura un ambiente privo di
distrazioni, esattamente come si fa all’inizio con il TEACCH; poi si scompongono le abilità
di gioco. Chi di voi ha fatto gli stage di ottobre e dicembre o quelli precedenti, sa benissimo
che il metodo TEACCH lo chiama “Task analysis” del compito, che riguarda la suddivisione
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di un compito o di un gioco in tante piccole parti per insegnarlo al bambino e per facilitarlo.
L’ABA insiste molto sull’uso del rinforzo.
Vi faccio un esempio molto banale. Se al bambino piacciono i puzzle posso iniziare con
quelli, tolgo un pezzo e faccio in modo di passargli il pezzo cosi che completi il gioco.
Prima tolgo un pezzo, poi due, tre sino a lasciargli solo la cornice.
Qual è l’obiettivo sostanziale di questa metodologia? Insegnare le abilità di gioco in modo
codificato. Lo scopo non è solo di portare il bambino a restare seduto al tavolino, ma di farlo
in contesti più naturali, meno strutturati e artificiali. La proposta è di sviluppare la comunicazione o la produzione verbale per arrivare al gioco simbolico. Questo è l’obiettivo che loro
si propongono: partire dall’imitazione di un gioco attraverso un oggetto, per esempio con la
palla, strutturare giochi e percorsi motori finché il bambino è in grado di rifare da solo questo percorso, quindi di imitare quello che ha visto. Voi sapete che alla base di qualsiasi sviluppo del linguaggio c’è l’imitazione. Questa è la modalità messa in atto dal metodo ABA.
Poi abbiamo il modello DIR del dottor Greenspan che è un modello di sviluppo della comunicazione.
Ho seguito un corso all’Università dell’Insubria di Varese; questo è un modello molto utilizzato negli Stati Uniti. Ci hanno mostrato dei documenti interessanti: bambini visti prima
dell’intervento e sei mesi dopo, che avevano avuto un’evoluzione incredibile, per cui mi
ha dato molto da pensare.
Questo modello parte dall’aspetto sociale della comunicazione attraverso il gioco. L’elemento di partenza importantissimo è la relazione tra educatore e bambino. Poi vengono
codificate delle sessioni di intervento. C’è un primo intervento del terapeuta sul bambino,
cui segue il lavoro con i genitori ai quali il terapeuta insegna come giocare con il bambino.
Sono sedute strutturate. Fatto questo si cominciano a formare educatori, operatori, insegnanti e si costruisce un programma condiviso da tutti. C’è anche una supervisione continua. Capite che partendo con un’équipe ben strutturata è già stato fatto un primo passo.
Prima di iniziare l’intervento viene definito il profilo individuale molto dettagliato del bambino. Hanno elaborato un protocollo che consente di analizzare il funzionamento sensoriale del bambino e di definire un profilo di partenza. Si tratta di un intervento di tipo
scientifico. Sarebbe bello portarlo da noi in Italia, il problema è che non esistono strutture
in grado di farsi carico di costi così elevati.
Un’altra modalità che viene messa in atto è quella del professor Zappella, che lavora sul contatto corporeo con il bambino. Dobbiamo prestare attenzione al discorso dell’interazione
affettiva: lo stesso terapeuta che di solito è una persona neutra si mette in gioco nella relazione con il bambino e dà ai genitori le indicazioni su come lavorare a casa.
Vedete che è un lavoro di collegamento: non è possibile lavorare solo a Spazio Autismo,
solo a scuola o a casa. È importante trovare un filo conduttore che ci leghi in questo senso.
A questo proposito vi volevo anche dire che il metodo DIR non approva il metodo
195
TEACCH perché sostiene che far lavorare un bambino a tavolino con delle cose strutturate
è una situazione artificiale, priva di significato e perdente in partenza. Allora sono intervenuta dicendo che è vero che si lavora molto a tavolino, che si struttura il gioco, ma è
anche vero che voi nel video avete visto un bambino che scrive sul quaderno. Quando abbiamo preso in carico questo bambino frequentava la scuola materna, quindi circa cinque
anni fa, non aveva nessun contatto oculare, autolesionismi molto pesanti, per cui si faceva
male. Quando abbiamo iniziato l’intervento l’abbiamo fatto stare tanto a tavolino, ma è
quello che sta dietro che è importante. Lo abbiamo abituato a selezionare due oggetti, poi
tre, quindi le forme, cercando di sviluppare l’aspetto cognitivo e l’aspetto dell’autonomia.
Per fare questo devo avere un progetto alla base.
Per questi motivi la collaborazione della famiglia è importantissima. Ho visto genitori che
hanno stravolto la casa, hanno spostato i mobili, hanno cambiato tutto. Hanno trasformato
la loro vita. Ho una stima enorme verso questi genitori.
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Riportiamo di seguito le slides proiettate da Liliana Pensa durante gli incontri
LA COMUNICAZIONE (prima parte)
Accenno agli STADI di sviluppo del linguaggio
COME si sviluppa il linguaggio nei bambini.
Il primo stadio di apprendimento del linguaggio, va da 0 a 8-9 mesi ed è quello in cui il
bambino acquisisce i primi significati verbali e le immagini mentali.
Il secondo stadio è quello in cui il bambino inizia a comprendere il LINGUAGGIO
PARLATO e sembra che sia questa la fase in cui avviene il danno.
Il terzo stadio è quello in cui il bambino inizia a sviluppare il linguaggio espressivo e
quindi a parlare. Il bambino con autismo non arriva a questo stadio. Come conseguenza:
sono parzialmente compromesse o assenti LE ABILITÀ DI CONVERSAZIONE e quindi i
presupposti alla comunicazione sociale.
Compromissioni - deficit dell’alunno/a con autismo
COSA osserviamo noi insegnanti quando abbiamo di fronte il nostro bambino. Quali
caratteristiche possiamo riscontrare:
➢
➢
➢
➢
➢
➢
➢
innanzitutto un ritardo generale nello sviluppo del linguaggio
mancanza totale di linguaggio = mutismo
mutismo legato alla non collaborazione nell’atto comunicativo
ecolalia
linguaggio perseverativo ma non comunicativo, non serve a comunicare un bisogno
uso di frasi lunghe memorizzate
uso rigido del linguaggio, una parola appresa in un contesto ha sempre e solo un
significato, non si può generalizzare.
➢ mancanza di sistemi gestuali di supporto alla comunicazione come indicare-additare
che facilitano la comprensione.
Se il nostro bambino non comprende la gestualità che per noi è qualcosa di automatico, se
usa gesti o parole senza intenzionalità comunicativa, COME motivarlo a comunicare?
Attraverso: la funzione di richiesta e le routines di gioco.
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La FUNZIONE DI RICHIESTA è la migliore per insegnare a comunicare, perché è la funzione che compare per prima ed è la più facile da dimostrare.
Dobbiamo insegnare a chiedere al nostro bambino, non come un’abitudine meccanica ma
per chiedere quando ne ha bisogno.
I comportamenti problema, il più delle volte, sono tentativi di comunicarci qualcosa
(quando S. batte la testa contro i compagni di classe, ci fa capire che la confusione gli dà
fastidio ed ha bisogno di uscire dall’aula).
Ricordandoci di insegnargli una funzione alla volta. Per far apprendere la funzione di richiesta, il nostro bambino NON deve avere modo di ottenere ciò che vuole se non attraverso di noi e quindi lo dobbiamo mettere in condizione di CHIEDERE (aiuto) per
OTTENERE. Esempio:
Gli diamo un gioco che gli piace e che non sa fare funzionare da solo perché (manca la pila);
togliamo un pezzo per completare un puzzle e gli diamo l’immagine del pezzo mancante…
LE ROUTINES
Sono la modalità che i ragazzi con autismo prediligono. A loro piace la prevedibilità e le
routine sono fisse. Noi iniziamo una routine positiva, gliela rendiamo familiare. La ripetiamo
più volte, poi la interrompiamo e il bambino deve avere lo strumento per chiedere di continuare la routine.
CARATTERISTICHE delle routines:
➢ vanno messe in atto in un contesto significativo per il bambino
➢ coinvolgono due persone, quindi hanno carattere sociale
➢ stimolano il livello di comprensione del bambino, iniziando dallo svolgimento
di un’azione in parallelo, poi in collaborazione, poi con il turno …
TIPI di routines:
➢
➢
➢
➢
198
r. semplici di tipo motorio
r. più complesse come ad es. preparare la spremuta
r. della piscina, contesto motivante dell’acqua
r. del gioco con gli animali …
LA COMUNICAZIONE SOCIALE (seconda parte)
Abbiamo visto che le routines si basano essenzialmente su proposte di gioco, quindi è
fondamentale il loro ruolo sia per entrare in contatto con il bambino che per iniziare una
interazione sociale.
COME possiamo insegnare il gioco?
Attraverso un insegnamento diretto e sistematico e quindi strutturato.
Prima però dobbiamo verificare se il bambino possiede i prerequisiti per iniziare questo
apprendimento:
➢
➢
➢
➢
➢
➢
il contatto oculare
saper riconoscere un oggetto
rimanere seduto tranquillo
decodificare comandi e istruzioni semplici; seguire semplici istruzioni
imitare un gesto o un movimento
non avere comportamenti “non accettabili”.
SE il bambino NON possiede questi prerequisiti, COME possiamo intervenire per stimolarne lo sviluppo?
➢
➢
➢
➢
per attivare il contatto oculare: prendo vicino il bambino…
utilizzo un oggetto che piace al bambino…
lavoro sull’appaiamento – discriminazione di due oggetti
lavoro (con l’aiuto fisico) con l’oggetto …
Oltre alla mancanza dei prerequisiti, vi sono altri limiti per l’apprendimento del gioco nei
nostri bambini che:
➢ NON osservano le persone intorno e perciò non imitano …
➢ NON hanno una motivazione intrinseca a compiere le azioni …
Esistono numerose METODOLOGIE di intervento che codificano le sessioni di GIOCO.
Ve ne citerò alcune delle più diffuse attualmente.
METODOLOGIA ABA
Si tratta di un intervento intensivo di tipo comportamentale di cui esiste documentazione
dal 1985 circa. In Italia viene applicata al Centro ABA di FANO (Ancona).
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L’ABA parte dal presupposto che è poi comune al TEACCH
➢ di iniziare la sessione di gioco, se così si può chiamare, in un ambiente privo di
distrazioni,
➢ di scomporre le abilità di gioco che voglio insegnare al bambino in piccole parti
(quello che il TEACCH chiama Task analysis del compito),
➢ di aiutare il bambino e dargli un rinforzo.
Anche il Modello D.I.R. del dottor Greespan (Floor Theraphy)
➢ parte dall’aspetto sociale della comunicazione ed individua il gioco come elemento
di partenza per sviluppare la relazione tra educatore e bambino,
➢ prevede e codifica sessioni di intervento per l’apprendimento del gioco
Anche il Modello DENVER della dottoressa Sally Rogers
➢ parte dall’approccio al gioco che viene messo in atto con bambini in età molto
precoce,
➢ prevede sessioni strutturate da 20 a 40 ore settimanali col bambino.
Per i bambini con Asperger, il modello del dottor Greespan può anche integrarsi con altri
approcci come l’AERC (Zappella 1996) Attivazione con Reciprocità Corporea.
L’AERC:
➢ prevede che il terapeuta renda attive delle strategie di avvicinamento al bambino,
basate su modalità amichevoli, affettuose, esplorative,
➢ utilizza il terapeuta come modello col genitore che porterà avanti un programma
giornaliero intensivo.
Entriamo ora nel dettaglio degli apprendimenti del gioco sociale.
Diamo per assodato che il bambino possegga i prerequisiti di base.
COME organizziamo il GIOCO SOCIALE con i pari?
➢ sarebbe opportuno iniziare con il compagno/a preferito dal bambino,
➢ se il livello non è verbale e con problemi cognitivi, il compagno si siede di fronte a
lui e cerca di inserirsi nel gioco del nostro bambino seguendo le nostre istruzioni,
➢ il compagno deve verificare se c’è il contatto oculare e aiutare il bambino ad ottenerlo,
➢ il compagno gratifica il bambino ogni volta che fa l’azione di gioco, se possibile gli
fa una carezza o un gesto,
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➢ il compagno lo aiuta fisicamente nell’azione se necessario,
➢ se il bambino ha comportamenti socialmente negativi, il bambino non deve parlare, lo deve ignorare, sarà l’adulto ad intervenire,
➢ se si usano giochi di ruolo con turno occorre fare prima delle simulazioni con il compagno.
Utilizzo il RINFORZO con modalità precise… cambio il tipo di rinforzo…
Mentre avviene questa interazione, il nostro bambino IMPARA a:
➢
➢
➢
➢
➢
➢
➢
➢
➢
imitare l’azione del compagno
imitare il linguaggio verbale del compagno (anche con vocalizzi…)
imitare un’azione dietro istruzione del compagno
chiedere un gioco
dare il gioco richiesto
iniziare il gioco
rispettare il turno nel gioco
fare quello che gli chiede il compagno
avere il senso del tempo con timer (o altro)
RIFLESSIONI
Le metodologie di intervento che ho citato si differenziano sostanzialmente nell’approccio al gioco: alcune sostengono che occorre agire in un contesto naturale, partendo dal
gioco spontaneo del bambino (M. Denver) per poi svilupparlo in modo sistematico e adeguato; altre codificano rigorosamente le sessioni di gioco (M. ABA).
Tutte condividono il presupposto che deve essere ben chiaro prima di ogni intervento:
CHIUNQUE interviene sul bambino deve CONOSCERE molto bene i suoi prerequisiti;
deve DEFINIRE CON PRECISIONE gli obiettivi che vuole raggiungere;
deve POSSEDERE UNA BUONA PREPARAZIONE nel campo;
deve LAVORARE in rete coi genitori, i terapeuti, gli operatori sociali …
deve CONDIVIDERE il più possibile le modalità di intervento pena il mancato miglioramento del bambino.
201
Come implementare la comunicazione:
riflessioni teoriche e spunti pratici - Seconda parte
Gina Forlani *
Vorrei ritornare un attimo rispetto al programma TEACCH, che vede sì il lavoro al tavolino, ma dietro il quale c’è un pensiero rispetto a quello che si va a fare con questi bambini. Mi viene proprio in mente una ragazzina che stiamo seguendo da poco per la
comunicazione aumentativa e alternativa.
È una ragazzina sulla sedia a rotelle, che ha frequentemente brevi crisi di assenza. Quando
l’ho conosciuta non muoveva le braccia e a malapena la testa. Abbiamo iniziato il lavoro
due-tre anni fa, in collaborazione con i terapisti della Neuropsichiatria Infantile. Se non le
davo l’opportunità di fare movimenti a tavolino attraverso scatole di lavoro, non avrebbe
avuto l’opportunità di entrare in relazione con gli altri.
Abbiamo iniziato, pertanto, una attività di scelta tra tre opportunità da guardare e da scegliere fissando lo sguardo sull’oggetto desiderato. Con tanta costanza e pazienza, i tempi
di risposta, che sono molto lunghi all’inizio, si possono velocizzare quando la bambina
comprende che il suo sguardo determina un cambiamento intorno a lei, quando comprende di poter relazionare e comunicare. Non a caso la carta dei diritti alla comunicazione
inizia così: “Ogni persona, indipendentemente dal grado di disabilità, ha il diritto fondamentale di influenzare, mediante la comunicazione, le condizioni della sua vita”. Seguono
altri dodici diritti.
Questa ragazzina è stata una sfida per noi, per la famiglia, per il gruppo dei terapisti. Siamo
contenti di aver creduto nel programma TEACCH, di aver dato credito a tutte quelle attività di routine e di gioco che abbiamo messo in atto durante i periodi del Sollievo Estate.
A questo proposito, voglio ringraziare la Provincia che ci ha dato l’opportunità di stare con
questi ragazzi, di conoscerli e di stare bene con loro. Non sono frasi fatte, bisogna stare con
loro per capire quanto ci danno.
* Responsabile Scientifico Spazio Autismo Romano di Lombardia – Docente dell’Istituto Comprensivo “E. De Amicis”
di Bergamo
203
Alla fine di ogni giornata ci chiediamo: “Ci siamo divertiti noi o abbiamo insegnato qualcosa a loro”? Credo, senza ombra di dubbio, che la costanza, la pazienza, la determinazione
e la professionalità siano essenziali nel nostro lavoro.
Per impostare un lavoro di comunicazione aumentativa alternativa è fondamentale la collaborazione tra famiglia, scuola, Spazio Autismo, Cre, oratorio, ovunque vada il nostro
bambino.
Devo innanzitutto sempre valutare la situazione di partenza anche quando sembra che i
nostri bambini non comunichino niente. L’ultimo bambino, che ho visto, ha compiuto questo mese sei anni; sembra assente, eppure la mamma mi dice di capirlo.
Com’è possibile se l’ho visto solo girovagare per il corridoio? La mamma aggiunge che per
chiedere fa un verso, quindi decidiamo di differenziare questi versi ascoltandoli e contestualizzandoli.
La comunicazione deve essere spontanea; anche il pianto è comunicazione.
Bisogna sempre considerare in quale contesto ci troviamo. La comunicazione può essere
verbale, gestuale, motoria, iconica, simbolica. Ognuno di noi comunica con queste modalità. Può essere che il bambino con autismo comunichi utilizzandone solo una. Dobbiamo
analizzare se si tratta effettivamente di comunicazione. Parla perché utilizza il linguaggio?
È un parlare a se stesso? È un ricordare quello che gli piace guardare in tv? Quando parla
per comunicare?
Per iniziare un percorso di comunicazione devo: progettare, monitorare i progressi, sapere
come insegnare e valutare sulla base di ciò che sono riuscita a vedere oggettivamente a livello comunicativo a scuola, a casa, nel contesto sociale che frequenta il bambino.
La prima cosa che faccio è un’intervista ai genitori. Di solito una delle risposte che risulta
generica è “La musica gli piace”, ma quando vado ad analizzare più in concreto, mi accorgo
che la musica per lui è solo ascolto. Chiedo quindi informazioni più precise rispetto a quello
su cui andrò a lavorare e inizio ad osservare il bambino. Gli insegnanti hanno delle grandissime opportunità perché a scuola hanno svariati contesti per osservare la comunicazione
spontanea e intenzionale. Osservo tutti i comportamenti comunicativi e li registro.
Non tutti i bambini sono uguali: ognuno segue un proprio percorso. Non pensate che i
bambini più “facili” non abbiano bisogno di un progetto, perché la comunicazione, soprattutto quella di tipo sociale, va sempre ampliata. Non ci si limita alla semplice comunicazione, si passa a tabelle tematiche, alle situazioni sociali al di fuori del contesto scolastico.
Il bambino può anche andare al bar a comprare un gelato, può prendere l’aereo con i genitori o con i compagni di scuola. Perché non insegnargli la comunicazione di tipo sociale
(salutare, porgere la mano, chiedere informazioni)?
Da parte mia, creo situazioni che suscitino manifestazioni spontanee e di comunicazione.
Chiedo ai genitori come il bambino comunica, quando e dove. Ho anche bisogno di sapere
qual è la prima meta che vogliono fare raggiungere a loro figlio. Secondo il programma
204
TEACCH la comunicazione ha diverse dimensioni e specifiche funzioni. Non è detto che
il ragazzino con autismo non abbia queste funzioni, magari le possiede ma in un modo
non socialmente accettabile, (ad esempio, il bambino attira l’attenzione strattonandoti o
dando uno schiaffo al compagno). È vero che attira l’attenzione, ma io devo riuscire a cambiarne la modalità. Il bambino possiede questa funzione: sa che può attirare l’attenzione e
questo è già un passo avanti. Indica per chiedere la merenda e questa è una modalità di comunicazione: indicare, chiedere qualcosa. Noi lavoreremo su queste affinché diventino
universalmente leggibili.
Voglio fare un altro esempio: tutte le mamme riconoscono quando i loro figli non stanno
bene. La difficoltà nasce se essi non riescono a comunicare dove sentono male e cosa succede dentro di loro. Anche per questo può essere utile la comunicazione aumentativa.
Le emozioni sono un altro aspetto particolare. Siamo stati con ragazzini con autismo per
diverso tempo, quindi abbiamo imparato a riconoscere in loro le espressioni mimiche che
manifestano vere emozioni da quelle che non hanno niente a che fare con l’esprimere ciò
che provano a livello emotivo. Se ho imparato a differenziare queste emozioni, gliele insegno. Ecco perché è importante creare delle situazioni, dei contesti di vissuto dove dare
l’opportunità a questi bambini di apprendere a comunicare.
Una cosa che succede spesso è che i nostri bambini nominano gli oggetti senza poi utilizzarne il nome per uno scopo. Nominare non è sufficiente per comunicare.
L’ecolalia è comunicativa o non è comunicativa? Sono domande che ci poniamo per poter
lavorare.
Altra forma di comunicazione è quella iconica attraverso le foto, le immagini. In questi
casi si parla di comunicazione aumentativa. Ci sono poi le forme simboliche, le parole
scritte, il linguaggio dei segni ed il linguaggio verbale.
Il programma TEACCH suggerisce di tenere in considerazione, in fase di progettazione, i
significati, i contenuti, le parole, i gesti. Come diceva prima la dottoressa Pensa, se un bambino impara qualcosa in una situazione, non è detto che poi la generalizzi facilmente. Mi
ricordo un aneddoto che ci ha raccontato una collaboratrice di Theo Peeters che aveva accompagnato un bambino ad una visita medica, dopo avergli promesso che al termine gli
avrebbe comperato una coca cola.
Arrivata al distributore automatico si accorge che non funziona; riprova ad inserire il denaro, comincia a battere la parete con i pugni, dice una parolaccia e, all’improvviso, esce
la lattina.
Qualche giorno dopo, a scuola il bambino ripete quella parolaccia. Solo dopo la spiegazione della mamma, gli insegnanti comprendono che quella espressione inappropriata sta
ad indicare la coca cola. Questo episodio, che può farci sorridere, dimostra che il bambino
è stato in grado di generalizzare l’esperienza. Il problema è stato poi degli adulti che hanno
dovuto aiutarlo a trovare un'altra forma per chiedere quella bibita.
205
Questo esempio ci fa comprendere come i nostri ragazzi siano particolari ed unici, aspetto
che tiene noi operatori sempre in allenamento e ci rende più creativi.
I bambini con autismo utilizzano spesso una forma di precomunicazione assolutamente
personale, privata e non generalizzabile; ecco perché è necessario insegnare loro una comunicazione universale, che sia comprensibile per tutti.
Anche noi educatori prendiamo parte al gioco di precomunicazione all’inizio dell’intervento.
Lo scorso anno ho seguito un ragazzino a scuola, che ripeteva spesso, senza comprenderne
il significato: “Con la macchina vado a fare un giretto”.
Ho dovuto fargli capire il senso dei termini che usava, mostrandogli prima le auto, poi facendogliele riconoscere attraverso le foto sui giornali, quindi ho lavorato sul senso di “fare
un giretto” perché capisse a quale azione si riferisse.
Adesso questo ragazzo, a distanza di un anno, usa una tabella di comunicazione che gli
permette di dire, per esempio: “Gina, compagni, piscina pullman”, esprimendo il suo desiderio di andare con Gina e i compagni in piscina con il pullman.
Mi occupo di un altro bambino della scuola materna che già utilizza la tabella. Io avevo
proposto la somministrazione del PEP, che tra le prove ne prevede una con le bolle di sapone, la sua passione. Sulla sua tabella naturalmente ci sono le bolle. Egli è talmente abile
ad utilizzarla che le insegnanti ed i genitori hanno già aggiunto anche gli aggettivi.
Ritornando al test, io metto da parte le mie bolle e passo ad un item successivo.
A quel punto il bambino prende la tabella ed indica “bolle”. Io gli dico: “Aspetta, dopo!
prima finiamo…”. Allora, non contento, riprende la tabella ed indica “bolle tante e grandi”.
Anche una bolla di sapone può favorire l’inizio della comunicazione.
Passiamo al caso di una ragazza di 14 anni che ha iniziato la comunicazione aumentativa
in prima elementare. Ora frequenta un’altra scuola dove io vado qualche volta a incontrarla. Nella sua tabella la mia foto è stata tolta perché la tabella è stata rinnovata con
nuovi insegnanti. Quando torna a casa, la mamma capisce che mi ha vista perché indica
“Pippo – un burattino che io utilizzo di solito – Teatro sì, sì, sì…” e rimette la mia foto alla
sua tabella: “Gina, Pippo Teatro”, utilizzando correttamente la comunicazione.
All’inizio, sono state enormi le difficoltà che ho incontrato e qualche volta sono stata in procinto di rinunciare al progetto, ma dopo otto anni questa ragazzina ha incominciato a comunicare.
Questa ed altre esperienze mi hanno insegnato che ci vuole costanza e pazienza.
Capisco che a casa è abbastanza difficile lavorare sulla comunicazione, soprattutto quando
un bambino è autonomo e prende da solo ciò che vuole, per esempio la merenda. Noi non
gli togliamo questa capacità. Il bambino, che prende la merenda quando ha fame, ha raggiunto un buono livello di autonomia, ma cosa succede quando è in un contesto nuovo,
dove non sa dove sono le merendine e non è in grado di chiederle?
206
La comunicazione serve per riconoscere il significato intrinseco delle immagini e utilizzarle nei diversi contesti.
Quando ho individuato le abilità che il bambino possiede, fisso gli obiettivi. La mia comunicazione deve essere funzionale, cioè deve trasmettere qualcosa che sia motivante da casa
a scuola e da scuola a casa. Lascio sul quaderno un segno di quello che abbiamo fatto e creo
qualcosa di diverso dalla tabella: il “quaderno delle tracce” su cui indico che ho fatto questo con il pongo, le tempere, altro materiale.
Quando il bambino torna a casa, deve mostrare ai genitori il quaderno. Essi prendono la
tabella e gli chiedono cosa ha fatto. Questo significa parlare con il proprio bambino.
È vero che sono io, quando il bambino non utilizza le parole, che le dico al suo posto, ma
sono solo un mezzo, mentre il bambino è lo strumento che agisce.
La situazione è comunque corretta perché in quel momento sono consapevole di quello che
desidera e di ciò che ha fatto.
Costruisco contesti strutturati per dare maggiore flessibilità all’apprendimento.
Come dicevo prima, la parola “basta” si utilizza non solo quando termina il gioco, ma
anche a tavola e in tanti altri contesti. Se il bambino comincia a generalizzare la situazione,
inizia anche a possederne il concetto. Non basta un training per impararlo; i tempi sono
lunghi. Devo individuare contesti reali per l’apprendimento. Quando succede qualcosa ne
approfitto per insegnargli a comunicarlo: se un compagno si è fatto male perché è caduto
e si è sbucciato un ginocchio, prendo la tabella in cui è raffigurato il corpo umano e gli mostro ciò che è successo. È in questo modo che insegno a trasferire le informazioni ad altri
che non erano presenti.
È importante monitorare i progressi e valutare le abilità che il bambino possiede.
Quando inizio un intervento di comunicazione alternativa, lo sottolineo ancora, non vado
a togliere le modalità che già possiede. I gesti potenziano la comunicazione, la sottolineano.
Quindi per progettare valuto le abilità che il bambino possiede.
Se un bambino già comunica con le sue modalità, si tratta di renderle comprensibili a tutti.
Se voglio che questa comunicazione non si limiti agli oggetti, ai gesti o al movimento, devo
vedere se il bambino comprende i disegni rappresentati, se li associa e, quindi, faccio un
training al tavolino di associazione: oggetto/foto, situazione/foto, ambiente/foto. Lo stesso
per i contesti, per riconoscere le figure nelle diverse dimensioni. Anche questo è importante: parto da grandi cartoncini con l’immagine e progressivamente riduco le dimensioni.
Anche figurine piccolissime sono riconosciute dal bambino in quanto il percorso è stato graduale. Come definisco i miei obiettivi?
Gli obiettivi, come dicevo prima, devono essere realistici. Mi domando se ciò che progetto
lo posso fare con un bambino di questa età che vive in questa situazione? Sarà utile? È tra
le priorità richieste dai genitori? Poi scelgo gli obiettivi che devono essere fondati sulle sue
abilità. Non devo dare mai una frustrazione in un training di apprendimento: il più piccolo
207
gesto intenzionale di comunicare deve essere rinforzato. Non sia mai che un bambino viene
con il bicchiere per chiedermi da bere ed io non gli do l’acqua. Non deve mai succedere.
Se mi porge il bicchiere, il piatto o mi dà la tesserina della caramella, è una comunicazione
e deve avere immediatamente la risposta. Devo sfruttare il momento: al minimo accenno
di comunicazione devo rispondere, altrimenti ho già perso di vista lo scopo.
Il “passaporto”, per esempio, è il libro che permette ai ragazzi, che non riescono a parlare
o a gesticolare, di presentarsi. Ci sono le foto, i loro dati, le immagini di ciò che piace e di
quello che assolutamente non piace loro. Si scelgono le foto o i disegni in modo tale che
chi vede questo libro cominci a conoscere il ragazzo o il bambino. Questo vuol dire dare
informazioni.
Voglio portare un altro esempio. Quando chiedo ad un bambino: “Come ti chiami?” il
bambino mi risponde porgendo la tabella dove nella prima pagina c’è scritto: “Io sono
Roby, comunico con questa tabella, segui il mio dito e mi capirai” .
Se aggiungo “Raccontami qualcosa ...” … Roby indica sui disegni della tabella “mamma,
casa, andare” che significa “voglio andare a casa dalla mamma”. Allora io gli dico:
“Guarda, alle quattro e mezza, quando vedi la lancetta dell’orologio che arriva qui, andiamo a casa”.
Spesso i bambini utilizzano delle ecolalie verbali e/o gestuali. È vero che ci sono momenti in cui tutti i nostri alunni a scuola desiderano andare dal papà, dalla mamma, a
casa, perché sono stanchi. Se vedo che il bambino è stanco e mi dice le parole mamma,
papà o casa non si tratta di un’ecolalia ma è un dire basta. Allora sta a me cambiare il
contesto e l’attività. Se manca ancora del tempo prima del termine della lezione, cercherò
di renderlo piacevole. Tutti coloro che hanno a che fare con i nostri bambini devono essere coinvolti.
Un discorso a parte va dedicato ai fratelli che vivono direttamente la situazione complessa
dell’autismo. Cerchiamo di coinvolgerli senza appesantire le situazioni. È vero che ci dedichiamo maggiormente a chi ha bisogno, ma non scordiamoci che, in alcuni momenti,
sono loro ad averne più bisogno. Forse vorrebbero essere coinvolti in maniera attiva ma non
troppo oppressiva. È difficile, ma si può provare. Dobbiamo cercare di modificare alcuni
comportamenti, possiamo consultarci, parlarne. Il confronto è la miglior cosa. L’insegnamento delle nuove forme di comunicazione deve essere graduale. Si inizia con gli oggetti
e si arriva alle persone assenti, agli eventi passati e futuri. Il percorso è lungo. Pensiamo che
il bambino raggiunge solo a diciotto mesi la permanenza dell’oggetto. Gradualmente si introducono nuovi disegni comunicativi sulla tabella. Inizio con poche cose per non creare
confusione e coinvolgo i compagni che si rivelano entusiasti quando vedono il compagno
ottenere dei risultati. È un gioco che trasforma il compagno e lo aiuta a parlare. Si favorisce l’iniziativa comunicativa attraverso ricche modalità interattive. Ricche vuol dire “tante”,
ma non confusionarie.
208
L’intervento deve coinvolgere tutti. La modalità di comunicazione aumentativa alternativa
è indicare su una tabella. Ci sono anche dei comunicatori a voce, con voce in uscita con
otto, sedici, trentasei caselline dove, a seconda dell’immagine che inserisco, registro il bisogno, la canzoncina o una chiamata.
Per i ragazzini che hanno un livello cognitivo più elevato e che hanno imparato a leggere
e a scrivere, ma che non hanno l’opportunità di esprimersi con un linguaggio orale, ci sono
dei piccoli computer con le lettere dell’alfabeto. Loro compongono le parole e costruiscono
la frase strutturata.
Vediamo secondo il TEACCH come si deve operare rispetto all’imparare a chiedere.
L’obiettivo è che il bambino impari a chiedere un oggetto utilizzandone la foto in contesti diversi. Consideriamo il contesto classe. Devo eliminare il comportamento di tipo
asociale e lavorare sulla forma di richiesta. Ad esempio utilizzo la foto di un pezzo del
puzzle per chiedere. Il passo precedente è stato utilizzare un pezzo del puzzle incollato
su cartoncino, non quello che mi serve, ma consente al bambino di dirmi che manca un
pezzo. Poi si passa alla foto. La foto è bidimensionale, il pezzo del puzzle tridimensionale, anche se non può essere utilizzato. Capite il passaggio? Prendo l’oggetto, lo utilizzo
e lo metto via. Incollato sul cartoncino, l’oggetto non perde le sue qualità, ma non posso
usarlo. Con la foto ho un passaggio più simbolico. Mi metto d’accordo con la terapista e
la psicomotricista, che a loro volta utilizzano le foto. In questo modo gli diamo l’opportunità di chiedere le cose in una forma diversa, collaborando.
Da poco abbiamo iniziato a lavorare con un bambino fuori provincia. Abbiamo preparato
tanti oggetti e li abbiamo incollati sui cartoncini. Ho poi proceduto con attività in scatola,
al tavolo di lavoro, per il riconoscimento e l’associazione di oggetti reali alla foto. Le scatole di lavoro impegnano il bambino in attività finalizzate alla comunicazione.
Quando succede qualcosa di nuovo, approfitto per insegnare al bambino a comunicare agli
altri, poi costruisco contesti diversi. Questo perché do l’opportunità di utilizzare la comunicazione in modo più generale. Facilito il comportamento, perché un bambino con autismo, che ha solo modalità comunicative di precomunicazione, ha bisogno a volte di un
aiuto fisico, di un modello. Non a caso il programma TEACCH prende e sfrutta soprattutto
la merenda per fare in modo che due operatori lavorino insieme e si pongano come modello per la richiesta. (Aiuti visivi, aiuti dati sotto forma di domande, di istruzioni dirette).
Assumo sempre un atteggiamento per cui il bambino deve chiedere.
Quando si inizia un progetto di comunicazione si hanno sempre molti dubbi. È importante
non lavorare da soli: i genitori sanno di cosa c’è bisogno e noi sappiamo come organizzare
il lavoro. Per costruire una tabella di comunicazione i genitori devono conoscere a cosa corrispondono i colori usati: ad esempio giallo per i soggetti, verde per i verbi, azzurro per i
sentimenti, arancione per tutti gli oggetti e i contesti. Questa operazione serve per differenziare le parti del discorso. A casa dobbiamo etichettare all’interno di ogni stanza gli og209
getti che non sono visibili per fare in modo che il bambino chieda. Questo non impedisce
al bambino di prendere ciò che vuole da solo.
Per esempio, seguo una ragazzina sulla sedia a rotelle che è molto esigente e selettiva nell’abbigliamento. Quando la mamma le prepara indumenti che a lei non piacciono, li butta
a terra e non vuole saperne di indossarli.
A questo punto ho suggerito alla mamma di far scegliere gli abiti tramite foto applicate sull’armadio.
Lo stesso discorso vale in cucina. Possiamo costruire una tabella dove può scegliere cosa
mangiare. Si possono costruire tanti libretti che, gradualmente, conducono all’autonomia.
Avete qualche domanda da fare?
“Alcune volte non riesco a rispondere alle richieste di un alunno della mia classe
perché non capisco qual è il suo bisogno. Cerco in tutti i modi di comprendere
cosa può avere. Chiedo alla mamma se è successo qualcosa a casa. Passano delle
ore prima di riuscire a rispondere adeguatamente alla sua richiesta e, a volte,
torno a casa frustrata per l’insuccesso. Lei cosa mi consiglia di fare”?
La capisco perfettamente. Prima ho detto che la collaborazione scuola/famiglia è essenziale.
Anch’io ho avuto problemi di questo tipo. Per esempio, un giorno un ragazzino continuava
a ripetere in modo ossessivo le parole “papà musica”, nonostante non fosse prevista nella
programmazione scolastica di quel giorno. Non sapendo più cosa fare, ho deciso di chiamare i genitori ed ho scoperto che essi gli avevano promesso di portarlo ad un concerto la
sera dopo le otto.
Evidentemente non si trattava di una richiesta rivolta a me perché il bambino sapeva bene
che sarebbe andato con il papà, ma, non avendo la concezione del tempo, egli era convinto
che le otto fossero in quel momento. Questa situazione era per lui molto stressante e gli
impediva di restare in classe tranquillo. I genitori avrebbero dovuto avvisarmi in anticipo
per consentirmi di intervenire adeguatamente.
Per questo è necessario il famoso quaderno di comunicazione casa- scuola.
A scuola c’è una ragazzina che vive con difficoltà e stress il passaggio casa/pulmino, perciò la mamma la riempie di caramelle e cioccolatini. A scuola questo diventa un problema:
pasticcia, non li mangia, li butta in giro, li vuole continuamente.
Per evitare questa situazione stiamo cercando di individuare qualcosa che può tenere con
sé durante il trasporto, ma che lascerà sul pulmino al suo arrivo a scuola. All’inizio è difficile ma è indispensabile che la fase del passaggio sia vissuta come un momento piacevole
e che non disturbi gli altri.
210
“Che cosa si intende per comunicazione facilitata”?
La comunicazione facilitata vede coinvolto un facilitatore che aiuta il bambino ad iniziare
una comunicazione. Uno dei problemi dei ragazzi con autismo è iniziare un’azione, quindi
anche la comunicazione. Il facilitatore deve, innanzitutto, instaurare una buona relazione
con il ragazzo, utilizzando uno strumento che può essere il computer o una tabella.
Il limite di questa forma di comunicazione è che, se manca il facilitatore, il bambino non
riesce più a comunicare. Il facilitatore parte da un contatto fisico, sostiene la mano, il dito,
il polso, il gomito, la spalla. Non sempre si tratta di una presa, è sufficiente anche un tocco.
Ho seguito un ragazzino che con l’educatore sembra scrivesse dei poemi mentre con me
pochissimo. Questa comunicazione è molto criticata. Non è un metodo scientificamente
provato ed è questo che tutti mettono in discussione. È un metodo che ha visto diverse
prove di verifica fallire. Se al ragazzino veniva fatta una certa domanda ed al facilitatore
un'altra, la risposta fornita era quella alla domanda del facilitatore. E questo ha fatto sorgere molti dubbi. Personalmente non saprei cosa dire.
Dicono che la comunicazione facilitata funzioni su base empatica; per questo devono essere presenti fra il facilitato e il facilitatore molta emotività e sentimento, con conseguenze
spesso imprevedibili.
La comunicazione non è uguale con tutti i facilitatori e questo sottolinea ancora come
anche noi scegliamo persone diverse a cui dire cose diverse.
Ho assistito alla presentazione del libro “Le urla nel silenzio” di Scilla, una ragazza con fortissimo ritardo mentale. Il libro era presentato dalla mamma che raccontava della grave disabilità della figlia. Attraverso questo tipo di comunicazione, secondo le parole della madre,
sono riusciti a farle raccontare i vissuti di quando era piccola che solo lei, oltre alla mamma,
poteva conoscere. Sono queste contraddizioni che lasciano perplessi rispetto alla comunicazione facilitata.
211
Riportiamo di seguito le slides proiettate da Gina Forlani durante gli incontri
COMUNICAZIONE
SPONTANEA
VERBALE
GESTUALE
MOTORIA
ICONICA
SIMBOLICA
SITUAZIONE
DI PARTENZA
Progettazione di mete educative
individualizzate
AL BAMBINO CON AUTISMO INSEGNO
ABILITÀ COMUNICATIVE
PER TRASMETTERE MESSAGGI
IN SITUAZIONI QUOTIDIANE
TECNICHE DIDATTICHE
E ATTIVITÀ EDUCATIVE
MONITORAGGIO DEI PROGRESSI
VALUTAZIONE
212
COME
INSEGNARE
VALUTAZIONE INIZIALE DELLA COMUNICAZIONE
OSSERVAZIONE DIRETTA
INFORMAZIONI: intervista ai genitori
PRIORITÀ DELLE METE
OSSERVAZIONE DIRETTA
1 della comunicazione spontanea ed intenzionale del b/o in situazioni quotidiane
naturali;
2 delle circostanze in cui il b/o mostra di non possedere abilità comunicative necessarie in quella situazione;
È importante registrare quei comportamenti che sono intenzionalmente comunicativi (vocalizzi, gesti, linguaggio verbale, atti motori, ...) perché ci forniscono delle indicazioni su
ciò che motiva la comunicazione del b/o.
3 osservare per periodi più o meno lunghi a seconda del livello di funzionamento
del b/o;
4 creare situazioni che suscitano manifestazioni spontanee di comunicazione (richiesta di aiuto, ...).
INFORMAZIONI DALLA FAMIGLIA
hanno lo scopo di fornire:
– informazioni su COME il b/o comunica a casa
QUANDO comunica
DOVE comunica
(colloquio strutturato)
– sulle PRIORITÀ dei genitori, cioè quello che ritengono più importante e primario
che il figlio apprenda a comunicare.
213
scuola
Rapporti con gli insegnanti
e adulti, con il gruppo dei
pari, nei diversi ambienti
scolastici.
famiglia
Differenti priorità che necessariamente richiedono
la collaborazione per
raggiungere gli obiettivi
che sono importanti in
entrambi gli ambienti e
nelle diverse situazioni
quotidiane in cui il b/o si
viene a trovare.
Rapporti con i genitori,
i fratelli, i parenti,
a casa, nel quartiere,
nel paese.
ANALISI DELLA COMUNICAZIONE
DIMENSIONI DELLA COMUNICAZIONE
FUNZIONE scopo della comunicazione:
– attirare attenzione: il b/o desidera l’attenzione di chi gli è vicino;
– chiedere: il b/o chiede che gli si dia qualcosa; desidera che si faccia
qualcosa per lui; vuole l’autorizzazione a prendere o fare qualcosa;
– rifiutare-opporsi-respingere: il b/o respinge e rifiuta un oggetto o
un’attività che gli vengono proposti;
– commentare-dare informazioni: il b/o esprime delle caratteristiche
su se stesso o su persone e oggetti presenti;
– chiedere informazioni: il b/o vuole sapere qualcosa;
– esprimere stati fisici, emozioni e sentimenti: il b/o comunica
malesseri, dolori fisici, stati emotivi che sta provando, sentimenti nei
confronti di qualcuno;
– manifestare comportamenti sociali: il b/o si presenta, saluta,
ringrazia.
214
I bambini con autismo spesso sono limitati nelle abilità di comunicazione, soprattutto
verbale.
Nominano gli oggetti, ma non utilizzano le parole per uno scopo.
Sovente le frasi sono caratterizzate dall’uso immediato o differito di ecolalia.
Non sempre il bambino capisce ciò che dice.
Accade invece, a volte, che queste frasi siano formulate in contesti appropriati e con
scopi comunicativi.
La difficoltà sta nel cogliere se il bambino dice qualcosa per comunicare.
Ecolalia immediata: ripetizione di una parola o frase appena sentita.
Ecolalia differita: ripetizione di una parola o frase a distanza di tempo, anche una
o più settimane.
Le ecolalie possono essere anche gestuali.
FORMA modalità o sistemi di comunicazione
non simbolici:
atti motori: il b/o spinge una persona o oggetti, tira, sposta
gesti: il b/o indica
uso di oggetti: il b/o mostra un oggetto per chiedere
comunicazione iconica: il b/o utilizza foto, immagini (si costruisce un vocabolario)
simbolici:
parole scritte: il b/o sa leggere e comprendere
linguaggio dei segni: il b/o memorizza, comprende e comunica con persone
che conoscono lo stesso linguaggio
linguaggio verbale o parlato
SIGNIFICATI tipi di contenuto, categorie semantiche
PAROLE
espressioni specifiche
Quali gesti, quali parole, quali immagini?
CONTESTO
situazione nella quale si comunica
Con chi? Dove? In quali circostanze?
I bambini con autismo utilizzano spesso una forma di precomunicazione che è
personale, privata, non generalizzabile.
Essi comunicano con le persone che conoscono bene le loro forme di precomunicazione.
È necessario insegnare forme di comunicazione universali, comprensibili a tutti.
215
Tabella tratta da “La comunicazione spontanea nell’autismo”
di Watson, Schaffer, Schopler
Comunicazione motoria
caratteristiche
- non simbolica
- implica la diretta
manipolazione di persone
o oggetti
- input visivo
- output motorio
limiti
- comunicazione limitata
al qui ed ora
- può essere difficile
trasportare oggetti in
ambienti diversi
indicatori per la scelta
- il b/o manca di abilità
simboliche
- qualche interesse per
gli oggetti
- qualche interesse
per le persone
Comunicazione gestuale
caratteristiche
- non simbolica
- persone, oggetti e azioni
sono indicati e non
direttamente manipolati
- input visivo
- output motorio
limiti
- comunicazione limitata
al qui ed ora
- i gesti spontanei sono rari
tra i b/i autistici
indicatori per la scelta
- il b/o manca di abilità
simboliche
- qualche comprensione
dei gesti
- qualche interesse per
gli oggetti
- uso funzionale degli
oggetti
- qualche interesse per le
persone
Comunicazione iconica
caratteristiche
- basata sulla
rappresentazione
- non simbolica
- persone, oggetti e azioni
sono indicati e non
direttamente manipolati
- non transitoria (non deve
richiamare le immagini
dalla memoria)
- input visivo
- output motorio
216
limiti
indicatori per la scelta
- le immagini devono essere
trasportate in ambienti
diversi
- in una immagine può
essere difficile rappresentare
chiaramente alcuni concetti
non riferiti a oggetti
- vi sono limiti pratici nel
numero di immagini
utilizzabili
- interesse per le immagini
- comprensione che
l’immagine rappresenta
un oggetto, un concetto
Comunicazione scritta
riconoscimento della parola
caratteristiche
- simbolica
- non transitoria (non
deve richiamare le
parole dalla memoria)
- input visivo
- output motorio
limiti
- le carte-parole devono
essere trasportate
in ambienti diversi
- vi sono limiti pratici
nel numero di parole
utilizzabili
indicatori per la scelta
- livello simbolico
- comunicazione non
verbale o verbale limitata
- comprensione che una
parola scritta rappresenta
un oggetto, un concetto
Comunicazione
con i segni
caratteristiche
- simbolica
- transitoria (deve richiamare
i segni dalla memoria)
- input visivo
- output motorio
limiti
- si può comunicare solo
con chi conosce i segni
indicatori per la scelta
- livello simbolico
- comunicazione non verbale
o verbale limitata
- abilità motorie sufficienti
per la produzione dei segni
- il b/o accetta che le sue
mani siano modellate
e/o ha buone abilità di
imitazione motoria
Comunicazione verbale
caratteristiche
- simbolica
- transitoria (deve richiamare
le parole dalla memoria)
- input visivo
- output motorio
- sistema usato da altri
nell’ambiente del b/o
limiti
- nei soggetti autistici le
abilità uditivo-verbali
sono in genere più scarse
di quelle visivo-motorie
indicatori per la scelta
- livello simbolico
- ecolalia, abilità di
imitazione verbale
o qualche forma di
linguaggio già presente
217
PENSARE IL PROGETTO EDUCATIVO
PER L’APPRENDIMENTO DELLA COMUNICAZIONE
Dall’accurata osservazione diretta
Dalle informazioni ricevute dalla famiglia...
...la pianificazione di un programma
individualizzato
Individuazione delle
abilità che il b/o possiede
Fissare degli obiettivi
di comunicazione
funzionale
Costruire occasioni
sistematiche
e strutturate
di apprendimento
funzioni
forme
significati
parole
contesti
Gli obiettivi devono implicare
l’apprendimento di una nuova abilità
in una dimensione per volta
Strutturare contesti
diversi d’apprendimento
per dare maggiore
flessibilità comunicativa
Individuare contesti reali per l’apprendimento, diversi ambienti
per dare maggiori opportunità all’utilizzo di una abilità
Monitorare i progressi
218
Valutazione delle abilità
(a scuola e a casa)
DALL’OGGETTO AL SIMBOLO
Percorso operativo per b/i che non utilizzano linguaggio verbale, e non possiedono modalità di comunicazione chiare (comportamenti socialmente inadeguati).
1. preparare una serie di oggetti di uso quotidiano e riconoscibili dal b/o: gioco, cucchiaio, bicchiere, piccolo cuscino, scarpa, giacca, …
2. ogni volta che si compie un’azione associare un oggetto e proporlo al b/o dicendo:
“Giochiamo! Mangiamo! A nanna! Dormiamo! ...”
3. poi il linguaggio diventa: “Gioca! Mangia!” oppure “la pappa!” (a seconda dell’età
del b/o),
4. gli stessi oggetti vanno proposti come scelta: “Cosa vuoi fare?” “Vuoi la pappa?”…
5. quando il b/o utilizza gli oggetti con l’intenzione di comunicare, gli stessi oggetti
vanno incollati su cartoncino: carta-oggetto che è il primo passaggio verso il simbolico, l’oggetto non si può utilizzare, ma è forma di comunicazione,
6. si procede con attività in scatola, al tavolo di lavoro, per il riconoscimento e l’associazione di oggetti reali a foto; di oggetti riprodotti in plastica a foto,
7. per la comunicazione il passaggio è quindi quello di sostituire la carta-oggetto con
le foto degli oggetti,
8. dalle foto si passa alle immagini e ai simboli P.C.S.; si costruisce una tabella di comunicazione.
COMUNICAZIONE AUMENTATIVA ALTERNATIVA
È da premettere che si mantengono e potenziano tutte le modalità comunicative dei bambini: vocalizzi, gesti, segni, motori, indicatori, mimica.
SCOPI DELLA C.A.A.
•
•
•
•
•
migliorare la comunicazione
promuovere l’interazione sociale
aumentare la possibilità di inserirsi in un’attività scolastica e/o lavorativa
ridurre il disagio causato da un insuccesso comunicativo
migliorare la comprensione del linguaggio verbale.
Il percorso prevede, per la progettazione, la
Valutazione di abilità:
a) valutare l’intenzionalità comunicativa del b/o;
b) valutare la comprensione dei disegni rappresentanti soggetti, oggetti, azioni,
bisogni, …
219
c) valutare la capacità di riconoscimento di alcuni contesti anche rappresentati;
d) valutare la capacità di riconoscere figure di diverse dimensioni;
e) valutare la capacità del b/o di indicare un'immagine o disegno tra due o più;
f) valutare la capacità di indicare anche due immagini in sequenza sulle tabelle
tematiche.
DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI
PER DEFINIRE GLI OBIETTIVI È NECESSARIO PORSI DELLE DOMANDE:
“È realistico, attuabile?”
“È importante per la comunicazione quotidiana del b/o?”
“È tra le priorità richieste dai genitori?”
1. scegliere gli obiettivi che sono passi logici (un passaggio alla volta e ben definito)
verso il raggiungimento delle mete scelte per il b/o
2. scegliere obiettivi ben fondati sulle abilità di comunicazione spontanea già possedute dal b/o
3. formulare obiettivi funzionali, utili nell’ambiente di vita quotidiana del b/o
GLI OBIETTIVI DEVONO ESSERE DESCRITTIVI DEL COMPORTAMENTO COMUNICATIVO RICHIESTO
Definizione di OBIETTIVI (esempi):
a) riconoscere l’utilità della comunicazione tramite disegni (PCS)
a1) A. “capisce” che se utilizza la tabella, ottiene una risposta
b) riuscire ad indicare i disegni per comunicare
b1) A. utilizza i disegni per DIRE QUALCOSA
c)
ampliare sempre più il lessico disegnato per una più ampia comunicazione: di
BISOGNI, OGGETTI, EMOZIONI, ATTIVITA', CONTESTI/AMBIENTI
c1) A. in ogni nuova situazione dimostra di “capire” che si inserisce in tabella
un simbolo nuovo
c2) A. utilizza il nuovo simbolo nella situazione creata per la verifica dell’obiettivo
220
d) dare informazioni
d1) A. risponde a domande semplici relative a sé e alla sua esperienza indicando disegni sulla tabella
e) ottenere che l'interlocutore faccia qualcosa
e1) A. in contesti diversi (anche creati apposta) indica un disegno per far agire
l’interlocutore
f) esprimere desideri, sentimenti
f1) A. indica il suo “desiderare la mamma”, “voler andare a casa”, sui disegni della tabella
SITUAZIONI COMUNICATIVE
Casa
Scuola
genitori, fratelli, …
insegnanti, compagni, bidelli, personale di cucina
SVILUPPO DELLA C.A.A.
Creazione di contesti che portino a ricercare la soddisfazione di bisogni, di richieste, l’intenzione di esprimere sentimenti, ...
STRATEGIE D'INTERVENTO
a)
b)
c)
d)
e)
f)
l’intervento si focalizza sull’insegnamento di nuove forme di comunicazione
l’intervento deve essere graduale
s’introduce la comunicazione su oggetti, persone assenti, eventi passati (e futuri)
gradualmente s’introducono nuovi disegni comunicativi
si favorisce l’iniziativa comunicativa attraverso ricche modalità interattive
l’intervento deve coinvolgere i compagni oltre che gli adulti
FORMA ovvero la MODALITÀ di comunicazione
Indicare, sulla tabella per la comunicazione, ciò che si vuole dire
STRATEGIE D’INSEGNAMENTO
Sedute strutturate: il b/o è stimolato a partecipare ad un intenso momento di esercitazione nel quale gli si chiede di formulare gli stessi tipi di risposta agli stessi tipi di stimoli.
221
(es: colorare un disegno, non ci sono colori a portata di mano, il b/o viene stimolato a chiedere i colori). Per il b/o questa è una situazione prevedibile quindi anche facile da capire,
è il miglior modo di iniziare ad insegnare un’abilità nuova.
Insegnamento incidentale: l’insegnamento avviene sfruttando gli eventi che accadono naturalmente durante la giornata. (es.: evidente manifestazione di malessere del
b/o o di un compagno può essere occasione per insegnare a comunicare che si sente
male, dove prova dolore). Insegnando delle risposte in contesti naturali si aumenta la probabilità che il b/o capisca che quelle risposte le può utilizzare per comunicare nella vita
di tutti i giorni.
Costruzione del contesto: predisposizione dell’ambiente circostante per creare un numero maggiore di opportunità di insegnamento in contesti naturali. Questi eventi costruiti
devono essere variati nella loro natura e frequenza, in modo da non essere del tutto prevedibili dal b/o. Le variazioni permettono lo sviluppo della flessibilità del b/o nell’uso
delle sue abilità comunicative.
Tecnica del boicottaggio
1. in un contesto strutturato e conosciuto dal b/o, lo si pone di fronte ad un’attività
che gli piace
2. si prepara il materiale in modo tale che manchi qualcosa di necessario per la riuscita
del compito, gioco,…
3. si osserva il b/o mentre esegue e si registra il comportamento nel momento in cui
si accorge che manca qualcosa
➢ Se si osserva una modalità di richiesta:
il b/o si guarda intorno, cerca l’oggetto, fa dei versi, cerca l’operatore, chiede, si
interagisce e si risponde alla richiesta.
➢ Se il b/o abbandona il compito:
lo si stimola a continuare mostrandogli il “pezzo mancante” “Cercavi questo? Eccolo!....” ; si verifica se la causa dell’abbandono era dovuta a questo il b/o continua
l’attività. In questo caso il b/o però non ha esplicitato una richiesta, si deve quindi
strutturare un percorso di apprendimento per favorire le richieste (ad es. iniziare con
la richiesta di soddisfazione dei bisogni).
222
Facilitare il comportamento dei bambini
Aiuti fisici: guidare il b/o fisicamente perché apprenda un’azione.
Modelli: fornire un modello completo verbale o motorio del comportamento richiesto
(esempio: battere sulla spalla di una persona per attirare l’attenzione).
Modelli parziali: fornire il suono iniziale di una parola, l’atto iniziale di un gesto.
Aiuti visivi: indicare, porgere, mostrare una persona, un oggetto, una foto, un’immagine,
una parola.
Aiuti dati sotto forma di domande o di istruzioni dirette: “Che cosa vuoi?”, “Dov’è....?”,
“Dimmi cos’è”.
Suggerimenti: dare indizi verbali non diretti: “È ora di giocare” per avere la richiesta di
un gioco.
Prossimità fisica e sguardo diretto al b/o: porsi in atteggiamento di ascolto per sollecitare una comunicazione.
Nessun aiuto se non quelli presenti in quella situazione.
OBIETTIVO META: imparare a chiedere
– Il b/o chiede un oggetto utilizzando una foto in contesti diversi.
Osservazione di forma, funzione in un contesto
forma
Precomunicazione:
crisi di collera
funzione
per chiedere:
il b/o vuole un oggetto
ad es. un pezzo di puzzle
contesto
In classe
1 passo: modifichiamo la FORMA
forma
Utilizzare una foto
del pezzo di puzzle
funzione
per chiedere:
il b/o vuole un oggetto
ad es. un pezzo di puzzle
contesto
In classe
223
2 passo: cambiamo il CONTESTO
forma
Utilizzare una foto
del pezzo di puzzle
funzione
per chiedere:
il b/o vuole un oggetto
ad es. un pezzo di puzzle
contesto
durante una seduta
dalla psicomotricista
COMUNICAZIONE RECETTIVA
Per esaminare la comprensione della comunicazione verbale del bambino è necessario porgli (verbalmente) alcune domande e richieste.
Se non vi è comprensione è necessario modificare la forma delle nostre richieste: si utilizzano gesti, movimenti, immagini, oggetti, fotografie.
Si registrano i comportamenti.
Si osservano i cambiamenti motori, della mimica, dello sguardo (ad esempio se il b/o cerca
nell’ambiente ciò che gli è stato richiesto; se il b/o dà delle risposte mimiche-motorie anche
se non riesce ad esaudire la consegna).
224
Comportamenti problema: gestione della crisi
e programmi educativi
Stefania Ucelli *
Riportiamo di seguito le slides proiettate da Stefania Ucelli durante gli incontri
Comportamenti problema
Definizione
“Un comportamento culturalmente abnorme di tale intensità, frequenza e durata da
porre in serio rischio la sicurezza fisica della persona o degli altri, oppure un comportamento che presumibilmente limita in modo grave o fa sì che a una persona sia negato
l’accesso alle ordinarie situazioni della vita sociale”
(Emerson 1995)
* Ricercatore e Docente presso la Clinica Psichiatrica dell’Università di Pavia – Responsabile Scientifico Fondazione
Genitori per l’autismo – Direttore Cascina Rossago
225
Comportamenti problema come messaggio
Il CP funziona spesso come una forma primitiva di comunicazione per soggetti che non possiedono ancora, o non usano, forme più sofisticate di comunicazione;
attraverso i CP possono influenzare gli altri ottenendo una serie di effetti desiderabili, definiti rinforzatori”.
E. G. Carr, 1994
Nell’età dell’adolescenza, la maggioranza dei soggetti autistici non presenta modificazioni
più drammatiche degli altri coetanei ed in alcuni casi addirittura presenta miglioramenti inaspettati.
Kanner e al 1972; Rutter e Bartak 1973; Wing e Wing 1980; Mesibov 1983; Park 1983
Tuttavia in almeno il 30% dei giovani autistici si ha un importante peggioramento.
Principali problemi in adolescenza
Gillberg
Epilessia
20-29%
12% maschi
50% femmine
Gillberg &
Steffenbaun, 1987
Aggravamento dei sintomi
35%
47% maschi
0% femmine
Gillberg &
Steffenbaun, 1987
Problemi legati alla maturazione sessuale
35%
Gillberg, 1989
Apatia/Depressione/Disturbi affettivi
(particolarmente in individui ad alto
funzionamento)
22
(44%)
Wing, 1981
Questo peggioramento riguarda in particolare quei PDD con più chiara compromissione
neurologica; ad es. il Disturbo Disintegrativo della Fanciullezza e in generale gli autismi caratterizzati dal cosiddetto “setback phenomenon” (regressione massiccia dopo sviluppo
pressoché normale) che sono circa un terzo degli autismi e che sono ritenuti a prognosi
meno favorevole.
Kobayashi e Murata 1998.
Ma non è limitato a questi casi.
L’adolescenza, sul piano neurobiologico, può essere già di per sé un fattore generico di
scompenso della vulnerabilità soggiacente.
226
L’adolescenza e poi la prima giovinezza sono il periodo di un secondo “picco” di manifestazione di un’epilessia prima misconosciuta.
Rutter 1970; Gillberg e Steffenburg 1987
Il prolungamento delle osservazioni oltre l’età infantile (oltre ai mutamenti nei criteri di inclusione diagnostica) ha progressivamente innalzato le stime di prevalenza nella popolazione autistica sia di epilessia manifesta (dal 18% dell'originale casistica di Kanner al 25%
di Rutter 1970 al più del 33% degli studi di popolazione scandinavi più recenti) sia di disturbi EEG significativi anche se non clinicamente espressi (più del 50%).
Evidenziando anche per questa via la vulnerabilità neurobiologica di base e rendendo ulteriormente problematico il vecchio progetto di distinguere autismi “puri” da autismi con
compromissione neurologica.
Gillberg 2000
È osservazione del resto comune, nei soggetti autistici, l’esordio di una epilessia clinicamente
manifesta dopo i 18 anni, quando i soggetti sono al di fuori dell’osservazione dei NPI, come
in 3 casi di “disturbo disintegrativo della fanciullezza” presenti nella nostra casistica.
Ma questi aspetti neurologici non bastano affatto a spiegare le difficoltà del passaggio adolescenziale del giovane autistico. Vi sono molte altre ragioni di ordine psicologico e di ordine psicodinamico.
L’adolescenza autistica: aspetti psicologici
1. contenitore mentale del processo adolescenziale e delle sue trasformazioni fragile
e indifferenziato
2. accesso impossibile al contenitore “sociale”
3. percezione dolorosa della propria diversità
4. vuoto di prospettive esistenziali
5. depressione
Kanner stesso nel 1972, rivedendo la sua originaria casistica, sottolineò come l’accettazione della propria diversità sia uno dei problemi fondamentali dell'adolescenza autistica
e uno scoglio importante che ne determina l’evoluzione...
Anche L. Wing ritornò su questo aspetto.
L’adolescenza autistica rischia dunque, almeno in alcuni casi, di essere un elemento disorganizzatore del sé, rinnovando quella patologia originaria del “sé interpersonale” (Cohen
1983, Neisser 1993, Tomasello 1993, Hobson 1993), causata dalle difficoltà di base, che,
dal punto di vista psicodinamico, è l’autismo.
227
Cosa fare di fronte ad un CP
Innanzitutto porsi delle domande
1. Che funzione o quale insieme di funzioni svolge quel determinato CP?
Comunicativa verso l’ambiente? Di autostimolazione?
Di modulazione del flusso sensoriale? Un misto di tutto ciò?
2. In quali occasioni è più frequente?
Ci sono delle ricorrenze evidenziabili?
3. Quali comportamenti positivi del repertorio del soggetto autistico potrebbero essere utilizzati in alternativa e/o essere incrementati?
ANALISI CP
Analisi funzionale CP
Ipotesi
DATA
ORA
Contesto
generale
Contesto
interpersonale
Comportamento
problema
Reazione
operatore
1. Richiesta di attenzione
2. Fuga dal compito
o situazione sgradita
3. Richiesta di oggetto
gratificante
Elementi fondamentali
1) I CP hanno in genere uno scopo per la persona che li manifesta;
2) l’assessment funzionale serve per identificare tale scopo (o tali scopi);
228
3) lo scopo dell’intervento è l’educazione e lo sviluppo di comportamenti alternativi,
non la semplice riduzione del CP. L’intervento cioè deve essere costitutivo di abilità;
4) il CP ha spesso più scopi e richiede molteplici interventi;
5) l’intervento richiede il cambiamento non solo degli individui ma del sistema di relazione e del contesto;
6) la meta finale di ogni intervento è rivolta non al singolo problema ma alla persona,
al suo stile di vita.
CP aggressivi auto ed etero
– condizioni fisiche
– contesto
– programmi educativi
ruolo dei farmaci
mantenimento
sedazione
Gestione della crisi
–
–
–
–
–
–
–
–
–
difesa
bloccaggio
estinzione
“capriccio”
distorsione psicotica?
“bullismo”
impulsività
incapacità a contenere le emozioni
crisi epilettiche atipiche
L’operatore di fronte alla crisi
– paura
– blocco dell’aggressività di difesa
– impotenza
229
L’operatore davanti alla crisi
Paura
–
–
–
–
difficoltà a modulare la distanza fisica
reazione di paralisi
reazione impulsivamente aggressiva
reazione di vendetta (punizione differita, rancore)
Comportamento aggressivo e punizioni fisiche
La punizione nella cultura comportamentista
La punizione nella storia della psichiatria
230
Materiali operativi
Tratto da: Carr et al. (1998), “Il problema di comportamento è un messaggio”,
Erickson, Trento
LA GESTIONE DELLE CRISI COMPORTAMENTALI
1. Mettere in atto strategie di gestione delle crisi quando il comportamento problematico ha probabilità di aumentare fino a un livello veramente grave a meno che non
venga fermato, o quando ha raggiunto un livello tale da costituire un pericolo per la
persona disabile o per gli altri che le stanno vicino.
2. Usare la strategia dell’ignorare per gestire piccoli comportamenti problematici, che
abbiano dimostrato di condurre a comportamenti problematici più seri se non vengono fermati. Usare la strategia consistente nel bloccare momentaneamente se il
comportamento problematico è così pericoloso da dover essere interrotto immediatamente per evitare ulteriori danni alla persona in difficoltà o agli altri.
3. Quando la crisi è terminata, iniziare o continuare a mettere in atto le procedure di
intervento descritte nel resto di questo libro.
4. Verificare i risultati. I risultati saranno positivi quando il comportamento problematico si arresta rapidamente e per un periodo di tempo abbastanza lungo da permettere di iniziare ad applicare strategie di intervento a lungo termine basato sulla
comunicazione.
LA COSTRUZIONE DEL RAPPORTO - A
1. Stendere un elenco delle attività e degli oggetti preferiti dalla persona con la quale
si sta lavorando. Si può trattare di cibo, giochi, argomenti di conversazione così via.
II termine tecnico è: rinforzatori individualizzati.
2. Offrire gratuitamente questi rinforzatori. Non occorre chiedere alla persona di lavorare o di fare una richiesta per poterli ottenere. Lo scopo non è quello di condurre
una procedura rigidamente tecnica, ma piuttosto di fare in modo che entrambe le
parti traggano soddisfazione nell’interagire.
3. Continuare a offrire le attività e gli oggetti per diversi giorni fino a raggiungere il
successo. Successo significa che la persona guarda l’educatore quando è nelle vicinanze, cerca di stargli vicino, continua a interagire con lui una volta iniziato l’approccio e parla con lui se ne ha la possibilità. Significa anche che la persona sorride
e ride quando sta con l'educatore e, in vari modi, dimostra di gradirne la compagnia.
231
LA COSTRUZIONE DEL RAPPORTO - B
1. Attendere finché la persona si avvicina spontaneamente prima di dare gratuitamente
i rinforzatori e proseguire tale procedura per diversi giorni.
2. Una volta che la persona abbia preso l’abitudine di avvicinarsi, attendere circa un minuto per vedere se esprime una richiesta, quindi offrire il rinforzatore. La forma
nella quale avviene la richiesta non deve necessariamente essere quella verbale:
sono accettabili forme basate sul linguaggio dei segni, sui gesti, su cartellini o qualunque altro mezzo di comunicazione la persona abbia a disposizione.
3. Se la persona non esprime una richiesta entro un minuto, si offre un suggerimento.
È importante non eccedere con i suggerimenti, ma suggerire a intermittenza, secondo la necessità, oppure aspettare almeno un minuto prima di offrire il suggerimento stesso.
4. Verificare i risultati ottenuti. Si può parlare di risultati positivi se la persona si avvicina spesso per fare qualche richiesta. Occorre ricordare che tali richieste possono
diventare ripetitive e noiose, ma si tratta di un effetto temporaneo e comunque
meno grave dell'autolesionismo e dell'aggressione.
LA COSTRUZIONE DEL RAPPORTO - C
1. Stendere un elenco dei motivi per i quali non desideriamo interagire di più con la
persona in difficoltà. Tale elenco può includere molte cose quali l’igiene personale,
la cura di sé, l’abbigliamento e le condizioni fisiche.
2. Per ciascun motivo, scrivere che cosa dovrebbe cambiare al fine di sentirci più portati a interagire con la persona (ad esempio: eliminare l’odore del corpo).
3. Stendere un programma per raggiungere ciascuna delle mete, ad esempio, per insegnare alla persona a fare la doccia e a usare il deodorante.
4. Mettere in atto i vari programmi e controllare i risultati. Si può parlare di successo
quando non ci si sente più a disagio per l’aspetto fisico della persona e ci si sente più
disponibili ad accettarne l’avvicinamento e i tentativi di comunicazione. Inoltre, il
miglioramento dell’aspetto fisico offre ulteriori possibilità di svolgere attività sul territorio e quindi amplia le possibilità di fare esperienze.
LA COSTRUZIONE DEL RAPPORTO - D
1. Stendere un elenco delle attività che costituiscono un interesse comune per la persona in difficoltà e per l’educatore.
232
2. Quando è possibile, cercare di far incontrare le due persone su attività che entrambe
apprezzano.
3. Continuare costantemente in questa procedura e controllare i risultati. Si può parlare di successo quando la persona in difficoltà chiede frequentemente di svolgere
l’attività gradita assieme all’altra persona e quando questa, d’altra parte, inizia spontaneamente l’attività in questione, dimostrando di farlo volentieri. Inoltre, l’attenzione agli interessi comuni offre l’opportunità di uscire di più, da maggiore controllo
personale e, in generale, porta a una vita più variata.
SCEGLIERE LE FORME ALTERNATIVE DI COMUNICAZIONE - A
1. Insegnare alla persona in difficoltà a rispondere con il nuovo comportamento comunicativo alle situazioni in cui si manifestava il comportamento problematico.
2. Se il comportamento problematico mira a più di un obiettivo (come spesso accade)
accertarsi che vengano insegnate diverse forme comunicative in grado di raggiungere ciascuno degli obiettivi del comportamento problematico.
3. Verificare i risultati. Si può parlare di successo quando la persona in difficoltà chiede
spesso e in modo adeguato assistenza, attenzione e gratificazioni tangibili, e lo fa in
modo rapido e costante nelle situazioni che, un tempo, attivavano il comportamento problematico. Di conseguenza, il comportamento problematico stesso diminuirà o sparirà.
SCEGLIERE LE FORME ALTERNATIVE DI COMUNICAZIONE - B
1. Dopo aver scelto una forma comunicativa funzionalmente equivalente, verificare se
il problema comportamentale diminuisce fino a un livello accettabile.
2. Se il comportamento problematico persiste, occorre valutare se il ritardo nell’ottenimento della conseguenza desiderata possa costituire un fattore importante.
3. Se il ritardo nel rinforzamento costituisce un fattore importante, osservare la persona
per verificare se il comportamento comunicativo richiede uno sforzo particolare. Sapremo che lo sforzo costituisce un problema reale se la persona ha bisogno di troppo
tempo per eseguire correttamente la forma comunicativa prescelta o se ha bisogno
di troppi suggerimenti da parte di altre persone per rispondere correttamente. Verificare anche se il comportamento comunicativo è di facile interpretabilità per le altre
persone. L’interpretabilità costituisce inoltre un problema se gli altri non sapranno
rispondere al comportamento comunicativo, o rimarranno confusi (ad esempio chiedendo spesso: “Che cosa vuoi?” oppure dicendo: “Non ho capito” ), oppure daranno spesso un rinforzatore che non è quello richiesto dalla persona.
233
4. Se lo sforzo o l’interpretabilità costituiscono un problema, scegliere una nuova forma
comunicativa funzionalmente equivalente che sia più efficiente di quella che si intende sostituire. Dopo aver insegnato la nuova forma comunicativa, ripetere i passaggi da 1 a 3.
5. Minimizzare le proprie reazioni al comportamento problematico per insegnare alla
persona in difficoltà che tale comportamento non costituisce più un modo molto efficiente per produrre conseguenze desiderabili.
6. Controllare i risultati per alcune settimane. La nuova forma comunicativa dovrebbe
condurre sistematicamente al rinforzamento con un ritardo minimo. La persona dovrebbe usare costantemente la nuova forma comunicativa in tutte le situazioni appropriate. Infine, il comportamento problematico dovrebbe diminuire o sparire
completamente nelle situazioni in questione.
234
Riportiamo di seguito, al fine di creare un quadro più completo relativo ai comportamenti problema, anche il materiale fornito da Stefania Ucelli durante i Percorsi Formativi 2004 rivolti ai genitori.
I “comportamenti problema” (CP) e i loro contesti
Il mio intervento vuole avere soprattutto una funzione introduttiva al tema
Cosa sono i “CP”? Perché occuparcene?
“CP” corrisponde a “challenging behaviour”, il termine proposto dall'Associazione Americana per la Persone con Grave Disabilità che internazionalmente ha rimpiazzato una serie
di definizioni precedenti.
La sua definizione è:
• “un comportamento culturalmente abnorme di tale intensità, frequenza e durata
da porre in serio rischio la sicurezza fisica della persona o degli altri, oppure un
comportamento che presumibilmente limita in modo grave o fa sì che alla persona
sia negato l’accesso alle ordinarie situazioni della vita sociale” (Emerson 1995).
Questa definizione, assai generica, presenta alcuni vantaggi; tra i quali:
1. Non identifica tout court CP con disturbo psichiatrico. Certo, alcuni CP possono
essere degli equivalenti o dei modi in cui si manifestano, nelle persone con disabilità mentale, alcuni disturbi psichiatrici. Per esempio alcuni CP (ritiro, apatia, agitazione...) possono essere l’espressione di un disturbo dell’umore (sia in senso
depressivo che ipertimico). Così come sono note le sovrapposizioni tra alcuni fenomeni autistici e spettro ossessivo-compulsivo, come confermato anche da alcune
evidenze farmacologiche.
• “Vi sono crescenti evidenze che agonisti della serotonina o inibitori del suo re-uptake
(es.: fluoxetina, clorimipramina...) riducano i sintomi ossessivo-compulsivi nelle persone senza disabilità intellettiva e riducano invece i comportamenti autoaggressivi
nelle persone con disabilità intellettiva, quando hanno carattere compulsivo”.
(Aman e al.1999; Bodfish e al. 1993; Sovner e al. 1998; Lewis e al. 1996)
Ma la maggior parte dei CP non sono affatto sintomi di un disturbo psichiatrico,
bensì risposte funzionali adattative a particolari contesti o a particolari aspetti del contesto; ovviamente a partire da quella disabilità e da quella incapacità a comunicare altrimenti.
2. Il secondo vantaggio sta nel riferimento culturale presente nella definizione, che,
assieme al termine stesso “to challenge”, chiama in causa il contesto interpersonale.
235
Il contesto è chiamato in causa in primo luogo per l’aspetto comunicativo dei CP,
o almeno di segnale (non è in questione qui l’“intenzione” comunicativa). Il CP sta spesso,
non sempre, al posto di una comunicazione, di una interazione altrimenti impossibili.
Non per niente nell’autismo, che ha al suo centro proprio la disabilità nella comunicazione
e nell’interazione, i CP sono così diffusi ed importanti.
E. G. Carr intitola così uno dei libri più importanti e belli che siano stati scritti sull'argomento:
• “L’ipotesi comunicativa del comportamento problematico sostiene che il CP funziona spesso come una forma primitiva di comunicazione per soggetti che non
possiedono ancora, o non usano, forme più sofisticate di comunicazione; attraverso il CP possono influenzare gli altri ottenendo una serie di effetti desiderabili,
definiti rinforzatori” (E.G.Carr, 1994).
Ci sono innumerevoli studi che dimostrano come nel normale sviluppo infantile i normali
comportamenti problematici (piangere, gridare, aggredire...) vengano a poco a poco superati man mano che si sviluppano competenze sociali e linguistiche. Così come ci sono innumerevoli studi che correlano il persistere di tali comportamenti problematici al ritardo
nelle acquisizioni di queste competenze.
Carr usa la metafora del pianto. Non è una cosa nuova.
• “Quando i bambini iniziano a parlare, piangono meno. Si tratta di una progressione
naturale. Un linguaggio viene sostituito dall’altro” (J.J. Rousseau, Emile).
Oppure, se vogliamo stare più vicini a noi:
• “Spesso le esplosioni di rabbia dei bambini autistici sono dovute al fatto che non
riescono a chiedere ciò che desiderano usando la parola... sfortunatamente imparano che il modo più rapido di ottenere ciò che vogliono, o anche solo la presenza, è quello di avere una bella esplosione di collera...” (L. Wing 1971).
Dicevo che “non sempre” è così. Non bisogna avere posizioni ideologiche, nella clinica.
Particolarmente nella clinica dell’autismo, che è tutt’altro che semplice.
Sia la metafora del pianto che l’idea che tutti i CP abbiano “già” un valore comunicativo sono troppo semplificanti. E forse anche troppo ottimistiche. La trasformazione del CP in una situazione più comunicativa è spesso invece un duro lavoro. E
molti CP sono difficili da far rientrare in questo modello.
Ad esempio: alcuni comportamenti sembrano direttamente in relazione con una sofferenza biologica. Recenti lavori scandinavi ad esempio sono riusciti a dimostrare la correla236
zione tra alcune anomalie EEG e alcuni fenomeni critici dell'autismo, come crisi di tantrum
e scoppi di stereotipie. Tornerò dopo sui modelli neurobiologici.
E poi, soprattutto, vi sono comportamenti, quelli in un certo senso più emblematici dell’autismo, che sembrano intrinsecamente “anti-comunicativi”: non finalizzati ad ottenere
una risposta ma anzi con funzione di barriera con l'esterno: comportamenti autostimolatori, omeostatici, che regolano autarchicamente il flusso sensoriale, sia in senso positivo (autostimolazione) che negativo (riduzione, fino al completo isolamento). Potremmo farne un
elenco lunghissimo: battere ritmicamente la fronte sul pavimento, annusare e leccare ripetitivamente oggetti, masturbarsi compulsivamente, dondolarsi e girare su se stesso stereotipicamente per ore o girare per ore tra le mani palline di carta... Ma vedremo dopo
come anche questi, in qualche modo, chiamino in causa il contesto, come segnali che richiedono una modulazione del contesto.
In ogni caso, tutti i comportamenti, anche quelli che hanno di più i caratteri della pura scarica, dell’automatismo, quelli che più si avvicinano al modello teorico dell’epilessia, oppure anche quelli omeostatici e/o di autoregolazione sensoriale autarchica ... tutti questi
diversi comportamenti, qualunque sia la loro funzione originaria (che spesso non è unica),
non avvengono nel vuoto. Sono comunque dei segnali emessi: a patto che qualcuno li raccolga e suscitano delle risposte.
In secondo luogo la definizione che abbiamo dato chiama in causa il contesto
perché è comunque nei confronti di questo contesto (e della sua tolleranza), non
solo di per sé, che quel CP diventa “problema”. Viene in mente una celebre battuta molto
“british” di Beate Hemelin, la grande studiosa che diede avvio negli anni 70 a quel filone
di ricerche che poi negli anni 80 si è sviluppato nella “teoria della mente”: “I bambini autistici sembrano ignorare parimenti lo psichiatra e il suo schedario, ma è lo psichiatra
che se ne lamenta”.
• L. Wing, in un aureo libretto degli inizi degli anni 70, che è un vero “manuale di sopravvivenza per i genitori” suggeriva di cercare di prendere anche dal lato comico le incredibili situazioni sociali spesso provocate dai CP dei ragazzi autistici (es. dei ciechi?).
Chi è a stretto contatto con l’autismo sa come questo suggerimento sia purtroppo raramente perseguibile.
I CP sono di fatto uno degli ostacoli più gravi all’integrazione sociale delle persone autistiche e contribuiscono a fare dell’autismo, tra tutte le disabilità, la condizione che comporta
per le famiglie lo stress più grave. Sentiremo su ciò, nel pomeriggio, altri colleghi.
Fermandoci solo un attimo su questo aspetto: è impressionante pensare all’enormità della
questione, alla quantità di dolore che comporta e, contemporaneamente, alla scarsità di riflessione sistematica, di ricerca, di strumenti e di strategie di intervento.
237
Questo è uno di quei temi che richiederebbero davvero una forte rete di alleanze tra servizi, famiglie, tecnici, ricercatori, gruppi di auto-aiuto. Il terreno di un grande
sforzo collettivo psicoeducativo.
In realtà solo un settore della psicologia comportamentistica si è dedicato negli ultimi decenni a riflettere e a cercare di elaborare strumenti di intervento. Tema troppo poco nobile?
Troppo poco remunerativo narcisisticamente?
I CP interferiscono gravemente con la vita, la socializzazione, delle persone autistiche e
delle loro famiglie non solo quando hanno caratteri clamorosi, come quelli aggressivi (più
rari nell’autismo) o autolesionistici (più frequenti, in taluni casi gravissimi) o la pica o le crisi
di tantrum, eccetera; ma anche quando sono meno clamorosi e più diffusi, come quelli appunto “omeostatici” o la chiusura prolungata in comportamenti stereotipici, il negativismo, le reazioni abnormi od impulsive a qualsiasi variazione, magari anche minima, della
sameness... i comportamenti intrusivi o appiccicosi... l’autostimolazione ...
Vedete già qui come l’elenco potrebbe continuare e finirebbe col coprire una fetta importante della clinica dell’autismo nell'adulto. Questa estensibilità pone grossi problemi alla ricerca, che presuppone una chiara definizione del proprio oggetto.
Tuttavia, solo per dare una dimensione quantitativa del fenomeno, riporto i dati di una
delle due ricerche “di popolazione” esistenti sulla prevalenza nella disabilità mentale dei
principali CP (quelli indiscutibili e più chiari): solo i dati di Borthwick-Duffy. Il 21% dei soggetti presentava gravi CP.
Questi dati riguardano la disabilità mentale in generale. Se pensate come sia opinione diffusa tra i clinici (mancano dati certi) che la prevalenza dei gravi CP (eccetto quelli aggressivi verso l’esterno) nell’autismo è assai più elevata che nelle altre disabilità, avete già
un’idea dell’entità della questione.
• Prevalenza dei CP (inclusi altri meno clamorosi) in un esteso campione di frequentatori di servizi educativi speciali nel Galles e Nord Inghilterra.
• In definitiva, un’alta prevalenza di CP è correlata positivamente:
1. ad un basso QI
2. al sesso maschile (per i comportamenti eteroaggressivi)
3. alla co-presenza di altre disabilità (motorie, visive; ma soprattutto comunicative e di social-skills, quelle più implicate nell’autismo)
4. ai livelli e alla precocità di istituzionalizzazione in contesti restrittivi (dato che
non va interpretato semplicisticamente e in modo univoco, come se l’istituzionalizzazione “causasse” i CP; tutte le evidenze a disposizione sull’andamento dei CP nei processi di deistituzionalizzazione impongono anche l’altro
percorso, cioè che i CP inducono istituzionalizzazione...)
238
5. ad un eccesso oppure ad un difetto di stimoli (contesti confusi o eccessivamente richiedenti; contesti poco significativi e demotivanti)
6. all’età (tende a crescere progressivamente durante l’infanzia, ha un picco tra i
15 e i 35 anni, poi tende a declinare, con differenze tra i singoli tipi di CP e per
sindromi).
Dunque si tratta di un enorme problema. Anche nella nostra esperienza, sia nell’ambito dell’attività di consulenza presso i CSE di Pavia, sia nell'ambito dell’attività di counseling
presso il Laboratorio Autismo, durante la quale abbiamo osservato più di 100 casi di autismo negli adulti, buona parte delle richieste riguarda la gestione dei CP.
Problema che negli adulti è ovviamente ancora più grave: una crisi di tantrum (una perdita improvvisa di autocontrollo con crisi di pianto, urla o comportamenti violenti) in un
luogo pubblico di un uomo di 100 chili fa un effetto diverso da quello che può sembrare
un capriccio di un bambino maleducato (“ma come deve essere permissiva quella
mamma....”); è diverso se non è un bambino, ma un signore distintamente vestito che impassibile infilza la forchetta nella cotoletta del signore del tavolo vicino, oppure che si cala
le brache per far la pupù davanti all'ingresso di un supermercato... A parità di significati,
la tolleranza del contesto è ben diversa.
Di nuovo dunque il “contesto”.
Dicevamo prima che ci sono almeno due modi per cui il contesto c’entra: perché il “problema” implica il contesto e perché i CP sono spesso una “risposta” al contesto, o un modo
paradossale di interagire con esso, di comunicare un disagio o di ottenere dei vantaggi. Lo
sono o possono, strada facendo, diventarlo, qualunque sia stata la loro origine.
Dunque capire il rapporto tra CP e contesto è fondamentale.
Se non si fa questo sforzo, non solo nessuna modificazione del CP può essere avviata, ma
il rapporto tra soggetto che esprime un CP e contesto peggiora, si avvita su se stesso, i CP
si autorinforzano, possono solo essere “soppressi”...
Non vorrei che questa centratura sugli aspetti comunicativi inducesse dei fraintendimenti.
Il messaggio introduttivo generale che il mio intervento vuole dare è invece quello
della complessità della questione dei CP: sia nella loro eziopatogenesi che nei meccanismi di mantenimento o viceversa di trasformazione, intervengono fattori neurobiologici, comportamentali, relazionali, ecologici...
Bisogna muoversi tra tutti questi piani. Dunque anche i farmaci possono essere utili. Talvolta
indispensabili. Come del resto anche alcuni interventi a carattere più o meno decisamente
frustrante (estinzione, time-out, ipercorrezione, blocco fisico). Un comportamento grave239
mente autolesivo o una situazione di agitazione perdurante vanno bloccati. Ma tutti questi interventi avranno significati e valori ben diversi a seconda che si integrino oppure no nel contesto di una strategia positiva; strategia positiva che richiede altri
momenti, altre tecniche e che ha, al suo fondo, comunque, il chiedersi: “che senso ha questo comportamento?” “ci può comunicare qualcosa?”, oppure “è il segnale di qualcosa?”.
È fondamentale se ci poniamo in quest’ottica di ricerca di senso e di comunicazione oppure
no; se ci poniamo di fronte al CP come a qualcosa secreto da un cervello rotto, che si tratta
di sopprimere, oppure come all’espressione, distorta certo dalle difficoltà di base, di una soggettività che si tratta innanzitutto di intendere, per farla, se possibile, evolvere.
Cambia davvero tutto. E non è solo una questione etica (cercare la persona anche nelle
sue espressioni più cieche di sofferenza); o addirittura giuridica, come è diventata in America, dove, come molti sapranno, una legge del 1986 impone espressamente agli educatori
(si vede che ce n’era bisogno!) quello che Foox ha chiamato il “modello del trattamento
meno restrittivo”, cioè impone che l'educatore usi dapprima tutte le tecniche positive
(prompting, modelling, rinforzo...) e proceda via via nella gerarchia verso il basso e verso
gli interventi negativi solo in caso di comprovata inefficacia...
Su quella opzione di fondo, che certo è anche etica, si gioca in realtà la qualità complessiva, evolutiva oppure no, degli interventi.
In quest’ottica “integrata” e con queste premesse eccovi dunque riassunte le principali ipotesi neurobiologiche.
• “Modelli neurobiologici 1. Sistemi dopaminergici”
a. le persone affette da sindrome di Lesch-Nyhan, che presentano tutte comportamenti autoaggressivi (morsi) mostrano significativi deficit della trasmissione dopaminergica in certe aree del cervello e diminuiti livelli di dopamina e metaboliti
(Breese et al. 1995; Nyhan 1994);
b. alterando sperimentalmente le vie dopaminergiche in ratti neonati, la somministrazione di agonisti della dopamina produce un grave comportamento di “self-biting” che può essere bloccato con antagonisti della dopamina (Breese 1995);
c. scimmie cresciute in situazioni di isolamento e deprivazione manifestano comportamenti autoaggressivi, che compaiono verso i 3-5 mesi, persistono nell'età
adulta e sono accentuati da stress ambientali (Kraemer 1990). Tali comportamenti
sono associati ad alterazioni che diventano permanenti delle vie dopaminergiche
(Lewis 1992). Cervello e contesto sono profondamente in relazione fin dall'inizio
nei due sensi;
d. alcune evidenze suggerirebbero che alcuni antagonisti dei recettori D1 e D2 della
dopamina ridurrebbero i comportamenti autoaggressivi (Aman 1999; Gualtieri
1989; Schroeder et al.1995);
240
e. diverse evidenze da diversi campi sperimentali suggeriscono che alterazioni precoci delle vie dopaminergiche D1 e l’persensitività nei recettori D1 rimanenti sono
correlate alla genesi di comportamenti autoaggressivi e che anormalità nei sistemi
recettoriali D2 sono correlate alla genesi di stereotipie. Non è chiaro quanto questi siano effetti diretti delle alterazioni dopaminergiche e quanto invece siano effetti
dello squilibrio conseguente tra sistemi dopaminergici e serotoninergici;
f. il dato sulle scimmie cresciute in isolamento che presentano secondariamente alterazioni permanenti dei sistemi dopaminergici e comportamenti autoaggressivi ha
implicazioni (per il momento teoriche) nelle strategie riabilitative precoci per quei
soggetti “a rischio” che, per un danno originario, hanno difficoltà di legame e rapporto con i care-givers e il mondo intorno.
Tutti i sistemi dei neurotrasmettitori e neuromodulatori sono funzionalmente correlati.
• “Modelli neurobiologici 2: Sistemi serotoninergici”
a. i sistemi serotoninergici (esistono almeno 11 tipi di recettori serotoninergici, alcuni
inibitori, altri eccitatori) sono funzionalmente correlati ai livelli di vigilanza, al controllo degli impulsi, all'ansia e alla depressione, ai fenomeni ossessivo-compulsivi;
b. in animali, lesioni di sistemi serotoninergici o inibizione della sintesi di serotonina,
aumentano l’aggressività. L’aumento della sintesi di serotonina o la somministrazione
di suoi agonisti, diminuisce i comportamenti aggressivi (Baumeister e Sevin 1990);
c. in soggetti umani non disabili vi è qualche evidenza di una correlazione negativa
tra livelli di serotonina e metaboliti nel fluido cerebrospinale e aggressività (Baumeister e Sevin 1990; Thompson e al. 1994);
d. agonisti serotoninergici e inibitori del re-uptake (Fluoxetina ecc.) possono ridurre
i fenomeni ossessivo-compulsivi e i comportamenti autoaggressivi e aggressivi nelle
persone con disabilità (Aman e al.1999; Racusin e al. 1999; Sovner e al. 1998; Verhoeven e Tuinier 1999);
e. anche le diete che aumentano i livelli di serotonina sono state indicate come riduttrici dei comportamenti autoaggressivi (Ellis e al. 1999; Gedye 1991).
• “Modelli neurobiologici 3: i peptidi oppioidi”
a. in soggetti disabili con comportamenti autoaggressivi si è evidenziato un aumento
di livelli di beta-endorfine rispetto a gruppi appropriati di controllo (Sandman e al
1990);
b. il naltrexone, antagonista delle beta endorfine ha prodotto in alcuni casi una significativa riduzione dei comportamenti autoaggressivi. I suoi effetti sono strettamente correlabili ai livelli in cui le beta endorfine sono innalzate nel plasma dagli
episodi di auto-aggressività;
241
c. Sandman ha avanzato 2 modelli ipotetici di correlazione tra beta endorfine e autoaggressività: il modello dell'eccesso congenito di oppioidi endogeni, che condurrebbe ad un innalzamento permanente della soglia del dolore e l’addiction
hypothesis (l’autostimolazione, attraverso il rilascio di oppioidi endogeni, provocherebbe una sorta di “sballo” che viene costantemente ricercato come piacere autarchico).
Sandman ha inoltre messo in evidenza suggestive correlazioni tra comportamenti
autoaggressivi e un fenomeno assai diffuso ed importante, vale a dire la risposta paradossa ai sedativi.
Torniamo dunque alla nostra ricerca di senso dei CP. Abbiamo detto che il valore comunicativo dei CP non è né un dato certo né un dato “statico”. Qualche volta non c’è, altre
volte magari si costruisce strada facendo. Si costruisce strada facendo nella genesi del CP,
magari attraverso le risposte che a quel CP sono state via via date ed il valore funzionale
che esso ha assunto; si decostruisce e ricostruisce strada facendo, in modo migliore (si
spera), nella sua presa in carico.
Cosa dobbiamo fare di fronte ad un CP?
Dobbiamo intanto, porci alcune domande:
Possiamo riassumerle così:
1. Che funzione o quale insieme di funzioni svolge quel determinato CP? Comunicativa verso l’ambiente? Di autostimolazione? Di modulazione del flusso sensoriale? Un misto di tutto ciò?...
2. In quali occasioni è più frequente? Ci sono delle ricorrenze evidenziabili?
3. Quali comportamenti positivi del repertorio del soggetto autistico potrebbero essere utilizzati in alternativa e/o essere incrementati?
I temi fondamentali del percorso che da ciò può partire sono così riassunti da Carr:
1. I CP hanno in genere uno scopo per la persona che li manifesta
2. L’assessment funzionale serve per identificare tale scopo (o tali scopi)
3. Lo scopo dell’intervento è l’educazione e lo sviluppo di comportamenti alternativi,
non la semplice riduzione del CP. L’intervento cioè deve essere costitutivo di abilità.
4. Il CP ha spesso più scopi e richiede molteplici interventi: ad esempio la stessa persona può battere la testa a casa per ottenere l’attenzione del padre a casa, in classe
per costringere l’nsegnante a sospendere la richiesta di performance, al supermercato per ottenere una stecca di cioccolata. I tre scopi, ricerca di attenzione, fuga dal
compito, ottenimento di un cibo, sono diversi.
5. L’intervento richiede il cambiamento non solo degli individui ma del sistema di relazioni e del contesto.
242
6. La meta finale di ogni intervento è rivolta non al singolo problema ma alla persona,
al suo stile di vita.
Ognuno di questi punti richiederebbe un’intera relazione. Mi soffermo solo su pochi aspetti.
Anche i CP “omeostatici”, di riduzione o aumento o modulazione autarchica del flusso sensoriale sono segnali che richiedono una modulazione del contesto. Ad esempio può trattarsi di un contesto che facilita la chiusura, troppo povero di stimoli significativi, troppo
poco “alimentato”. Oppure, viceversa, può trattarsi di un ambiente troppo caotico, o iperstimolante.
Quando Carr scrive che la meta dell’intervento è lo stile di vita, contestualmente critica in
modo feroce quegli interventi eccessivamente al ribasso e segmentanti che in qualche modo
colludono con le caratteristiche dell'autismo, si basano su una idea astratta e decontestualizzata dei processi di apprendimento, non creano nessuna contestualizzazione positiva
e finiscono con l’essere isolati da qualsiasi valore ecologico:
“... ad esempio (di questa frammentazione e dell'incapacità di collegare strategie educative e contesti ecologici) ... si potrà pensare che un obiettivo sia infilare perline di vetro,
supponendo che questo esercizio, ripetuto, affini le abilità motorie o di attenzione da
usare, più avanti, in contesti lavorativi ... o andare in gita al centro commerciale a salutare Babbo Natale e le sue renne anche se la persona in questione ha 30 anni...” (E. G.
Carr , Il problema di comportamento è un messaggio).
In sostanza, riflessione sulle strategie di gestione dei CP, riflessione sui contesti abilitativi e riflessione sui contesti di vita, di una vita adeguata all’esperienza e alla
condizione di un adulto, sono problemi che non si possono scollegare.
Per questo abbiamo sviluppato un così forte interesse per il modello e l’esperienza delle
farm communities. Abbiamo avuto occasione di visitare diverse di quelle ricordate prima
da J. Giddan e siamo stati colpiti, insieme, dalla qualità di vita, dall’atmosfera affettivo-relazionale e dalla riduzione dei CP (fino ad un minore uso di farmaci).
Vi sarebbero tante altre cose. Ma su questa nota di speranza concludo.
243
La valenza dell’intervento psicomotorio e musicale
nelle attività didattiche e ludiche per l’autismo
Stefania Donda *
Riportiamo di seguito il materiale fornito da Stefania Donda durante gli incontri
Autismo e psicomotricità
Il gioco psicomotorio è il gioco che favorisce una stretta relazione tra l’aspetto psicologico
e l’aspetto più motorio, il corpo viene considerato come un linguaggio che parla (linguaggio non verbale).
Una delle difficoltà, nei ragazzi autistici è capire il loro linguaggio corporeo.
Io sono convinta però che a tutti i ragazzi piacciono i giochi tonico-emozionali e i giochi
senso-motori.
Vediamo quali sono le caratteristiche di questi due tipi di movimento.
Il dialogo tonico
È un movimento caratterizzato da continuità tonica, fluidità, che possiede una linearità circolare, privo di spezzettature, di brusche rotture, che modula il tono su una gamma centrale tra i poli opposti di tensione-distensione.
Possiede un ritmo lento, dolce, ondulare.
È il dondolare, cullare, oscillare.
Questo tipo di movimento è un elemento del linguaggio corporeo che comunica benessere,
presenza. Esso provoca una vera e propria iper-stimolazione di tutta la sensorialità interna,
quella vestibolare e labirintica in particolare, e di quella esterna, del tatto (vibrazione, calore).
Il significato fondamentale del movimento fusionale è il vissuto di esistere con... un vissuto che apre al piacere condiviso e alla comunicazione.
* Operatrice Spazio Autismo Seriate e Spazio Famiglia – Esperta in Psicomotricità con Diploma Isef
245
Il movimento senso-motorio
Il movimento senso-motorio, al contrario di quello tonico, è caratterizzato da brusche rotture toniche; invece che sulla continuità si basa sulle rotture.
È caratterizzato da corse, salti, cadute, rotolamenti, contatti violenti: spingere, tirare, arrampicarsi, scivolare, cadere, girare ecc.., tutti gli usi possibili del corpo, in genere vissuti
con la massima intensità sia fisica che emotiva.
Tutte queste attività hanno lo scopo di presentare al bambino il proprio corpo come complesso di potenzialità da scoprire attraverso il loro uso.
Ecco giustificata l’ebbrezza emozionale di un salto, di una corsa, di un lancio.
Il piacere senso-motorio, dicevamo è caratterizzato da rotture toniche continue e brusche,
è il gioco continuo di rilevare e perdere la propria dimensione corporea attraverso variazioni di peso, di equilibrio.
Tutto il movimento senso-motorio è un giocare sulle sensazioni che fondano e strutturano
l’identità corporea personale.
Il movimento stesso diventa l’elemento privilegiato dell’espressività corporea.
Partendo da questi due presupposti, ho provato il piacere di far sperimentare a questi ragazzi i due tipi di gioco, per stare ad osservare il loro comportamento e cercare di capire
(per tentativi ed errori) se anche per loro poteva essere un piacere e, in caso positivo, far
nascere in loro il desiderio di ripeterlo e, quindi, di comunicarmelo.
246
Riportiamo di seguito il materiale fornito da Gina Forlani durante gli incontri
Musica
DUPLICE ASPETTO
PIACERE
ASCOLTO
PRODUZIONE
EMOZIONI
ASCOLTO
• l’ascolto non è un’attività passiva: al contrario si mettono in gioco una serie di facoltà
fisiche, mentali ed emotive: immagini di sentimenti, ricordi, anticipazioni, divagazioni, emozioni;
• “sentire” è un lasciarsi andare, invadere dai suoni, senza avere sempre una reale percezione a livello cosciente;
• “ascoltare” presuppone un atteggiamento diverso, è una sollecitazione generale del
corpo e del pensiero che fa “andare verso il suono”.
ASCOLTO
PIACERE
MEMORIA
MOVIMENTO
Ascolto è anche UNIONE, gruppo
247
PRODUZIONE
•
•
•
•
percezione sensoriale
intenzione
relazione
dialogo sonoro
Percezione sensoriale
• utilizzo degli strumenti musicali per far “sentire il proprio corpo”
• stimolare all’ascolto sensoriale *
• l’effetto sinergico dell’approccio multisensoriale stimola l’apprendimento
*
ANALIZZATORE
FUNZIONE
CONSEGUENZA:
CAMBIAMENTI
TATTO
TOCCARE
DISCRIMINARE
OLFATTO
“SENTIRE”
ANNUSARE
GUSTO
“SENTIRE”
ASSAPORARE
UDITO
“SENTIRE”
ASCOLTARE
VISTA
VEDERE
GUARDARE
MOTRICITÀ
AGIRE
ESEGUIRE
Consapevolezza di sé e crescita dell’identità
INTENZIONE
• potenziare e sviluppare la tattilità, la motricità, la vocalità, la comunicazione, l’identità in un percorso che vede il bambino intenzionato al fare, all’agire per rilassarsi, sorridere, muoversi, volgere lo sguardo o porgere l’orecchio verso il
suono, giocare, partecipare per giungere al gesto guidato verso la relazione
intenzionale, voluta dal bambino stesso;
• l’idea che esiste intenzionalità anche in un corpo “prigioniero del deficit” è confermata dal fatto che molte risposte vengono date in un dialogo sonoro rispettando i
turni della comunicazione. È la mia finalità il potenziare e sviluppare questa abilità.
248
RELAZIONE
• prendere atto dell’esistenza degli altri come individui che interferiscono nei nostri
comportamenti;
• capacità di uscire dal proprio punto di vista ed assumere quello dell’“altro”;
• stabilire rapporti di collaborazione con gli altri anche per il raggiungimento di obiettivi comuni.
“DIALOGO SONORO”
Utilizzo degli strumenti per una comunicazione:
• ascolto
• rispetto dei turni
• espressione delle emozioni
EMOZIONI
•
•
•
•
•
•
ogni suono implica una reazione
ogni suono lascia in noi una traccia
ogni individuo dà ai suoni percepiti un carico di memoria, un carico di piacere
ogni suono fa vivere un’emozione
produrre un suono provoca una gratificazione fisica ed emotiva
suonare uno strumento è fonte di gioia e di energia
SEQUENZE DEL PERCORSO GIOCO-MUSICA
• Conoscenza:
– informazioni dai genitori e/o insegnanti e loro coinvolgimento anche durante
l’attività
• Osservazione:
– presenza di atteggiamenti esplorativi rivolti agli strumenti musicali;
– produzione di espressioni vocali spontanee o imitative, suoni onomatopeici,
canzoncine, …;
– atteggiamenti di attenzione ed ascolto alle produzioni sonoro musicali proposte;
– capacità imitative sonoro musicali;
– presenza di abilità ritmiche-musicali;
– presenza di atteggiamenti di condivisione e relazione.
249
• Finalità:
– sviluppare e migliorare la comunicazione con il mondo che ci circonda
– stabilire contatti attraverso canali diversi da quelli costituiti dalla lingua
– attivare l’interazione degli analizzatori sensoriali
– percepire gli effetti sonori prodotti dagli strumenti e dal corpo
– attivare una serenità globale nei vissuti
– agire con intenzionalità
STRUMENTI
•
•
•
•
•
•
di semplice utilizzo
di facile spostamento
di grande potenza sonora
che facilitino la creatività
di materiali diversi
IL PROPRIO CORPO
I b/i e gli strumenti
1)
2)
3)
4)
conoscenza
prova
scelta
utilizzo
Sequenze della produzione sonora
1) caotica
individuale, rispecchiamento
2) ritmica
3) creativa
4) dialogica
250
eseguita insieme
ATTIVITÀ
•
•
•
•
•
•
•
accoglienza tramite un oggetto sonoro, canzoncina di saluto
ascolto del b/o
proposte con gli strumenti musicali
canzoncine improvvisate a seconda delle necessità
movimenti
stimolo alla relazione
saluto finale
RIFLESSIONI
Nella mia esperienza ho riscontrato che il suono ha avuto potenzialità attivanti sotto ogni
aspetto favorendo:
– una crescente relazione sia diretta che mediante gli strumenti musicali;
– un uso del corpo maggiormente coordinato, un uso della voce differenziato: dal grido
al vocalizzo; dal vocalizzo alla parola;
– una maggior comunicazione sonora e gestuale;
– una capacità attentiva sempre maggiore;
– una capacità ritmica sempre più diversa, meno ripetitiva;
– un incremento delle abilità cognitive e didattiche (dal ritmo al numero).
251
“CONTRIBUTI”
Adolescenti ed adulti con autismo: la sessualità possibile
Alcune riflessioni
Paolo Aliata, Stefania Ucelli *
Tentativi di fuga, ritorni e riflessioni
Movimenti di istinto a fronte del tema sessualità: da un lato mettere le mani avanti: “è una
tematica difficile da trattare, già nelle persone con normalità, figuriamoci in quelle con disabilità, per non parlare poi in quelle con Autismo”…; dall’altro un altro primitivo movimento: affidarsi a disperate ricerche bibliografiche, che dicono alla fine della stessa difficoltà:
poco su sessualità e disabilità, pochissimo su sessualità e autismo. Infatti, sull’argomento
specifico della sessualità nelle persone con autismo, la letteratura è scarna.
La letteratura scientifica consiste da un lato in una produzione che di scientifico non merita neanche il nome: lavori che sono l’emanazione dei principi etici o della filosofia di vita
di chi la scrive, con la citazione di casi clinici o conferma di enunciati preformati. Per fortuna, però, dall’altro lato, fin dalla fine degli anni ’70, compaiono lavori e reviews nordeuropei basati sull’osservazione clinica di soggetti adulti, ad esempio svolta in contesti
residenziali e lavori di tipo psicoeducativo su come fornire ai soggetti disabili una educazione
sessuale appropriata, nella convinzione – che condivido pienamente – che la sessualità è una
dimensione fondamentale della vita umana e, quindi, un diritto che va tutelato con l’educazione per i soggetti disabili.
Considero ricco di spunti ed equilibrato il report Danese di D. Harecopos e L. Pedersen,
finanziato nella parte sperimentale del Ministero Danese per gli Affari Sociali.
Vi è inoltre un capitolo del libro di Schopler e Mesibov sugli adulti autistici.
Sono preziosi spiragli da tenere in considerazione, che però riportano al punto da cui è stato
attivato il mio primario tentativo di fuga.
Perché questa fatica ad affrontare il tema della sessualità nella disabilità e nell’Autismo? Come se il concetto di intimità, già così impercettibile e delicato, privato e, con
voluta ripetizione, “intimo”, svanisse ma mano che ci si allontana dalla normalità, per diventare rarefatto e quasi assente, almeno al pensiero, nella disabilità.
O come se, altra sfumatura dello stesso movimento, già fosse tanto oneroso affrontare tematiche “pubbliche” della disabilità, che diventasse faticoso affrontare anche la “privacy”
* Già Coordinatore e Direttore di Cascina Rossago
255
della persona disabile. O forse, e l’ipotesi più verosimile e pesante da condividere, ci sta
tutta la personale difficoltà a trattare di intimità e di relazioni tra intimità, sia da un punto
vista fisico che emotivo. Una sorta di proiezione di difficoltà verso il tabù sessuale. Difficile sarebbe per i normali affrontare le reazione che genererebbe un pensiero sulla sessualità per i disabili. Da qui rimozione e negazione.
Il fatto che davvero pochi studi e report sul disturbo autistico, dunque, si siano concentrati
su problemi di natura sessuale è probabilmente dovuto alla generale tendenza nella società
ad ignorare o perfino sopprimere la sessualità come una naturale ed integrata parte dello
sviluppo della personalità.
Nel ventesimo secolo, molte persone con disabilità mentali e fisiche sono state confinate
in istituzioni e la loro vita sottomessa a sorveglianza, controllo, sinonimo paradossale di abbandono. Queste persone non hanno avuto alcuna opportunità di avere una vita privata
nella quale la loro sessualità potesse svilupparsi all’interno di una struttura emozionale stabile, sicura e significativa. Ciò ha portato ad una sessualità repressa o soppressa, ad una vita
“monca” o con una attività sessuale spesso vissuta in circostanze umilianti e deprimenti.
Anche se già nel 1987 Buttenschon dimostra nel suo lavoro quanto falsa sia la convinzione
che le persone con ritardo mentale non abbiano o abbiano solo una ridotta attività sessuale, secondo le rivelazioni degli autori nordamericani è dura a morire la convinzione che
la sessualità delle persone con disabilità mentale sia pericolosa e incontrollabile. Questo è
evidente ogni volta che la persona “con normalità” si confronta con la persona con “disabilità” all’interno di ambienti residenziali in contesti urbani.
“Il fatto che io non abbia integrato alcuna rappresentazione dell’oggetto
non necessariamente significa che le mie rappresentazioni siano disintegrate. Per capirmi bisogna superare la teoria della relazione con l’oggetto.
Non sono affatto nata con quella struttura e non ne ho alcun bisogno. Ciò
non significa che la mia esistenza non sia tuttavia altrettanto piena, ma
semplicemente che è diversa. Apprezzo cose diverse nella vita e, come altri
individui autistici, voglio essere rispettata e considerata per quello che
sono” . (Gerland)
La sessualità fa fatica dunque a trovare un equilibrio nella percezione dell’asse vitale delle
persone con disabilità: dal niente all’eccesso, o una sessualità negata o una sessualità negativa (anche, o forse soprattutto, per gli altri “normali”), o una sessualità annullata e
annullabile o pericolosa. Come se là dove non vi sia segno o parola, o vi sia solo (all’estremo opposto) comportamento problema, non vi possa essere comunicazione, relazione, desiderio ed intento comunicativo di soggettività, di umanità di vita.
256
Ho la fortuna di lavorare a Cascina Rossago, che, tra le tante cose, per me è anche un prezioso laboratorio di riflessione sulla natura stessa dell’esperienza autistica, manifestamente
evidente e vera in un contesto così densamente vissuto nella quotidianità.
Da questa officina di costruzione di pensiero ed azione ho raccolto gli strumenti per provare a portare alcuni spunti di riflessione, per dare giusta “possibilità” al diritto di sessualità nelle persone come autismo.
La mia esperienza (anche se non lunga) e il mio modo di vedere le cose mi fanno dire che
esiste una sessualità possibile per il mondo della disabilità e dell’autismo in particolare che
mi è dato di vivere.
È una sessualità particolare, “personale”, “delicata”, “buona”, “naif”, insieme
espressione e ricerca, come tutte le sessualità, o la sessualità di tutti, di un bisogno, di un desiderio, di un’emozione, di un significato.
Rimane comunque pur sempre la mia esperienza ed il mio pensiero, senza alcuna pretesa
di esaustività e completezza.
Combinazioni difficili (e compromesse) di un percorso possibile: sessualità, ...
Anche per le persone con autismo è possibile una sessualità da vivere ed affrontare con le
caratteristiche proprie dei protagonisti. Questa possibilità si declina mettendo a sistema tre
“elementi vitali” che la persona vive: l’autismo, la sessualità e l’adolescenza/adultità. Tre
“essenze” che si combinano, si intrecciano.
Il percorso di riflessione parte dalle “competenze” richieste dalla sessualità, per verificarne la
“disponibilità” nelle persone con autismo alla luce delle caratteristiche nucleari del loro disturbo e per “calarle” poi nel periodo dell’adolescenza di un soggetto autistico. Ne esce un
quadro denso di “compromissioni” e di altrettante luci e aperture. Tutti spunti di riflessione.
Cosa è la sessualità? Cosa comporta? La sessualità è parte della crescita fisiologica collegata
alla maturazione neurologica, ormonale e psicologica. Si sviluppa normalmente insieme al sentimento di Sé attraverso l’interazione sociale e la comunicazione, il contatto fisico, il gioco e
l’assimilazione di regole e norme sociali. Sessualità è esperienza emozionale del proprio
Sé e del Sé con gli altri. È fantasia e fantasticare, è percezione e percepire, è immagine e immaginare. È sogno e sognare. È desiderio e desiderare. È attesa e capacità di saper aspettare
per rimandare l’appagamento del desiderio. È dolore e sofferenza, capacità di sacrificare e di
“sopportare” la frustrazione. La sessualità richiede, inoltre, tutta una serie di competenze
che riguardano la comprensione di significati e concetti simbolici e codici tratti dalla vita
quotidiana. Implica desiderio, capacità di controllare l’eccitazione e infine l’orgasmo. Deve
essere scoperta, messa in pratica, esperita. Necessita di tutto questo sia per svilupparsi
in una dimensione solitaria che di scambio con gli altri. Non può dunque essere data in
gioco, da sola od insieme agli altri, a prescindere dai valori di fondo.
257
… Autismo ...
La sessualità richiede in sintesi ampie e raffinate capacità di relazione, comunicazione,
immaginazione, proprio le aree di capacità compromesse nella persona affetta da disturbo
autistico.
Infatti, attraverso le versioni DSM-III (APA, 1980), DSM-IV (APA, 1994), ed aggiornamenti
DSM III – TR (APA, 1987) e DSM-IV-TR (APA, 2000), si definiscono, su un piano esclusivamente clinico- descrittivo, come criteri essenziali di identificazione del nucleo del comportamento autistico la contemporanea presenza di un:
o disturbo qualitativo della interazione sociale reciproca;
o disturbo qualitativo della comunicazione verbale e non verbale e dell’attività immaginativa;
o repertorio nettamente ristretto delle attività e degli interessi.
Tale base per l’elaborazione del costrutto diagnostico, proposta inizialmente per la definizione di Autismo Infantile del DSM-III-R (APA, 1987), è la cosiddetta triade sintomatologica (Wing e Gould, 1979).
Quale sessualità possibile alla luce di tali compromissioni? Quale sessualità per una persona
che definisce la propria realtà come “una massa interattiva e confusa di eventi, persone, luoghi, rumori e segnali.”, “inesorabilmente caotica”, in cui “niente sembra avere limiti netti,
ordine o significato” (Therese Jollife, in Temple Grandin, Thinking in Pictures, 1995).
“Io mi sento come se ogni emozione mi vibrasse dentro e mi facesse tremare come se prendessi la scossa. Questo mi succede con la rabbia, con
la gioia, con la tristezza, con la paura e se persone a me vicine sono emozionate io riesco a sentire quello che provano”. (I., 17 anni)
Sappiamo che l’interazione sociale, la comunicazione e il contatto fisico (e le relativa integrazione delle emozioni) sono aree problematiche di primo ordine per le persone con autismo. Sappiamo che una persona con autismo trova difficoltoso o non è in grado di
relazionarsi con altre persone e che spesso ha problemi nella comprensione e nell’espressione dei suoi sentimenti, bisogni e desideri. Noi sappiamo che la loro limitata fantasia e
abilità ad immaginare e la loro tendenza a ritualizzare e ripetere schemi comportamentali
in modo stereotipo impedisce di fare “esperienza della vita”. Essi sono limitati nella loro
abilità a relazionarsi alle esperienze, sia in relazione a contesti fisici, sociali e psicologici.
Sappiamo della sua nucleare difficoltà ad integrare le emozioni.
258
Può sembrare difficilmente “vivibile” una sessualità talmente compromessa nelle sue vie di
accesso, di pensiero e di azione, di esperienza. Di fondamentale significato è la presenza nella
definizione diagnostica del DSM-IV-TR dell’aggettivo qualitativo (incluso per la prima volta
nel DSM IV). Da un punto di vista “tecnico” richiama l’esistenza di un range di compromissioni piuttosto che l’assoluta presenza o assenza di un particolare comportamento quale sufficiente per soddisfare un criterio per la diagnosi. Da un punto di vista “educativo”, apre la
possibilità di cercare e trovare anche tramite abilità così fortemente compromesse,
ma esistenti, espressioni di soggettività, persone che, con o nonostante il loro
autismo possono, “esprimere” e vivere la loro sessualità, o “dire” la loro.
“Chiedetevi non quale malattia la persona abbia, ma piuttosto quale persona la malattia abbia”.
Oliver Sacks, “Un antropologo su Marte”
Vi possono essere anche altre compromissioni, anche se qui interessano gli aspetti psicoeducativi. Il processo di crescita e maturità sessuale di una persona con autismo infatti può
essere influenzato da un gran numero di disordini nel sistema nervoso, nel metabolismo e
nei processi ormonali. L’epilessia è comune e spesso richiede rimedi farmacologici. Farmaci antipsicotici sono spesso usati per limitare e contenere comportamenti aggressivi ed
autolesionistici e possono inoltre influenzare la pulsione sessuale. Studi tra adulti pazienti
psichiatrici indicano che gli antipsicotici possono avere un effetto inibitorio sulla libido,
sulla erezione e sulla eiaculazione (Mitchell & Popkin, 1983; Hertoft, 1987).
... e adolescenza
E, per chiudere (o per aprire?) il sistema: quale sessualità per l’adolescente con autismo.
Ecco il quadro all’interno del quale la sessualità mostra e chiede i suoi primi segni: “Il processo adolescenziale di per se stesso è in genere fortemente traumatico per i giovani autistici. L’intero contenitore mentale del processo adolescenziale è precario; il sistema delle
identificazioni personali è inadeguato, i processi introiettivi fortemente ostacolati. La montata pulsionale trova l’apparato mentale dei soggetti autistici impreparato a contenerla,
significarla, mentalizzarla ed integrarla. Quel faticoso e conflittuale processo di disinvestimento, emancipazione dai legami interni ed esterni, reinvestimento, re-introiezione di
nuove immagini identificatorie, alla ricerca di una identità autonoma che è l’adolescenza,
nel nostro risulta pressoché impossibile. Anche l’accesso al “contenitore sociale” delle
problematiche adolescenziali (gli schemi sociali, le immagini condivise, il gruppo dei coe259
tanei) la cui importanza è ben nota, è in questo caso impossibile. In queste condizioni
l’adolescenza rischia di essere un elemento disorganizzatore del sé, rinnovando quella originaria patologia del sé (altra faccia dell’impossibilità di costituirsi di una alterità e quindi
di una socialità condivisa) che dal punto di vista psicodinamico è l’autismo. Per questo gli
adolescenti autistici accentuano i meccanismi di difesa primitivi (smontaggio dell’esperienza, isolamento, chiusura, disinvestimento, bisogno di “sameness”) e per questo le faticose acquisizioni raggiunte sono spesso messe a dura prova…
Inoltre finito il faticoso periodo dei tentativi di inserimento scolastico, il giovane adulto autistico trova davanti a sé il vuoto: vuoto di interventi, vuoto simbolico, vuoto di prospettive
di vita” (Barale, Ucelli, 1999).
La pubertà con l’improvvisa crescita e l’evidente mutazione nell’aspetto fisico e con la prorompente pulsione sessuale può spesso produrre una forte ansia nella giovane persona con
autismo, che non sta capendo cosa gli stia succedendo. Nei ragazzi autistici che non
hanno malattie concomitanti e non sono sedati da neurolettici, il picco ormonale produce
un’impulsività difficilissima da integrare e da trasformare in un processo di significazione.
Il report danese riporta l’esperienza di una ragazza autistica che descrive l’orribile sensazione che sentiva dentro ed attorno alle zone genitali. Qualche volta, lei parlava rivolgendosi a queste parti, dicendo di smetterla. Passava da momenti in cui si faceva del male, ad
altre in cui rifiutava qualsiasi contatto per il disgusto che provava.
Le erezioni spontanee possono creare immagini di grande paura e sensazioni di incontrollabilità: immagini del pene che scoppia, che si stacca, etc… sono riferite di frequente.
Il difficile accesso alla comprensione delle norme e regole sociali e la compromessa capacità di relazionarsi, sotto effetto di una impulsività prorompente, possono creare dei problemi: un adolescente autistico può toccarsi in pubblico o masturbarsi o può toccare o
abbracciare o baciare estranei.
Il desiderio di avere un partner può diventare un’ossessione. È il momento degli innamoramenti, seguiti da inevitabile frustrazione. Difficoltà correlate a tentativi di stabilire legami “amorosi” e/o il rifiuto di forme inadeguate di sessualità e di contatto fisico, possono
confluire in comportamenti auto e/o etero-aggressivi o alla rimozione completa di ogni
forma di sessualità.
Quale sessualità rimane?
Sembra uscirne un quadro fortemente compromesso, se la sessualità per essere vissuta richiede competenze fortemente danneggiate nella persona con autismo e ulteriormente
stressate durante quei momenti altamente problematici, che sono lo snodo dell’adolescenza
ed il passaggio dall’adolescenza alla vita adulta.
260
Non è un problema di “quantità”, ma di qualità, ancora una volta, e di soggettività.
Dewery e Everad (1974) descrivono la sessualità degli autistici come “ingenua, immatura
e senza esperienza”.
Alla luce di questi attributi, questi autori affermano che il candore e l’aspetto infantile degli
approcci dell’autismo alla sessualità ne riducono la problematicità comportamentale, anche
rispetto ad altri disabili e malati mentali.
Senza guardare a ciò che non sappiamo – come è stato detto, vi è scarsa ricerca sulla sessualità nelle persone con autismo – si può dire che molte persone con autismo hanno una
pulsione sessuale e la esprimono attraverso la masturbazione, esattamente come la maggioranza degli adolescenti.
La grande differenza rispetto alla maggioranza degli adolescenti, consiste nel fatto che la
sessualità delle persone con autismo non fa esperienza dell’altro. Molte persone con autismo rimangono autocentrate durante l’adolescenza, apparentemente disinteressate, nel
passaggio all’età adulta nell’esplorare la loro relazione con gli altri.
Dove si mostra interesse, le abilità sociali richieste per creare e sostenere una relazione
socio-sessuale adulta sono spesso troppo immature per ottenere esiti positivi.
Con questo “candore”, “ingenuità”, immaturità” esce nella sua pienezza l’esperienza di
“persone non “malgrado” il loro autismo, ma nel cui autismo è presente una soggettività,
aurorale certo, ma per questo ancor più preziosa e degna di emersione (Barale et al., 1999).
Soggettività che rende ogni sessualità la sessualità di ognuno.
Viene in mente parte dell’enunciato numero 20 del documento “Sono autistico. Ecco cosa
mi piacerebbe sentirmi dire” di Angel Revier:
“Non paragonarmi sempre ai bambini “normali”.
Anche se per me è difficile comunicare, ho dei pregi: non inganno mai, non capisco le sfumature sociali ma non ho doppie intenzioni né sentimenti pericolosi”.
Una purezza ed innocenza di fondo che – mi piace pensare – non sia solo una caratteristica ascritta dell’ autismo, bensì frutto ed esito di un “percorso e di una storia” di
persone nelle quali, a partire da delle difficoltà di base (la vulnerabilità genetiche e/o
biologica che ha interferito con la normale maturazione del sistema nervoso centrale e con
lo sviluppo affettivo e cognitivo) si è prodotto un intreccio precoce ed evolutivo di
aspetti deficitari, emozionali, relazionali.
Mi piace pensarlo come qualità scelta/imposta per poter affrontare una “essenza” così
complessa, compromettente, coinvolgente e richiedente quale è la sessualità. E su questa
immaturità di fondo, possono interagire variabili personologiche (ci sono persone senza e
con autismo più “scaltre” di altre”) e fattori culturali ed educativi (quanto influisce l’educazione ricevuta sul nostro modo di affrontare la sessualità!)
261
È frutto di percorsi seppur aurorali, bensì faticosi di attribuzione di significati, di prese di
coscienza e di assunzione di comportamenti.
È ricerca di un diritto possibile, al di là degli esisti cui si giunge.
È tensione verso possibilità di espressione di qualcosa che è propria di ogni persona in
quanto tale, al di là dell’autismo.
Tommy ha scritto che “per colpa dell’Autismo non può fare sesso con le ragazze”, dove
l’ingenuità emerge paradossalmente da una saggia e dolorosa presa di coscienza. Come se
Tommy avesse capito ed esperito su di sé quanto siano complessi e difficili da integrare i
portati emotivi e fisici connessi alla sessualità ed avesse capito fin dove poter arrivare.
Tommy, come tutte le persone con autismo, si affeziona, stabilisce rapporti preferenziali,
nota le ragazze più carine, ha i suoi gusti e i suoi criteri di giudizio (non solo fisici).
“Essere autistico è un modo di essere. Anche se non è il modo “normale”,
la vita di una persona con autismo può essere appagante e felice come
quella di chiunque altro”. (Angel Rivier)
E così ognuno, facendo i conti con le possibilità (vincoli/risorse) che “ha dentro”, è come
se sapesse fino a che punto arrivare, oltrepassato il quale la frustrazione ed il turbinio emotivo sarebbe eccessivo da vivere e sopportare. L’idiosincrasia per le situazioni indefinite e
per le sfumature e per “le vie di mezzo” e la preferenza per la chiarezza (o il dentro o il
fuori), porta spesso a scegliere il fuori.
Questo spiegherebbe, come è stato rilevato nella letteratura, perché la sessualità nell’autismo mostra una minore problematicità comportamentale rispetto alle altre disabilità.
Ma il fuori, rispetto ad una situazione sessuale, non vuol dire non provare più emozioni e
pulsioni. Per tutte le persone, sia con autismo che con normalità, valgono i detti popolari
“al cuor non si comanda” e “l’uomo non è di legno”. Le persone con autismo si innamorano, mostrano attaccamento, si eccitano e sono pronte a stupire.
La ricerca danese, più volte citata, riporta che quando un autistico dirige la sua attenzione
verso altri, il “contatto” finisce immediatamente nel momento stesso in cui il contatto
stesso avviene. Mentre questa ricerca indica che le persone autistiche soddisfano il loro bisogno sessuale esclusivamente tramite la masturbazione e non attraverso il contatto con
altri, molte persone autistiche mostrano un forte interesse a desiderio di contatto intimo
con le altre persone.
La possibilità di una sessualità per le persone con autismo non si misura dunque da quanta..
Sessualità a modo loro. Sessualità loro e possibile. Fondamentale è l’intervento educativo di spiegazione, sostegno e di direzione da parte dei caregiver.
262
Comportamenti problema
Il percorso che porta a quella “messa nel cassetto” dell’essenza sessualità, che spesso avviene nella persona con autismo, può non essere facile. Corrisponde al percorso dell’adolescenza, in cui emergono i comportamenti problema di natura sessuale.
“Mentre noi possiamo domandare che le persone con autismo debbano rispettare certe regole e norme della società, noi dobbiamo anche rispettare
lo stile individuale delle persone. Non dobbiamo vedere l’autistico semplicemente come un deviante o uno che soffre di un handicap dal quale
deve essere alleviato. Non dobbiamo trascinarli nel nostro modo di pensare, sentire e soddisfare i nostri desideri, speranze ed ambizioni. Mentre
il loro modo di pensare può essere differente, non è “sbagliato”. Tuttavia,
non dobbiamo forzarli a vivere una vita come la nostra, ma dare loro la
possibilità di imparare da noi, così come dobbiamo cercare di capire e imparare da loro”. (Haracopos)
Il comportamento problema di natura sessuale “spaventa” forse più al pensiero che altro,
proprio per quell’aggettivo “sessuale” che – come visto nella premessa – mette più che
altro in difficoltà noi. In realtà, a mio parere, è possibile far fronte al comportamento problema sessuale riferendosi a quanto vale per la macrocategoria a cui appartiene, cioè i CP
in generale. Infatti, come per tutti i comportamenti problema, anche il comportamento
sessuale degli adulti con autismo non può essere considerato di per sé ma va
visto all’interno delle problematiche che costituiscono il nucleo dell’autismo e
della persona con autismo.
Secondo la prospettiva proposta dalla dottoressa Ucelli nell’incontro precedente, i comportamenti dunque non sono solo rappresentazione concreta di sintomi da cogliere come
fini a sé stessi, ma sono anche “conduttori” di soggettività e di esperienza, di valore
assoluto ed umanità.
Il titolo del libro di Carr “Il problema di comportamento è un messaggio” (Carr, 1988) è
di per sé emblematico.
Il comportamento problematico (Si definisce comportamento problema “un comportamento
culturalmente abnorme di tale intensità, frequenza e durata da porre in serio rischio la sicurezza fisica della persona o degli altri, oppure un comportamento che presumibilmente
limita in modo grave o fa sì che alla persona sia negato l'accesso alle ordinarie situazioni
della vita sociale” (Emerson 1995) che fa da contraltare agli aspetti più bizzarri e cinematografici presentati da Rain Man, che “tipologizza” solo una minoranza delle persone con
263
autismo, vanno letti all’interno di un quadro complesso che tenga conto di più fattori (neurobiologici, comportamentali, relazionali, ecologici) all’interno di una strategia positiva, di
ricerca e di senso, di comunicazione. Il comportamento problema che segna così spesso il
vivere della persona con Autismo non è qualcosa da identificare come secreto da un cervello
rotto, ma come all'espressione, distorta certo dalle difficoltà di base, di una soggettività che
si tratta innanzitutto di intendere, per farla, se possibile, evolvere (Ucelli, 2001).
Nel 1983, Gillberg così descrive i problemi che gli adulti autistici possono presentare:
1. tendono a masturbarsi in pubblico (che poi si tratta più di un toccarsi che di
masturbarsi, molte volte)
2. possono manifestare un comportamento “sessuale” inappropriato verso le altre
persone
3. possono utilizzare tecniche autolesive nella masturbazione.
Questi comportamenti vanno dunque compresi alla luce delle riflessioni precedenti circa
il binomio sessualità e autismo: quelle di relazione, comunicazione e attività immaginativa
sono requisiti richiesti dalla prima e competenze compromesse nel secondo. Fondamentale
è dunque tenere presente quell’ingenuità che nasce dalla compromessa capacità di comprensione delle regole sociali: non c’è dunque nulla di esibizionista in un giovane autistico che si masturba in pubblico, così come non c’è nulla di malizioso in un giovane
autistico che “tocca” qualcuno in modo inappropriato. Allo stesso modo la difficoltà a
comunicare e a stabilire relazioni sociali tende ad orientare i soggetti verso la masturbazione o come meta primaria (low functioning) o come risultato della frustrazione
dei tentativi di relazione o del fallimento delle aspettative.
La mancanza di attività immaginativa o la difficoltà a mantenere distinta attività
immaginativa e realtà favorisce l’uso di oggetti in modo meccanico-concreto (uso di cuscino – vaso) o come stimolo visivo, udito, olfattivo o in modo bizzarro, che ricorda l’uso
che ne fanno i feticisti (oggetti il cui significato eccitatorio è particolare o incomprensibile).
L’uso di oggetti durante la masturbazione per le persone con autismo corrisponde al naturale ricorso di fantasie sessuali per le persone con normalità.
In conclusione, il comportamento sessuale delle persone con autismo non è né deviante
né disturbato, ma piuttosto un espressione di una immaturità sociale ed emozionale, nucleo del disturbo autistico.
Possibilità
Come più volte detto, esistono pochi suggerimenti ben definiti su come si possa sostenere,
insegnare e far crescere la persona autistica in relazione ai suoi bisogni o desideri di natura sessuale. (Melone et al., 1987; Ford, 1987). Questo potrebbe essere un buon alibi per
264
evitare il passaggio, sempre difficile dal piano del pensiero a quello dell’operatività, o per
lo meno a quello dei principi operativi. Mi ricorda un po’ il tentativo di fuga inizialmente
attivato.
Penso che alcuni elementi siano fondamentali da assumere come base per ogni intervento o programma educativo, che riconosca alle persone con autismo la sessualità come
possibilità.
Mi aiuta ancora il prezioso Haracopos, diventato ormai mio indispensabile compagno di viaggio, quando identifica le politiche su cui fondare considerazioni e decisioni concernenti strategie e metodi di programmi e training circa la sessualità per le persone con autismo:
1. le persone con autismo dovrebbero avere il diritto e la possibilità di avere una vita
sessuale in accordo con i loro desideri e bisogni e con ciò che possono gestire.
2. Le persone con autismo hanno il diritto di ricevere guida e supporto, con riguardo
ai problemi sessuali irrisolti.
3. L’apprendimento di comportamenti sociali appropriati nei confronti della sessualità
dovrebbe avvenire in accordo con le regole sociali e le norme del posto di residenza
delle persone con autismo.
4. Il tipo di guida dovrebbe essere, prima di tutto, correlata a e dipendente su come
viene vissuta la sessualità dalle persone con autismo. È poi importante determinare
e valutare se i segni sessuali sono definiti, indefiniti o non presenti:
a. Quando la persona ha definiti segni di comportamento sessuale che consistono
in un problema sessuale irrisolto, allora il contesto ha un obbligo a direzionare
la sua attenzione al problema.
b. Se la persona mostra non chiari segni di comportamento sessuale, ulteriori osservazioni e informazioni devono essere raccolte per determinare come e se queste riguardino o meno un problema irrisolto.
c. Se la persona autistica non mostra segni di comportamento sessuale, il contesto
non dovrebbe deliberatamente stimolare la pulsione sessuale.
5. La sessualità dovrebbe essere vista all’interno di un contesto globale, così che
l’educazione ed il training non consistano solo nell’aiutare le persone con autismo
ad apprendere come masturbarsi e raggiungere l’orgasmo,nello inserire questo insegnamento in un percorso di coscienza di sé, di accettazione dei cambiamenti del
proprio corpo. In ultima analisi in un percorso di costruzione del Sé (…).
6. Quando una persona con autismo dirige il suo interesse sessuale verso un’altra persona, uno dovrebbe decidere quanto lontano andare nel supportare tale contatto.
Dato che esprimere la sessualità con un’altra persona consiste nel mostrare tenerezza, cura ed empatia, uno deve riconoscere che la maggior parte delle persone con
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autismo hanno una grande difficoltà a relazionarsi con le persone. Mentre potrebbe
essere necessario stabilire chiari limiti per l’interesse sessuale verso altri
della persona con autismo, uno dovrebbe essere cauto nel non essere troppo influenzato dalle affermazioni categoriche circa l’inabilità delle persone con autismo di
stabilire relazioni intime. Questo è particolarmente chiaro per le persone ad alto funzionamento che ha esperito sfortunatamente fallimenti in esperienze con l’altro sesso.
Metodi di trattamento sono ancora sotto studio ed è possibili che concentrati sforzi
possano permette a qualche autistico di gestire e raggiungere relazioni di intimità.
Emerge il bisogno che le persone con Autismo hanno per rendere possibile la loro sessualità, come espressione di soggettività. È un bisogno di comprensione, di supporto nella ricerca di percorsi non frustranti, di una protezione non castrante, ma che faciliti e
veicoli la possibilità di vivere “situazioni ed emozioni possibili”. È bisogno di progettazione e realizzazione di contesti tarati con il loro essere autistici e con il loro essere
persone, in modo inscindibile.
È bisogno di vita da persone “vere”: la vita è vera, reale se è offerta e supportata attraverso
un contesto educativo che tenga inscindibilmente conto sia della persona che della condizione particolare in cui vive. Non è vita da adulti, né tanto meno vita la richiesta continua
alla persona di adattarsi ad un luogo mentale, emotivo e di significati, ancor prima che fisico, che li fa sentire sempre più “pesci fuor d’acqua”, “angeli feriti”, “tesori sommersi” o
“antropologi su marte”. Questa è solo causa di ulteriore immersione, di ferita, di estraneità. È vita favorire e sostenere la soggettività mediante un contesto attento alle particolari esigenze della persona con autismo, in tutta la sua umanità.
Sono le persone stesse che mi hanno aiutato in questo percorso di riflessione, (le cui testimonianze mi sono permesso di incorniciare) a dirlo, e la loro parola, è più preziosa e densa
della nostra, perché le parole valgono di più se dette o scritte da persone con autismo. Tutti
sottolineano quanto sia fondamentale il contesto.
Therese Jollife dichiara “ha dedicato gran parte della mia vita al tentativo di scoprire il disegno nascosto in ogni cosa. La routine, scadenze predeterminate , percorsi e rituali specifici aiutano ad introdurre un ordine in una vita inesorabilmente caotica”.
Il 20° enunciato di “Sono affetto dia Autismo. Ecco cose mi piacerebbe dirti…”, conclude
“La mia vita può essere soddisfacente se semplice e ordinata, tranquilla,
se non mi chiedi in continuazione di fare cose troppo difficili per me”.
Così I. scrive: “solo se sento la calma di chi mi circonda riesco a stare tranquillo e concentrato”.
Il contesto non è solo struttura, layout, organizzazione spazio-temporale. Contesto è anche
stile, persone, pensiero, tensione, motivazione. La costruzione di un contesto per una
266
sessualità possibile non è solo questione legata ad opzioni di natura operativa: mi
sembra soprattutto una scelta di fondo che dipende da noi.
Davvero, “sta a noi decidere se vogliamo che l’autismo sia l’altra parte del mondo o il
mondo delle altre menti: isolato e distante, al confine tra il nostro sordo egoismo e la loro
muta sofferenza” (Baron- Cohen).E con la sessualità questo esce con maggiore forza e
propulsione.
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268
Articoli tratti da “L’Eco di Bergamo” del 7 Gennaio 2007
Autismo, un universo ancora tutto da scoprire
A colloquio con Olga Bogdashina, tra i massimi esperti mondiali: “serve comprensione”
L’invito a Bergamo, da parte della Provincia e di Spazio Autismo, di Olga Bogdashina rappresenta il salto di qualità da un buon progetto di rete territoriale dedicato agli autistici e
alle loro famiglie (nella foto lo “spazio autismo” nella scuola elementare del Villaggio Santa
Maria di Ponte San Pietro), a qualcosa che permette di innescare un processo di riabilitazione qualitativamente superiore, perché le conoscenze sul mondo percettivo degli autistici ha aperto porte nelle menti dei genitori, insegnanti e degli stessi tecnici preposti alle
diagnosi e alla terapia. Olga Bogdashina è una simpatica linguista russa, moglie di un inglese, che ha vissuto una decina d’anni in Ucraina e ora vive nello Yorkshire e lavora all’Università di Birmingham come docente.
Come ha cominciato ad occuparsi di autismo?
“L’autismo è nella mia famiglia: mio padre era un brillante matematico con un sacco di problemi nei rapporti sociali, ma si sa che i matematici vivono in un mondo tutto loro… Mio
fratello è uno storico, sicuramente autistico. Io riconosco in me tratti di personalità autistica e così pure è per la mia figlia maggiore. Ma è stato mio figlio a cambiarmi la vita. Ora
ha 18 anni, alla sua nascita la diagnosi, corretta, fu di autismo severo, senza speranza. Le
terapie e le informazioni che mi venivano suggerite non mi soddisfacevano del tutto, così
cominciai a fare ricerca per mio conto, osservando mio figlio e quanti più bambini autistici
potevo. Essendo già allora ricercatrice universitaria, possedevo un metodo per procedere razionalmente e non a tentoni. Progressivamente ho approfondito alcune ipotesi già presenti
sul terreno, anche perché, via via, testimoniate da autistici adulti ad alto funzionamento
come Grandin, Williams, Tito che hanno scritto libri sulla loro esperienza. Si sa che l’autismo è un disturbo, su base genetica, che coinvolge la relazione, la comunicazione e l’immaginazione e che ha varie forme, tanto da parlare di “spettro” piuttosto che di patologia
o di sindrome. A mio giudizio però si era posta poca attenzione al fatto che gli autistici reagiscono in modo diverso dal solito, e ognuno in modo diverso, rispetto agli stimoli sensoriali. Ma se tutti i loro sensi, fin dalla nascita, trasmettono percezioni diverse, allora le idee
sul mondo che il bambino autistico si costruisce devono per forza essere diverse dal solito.
Mi chiedevo se questa diversità avesse conseguenze sul comportamento e quali. Man mano
che procedevo in questa ricerca, constatavo che, la teoria aggiustata viva via sul comportamento di mio figlio funzionava e molti pezzi, prima inspiegabili, andavano a posto”..
269
Per esempio?
“Gli autistici, per il loro comportamento bizzarro, sono stati a lungo diagnosticati come
schizofrenici, pazzi. Ma se vediamo il mondo dal loro punto di vista i comportamenti diventano abbastanza logici. Molti autistici hanno una percezione di gestualità, cioè tutti
gli stimoli visivi e auditivi li colpiscono come un fiume in piena, senza possibilità di filtrare e armonizzare, dare un’architettura e delle priorità. Il risultato è che una situazione
troppo ricca di stimoli li sovraccarica dal punto di vista sensoriale e neurale, come un
computer che si blocca. Per questo mettono in atto strategie di gestione, come usare un
canale sensoriale alla volta: se devono fare attenzione a ciò che dici non possono contemporaneamente guardarti in faccia. Non è che siano terrorizzati, è che funzionano
così. A scuola la maestra chiede ai bambini di guardarla per ascoltarla meglio, agli autistici è impossibile. Alcuni hanno una vista frammentata, vedono gli oggetti scomposti, cubisti. Con questi autistici l’aiuto con immagini non serve, meglio comunicare attraverso
oggetti significativi che possono riconoscere col tatto o l’olfatto. Alcune teorie erano già
note, la ipersensibilità o iposensibilità degli autistici, si è scoperto che alcuni possono passare dall’ipo all’ipersensibilità, hanno percezioni fluttuanti. Io mi sono accorta che mio
figlio, che non rispondeva al suo nome detto ad alta voce o gridato, non era sordo perché quando scartavo in cucina una merendina arrivava subito. Gli autistici possono avere
una “propriocezione”, cioè una percezione dei segnali interni al proprio corpo, alterata.
C’è chi non sente lo stimolo della fame o della sete, chi non prova dolore, chi non ha lo
stimolo a urinare: non ha regolatori interni, deve aiutarsi con tabelle o suonerie che gli
ricordano cosa deve fare per non morire di inedia o trovarsi in situazioni imbarazzanti.
C’è il caso estremo di Tito, un ragazzo indiano molto grave al quale la madre riuscì a insegnare a scrivere. Tito, ora adulto, scrive che non ha mai sentito di avere un corpo. Per
sapere se è vivo o morto deve mettersi davanti a uno specchio, da bambino agitava una
mano guardava se l’ombra si muoveva. Un comportamento intelligente, ma chi poteva capirlo visto che non parlava?”.
Davvero antropologi su Marte, come il titolo del vecchio libro di Sachs.
“Sì, e uno diverso dall’altro, ognuno ha bisogno di una strategia sensoriale differente. Ho
elaborato una mappa sensoriale che ho chiamato “rainbow”, arcobaleno. Diversi test,
uno per la vista, uno per l’udito e così via, trascritti in colori diversi permettono di rendersi conto di quanto vengono usati i diversi sensi. La mappa ha il pregio di mostrare intuitivamente che ogni autistico è diverso dall’altro”.
Quindi ognuno esige un comportamento diverso per poter comunicare.
“Il punto è capire come ogni bambino percepisce. Ogni bambino deve avere un suo profilo e in base al profilo particolare si possono studiare le strategie”.
270
Gli autistici sono violenti?
“Non di proposito, sono strategie estreme per gestire una situazione per loro intollerabile. C’è sempre una ragione, nel presente o nel passato. C’era un omone autistico che
colpiva ogni volta che qualcuno diceva sorry, che in inglese si usa spessissimo. Abbiamo
alla fine capito che la prima volta che aveva udito la parola, contemporaneamente era
stato attaccato o fisicamente o psicologicamente, ed ecco allora che adesso la parola scatenava l’azione di difesa”.
Essere una linguista l’ha aiutata nella ricerca?
“Molto perché ha reso spontanea la domanda: se percepiscono il mondo in maniera diversa, allora sviluppano anche un linguaggio diverso per padroneggiare quel mondo? E
mi ha aiutato aver studiato i meccanismi della formazione del linguaggio per capire che
memorizzano in modo diverso, che le associazioni di idee procedono in modo diverso
ma non illogico”.
Comunicare sembra un’impresa disperata…
“Molto faticosa perché devi prevedere tutte le situazioni e tutta la situazione. Nella nostra scuola i ragazzi escono, li portiamo al cinema e gli insegniamo come fare. Se in città
ci sono 4 cinema li portiamo in tutti e quattro, e così via. È un processo molto lungo, evidentemente, e poi la stessa situazione non deve mutare. Per esempio, ho allenato mio
figlio ad andare al centro commerciale, un poco alla volta. E ha funzionato, ma un anno
l’ho portato nel periodo natalizio. C’era troppa luce, troppa gente, troppi stimoli, e lui si
è sovraccaricato, è saltato il sistema, era colpa mia ed è stato un disastro”.
C’è differenza tra autismo nelle femmine e nei maschi?
“Le donne si mascherano meglio, perché in ogni caso sono migliori comunicatrici. Quindi
le femmine sono sottodiagnosticate. Sanno imitare meglio, si mimetizzano. Ci sono molte
donne adulte che si autodiagnosticano l’autismo quando ricevono la diagnosi per i figli.
Riconoscono nei figli i problemi che avevano avuto loro e adesso sanno perché”.
Ci sono trattamenti per l’autismo?
“Ci sono centinaia di trattamenti per l’autismo, non ne funziona uno. Dico ai genitori di
non crederci, perché ogni autistico è unico e ha bisogno di un approccio multicentrico,
non esiste cura per l’autismo che funzioni per tutti. Dico ai genitori non cadete nelle
trappole dei mercanti dei trattamenti che approfittano della vostra disperazione”.
Come si fa a resistere con un figlio autistico?
“Dopotutto sono ancora viva! Certo a volte ho pensato che non ce l’avrei fatta, quando
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non mi hanno dato speranze, ho pensato che la mia vita era finita, poi ho pensato che
potevo aiutarlo se riuscivo a capirlo. Si parte dallo choc, poi c’è l’incredulità -non è vero
è normale-, poi c’è la colpa, ho fatto qualcosa di sbagliato, i miei geni sono sbagliati, poi
il rifiuto, perché a me e al mio bambino e non a quei disgraziati che abitano al numero
15? Poi, se riesci a fare lo sforzo di cambiare punto di vista, pensare che puoi aiutarlo,
allora cominci a respirare e poi arrivi ad apprezzare questo figlio autistico. Certo devi sviluppare un gran senso dell’umorismo, perché molte situazioni sono imbarazzanti perché non hanno segni esteriori di diversità. Poi lui dice ad alta voce, guarda mamma quella
signora sembra un bulldog, ed è vero, ma tu che fai? Una volta facevo la traduttrice a un
meeting anglo russo e tutto andava magnificamente. Alla fine la delegazione inglese invita i russi per un drink, c’è una pausa, e si sente mio figlio che dice perentorio: “ma
prima, tutti alla toilette…” adesso è buffo, allora non lo fu affatto. Per lui era la giusta routine: prima in bagno e poi a tavola”.
Susanna Pesenti
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Troppe sensazioni mandano in tilt
Altro che “fortezza vuota”, secondo una vecchia definizione dell’autismo. Al contrario, gli
autistici sono attraversati da un fiume in piena di sensazioni e percezioni tanto da esserne
spesso travolti. Lo ha ammesso bene in luce il convegno internazionale “Sensorialità e percezione nell’autismo”, che il 15 dicembre scorso ha portato per la prima volta a Bergamo
Olga Bogdashina. Convegno organizzato al Centro congressi dal Settore politiche sociali
della Provincia di Bergamo in collaborazione con l’Ufficio scolastico.
I lavori sono stati aperti dal saluto dell’assessore Bianco Speranza che ha ricordato l’impegno della Provincia cominciato nel 2001 e portato avanti con convinzione in rete con il territorio e con il contributo economico pubblico e privato: “Questo modo di procedere
coinvolgendo tutti, ci ha permesso – ha sottolineato – di costruire in comune accordo, nel
rispetto delle reciproche competenze, le risposte che le famiglie si aspettavano”.
C’erano più di 600 persone e un centinaio di iscrizioni hanno dovuto essere rifiutate per
mancanza di spazio, tutto il materiale è stato però videoregistrato e il Settore Politiche Sociali dell’assessore Bianco Speranza si è impegnato a pubblicare gli atti a tempo record.
Questi bambini riescono a dimostrare amore?
“Questi bambini non mostrano amore, qualunque cosa si faccia. È che non capiscono
quello che sentono, che nome dare a quello che sentono. Ricordo una sera, mio figlio
aveva 14 anni, era già a letto e io scrivevo al computer. Si è alzato, si è fermato sulla
porta e mi ha detto, mamma, ti voglio tantissimo bene, te ne ho sempre voluto… Ho
pianto… Ho dovuto aspettare 14 anni per sentirlo… E a lui ci era voluto tutto quel
tempo per capire cosa sentiva ed esprimerlo. Per un autistico vivere con noi è come
essere in un Paese straniero, non capire né la lingua né la cultura e questo nei due
sensi, lui verso di te e tu verso di lui. È importante godersi il proprio bambino, sono ragazzi che possono diventare meravigliosi, dare gioia. Ora non posso immaginare la
mia vita senza di lui”.
Lei ormai vede autistici, genitori e operatori in tutto il mondo. Che idea si è fatta
della situazione?
“I problemi sono gli stessi, dobbiamo tutti parlarci e tenerci in contatto per continuare
ad esplorare questo continente che è come un iceberg, quasi tutto sommerso”.
Lei è russa, com’è la situazione nell’Est Europa?
“Nell’Est Europa è terribile, ho vissuto in Ucraina 10 anni, pensavo che il mio fosse l’unico
bambino autistico, non c’era in giro nessuno, poi ho notato che non c’erano disabili in genere. Perché sono tutti chiusi in terribili istituti dove i genitori non possono entrare. In uno
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ci dissero che morivano cento autistici l’anno “per cause naturali”… Cosa significa, gli autistici non hanno disturbi fisici particolari. Non capivano quando si ammalavano e non li curavano? Lontano dai genitori morivano di solitudine? Io so solo che erano le undici del
mattino ed erano ancora a letto. È stato lì che ho deciso di aprire una scuola in Ucraina,
era il 1994, l’autismo non si diagnosticava, la diagnosi era di schizofrenia o ritardo grave.
Ho portato mio figlio dal medico e gli ho detto, guarda, questo è autismo… Ora viene diagnosticato e i genitori hanno auto organizzato altre scuole. Ma naturalmente gli istituti non
sono chiusi. Sono fiera di aver fatto muovere la situazione, è la cosa di cui sono più fiera”.
S.P.
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PROPOSTE
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AUTISMO
A CURA DEL CENTRO STUDI
Settore Politiche Sociali
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– Raffo S., La voce della pietra, Il Saggiatore, Milano, 1996
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– Sacks O., Un antropologo su Marte, Adelphi, Milano, 1995
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– Williams D., Il mio e loro autismo. Itinerario tra le ombre e i colori dell’ultima
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RIVISTE CHE TRATTANO FREQUENTEMENTE
IL TEMA “AUTISMO”
Autismo e disturbi dello sviluppo *
Quadrimestrale
Giornale italiano di ricerca clinica e psicoeducativa, edito da Erickson
Bollettino ANGSA
Bimestrale
A cura dell’Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici Onlus.
Difficoltà di apprendimento: sostegno e insegnamento individualizzato *
Trimestrale
A cura del Centro Sudi Erickson
Giornale di Neuropsichiatria dell’età evolutiva
Trimestrale
A cura dell’Organo Ufficiale della Società italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e
dell’Adolescenza
GID - Giornale Italiano delle Disabilità (the italian journal of disabilities) *
Quadrimestrale
A cura dell’Organo Ufficiale del Centro di Ateneo di ricerca e Servizi università di Padova
Journal of Autism and Development Disorders
Rivista specializzata su autismo e Disturbi Generalizzati dello Sviluppo più importante
a livello internazionale. A cura della Klumer Academic
La Rosa Blu
Trimestrale
A cura dell’ANFFAS Onlus (Associazione Nazionale Famiglie di disabili affettivi e relazionali)
* Disponibile presso il Centro Studi - Settore Politiche Sociali - Provincia di Bergamo
295
LINK
A cura di un’Associazione internazionale. Riunisce circa quaranta associazioni europee di
genitori; vi possono aderire anche persone singole.
Psicologia clinica dello sviluppo
Quadrimestrale
A cura della casa editrice Il Mulino
Risposte
Mensile
A cura di Oasi editrice
296
SITI INTERNET
1
SITI DI ENTI PUBBLICI O ASSOCIAZIONI
Asl 16 Mondovì - Ceva
www.alihandicap.org/ali/autismoIndi.html
Fondazione Bambini e Autismo
www.bambinieautismo.org
SITI SU ASPETTI SPECIFICI
Anni verdi
www.anniverdi.org
Autismo
www.geocities.com/~lerre/autismo.html
Centro Futura
www.bluepages.it/aziende/centrofutura/default.htm
Centro studi sulla Comunicazione Facilitata
www.geocities.com/HotSprings/Spa/2576
Comunità Passaggi
www.comunitapassaggi.it
Il Filo dalla Torre
www.filodallatorre.it
L’educazione del bambino autistico
http://digilander.iol.it/infoautismo
Progetto Horizon
www.autismo.it
1
Tratti dal sito “Gli Argonauti” (Associazione onlus che si occupa di interventi per l’Autismo e altri Disturbi
Generalizzati dello Sviluppo): http://www.gli-argonauti.org
297
SITI DI GENITORI O ASSOCIAZIONI DI GENITORI
A.G.S.A.S.
www.autismoperche.it
Aipa
http://digilander.iol.it/irpiniautismo
A.N.G.S.A. Emilia-Romagna
http://members.it.tripod.de/cristina
A.N.G.S.A. Lombardia
http://digilander.iol.it/angsalombardia
A.N.G.S.A. onlus
www.angsaonlus.org
A.N.G.S.A. Treviso
www.provincia.venezia.it/cidh/ospiti/ANGSA/angsa.htm
Autismando
www.autismando.it
Autismo e futuro
www.autismoefuturo.it
Autismo in rete
www.autismoinrete.org
Autismo Italia
www.autismoitalia.org
Autismo on-line
www.autismoonline.it
Autismo Sardegna
www.autismosardegna.org
Autismo Triveneto
www.nautilus.ashmm.com\autismo_triveneto\autismo_triveneto.htm
Il club della Letizia
www.club.it/letizia/indice-i.html
298
Insieme per l’autismo
http://web.tiscalinet.it/ass_inautismo
Oltre il muro
www.oltreilmuro.com
Peter Pan
www.assopeterpan.org
Pianeta Autismo
www.pianetautismo.org
Prometeo
http://prometeo-onlus.it
SINGOLE PAGINE IN ITALIANO
Analisi Psicologica
http://space.tin.it/scienza/vvolpi/it/autismo.html
Autismo - Lecco
www.merateonline.it/associazioni/associazioni_autismolecco.htm
Autismo, autismi e processi educativi
http://www.pegacity.it/abctel/files/autismi.htm
Autismo, pochi esami e pochi farmaci
www.pegacity.it/abctel/files/autismo.htm
Il Disturbo Pervasivo dello Sviluppo (PDD)
www.psiconweb.it/DocumentoPsichiatria_PDD.htm
Mappatura delle risorse per l’autismo sul territorio nazionale
www.comune.forli.fo.it/cda/speciale%20autismo.htm
mistro.virtualave.net
http://mistro.virtualave.net/autismo
Panoramica sull’Autismo
www.autism.org/translations/italian.html
SOS Psiche - Autismo
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299
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www.geocities.com/Heartland/Fields/6979
Autismo
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Autismus Therapie Ambulanz LiNie
www.autismus-online.de
Bundesverband Hilfe für das autistische Kind
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Center for the Study of Autism
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www.coping.org
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CSAAC
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Cure Autism Now (CAN)
www.cureautismnow.org
Division TEACCH
www.teacch.com
Facilitated Communication Institute
http://nodulus.extern.ucsd.edu/
Fondazione A.R.E.S.
www.fondazioneares.com
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http://nodulus.extern.ucsd.edu
Indiana Resourche Center for Autism
www.isdd.indiana.edu/~irca/Welcome.html
Laboratory for Research on the Neuroscience of Autism
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www.ladders.org/tarf
The Center for Human Development Research
http://www.uth.tmc.edu/chdr
304
The International Molecular Genetic Study of Autism Consortium
www.well.ox.ac.uk/~maestrin/iat.html
U.C. Davis M.I.N.D. Institute
http://mindinstitute.ucdmc.ucdavis.edu
Yale Child Study Center Developmental Disabilities Clinic & Research
http://info.med.yale.edu./chldstdy/autism
SINDROME DI ASPERGER
AHA/AS/PDD
www.lightlink.com/schissel/aap
Asperger’s Association of New England
http://aane.autistics.org
Asperger Syndrome Coalition of the United States
www.asperger.org
Asperger Syndrome Education Network
www.aspennj.org
Families of Adults Afflicted with Asperger's Syndrome
www.faaas.org
Gruppo Asperger ONLUS
www.asperger.it
MAAP
www.maapservices.org
Mission Possible
www.anythingispossible.ca
Online Asperger Syndrome Information & Support
www.udel.edu/bkirby/asperger
Oops... Wrong Planet Syndrome
www.isn.net/~jypsy
PDD/Asperger Support Group
www.pddaspergersupportct.org
305
Tony Attwood
www.tonyattwood.com
University Students With Autism And Asperger’s Syndrome
www.users.dircon.co.uk/~cns
SINDROME DI LANDAU-KLEFFNER
AMA-Landau-Kleffner na WWW - links para sites sobre Landau-Kleffner en todo o mundo
www.ama.org.br/links-lk.htm
Folks Friends of Landau-Kleffner syndrome
www.bobjanet.demon.co.uk/lks/folks.html
QEEG in Landau-Kleffner syndrome
http://fhdno2.tch.harvard.edu/www/qeeg/qeeglks.html
SINDROME DI RETT
International Rett Syndrome Association
www.rettsyndrome.org
Ontario Rett Syndrome Association
www.members.home.net/rettsyndromeontario
Rett Syndrome Research Foundation
www.rsrf.org
Rett Syndrome UK
www.rettsyndrome.org.uk
306
APPENDICE
Elenco delle pubblicazioni edite dal Settore Politiche Sociali della
Provincia di Bergamo
COLLANA “I QUADERNI DI RISORSE”
1)
Il disagio giovanile in provincia di Bergamo (1988/89).
A cura di Luigi Regoliosi
1989
2)
Un anno da scegliere: servizio militare e servizio civile.
A cura di Gennaro Esposito
1990
3)
Ripensare il carcere
dalla dissociazione all’inserimento sociale e lavorativo.
A cura di Alessandra Brambilla e Luigi Regoliosi
1991
4)
Un luogo, un tempo per progettare.
L’esperienza dei centri di aggregazione giovanile in provincia
di Bergamo.
A cura di Beatrice Testa
1991
5)
Itinerari dei preadolescenti.
Una ricerca sulla condizione dei preadolescenti in provincia
di Bergamo.
A cura di Francesco Belletti, Gennaro Esposito, Beatrice Testa
1993
6)
Dalle società chiuse allo scambio.
L’immigrazione nella provincia di Bergamo.
A cura di Consorzio Aaster, Centro Servizi Stranieri del Comune di Bergamo,
Assessorato ai Servizi Sociali della Provincia di Bergamo
1994
7)
Il tossicodipendente in carcere.
Atti della Giornata di Studio, Bergamo 2 aprile 1993.
A cura dell’Assessorato ai Servizi Sociali della Provincia di Bergamo
1994
307
8)
Servizi educativi in crescita.
I Centri Socio-Educativi in provincia di Bergamo (1986-1993).
A cura di Maurizio Colleoni
1994
9)
Regolamento edilizio.
Integrazione per il superamento delle barriere architettoniche.
A cura della Commissione Provinciale Consultiva per l’abolizione ed il
superamento delle Barriere Architettoniche
1994
10) Da frammenti di conoscenze a progetti di vita.
L’esperienza di integrazione tra i servizi per l’orientamento dei
disabili in provincia di Bergamo.
A cura del C.I.T.E. Regione Lombardia
1994
11) Servizi e cure domiciliari per gli anziani: problemi e prospettive.
Atti della Prima Conferenza provinciale sui servizi per anziani.
A cura di Rita Bianchin e Gennaro Esposito
1996
12) Servizi territoriali per disabili. Quale collegamento in rete?
A cura della Provincia di Bergamo – Assessorato ai Servizi Sociali e
dell’Azienda USSL 12 di Bergamo – Servizio di Assistenza Sociale
1996
13) Genitori e genitorialità.
Atti del Convegno, Bergamo 1 marzo 1997.
A cura del Gruppo di Studio
1998
14) Servizi per l’infanzia.
Nuovi modelli e bisogni familiari in provincia di Bergamo.
Atti del Convegno, Bergamo 22 marzo 1997.
A cura di Matteo Colleoni e Fiorenza Bandini
1998
15) Immagini dal buio, voci dal silenzio:
aspetti dell’integrazione sociale dei disabili sensoriali
in provincia di Bergamo.
A cura di Marco Galligani
2000
16) Genitori e genitorialità: una riflessione che continua…
Atti del Convegno, Bergamo 30 maggio 1998.
A cura del Gruppo di Studio “Genitori e genitorialità” e del Centro
IN.CON.TRA. per la Genitorialità
2000
308
17) Vado al massimo.
La ricerca dello “sballo” in adolescenza fra rischi distruttivi e spinta
creativa. Quale prevenzione?
Atti del Convegno, Bergamo 24 marzo 2000.
A cura di Cristiana Panseri e Emilia Strologo
2001
18) Genitorialità come bene di tutti.
Percorsi di condivisione e responsabilità nella comunità locale.
Atti del Convegno, Bergamo 17 febbraio 2001.
A cura del Gruppo di studio “Genitori e genitorialità” e del Centro
IN.CON.TRA. per la Genitorialità
2002
19) Il Terzo Settore nelle politiche sociali.
A cura di Silvano Gherardi e Lucilla Perego
2003
20) Bullismo pensieri e strategie.
Atti del Convegno, Bergamo 8 novembre 2001
A cura di Silvano Gherardi e Beatrice Testa
2003
21) Famiglie e dintorni: tra stare ed abitare.
Le politiche sociali a favore dei minori.
Atti del Convegno, Bergamo 29 gennaio 2003
A cura di Silvano Gherardi e Fiorenza Bandini
2003
22) Quaderno dei servizi per l’infanzia e le famiglie.
A cura di Fiorenza Bandini, Emilio Majer, Tiziana Morgandi, Beatrice Testa
2004
23) Povertà e vulnerabilità sociale in provincia di Bergamo.
Ricerca a cura della Fondazione Zancan e del Settore Politiche Sociali
2004
24) Da Spazio Autismo a Spazio Famiglia.
Un itinerario attraverso le opportunità operative nel contesto educativo
e del sollievo.
A cura di Silvano Gherardi e Gabriella Savoldi Cortinovis
2004
25) La relazione nonno-nipote in rapporto alla struttura familiare.
Tesi di laurea di Stefania Pisapia, vincitrice del “Premio tesi di laurea
in campo sociale”, IV edizione.
A cura di Silvano Gherardi e Federica Mangione
2004
309
26) Secondo Quaderno I servizi per l’infanzia e le famiglie.
A cura di Fiorenza Bandini, Emilio Majer, Tiziana Morgandi, Beatrice Testa
2006
27) Figli di immigrati, conoscenza ed azione per favorire l’integrazione.
A cura di Silvano Gherardi, Mangione Federica, Eugenio Torrese
2006
28) Sollievo,disabili e servizi: una lettura esplorativa
A cura di Simona Colpani, Lucio Moioli, Angela Perla, Antonio Rinaldi
2006
310
COLLANA “BERGAMO SOCIALE”
Pubblicazione annuale del Settore Politiche Sociali
1)
Bergamo Sociale n. 1
A cura del Centro Studi
2001
2)
Bergamo Sociale n. 2
A cura del Centro Studi
2002
3)
Bergamo Sociale n. 3
A cura del Centro Studi
2004
4)
Bergamo Sociale n. 4
A cura del Centro Studi
2005
5)
Bergamo Sociale n. 5
A cura del Centro Studi
2006
311
COLLANA “STRUMENTI DI LAVORO”
1)
Immigrazione.
Facilitare l’accesso ai servizi.
A cura di Silvano Gherardi e Federica Mangione
2003
2)
Documento di riferimento per la stesura della Carta dei Servizi
degli “Spazi per bambini e adulti”.
A cura di Silvano Gherardi e Beatrice Testa
2006
312
COLLANA “ITINERARI FORMATIVI”
1)
Emarginazione grave:
come intervenire, risultati e fatiche.
Atti del Corso di formazione, maggio 2002
2002
2)
Affido familiare:
tra legge ed operatività.
Atti del Convegno, Bergamo 23 novembre 2001
2002
3)
Alzheimer.
La ricerca di nuove letture.
Atti del Convegno, Bergamo 12 aprile 2002
2002
4)
A.I.D.S.
Il punto della situazione.
Atti del Convegno Nazionale, Bergamo 19 giugno 2002
2002
5)
Laboratori di solidarietà giovanile.
Materiali sul rapporto tra handicap e volontariato giovanile
in provincia di Bergamo.
Atti del Convegno, Bergamo 12 ottobre 2002
2003
6)
I Servizi Formativi all’Autonomia
in provincia di Bergamo.
Atti del Convegno, Bergamo 7 dicembre 2002
2003
7)
I processi di lavoro quotidiano con le famiglie.
Atti del Corso di formazione, 2001-2003
2004
8)
La qualità dei servizi integrativi per l’infanzia e la famiglia.
Atti del Corso di formazione, 2000-2003
2004
9)
Droga:
come parlare e intervenire con i nostri giovani.
Atti del Convegno, Bergamo 15 aprile 2003
2004
10) Pena Carcere Lavoro.
La giustizia in-divenire.
Atti del Convegno, Bergamo 9 giugno 2003
2004
313
11) Conoscere per ascoltare.
Indagine sulla Genitorialità Sociale.
Ricerca Azione Multifocale e Multilocale
2004
12) Fare posto alle relazioni di cura:
le famiglie accoglienti interrogano la comunità.
Atti del Convegno, Bergamo 26 marzo 2004
2005
13) Comunità Alloggio:
un’indagine sui minori accolti.
Ricerca Azione a cura dell’Osservatorio Disagio Minorile
2005
14) Lavoro di cura:
aspetti critici, significati e vissuti.
Atti delle giornate seminariali, aprile – maggio 2003
2005
15) Costruire la qualità:
i nidi famiglia in provincia di Bergamo.
Report 2003- 2006
2006
16) Progetti extrascuola. Laboratorio di esperienze e
apprendimenti fra sucola, famiglia e territorio.
A cura di Floris F., Majer E., Reggio P., Testa B.
2007
314
FUORI COLLANA
1)
Il nuovo processo penale minorile nella rete dei servizi.
A cura delle Province di Bergamo, Brescia e Mantova – Assessorato
ai Servizi Sociali
1991
2)
Valore e potenzialità della professione di ausiliario socio assistenziale.
Giornata di studio 4 maggio 1994.
A cura di Rita Bianchin
1995
3)
Social-mente utile.
Catalogo dei volumi, delle riviste e dei materiali del Centro Studi
e Documentazione sul disagio minorile e giovanile.
A cura dello staff del Centro Studi
1997
4)
A che cosa serve il centro di aggregazione giovanile?
La valutazione del lavoro educativo nei servizi per gli adolescenti.
A cura di Giuseppe Scaratti, Emilio Majer, Unicopli Milano
1998
5)
Questionario anamnestico multilinguistico di emergenza.
A cura del Settore Politiche Sociali, in collaborazione con il Comitato
Provinciale della Croce Rossa di Genova, il Soroptimist International
d’Italia – Club di Bergamo e il Comitato Provinciale di Bergamo
Ispettorato Infermiere Volontarie
2001
6)
Per conoscere… Come avvicinarsi alla sordità infantile…
A cura degli Istruttori Tecnici S.P.I.Di.S.
2002
7)
Il futuro possibile. L’orientamento dei disabili.
A cura di Silvano Gherardi, Maurizio Colleoni e Maria Carolina Marchesi
2002
8)
I servizi sociali nei territori montani.
A cura di Silvano Gherardi
2002
9)
Vademecum di orientamento per le realtà associative.
A cura di Silvano Gherardi e Lucilla Perego
2004
10) Accessibilità e sostenibilità nei territori montani.
A cura di Silvano Gherardi e Davide Fortini
2005
315
11) La genitorialità sociale: pensieri e azioni.
A cura del Gruppo di studio Genitori e Genitorialità e del Centro
IN.CON.TRA. per la Genitorialità
(Cofanetto contenente 9 opuscoli)
2005
12) Interagire nelle dipendenze.
Un percorso di ricerca e formazione.
A cura di Ivo Lizzola, Unicopli Milano
2005
13) Cartina Bergamo per tutti. Due itinerari turistico-culturali
2006
14) I Bulli non sanno litigare.
L’intervento sui conflitti e lo sviluppo di comunità.
di Daniele Novara, Luigi Regoliosi, Unicopli Faber
2007
316
CD-ROM
1)
Rapporto Immigrazione 2000.
A cura dell’Osservatorio Politiche Sociali – Area Immigrazione
2001
2)
Verso le nuove politiche socio educative e assistenziali per i minori
in provincia di Bergamo.
Territori, popolazioni, interventi e attori.
A cura dell’Osservatorio Politiche Sociali – Area Minori
2002
3)
Anziani:
uno sguardo al cambiamento.
A cura dell’Osservatorio Politiche Sociali – Area Anziani
2004
4)
Rapporto Immigrazione 2003.
A cura dell’Osservatorio Politiche Sociali – Area Immigrazione
2004
5)
I servizi per l’infanzia e le famiglie in provincia di Bergamo
A cura dell’Osservatorio Politiche Sociali – Area Minori
2006
6)
Accessibilità e sostenibilità nei territori montani
2006
7)
Rapporto Immigrazione 2006.
A cura dell’Osservatorio Politiche Sociali – Area Immigrazione
2006
317
Finito di stampare nel mese di Novembre 2007
dallo Studio Lito Clap snc - Bergamo
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