PROVINCIA DI BERGAMO Settore Politiche Sociali I QUADERNI DI RISORSE LA PROVINCIA DI BERGAMO PER L’AUTISMO Percorsi Formativi “Sensorialità e percezione nell’autismo” “Genitori ed autismo” I QUADERNI DI RISORSE LA PROVINCIA DI BERGAMO PER L’AUTISMO PROVINCIA DI BERGAMO Settore Politiche Sociali I QUADERNI DI RISORSE LA PROVINCIA DI BERGAMO PER L’AUTISMO Percorsi Formativi “Sensorialità e percezione nell’autismo” “Genitori ed autismo” Realizzazione: Provincia di Bergamo Settore Politiche Sociali Via Camozzi, 95 - Passaggio Canonici Lateranensi, 10 - Bergamo Tel. 035.387.652 - Fax 035.387.695 E-mail: [email protected] www.provincia.bergamo.it Coordinamento editoriale: Silvano Gherardi - Dirigente del Settore Coordinamento tecnico: Gabriella Savoldi Cortinovis - Coordinatore Provinciale Progetti Autismo La traduzione dei testi di Olga Bogdashina è a cura di: Gabriella Savoldi Cortinovis Si ringrazia per la preziosa collaborazione: Patrizia Pezzali Fotografie: Dario Bau Stampa: Studio Lito Clap snc - Bergamo Presentazione La pubblicazione di questo impegnativo quaderno di risorse ci consente di fare il punto sui percorsi formativi che il Settore Politiche Sociali della Provincia di Bergamo ha realizzato negli ultimi due anni nell’ambito del progetto autismo. È questa un’occasione per mantenere la memoria storica di un’attività che ci vede impegnati in prima persona ma, soprattutto, ci consente di offrire alle famiglie, al mondo della scuola e agli operatori documenti utili nel loro contesto di lavoro e di vita con persone affette da sindromi autistiche. Convinti che la formazione sia un aspetto basilare per potenziare le professionalità di coloro che si prendono cura di questa complessa disabilità, abbiamo privilegiato l’incontro con esperti italiani e stranieri in grado di aiutarci ad ampliare le conoscenze dei meccanismi alla base del “funzionamento” delle persone con autismo e, soprattutto, capaci di fornirci indicazioni operative chiare, concrete, con risultati misurabili. Per rispondere alle numerose richieste, che abbiamo ricevuto non solo dai nostri corsisti, ma anche da parte di persone che da tempo seguono con interesse nelle varie regioni italiane l’impegno della Provincia di Bergamo per l’autismo, abbiamo deciso di raccogliere tutte le relazioni del convegno internazionale “Sensorialità e percezione nell’autismo” e dei due percorsi di formazione “Genitori ed autismo” che abbiamo organizzato nel corso del 2006. Nella logica del lavoro in rete e nella profonda convinzione che alle parole devono seguire i fatti, abbiamo condiviso la programmazione degli interventi formativi con le Unità di Neuropsichiatria Infantile delle tre Aziende Ospedaliere bergamasche, con l’Ufficio Scolastico Provinciale, con i centri Spazio Autismo di Bergamo, Romano di Lombardia, Ponte San Pietro, Seriate, con il Centro Autismo della Valle Cavallina e con le istituzioni che hanno sottoscritto il protocollo provinciale dei centri spazio autismo o che fanno parte del nostro tavolo di coordinamento. Questo quaderno è la logica prosecuzione del testo “Da Spazio Autismo a Spazio Famiglia. Un itinerario attraverso le opportunità operative nel contesto educativo e del sollievo” che ha raccontato nel 2004 gli inizi della nostra esperienza e gli sviluppi dei nostri progetti, riscuotendo apprezzamenti che ci hanno spinto ad andare avanti. Bianco Speranza Assessore alle Politiche Sociali Valerio Bettoni Presidente 5 INDICE ATTI DEL CONVEGNO “SENSORIALITÀ E PERCEZIONE NELL’AUTISMO” 15-16 dicembre 2006 APERTURA DEI LAVORI Dr. Bianco Speranza Assessore alle Politiche Sociali - Provincia di Bergamo ...................................... pag. 13 IMPORTANZA E DIFFICOLTÀ DELLA DIAGNOSI PRECOCE NELLA PROGNOSI DEI DISTURBI GENERALIZZATI DI SVILUPPO Dott. Marco Tomaso Rho Responsabile U.O. Neuropsichiatria Infantile Azienda Ospedaliera Bolognini - Seriate ............................................................. pag. 15 CONVIVERE CON L’AUTISMO: TESTIMONIANZE DALLA VITA DI TEMPLE GRANDIN Intervista tratta dal sito www.leadershipmedica.com presentata da Dott.ssa Gabriella Savoldi Cortinovis Coordinatore Provinciale Progetti Autismo ......................................................... pag. 23 LA RICOSTRUZIONE DEL MONDO SENSORIALE NELL’AUTISMO Dott.ssa Olga Bogdashina Psicologa; Docente Università di Birmingham Presidente Associazione Autismo Ucraina .......................................................... pag. 25 LO SPETTRO DEI DISTURBI AUTISTICI AD ALTO LIVELLO DI FUNZIONAMENTO: COMORBIDITÀ, DIAGNOSI DIFFERENZIALE E VALUTAZIONE Dott.ssa Paola Visconti Responsabile U.O. Neuropsichiatria Infantile - Azienda Usl - Bologna ............ pag. 45 CONSAPEVOLEZZA EMOTIVA E ABILITÀ SOCIALI: ESPERIENZE CLINICHE Dott.ssa Roberta Truzzi Psicologa - U.O. Neuropsichiatria Infantile - Ospedale Maggiore - Bologna ..... pag. 65 7 I PROBLEMI LEGATI ALLA PERCEZIONE SENSORIALE NEI DISORDINI DELLO SPETTRO AUTISTICO Dott.ssa Olga Bogdashina Psicologa; Docente Università di Birmingham Presidente Associazione Autismo Ucraina .......................................................... pag. 77 ATTI DEL PERCORSO FORMATIVO “GENITORI ED AUTISMO” gennaio – maggio 2006 NUOVE FRONTIERE DELL’AUTISMO Dott. Maurizio Brighenti Responsabile Centro Diagnosi Cura e Ricerca per l’autismo, ULSS 20 di Verona - Primario di Neuropsichiatria Infantile Coordinatore Dipartimento Neuropsichiatria Infantile e Psicologia dell’Età Evolutiva .............................................................................. pag. 127 AUTISMO E LOGOPEDIA: PRINCIPI DI TERAPIA ED EDUCAZIONE AL LINGUAGGIO E ALLA COMUNICAZIONE Dott.ssa Sara Isoli Logopedista presso il Centro Diagnosi, Cura e Ricerca per l’autismo, ULSS 20 di Verona ........................................................... pag. 163 COME IMPLEMENTARE LA COMUNICAZIONE: RIFLESSIONI TEORICHE E SPUNTI PRATICI - PRIMA PARTE Dott.ssa Liliana Pensa Responsabile Scientifico Spazio Autismo Seriate e Ponte San Pietro Coordinatore Handicap per l’Istituto Comprensivo “A. da Rosciate” di Bergamo ................................................................................ pag. 187 COME IMPLEMENTARE LA COMUNICAZIONE: RIFLESSIONI TEORICHE E SPUNTI PRATICI - SECONDA PARTE Dott.ssa Gina Forlani Responsabile Scientifico Spazio Autismo Romano di Lombardia Docente dell’Istituto Comprensivo “E. De Amicis” di Bergamo ....................... pag. 203 8 COMPORTAMENTI PROBLEMA: GESTIONE DELLA CRISI E PROGRAMMI EDUCATIVI Dott.ssa Stefania Ucelli Ricercatore e Docente presso la Clinica Psichiatrica dell’Università di Pavia Responsabile Scientifico Fondazione Genitori per l’autismo Direttore Cascina Rossago ..................................................................................... pag. 225 LA VALENZA DELL’INTERVENTO PSICOMOTORIO E MUSICALE NELLE ATTIVITÀ DIDATTICHE E LUDICHE PER L’AUTISMO Dott.ssa Stefania Donda Operatrice Spazio Autismo Seriate e Spazio Famiglia Esperta in Psicomotricità con Diploma Isef ......................................................... pag. 245 Dott.ssa Gina Forlani Responsabile Scientifico Spazio Autismo Romano di Lombardia Docente dell’Istituto Comprensivo “E. De Amicis” di Bergamo ........................ pag. 247 “CONTRIBUTI” ADOLESCENTI ED ADULTI CON AUTISMO: LA SESSUALITÀ POSSIBILE ALCUNE RIFLESSIONI Dott. Paolo Aliata, Dott.ssa Stefania Ucelli Già Coordinatore e Direttore di Cascina Rossago ............................................... pag. 255 AUTISMO, UN UNIVERSO ANCORA TUTTO DA SCOPRIRE TROPPE SENSAZIONI MANDANO IN TILT Articoli di Susanna Pesenti tratti da “L’Eco di Bergamo” del 7 Gennaio 2007 ................................................................................................ pag. 269 PROPOSTE BIBLIOGRAFICHE ................................................................................... pag. 275 APPENDICE ............................................................................................................. pag. 307 9 ATTI DEL CONVEGNO “SENSORIALITÀ E PERCEZIONE NELL’AUTISMO” BERGAMO, 15 - 16 DICEMBRE 2006 Apertura dei lavori Bianco Speranza * Signore e signori, buongiorno. Desidero esprimere il mio vivo compiacimento per la vostra presenza qui oggi al convegno “Sensorialità e percezione nell’autismo”, organizzato dal Settore Politiche Sociali della Provincia di Bergamo. Noto con piacere che molte delle persone sedute in questa sala ci seguono da tempo e che accanto a loro ce ne sono molte altre, che provengono da province e regioni anche lontane. Questo mi induce a pensare che la scelta dei temi che verranno affrontati nel convegno odierno e nel seminario intensivo di domani risponde a bisogni formativi molto attuali e sentiti. Questo incontro ci offre lo spunto per una riflessione sull’impegno della Provincia nei confronti dell’autismo. Nella cartelletta che avete ricevuto al vostro arrivo, abbiamo inserito una scheda che riassume le tappe fondamentali che abbiamo compiuto dall’inizio del Progetto Autismo nel 2001 ad oggi. Senza dubbio, abbiamo conseguito risultati apprezzabili, che hanno richiesto un grosso sforzo organizzativo, risorse umane adeguate e risorse economiche non indifferenti, messe a disposizione, oltre che dalla Provincia, anche dalla Fondazione Cariplo, dalla MIA, dalla Fondazione della Comunità Bergamasca e dalla Fondazione Istituti Educativi di Bergamo. Fin dall’inizio abbiamo deciso di lavorare in rete con tutti i protagonisti di questo contesto: la scuola, attraverso l’Ufficio Scolastico Provinciale; le Neuropsichiatrie Infantili delle tre Aziende Ospedaliere locali, l’Istituto Sordomuti di Torre Boldone, che ha messo a disposizione una sede per “Spazio Famiglia” e si è fatto carico della sua realizzazione e gestione; infine le associazioni dei genitori. Questo modo operativo ha consentito di costruire di comune accordo, nel rispetto delle reciproche competenze, le risposte che le famiglie ed il territorio si aspettavano. Ritornando alla nostra attività formativa, abbiamo cercato di affrontare con gradualità gli aspetti più complessi delle persone affette da autismo o riferibili a questa sindrome, consentendo agli operatori dei centri “Spazio Autismo” e “Spazio Famiglia”, oltre al mondo della scuola e ai genitori, di mettere a fuoco temi di forte criticità praticamente poco conosciuti e per i quali sentono il bisogno di disporre di strumenti adeguati di intervento. * Assessore alle Politiche Sociali - Provincia di Bergamo 13 Tornando al tema odierno, è opportuno sottolineare che le abilità percettive sono basilari in ogni aspetto della nostra vita. Sebbene le persone con autismo vivano nella nostra stessa realtà fisica e abbiano a che fare con gli stessi input, il loro mondo percettivo si manifesta diversamente da quello degli altri. La loro percezione, come sentiremo oggi, li porta a conoscere la realtà in modo insolito e può manifestarsi con iper o iposensibilità, fluttuazioni fra diversi volumi percettivi e difficoltà ad interpretare i sensi. L’interesse per questi aspetti, non sempre adeguatamente indagati nella loro manifestazione quotidiana, ci ha spinto a porre l’attenzione sulla sensorialità e sulla percezione, temi sui quali interverrà la dott.ssa Olga Bogdashina, autrice di alcuni recentissimi testi, purtroppo non ancora tradotti in italiano. Domani avrà luogo il seminario intensivo di formazione dal titolo “I problemi legati alla percezione sensoriale nei disordini dello spettro autistico” con la dott.ssa Olga Bogdashina, rivolto nello specifico agli operatori ed agli insegnanti. Mi fa piacere ribadire il notevole interesse che hanno riscosso questi due momenti formativi, ai quali avete aderito in più di seicento: insegnanti di sostegno, educatori, operatori, psicologi e pedagogisti, ai quali si affiancano i genitori. Per concludere, prima di dare la parola ai nostri relatori desidero ringraziare la dott.ssa Gabriella Savoldi, coordinatore del Progetto Provinciale sull’autismo e la dott.ssa Patrizia Pezzali, che hanno organizzato questo convegno con il supporto dello staff della segreteria del Settore Politiche Sociali della Provincia di Bergamo. Visita della delegazione della Provincia al Centro per l’Autismo La Garriga (Spagna) 14 Importanza e difficoltà della diagnosi precoce nella prognosi dei disturbi generalizzati di sviluppo Marco Tomaso Rho * Ormai tutti, operatori e genitori sono consapevoli dell’importanza di porre diagnosi di Autismo il più precocemente possibile. La precocità della diagnosi infatti: – rende possibili trattamenti educativi precoci ed intensivi che sembrano determinare una prognosi migliore a distanza (Dawson, Rogers, Filipeck), forse “modificando l’organizzazione e l’espressività del patrimonio biologico” (Muratori); – permette di fornire consulenza genetica per ulteriori gravidanze, nei casi in cui è accertata la causa genetica (ad es: X fragile, Sclerotuberosi, ecc); – riduce lo stato di malessere generale all’interno del nucleo famigliare e lo stress dei genitori, che finalmente danno un nome ed una spiegazione ai comportamenti problematici del figlio. Il ritardo della diagnosi causa nel nucleo famigliare gravi danni secondari, che peggiorano la prognosi del bambino. La famiglia adatta i suoi comportamenti ai comportamenti del figlio autistico; i comportamenti compensatori dei genitori e dell’ambiente circostante a volte sono inadeguati e da molti specialisti sono considerati la causa e non l’effetto della sindrome autistica del bambino. Una diagnosi tardiva porta all’isolamento sociale della famiglia. È esperienza comune di questi genitori essere accusati come “educatori incapaci” per i comportamenti disadattivi del figlio. Questo nel tempo porta a difficoltà e timore di confrontarsi con genitori di bambini “sani”, che vengono concepiti come “fortunati”, distanti, con altre problematiche. Gradatamente si instaura una sorta di muro tra loro e gli altri con difficoltà a chiedere aiuto: “Chi può capire mio figlio?”, “Come fare a lasciarlo ad estranei?”. Con l’andare del tempo si sentono isolati, soli: “Nessuno in fondo ci può capire…” e come conseguenza si riducono anche le possibilità di crearsi amici del figlio. Ciò vale per tutti i soggetti dello spettro autistico, anche per i soggetti ad alto funzionamento o per i soggetti Asperger. Se l’isolamento sociale della famiglia e del bambino risulta essere un fattore prognostico negativo (ostacolo all’evoluzione della disabilità), invece risulta importante per migliorare la prognosi a distanza dei bambini autistici creare una “rete sociale”. * Responsabile U.O. Neuropsichiatria Infantile - Azienda Ospedaliera Bolognini - Seriate 15 L’accordo tra più agenzie che seguono il bambino (famiglia, scuola, servizi sociali, centri Autismo, oratori, servizi specialistici di NPI, etc.) permette di: • semplificare l’ambiente per renderlo più riconoscibile (riduzione degli stress) → aumentando così le capacita sociali del soggetto • sviluppare una relazione con i coetanei → migliora non solo la comunicazione, ma le capacità di ideazione • sviluppo di una comunicazione più adeguata → aumenta la qualità comunicativa Per quanto tutti siano d’accordo sulla precocità della diagnosi, non è così semplice farla, almeno all’inizio. (Le diagnosi a posteriori sono sempre più facili). “….Non esiste un singolo patognomonico deficit di sviluppo o comportamento che sia caratteristico di tutti i bambini con autismo; tuttavia la maggior parte dei bambini presenta un certo grado di compromissione nell’attenzione congiunta e nel gioco simbolico”. American Academy of Pediatrics: “Technical Report. The Pediatrician’s role in the diagnosis and management of Autistic spectrum Disorder in Children” Pediatrics vol. 107, 2005. Per fare una diagnosi di Autismo noi dobbiamo riscontrare ritardi o funzionamento anomalo in almeno una delle seguenti aree, con esordio prima dei 3 anni di età: • interazione sociale, • linguaggio usato nella comunicazione sociale, • gioco simbolico o di immaginazione. Alcuni sintomi compaiono già nei primi mesi di vita: 1) Carenza nell’attenzione congiunta; questa si manifesta nei seguenti modi: – difficoltà di contatto con lo sguardo (segue più gli oggetti che il volto della madre e non segue quando la madre guarda un oggetto); – difficoltà di interazione sociale (non manifesta gesti anticipatori: voltarsi quando arrivano i genitori, sorridere, allungare le mani, mancanza di piacere alla presenza dei genitori); – difficoltà di indicare/mostrare. 2) Alterata reazione alla voce o al nome (in un primo tempo sembrano sordi, spesso i genitori consultano uno specialista in otorinolaringoiatria in prima istanza, poi si rendono conto che sono in grado di sentire rumori anche minimi). 3) Scarso utilizzo della voce o modalità particolari di sviluppo del linguaggio che compare in epoca, ma che si limita alla ripetizione di pubblicità, filastrocche, senza finalità comunicative. 4) Disinteresse per l’ambiente e scarso o inadeguato utilizzo dei giochi (alcuni bambini non esplorano l’ambiente, come se non “vedessero” quello che sta loro intorno, 16 anche quando girano e/o corrono in giro per le stanze. Del gioco spesso interessa una particolarità sensoriale: le ruote, una superficie dalla consistenza strana etc.). 5) Movimenti autoconsolatori anche in situazioni di interazione (dondolii, sfarfalleggiamenti delle mani etc.). 6) Alterazioni del ritmo del sonno. 7) Particolarità nell’alimentazione (molti bambini masticano alcuni cibi e non altri, alcuni selezionano solo pochi cibi scartando gli altri etc.). Non tutti questi i sintomi sono presenti contemporaneamente. È difficile trovare un bambino che non abbia almeno in una fase del suo sviluppo qualcuno di questi segni, che sono causati da disagi o da nodi di sviluppo che tutti i bambini possono incontrare. Per supporre diagnosi di autismo devono essere presenti più sintomi contemporaneamente e per un certo periodo di tempo. Questi sintomi causano nel genitore differente preoccupazione al momento dell’apparire e non sempre sono riferiti al pediatra al momento della comparsa o nella loro esatta modalità di espressione. Molti genitori enfatizzano i sintomi, altri tendono a minimizzarli. Il pediatra stesso non sempre ha la possibilità di constatare di persona i sintomi del bambino e, se non insospettito, tende a sottovalutare i sintomi riportati dai genitori allo scopo di tranquillizzarli. Nelle linee guida SINPIA sull’autismo riguardo alla diagnosi precoce si auspica uno screening precoce da parte del pediatra di base. Nell’ambito dei periodici bilanci di salute, all’età di 18 mesi e all’età di 24 mesi dovrebbe essere somministrato un test screening standardizzato per lo sviluppo comunicativo-sociale. Viene consigliato l’uso della Checklist for Autism in Toddlers (CHAT) (Baron-Cohen et al., 1992). Test screening elaborato in Gran Bretagna ed utilizzato in diversi Paesi. Prevede 9 domande da rivolgere ai genitori e l’osservazione diretta di 5 comportamenti. I 14 item misurano vari aspetti dell’imitazione, del gioco di finzione e dell’attenzione condivisa. La CHAT, è stata utilizzata su oltre 16.000 bambini ed ha mostrato un’alta specificità ed un’elevata predittività (i bambini individuati sono quasi certamente affetti da Autismo), ma una bassa sensibilità (Baird et al., 2000). Utilizzando le risposte ad alcuni item-chiave, si può esprimere un orientamento per: • “Alto Rischio” di autismo (caduta in tutti gli item-chiave) • “Lieve Rischio” di autismo (caduta in definiti item-chiave) • Rischio per altri problemi di sviluppo (caduta in diversi item, ma non in quelli previsti per un rischio di autismo) • Nessun Rischio 17 A differenza della specificità e della predittività la sensibilità di questo strumento è insoddisfacente: ciò significa che bambini che all’età di 18 mesi sembrano presentare uno sviluppo “normale” possono poi mettere in evidenza, in epoche successive, comportamenti riferibili ad un Disturbo dello spettro Autistico. CHAT (prima somministrazione) e Diagnosi 6 anni dopo Totale del campione (16.235) Gruppo ad alto rischio (38) Gruppo a medio rischio (369) Non rischio (15.828) Autismo (10) Autismo (9) Autismo (31) DPS (1) DPS (13) DPS (30) Altre Diagnosi (7) Altre Diagnosi (37) Clinicamente Normali (20) Clinicamente Normali (310) CHAT (seconda somministrazione) e Diagnosi 6 anni dopo Totale del campione (16.235) Gruppo ad alto rischio (12) Gruppo a medio rischio (22) Non rischio (15.828) Autismo (9) Autismo (1) Autismo (40) DPS (1) DPS (9) DPS (34) Altre Diagnosi (1) Altre Diagnosi (10) Clinicamente Normali (1) Clinicamente Normali (2) 18 Un altro test screening molto utilizzato è la Modified - Checklist for Autism in Toddlers (MCHAT) (Robins et al., 2001). Si tratta, in pratica, della versione americana della CHAT, la quale prevede una lista di 23 comportamenti a cui i genitori rispondono con un SI/NO. Possono essere aggiunte 5 domande a cui il valutatore risponde dopo la visita. Va somministrata a 24 mesi e, a tale età, ha dimostrato una buona validità. Ma gli stessi autori sottolineano come il risultato sia stato facilitato dalla presenza nel loro campione del 43% di soggetti affetti da autismo (Wong et al., 2004). Una delle fonti più utili per fare diagnosi di Autismo sono le osservazioni della famiglia, sia attraverso dei questionari semistrutturati (ADI-R), che attraverso materiale documentario sull’evoluzione del bambino raccolte nei primi anni di vita. Studi di filmati familiari di bambini che successivamente hanno ricevuto una diagnosi di autismo hanno confermato l’attendibilità delle descrizioni dei genitori (Baranek, 1999; Brown et al., 1998; Osterling et al., 1998). In particolare, tali studi hanno evidenziato che: – Alcuni bambini presentano, fin dai primi mesi di vita, deficit delle competenze interattive e comunicative (forma ad espressività crescente). – Alcuni bambini evidenziano un apparente sviluppo normale sul versante comunicativo ed interattivo, ma nel secondo anno di vita presentano una perdita di tali competenze (autismo con regressione). – Alcuni bambini presentano un ritardo nelle competenze interattive e comunicative fin dai primi mesi di vita, seguito tuttavia nel secondo anno di vita da un arresto dello sviluppo e da una perdita delle poche competenze acquisite. Ma come si arriva ad una diagnosi ed in particolare ad una diagnosi di Autismo? La diagnosi è la sintesi della storia (anamnesi) del paziente, delle osservazioni cliniche (con eventuali test cognitivi, proiettivi, comportamentali), dei risultati degli esami strumentali, in cui tutte le evidenze da noi viste trovano un’unica giustificazione coerente per il medico e/o psicologo. Chiaramente questa “giustificazione coerente” si basa su una precedente formazione professionale, su una precedente casistica analizzata, su riferimenti culturali e scientifici precisi. Questo comporta un diverso modo di diagnosticare una “malattia”, che si pensa causata da cause non sempre coincidenti. Problema presente in tutte le diagnosi di tutte le discipline mediche. A volte ci si trova di fronte ad un aumento dei casi diagnosticati di una malattia e si pensa che si possa essere di fronte ad un’epidemia che ci riporta indietro alle storiche epidemie del passato (peste, colera ecc), ma è sempre così in tutti i casi, ad esempio nell’“Epidemia 19 della “malattia del sonno” nel nord Uganda nei primi anni ’60?”; nell’ “Epidemia di AIDS in Italia negli anni ’80?”; nell’ “Epidemia di Autismo negli ultimi anni?” Non sempre: si aggiorna la capacità diagnostica e si dà un nome a quello che prima non si riconosceva, ma era già presente. Ma perché è difficile fare diagnosi di disturbo pervasivo dello sviluppo (dello spettro autistico)? Alcune ipotesi, analizzando i diversi attori della diagnosi, possono suggerire: 1) I genitori Il timore della conferma di una diagnosi sospetta fa: • Enfatizzare i sintomi del bambino, per essere certi che allo specialista non sfugga qualche cosa, questo può condurre a falsi positivi. • Minimizzare i sintomi, nella speranza di una “normalizzazione” futura e se lo specialista non ha possibilità di riscontrare i sintomi nel momento della visita può sottovalure il problema. 2) Il bambino – Non tutti i bambini si comportano in modo uniforme in tutti i luoghi, in ogni momento della giornata e con i diversi adulti presenti. – Non tutti i sintomi si manifestano in modo costante nell’evoluzione del bambino e difficilmente si presentano contemporaneamente. – Le manifestazioni del bambino assumono significati diversi a seconda dell’età. 3) L’esaminatore • Diversi obiettivi dell’osservazione. • Modelli differenti di interpretazione. • Differenti opinioni su quando sia corretto informare i genitori della diagnosi. • Permanenza di alcuni “miti” sull’autismo. Anche l’apparente accordo sul così detto “autismo di Kanner” nasconde numerose diversità. Per unificare i comportamenti dei diversi servizi la Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SINPIA) ha concordato delle linee guida su come affrontare il problema dell’Autismo. Ci sono metodiche ormai standardizzate che si basano su: • interviste semistrutturate per genitori: ADI-R • scale di osservazione dei comportamenti del bambino CARS • ADOS • osservazioni del comportamento del bambino in diversi contesti 20 Il lavoro svolto dalle diverse associazioni di genitori e la comparsa in commercio, anche in Italia, di libri riportanti esperienze di vita di genitori e soggetti autistici hanno modificato la valutazione e l’approccio sull’autismo. Questa situazione ha fatto sì che: • Negli anni l’età media delle diagnosi dei bambini affetti da autismo è andata diminuendo. • La maggior parte delle richieste di consultazione giungono spontaneamente dai genitori e spesso prima dell’ingresso alla scuola materna. • In molti casi ci si rende conto che i comportamenti del ragazzo rientrano nello spettro autistico, soprattutto nei soggetti Asperger. La diagnosi non è sempre facile, molte sono le condizioni da tenere in mente, questo può essere superato se tutti gli adulti che vivono attorno al bambino comunicano tra loro, questo permette di completare le osservazioni sul bambino in un insieme coerente e significativo. Solo una collaborazione tra diverse professionalità può aiutare a risolvere il problema! 21 Convivere con l’autismo: testimonianze dalla vita di Temple Grandin Intervista tratta dal sito www.leadershipmedica.com presentata da Gabriella Savoldi Cortinovis * Quali sono i problemi e le difficoltà che incontrano le persone affette da autismo nella loro vita quotidiana? Per esempio, uno dei principali problemi nell’autismo è dato dai problemi sensoriali. I problemi sensoriali sono: pelle ipersensibile e problemi tattili, uditivi e visivi. Questi problemi variano molto da bambino a bambino. Ci racconta la sua esperienza a riguardo? Per esempio, il lavarmi i capelli e vestirmi per andare a messa erano due cose che da bambina non sopportavo. Molti bambini odiano indossare i vestiti della domenica e fare il bagno. Tuttavia a me fare lo shampoo provocava vero e proprio dolore al cuoio capelluto. Era come se le dita che mi frizionavano la testa avessero dei ditali sulla punta. Le sottovesti ruvide erano come carta vetrata che mi graffiavano direttamente le terminazioni nervose. Infatti, non sopportavo assolutamente il dovermi cambiare i vestiti. Una volta abituata ai pantaloni non sopportavo più la sensazione delle gambe nude quando portavo la gonna. Dopo essermi abituata ad indossare pantaloncini corti in estate, non sopportavo più i pantaloni lunghi. Sono dunque diversi i tempi di adattamento? Sì: la maggior parte delle persone si adatta nel giro di alcuni minuti, ma io impiego ancora almeno due settimane ad adattarmi. Porto un reggiseno fino a quando è completamento usurato ed un reggiseno nuovo deve essere lavato almeno 10 volte prima di sentirmelo comodo addosso. Ancora oggi, preferisco indossarlo alla rovescia, perché le cuciture mi sembrano spesso delle punte di spillo che mi pungono la pelle. I genitori possono evitare molti capricci indotti da problemi sensoriali vestendo i bambini con abiti morbidi che coprano la maggior parte del corpo. * Coordinatore Provinciale Progetti Autismo 23 Anche l’udito le procurava problemi? Sempre quando ero piccola, i rumori forti costituivano anch’essi un problema e sembravano spesso come il trapano di un dentista a contatto con il nervo. Causavano dolore fisico. Ero terrorizzata dai palloncini che scoppiavano, perché il loro suono era per me come un’esplosione nelle orecchie. Suoni lievi che molte persone riescono ad ignorare tranquillamente costituivano per me motivo di distrazione. Quando frequentavo il college, l’asciugacapelli della mia compagna di camera sembrava un jet a reazione in fase di decollo. Alcuni dei suoni che disturbano maggiormente i bambini autistici sono i suoni acuti e striduli prodotti da trapani elettrici, frullatori, seghe ed aspirapolvere. L’eco che si produce nelle palestre e nei bagni delle scuole è difficile da tollerare per gli autistici. I tipi di suono che disturbano di più variano da persona a persona. Un suono che mi produceva dolore fisico poteva risultare piacevole ad un altro bambino. Ad un bambino autistico possono piacere gli aspirapolvere e un altro può averne paura. Alcuni sono attratti dallo scarico o dallo sciacquio dell’acqua e passano ore a tirare lo sciacquone, mentre altri possono farsela addosso dalla paura perché il rumore dello scarico sembra il rombo delle Cascate del Niagara. E per le percezioni visive degli autistici che cosa ci può raccontare dalla sua esperienza? Per esempio, l’illuminazione a fluorescenza dà grossi problemi a molti autistici, perché possono vedere uno sfarfallio a sessanta cicli. L’elettricità ad uso domestico si accende e si spegne sessanta volte al secondo ed alcuni autistici percepiscono visivamente questo fenomeno. I problemi causati dallo sfarfallio possono variare da stanchezza visiva fino alla visione della stanza che pulsa di luce che si accende e si spegne. La percezione di immagini visive distorte potrebbe spiegare perché alcuni bambini autistici prediligono la visione periferica. Probabilmente ricevono informazioni più attendibili se osservano le cose con la coda dell’occhio. Una persona affetta da autismo ha dichiarato di vedere meglio lateralmente e che quando guardava le cose direttamente non le vedeva. I problemi sensoriali legati all’autismo sono spesso trascurati dai ricercatori e dagli educatori perché ritengono che il miglioramento prioritario da conseguire nell’autismo consista negli aspetti sociali ed emozionali. Certo i problemi sociali ed emozionali sono gravi nell’autismo, non crede? Da piccola, mi riusciva impossibile raccogliere i suggerimenti riguardanti la vita sociale. Quando i miei genitori cominciarono a pensare al divorzio, mia sorella avvertiva la tensione; ma io non avvertivo nulla perché i segnali erano impercettibili. I miei genitori non hanno mai avuto grossi litigi davanti a noi. I segnali di conflitto emozionale erano stressanti per mia sorella, ma io non me ne avvedevo neppure. Poiché i miei genitori non dimostravano rabbia reciproca in modo evidente e aperto, io non avvertivo la tensione. 24 La ricostruzione del mondo sensoriale nell’autismo Olga Bogdashina * 15 dicembre 2006 È un piacere per me trovarmi qui per la prima volta oggi in un Paese che, devo ammettere, di non conoscere molto bene. Ciò che mi appare immediatamente evidente è la differenza del tempo meteorologico, che differisce molto da quello dell’Inghilterra. Oggi ho trovato un tempo stupendo e voi siete veramente fortunati. Quando ho lasciato Manchester, alle quattro di questa mattina, stava piovendo. Per iniziare, parlerò un po’ di me, perché credo sia importante. Diciotto anni fa ero a capo del Dipartimento di Linguistica di un’Università dell’Unione Sovietica; ero lettrice di linguistica e non avevo mai sentito parlare di autismo. Poi è nato mio figlio, al quale venne fatta una diagnosi di autismo che lo definiva senza speranze. È proprio da questo momento che ho iniziato la mia ricerca, scoprendo che mio figlio aveva un profilo a basso funzionamento. Egli non ha parlato fino all’età di sette anni; mai una parola, faceva soltanto dei versi. Mi ricordo di aver pregato tutte le notti: “Per favore inizia a parlare; ti prego; poi ti racconterò tutto su questo mondo”. Adesso ha 18 anni, è un ragazzo molto alto che parla correttamente russo e inglese. Certo è autistico, è ancora autistico. Ora mi capita di dirgli: “Stai un po’ zitto” perché parla continuamente, non smette mai di parlare. A volte è veramente difficile rispondere a tutte le sue domande. La ricerca che ho portato avanti in questi anni ha aiutato me, ha aiutato mio figlio e centinaia di bambini con i quali ho lavorato. Proprio per questo, credo sia una ricerca importante in questo settore. Quando parliamo di autismo pensiamo alla triade delle menomazioni più evidenti: la menomazione nell’interazione sociale, quella nella comunicazione, quella nell’immaginazione. È giusto, certo, e necessario fare una diagnosi di autismo e riconoscerlo, però non dobbiamo mai dimenticare che, una volta individuata l’esistenza di questa triade, nessuno ci dice il motivo per cui questi pazienti hanno menomazioni nell’interazione sociale, nella comunicazione e nell’immaginazione. * Psicologa; Docente all’Università di Birmingham; Presidente Associazione Autismo Ucraina 25 La diagnosi di autismo è basata sui seguenti comportamenti – Deterioramento nell’interazione sociale – Deterioramento nella comunicazione – Deterioramento nell’immaginazione Questo è il motivo per cui preferisco, personalmente, la teoria dell’autismo chiamata “iceberg”, che considera la triade per ciò che essa è: soltanto quello che si vede al di fuori della superficie dell’acqua, sotto la quale esiste un altro mondo sconosciuto. L’iceberg dell’autismo La triade dei deterioramenti I SISTEMI DI PENSIERO LE ABILITÀ LE PERCEZIONI I SENSI ... Ci sono cose che non conosciamo assolutamente. Questo è il motivo per cui nell’ultima linea ho messo dei punti di sospensione. Noi non sappiamo le cause dell’autismo, ma quello che adesso ci è noto è che le persone con autismo hanno delle differenze nella percezione sensoriale e i loro sensi funzionano diversamente dai nostri. Questo è il motivo per cui anche le loro percezioni sono diverse, li portano a sviluppare capacità completamente diverse e a pensare in maniera diversa. 26 I problemi della percezione sensoriale nell’autismo ora sono riconosciuti, ma sfortunatamente sono spesso troppo semplificati Quando parliamo di problemi sensoriali, la prima cosa che si immagina è un bambino seduto, che si copre le orecchie per non sentire e che si culla avanti e indietro. Questo è il motivo per cui questi problemi sono spesso descritti come ipersensibilità agli odori, ai suoni, ai profumi, ma se identifichiamo tutte le ipersensibilità di ogni singolo bambino e strutturiamo l’ambiente circostante alle sue necessità, questo significa che abbiamo risolto il problema? Ipersensibilità Se individuiamo le ipersensibilità di ciascun individuo e adattiamo l’ambiente ai suoi bisogni, significa che tutti i suoi problemi saranno risolti? Olga Bogdashina durante il convegno 27 Assolutamente no. Per esempio mio figlio è decisamente ipersensibile soprattutto dal punto di vista visivo; non tollera la luce forte. Se andiamo insieme a fare le spese in uno degli enormi centri commerciali che ci sono in Inghilterra, se potessi entrare prima e chiedere di spegnere tutte le luci, pensate che risolverei il suo problema? No, assolutamente no. Le ipersensibilità sono conseguenze di altri problemi sensoriali, che caratterizzano l’autismo e proprio di questo io parlerò. Un altro aspetto critico è che per noi è difficile immaginare di percepire un mondo diverso dal loro; anche se non sono ciechi, né sordi. Quindi, se noi non possiamo immaginare come sia il loro mondo, come potranno essi comprendere il nostro, se non sono consapevoli di percepirlo in modo diverso rispetto al 99% della popolazione? Il problema per molte persone con autismo è che non si rendono conto del fatto che lo sviluppo della loro percezione sensoriale è diverso. Un pensiero tipico che potrebbero avere è il seguente: “C’è qualcosa che non funziona in me. Non riesco a fare le cose nella maniera giusta e tutti sono adirati con me. Non importa quanto io ci provi con tutte le mie forze, qualcosa va sempre storto. Gli altri riescono a fare cose che io non riesco. Deve essere colpa mia se ho tanti problemi”. (Spicer) Quindi, per capire cosa essi provano, immaginiamo di essere daltonici e di trovarci in una classe insieme ad altri alunni. Vi viene dato un foglio di carta con delle istruzioni scritte in rosso su sfondo verde, colori che non riuscite proprio a distinguere. Quindi tutti gli altri studenti sanno che cosa devono fare perché riescono a leggere il testo, mentre a voi il pezzo di carta appare grigio e senza alcuna indicazione. Le istruzioni sono stampate in rosso su sfondo verde, ma tu sei daltonico e non puoi distinguere tra il rosso e il verde. Sapresti che cosa fare? Questo è soltanto un esempio perché voi riusciate ad avere un’idea di quello che le persone con autismo possono provare. Donna Williams ha detto: 28 “Quando qualcuno mi cominciava a spiegare come altre persone giudicavano il mio comportamento, comprendevo che ogni comportamento ha due definizioni: quella degli altri e la mia. Queste persone “utili” cercavano di aiutarmi a “superare la mia ignoranza, ma non provavano mai a comprendere come io vedevo il mondo”. Dico questo perché voi cerchiate di capire i diversi stili percettivi. Tutti abbiamo sette sensi: la vista, l’udito, il tatto, l’olfatto, il gusto, il sistema vestibolare, la propriocezione o consapevolezza del proprio corpo. Questo ultimo senso che ho citato è estremamente importante, perché molte persone autistiche hanno proprio problemi con la propriocezione, che non riguarda un problema di movimenti del corpo, ma di ricettori interni. I sensi vista - udito - tatto - olfatto - gusto consapevolezza di sé - sistema vestibolare Alcuni bambini autistici non sentono la sensazione della fame. Il loro corpo non trasmette mai il messaggio “è ora di mangiare”, ed essi vanno avanti per ore e per giorni senza mai mangiare. Altri bambini possono avere il problema opposto: il corpo non dice loro quando devono smettere di mangiare. Quindi, continuano a mangiare, a mangiare e a mangiare senza mai sentirsi sazi. In altri bambini il corpo non è in grado di trasmettere lo stimolo di andare in bagno, anche se sono ad alto funzionamento. Per esempio Donna Williams mi disse, tra le altre cose, che aveva proprio questo problema: “Io non lo so, non lo so, non ho mai lo stimolo di andare in bagno”, per questo aveva una tabella appesa al muro con l’indicazione degli orari in cui doveva recarsi in bagno. Continuiamo con altre riflessioni sulla percezione. Che cos’è la percezione? La percezione Stimolo → Sensazione → Interpretazione → Comprensione 29 La percezione è un processo attraverso il quale il nostro organismo ottiene le informazioni dai sensi, le interpreta e le comprende. Ci sono varie fasi della percezione. Per esempio, io metto la mia mano su questa superficie e ho una sensazione. La prima fase della percezione è una sensazione, io sento, non so ancora di che cosa si tratti, ma la sento. Dal punto di vista visivo quando vedo qualcosa, ma non so ancora che cosa è, questa è una sensazione. Molte persone con autismo rimangono in questa fase molto più a lungo di noi quando vedono o sentono, ma non riescono a interpretare l’informazione e non sanno, quindi, di cosa si tratta. Il mondo reale e la nostra immagine di questo mondo sono diverse, non collimano e la nostra interpretazione del mondo è basata sulla nostra memoria personale e sulla nostra esperienza. Diverse esperienze sensoriali creano, di conseguenza, diversi mondi percettivi. – Il mondo reale e la nostra immagine mentale del mondo differiscono – La nostra interpretazione del mondo è basata sulla nostra memoria e sull’esperienza – Differenti esperienze sensoriali creano diversi mondi percettivi In questo modo dobbiamo ricostruire il loro mondo percettivo, altrimenti ci muoviamo in due mondi paralleli. Ci sono due modi per conoscere il mondo – il modo di chi non è autistico – il modo autistico Mi piace molto questa citazione di Jasmine O’Neill, una persona autistica considerata a basso funzionamento, che non riusciva a parlare e non riusciva a muoversi adeguatamente. “È fondamentale comprendere che la funzione sensoriale di ogni individuo con autismo è una chiave cruciale per la comprensione di quella persona”. 30 Ci sono migliaia di altre persone autistiche che dicono la stessa cosa, perciò è importante capire come esse percepiscono il mondo. Questa difficoltà non riguarda solo gli individui non verbali a basso funzionamento, ma anche quelle verbali. Per portare un altro esempio, riferisco di seguito una frase di Wendy Lawson, che credo tutti conosciate, affetta da sindrome di Asperger ad alto funzionamento. “Ciò di cui mi rendo conto è che io non vedo il mondo come lo vedono gli altri. La maggior parte delle persone assume le routines della vita e le connessioni giorno per giorno come ovvie. Per me queste cose sono spesso dolorosamente travolgenti, inesistenti o semplicemente fonte di confusione” . Quindi, direi che è ora di iniziare a sperimentare il mondo alla maniera degli autistici, cercare di immaginare com’è la vita per loro, come la sentono, come la percepiscono. I problemi o le differenze iniziano già a livello della sensazione. Non si tratta di ipersensibilità, ma di qualcosa di diverso. La conoscenza del mondo in modo autistico Stimolo → Sensazione → Interpretazione → Comprensione Vorrei parlare di Percezione Gestalt e darvene una definizione. La percezione Gestalt è l’incapacità di distinguere fra informazioni in primo piano e sullo sfondo. “Era come avere un cervello senza filtro…”. (Donna Williams) Un esempio di Gestalt visiva: allo stato della sensazione, queste persone percepiscono tutti gli stimoli visivi simultaneamente, non li elaborano, non li capiscono, ma li percepiscono tutti nello stesso tempo. Questo è il motivo per cui gli autistici possono vedere un buco nel muro, qualcosa di insolito sul pavimento, perché tutti gli stimoli visivi arrivano alla loro retina simultaneamente. 31 Abbiamo la percezione dell’intera scena come singola entità con tutti i dettagli percepiti (ma non elaborati!) contemporaneamente Esempio di Gestalt uditiva. Noi adesso ci concentriamo sulla voce dell’interprete o sulla mia voce. Per una persona autistica con Gestalt uditiva, tutti i suoni saranno uguali; questa persona sentirà la mia voce, la voce dell’interprete, il rumore di una macchina, qualcuno che tossisce. Qualsiasi suono arriva al suo sistema uditivo simultaneamente, impedendo il riconoscimento dei suoni irrilevanti da quelli rilevanti. Anche Temple Grandin, la persona con autismo forse più famosa al mondo, quando l’ho incontrata mi ha raccontato che non riusciva a capire nulla se più di una persona parlava nello stesso tempo. Tutti quei suoni la portavano ad un sovraccarico sensoriale. Come ha detto Donna Williams, era come se avesse un cervello senza filtro, senza maglie, dove tutto riusciva ad entrare nello stesso tempo. Quindi aveva una percezione dell’intera scena come un’entità singola, con tutti i dettagli, anche quelli minimi, che noi non percepiamo, che vengono percepiti, ma non elaborati simultaneamente. Questo è un disegno fatto da un artista autistico inglese molto famoso che disegna strutture architettoniche di Londra nei minimi dettagli. È un esempio molto chiaro di Gestalt visiva. Noi vediamo rappresentati moltissimi edifici di Londra, mentre l’autore ha la percezione di una singola entità. Egli aveva gravi lacune in matematica, che gli impedivano di contare, ma se uno di questi edifici aveva 175 finestre, per esempio, egli lo avrebbe disegnato con 175 finestre. Non le contava, non doveva contarle, era semplicemente una Gestalt visiva singola. Ci sono due differenze direi principali: la prima, è che le persone come lui non sono 32 sopraffatte da queste informazioni, le assorbono e le memorizzano nel cervello, mentre per un autistico a basso funzionamento troppe informazioni non riescono a venir elaborate e, quindi, sopraffanno il paziente. Un’altra differenza è che persone come lui riescono a riprodurre questo tipo di informazione, mentre una persona autistica a basso funzionamento non è assolutamente in grado di farlo. Questo dà una perfetta idea della Gestalt visiva. Riuscite a vedere le differenze tra queste due fotografie della stessa stanza? Esse sono state scattate a meno di un minuto l’una dall’altra. Per me non c’è nessuna differenza, non sono mai riuscita a individuare che differenza c’era. Adesso dovrebbe partire un video: si tratta della stessa stanza dove c’è un ragazzo che in due secondi ha fatto un’azione. Avete visto che una delle due maniglie del cassettone era rivolta verso l’alto, mentre l’altra verso il basso? Io non ci ho mai fatto caso, anche se è casa mia; ma quando mio figlio scende dalla camera per fare colazione, le allinea. Ogni giorno mi capita di vedere qualcosa di diverso, magari una moneta sotto il tavolo o un quadro spostato appeso al muro. Per me non è un problema, ma quando lui arriva rimette tutto a posto perché la sua Gestalt visiva è diversa dalla mia. Ogni piccola differenza lo fa sentire a disagio. Adesso ha 18 anni ed è contento se riesce a rimettere ordine; fino a tre anni fa entrava in crisi ed aveva eccessi di collera, che mi sembravano assolutamente immotivati perché non ero in grado di comprendere ciò che lo disturbava; poteva essere una seggiola leggermente spostata o qualche altra cosa per me priva di significato. Se c’è un minimo cambiamento nell’ambiente o nel contesto, la Gestalt visiva è completamente diversa e crea problemi di gestione. Ogni situazione è unica, ogni piccolo cambiamento modifica l’intera situazione. – Ogni situazione è unica – Ogni cambiamento distrugge la percezione dell’insieme e crea confu sione e timore – Ciascuno crea le proprie connessioni che determinano nuove organiz zazioni percettive – Il comportamento secondo la teoria della Gestalt – rituali e routines C’è un paradosso nell’autismo: queste persone riescono a gestire meglio i grandi cambiamenti rispetto a quelli piccoli. Per esempio, io posso portare mio figlio in vacanza all’estero, direi quasi la maggior parte delle volte senza problemi, ma se cerco di cambiare qualcosa all’interno della sua stanza a casa, Dio mi aiuti! La spiegazione di questo fenomeno è semplice: quando ci rechiamo 33 in un posto per lui sconosciuto, sperimenterà una Gestalt nuova, che lui ricorderà, ma se cambio qualcosa nella sua stanza, di cui ha una Gestalt familiare e consolidata, non si sente più sicuro ed entra in panico. Quindi, qualsiasi cambiamento distrugge la Gestalt e porta confusione e paura. Vi voglio fare un altro esempio. Tito, un bambino indiano con un quoziente intellettivo altissimo di 150, veramente elevato, ha un autismo molto grave: non è verbale ed ha comportamenti molto stereotipati. La sua mamma gli ha insegnato a scrivere ed egli è diventato un autore di testi molto interessanti, nei quali parla di sé e della sua infanzia. Un giorno, racconta, si trovava seduto sull’erba del suo giardino, quando improvvisamente sentì la voce di un vicino, che lui conosceva bene. Qual’è era il problema? Di solito il vicino parlava con la sua mamma dal recinto della casa accanto, mentre in quell’occasione le parlò entrando direttamente nel loro giardino. Tito sentì la sua voce da una distanza diversa ed entrò nel panico, iniziando ad urlare. Ovviamente sua madre non riusciva a comprendere la ragione di tanti urli, chi mai avrebbe potuto capirla? Le persone con autismo creano connessioni singolari per comprendere il mondo con conseguenti Gestalt. Dopo quell’episodio del giardino e dell’erba, Tito iniziò a mettere in collegamento l’erba con il grandissimo disagio provato in quell’occasione che ho appena citato e si rifiutò per anni di camminare sull’erba. Per lui c’era una connessione tra erba e dolore. I suoi genitori come avrebbero potuto comprendere una cosa del genere se lui non parlava? Adesso lo sappiamo perché l’ha scritto nei suoi libri. Le Gestalt determinano comportamenti rituali e routine: c’è un ordine preciso nel fare le cose. Ho conosciuto un bambino che, prima di andare a letto, doveva camminare due volte intorno alla sedia di suo padre, poi doveva toccare il muro che stava dietro alla sedia, quindi picchiettare le nocche sul tavolo, non mi ricordo quante volte, ma lui lo sapeva bene, e, solamente dopo aver fatto tutte queste cose, poteva andare a letto. Se per caso veniva interrotto in questo rituale, iniziava tutto dell’inizio perché, mentre per noi queste sono azioni diverse, per lui camminare, toccare, picchiettare, ecc. facevano parte di un unico comportamento Gestalt, che doveva essere completato sempre nella stessa sequenza, altrimenti il bambino non era in grado di sapere che cosa avrebbe dovuto fare in seguito. Quindi, anche se voi avete fretta, non interrompete mai un comportamento di questo genere. Desidero darvi un altro consiglio che, vi assicuro, funziona: gli autistici amano portare qualcosa in mano, magari un gioco, un pezzo di nastro, un bicchiere, qualsiasi cosa, perché li aiuta, è un oggetto transizionale, qualcosa di familiare, un oggetto che dà sicurezza. 34 Fate in modo che abbiano con sé un “oggetto sicuro” (un giocattolo, un pezzo di corda, ecc.) quando vanno in luoghi sconosciuti o si trovano in situazioni non familiari Queste foto rappresentano mio figlio e sono state scattate a distanza di 5 anni. Vedete che ha in mano sempre lo stesso gioco, che lo fa sentire sicuro. Quando andiamo da qualche parte, per esempio all’estero, egli lo tiene con sé perché è perfettamente consapevole della sua importanza. Prima di partire mi segue per casa e mi chiede se l’ho messo in valigia. Ovviamente io stessa non voglio certo dimenticarlo a casa, perché altrimenti non dormirei di notte in albergo. Quando ha il suo gioco in mano, non entra in panico e io riesco a dormire. A questo punto, può sorgere una domanda molto importante: l’età del bambino è adeguata all’oggetto? No. Ma ha importanza? No. Funziona? Bene! Non crea imbarazzo perché egli non lo usa in pubblico: per lui è importante, vuole averlo con sé nella sua stanza, gli dà sicurezza, quindi per me va benissimo. Sempre a questo proposito desidero portare un altro esempio. Una mia assistente di 36 anni, all’Università di Birmingham, che è autistica ad alto funzionamento, tiene in tasca un giochino piccolissimo e mi dice: “Eh! Quando entro in panico mi metto una mano in tasca, stringo il mio giochino e mi sento meglio”. Pensate che l’età sia adeguata? No? Ma non importa, va bene lo stesso. Le percezioni Gestalt portano ad esperienze diverse, strategie compensatorie e stili percettivi diversi di cui parlerò molto brevemente. La percezione Gestalt può risultare in differenti esperienze, strategie compensatorie e stili percettivi Può essere caratterizzata da percezione frammentata, iper / iposensibilità, monoelaborazione e percezione periferica Innanzitutto dovete ricordare la Gestalt quando abbiamo parlato del livello di sensazione. Come ho detto, le persone con autismo percepiscono tutti gli stimoli simultaneamente, dato che il cervello non è in grado di elaborare tutti questi stimoli nello stesso tempo, esse iniziano da una parte qualsiasi. Donna Williams ha descritto in modo molto efficace la sua frammentazione visiva. 35 Percezione frammentata “Nel migliore dei casi avevo una percezione frammentata delle cose, vedevo gli occhi o il naso o i baffi o la bocca, ma soprattutto mettevo i pezzi insieme nella mia testa”. Questo è il motivo per cui è così difficile gestire stimoli di tipo diverso ed eccessivi. Ho un amico teenager di 14 anni con sindrome di Asperger, che mi ha fatto questo disegno. Gli piaceva tantissimo e pensava che fosse riuscito proprio bene. Riuscite a capire che è un aeroplano? Questo è un altro suo disegno: si tratta di un treno. Potete immaginare come percepiscono le persone questo insieme rumoroso di pezzi che si muovono intorno a loro? Ho chiesto sempre a questo ragazzo di fare un disegno della sua mamma e questo è stato il risultato. “Ritratto della mamma” fatto da D. “Ritratto della mamma” fatto da Alex Noi a volte definiamo le persone con autismo aliene, ma non pensate che anche noi per loro siamo degli alieni? Per loro è così difficile percepire tutti questi movimenti che creano tantissimi problemi, con la conseguenza di comportamenti strani e percezione ritardata, come se non vivessimo nella stessa zona temporale. 36 Percezione ritardata Viviamo nello stesso spazio temporale? Di nuovo torniamo alla percezione Gestalt, quando tutti gli stimoli sono percepiti simultaneamente. Essi hanno bisogno di elaborare pezzo per pezzo e ovviamente hanno bisogno di più tempo di noi. A proposito di percezione ritardata Donna Williams diceva: “Da bambina sembrava che non avvertissi dolore o non avessi mai problemi, non volessi aiuto, non ascoltassi o non guardassi. Con il tempo alcune di queste sensazioni, reazioni o comprensioni furono decodificate ed elaborate come interazioni e elementi significativi sensoriali ed io ho avuto l’accesso ai significati delle reazioni. Potevano passare quindici minuti, una settimana, un mese, persino un anno dal contesto nel quale era avvenuta l’esperienza” . Vi posso assicurare che questa non è assolutamente un’esagerazione: per la maggioranza dei casi bastano pochi secondi, ma per alcuni ci vogliono minuti, a volte ore, a volte giorni. Avete mai sentito un bambino autistico fare un annuncio? A volte ciò che dicono appare fuori luogo. Ciò accade perché questi bambini elaborano una domanda, che avevate fatto loro il giorno prima, e vi danno la risposta in un contesto completamente diverso. È una domanda che è rimasta nel loro cervello, che non sono riusciti ad elaborare immediatamente, perché hanno bisogno di più tempo rispetto a noi. Può capitare che a scuola l’insegnante, quando non riceve immediatamente risposta ad una domanda ed ha l’impressione che il bambino stia riflettendo, sia portato a ripeterla. Per il bambino si tratta di una domanda completamente nuova; non capisce che è la stessa domanda di prima, perché magari l’insegnante ha usato un tono di voce o un volume diverso. Questo lo porta a iniziare da capo il processo di elaborazione. Passiamo ora ad affrontare gli aspetti legati all’intensità con la quale lavorano i sensi: l’ipersensibilità, l’iposensibilità e le fluttuazioni. L’ipersensibilità è molto comune e conosciuta, non mi sembra il caso di parlarne e mi limiterò a dare alcuni esempi, ricordando che può subire forti variazioni in persone diverse. 37 Wendy Lawson e Temple Grandin hanno detto a tal proposito: Ipersensibilità “Sembrava che avessi orecchie, occhi e pelle molto sensibili. Alcuni rumori urtavano in modo insopportabile le mie orecchie e alcune luci “ferivano” i miei occhi”. (Wendy Lawson) “Per quanto riguarda il mio udito, è come se avessi un amplificatore sonoro sintonizzato al massimo volume. Le mie orecchie sono come un microfono che raccoglie il suono e lo amplifica”. (Temple Grandin) Voglio darvi un altro consiglio: nel caso di ipersensibilità alla luce forte, cosa abbastanza frequente, ricordatevi di suggerire sempre l’uso di occhiali da sole o lenti Irlen. La strategia adeguata per affrontare la sensibilità luminosa è spegnere ogni luce non necessaria (soprattutto le luci a fluorescenza), usando semplici lampade, lampadine a basso voltaggio, lenti colorate, evitando di posizionarle sopra la testa Molti ragazzi non riescono a sopportare le luci forti, il sole o i fuochi d’artificio. Ci sono occhiali speciali con lenti Irlen. Alex sta trascorrendo la sua giornata all’aperto in pieno sole 38 Da quando mio figlio li usa, esce senza problemi e il suo comportamento è migliorato. È opportuno fare molta attenzione alla scelta del colore delle lenti, che risponde a necessità individuali. Mio figlio usa occhiali marroni, altri blu, rosa, gialli, che funzionano molto bene per contrastare l’ipersensibilità alla luce. Esattamente all’opposto è il problema di iposensibilità, che si manifesta quando i sensi non forniscono sufficienti stimoli. Succede che alcune persone fissino a lungo luci forti oppure vadano alla ricerca di suoni o li creino per supplire alla carenza della percezione sonora intorno a loro. Iposensibilità “Non avevo consapevolezza del mio corpo... non ne avevo mai avuto coscienza. Il mio corpo era un semplice riflesso di fronte ad uno specchio... Non avevo mai percepito alcun dolore”. (Tito) Per esempio Tito, di cui ho già parlato precedentemente, non ha la percezione del suo corpo e voi potete immaginare come possa sentirsi? In un suo libro egli racconta che quando era piccolo non sapeva mai se era vivo o se era morto. Questo bambino, senza alcun aiuto esterno, è riuscito a trovare da solo una soluzione: muoveva su e giù la mano e osservava l’ombra prodotta dal movimento che gli faceva capire che era vivo: “La mia ombra era la mia migliore amica, perché sapevo quello che stavo facendo guardando la mia ombra”. Una volta, però, racconta di essersi svegliato nel cuore della notte e di avere sentito il bisogno di controllare se esisteva oppure no; allora ha iniziato a muovere su e giù la mano, che ovviamente non ha proiettato alcuna ombra. A questo punto Tito ha iniziato a strillare disperato. Vorrei chiamare sensorismi tutti questi comportamenti causati da problemi di percezione sensoriale: a volte sopprimono il dolore e calmano, nel caso di ipersensibilità; a volte servono ad ottenere uno stimolo sensoriale dal mondo esterno, in caso di iposensibilità; a volte forniscono un piacere interiore. Funzione dei comportamenti autostimolatori (sensorismi) – – – sopprimono il dolore e calmano (in caso di ipersensibilità) stimolano il sistema nervoso e aiutano a cogliere stimolazioni sensoriali dall’esterno (in caso di iposensibilità) qualche volta procurano un piacere interiore 39 Questi comportamenti possono essere causati da ragioni diverse: un bambino con problemi di ipersensibilità visiva compie un determinato movimento per distrarsi dal dolore o un altro bambino iposensibile ripete lo stesso movimento per aumentare gli stimoli visivi. Quindi è importante capire la situazione di ogni singolo bambino per poterlo aiutare. Un'altra cosa, che vi posso assicurare, è che l’autismo non è mai noioso, non si manifesta mai in situazioni semplici: un bambino può essere iposensibile alla luce, un altro al suono; a volte nella stessa persona ci sono iposensibilità e ipersensibilità, che si manifestano in situazioni diverse a causa della loro fluttuazione. Inconsistenza della percezione Fluttuazione “La sensibilità della pelle era così forte un momento e poi completamente nulla nel momento successivo”. (Lucy Blackman) Quindi, vedete come lo stesso stimolo, in tempi diversi, può provocare diverse reazioni. Ovviamente si arriva al sovraccarico molto facilmente, soprattutto in luoghi affollati come negozi, centri commerciali, dove l’eccesso di stimoli provoca comportamenti problematici. Vulnerabilità al sovraccarico sensoriale Il sovraccarico di informazioni può essere causato da: – incapacità a filtrare le informazioni esterne o eccessive (Gestalt) – ipersensibilità – percezione distorta o frammentata – elaborazione differita Ovviamente le persone con autismo sviluppano sistemi di adattamento e compensazione, mettendo in atto un proprio sistema: non diventano ciechi, ma chiudono il sistema visivo; si chiudono nel loro mondo come fossero in una bolla. A tal proposito Temple Grandin ha detto: “Quando la stimolazione sensoriale diventava troppo intensa, ero in grado di interrompere l’ascolto e di ritirarmi nel mio mondo”. 40 Un’altra forma di compensazione è lo stile percettivo e questo è molto importante. Inizieremo a parlare di monoelaborazione. Molti autistici hanno un sistema di monoelaborazione: fanno uso di un solo senso per volta. Noi lavoriamo su canali diversi, io per esempio utilizzo tutti i miei sensi contemporaneamente: sto parlando, vi vedo, sento rumori, mi muovo e sono consapevole del mio movimento. Per la maggior parte delle persone autistiche questo è troppo ed esse utilizzano un solo senso per volta. Adattamento e compensazione: stili percettivi Elaborazione su un solo canale: usare un senso alla volta “Mi sono accorta che quando uso un canale particolare per indirizzare una funzione (compito), se cerco di introdurre un altro canale, poi “mi perdo” nel completamento della funzione ed ho bisogno di cominciare di nuovo”. (Wendy Lawson) Passiamo ora brevemente alla percezione periferica. Noi sappiamo che gli autistici evitano il contatto visivo diretto, perché la percezione diretta risulta per loro molto dolorosa. La maggior parte delle volte riescono a vedere a livello periferico meglio che a livello centrale. I bambini nella foto hanno ballato a lungo con le loro mamme senza mai guardarle; davano loro le spalle perché non riuscivano a sostenerne lo sguardo. Molti adulti con autismo intervengono in qualità di relatori alle conferenze senza mai stabilire un contatto visivo, perché ciò rende troppo difficile per loro gestire la situazione. Joan Dovì, un americano autistico, quando veniva presentato a persone nuove poneva loro questa domanda: “Vuole il contatto visivo diretto, oppure vuole parlare?” perché non riusciva a fare entrambe le cose: o parlava o stabiliva un contatto visivo. Ovviamente non ci sono due persone autistiche che hanno la stessa percezione sensoriale; per questo motivo ho sviluppato un profilo della percezione sensoriale, che chiamo “rainbow”, cioè arcobaleno, dove i sette colori dell’arcobaleno rappresentano i sette sensi: rosso per la vista, arancione per l’udito, giallo per il tatto, azzurro per l’olfatto, blu per il gusto, indaco per la percezione propriocettiva, viola per la percezione vestibolare. 41 Profili sensoriali gentilmente forniti dal dott. Marco Tomaso Rho 42 Questi profili si riferiscono a bambini autistici, con menomazione nell’interazione sociale, nella comunicazione, nell’immaginazione. Guardate il loro profilo sensoriale com’è diverso. Riuscite a immaginare che cosa succederebbe se essi fossero inseriti nella stessa classe? Sarebbe impossibile gestirli: sono tutti autistici, ma hanno problemi sensoriali completamente diversi. Voglio concludere con queste ultime frasi: Non ci sono due persone con autismo che hanno esattamente gli stessi modelli di esperienze percettive sensoriali “Imparare come funzionano i sensi di ogni singola persona con autismo è una delle chiavi cruciali per comprendere quella persona”. (Jasmine O’Neill) 43 Lo spettro dei disturbi autistici ad alto livello di funzionamento: comorbidità, diagnosi differenziale e valutazione Paola Visconti * Ringrazio la Provincia di Bergamo che mi ha invitato. Un pubblico così numeroso è segno di forte interesse; ringrazio anche i miei precedenti relatori che sicuramente hanno tenuto fede alle loro attese e vi hanno presentato non solo un’alta concettualizzazione teorica del problema, ma sicuramente hanno fatto sentire la loro esperienza in questo campo. Adesso vi racconterò qualcosa riguardo ai Disturbi Autistici, in particolare in merito allo Spettro dei Disturbi Autistici ad alto funzionamento. Nel nostro Servizio vengono svolte delle valutazioni sul versante neuropsicologico, neurocomportamentale e un approfondito protocollo di esami medici; sappiamo quanto questo sia fondamentale per caratterizzare il profilo di un bambino o di un ragazzino autistico, con l’obiettivo non di mettere un’etichetta, ma in vista di un progetto funzionale al migliore adattamento possibile di questi bambini. Abbiamo bisogno di molte informazioni per elaborare un progetto psicoeducativo tarato su quelle che sono le loro specificità, sia per le loro caratteristiche generali, come ci viene raccontato dalla letteratura, sia singolarmente per ogni bambino. Tutto questo si unisce alla possibilità di un trattamento farmacologico che al momento purtroppo non rappresenta una grande arma poiché si limita a ridurre qualche sintomo a livello comportamentale. Le caratteristiche dell’Autismo Attualmente l’autismo va ancora considerato una costellazione, una configurazione di sintomi e manca ancora la precisazione dell’eziologia, quindi è chiaro che il trattamento andrà ad agire sul sintomo e non sulla causa prima. E anche in questo caso purtroppo, a volte, è inefficace. Chiaramente per andare incontro alle problematiche insite e connesse all’autismo non basta un’unica persona, un unico centro; è necessario (come direi che voi avete egregiamente fatto qui a Bergamo) un’ampia correlazione tra servizi territoriali, scuola e provincia, in maniera tale da riuscire a creare una rete: in primo luogo perché siamo di fronte ad un disturbo estremamente complesso e pervasivo e in secondo luogo perché serve una di- * Responsabile U.O. Neuropsichiatria Infantile - Azienda Usl - Bologna 45 versa specificità delle varie figure professionali in modo che ognuna possa contribuire con ottiche differenti. Come si diceva prima, è difficile identificare per questo disturbo un segno o parametro patognomonico (usiamo questo termine in medicina quando intendiamo qualcosa che caratterizza esattamente una patologia). L’autismo è un’anomalia del comportamento e sono d’accordo con la relatrice che mi ha preceduto quando afferma che questa triade può essere insufficiente per caratterizzare bene questi soggetti. Probabilmente abbiamo bisogno di qualcosa di più e verosimilmente nel prossimo Manuale DSM emergerà anche un criterio riferibile ai problemi sensoriali. Però è anche vero che abbiamo bisogno di un linguaggio comune, e in questo momento il linguaggio comune è rappresentato da questa triade; come dice giustamente la Dott.ssa Lorna Wing, grande esperta inglese, le anomalie del comportamento presenti derivano da diverse cause, verosimilmente anomalie del funzionamento cerebrale indotte da cause genetiche e/o biochimiche. Accanto alla varietà dei fenotipi c’è poi il bambino nella sua unicità e quindi differenze individuali in quella che è la riorganizzazione celebrale e inoltre ci sono anche i cambiamenti indotti dal variare dell’età. La neuropsichiatra Paola Visconti 46 E, come Lei stessa ammette, “... riconoscere delle configurazioni in questa complessità sconcertante è un compito simile a quello di classificare le nuvole”. Comunque ci stiamo provando e ricercatori in tutto il mondo stanno cercando di trovare la maniera più adeguata e degli indici precisi per differenziare le varie categorie diagnostiche. Si preferisce, pertanto, non parlare di “disturbo autistico” o di autismo come si faceva circa venti anni fa; ora come ora si preferisce parlare di Spettro dei disturbi autistici, proprio ad indicare che esiste un continuum di situazioni cliniche, anche se diversificate, sempre caratterizzate da quelle tre anomalie nell’ambito dell’interazione sociale, della comunicazione e con una immaginazione povera e stereotipata. Più globalmente, questa è l’ampia cornice che raggruppa questi “Pervasive Developmental Disorders” dove le situazioni meglio caratterizzate sono effettivamente quelle dell’Autismo più classico, quello che volendo potremmo definire Kanneriano, e la sindrome di Asperger. Le altre situazioni sono meno caratterizzate, anche sul versante prognostico; in particolare i Disturbi Pervasivi dello Sviluppo NAS (Non Altrimenti Specificati) sono situazioni più sfumate, un contenitore categoriale dove inseriamo ciò che non riusciamo a meglio definire per la presenza di alcuni elementi della triade ma in maniera più sfumata e vaga. Le diverse tipologie sociali di Autismo Un altro concetto interessante riguarda uno studio epidemiologico degli anni ’80 (sempre opera di Lorna Wing) dove, indipendentemente dal livello intellettivo, viene presa in esame la tipologia di rapporti sul versante dell’interazione sociale. Ovvero, noi siamo abituati a pensare all’autistico come Kanner per primo ci ha descritto, ma non sempre i soggetti autistici si caratterizzano per questo isolamento di cui abbiamo visto le possibili cause. Su questo versante possiamo distinguere: – “il riservato” che è quello più isolato – “il passivo” quello che lascia fare, pur non avendo mai intenzionalità – “l’attivo ma strano” Nel secondo caso la diagnosi probabilmente sarà più tardiva perché è un bambino che sostanzialmente dà poco disturbo, di cui ci si accorge poco e quindi probabilmente viene riconosciuto negli ultimi anni della scuola materna. Poi l’attivo ma strano, ovvero bambini che hanno anche una forte dose di iperattività accanto a delle atipicità; infatti non è solamente il deficit o la mancanza di certe capacità che deve attrarre la nostra attenzione, ma è proprio l’atipicità, la maniera bizzarra in cui portano avanti la relazione. I diversi livelli intellettivi Quando si parla di autismo, l’altra importante questione è quella che riguarda il deficit in47 tellettivo, il deficit cognitivo. Abbiamo soggetti come Rain Man, che rappresentano un po’ l’autistico classico, e abbiamo soggetti come Cristopher Boone, un ragazzino di 15 anni che ha una sindrome di Asperger. Questo diverso funzionamento cognitivo avrà una ripercussione non solo ai fini della nostra accurata valutazione diagnostica, ma soprattutto sarà in funzione dell’intervento psicoeducativo- riabilitativo che andremo a portare avanti. La comorbidità Poi, per rendere ancora più complesso il quadro, dobbiamo prendere in considerazione anche la comorbidità, intesa nel senso di situazioni cliniche, sindromi o patologie o anomalie neurologiche che si associano alla classica triade. Chiaramente, anche in questo caso, avremo situazioni differenti a seconda che parliamo di low functioning o di high functioning. Nel caso dei low functioning, ovvero individui autistici che hanno un basso livello di funzionamento, avremo in associazione ritardo cognitivo, disturbo da movimenti stereotipati, più spesso epilessia con il relativo trattamento che potrà in qualche maniera alleviare certi tipi di sintomi e più frequentemente patologie rare ovvero sindromi genetiche. Anche in questo caso è d’obbligo un approfondito protocollo d’esami. Come situazioni comuni agli high e ai low functioning ritroviamo l’iperattività e disturbi d’ansia (più frequenti nei soggetti autistici ad alto funzionamento), disturbi alimentari e disturbi del sonno. Negli high functioning con l’aumentare dell’età si registrano situazioni tipo disturbi dell’umore, disturbi dell’apprendimento, tics, disturbi ossessivo-compulsivi, sindrome di Tourette. È necessario pertanto prendere in considerazione ciò che è associato all’autismo anche in vista di un trattamento farmacologico mirato. Tutto quanto vi ho finora esposto vi dà l’idea di quanto sia complicato il problema della diagnosi differenziale. La diagnosi differenziale Accanto al Disturbo Autistico abbiamo tutta una serie di situazioni che si configurano sempre all’interno dei Disturbi della comunicazione e relazione ma si differenziano da questa forma principale. Ad esempio MCDD (Multiplex Complex Developmental Disorders), categoria non ancora validata in ambito scientifico, pur rappresentando un quadro clinico di riscontro nella pratica quotidiana. Concordo con il Dottor Rho sulla necessità di identificare sottogruppi differenti, elemento che ci porterà ad una migliore definizione di fenotipi che possono aiutarci nell’indagine genetica. Accanto a questo, abbiamo situazioni frequenti soprattutto nei bambini piccoli con disturbi di linguaggio, probabilmente disturbi di linguaggio un po’ più complessi di un ritardo sem48 plice, ma per la giovane età del bambino e per il suo essere in evoluzione tale problema si accompagna in maniera reattiva ad anomalie del comportamento simili a quelli dell’autismo. Anche in questo caso quindi va valutato come questo bambino reagisce nel tempo, prendendoci tutto il tempo necessario prima di arrivare ad una conferma diagnostica, ma cominciando fin da subito un trattamento riabilitativo. Talvolta, infatti, con la progressione della sfera linguistica il bambino acquisisce più capacità sul versante interattivo e sfumano i comportamenti simil autistici. Altro tipo di situazioni che spesso ci troviamo ad osservare è rappresentato da Diagnosi differenziali rispetto ai Disturbi autistici ad alto funzionamento, per es. “Non verbal learning disabilities” dove abbiamo disturbi d’apprendimento non verbale, quindi a carico soprattutto delle performance visuo-spaziali; in questo caso c’è una sovrapposizione con la sindrome di Asperger e i disturbi semantico pragmatici. E la diagnosi differenziale sarà aiutata dal tipo di interazione sociale che questi soggetti presentano. I Disturbi dell’Empatia Si è parlato nella relazione precedente di disturbo dell’empatia, della capacità di mettersi nei panni degli altri. Rispetto a quanto detto prima dalla Dott.ssa Bogdashina appare naturale la riflessione su quanto possa essere attribuibile ad una base di alterata percezione che può inficiare la capacità di comprendere quanto viene detto o espresso mimicamente da altri. Come vedete ci sono molte situazioni coinvolte in questo disturbo dell’empatia, l’Asperger, il DAMP, ovvero bambini con un normale livello intellettivo ma con un deficit in attenzione, nel controllo motorio, nella percezione, poi vedete menzionati anche i disturbi di Tourette e il ritardo mentale. Il gruppo è quindi variegato e ampio, e chiaramente sarà importante operare delle diagnosi differenziali ma anche intraprendere un trattamento che per molti versi potrà anche risultare simile. I Criteri diagnostici Il DSM-IV e l’ICD 10, rappresentano la base del linguaggio tra operatori, per comprendersi sui diversi aspetti clinici e avere una sorta di uniformità di diagnosi. Per il disturbo autistico devono essere presenti questi tre criteri: compromissione qualitativa dell’interazione sociale, della comunicazione e modalità dì comportamenti interesse e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati. Cosa succede se parliamo invece di Asperger? Se parliamo di Asperger cade il problema del linguaggio, il problema della comunicazione, 49 ovvero i soggetti con sindrome di Asperger non dovrebbero avere avuto, e uso intenzionalmente il condizionale, il ritardo del linguaggio né dovrebbero avere al momento dell’osservazione un chiaro ed evidente problema a livello di comunicazione né a livello cognitivo. Pertanto si caratterizzano per marcate difficoltà a livello della relazione sociale, sono soggetti goffi e impacciati nell’ambito delle relazioni sociali, con tratti che talvolta possiamo ritrovare anche in persone particolarmente dotate ed esperte selettivamente in una materia (a volte si parla anche di professori universitari) che tuttavia capiscono e comprendono poco del vivere quotidiano, ci sanno fare poco nei rapporti sociali, fanno fatica a capire le battute, non sanno inserirsi in ambito di un gruppo e così via. Anche in questo caso l’anomalia di interazione sociale deve causare una compressione clinicamente significativa, perché a questo punto dobbiamo stare attenti a non identificare soggetti un po’ goffi e impacciati come soggetti tutti con sindrome di Asperger. Non vi dovrebbe essere un ritardo del linguaggio clinicamente significativo, ma tale tipo di criterio è ancora messo ampiamente in discussione fra i vari ricercatori; non vi è un ritardo clinicamente significativo dello sviluppo cognitivo tranne il fatto che ci sono invece delle incapacità a livello di comportamento adattivo sociale. L’autismo ad alto livello di funzionamento, a nostro parere entità diversa rispetto alla Sindrome di Asperger, rappresenta un’ulteriore tentativo di individuare un sottogruppo con l’intento di meglio operare all’interno di studi di neuro imaging o di genetica. È vero tuttavia che, a differenza dell’Asperger, non esiste una categoria diagnostica definita nei manuali diagnostici internazionali. I criteri clinici sono gli stessi dettati per l’autismo in generale. Si distingue dall’autismo a basso livello, per un funzionamento intellettivo nella norma e può esserci anche un ritardo del linguaggio, elemento di cui tenere conto poiché non compare a rigore e per definizione nell’Asperger. La prima descrizione della sindrome di Asperger viene fatta nel 1944, un anno dopo la descrizione dell’Autismo da parte di Kanner. La presentazione in lingua inglese di questa sindrome avviene solo nell’81, forse anche in relazione al fatto che la lingua tedesca aveva in quegli anni meno diffusione e meno facilità di traduzione rispetto alla lingua inglese; il riconoscimento ufficiale di questa descrizione avviene poi con ICD10 nel 1993 e nel 1997 con il DSM-IV. Elementi differenziali fra Sindrome di Asperger (AS) e Autismo High Functioning (HFA) Esaminiamo ora nel dettaglio quali possono essere elementi comuni e non tra questi due tipi di situazioni, ovvero Sindrome di Asperger e Autismo ad alto livello di funzionamento, la cui differenziazione riveste, a nostro parere, importanza sia per gli studi genetici sia per il programma abilitativo. 50 Età della diagnosi Si diceva prima quanto sia difficile fare diagnosi in questi soggetti a più alto livello di funzionamento. In effetti, il dato di 5.5 anni per HFA 11 per AS confermano questa difficoltà e provengono da un articolo inglese della Howlin e pertanto si riferiscono alla situazione inglese. Come potete vedere la diagnosi avviene piuttosto tardi per l’autismo high functioning, ancora più tardi per la sindrome di Asperger. Questo si riferisce a qualche anno fa, ma non penso che adesso la situazione sia cambiata in maniera radicale. Il linguaggio Nel caso dell’autismo HFA notiamo un ritardo che non è presente nell’Asperger; l’ecolalia sicuramente è più presente e più evidente nell’autismo HFA, così come la prosodia e problemi di vocabolario; solitamente invece i soggetti con sindrome di Asperger sono estremamente forbiti nel vocabolario e hanno molte conoscenze; al contrario il loro linguaggio è un po’ pedante, un po’ monotono, pragmaticamente inadeguato; hanno un modo di parlare un po’ meccanico, tipo stranieri, in quanto non danno quell’inflessione emotiva che caratterizza le diverse culture. Caratteristiche neuropsicologiche Anche in questo caso è stata tentata una differenziazione. Per quanto riguarda il quoziente intellettivo gli Asperger sono ben ampiamente al di sopra di 70, (anche noi, nel nostro Ambulatorio, abbiamo ragazzini Asperger che hanno 130-140 di QI), ma soprattutto il dato interessante è un’inversione del rapporto QI verbale e QI di performance, nel senso che gli Asperger hanno più alto quello verbale rispetto a quello di performance al contrario degli HFA. Solitamente la Teoria della Mente di I° livello può essere acquisita dai soggetti con sindrome di Asperger, meno, molto meno dagli Autistici high functioning. I deficit I deficit hanno per lo più a che fare con la parte visuo-motoria, ovvero le performances che risultano ridotte negli Asperger ma non negli HFA, più compromessi sul versante verbale. E questo aspetto, come ben si può comprendere, ha immediate ripercussioni sul versante riabilitativo, perché quando si ha a che fare con un soggetto con autismo HFA si utilizza molto il versante visivo per la difficoltà di decodifica del messaggio verbale, che non significa, come già abbiamo sentito, sordità. A questo proposito mi sembra interessante riferire di uno studio fatto da dei giapponesi con i potenziali evocati, dove viene messo in evidenza come ai soggetti autistici mancasse la capacità di avere informazioni sulle vocali; e se giunge un messaggio senza vocali è molto 51 difficile riuscire a capire quanto viene detto. Tutti questi studi vengono effettuati con gruppi controllo, ovvero soggetti senza le atipicità dell’autismo. Quindi i risultati nell’ambito degli studi neurofisiologici e neurobiologici in generale, sono ampiamente di supporto a quanto diceva prima la Dottoressa Bogdashina. Poi, in merito alla goffaggine sembra più evidente nei soggetti Asperger, ma si ritrova anche negli HFA, analogo è il rapporto maschi/ femmine (vedremo poi nella nostra casistica cosa abbiamo trovato) con una migliore prognosi negli Asperger che hanno chiaramente un migliore adattamento e per quanto riguarda l’eziologia genetica, la comorbidità neurologica cioè la presenza di situazioni neurologicamente determinate e i correlati neuroanatomici non ritroviamo in entrambi i casi alcunché di significativo. Per i PDD-NOS vale la presenza della triade come per gli autistici, solo che devono essere presenti meno criteri e solitamente il quadro clinico è più sfumato. La diagnosi differenziale rispetto alla Sindrome di Asperger A questo punto mi interessa riportare la problematica di diagnosi differenziale nell’ambito della sindrome di Asperger, perché il sospetto diagnostico su questa patologia sta crescendo in questi anni, soprattutto nei centri maggiormente consolidati. Ci troviamo di fronte ad un aumento di questa patologia, come diceva prima il Dott. Rho? Verosimilmente c’è una migliore capacità diagnostica, un affinamento della nostra sensibilizzazione rispetto a questo tipo di disturbi, anche se non è trascurabile che ci possa essere anche un incremento vero e proprio dal punto di vista proprio epidemiologico, come risulta dai dati di Fombonne. Per quanto attiene la diagnosi di Asperger, penso sia necessario stare attenti a non misconoscere né a sovradiagnosticare, ovvero non scambiare per Asperger tutti gli autistici che hanno una buona capacita di parola, di linguaggio e buone capacità cognitive. Ci sono dei criteri precisi, e anche le valutazioni neuropsicologiche aiutano in questo senso. È altrettanto importante formulare una diagnosi differenziale con i PDD-NOS, quadro di autismo più sfumato, o con situazioni di iperattività, gli ADHD o i disturbi ossessivo compulsivi; entrambe queste situazioni possono sconfinare in problemi relazionali, e nell’ambito dei disturbi schizofrenici va menzionato in diagnosi differenziale il disturbo schizoide di personalità, ma non la schizofrenia che rappresenta un campo a sé; inizialmente, tanti anni fa, 30 anni fa, si parlava di un’evoluzione dell’autismo in schizofrenia, successivamente si è visto che sono due situazioni nettamente distanti. Per inciso quando si parla di Disturbo Schizoide ci si riferisce a strutture di personalità piuttosto fredde e rigide, soggetti chiusi in un loro mondo, che incontrano chiaramente difficoltà relazionali. Altre categorie diagnostiche sono rappresentate dal Disordine semantico pragmatico che 52 sostanzialmente è un disturbo della capacità di adeguare la propria frase, la propria espressione verbale a un contesto, abbiamo poi la “Non verbal learning disabilities” di cui abbiamo parlato prima e la situazione ascrivibile a DAMP (disturbo da deficit d’attenzione motoria e percettiva). Andiamo ora a vedere quali sono le differenze e le possibili sovrapposizioni tra Asperger ed Autismo ad alto livello, visto che abbiamo parlato di non aderire solo alle etichette ma di valutare anche il funzionamento cognitivo di questi ragazzini. Profili neuropsicologici nei Soggetti AS e HFA La WISC-R è un test di valutazione cognitiva che contiene prove di performance e prove verbali. Il profilo che si ottiene, seppure ad un livello più basso, è analogo negli Asperger e negli HFA; e questo potrebbe mettere in discussione l’idea che ci sia un diverso profilo neuropsicologico; forse non è tanto un problema di differenza neuropsicologica quanto un continuum di situazioni che si differenziano per livello intellettivo. Anche se questo può rappresentare un dibattito teorico, ritengo corretto portarlo alla vostra attenzione. Andiamo ora a vedere quali sono i punti di forza. Secondo la nostra esperienza per entrambi abbiamo identificato punti di forza e di debolezza; punti di forza sono pertanto rappresentati dal disegno con i cubi, e quindi buone capacità a livello visuo-spaziale, punti di debolezza a livello dell’aritmetica e a livello del cifrario che implicano capacità logiche e di astrazione maggiori. Ora, dopo aver preso in esame le caratteristiche neuropsicologiche, andiamo a vedere come si può elaborare un progetto psicoeducativo tenendo conto delle differenze riscontrate in queste situazioni. È vero, infatti, che sarà necessario, in egual misura, arrivare ad un inquadramento diagnostico, ad un profilo, in correlazione con l’età, e, al tempo stesso, ascoltare e dare risposta alle domande della famiglia. Noi chiediamo sempre, infatti, alle famiglie: qual è il vostro problema più impellente? Per una famiglia può essere l’autonomia nel gestirsi ad andare in bagno, per un’altra possono essere delle attività più di tipo cognitivo, e tutto questo va tenuto presente. Poi vanno considerate le risorse che ci sono all’interno del centro nel quale è seguito il bambino. Ritornando alla nostra valutazione neuropsicologica e comportamentale, questa viene condotta con test, sia su carta e matita sia su computer, ed un’osservazione clinica; e questo va a comporre un profilo multi-dimensionale, e quindi diversi ambiti vengono messi in evidenza, valutazione neurologica, osservazione in diversi contesti (scuola, famiglia…) tramite videocassette e filmini portati dai genitori, al fine di offrire una valutazione integrata. 53 La valutazione Ai fini della valutazione funzionale vengono utilizzati come strumenti psicoeducativi la PEP-R e la AAPEP in maniera tale da andare a identificare le abilità acquisite, le abilità non acquisite e le abilità emergenti, concetto molto importante e utile messo in campo da Schopler, ovvero quelle abilità che stanno “emergendo” in quel bambino, abilità che il bambino non riesce completamente a compiere da solo, ma rappresentano quello che è il suo potenziale di sviluppo. La valutazione si compone poi di un’osservazione partecipativa e non, cioè con l’ausilio della persona in situazioni libere e in un contesto più strutturato. Abbiamo visto che funzionano meglio dove c’è una struttura, ma perché? Perché hanno più indici visivi che li aiutano a reperirsi nel mondo circostante. Quello che diceva prima la Dottoressa Bogdashina, sull’aspetto sensoriale, si può ricollegare al bisogno di “sameness”, di identico, e quindi la nostra necessità di andare loro incontro con la prevedibilità. Nell’ambito delle nostra valutazione indaghiamo pertanto il versante linguistico e comunicativo, il versante cognitivo, le capacità di integrazione visuo-motoria, le abilità di gioco simbolico, le funzioni esecutive ed adattive, tramite test adeguati per comporre un profilo multidimensionale. Un altro elemento molto interessante è rappresentato dall’abilità di Teoria della mente con le conseguenti implicazioni sul versante dell’adattamento sociale. Gli studiosi di neuropsicologia inglese hanno ampiamente esplorato questo campo nei bambini e negli adulti autistici. A livello di funzioni esecutive eseguiamo il Wisconsin Card Sorting Test, che molti di voi conoscono, dove il ragazzino deve abbinare ogni volta, o per colore o numero o forma, a quattro gruppi di carte, la carta che noi gli forniamo e poi di volta in volta cambiamo il criterio. Dopo un numero fisso di presentazioni si cambia il criterio, senza spiegarlo al ragazzino, in maniera tale che si valuta quanto per lui sia possibile operare una flessibilità, cioè riuscire a cambiare il criterio. Questa capacità, indipendentemente dal livello cognitivo, per un ragazzino autistico è molto limitata ed il livello cognitivo alto non elimina il problema, non fa sì che il ragazzino sia capace di fare questa cosa, perché quello che deve fare non è solo un ragionamento cognitivo, ma è riuscire a sciftare, a deviare il proprio ragionamento da un certo tipo di criterio ad un altro. Questo ci rende ragione anche della loro rigidità, che in parte è ascrivibile alle difficoltà sociali, ma è riconducibile anche a questo deficit delle funzioni esecutive che grossolanamente vengono identificate come coordinate a livello del lobo frontale, quindi deficit di pianificazione, deficit di flessibilità e deficit di inibizione. Quest’ultimo non sarebbe presente negli autistici, mentre c’è negli ADHD (deficit d’attenzione ed iperattività). 54 Un altro esempio è il disegno della figura di un omino; come potete vedere quest’immagine è stata composta da una ragazzina di 12 anni, con 120 di QI; per questa figura viene dato un foglio solo, ma la sua difficoltà di pianificazione ha fatto sì che ha cominciato a disegnare la testa senza pensare “ma ci starò nel foglio?”. Le persone a sviluppo tipico, con una certa flessibilità, tendono sempre ad operare con questo schema di programmazione di fronte ad un compito proposto. Per questa ragazzina è stato difficile pianificare il disegno in funzione dei confini del foglio e malgrado il 120 di QI ha richiesto un altro foglio per finire il compito. Un altro tipo di valutazione è tramite ausilio del computer; in questa schermata si possono notare dei bachi che scendono dagli alberi e occupano una parte o l’altra del foglio; si tratta, anche in questo caso, di avere un concetto di flessibilità e poter ipotizzare che i bachi possono scendere per un po’ da una parte e poi dall’altra. Quindi è presente il solito deficit di Shifting, oltre ad un‘iperattenzione per i dettagli che impedisce loro di avere una visione di insieme, una “Gestalt”. Da una parte, quindi, tendono a non saper filtrare gli stimoli sensoriali che affluendo insieme portano ad una sorta di indiscriminato rumore di fondo, dall’altra l’iperattenzione al dettaglio che non permette una visione di insieme. Sono i due estremi con cui si trovano ad avere a che fare i ragazzini autistici. Appare evidente che in questi casi il computer può essere di aiuto, perché è un tipo di strumento che potremmo definire “neutro” dove è minimizzata l’influenza emotiva, non c’è variazione a seconda delle inflessioni e della capacità del tutor, dell’operatore, e la presentazione visiva risulta molto più accattivante. Aspetti neurobiologici Studi recenti mettono in evidenza correlazioni anatomo-funzionali ed in particolare appare interessante il circuito del “Social Brain”, ovvero vi sarebbe una rete di strutture cerebrali implicate nei deficit di base presenti nei bambini autistici. Come potete vedere questo circuito coinvolge strutture a livello della corteccia frontale, del giro cingolato anteriore, zone nella amigdala, nella corteccia orbito-frontale; tutte queste zone sono state identificate come attive e quindi funzionanti nei soggetti a sviluppo sociale tipico, mentre appaiono carenti negli autistici. I bambini autistici quindi ci hanno aiutato e ci stanno aiutando molto a comprendere quali sono le aree cerebrali implicate nelle capacità sociali, malgrado la nostra difficoltà a raffrontarci con loro e a comprenderli a pieno. Gli studi compiuti hanno preso in esame sia soggetti ad alto funzionamento e Asperger che soggetti-controllo e si è evidenziata una carenza funzionale, non strutturale; è come se potessimo pensare che c’è l’interruttore e ci sono i fili, ma non si accende la luce. 55 Tutto questo probabilmente rende ragione delle loro difficoltà sociali, che vanno ad aggiungersi alle difficoltà sensoriali. In questa schermata riepilogativa potete notare le varie aree coinvolte in correlazione con i deficit neuropsicologici riscontrati. Come si può notare, per la teoria della mente abbiamo una zona a livello della regione frontale, mentre in altri deficit sono implicati il lobo limbico, aree temporali, cervelletto e varie altre zone che vanno a costituire il cosiddetto “Social Brain”.Verosimilmente non è sufficiente l’alterazione di una sola zona, probabilmente è un network che non funziona, cioè una rete a livello cerebrale; alcune sono zone molto antiche, l’amigdala per es., il lobo limbico, ovvero zone più primitive, ancestrali, che come tali probabilmente fin dagli inizi, durante l’ontogenesi, hanno caratterizzato la nostra capacità umana di percepire l’altro e sapervi rispondere in maniera adeguata. Ed anche questo si può ricollegare a quanto detto prima dalla Dott.ssa Bogdashina. Infatti i ricercatori stanno cercando di andare a vedere che cosa sia implicato di base, al di là di quello che appare come “punta dell’iceberg”, per es. il difetto sensoriale. È chiaro che non tutti trovano le stesse cose, i dati non sono uniformi, ma è interessante, per esempio, il riscontro in un gruppi di pz Asperger di alterazioni a livello della sostanza grigia, nel senso di una diminuzione di questa in certe zone ed aumento in altre, per esempio a livello dei nuclei della base. Cosa potrebbe succedere? Diminuisce il meccanismo di inibizione degli impulsi afferenti ed efferenti con un accesso e un’uscita indiscriminata degli stimoli. Si può ricordare quanto detto prima quando si accennava a questa sensorialità eccessiva, tutto entra ed esce, senza filtri, con molta confusione. I vari studi stanno facendo emergere che le persone a sviluppo tipico hanno molti più filtri. Questo dato è stato rilevato anche in soggetti che hanno altri tipi di patologie, in particolare alterazioni a livello dei nuclei della base, elemento che potrebbe rendere ragione di pensieri, linguaggi e azioni ripetitive; negli autistici vi sarebbe invece un’elaborazione cognitiva degli stimoli per dettagli, dettagli che tuttavia entrano ed escono in modo confuso, da cui un Deficit di Gestalt, il difetto di coerenza centrale di cui si è parlato prima. Il nostro studio: possibili differenze fra AS, HFA e PDD-NOS Andiamo ora a vedere cosa abbiamo trovato nella nostra casistica. La casistica è estrapolata dai casi che abbiamo avuto modo di vedere in questi anni, dal 2000 al 2005; i soggetti con Disturbo Autistico sono la quota prevalente, poi abbiamo gli high functioning (7%), e poi i soggetti con sindrome di Asperger (6%). In definitiva sono tutti soggetti con autismo ad alto funzionamento, tuttavia noi stiamo tentando di suddividerli, anche a fini riabilitativi, per creare sottogruppi diagnostici, di cui andremo a valutare l’andamento nel tempo; l’altro gruppo oggetto di indagine, i PDD-NOS, sono una quota decisamente più numerosa, il 27%. 56 Ora andiamo a vedere che cosa succede nell’ambito di questi tre gruppi, nell’intento di trovare dei possibili criteri differenziali, perché il problema per noi clinici è di poter operare delle diagnosi differenziali anche in vista dell’intervento riabilitativo. Esistono pertanto dei criteri differenziali nella nostra casistica tra Asperger e high functioning? Esiste poi una differenziazione tra tutti questi high functioning e sindrome di Asperger rispetto ai PDD-NOS? Rappresentano dei gruppi ben differenziati o sono un continuum di situazioni cliniche? E la CARS, che è stata ampiamente nominata e che tutti utilizziamo, rappresenta uno strumento efficace per questa individuazione diagnostica o mostra qualche limite? Sussiste poi, come abbiamo visto prima, la necessità di avere degli indicatori anamnestici, ovvero per es. a che età ha esordito il linguaggio? È chiaro che tutto questo può apparire una sottigliezza da ricercatori, in realtà, rivelare delle differenze può avere una ricaduta sul trattamento. E riguardo al coinvolgimento neurologico? E nell’ambito dell’osservazione emergono segni più significativi per un gruppo rispetto ad un altro? Va premesso che questo è uno studio retrospettivo, basato sulle informazioni anamnestiche ottenute dai genitori e sull’osservazione che facciamo in ambulatorio con tutte le metodiche di cui io ho parlato prima. La casistica riguarda 49 soggetti selezionati fra quelli giunti più recentemente e per i quali è stato possibile effettuare tutta una serie di test e di valutazioni. Di Asperger ne abbiamo selezionati 15, HFA 17, PDD-NOS 17. Tab.1 Casistica Categoria diagnostica N. soggetti Età media Range A.S. 15 9aa 2m (5-13) HFA 17 11aa 9 m (9-15) PDD-NOS 17 6aa 8 m (4-13) Rapporto maschi-femmmine In primo luogo varia il rapporto maschi/femmine; in letteratura viene definito come non differente; in effetti abbiamo visto che negli Asperger sono nettamente superiori i maschi; mentre negli high functioning vi è un rapporto meno sfavorevole per le femmine. Nel caso degli HFA e dei PDD-NOS vi è un buona sovrapposizione con quanto descritto in letteratura, 4:1 circa, negli Asperger il rapporto è molto più alto. 57 La valutazione cognitiva La valutazione cognitiva è stata effettuata con i test sopracitati e in funzione del grado di collaborazione del bambino; una misura di riferimento è il QI che risulta variabile nei tre gruppi in media (vedi tabella 2). Tab. 2 104,73 86,37 61,3 Range: 92-127 69-115 23-100 Ciò che colpisce, tuttavia, non è tanto o solo il valore assoluto ma la differenza tra performance e verbali, a scapito delle performance negli Asperger (funzionano meglio nelle prove verbali), invece il gruppo HFA funziona meglio nelle prove di performance (come tutto il gruppo degli autistici più classici (vedi tabella 3). Tab. 3 QI performance / QI verbale 58 QI Range QIP range QIV A.S. 82-118 84-140 HFA 85-115 66-101 PDD-NOS 46-101 55-80 Quindi questo tipo di valutazione clinica differenzia bene queste due situazioni. Anche i PDD-NOS funzionano meglio con le performance. La CARS La CARS purtroppo non risulta uno strumento particolarmente affidabile in queste tre situazioni, perché la CARS verosimilmente funziona bene ad un livello medio di autismo dove c’è un certo grado di ritardo e quindi in questi casi non rappresenta uno strumento efficace ai fini di una distinzione. Tab. 4 Valori CARS nelle tre categorie diagnostiche A.S. HFA PDD-NOS < cut-off 28.2 28.6 Eccetto 1 pz. (p. 33, 5aa) Range (16.5-37.5) Range (18.5-33) L’età di esordio del linguaggio In questo caso (tabella 5) vediamo che ben 11 pazienti su 15 nel gruppo Asperger hanno un linguaggio con un’evoluzione e uno sviluppo completamente nella norma, solo in quattro pazienti inizia con un lieve ritardo ma al momento in cui li vediamo all’osservazione è normale. Negli HFA in ben 15 pazienti su 17 inizia più tardi, e la cosa si ripete anche nel caso dei PDD-NOS (11 su 17), dove però abbiamo un paziente in cui è assente e tre che hanno avuto un fenomeno di regressione. Tab. 5 Linguaggio: età d’esordio* A.S. HFA PDD-NOS 31 mesi/4 pz (11 pz n.n.) 40 mesi /15 pz (2 pz n.n.) 37 mesi /11pz (2 pz n.n.; 1 assente, 3 regressione) Range (24-42 mesi) Range (24-60 mesi) Range (24-42 mesi) * Criterio: min. 5/6 parole all’età di 2 anni 59 Le caratteristiche del linguaggio Il dato si riferisce all’osservazione durante la valutazione. Fondamentalmente abbiamo considerato l’atipia rispetto al ritardo, cioè un linguaggio che si caratterizza per anomalie a livello di prosodia, di pragmatica, inversioni pronominali, stereotipie verbali e ossessività (vedi tabella 6). Negli Asperger l’atipia è presente in tutti e quindici i pazienti, negli HFA è decisamente prevalente rispetto al ritardo ed è soprattutto a livello pragmatico, nei PDD-NOS si rileva sia atipia che ritardo. Quindi probabilmente questi soggetti rappresentano un gruppo diverso, un gruppo che ha più commistioni con ritardi di sviluppo in generale, o ritardi di linguaggio che per la giovane età appaiono come disturbi della relazione. Tab. 6 Linguaggio: caratteristiche A.S. HFA PDD-NOS Linguaggio attuale Atipia: 15 pz Atipia: 15 pz Rit./atipia: 3 Ritardo: 1 Atipia: 15 pz Rit./atipia: 9 Ritardo: 2 Assente: 1 Tipologie Prosodia Pragmatica Scripts Inv. Pronom. Ecolalia Pragmatica Prosodia Inversione Pronom. Ossessività Contenuti Stereotipie verbali Gergonofasia Ecolalia Inversione Pronom. Pragmatica Stereotipie verbali L’età di insorgenza dei sintomi e loro tipologia Abbiamo preso in esame l’età di insorgenza dei sintomi, così come ci sono stati raccontati dai genitori, ovvero i primi sospetti che hanno attirato la loro attenzione. Nel gruppo Asperger è decisamente più alta rispetto agli HFA e rispetto ai PDD-NOS in cui sono evidenti i primi segni, come osservati dai genitori, prima dei 24 mesi. E quale tipologia di sintomi ha attratto la loro attenzione? Nel caso degli Asperger soprattutto sintomi relazionali, ovvero ci raccontano di bambini che se ne stavano per conto 60 loro, non rispondevano alle richieste, non cercavano gli altri, anche se potevano presentare una iperattività; abbastanza sovrapponibile per gli HFA, con maggior frequenza di problemi di comportamento e di linguaggio, mentre per i PDD-NOS c’è una forte commistione tra problemi di linguaggio, del tipo ritardo e problemi relazionali. Tab. 7 Età di insorgenza anamnestica A.S. HFA PDD-NOS Età media 39.2 mesi 27.8 mesi 22.4 mesi Range 18-72 mesi 11-36 mesi 11-42 mesi Tipologia Relaz. / Comp. (7) Relaz. (3) Relaz. / Ster.-Oss. (2) Relaz. / Ling. (2) Ling. / Comp. (1) Relaz. /Comp. (4) Relaz. (4) Relaz. /Rit. Ling. (1) Ritardo Ling. (4) Ling. / Comp. (4) Relaz. / Comp. (3) Relaz. (3) Relaz. / Rit. Ling. (6) Rit. Ling. / Comp. (4) Relaz . /Comp. / Ling (1) La modulazione emotiva Spesso noi vediamo questi ragazzini che quando sono piccoli tendenzialmente sono ipominici, più sono grandi e più esagerano la loro mimica. Si può dire che questo è particolarmente evidente negli HFA, dove la mimica appare nei ragazzini più grandi eccessiva e caricaturale. Potremmo pensare, in via del tutto ipotetica, che in un certo senso abbiano esagerato la loro mimica perché hanno appreso un “saper fare sociale”; tuttavia malgrado la loro intelligenza rimane il deficit di fondo interattivo e hanno appreso l’abilità in maniera un po’ meccanica, un po’ rigida, per cui sono al limite del caricaturale; negli altri gruppi non appaiono dati così significativi (vedi tabella 8). Tab. 8 Modulazione emotiva: espressione verbale e mimica Abbastanza modulata Eccessiva e/o caricaturale Ipomimia A.S. 4 6 5 HFA 5 11 1 PDD-NOS 6 3 8 61 L’impaccio motorio Anche in questo caso sono soprattutto gli HFA a caratterizzarsi per un impaccio motorio. Tab. 9 A.S. HFA PDD-NOS Impaccio globale 4 17 6 Motricità fine 3 0 0 Disgrafia 2 0 0 Posture Atipiche 1 0 0 Impaccio grafo-mot. 0 0 3 n.n. 4 0 8 Il coinvolgimento neurologico Ritroviamo quasi esclusivamente anomalie elettroencefalografiche (EEG) ed epilessia nei PDD-NOS, assenti negli altri due gruppi che annoverano solo anomalie cerebellari, descritte nei casi di autismo, anche se relativamente aspecifiche. Tab. 10 Casistica: coinvolgimento neurologico A.S. HFA PDD-NOS 2 (ipo. verme cerebellare) 1 (ipo. verme cerebellare) 0 Anomalie EEG 0 1 3 Epilessia 0 0 1 RM encefalo 62 Riflessioni sui dati Il rapporto maschi e femmine è in accordo con quanto dice la letteratura, però differenzia gli Asperger dagli HFA. Più pregnante la valutazione cognitiva dove si evidenzia, come valori assoluti, una diminuzione graduale dagli Asperger ai PDD-NOS, ma appare rilevante la differenza fra Asperger e High Functioning con l’inversione del rapporto QI verbale-QI di performance. La CARS in questi casi non ci appare uno strumento efficace per l’individuazione e la differenziazione diagnostica. L’età di esordio del linguaggio potrebbe rappresentare un buon parametro differenziale tra Asperger e high functioning, più difficile la discriminazione tra high functioning e PDD-NOS. Come abbiamo evidenziato l’età di esordio del linguaggio è mediamente più alta negli high functioning, ovvero è presente un ritardo. Il linguaggio è atipico soprattutto negli Asperger e anche, in gran parte, negli high functioning, mentre nei PDD-NOS ci sono molti più elemento di ritardo. Uno scorcio della Sala Oggioni del Centro Congressi “Giovanni XXIII” durante il convegno 63 L’età riferita di insorgenza dei sintomi differenzia bene tra Asperger e high functioning, ovvero gli Asperger sono visibili come tali, un po’ dopo rispetto agli high functioning, e la tipologia è soprattutto attinente al versante delle interazioni sociali, mentre i PDD-NOS probabilmente hanno bisogno di essere caratterizzati meglio come gruppo, in quanto c’è molta componente e molta commistione con il ritardo. Il quadro clinico è visibile prima dei 24 mesi nei PDD-NOS e dopo i 24 mesi negli autismi ad alto funzionamento, ad indicare ancora che il primo è verosimilmente un gruppo a sé stante. La modulazione emotiva caratterizza bene gli HFA, nel senso di eccesso, appare quasi caricaturale, l’impaccio motorio è anch’esso prevalente negli HFA, quasi che fossero, in via ipotetica, più caratterizzati come autistici rispetto alla sindrome di Asperger. Ed infine il coinvolgimento neurologico non appare discriminante fra i tre gruppi. Conclusioni Dal nostro studio, malgrado sia ancora in progress e pur con tutte le cautele dovute alla numerosità della casistica, sembrano emergere alcuni elementi che spingono nella direzione di due “cluster” distinti nell’ambito degli autismi ad alto funzionamento sia in ambito retrospettivo, in merito agli elementi anamnestici che a partire dall’osservazione clinica. Se il significato di questi riscontri differenziali vada a configurare due gruppi distinti appare ancora un’ipotesi prematura, tuttavia sembra interessante almeno poter operare “ab inizio” una distinzione fra soggetti con un nucleo patologico simile ma verosimilmente con diverse traiettorie di sviluppo e necessità riabilitative differenti. Parimenti può essere utile ai fini di indagini genetiche o di diagnostica per immagini funzionali avere a disposizione casistiche con grandi numeri ma ben studiate in ambito fenotipico in modo da poter meglio articolare raggruppamenti ed eventuali correlazioni. Per quanto attiene al gruppo dei PDDNOS, il nostro studio appare delineare un gruppo a parte rispetto agli autismi ad alto funzionamento (HFA e AS), non solo per più precoce insorgenza dei sintomi, prima dei 24 mesi, ma anche per la presenza di una maggior componente “ritardo” sia di sviluppo più in generale che linguistico, con un sospetto maggior coinvolgimento neurologico. Difficile pensare in questo caso ad un quadro che si pone “in continuum” rispetto agli altri due, appare più probabile l’ipotesi di una differente situazione clinica, verosimilmente ancora poco conosciuta e per questo “contenitore” di situazione limite accomunata da alcune difficoltà relazionali e comunicative. Per concludere è chiaramente azzardato trarre conclusioni in questa prima fase di raccolta dati; tale studio si pone nell’ottica di poter meglio indirizzare i nostri sforzi futuri tesi a proseguire confronti sistematici fra categorie diagnostiche più e meno definite con manifestazioni fenotipiche che si dipanano su un continuum di funzionamento e che sono incluse in questa cornice clinica dimensionale, ancora per molti aspetti mal conosciuta, che va sotto il nome di “autismo”. 64 Consapevolezza emotiva e abilità sociali: esperienze cliniche Roberta Truzzi * Buonasera a tutti, vi chiedo ancora qualche minuto di attenzione, sperando che, dopo il break, l’attenzione si sia ristabilita. Innanzitutto volevo ringraziare coloro che hanno organizzato questo convegno che mi hanno invitata a partecipare, perché partecipare ai convegni è sempre molto emozionante, ma nello stesso tempo offre anche la possibilità di riflettere su quella che è la mia esperienza clinica quotidiana. Inoltre volevo – permettetemi un attimo – ringraziare pubblicamente la Dottoressa Visconti con cui sto lavorando ormai da sei anni e che mi ha permesso di osservare un ampio numero di bambini, con caratteristiche diverse e ciò ha contribuito ad un’esperienza professionale e umana importante. Quindi, quello che abbiamo elaborato insieme oggi è proprio frutto di questa nostra esperienza clinica; in particolare io parlerò di alcuni casi di bambini entrati nell’età dell’adolescenza o della pre-adolescenza, con disturbo autistico ad alto livello di funzionamento e sindrome di Asperger che sono giunti alla nostra osservazione. L'immagine iniziale, accanto al titolo del mio intervento, che rappresenta la tela di Chagall, “Il compleanno” (1915), mi dava l’idea di un insieme di emozioni e sentimenti raffigurati in un unico dipinto, cioè la sorpresa, la tenerezza e l’innamoramento. E proprio le emozioni rappresentano il punto centrale del mio intervento di oggi. Se noi guardiamo questa immagine, che fa parte delle carte “Emotion” della Favelliana che cosa si osserva? Quali possono essere i pensieri o le emozioni di questi due ragazzi? Sicuramente è qualcosa di molto complesso, si potrebbe individuarne tante, quali l’imbarazzo, la vergogna, l'attrazione, la tenerezza. Chiaramente già è complessa questa immagine per noi, figuriamoci se dovesse essere interpretata o verbalizzata da ragazzini con autismo ad alto livello di funzionamento o con sindrome di Asperger. Nella mia pratica clinica questa immagine è molto difficile da interpretare e molto spesso i ragazzini rispondono che i due personaggi della fotografia stanno osservando qualcosa sul pavimento. È molto più semplice un compito di tipo cognitivo e visuo-spaziale, in cui si chiede ai soggetti di completare una sequenza (subtest Leiter-R). Questo compito per un bambino di dodici anni, Alberto, con autismo ad alto livello di funzionamento, è risultato molto semplice * Psicologa - U.O. Neuropsichiatria Infantile - Ospedale Maggiore - Bologna 65 in quanto ha impiegato pochi secondi per completare la sequenza. Mentre non è riuscito a comprendere la foto raffigurante le emozioni più complesse spiegata in precedenza. Un altro esempio, mutuato dal subtest Vocabolario della Scala di Intelligenza (WISC-R): una bambina con sindrome di Asperger di nove anni alla domanda di che cosa significhi “estinguere” mi ha risposto con un esempio “Il noa si è estinto per una caccia senza limiti”. Per soggetti con questo tipo di disabilità è molto più facile rispondere ad item che fanno parte del vocabolario della WISC-R, piuttosto che a frasi di questo tipo che fanno sempre parte dello stesso test. Cioè: “Come ti comporti se dalla finestra di un tuo vicino vedi uscire un fumo denso e nero?”, “Eh, chiudo le finestre” ha risposto molto concretamente la stessa bambina. Un altro ragazzino mi ha risposto: “Ma, io devo andare a scuola se no faccio tardi e perdo l’autobus”. In altri termini questi bambini e ragazzi con Disturbo Generalizzato dello Sviluppo (DPS) rimangono ancorati al dato concreto, percettivo e difficilmente riescono a mettersi nei panni altrui. Questi sono solo alcuni esempi che abbiamo tratto dalla nostra esperienza clinica e che fanno riflettere su quanto questi ragazzini abbiano difficoltà sia nel trarre inferenze di tipo emotivo-sociale che nel mettersi nei panni degli altri. Quindi, le abilità sociali, quelle che noi chiamiamo “abilità sociali”, a seconda dell’età del bambino, non sono un tutto o nulla ma possiamo immaginarle in un continuum a partire dall’intersoggettività primaria e secondaria per poi passare a riconoscere e comprendere le emozioni legate ad una determinata situazione, fino a script sociali più complessi quali il comprendere come mi devo comportare e come devo modulare il mio comportamento in relazione agli altri. Quindi, anche l’insegnamento e in generale i training sulle abilità sociali devono procedere lungo un continuum in cui si tenga conto sia dell’età del bambino che delle difficoltà emerse. Occorre prendere in considerazione diversi tipi intervento, che possano in parte anche procedere in parallelo, come ad esempio la TED (teoria di scambio e di sviluppo) per implementare l’intersoggettività primaria e secondaria, oppure il training sulla teoria della mente per quanto riguarda l’empatia, cioè intesa da molti autori come capacità cognitiva di inferire stati mentali altrui a partire da una data situazione. Infine vi sono i training sulle abilità sociali volti ad implementare capacità quali iniziare e mantenere una conversazione, saper chiedere aiuto, ecc. Ora vediamo quali sono le cause alla base delle difficoltà in ambito sociale ed emotivo. Le teorie neuropsicologiche, che hanno avuto un grande spazio nel passato recente e ancora oggi hanno una grande importanza, prevalentemente cognitive, individuano i deficit pragmatici di comunicazione sociale come carenze cognitive congenitamente determinate. In particolare modo, la Dott.ssa Visconti vi ha già parlato del deficit delle funzioni ese66 cutive, e poi anche la Dottoressa Olga Bogdashina ha parlato per esempio di come le difficoltà di Gestalt derivino da un deficit di coerenza centrale. Dati questi due deficit (delle funzioni esecutive e di coerenza centrale) il mondo esterno viene percepito dal bambino con autismo in modo estremamente frammentato. Anche la teoria della mente, che prenderemo in considerazione in modo più specifico, è una teoria cognitiva neuro-psicologica e risulta deficitaria in bambini affetti da DPS. La teoria della mente viene definita come la capacità, e in questi bambini quindi come l’incapacità, di attribuire a sé e agli altri degli stati mentali. La difficoltà a compiere delle inferenze, per cui è stato detto che i bambini con autismo sono dei “ciechi sociali”, si traduce in difficoltà nel comprendere le emozioni, i pensieri e gli stati mentali delle altre persone. Come possiamo verificare questo? Attraverso il test della teoria della mente di primo livello. È la storia di due bamboline (Sally e Ann), e una di queste nasconde un oggetto in una cesta, poi se ne va, esce dalla stanza. Successivamente l’altra bambolina, che è molto dispettosa, cambia posto all’oggetto, lo mette in un'altra scatola. Quando torna la prima bambolina si chiede al bambino dove andrà a cercare Sally il suo oggetto? È chiaro che noi tutti rispondiamo sicuramente che lo andrà a cercare nel posto dove l’aveva riposta prima di uscire, perché ci siamo messi nei panni di questa bambolina che è uscita dalla stanza e non ha visto quello che è successo dopo. Invece bambini con autismo rimangono ancorati al lato percettivo, per cui affermano che sicuramente andrà a cercarlo nell'ultima scatola dove era stato spostato dalla bambola dispettosa. Quindi, questo è un test molto semplice e pratico che ci permette di valutare se i bambini hanno acquisito una teoria della mente, dunque se riescono a mettersi nei panni di qualcun altro. Poi c’è anche una teoria della mente di secondo livello di cui è bene fare un accenno perché è uno strumento utilizzato nel raccogliere i dati con alcuni soggetti afferenti all’Ambulatorio Autismo. Allora, questa è la teoria della mente avanzata, che abbiamo estrapolato dalle ricerche ed abbiamo messo sul computer perché per questi bambini lo strumento informatico – come ha affermato prima la Dott.ssa Visconti – rappresenta un mezzo molto accattivate e motivante e dunque utile per ottenere la loro attenzione e collaborazione. La storia è questa: il nonno sta per partire per un viaggio e quando deve salutare Giulia e Marco regala loro la cioccolata, ma dice che la possono mangiare solo dopo aver fatto i compiti e, quindi, dice di riporla nel frigorifero. I due bambini mettono la cioccolata nel frigorifero e poi escono fuori a giocare; tuttavia Marco, uno dei due bambini, che è molto goloso, di nascosto va al frigorifero, si prende la cioccolata, la mette nel suo zaino ed è molto felice. Però non si era accorto che nel frattempo Giulia lo stava guardando dalla finestra. E questo viene detto ai ragazzini. 67 Giulia aveva osservato in realtà tutto l'accaduto e quindi sapeva. Dopo si chiede al bambino: secondo Marco dove pensa che Giulia andrà a cercare la cioccolata? È chiaro che lui dovrebbe rispondere secondo Marco nel frigorifero, invece dov’è realmente la cioccolata? Nello zaino, perché? Perché Giulia nel frattempo aveva visto alla finestra. Quindi è un compito ancora più complesso che implica anche una capacità di comprensione verbale effettivamente molto elevata. Dalla nostra esperienza clinica i bambini con autismo fanno molta fatica sia nella teoria della mente di primo livello che di secondo livello. In generale abbiamo visto che bambini con sindrome di Asperger riescono a superare quella di primo livello e incontrano difficoltà, anche se a volte riescono con successo, in quella di secondo livello. Ricerche longitudinali (Steele, 2003) hanno mostrato che training di compiti, sia verbali che non verbali, di teoria della mente facilitano l'acquisizione della comprensione degli stati mentali altrui. Inoltre hanno evidenziato che quanto più l’intervento è precoce tanto migliori saranno le acquisizioni e la generalizzazione, cioè la trasposizione di questi compiti nella vita quotidiana. In effetti, come ho accennato prima, i bambini con sindrome di Asperger molto probabilmente superano compiti di teoria della mente anche di secondo livello, ma il problema è che molto spesso non traducono tutto ciò nella loro vita quotidiana. Sappiamo bene quanto le situazioni sociali si presentino ogni volta variegate e diversificate. Quindi non sempre bambini che superano compiti così strettamente cognitivi e strutturati riescono poi a generalizzarli nella vita di tutti i giorni. Tuttavia Steele sostiene che un intervento precoce sulla teoria della mente può aiutare i bambini a superare i compiti di false credenze e a mettersi nei panni degli altri, però è necessario anche un intervento sul piano comunicativo linguistico, fattore predittivo importante per il superamento di compiti di teoria della mente. Un altro studio importante è (Gallagher et al., 2000) volto a rilevare la presenza o meno di un correlato neuro-anatomico. Ciò è stato valutato attraverso la risonanza magnetica funzionale ed è stato evidenziato che in compiti di teoria della mente verbali, e non verbali, si attivava principalmente, in soggetti normali l’area mediale. Tale dato sembra far rilevare che l'acquisizione della teoria della mente sia indipendente dal livello linguistico posseduto. Poi un altro concetto correlato con la teoria della mente, anche se con valenza più ampia, è il concetto di empatia. Baron-Cohen nel 2004 ha svolto una ricerca in cui ha tentato di mettere insieme le teorie cognitive e quelle emotive. In particolare afferma che nell’empatia vi sia una parte più strettamente cognitiva, cioè la teoria della mente, e una parte più affettiva ossia la reazione emotiva allo stato affettivo dell’altra persona, cioè come reagisco io quando vedo che un'altra persona è triste o quando vedo che un’altra persona è arrabbiata. 68 Effettivamente Baron-Cohen intende anche quest’ultimo aspetto come empatia congenitamente determinata che negli autistici appare con figurarsi come un disordine primario; infatti ha cercato attraverso questi due sistemi (cognitivo ed affettivo) di elaborare un quoziente emotivo attraverso uno strumento di self-report cioè di autovalutazione somministrato sia a soggetti normali, che sono quelli tratteggiati, cioè che non avevano una diagnosi particolare, sia a soggetti con autismo ad alto livello di funzionamento oppure con sindrome di Asperger. Effettivamente, come si osserva dal grafico, i punteggi di questi soggetti con autismo ad alto funzionamento e sindrome di Asperger sono significativamente più bassi rispetto a quelli di controllo. È chiaro che l'autore ha supposto un disordine di empatia congenitamente determinato. Un esempio degli items previsti nello strumento self-report: “trovo spesso difficoltà se devo dare giudizi, se qualcosa è giusto o sbagliato”. L'aspetto di criticità è che questo tipo di item contiene termini molto astratti che nella nostra esperienza clinica abbiamo appurato essere molto difficili da comprendere per questi soggetti, anche se di età fra i 16 e 17 anni. Il campione di soggetti della ricerca doveva esprimere il proprio grado di accordo o disaccordo secondo una scala a più livelli. Effettivamente rappresentano quesiti molto difficili per questo tipo di soggetti. Un'altra ipotesi alla base dei deficit sociali ed emotivi, indagata più recentemente, è rappresentata dalle teorie neurofisiologiche, come per esempio quelle sviluppate da Gallese (2004) che attraverso studi di risonanza magnetica funzionale ha trovato un funzionamento dei neuroni a specchio in determinate aree celebrali. I neuroni a specchio sarebbero implicati in quelli che sono i meccanismi di imitazione motoria che permettono all’altra persona di entrare in contatto con il vissuto della persona che ha di fronte. Quindi, in breve, l'ipofunzionamento dei neuroni a specchio in soggetti con autismo, implica un deficit di consonanza intenzionale, ovvero della difficoltà di percepire significati condivisi con l’Altro. E questo, secondo Gallese, farebbe sì che non vi siano, a livello congenito, le abilità necessarie per entrare in contatto con le altre persone e comprendere i loro stati mentali. Questa sua ipotesi ha avuto una conferma in uno studio recente (Dapretto M., et al. 2006) in cui sono stati confrontati, con risonanza magnetica funzionale, gruppi di controllo con soggetti con disturbo pervasivo dello sviluppo in compiti di riconoscimento delle emozioni visive. I risultati indicano che in tali compiti le aree del giro frontale inferiore si attivano in maniera più estesa nei soggetti “normali” rispetto ai soggetti con DPS, e per di più sono le stesse aree in cui sono stati trovati molti neuroni a specchio. Questo significa che, in compiti di riconoscimento visivo delle emozioni, i soggetti con DPS sembrano avere un deficit primario, a livello corticale di ipo-funzionamento, e questo dà l’idea che effettivamente lo spettro autistico, il disturbo autistico ad alto livello di funzionamento o comunque in ge69 nerale la sindrome di Asperger abbiano alla base un disordine di empatia primaria, cioè congenitamente determinata. Poi però questo non significa che non si debbano valutare le abilità sociali anche più complesse attraverso la Scala di Adattamento Vineland e prevedere, proprio perché il punto di debolezza maggiore che troviamo in questi soggetti è relativo al versante della socializzazione, un training di abilità sociale sulle emozioni che chiaramente dovrà essere individualizzato. Le abilità sociali più complesse si possono individuare, ad esempio attraverso la griglia di Attwood (2000), dove vengono menzionate in ordine di crescente complessità, la capacità di entrare in una conversazione, la capacità di chiedere aiuto, la capacità di ricevere o fare complimenti, di ricevere delle critiche, di accettare consigli, la reciprocità e la capacità di risolvere un conflitto. Tutte queste abilità possono essere insegnate e ciò rappresenta il fine di quel continuum sul versante sociale di cui avevo accennato inizialmente. E come possiamo tradurre questo nella vita quotidiana? Noi abbiamo provato, con alcuni ragazzini dagli 8 ai 14 anni con diagnosi di autismo ad alto livello di funzionamento, ad attivare training di abilità sociali per accrescere delle competenze sociali di tipo integrato sia a livello emotivo che a livello di interazione sociale. Tutti avevano un QI verbale al di sopra di 69 e quindi in qualche modo riuscivano a mantenere una semplice conversazione, a condividere una comunicativa. Il training sulle abilità sociali è stato pensato secondo una metodologia strutturata che permettesse un apprendimento di quelli che sono gli schemi sociali tramite la via cognitiva, perché, come abbiamo detto prima, soggetti con DPS hanno un deficit di empatia congenitamente determinata, quindi occorre aggirare l’ostacolo e fornire loro degli strumenti tramite il canale cognitivo. Abbiamo visto che, dapprima attraverso l'input teorico e poi con il moI corsisti concentrati nell’ascolto degli interventi 70 dellamento, cioè il vedere il modello agire un determinato schema sociale, successivamente attraverso il role-playing si è potuto verificare a medio e lungo termine che gli schemi sociali appresi in un setting molto strutturato si potevano generalizzare nelle situazioni di vita normale. È chiaro che ogni training deve essere individualizzato in modo tale che per ogni ragazzo si amplino schemi sociali specifici adatti ai bisogni rilevati insieme alla famiglia. È inutile insegnare la socializzazione o l’integrazione all’interno di una classe a livello generale, ma occorre ritagliare un progetto a misura di quel bambino o di quel ragazzo che avrà un livello di competenze e di abilità specifiche. Facciamo l’esempio di un bambino che noi abbiamo visto e che continuiamo a seguire, adesso oramai è un ragazzo, la sua difficoltà sociale era quella di salutare tutti indiscriminatamente. Quindi pensate la fatica per un genitore ad andare in giro con questo ragazzo che doveva salutare ogni persona incontrata, chiedere quanti anni aveva, che macchina aveva, di che colore era la sua macchina. Tutto ciò era estremamente faticoso per i genitori e non funzionale alla socializzazione del ragazzo e, quindi, è stato pensato un training su “conosciuto e sconosciuto”. Come faccio a sapere se una persona la conosco oppure non la conosco, e come mi devo rapportare con gli sconosciuti e con le persone che conosco. Anche questo è stato un passaggio molto importante. Ora vi porto l’esperienza di Fabio, che è un ragazzo su cui abbiamo sperimentato un training sulle abilità sociali; abbiamo rilevato insieme alla sua educatrice, all’insegnante di sostegno e alla famiglia i bisogni principali in ambito sociale. Fabio è un ragazzo che attualmente ha 17 anni, quando abbiamo iniziato ne aveva 15; è un ragazzo con disturbo autistico ad alto livello di funzionamento, e degli aspetti estremamente caricaturali con un discreto adattamento all'ambiente di vita, grazie soprattutto al lavoro svolto molto precocemente in collaborazione con i servizi territoriali e con l’ambulatorio autismo. Inoltre lui ama tantissimo il computer ed è molto abile ad apprenderne l’utilizzo. Tuttavia sia i genitori che gli insegnanti hanno notato importanti difficoltà nella gestione e nella regolazione delle emozioni. Come affermato in precedenza dalla Dott.ssa Visconti, Fabio aveva comportamenti non adattivi se succedeva qualcosa di imprevisto oppure se vedeva qualcosa che a livello percettivo gli dava fastidio come ad esempio un estintore. Quando per la prima volta in un corridoio della scuola Fabio ha visto un estintore, la sua reazione di terrore si è manifestata gettandosi a terra e facendo l'urlo della foca (come successivamente lo ha definito lui stesso). Un altro avvenimento che provocava una difficile regolazione delle emozioni era quando si dimenticava la cartellina di disegno a casa e iniziava ad urlare e a tirare i capelli agli insegnanti che non potevano fare niente durante l’intera mattinata scolastica. Quindi si è deciso, date le sue capacità al computer, di prevedere un training sulle abilità sociali che partisse dalla consapevolezza emotiva. Sono stati costruiti i materiali attraverso il pc insieme a Fabio, attraverso Contatto Win (Anastasis) che è una modalità autore che 71 permette la personalizzazione degli elaborati. Questa modalità ha permesso di creare diversi elaborati e di aggiungere anche il sonoro. Fabio così è riuscito a scrivere un pensiero spontaneo: “mi sono divertito molto a registrare le voci, con il microfono perché mi piacciono molto le faccine”. Prima si è proceduti a costruire uno schema cartaceo insieme all’insegnante della situazione reale, da lui vissuta, che gli creava disagio, e poi è stata trasposta a computer in modo tale da generalizzare il più possibile gli apprendimenti, in seguito è stato verificato nella situazione reale. Si è partiti dalla situazione reale, concreta che poteva quindi maggiormente attrarre il ragazzo e ancorarlo a questo compito, perché svolgere training su abilità più generali come il “sapere ascoltare” non è funzionale ad ottenere attenzione e interesse. Ad esempio la situazione reale è: Fabio si è dimenticato a casa la cartellina di disegno tecnico. E quindi che cosa succede? Fabio si arrabbia, comportamento reale, tira i capelli a Francesca, la sua educatrice, e la conseguenza reale è che Fabio si agita sempre di più e non ottiene la cartellina. Quindi Fabio è triste e agitato. L’accento sull'emozione veniva sempre tradotto visivamente tramite l’utilizzo di faccine stilizzate a cui si associava anche lo stimolo sonoro, con la sua voce. A questo punto l’educatrice, l’insegnante danno lo schema corrispondente ad un comportamento alternativo: se succede che Fabio si dimentica la cartellina non si deve agitare, ma può telefonare a casa per farsi portare la cartellina. Questa è la situazione. Conseguenza: Fabio è tranquillo, tiene la cartellina. Ecco, questo è stato quello che praticamente si è dato, si è offerto come alternativa a questo comportamento che implicava disagio in lui e anche negli operatori che lavoravano per lui, e quindi ha permesso poi al ragazzo di elaborare più facilmente le emozioni e di associarle agli eventi vissuti. Successivamente ha rielaborato lo schema attraverso il disegno: Fabio è triste, vedete qua perché non ha la cartellina, l’ha elaborato lui. Fabio è arrabbiato, tira i capelli all’insegnante, oppure Fabio è felice e telefona; inoltre ha estrapolato una regola generale: “anche se mi dimentico a casa un oggetto sono triste e mi agito, ma non devo arrabbiarmi posso invece telefonare a casa e chiedere di portarmi l’oggetto”. Infine la regola generale è stato trasposta al computer attraverso uno schema visivo e ciò ha permesso a Fabio di collegare altre due situazioni vissute a scuola, in cui ha avuto un comportamento non adeguato. Secondo i genitori ora Fabio sembra più capace di verbalizzare i propri stati emotivi. Tutto ciò induce ad alcune riflessioni quali: l’intervento sulle abilità sociali deve tenere conto di tappe specifiche sul continuum, per esempio nel training sulle abilità sociali con Fabio non si è potuti prescindere dall'implementare la consapevolezza emotiva, dunque 72 collegare il proprio comportamento a dei vissuti emotivi e quindi fornire comportamenti alternativi. Un’altra riflessione è che resta necessario comunque per i ragazzini più grandi, anche ad alto livello di funzionamento o con sindrome di Asperger, un intervento sulle abilità sociali. E questo è importante perché non sono bambini che rifiutano il contatto con gli altri, anzi lo ricercano, tuttavia non hanno diciamo istintivamente degli strumenti per avere a che fare con gli altri in modo funzionale. E se non si interviene che cosa succede? Questi ragazzini crescono e aumenta la loro consapevolezza sull’essere diversi, come affermato da una ragazzina con sindrome di Asperger “io odio essere una figlia di Hans Asperger”, e ciò può dar luogo a disturbi dell’umore, o vissuti di ansia e depressione importanti. Inoltre abbiamo notato che un efficace intervento sull’abilità sociale non può prescindere da un intervento sulla teoria della mente, e l'intervento sarà ancora più efficace se utilizzeranno non solo il computer ma tanti altri sistemi come il training di gruppo o anche il compagno tutor. L’importante quindi è avere come obiettivo ultimo la generalizzazione, cioè estendere quello che il bambino ha appreso nel compito con l’insegnante anche in contesti di vita, ed è un fattore determinante il quoziente verbale, in quanto chiaramente, maggiore è il livello linguistico raggiunto maggiore sarà la capacità di riflettere sulla propria esperienza e di avere uno scambio con l’Altro. Un altro fattore fondamentale è la rete che ha permesso questo intervento: la scuola, la famiglia, i servizi, noi dell’ambulatorio chiaramente, e Fabio. Il training sulle abilità sociali sperimentato con alcuni ragazzini ci ha fatto riflettere su come possa evolvere nel tempo l'acquisizione dell'empatia in soggetti con livello intellettivo nella norma e con un livello di acquisizione linguistica relativamente adeguato. Da qui abbiamo pensato di iniziare una ricerca clinica qualitativa alla luce anche delle ultime ricerche. Abbiamo esaminato un campione al momento attuale molto ridotto, di quattro soggetti, due soggetti con sindrome di Asperger, un maschio e una femmina di 14 e 15 anni, e due soggetti con autismo ad alto livello di 13 e 17 anni sempre un maschio e una femmina che avevano tutti i quattro un QI uguale o superiore comunque a 70. All'interno del gruppo di soggetti esaminato un ragazzino con sindrome di Asperger aveva un QI di 140, quindi significativamente al di sopra rispetto alla media, e un altro di 120-130. La scelta su questi quattro soggetti è data dal fatto che solo su di essi era stata somministrata una serie di compiti e di test, quali la teoria della mente di primo e secondo livello citate in precedenza, le carte immagini “Emotion” (Favelliana) in cui dovevano verbalizzare le emozioni raffigurate e le carte immagine “What’s wrong” che contenevano delle situazioni buffe e bizzarre, in cui dovevano cercare di comprendere l’elemento ironico. Inoltre è stato 73 somministrato un test psicodiagnostico proiettivo (MRO), a nostro parere più adeguato ad esplorare i vissuti degli adolescenti relativi alle relazioni interpersonali (rispetto agli strumenti self-report citati nella ricerca di Baron-Cohen). MRO è un acronimo per Modello delle Relazioni Oggettuali, uno strumento psicodiagnostico proiettivo che utilizza la tecnica delle frasi incomplete per delineare quelli che sono i profili delle relazioni nell'adolescente, cioè la percezione interna dei rapporti emotivamente significativi. Un esempio: ai ragazzi viene chiesto di completare delle frasi del tipo “mio padre ed io…” oppure: “Io penso che la mia famiglia…” oppure altre fasi sul futuro: “Il futuro mi sembra…”. Dal punto di vista della nostra esperienza clinica noi abbiamo notato una maggiore facilità nel somministrare questo secondo tipo di strumento e una comprensione più affidabile e realistica dei vissuti emotivi dei soggetti a cui è stato somministrato. Per contro gli strumenti self-report a domande chiuse contengono diversi tipi di concetti astratti per cui le risposte in soggetti con DPS tendono a esprimere vissuti contraddittori spesse volte esprimendo preferenze casuali, presentando così un basso indice di affidabilità. La scelta su questo strumento proiettivo è data dal fatto che presenta minore ambiguità rispetto a strumenti self report rivolti ad adolescenti, ed ottiene dei dati su quattro aree: dimensione del sé, familiare, psicosessuale, interpersonale. Lo scopo della nostra indagine preliminare di tipo qualitativo era verificare se i soggetti che avevano un’acquisizione di una teoria della mente avevano maggiore facilità nel completare il test proiettivo, e poi se esistono delle dimensioni in cui incontrano maggiori difficoltà e quali sono le differenze e da cosa dipendono. L'analisi dei risultati alle diverse prove evidenzia che il maggiore livello intellettivo si correla con risposte più articolate. Facciamo un esempio all'item “mio padre ed io...”, un ragazzino con alto livello di funzionamento, però con un QI ai limiti della norma, ha risposto “Mio padre e io andiamo a fare la spesa” restando dunque ancorato al concreto. Un altro invece, con sindrome di Asperger, ha detto: “Parliamo spesso insieme e anche litighiamo” quindi un concetto molto più ampio e generale rispetto ai vissuti emotivi. Indubbiamente abbiamo osservato che migliori capacità linguistiche si correlano con risposte più articolate; soggetti con autismo ad alto livello di funzionamento forniscono risposte più sintetiche e maggiormente ancorate ad un dato concreto “Mia madre ed io giochiamo insieme, mia madre ed io facciamo la spesa”. L’acquisizione di compiti di teoria della mente di secondo livello influenza positivamente la capacità di “insight”, cioè di comprensione dei propri vissuti emotivi rispetto a determinate situazioni. Infatti, i due soggetti con sindrome di Asperger riuscivano ad esplorare più in profondità dinamiche personali e relazionali. Vi porto un esempio, la ragazzina di cui vi ho parlato prima, (“Odio essere una figlia di Hans Asperger”) ha completato questa frase: “Se penso a quanto ero piccola... e chi ci pensa? Ho avuto tanta sfortuna, ho fatto le elementari da 74 inferno e anche le medie. Non sono riuscita a stare più di un anno”. Quindi è riuscita comunque ad esplorare le emozioni e gli stati d'animo collegando insieme diverse esperienze del suo passato. Le dimensioni in cui emergono maggiori difficoltà per i 4 soggetti sono quelle relative al futuro e al passato. Alle frasi da completare tipo “Il futuro ti appare…” quasi tutti, tre su quattro, hanno detto: “Ma, non lo so, a questa domanda non so rispondere non vedo il futuro, non penso al futuro”. E anche il passato, perché effettivamente per loro funziona quasi esclusivamente una memoria episodica. Un altro elemento emerso è la difficoltà nell’esame di realtà, ovvero abbiamo notato che soprattutto quelli che avevano una maggiore capacità di articolazione sia di pensiero che di linguaggio, non è detto che avessero un adeguato esame di realtà, perché o tendevano all’iper-idealizzazione dei vissuti o ad un’iper-svalutazione. Ad esempio Mario, un ragazzino con il QI di 140, alla domanda: “Mio padre ed io…” ha risposto: “Abbiamo un rapporto bellissimo perché parliamo insieme di tante cose e quando c’è qualcosa che non va lui mi aiuta sempre a risolvere i miei problemi”. Questo è un ragazzino di 16 anni in piena adolescenza in teoria, invece ha tutte queste risposte estremamente idealizzate. Un altra sua risposta: “Se penso ai miei compagni ...chiederei a loro di dire ai propri genitori di stargli più vicino per aiutarli a risolvere i loro problemi”. E questo ci fa comprendere come soggetti con alto livello intellettivo, magari con un linguaggio molto articolato come si trova nella sindrome di Asperger, facciano fatica proprio a elaborare pensieri più strettamente spontanei e personali. Verosimilmente, grazie a d un buon livello cognitivo, questi ragazzi hanno appreso degli schemi sociali, ad alto livello di desiderabilità sociale, che poi applicano nel corso della propria vita con un discreto livello di adattamento all’ambiente. Infine questo strumento è utile per valutare quelle che sono le componenti depressive e ansiose che possono insorgere in questi preadolescenti e adolescenti con autismo ad alto funzionamento e sindrome di Asperger. Questo dato è da tenere in considerazione per quanto riguarda le implicazioni sul trattamento. Grazie per l’attenzione. 75 Riferimenti bibliografici – Attwood, T. (2000), “Strategies for improving the social integration of children with Asperger Syndrome”, Autism 4(1): 85-100 – Baron-Cohen, S., Wheelwright, S. (2004), “The Empathy Quotient: An investigation of Adults with Asperger Syndrome or High Functioning Autism and Normal Sex Differences”, Journal of Autism and Developmental Disorder, 34, 2,163-173 – Dapretto, M., Davies, D.M., Pfeifer, J.H., Scott, A.A., Sigman, M., Bookheimer, S. & Iacoboni, M. (2006), Nature Neuroscience, Vol. 9, n.1, 28-30 – Gallagher, H. L, Happé F, Brunswick N, Fletcher PC, Frith U, Frith CD (2000), “Reading the mind in cartoons and stories: an fMRI study of ‘theory of mind’ in verbal and nonverbal tasks”, Neuropsychologia 38(1): 11–21 – Steele, S., Joseph, R.M.,Tager-Flusberg, H. (2003), “Brief report: Developmental Change in theory of Mind Abilities in Children with Autism”, Journal of Autism and Developmental Disorder, 33, 461-7 – Gallese, V., Eagle, M., Migone, P., (2004), “La Simulazione Incarnata: I Neuroni Specchio e Le Basi Neurofisiologiche dell’Intersoggetività”, Psicoterapie e scienze Umane, XL, 3, 543-580 76 I problemi legati alla percezione sensoriale nei disordini dello spettro autistico Olga Bogdashina * 16 dicembre 2006 Credo che molte anomalie sensoriali possono essere alla base di molti se non di tutti i comportamenti che sembrano non appropriati o bizzarri. Si tratta di menomazioni dell’immaginazione, della relazione sociale e della comunicazione, che costituiscono la triade di cui parlavamo ieri. Sono quello che vediamo, ma sono causate da qualcosa che non conosciamo. Non conosciamo ancora le cause biologiche dell’autismo, anche se vengono condotte molte ricerche su questo argomento. Per questo è di estrema importanza comprendere come funzionano i sensi, come si formano le percezioni, come le persone con autismo sviluppano le proprie capacità e come pensano. Percezione Stimolo → Sensazione → Interpretazione → Comprensione Abbiamo preso in considerazione ieri il processo della percezione: prima vediamo qualcosa, siamo al livello della sensazione, senza sapere ancora di cosa si tratta; poi passiamo all’interpretazione, dalla quale formiamo i concetti, cioè completiamo la percezione. I concetti portano ordine nella nostra vita, la rendono più semplice. I concetti portano ordine Per esempio, il disegno nella pagina seguente rappresenta sei animali estremamente diversi tra loro: sono di colore, di odore diverso, si muovono in maniera differente, ma per noi queste sei creature appartengono tutte alla stessa categoria di “gatto” e possono essere incluse in un’unica casella. * Psicologa; Docente all’Università di Birmingham; Presidente Associazione Autismo Ucraina 77 “Un gatto”di Ian Wilson Pertanto il concetto porta ordine all’interno della nostra vita. Per esempio in questa diapositiva, riuscite a vedere un cane dalmata? Un dalmata con il naso rivolto verso terra? Riuscite a vederlo? Macchie nere o un cane dalmata? Bene, se lo vedete siete in errore perché non c’è nessun dalmata, ma soltanto puntini neri su di uno sfondo bianco. Ma dato che noi abbiamo nella nostra testa questo concetto del cane dalmata, lo vediamo nella diapositiva. Capite che cosa voglio dire? Imponiamo, dall’interno della nostra mente, dei significati a quello che vediamo. 78 La nostra percezione normale è reale, ma a volte può essere sbagliata. Quando vediamo, pensiamo di vedere il tutto? Se vi mostrassi la fotografia di una persona al contrario, la riconoscereste comunque? Credete di riconoscere una persona anche se la fotografia è capovolta? Ora vi mostro la stessa fotografia nella giusta posizione. Siete riusciti a capire chi era oppure no? Le vostre percezioni funzionano molto male. Non vedete quello che c’è realmente, ma giungete subito alla conclusione. Pensavate di aver riconosciuto quello che c’era nella foto e avevate torto. Questo è l’ultimo esempio che voglio fare. Cos’è questo secondo voi? Ormai sapete tutti che non si tratta di un triangolo, il triangolo in realtà non esiste. La vostra percezione, il vostro cervello vi impone questo significato dall’interno, dal momento che avete questo concetto di triangolo. Questo è il motivo per cui vedete un triangolo anche laddove il triangolo non esiste e sarete d’accordo con me che la nostra percezione a volte non funziona molto bene perché il mondo reale e la nostra immagine reale del mondo sono diversi. Noi vediamo quello che vogliamo vedere e l’informazione preveniente dai sensi è influenzata dall’informazione interna. Vediamo quello che abbiamo già all’interno della nostra mente e, con l’età, distorciamo ancora di più quello che percepiamo. Più invecchiamo meno vediamo e la nostra interpretazione del mondo è basata proprio sulla nostra memoria e sulla nostra esperienza. Vediamo quello che sappiamo. Se avessi fatto vedere la diapositiva del cane dalmata a qualcuno che viene dal Sudafrica, non vi avrebbe visto un dalmata, dal momento che in Sudafrica non ci sono questi cani, ma, magari, avrebbe visto un altro animale. La percezione autistica è più accurata e disfunzionale (?) La percezione autistica, ve lo assicuro, è molto più accurata e disfunzionale. Le persone con autismo hanno una migliore percezione di noi, però non sono funzionali. La parola “disfunzione” non mi piace, preferisco usare al suo posto “diversa esperienza sensoriale”, dal momento che non tutte le differenze percettive sono disfunzionali e che le differenze sensoriali non sono necessariamente problemi o difficoltà. Disfunzione sensoriale o esperienze sensoriali differenti? – Non tutte le differenze nella percezione sono disfunzionali e le differenze sensoriali non sono necessariamente problemi o difficoltà. – Alcune difficoltà possono essere causate da fattori ambientali. Se essi fossero corretti, questa particolare disfunzione scomparirebbe 79 Per esempio in Inghilterra, non so se sia così anche in Italia, vengono usate molte luci al neon. Sono presenti in tutte le scuole e per alcune persone con autismo questo è un vero problema, perché vedono un bagliore, un lampeggio all’interno della luce, che noi non percepiamo. Questa specifica caratteristica della luce al neon è difficile da tollerare per loro, quindi per noi è una disfunzione. C’è l’ipotesi che l’acquisizione di informazioni sia intatta nell’autismo. I problemi incominciano ad un livello più alto di elaborazione? Sì e No L’acquisizione delle informazioni all’interno dell’autismo sembra essere intatta: le persone con autismo non sono cieche, non sono sorde. Si dice che i problemi iniziano ad un più alto livello di elaborazione. A livello delle sensazioni esse percepiscono in maniera diversa da noi. Le caratteristiche della “percezione autistica” Stimolo → Sensazione → Interpretazione → Comprensione vista - udito - tatto - olfatto - gusto consapevolezza di sé - sistema vestibolare Volevo ricordarvi che individui diversi possono avere problemi differenti in ognuno dei sette sensi o che può essere coinvolto più di un senso, ma ricordate che non c’è una persona con autismo che abbia gli stessi problemi sensoriali di un'altra persona con autismo. Allora iniziamo la nostra discussione sulle possibili esperienze sensoriali nel disturbo dello spettro autistico. Le vorrei chiamare “differenze qualitative nella sperimentazione delle sensazioni o nella ricezione delle informazioni” o, perlomeno, queste sono le caratteristiche principali della percezione Gestalt di cui abbiamo parlato ieri e della percezione letterale. Esperienze sensoriali possibili in ASD Differenze qualitative nello sperimentare sensazioni e nel ricevere informazioni: – La percezione “Gestalt” – La percezione “letterale” 80 La percezione Gestalt Percezione dell’intera situazione come una singola entità con tutti i dettagli percepiti (ma non elaborati) contemporaneamente Vorrei ricordarvi che la percezione Gestalt consiste nella percezione di tutta la scena come entità singola, quando tutti gli stimoli sono percepiti simultaneamente a livello di sensazione, ma non vengono elaborati. Ogni situazione è unica nel suo genere, ogni cambiamento cambia completamente la Gestalt. Questa è una citazione di Tito, il bambino indiano di cui vi parlavo ieri: “Le situazioni nuove mi mettevano in tale difficoltà che cominciavo ad avere paura di tutto: vestiti, scarpe, cibo, sedie e voci umane insolite. Ognuna di esse mi faceva sentire a disagio poiché mi poneva di fronte ad una nuova situazione da affrontare e capire” Questo è il motivo per cui a volte le persone con autismo non amano e non tollerano il cambiamento. Se andiamo a fare shopping, bisognerà percorrere sempre la stessa strada e fare lo stesso percorso perché esse non amano i cambiamenti; i cambiamenti le sconvolgono. La percezione Gestalt porta alla mancanza di generalizzazione perché ogni situazione è così diversa per loro. “Avevo imparato come affrontare una data situazione in un contesto, ma ero in difficoltà quando mi confrontavo con la stessa situazione in un altro contesto. Le esperienze semplicemente non erano trasferibili. Se imparavo qualcosa mentre stavo con una donna in una cucina in estate e durante il giorno, ciò che avevo appreso non poteva essere attivato in una situazione simile se ero con un uomo in un’altra stanza durante l’inverno e di sera. L’esperienza era stata assimilata, ma la sua categorizzazione ad un livello più elevato era così specifica che le situazioni dovevano essere quasi identiche per essere considerate comparabili”. (Donna Williams) Per esempio, molti ragazzi con autismo riescono a fare a scuola qualcosa che poi non sono in grado di ripetere a casa, perché la situazione è completamente diversa. Trovano estre81 mamente difficile generalizzare le proprie capacità e la percezione Gestalt porta alla resistenza al cambiamento o all’insistenza sulla ripetitività. Percezione Gestalt → Resistenza al cambiamento / Insistenza sulla ripetitività Kanner, che per la prima volta descrisse l’autismo nel 1943, notò: L’incapacità di conoscere l’insieme senza la completa attenzione alle parti che lo costituiscono: “Una situazione, una frase non sono considerate complete se non sono fatte esattamente con gli stessi elementi che erano presenti nel momento in cui il bambino si è confrontato con loro” Per esempio, se una maestra prima di fare una domanda tocca la spalla del bambino, il bambino non riuscirà a rispondere alla domanda se non gli viene toccata la spalla, perché tutti gli elementi che costituiscono la situazione devono essere presenti quando si ripropone la situazione. Cosa dobbiamo cercare? Come possiamo riconoscere se un bambino ha una percezione Gestalt e se si tratta di Gestalt visiva o uditiva? Questi sono alcuni degli indicatori che dobbiamo tenere in considerazione: Che cosa cercare (percezione Gestalt) – Nota ogni minimo cambiamento nell’ambiente (vista) – Non riconosce un ambiente familiare da un punto di vista diverso da quello solito (vista) – Si sente facilmente in difficoltà se tenta di fare qualcosa in una stanza rumorosa e affollata (udito) – Sembra non comprendere le istruzioni se più di una persona sta parlando (udito) – Non è capace di distinguere tra stimoli tattili di diverse intensità, ad esempio un contatto leggero o ruvido (tatto) – Non è capace di distinguere fra odori e gusti forti e deboli (gusto e olfatto) – È goffo, si muove in modo rigido (percezione di sé) – Rifiuta di muovere o di cambiare posizione della testa (vestibolare) 82 Se nota piccoli cambiamenti nell’ambiente, si tratta di Gestalt visiva: vede tutti i minimi dettagli oppure non riconosce un ambiente familiare se lo avvicina da una direzione diversa dal solito. Ricorda della propria casa soltanto la visione frontale, non la riconosce di lato: questo è un gravissimo problema non soltanto per le persone a basso livello di funzionamento, ma anche per quelle ad alto livello. Se si trova facilmente in situazioni di frustrazione quando cerca di fare qualcosa in mezzo ad una folla rumorosa, ciò indica una Gestalt uditiva. Ci sono troppi rumori e il bambino non riesce a differenziare tra i vari suoni; oppure sembra non capire le istruzioni se più di una persona parla simultaneamente, non riesce a concentrarsi sulla voce di una sola persona se viene distratto da altri suoni simultanei. Si ha una Gestalt tattile, quando non riesce a distinguere tra stimoli tattili di diversa entità. Abbiamo una Gestalt olfattiva quando non riesce a distinguere tra odori o gusti forti o deboli. Abbiamo una Gestalt della propriocezione quando si muove in maniera goffa, rigida; una Gestalt vestibolare quando ha una resistenza a cambiare la posizione della testa oppure resiste a determinati movimenti. Se sappiamo tutte queste cose, possiamo comprendere che tipo di Gestalt presenta il bambino. Cosa possiamo fare per aiutarlo a selezionare le informazioni sensoriali? – Dovremmo trovare quale modalità non filtra le informazioni e rendere l’ambiente semplice da un punto di vista visuale, uditivo, ecc… Il passo successivo è quello di insegnare alla persona a scindere l’immagine visuale o uditiva, ecc. in unità significanti, per esempio insegnando al bambino a riconoscere le caratteristiche rilevanti degli oggetti e delle situazioni e ad ignorare quelle irrilevanti. – La strutturazione e le routine rendono la comprensione dell’attività di tutti i giorni più facile e forniscono sensazioni di sicurezza e fiducia. – È importante informare sempre il bambino in modo che possa capire (per esempio usando mezzi visivi o tattili) cosa cambierà e perché. I cambiamenti dovrebbero essere graduali e prevedere la sua partecipazione attiva. – Fate in modo che il bambino abbia un oggetto familiare (un giocattolo, un pezzo di corda) quando si reca in un luogo che non conosce o affronta una situazione nuova. Non so se anche in Italia, come in Inghilterra, a scuola c’è la politica del “learning is fan”, cioè imparare è divertente. Tutte le classi hanno poster e cartelloni molto colorati appesi alle pareti delle classi. Per qual83 cuno, affetto da Gestalt visiva, questo è un incubo e, ve lo posso assicurare, non è assolutamente divertente. È troppo per loro. Questo è il motivo per cui nelle nostre scuole per autistici cerchiamo di mettere i bambini con Gestalt visiva in stanze arredate molto più semplicemente. E funziona. La struttura e la routine rendono più facile la comprensione delle attività quotidiane e danno un senso di sicurezza e di fiducia. Se tutto viene strutturato e non ci sono molti cambiamenti, i bambini si sentono al sicuro. La cosa più importante è comunicare sempre in anticipo, utilizzando mezzi verbali, visivi o tattili, eventuali cambiamenti ed i motivi per cui avvengono. I cambiamenti devono essere graduali e prevedere la loro partecipazione attiva. Se prendono parte ai cambiamenti tutto diventa più facile, capiscono perché fanno una certa cosa e cosa verrà dopo. E ancora una volta vi ricordo gli oggetti di cui hanno bisogno per sentirsi al sicuro. Ieri parlavo di questo bambino (foto) che, come vedete, ora ha un altro giocattolo in mano. Il giocattolo che avete visto ieri è andato in pensione, perché aveva dieci anni, era stato lavato in lavatrice decine di volte e ormai stava per disfarsi. Adesso ha un elefante. Per qualche strana ragione adora gli elefanti, che colleziona. Ogni volta che vado all’estero, gli porto sempre un elefante. È importante lasciare che i bambini abbiano questi oggetti per affrontare le situazioni in cui si sentono frustrati o stressati. Tuttavia è fondamentale non permettere che li usino sempre, altrimenti perdono la loro funzione. La percezione Gestalt rende gli individui con autismo vulnerabili al sovraccarico sensoriale o di informazioni: “Come un computer sovraccarico di informazioni inserite tutte in una volta per l’elaborazione, noi spesso andiamo in tilt. Alcune persone si chiudono in se stesse e staccano la spina completamente”. (Sainsbury) Se ci sono troppi stimoli contemporaneamente, non riescono a capire quale devono elaborare per primo. Ecco perché è così difficile per loro e tendono a sovraccaricarsi frequentemente. Un altro motivo per insistere sulla ripetitività, è la loro incapacità, o meglio difficoltà, di smettere di percepire il cambiamento, cosa che li porta al sovraccarico e all’ipersensibilità. Vorrei spiegarvelo perché è davvero molto importante. Per esempio, se tocco questo piano, ho una certa sensazione; se stacco la mano, non ho più questa sensazione. Alcuni di loro, invece, continuano ad averla, non riescono ad interromperla e la sentono molto a lungo. Recentemente è stata effettuata una ricerca da parte dal dottor Manuel Casanova, che credo che sia davvero rivoluzionaria. Il Dottor Casanova è stato il primo a trovare alcune differenze strutturali nel cervello delle persone affette da autismo. Si sapeva che esistevano, ma fino ad ora non era ancora stata individuata la parte del cervello sede di queste differenze. In 84 persone diverse vengono coinvolte e interessate parti diverse del cervello. Il Dottor Casanova ha trovato differenze strutturali nei cervelli di tutti i suoi pazienti con autismo, che ha definito “mini columns”, mini colonne. Ora vi do la definizione: una mini colonna è l’unità più piccola del cervello in grado di elaborare le informazioni. Casanova ha scoperto che, nel cervello degli autistici, le “mini columns” sono più numerose che nei cervelli delle persone non autistiche e, naturalmente, sono più piccole. La scoperta di Casanova ci porta a distinguere i cervelli delle persone autistiche dai cervelli di persone affette da altri disturbi. Come li descrive? Fa l’esempio di una doccia. Se la mattina uno di noi va a fare la doccia e la tenda della doccia funziona, va tutto bene, perché l’acqua cade all’interno; ma se la tenda della doccia non funziona bene, l’acqua si sparge ovunque. Ed è questo che accade nell’autismo. Le mini colonne, poiché sono molto più numerose del necessario e sono più piccole, non sono in grado di trattenere l’acqua. Capite? Mandano segnali ovunque nel cervello. Ecco perché queste persone non riescono a smettere di provare una sensazione. Anche le persone affette da autismo ad alto funzionamento hanno difficoltà nel passare dagli abiti invernali a quelli estivi; impiegano molto più tempo ad abituarsi alla sensazione di un indumento nuovo addosso. Quando ci vestiamo al mattino, per qualche secondo proviamo una particolare sensazione che poi dimentichiamo. Per alcuni di loro è molto difficile farlo perché continuano a sentire addosso questa sensazione e impiegano molto più tempo per abituarsi. In inverno portiamo indumenti a maniche lunghe, pantaloni lunghi; l’estate è il momento delle magliette a maniche corte e la sensazione del corto è diversa. Wendy Lawson, per esempio, ha un’enorme difficoltà a cambiare abbigliamento dall’inverno all’estate: ci mette molto tempo a liberarsi di questa sensazione proprio a causa di queste mini colonne. Non so se vi è mai capitata l’esperienza di tagliare le unghie ad un bambino autistico: per alcuni di loro è davvero difficile da sopportare perché continuano ad avere questa sensazione per molto tempo. Mio figlio lo trova davvero difficile, adesso mi permette di farlo, ma poi si lamenta per tre o quattro giorni perché percepisce una sensazione che non gli piace, diversa con le unghie corte. Dopo pochi giorni è nuovamente ora di tagliargli le unghie e il processo ricomincia. Altri non amano cambiare la maglietta perché quando è pulita provano una sensazione diversa. Quando riescono ad abituarsi è tempo di cambiarla un’altra volta, quindi si riparte da capo. La ricerca del Dottor Casanova è davvero promettente. La percezione Gestalt porta alla percezione letterale. Vi ricordo che il primo livello della percezione è quello legato alle sensazioni: sentono, vedono, annusano tutto senza interpretare. Il primo passo della percezione – La percezione “letterale” Stimolo → Sensazione → Interpretazione → Comprensione 85 Per darvi un’idea di come funziona la percezione letterale, vi chiedo di leggere i colori, non le parole di questa diapositiva. È difficile, vero? Non riuscite a percepire in modo letterale, perché non siete affatto letterali. Ora vi facilito il compito. Voglio che proviate cosa significa essere letterali. È più facile adesso? Lo vedete? Nessuno parla russo immagino? No. Quando non comprendete, quando il significato non interferisce è più facile percepire in modo letterale. Ecco cos’è la percezione letterale: vedere i colori senza nessun significato. Questa è una componente tipica dell’autismo. Come possono quelle sei creature essere un gatto, un solo gatto se sono così diverse e se hanno colori, forme e movimenti diversi. Questo è il motivo per cui per le persone con autismo è così difficile generalizzare, formare categorie, perché esse percepiscono ogni cosa in modo letterale, dal momento che la loro percezione è diversa dalla nostra. Per esempio, se mostriamo un bicchiere di plastica, per loro è un bicchiere; se il giorno dopo mostriamo un bicchiere di vetro e non più di plastica, per loro non può essere un bicchiere perché al tatto è diverso. Se presentiamo una palla di gomma, essa sarà riconosciuta dall’odore e, quindi, il ragazzo ricorderà che quell’oggetto si chiama palla. Se il giorno dopo, daremo allo stesso bambino una palla di plastica, non la riconoscerà come palla perché ha un odore diverso. Ecco perché è così importante che una parola corrisponda ad un oggetto. Mio figlio aveva uno spazzolino da denti blu, che ad un certo momento ho dovuto sostituire. Sono stata così sciocca da comprarne uno rosso: per lui non era più uno spazzolino, pertanto si rifiutava di lavarsi i denti con quell’oggetto. Solo con molta fatica è riuscito ad adattarsi a quel nuovo oggetto. Ora facciamo un passo avanti, verso un livello più elevato: la memoria Gestalt. Essi hanno una memoria perfetta, ricordatelo, hanno un’ottima memoria, ma sono in grado di ricordare l’intera situazione come una sola entità. Noi siamo diversi, ricordiamo cosa abbiamo fatto ieri. Per esempio io ieri sono andata all’aeroporto di Manchester, ho preso l’aereo, sono venuta in Italia etc. Sono in grado di raccontarvi quello che ho fatto ieri. Per una persona con autismo, che ha una memoria Gestalt, è difficile perché l’intera situazione è una sola entità. Se hanno un’ottima memoria, perché non sono in grado di rispondere alle domande più semplici tipo: “Che cosa hai fatto oggi a scuola?”. Il massimo che si può ottenere è un “Non lo so” oppure “Non mi ricordo” e questo a causa della Gestalt. Come si fa a rispondere se si ha l’intera situazione nella memoria, come si fa a tradurla in parole? Hanno una difficoltà linguistica ed è per questo che ci vogliono gli stimoli adeguati. Bisogna conoscere ciò che è successo per poter formulare la domanda giusta. Lo spiega bene Donna Williams: Gli stimoli giusti Per mezzo di un punto chiave stimolato, io non posso lasciare che la “scena scorra” e potrei trovare una sequenza di cose dette in un certo ordine in relazione all’ordine delle altre cose fatte. Posso essere capace di ripetere queste cose anche se non ne ho elaborato il significato” 86 A volte essi sono in grado di toccare qualcosa e la memoria e il ricordo di quanto hanno provato nel toccare questa cosa, magari si rifà ad una settimana prima. Bisogna stimolare il punto giusto, può essere un tocco, una parola, un odore, qualunque cosa, anche un movimento. Una strategia Gestalt nell’apprendimento del linguaggio – Ecolalia – Insistenza su alcune routine verbali (esigendo lo stesso scenario verbale) Se si chiede ad un bambino “Vuoi un biscotto?” e poi si dà il biscotto al bambino, la frase “vuoi un biscotto” per questo bambino è una sola parola, è così che la ricorda ed è così che sa di poter ottenere il biscotto. Ecco perché quando un bambino vuole un biscotto, dirà: “Vuoi un biscotto?”, perché vuole comunicare che lui vuole un biscotto. L’insistenza su alcune routine verbali, che esigono lo stesso scenario verbale, con la stessa formulazione consente l’apprendimento. Vi faccio un esempio del lavoro di Leo Kanner (1943). Insistenza sulle routine verbali “Una grande parte del giorno trascorreva nell’esigere non soltanto le stesse parole di una richiesta, ma anche la stessa sequenza di eventi. Donald non si alzava dal letto dopo il suo sonnellino finché diceva ‘Boo (mamma) dì Don vuoi scendere?’ E la madre lo assecondava. Ma questo non era tutto. L’atto non era ancora considerato completo. Donald continuava ‘Ora dì: Tutto bene’. Di nuovo la mamma lo doveva assecondare altrimenti egli urlava finché la commedia non era completata. Tutti questi rituali erano una parte indispensabile dell’azione di alzarsi dopo un sonnellino”. Le persone con autismo sono in grado di ricordare, ma hanno bisogno del nostro aiuto, perciò ci chiedono di dire: “Dì questo, fai questo”. Poiché con mio figlio ora mi rifiuto di fare questo gioco, egli parla con se stesso, come se parlasse a me. La percezione Gestalt può spiegare sia i punti di forza che le debolezze della percezione nelle persone con autismo 87 La percezione Gestalt può risultare in differenti esperienze e strategie compensatorie – percezione distorta – percezione frammentata – processi ritardati – iper / iposensibilità – inconsistenza della percezione – sovraccarico sensoriale – chiusura dei sistemi – mono-elaborazione – percezione periferica – ecc. Possiamo avere: percezione distorta, percezione frammentata, elaborazione dei dati ritardata, ipersensibilità, iposensibilità, incoerenza della percezione, sovraccarico sensoriale, chiusura del sistema, mono-elaborazione, percezione periferica e molto altro ancora. Iniziamo a parlare della percezione distorta. Percezione distorta Per esempio nel campo della vista: – percezione della profondità e dello spazio limitata o distorta – vedere il mondo a due dimensioni – visione doppia – distorsione di forma, misura, movimento, ecc. La percezione distorta può riguardare qualsiasi modalità sensoriale, come risulta da un esempio di Lucy Blackman, una signora australiana non verbale, considerata a basso livello di funzionamento, che però ha scritto un libro: Distorsioni “Il mio mondo incantato di luci e buchi improvvisi, nel quale le persone e gli oggetti si muovevano, influenzava il modo con cui elaboravo la conoscenza del mio prossimo. Fondamentalmente enfatizzavo le pieghe e profondità. Così percepivo le persone come fossero leggermente distorte. Questo non solo nella forma, ma anche nella composizione degli elementi del loro corpo nella mia immaginazione visiva” 88 Lucy Blackman, aveva anche problemi di movimento e della sua percezione, non riusciva a vedere le persone mentre si muovevano; vedeva una persona in un luogo, per esempio, e poi improvvisamente vedeva la stessa persona in un'altra posizione. Non riusciva a percepire i movimenti. Si spaventava quando aveva la sensazione che una persona “saltasse” improvvisamente da un posto all’altro. Attraverso la sua esperienza siamo in grado di capire questo tipo di percezione. Gunilla Gerland, una signora con sindrome di Asperger, ha scritto a tal proposito: Percezione distorta “Talvolta perdevo del tutto il senso della prospettiva. Qualcosa poteva sembrare mostruosamente largo se veniva verso di me con velocità o se ero impreparata. Qualcuno, che improvvisamente si piegava verso di me, poteva spaventarmi enormemente. Sentivo come se qualcosa mi stesse cadendo addosso e mi schiacciasse” Cerchiamo di capire il significato di questo fenomeno per una persona con autismo a basso livello di funzionamento di fronte a tale distorsione della realtà. Percezione distorta Cosa cercare – Ha paura dell’altezza, delle scale, delle scale mobili (vista) – Ha difficoltà ad afferrare la palla (vista) – Sobbalza quando qualcuno si avvicina (vista) – Ha movimenti compulsivi della testa, delle mani e del corpo che oscillano tra vicino e lontano (vista) – Problemi di pronuncia (udito) – Non è capace di distinguere alcuni suoni (udito) – Si colpisce occhi, orecchie, naso – Ha difficoltà nel saltare, saltellare e andare in bicicletta (percezione di sé) – Si arrampica in alto su un albero, salta alte recinzioni, ecc. (vestibolare) 89 Anche Donna Williams soffriva di problemi di percezione visiva, con forte distorsione. Quando attraversava la strada, non vedeva le macchine, vedeva soltanto lo spazio che intercorreva tra una macchina e l’altra. Riuscite a immaginare una cosa del genere? Questi indicatori possono far capire se il bambino ha una distorsione percettiva e se ha diverse modalità sensoriali. Se si tratta di distorsione visiva, può avere paura delle scale, degli ascensori, del vuoto, dell’altitudine, può avere difficoltà nel prendere la palla, può spaventarsi quando qualcuno si avvicina, può avere movimenti compulsivi della testa e del corpo; può avere problemi di pronuncia; può essere incapace di distinguere tra i suoni. In caso di sovraccarico sensoriale può colpire i propri occhi, bocca, orecchie e naso. Colpisce gli occhi per capire se funzionano; colpisce le orecchie perché le stesse sembrano non funzionare in maniera adeguata. Se si tratta di propriocezione, hanno difficoltà a saltare, ad andare in bicicletta, ad usare i pattini. In presenza di problemi vestibolari, hanno difficoltà a salire su un albero, a saltare gli ostacoli. Percezione frammentata “Ho sempre saputo che il mondo è frammentato. Mia madre era un odore, mio padre una nota e mio fratello maggiore era qualcosa che si muoveva”. (Donna Williams) Passiamo ora alla percezione frammentata. La Gestalt, come ho più volte detto, consiste nella percezione simultanea di tutti gli stimoli. La persona inizia ad elaborarli per poi interpretarli e capirli. La percezione sensoriale di Donna Williams era veramente difficoltosa e frammentaria: per questo motivo riusciva a percepire sua madre, ma non riusciva ad elaborare le informazioni ed a riconoscerla; ne sentiva soltanto il profumo. Per questo motivo quando era bambina seguiva per strada tutte le donne con lo stesso profumo della madre. Questo è un problema estremamente grave per le persone con percezione frammentata. Passiamo ad un esempio di frammentazione tattile propriocettiva, perché la frammentazione può riguardare qualsiasi modalità sensoriale, cioè tutti i nostri sette sensi. Anche questa è una citazione di Donna Williams. Percezione di sé e frammentazione tattile “Percepivo il corpo come se fosse costituito da pezzi separati fra di loro. Ero un braccio o una gamba o un naso. A volte una parte poteva essere molto pesante, come fosse di legno, come se fosse stata la gamba di un tavolo o semplicemente come fosse morta” 90 Molti anni fa Donna mi raccontò di aver visitato moltissimi cimiteri perché sopra le tombe c’erano delle statue che lei toccava per ore per essere certa che la testa fosse collegata al collo, alle spalle, alle braccia. Ciò la aiutava ad avere una maggiore conoscenza del proprio corpo. Riuscite ad immaginare una cosa del genere? Me lo descrisse in maniera così efficace, mi disse che non riusciva a percepire il proprio corpo come un intero, ma che ne percepiva soltanto le parti. “Puoi osservare una persona con autismo sfregare carta vetrata sul suo braccio nudo o picchiare le nocche bruscamente su una credenza di legno e poi guardarle come per dire “Oh, ciao mano. Quindi tu appartieni a me”. A volte il corpo viene percepito come frammentato, così appare come se fosse sospeso o fluttuasse a pezzi”. (J. O’Neill) Conosco una persona nello Yorkshire che lamenta sempre di non riuscire a sentire il proprio corpo dalla vita in giù. Percepisce soltanto la parte superiore. Questo è il motivo per cui deve guardarsi i piedi mentre cammina. Un altro esempio di estrema importanza è quello di un teenager con sindrome di Asperger. Amava tantissimo andare a scuola dove aveva molti amici, ma da dove molte volte era stato espulso a causa della sua aggressività, che lo portava a colpire l’insegnante. Non riuscivamo a capire il motivo per cui facesse una cosa del genere. Se amava la scuola, perché picchiava l’insegnante? Siamo riusciti a fargli la domanda giusta, alla quale ha risposto così: “Una mano si è improvvisamente materializzata davanti ai miei occhi”; non la mano dell’insegnante ma una mano, una mano si è materializzata davanti ai miei occhi”. Immaginatevi la situazione, l’insegnante che dice “fate questo, fate quest’altro” puntando il dito; poi immaginate questo ragazzo che improvvisamente vede una mano davanti ai suoi occhi. Voi cosa fareste? Direste: “Oh, ciao mano”? No, rispondereste con un pugno perché una cosa del genere vi spaventa. Questo è quello che è successo al nostro ragazzo, che è stato punito per qualcosa di cui non aveva assolutamente colpa. Vi porto un altro esempio per enfatizzare un’esperienza del genere. Donna Williams, prima di iniziare a portare occhiali scuri, diceva: “Quando guardavo una persona vedevo il naso di questa persona, poi muovevo gli occhi e vedevo il suo occhio, poi vedevo il labbro, l’orecchio e poi, quello che dovevo fare, era mettere insieme tutti questi pezzi nella mia testa”. Per alcuni di loro è veramente un grossissimo problema. Come possiamo riconoscerlo? Cosa dobbiamo cercare? Quali sono gli indicatori della percezione frammentata? 91 Cosa cercare (percezione frammentata) – Resiste ad ogni cambiamento (vista) – Fa attenzione agli aspetti dell’ambiente meno importanti degli oggetti invece che all’intera situazione (vista) – Si perde facilmente (vista) – Non riconosce le persone vestite in modo insolito (vista) – Sente solo poche parole invece dell’intera frase (udito) – Protesta per alcune parti dei vestiti, per gli odori di alcuni pezzi di cibo, ecc. – È disorientato dal cibo che di solito mangia (gusto) – Si lamenta degli arti o di altre parti del corpo (percezione di sé) – Fa resistenza a nuove attività motorie (vestibolare) Ovviamente possono essere coinvolte diverse modalità sensoriali. Innanzitutto verifichiamo se resistono ai cambiamenti, se selezionano i dettagli degli oggetti nell’ambiente invece della scena in toto: ad esempio vi ignorano come persone e vi vedono come dettagli. Poi si perdono facilmente a causa della frammentazione visiva; non riconoscono le persone con vestiti nuovi. Nel caso della frammentazione uditiva, sentono alcune parole invece dell’intera frase: capiscono il significato solo di alcune parole e poi sentono “bla bla bla”, capiscono un'altra parola e poi sentono nuovamente “bla bla bla”. Se siamo a conoscenza di una situazione di questo tipo cosa possiamo fare per aiutarli? Cosa possiamo fare per aiutare – Strutturazione e routine rendono l’ambiente prevedibile e più facile da controllare. Le routine e i rituali aiutano a rendere più facile la comprensione di ciò che sta accadendo e di ciò che sta per succedere – Introdurre ogni cambiamento molto lentamente e spiegare sempre prima cosa sta per succedere e perché – Se una persona è prosopoagnostica, cioè fatica a riconoscere gli altri, bisogna presentarsi ogni volta che la si vede. Indossare sempre gli stessi vestiti e avere la stessa pettinatura aiuta il riconoscimento. 92 Altre esperienze possibili – Integrazione bilaterale dei problemi – Prosopoagnosia – Sinestesia Altre esperienze possibili, sono problemi di integrazione bilaterale, prosopoagnosia e sinestesia. I problemi di integrazione bilaterale non sono specifici dell’autismo, ma conosco alcune persone con autismo che hanno questa tipologia di problemi: difficoltà nel coordinamento delle due parti del proprio corpo, mancanza di controllo sulle mani e difficoltà ad individuare la linea mediana del corpo. Problemi di integrazione bilaterale – Difficoltà nel coordinare due parti del corpo – Impossibilità di sviluppare la predominanza di una mano – Difficoltà nell’incrociare la metà del corpo Nel nostro centro ci sono due adulti con questo problema. Non riescono a coordinare la parte destra e la parte sinistra del loro corpo, ma, come ho detto, questa non è una caratteristica specifica dell’autismo. È un problema che possono avere anche altre persone. Prosopoagnosia incapacità di riconoscere persone note e anche la propria immagine allo specchio È molto importante includerla nei problemi sensoriali. La prosopoagnosia o cecità per i volti si manifesta con l’incapacità di riconoscere i volti. Può essere riscontrata anche in persone non autistiche. Sappiamo con certezza che ne soffrono alcuni soggetti ad alto funzionamento e con sindrome di Asperger, come mia figlia e mio figlio. In realtà non è qualcosa di specifico per l’autismo, ma può essere presente anche in questa sindrome. È importante saperlo. 93 Le persone che hanno la prosopoagnosia e che non sono autistiche, come fanno a riconoscere le altre persone? Sviluppano un loro sistema di riconoscimento. Sistema di identificazione – vestiti – andatura – movimenti – capelli – barba, baffi – occhiali – voce Innanzitutto ciò avviene attraverso gli indumenti, i vestiti. Noi non ci vestiamo sempre nello stesso modo, ma con lo stesso stile di abbigliamento e questo aiuta. Sono importanti anche l’andatura, il passo, i movimenti. Ognuno si muove in modo diverso e anche questo aiuta a riconoscere le persone. Sappiamo con certezza che i bambini autistici, o quantomeno alcuni di essi, sono affascinati dai capelli delle persone, amano toccarli e guardarli. Le persone che sono affette da prosopoagnosia, li vedono in modo diverso: una di loro li ha descritti come se ogni singolo capello corrispondesse ad uno spaghetto. Esse riscontrano diversità nei capelli, nella capigliatura. Anche la barba, i baffi, gli occhiali, le voci aiutano a riconoscere un volto. Cosa accade quando tutte le persone sono vestite in modo uguale? Non so se avviene anche in Italia, ma in Inghilterra, a scuola, i bambini portano un’uniforme. Come fanno queste persone a riconoscere gli altri se sono tutti vestiti allo stesso modo? In particolare pensiamo a quando le ragazze portano i pantaloni, perché fanno parte dell’uniforme. Questa situazione è molto difficile per chi è affetto da prosopoagnosia. Difficoltà a scuola Voglio parlare ora di un teenager affetto da sindrome di Asperger che soffre anche di prosopoagnosia: ha un elevato quoziente d’intelligenza, è molto verbale ma fatica a riconoscere le persone. Conosce i nomi di tutti i compagni di scuola, ma quando si trova in classe li chiama semplicemente “ragazzo” o “ragazza”, perché non è in grado di riconoscere i loro volti. È interessante un’esperienza che abbiamo fatto. Quando una delle compagne si è tagliata i capelli è stata spostata dal gruppo delle femmine a quello dei maschi. Il nostro ragazzo non era più in grado di vedere la differenza: portava i pantaloni, aveva i capelli corti, quindi per lui era un maschio. Potete immaginare le difficoltà. Non tutte le persone con autismo hanno la prosopoagnosia, ma sappiamo che è qualcosa di molto comune. 94 La prosopoagnosia può portare a – isolamento sociale – difficoltà nel comprendere e nell’esprimere le emozioni La prosopoagnosia senza l’autismo può portare ad isolamento sociale, perché crea imbarazzo: ho salutato questa persona o non l’ho salutata? Può portare anche a difficoltà nella comprensione delle emozioni degli altri. Se una persona non è in grado di riconoscere un volto, non è neanche in grado di riconoscere le emozioni che traspaiono da esso. Se non è in grado di riconoscere le emozioni, non è in grado di esprimere le proprie. Una recente ricerca ha mostrato che la cecità per i volti o prosopoagnosia può manifestarsi insieme a disturbi dello spettro autistico. La prosopoagnosia può concorrere con ASD “La prosopoagnosia può essere un sintomo fondamentale nell’ASD, probabilmente uno specifico gruppo della sindrome di Asperger”. (Kracke) Passiamo ora alla definizione di sinestesia. La sinestesia è la stimolazione di una modalità sensoriale che attiva la percezione in uno o più sensi diversi Se potete rispondere sì ad una di queste domande, vuole dire che ne soffrite anche voi. Sinestesia – – – – Puoi vedere i suoni? Puoi odorare i colori? Puoi sentire il sapore delle forme? Puoi percepire i suoni sulla pelle? 95 Questa è la sinestesia. Ora vediamo la sinestesia in assenza di autismo; poi vi fornirò dati che si basano sulla mia ricerca della sinestesia associata all’autismo. Queste sono alcune citazioni di persone affette da sinestesia. – “Non ricordo il suo nome, ma ricordo il suo rosso” – “Ha un nome verde – Ho dimenticato se era Ethel o Vivian” – “Il nome Richard ha il gusto di una barretta al cioccolato, caldo e che si scioglie sulla mia lingua” “Alcune parole sono un’esperienza completa in quanto hanno sapore, consistenza, temperatura e sono sentite da una specifica parte della mia bocca, come in fondo alla gola, sulla punta della lingua, ecc. Spesso lo spelling influenza il gusto. ‘Lori’ ha il sapore di una gomma per matite, ma ‘Lauri’ ha un gusto acido”. (citato in Cytowic) “Di solito sperimento il gusto e il peso di una parola. Ma è difficile da descrivere. Quello che sento è qualcosa di oleoso nella mia mano, o un piccolo ticchettio nella mia mano sinistra prodotto da una massa di piccoli, insignificanti punti”. (Shereshevsky) Non conosciamo molto della sinestesia, che deve essere indagata attraverso la ricerca. La sinestesia può essere di due tipi – sinestesia a due sensi (quando la stimolazione in una modalità attiva la percezione in una seconda modalità, in assenza della stimolazione diretta di questa seconda modalità) – sinestesia multipla 96 Iniziamo con la sinestesia bisensoriale Sinestesia a due sensi (quando la stimolazione in una modalità attiva la percezione nella seconda modalità, in assenza della stimolazione diretta della seconda modalità) – udito colorato (quando un suono attiva la percezione di un colore) – olfatto colorato (quando un odore stimola la percezione di un colore) – tatto colorato (quando toccare qualcosa attiva la percezione di un colore) – udito tattile (quando un suono produce una sensazione tattile) – vista tattile (quando vedere qualcosa attiva la percezione di forme e consistenze che toccano la pelle) Passiamo ora alla sinestesia multipla Sinestesia multipla – numeri colorati (quando i numeri sono ascoltati o letti, essi sono conosciuti come fossero colori) – lettere colorate (quando le lettere sono ascoltate o lette, esse sono conosciute come colori) – numeri dotati di forma (quando i numeri sono ascoltati o letti essi sono conosciuti come forme) Sinestesia – La sinestesia predomina fra le persone di sesso femminile: il rapporto è da 3:1 a 8:1 – Si ritiene che la sinestesia sia genetica – Il 15% delle persone con la sinestesia ha qualcuno tra i parenti di primo grado affetto da dislessia, autismo o ADD – La sinestesia è più frequente tra i mancini – L’esperienza della sinestesia è molto soggettiva, per esempio tra le persone che vedono i suoni colorati non c’è uno specifico colore per ogni suono, esso varia da persona a persona 97 Sappiamo che le donne con sinestesia sono in numero maggiore rispetto agli uomini, il rapporto può essere di 3:1 fino ad arrivare a 8:1. Si pensa che la sinestesia, come l’autismo, possa essere un problema di tipo genetico. Sappiamo che approssimativamente il 15% delle persone affette da sinestesia hanno un parente di primo grado con dislessia, autismo o con disturbo di deficit d’attenzione. Tutti questi disturbi direi che sono correlati tra loro. La sinestesia è più frequente tra le persone mancine, non si sa per quale motivo. Ovviamente non tutti i mancini sono affetti da sinestesia. – Una delle caratteristiche più comuni delle persone affette da sinestesia è la loro memoria superiore – Le persone affette da sinestesia hanno competenze cognitive discontinue – Molte delle persone affette da sinestesia non lamentano la loro condizione perché per loro è la normale percezione del mondo. Comunque è vero che la sinestesia è unidirezionale. – La sinestesia a due sensi (quando per esempio una persona non solo vede i colori, quando sente i suoni, ma sente anche i suoni quando vede i colori) è spesso travolgente Molte sensazioni possono essere insopportabili. Per esempio abbiamo una citazione di Shereshevsky che dice: Le sensazioni possono essere incontenibili “Le voci di alcune persone sono come un mazzo di fiori e io sono molto interessata dalle loro voci, ma non riesco a seguire ciò che viene detto. Altre volte mi appare fumo o nebbia e più persone parlano più diventa difficile, finché raggiungo un punto in cui non posso comprendere più niente” Bisogna ricordare che quelle di cui stiamo parlando sono persone non affette da autismo. Immaginate cosa vuol dire aggiungere l’autismo a queste situazioni. I problemi di apprendimento sembrano essere più comuni nelle persone con la sinestesia, comunque l’incidenza al momento è ancora sconosciuta. 98 La bassa incidenza della sinestesia nell’autismo può essere spiegata dal fatto che non è facile rilevarla – problemi di comunicazione (anche individui verbali hanno difficoltà nell’esprimere le loro esperienze) – anche persone affette da sinestesia che non sono autistiche trovano difficile rendersi conto che esse conoscono il mondo in modo differente e potrebbe essere difficile per loro immaginare che gli altri non possono sentire i suoni mentre vedono i colori Dicevamo che è difficile individuare la sinestesia all’interno di un paziente autistico, soprattutto a causa dei problemi della comunicazione. La sua difficoltà è che non riesce a sentire lo stimolo presente, ma invisibile per noi, oppure “probabile”. Voglio portare come esempio Mark Flesher, con sindrome di Asperger e una diagnosi di ritardo mentale, che incontrava problemi di apprendimento. Ora ha circa 28 anni e una laurea in matematica pura conseguita all’Università di Cambridge. Durante una lezione ha portato un righello e ci ha detto di immaginare una lezione di matematica. In una stanza c’è un tavolo, voi muovete una mano. Ci può essere un righello sul tavolo che cade o sta per cadere. Se è presente uno studente autistico, che non riesce a tollerare rumori improvvisi e imprevedibili, la lezione per lui è finita perché il suo mondo si concentra sul righello che sta per cadere o che è caduto. Egli vuole essere pronto, vuole prepararsi, vuole conoscere in anticipo i movimenti perché così per lui sono più facili da sopportare. Quindi tutta l’attenzione dello studente autistico si concentra sul righello e non sulla lezione di matematica. Questo è quello che io chiamo “antecedente, probabile nel futuro” il righello può cadere se è in bilico o magari può non cadere, ma la persona con autismo vuole essere pronta. La stessa cosa vale per il telefono. Questo è il motivo per cui tanti pazienti affetti da autismo staccano i telefoni perché possono suonare in qualsiasi momento in modo imprevedibile. Non si tratta di un comportamento di sfida, ma di un comportamento volto a proteggere se stessi. Ad esempio, uno studente con autismo è stato inserito in una scuola normale perché aveva un buon livello di funzionamento. Ad un certo punto ha incominciato a spaccare tutti gli allarmi antincendio. La scuola veniva continuamente evacuata e gli altri studenti erano molto contenti di questo. Perché si comportava così? Spaccava quei campanelli perché l’allarme antincendio per lui era insopportabile, pertanto era più facile essere la causa dell’allarme piuttosto che doverlo sentire all’improvviso. Vi porto un altro esempio che riguarda i neonati. Alcuni bambini affetti da autismo non rie99 scono a sopportare il pianto dei neonati, che risulta troppo doloroso per loro. Con mio figlio succedeva la stessa cosa. Vi ricordate che ieri ho detto che lui non ha parlato fino all’età di 7 anni. Dal punto di vista fisico era molto forte, ma non riusciva a sopportare il pianto dei bambini: diventava furioso e per me, ovviamente, era un grosso problema da gestire. Era ovvio che evitassi di portarlo nei luoghi in cui potessero esserci bambini che piangevano. Ma il problema rimaneva, perché picchiava qualsiasi bambino, anche se stava dormendo o non stava piangendo. Potete immaginare come potessi trovarmi in difficoltà. Perché lo faceva? Perché i bambini non sono prevedibili, iniziano a piangere in qualsiasi momento. Picchiarli era il suo modo per proteggersi, per autoproteggersi. Era più facile picchiare un bambino, sapendo che avrebbe iniziato a piangere, piuttosto che sopportarne il pianto improvviso. In questo modo cercava di rendersi la vita più facile, ma potete immaginare quale era la mia vita e, soprattutto, la mia preoccupazione. Per rispondere alla domanda su cosa è possibile fare con loro, vi racconterò la mia esperienza. È stato indubbiamente difficile. Non possiamo rimuovere i bambini dalla loro vista; dobbiamo cercare di desensibilizzare i nostri bambini autistici. È difficile. Indubbiamente sì, ma è anche possibile. Ora mio figlio ha 18 anni ed ha ancora difficoltà quando un neonano piange, ma è in grado di reagire molto meglio, è in grado di capire di più, e pertanto, posso parlargli. Quando un neonato piange, lui dice: “Neonato che piange”, io gli rispondo: “Sì”, e poi continuo e dico, anche se non è politicamente corretto quello che sto facendo in questo caso, però vi posso dire che per quanto riguarda mio figlio funziona, “I neonati sono piccoli e stupidi, tu sei grande e intelligente”, e funziona. Poi aggiungo sempre: “Quando tu eri neonato piangevi ininterrottamente perché eri piccolo e non capivi niente, Al convegno hanno partecipato corsisti provenienti da tutta l’Italia 100 quindi è normale poi i neonati crescono e non piangono più”. Adesso è in grado di reagire all’istinto di picchiarli. È possibile, anche se difficile, desensibilizzarli con un’adeguata preparazione. Dunque, stavamo parlando di disturbo o di sensibilità ad alcuni stimoli. Queste sono le cose che dobbiamo cercare per riconoscere gli stimoli che disturbano questi bambini in particolare. Sinestesia: cosa cercare Vista: – copre, sfrega, colpisce, sbatte le palpebre in reazione ad un suono, un gusto, un odore o un contatto – si lamenta del colore sbagliato delle lettere, dei numeri, scritti su blocchi colorati, ecc. Udito: – copre, colpisce le orecchie come reazione ad uno stimolo visivo, un sapore, un odore, un contatto o una consistenza – si lamenta del suono come reazione a colori/consistenze/profumi/ gusti/contatti Gusto: – deglutisce come reazione a stimoli visivi e uditivi, a odori e contatti – si lamenta del sapore come reazione a stimoli visivi e uditivi a odori e contatti Odorato: – si copre, si sfrega o colpisce il naso come reazione a stimoli visivi o uditivi, a odori contatti Tatto: – si lamenta perchè sente colori o suoni mentre viene toccato – si lamenta della sensazione di essere toccato mentre viene guardato – si lamenta del mal di schiena, calore, freddo in luoghi dove predominano colori forti o affollati e con molto movimento Percezione di sé: – movimenti involontari e posture del corpo in reazione a stimoli visivi e uditivi, odori e sapori 101 Se parliamo della vista, sono in grado di stropicciare o socchiudere gli occhi davanti ad una fonte di luce molto forte? Si sentono frustrati o stanchi sotto le luci al neon oppure in presenza di alcuni colori o suoni? I suoni fastidiosi possono variare a seconda degli individui; alcuni possono amare il suono dell’acqua che scorre, altri lo possono odiare. Cercano di distruggere, di rompere gli oggetti che producono i suoni come l’orologio, il telefono? Non sono in grado di tollerare alcune componenti, alcune consistenze, degli odori, dei sapori, particolari movimenti o posture corporee? Hanno paura di cadere dall’alto per un problema al sistema vestibolare? Quando capiamo che cosa disturba un individuo, possiamo fare qualcosa per aiutarlo? Ricordiamoci sempre che quello che secondo noi è piacevole può creare paura o essere insopportabile per una persona con autismo. In particolare risultano fastidiosi le luci ed i suoni forti. Molti autistici non sono in grado di capire cosa ci sia di bello nei fuochi d’artificio che a noi piacciono tanto! Dobbiamo essere sempre consapevoli dei colori e dei disegni, degli indumenti che indossiamo e del profumo. Alcune persone non sono in grado di tollerare determinati colori, ad esempio per alcune il colore giallo dà fastidio fisico, le fa sentire male, provoca vertigini. Se lavoriamo in una stanza con le pareti gialle, con un bambino che non è in grado di tollerare questo colore, avremo sicuramente dei problemi. Lo stesso vale per i profumi. Ci sono persone che non sono in grado di tollerare determinati profumi, che provocano addirittura un’allergia. È fondamentale avvertire sempre una persona delle possibilità degli stimoli che teme oppure mostrarne la fonte. È importante che sappiano cosa può succedere, per poterlo tollerare meglio. Quando passa l’auto della polizia a sirene spiegate, dobbiamo spiegare perché questa auto fa un gran baccano. Dobbiamo mettere in campo strategie per affrontare la sensibilità. Ho già accennato alla luce quando ho parlato delle lenti colorate. Poiché ogni individuo è unico nel suo profilo sensoriale, è molto difficile adattare l’ambiente alla sua sensibilità. Spesso non sono gli stimoli che scatenano quello che noi definiamo comportamenti difficili, ma piuttosto l’incapacità di controllare o di predire l’effetto. La comprensione della sensibilità di ogni individuo è di importanza vitale, altrimenti qualunque intervento si rileva un incubo sia per il malato che per la persona che lavora con lui. Per questo motivo preferiscono essere loro ad attivare il disturbo, come nel caso dell’allarme antincendio, perché se tengono sotto controllo la situazione riescono a tollerarla più facilmente. A volte, in caso di comportamenti difficili come l’autolesionismo non sappiamo cosa fare. L’aggressività o l’autolesionismo sono la conseguenza di stimoli insopportabili che essi cercano di cancellare con atteggiamenti che procurano dolore, ma che riducono la prima fonte di sofferenza. Se qualcosa è troppo doloroso per la vista, l’udito o il tatto e non sono in grado di controllarlo, tendono a farsi del male, si mordono, sbattono la testa contro un muro. 102 Rose Plattem, di cui vi ho parlato ieri, ha detto: “Sbattevo la testa contro il muro e lo faccio ancora quando è troppo doloroso riuscire a tollerare determinati stimoli”. Qualcuno le ha detto: “Sì, ma fa male anche sbattere la testa contro il muro”, lei ha risposto: “Sì, ma è diverso. Innanzitutto quando sei in uno stato di sofferenza e non puoi controllarla; distrarsi da quel dolore impone un'altra forma di dolore e quindi cerchi di distrarti. Soprattutto quando sbatto la testa contro il muro so che posso smettere quando voglio. È questa la differenza”. Può smettere di procurarsi il secondo dolore quando vuole, perché lo controlla. Per questo è più facile ed è per questo che per lei funziona questo metodo. Parlavamo prima di iposensibilità, che può portare a due differenti esperienze: il fastidio per alcuni stimoli e l’attrazione per altri. Il ragazzo che vedete nella foto è mio figlio e ne sono molto fiera. Ha un ramoscello in mano e ci gioca per ore perché gli dà piacere. Posso dirvi che le persone con autismo sono in grado di apprezzare meglio gli stimoli sensoriali di quanto non siamo in grado di fare noi. Per noi non sono importanti, perché non vediamo e non sentiamo quello che vedono e sentono loro. La mia amica Wendy Lawson dice di poter fissare con lo sguardo una foglia o un prato per delle ore e aggiunge sempre: “Ma non vedi quanto è bello?”. Per me si tratta semplicemente di erba o foglie, mentre lei ha una visione più completa. Provate ad immaginare cosa succede se non siete in grado di vedere il colore rosso. Sareste in grado di apprezzare la bellezza di una rosa rossa? No! Capite cosa voglio dire? Noi non abbiamo molte delle loro abilità perché per noi sono inutili. È per questo che non è giusto dire che sono disfunzionali, mentre noi siamo pienamente funzionali. Non è così. Quindi cosa cercare. Cosa cercare – La risposta a stimoli visivi, uditivi, gustativi, olfattivi e tattili è ritardata – Ecolalia in reazione a voci monotone, acute e ripetitive (udito) – Ogni esperienza è percepita come nuova e non familiare, al di là del numero delle volte che la persona l’ha già sperimentata – Scarsa attitudine allo sport (percezione di sé) – Sembra ignorare i rischi dell’altezza, ecc. – Tiene la testa diritta, anche quando si piega o si china (vestibolare) Possono essere affascinati da oggetti colorati e brillanti, da alcuni suoni, da alcune componenti, consistenze, odori e sapori. Naturalmente ogni modalità cambia a seconda dell’individuo. A volte intraprendono complessi movimenti corporei, soprattutto quando si 103 sentono frustrati o annoiati, come ondeggiare o girare su se stessi. Dobbiamo chiederci cosa fare per aiutarli. Suggerisco un elenco degli stimoli piacevoli che, naturalmente, varierà da individuo a individuo. Pensate alle attività, ai comportamenti, ai materiali che la persona utilizza per l’autotrattamento, per distrarsi da qualcosa che gli procura un dolore. Se pensate che le attività ed i materiali siano inappropriati, identificate le loro funzioni e sostituiteli con qualcosa di più adatto. Uno dei nostri utenti, una donna affetta da autismo, arriva nel nostro centro con uno strofinaccio in mano, lo mette via mentre svolge le altre attività, ma durante l’intervallo lo riprende. Ricordo che lo staff che lavorava con lei mi ha chiesto se non era il caso di toglierglielo. Ho risposto: “No, perché? Cosa c’è di male? Tutti abbiamo degli hobby e alcuni di questi sono strani. Allora cosa c’è di male? Nulla!”. La cosa importante è che abbiano qualcosa che li tenga occupati. Come facciamo noi: prima lavoriamo e poi ci dedichiamo al tempo libero. La stessa cosa vale per loro. Un altro utente, un uomo grande e grosso di 40 anni, portava sempre con sé una grossa coperta. In quel caso ero d’accordo con lo staff che bisognava fare qualcosa, per impedirgli di cadere quando saliva le scale avvolto in questa gigantesca coperta. È stato importante identificare la funzione della coperta, che per lui era la consistenza del tatto. Non tutte le coperte danno quella sensazione, ma quella in particolare sì. Così l’abbiamo ritagliata sempre di più, sino ad arrivare ad un pezzo che poteva tenere in una mano e che lo faceva sentire felice. E’ un processo molto lento, ma funziona, ve lo assicuro. Se un oggetto non è appropriato, come nel caso che ho citato sopra, dobbiamo sostituirlo con qualcosa di più appropriato, ma che abbia la stessa funzione. L’elenco delle cose che affascinano il nostro paziente è importante, perché le utilizzeremo in caso di emergenza per calmare una persona dopo un’esperienza stressante o frustrante. Possiamo portare la persona in una stanza tranquilla e darle qualcosa che le piace: per qualcuno è musica e quindi le facciamo sentire il brano preferito, oppure odorare qualcosa, un giocattolo, uno strofinaccio da cucina, ecc. Vi ricordate che l’autismo è tutto fuorché noioso, vero? Intensità con la quale i sensi lavorano – Ipersensibilità – Iposensibilità – Fluttuazione (instabilità della percezione) La stessa persona può alternare ipersensibilità o iponsensibilità agli stessi stimoli perché la sua percezione fluttua. 104 Ipersensibilità “Alcune cose che tocco feriscono le mie mani. A volte cammino e percepisco l’aria che mi punge le mani come fonte di dolore”. (McKean) Questo è vero in base alla mia esperienza, ma non sono in grado di dirvi perché cambiano continuamente giorno per giorno, ora dopo ora, a volte anche minuto dopo minuto. Questo può essere molto frustrante. La stessa cosa avviene con il volume del televisore. La loro percezione fluttua e, quindi, è importante esserne consapevoli. Come possiamo riconoscere tutto questo? Qui ho indicato esempi di fluttuazioni. Possono reagire in modo diverso alla stessa attività o allo stesso stimolo visivo, uditivo, olfattivo, gustativo, tattile. Una volta dà loro piacere, il giorno dopo suscita indifferenza e il giorno successivo può dare fastidio. Per quanto riguarda la percezione di sé possono avere un tono muscolare che varia, un giorno alto e un giorno basso. Non dimentichiamo la vulnerabilità al sovraccarico sensoriale, soprattutto in situazioni che per noi non presentano problemi, perché questo sovraccarico può essere causato dall’incapacità di filtrare informazioni rilevanti, percezioni Gestalt, ipersensibilità, percezione frammentata o distorta e l’elaborazione ritardata. Cosa dobbiamo fare? È molto difficile. Cerchiamo di analizzare e di fare sentire loro cosa significa il sovraccarico dopo un comportamento difficile. In un’occasione avevo chiesto a mio figlio di disegnare il suo panico. Questo è stato il risultato. Si è disegnato con le mani dappertutto. La sua percezione è molto frammentata, odia quando uno lo addita perché vede solo le dita, le mani. Così ha cercato di farmi capire cosa gli è successo. Poi gli ho chiesto dove si trova, dove sente il suo panico. Vedete la freccia che indica la testa? Quello è il panico, è lì che lui sente il panico. È molto importante aiutarli a capire cosa succede, insegnare loro come affrontare la situazione perché sono in grado di crescere, di svilupparsi, di imparare a tollerare ed a comprendere ciò che succede. Donna Williams racconta che quando era piccola la sua soglia di elaborazione durava solo qualche secondo: capiva una parola e poi c’era una serie di “bla bla bla” e poi ancora una parola. A 10 anni, la sua soglia variava da 5 a 10 minuti; dall’adolescenza fino ai 20 anni questa soglia andava da 15 a 30 minuti circa; adesso varia da 20 a 45 minuti. In un ambiente più accogliente queste soglie potrebbero essere molto più elevate, pertanto è importante adattare l’ambiente alle esigenze sensoriali, consentendolo loro di affrontarle nel modo migliore. Cosa dobbiamo cercare in caso di sovraccarico? Un improvviso scatto d’ira, di autolesionismo, 105 di chiusura, di attacchi di collera. Ancora una volta il metodo ABC non funziona (antecedente – comportamento – conseguenza), perché quando stanno bene e tutto va bene intorno a loro, sono in grado di tollerare di più, ma se sono già stanchi, se ci sono troppe persone o troppa luce vanno in sovraccarico e mettono in atto comportamenti di sfida. Sono come un bicchiere: se il bicchiere è vuoto va bene, ma se aggiungiamo acqua e ancora acqua, quando arriva la goccia che fa traboccare il vaso è la fine. Per loro avviene la stessa cosa, per cui quando sopraggiunge il sovraccarico, senza una ragione apparente, esplodono. Altri indicatori sono la chiusura nel loro mondo ed il fatto che si stancano facilmente, in particolare nei luoghi affollati, luminosi e rumorosi o quando devono stare in piedi. Cosa possiamo fare per aiutarli? Ipersensibilità: – Identificare quali stimoli sono disturbanti ed eliminarli (per es. usare luci naturali invece di luci fluorescenti) o, qualora ciò non fosse possibile, si suggerisce di fornire alla persona “aiuti sensoriali” (occhiali colorati, tappi per le orecchie, ecc.) – Desensibilizzare gradualmente la persona affinché tolleri gli stimoli attraverso una “dieta” sensoriale – Monitorare il numero di stimoli simultanei e ridurre gli stimoli irrilevanti – Se possibile, avvertire la persona in merito alla presenza di allarmi antincendio, campane, ecc. Iposensibilità: – Fornire una stimolazione ulteriore ai canali comunicativi che presentano deficit È molto importante riconoscere i primi segni di sovraccarico sensoriale. È meglio prevenirli che affrontarne le conseguenze. Questi primi segnali variano da soggetto a soggetto. Vi parlo di mio figlio. I primi segni che sta andando in sovraccarico e presto andrà in crisi, sono le labbra che diventano molto tese, sottili, come chiuse in un’unica linea. I suoi occhi diventano vuoti, come se fosse distante. Il problema è che non appena vedo questi primi segni, l’intervallo di tempo prima che si verifichi la crisi è inferiore al minuto e, quindi, devo fare qualcosa in un lasso di tempo inferiore ai 60 secondi. Appena si vedono i primissimi segni di un sovraccarico sensoriale, che varia da individuo ad individuo, bisogna interrompere l’attività e fornire il tempo e lo spazio per fare sì che si riprendano. Ciò significa 106 prendere la persona, spostarla in un altro luogo, darle lo spazio perché si riprenda. Purtroppo, a volte, non c’è abbastanza tempo. Voglio farvi due esempi che sono i più grossi errori che ho fatto nella mia vita. Cerco sempre di desensibilizzare mio figlio perché voglio che viva nella società e ora lui reagisce molto meglio. Ogni domenica lo porto a fare shopping in un supermercato. Gestisce bene questa esperienza perché l’ho esposto a questo stimolo un po’ alla volta. Due anni fa, devo ancora riprendermi, l’ho portato in un supermercato per lo shopping prenatalizio. Ho fatto un grosso errore al quale sono sopravvissuta per raccontarvelo, ma è stata veramente dura. Non c’erano centinaia di persone, ma migliaia; non si riusciva nemmeno a muoversi; c’era gente ovunque, musica, annunci, bambini, neonati che piangevano. Riuscite ad immaginare una situazione del genere? Quando ho visto il primo segno di sovraccarico non sono riuscita a fare assolutamente niente. Eravamo troppo lontani dall’uscita. Era impossibile muoversi perché c’era troppa gente. Eravamo in una coda lunghissima. Continuavo a parlare e dicevo: “Bravo, sei proprio forte”. Cercavo di calmarlo perché vedevo che c’erano i segni di sovraccarico, ma ciò che lo ha fatto esplodere è stata una ragazza che cercava di raggiungere da dietro qualcuno che stava più avanti. Questo è stato veramente troppo per lui. La mia strategia è stata quella di capovolgere la sua aggressione verso la ragazza e rivolgerla verso di me. Se vedete le sue foto, è un bellissimo ragazzo, molto alto, dall’aspetto assolutamente normale. Sapevo quello che lui avrebbe fatto e sapevo come proteggermi, sapevo che mi avrebbe preso a calci e che mi avrebbe graffiato. Conosco le sue reazioni e so come gestirle perché mi sono trovata in tali situazioni molte altre volte. L’ho afferrato con energia per portarlo fuori, mentre dava calci alla gente, spingeva carrelli. Quando siamo arrivati fuori, piangendo mi ha detto: “Non volevo farti male”. Il suo comportamento dipendeva dal panico, non da qualcosa di personale rivolto verso una persona. Quando le persone affette da autismo diventano aggressive e pericolose per gli altri non hanno intenzione di fare del male, ma non riescono a sopportare una certa situazione e reagiscono in modo violento. Era lì che piangeva e diceva: “Non volevo farti male, ti prometto non lo farò mai più”. Gli ho risposto che lo sapevo. Ovviamente piangevo pure io e gli dicevo: “Va bene, lo so, ti amo, non c’è problema, ti voglio bene”. La gente intorno a noi ci guardava con gli occhi sbarrati perché non riusciva a capire la situazione. Non capiva perché questo bellissimo ragazzo improvvisamente mi picchiasse ed io, malgrado mi picchiasse, gli dicevo: “Non ti preoccupare, ti voglio bene”. Questa è una situazione difficilmente comprensibile dall’esterno. A volte non c’è abbastanza tempo per allontanare la persona in sovraccarico, pertanto è importante insegnargli come riconoscere i segni interni e chiedere aiuto, oppure usare strategie diverse, come per esempio insegnare a rilassarsi per evitare il problema. Perché questo è importante? 107 Io non sono sempre con lui: per questo motivo è estremamente importante riconoscere i segni interni di sovraccarico. Entrare in sovraccarico è una sensazione fisica; quindi è importante insegnare ad uscire da quella situazione, mettendo in atto delle strategie di rilassamento, oppure a chiedare aiuto. Un kit di pronto soccorso dovrebbe essere sempre a disposizione con: occhiali da sole, tappi per le orecchie, giochi da schiacciare, oggetti preferiti, cartellino con scritto “ho bisogno di aiuto”. Il cartellino è importante non solo per quelli che non riescono a parlare, ma perché durante il sovraccarico persino una persona affetta da autismo ad alto funzionamento diventa assolutamente incapace di farlo. Durante gli attacchi di panico o di sovraccarico devono sapere come usarlo. Questo sovraccarico può portare a diverse reazioni. Se continuano a cercare di elaborare tutte le informazioni in entrata, malgrado la loro incapacità di gestirle, si può avere una situazione di ipersensibilità o frammentazione che porta ansia, confusione, frustrazione, con conseguenti attacchi di collera e comportamenti difficili. Ora voglio dirvi una cosa che potrebbe sembrare assurda. Cosa pensate se vi dico che le persone affette da autismo sono persone difficili, aggressive, ma hanno un potenziale migliore di coloro che sono passivi? Non è una mia idea, ma di Donna Williams. Secondo la mia esperienza di lavoro con queste persone posso dire che sono completamente d’accordo con lei. Sapete perché? Le persone autistiche che sono chiuse e passive, hanno difficoltà a lavorare con gli altri perché vivono nel loro mondo, non hanno una motivazione particolare per vivere con noi e nel nostro mondo. Alcuni insegnanti preferiscono un bambino passivo perché si siede in classe per ore senza disturbare nessuno, senza creare problemi, però raggiungere questi bambini è estremamente difficile perché sono ragazzi che non sono motivati. Invece i ragazzi aggressivi, che lancino sfide, vogliono stare con noi, ma non riescono a gestire il sovraccarico e ad affrontare la sovrastimolazione. Ho parlato di questo perché credo che Donna Williams abbia centrato il problema. E ora voglio parlarvi del secondo errore, al quale fortunatamente sono sopravvissuta. Come dicevo ieri, porto mio figlio ovunque per cercare di desensibilizzarlo alle situazioni. Una volta, mio figlio ha guardato il film più lungo che sia mai riuscito a gestire, Harry Potter 1. Ve lo ricordate? Dura tre ore e lui è riuscito a seguirlo dall’inizio alla fine. Ero con lui a guardare questo film annoiatissima. Dopo quell’esperienza, gli ho chiesto se volesse andare a vedere l’ultimo film di James Bond. L’esperienza è stata tremenda. Ve lo ricordate? Macchine che si scontravano, incidenti, rumori, urli, sirene. Dopo 40 minuti, quando mi sono accorta che aveva gli occhi sbarrati, le labbra serrate, gli ho detto: “Andiamo via?”, con noi c’erano anche mio marito e mia figlia, mi ha risposto: “No, voglio stare qui a guardare il film fino alla fine”. Era estremamente motivato a guardare il film, ma ovviamente non ce l’abbiamo fatta e 108 siamo dovuti uscire prima della fine. Vuole stare con noi e condividere le nostre esperienze. Il nostro compito è di aiutarlo, passo dopo passo, a desensibilizzarsi all’ambiente esterno, per gestire le situazioni della quotidianità. Dopo un sovraccarico sensoriale, possono verificarsi agnosia sensoriale o difficoltà a interpretare un senso. Questa di nuovo è una situazione descritta da Donna Williams dopo un sovraccarico sensoriale, quando non è riuscita a riconoscere quello che si trovava di fronte. Agnosia sensoriale (difficoltà ad interpretare i sensi) “Guardavo la macchia grigia di fronte a me. Il suo significato era sconosciuto non solo per le mie orecchie, ma anche per i miei occhi. Potevo vederla, ma non avevo alcuna idea di che cosa potesse essere” Vi ricordate lo schema percezione – sensazione – interpretazione - comprensione. Quello che succede loro è ritornare al primo passo, alla sensazione. Vedono tutto, sentono tutto, ma sono incapaci di interpretare quello che li circonda. Anche le persone ad elevato livello di funzionalità possono avere questa regressione che è temporanea. Cosa cercare – – – – – Si sente o agisce come se fosse cieco, sordo, ecc. Rituali Ha difficoltà ad interpretare suoni /sapori Sembra non sapere cosa stia facendo il suo corpo È disorientato se cambia la posizione della testa Come indicato nello schema precedente, possono comportarsi e sentirsi come ciechi o sordi, mentre vedono e sentono tutto, ma non capiscono di che cosa si tratta e non riescono a decodificare la realtà. Hanno difficoltà nell’interpretazione dei gusti e degli odori, sembrano non sapere che cosa sta facendo il loro corpo, diventano improvvisamente disorientati dopo un cambiamento nella posizione del capo (questo è un problema di tipo vestibolare). A causa di tutti questi problemi, hanno dei meccanismi di adattamento e compensazione per poter sopravvivere in questo mondo. Volontariamente o involontariamente sviluppano dei sistemi di adattamento e compensazione. 109 Adattamenti e compensazioni Stili percettivi: – chiusure del sistema – mono-elaborazione – percezione periferica – compensazione di un senso non affidabile con gli altri sensi Incapaci di gestire le informazioni sensoriali, chiudono alcuni o tutti i canali sensoriali; possono esserci dal punto di vista fisico ma non da quello mentale. Chiusura del sistema Quando la persona non può fronteggiare l’informazione sensoriale, può chiudere alcuni o tutti i canali sensoriali. I neonati mettono in atto un“auto-sospensione sensoriale” “Staccandomi dalla percezione sensoriale, posso non aver ricevuto la stimolazione necessaria per uno sviluppo normale”. (Temple Grandin) Noi diagnostichiamo l’autismo non prima dei 16-18 mesi nei casi più gravi, nei casi ad alto livello di funzionamento questo avviene più tardi. Ovviamente i neonati, subito dopo la nascita, sembrano quasi tutti normali. Prima non sappiamo cosa succede, ma sembra che alcuni neonati, diagnosticati poi come autistici, sviluppino questi sistemi di chiusura per proteggersi dal sovraccarico sensoriale. Quindi creano ciò che ho definito “privazione sensoriale autoimposta”. La cosa interessante è che più stanno in questo stato di chiusura, peggio è in quanto, a volte, diventano ciechi o sordi dal punto di vista funzionale. Cosa vuole dire questo? Un utente del nostro servizio di 46 anni, che è sordo dal punto di vista funzionale, è nato con udito normale. Dal momento che il suo udito era ipersensibile, ha imparato a chiudere il proprio sistema uditivo molto presto nel corso della vita, e così è divenuto funzionalmente sordo, perché non voleva usare il senso dell’udito. A volte questo è possibile. Abbiamo conosciuto alcuni casi in cui è successo un fatto analogo. Alcune persone fanno uso di queste chiusure per sopravvivere a situazioni che sono per loro ingestibili. 110 Cosa cercare (chiusure) – – – – Sembra che imiti in modo irragionevole Si sorprende venendo a conoscenza di informazioni sconosciute A volte non reagisce a nessuno stimolo tattile, suono, odore o sapore Sembra non sapere come muovere il suo corpo (incapacità di cambiare la posizione del corpo per svolgere un compito) – Si disorienta in luoghi rumorosi o luminosi – Si dondola in modo inconsapevole durante altre attività (per es. mentre guarda un video) Donna Williams ha raccontato la stessa cosa, cioè che chiudeva tutti i suoi sensi in casi di sovraccarico, ma a volte l’informazione entrava lo stesso e lei non sapeva spiegare come mai conoscesse determinate cose. A volte queste persone non reagiscono agli stimoli tattili, ai rumori, a profumi o gusti; altre volte sembrano non sapere come muovere il corpo, sono incapaci di cambiare posizione, di gestire dei compiti, oppure inconsciamente si dondolano durante altre attività. Passiamo ora alla monoelaborazione con una diapositiva dello stesso bambino che vi ho fatto vedere ieri. Vi ricordate che vi ho detto che faceva tutto con gli occhi chiusi? Che non usava mai la vista, bensì il suo sistema tattile per apprendere? Sapete come abbiamo fatto ad insegnargli a leggere? È un bambino non verbale ma legge e scrive, è molto bravo in matematica. Gli abbiamo dato delle lettere di plastica da toccare con le dita; così ha imparato a leggere e a scrivere, perché il sistema tattile è più significativo per lui. Prima di venire da noi, ha frequentato una scuola normale dove hanno cercato di integrarlo, dal momento che aveva funzionalità molto elevate. Tuttavia non combinava assolutamente niente. Sapete perché? Perché il maestro o la maestra gli dicevano sempre: “Guarda quello che stai facendo!” e lo costringevano ad utilizzare il canale visivo. A quel punto entrava in confusione non sapeva più cosa fare. Se sappiamo che una persona funziona in monoelaborazione, dobbiamo essere consapevoli che cercare di fargli utilizzare altri canali è troppo. Mono-elaborazione “Per esempio, quando un bambino con sindrome autistica sta usando il canale del tatto per vestirsi, se un adulto gli dice “guarda cosa stai facendo” (introducendo un secondo canale) il bambino può fermarsi del tutto e reagire con aggressività, autolesionismo o rinunciare completamente a terminare il compito”. (W. Lawson) 111 Diverse persone con autismo usano la monoelaborazione, perché l’apertura di tutti i canali crea troppa confusione, con la conseguenza di un sovraccarico. Vediamo quali sono gli indicatori per riconoscere se una persona sta utilizzando la monoelaborazione. Cosa cercare – – – – – – – Non sembra che veda mentre sta ascoltando – odorando – sentendo Non sembra ascoltare se sta guardando – odorando – sentendo Non sembra sentire i sapori se sta ascoltando – odorando – sentendo Non sembra sentire gli odori se sta ascoltando – odorando – sentendo Non sembra percepire contatto se sta ascoltando – odorando – sentendo Non riesce a definire la consistenza o la posizione di un contatto Non sembra conoscere la posizione del corpo nello spazio – che cosa il corpo sta facendo – mentre guarda – ascolta qualcosa – Non sembra prestare attenzione a nessun movimento mentre sta guardando – ascoltando qualcosa Sappiamo che un bambino utilizza il canale tattile, un altro usa il canale visivo o uditivo. Cosa possiamo fare per aiutarlo? Cosa fare per aiutare – Un bambino con mono-elaborazione può avere problemi con gli stimoli multipli. È fondamentale scoprire quale canale è aperto ogni volta e ridurre tutti gli stimoli irrilevanti – Dobbiamo presentare sempre l’informazione nella modalità preferita dal bambino. Se non lo conoscete o non sapete quale canale è attivo in quel momento (nel caso della fluttuazione) usate una presentazione multisensoriale e osservate quale modalità “funziona”. Ricordate che il bambino può cambiare i canali. Passiamo ora alla percezione periferica. Avete visto questa immagine? Questi bambini, come molti altri autistici, non sono in grado di tollerare la percezione diretta, non possono guardare negli occhi perché è troppo faticoso e provoca un sovraccarico; per alcuni è addirittura doloroso. Come possiamo insegnare a questi ragazzi? Dicendo: “Guardami”. 112 È così che facciamo di solito. Come possiamo insegnare loro qualcosa dopo averli mandati in una situazione di chiusura? È illogico non trovate? Che male c’è se non vi guardano in faccia o negli occhi? Vi dirò una cosa: imparano molto di più in modo periferico. Percezione periferica “Le persone con autismo spesso usano i lati degli occhi per guardare gli oggetti o le altre persone. Esse hanno una vista periferica acuta e una memoria per i dettagli che altri non hanno. Fissare direttamente le persone o gli animali è la maggior parte delle volte troppo difficile per loro. Essere cercati con gli occhi può far rabbrividire”. (O’Neill) Le persone con autismo spesso guardano dai lati degli occhi; hanno una vista periferica molto acuta e memorizzano dettagli che ad altri sfuggono. Uno sguardo diretto alle persone o agli animali, spesso è troppo da sopportare, può dare una sensazione di fastidio, di intrusione. Ecco perché noi dobbiamo adattare i nostri mezzi. Ci sono persone che non tollerano lo sguardo diretto, è difficile da spiegare: non si tratta soltanto del contatto oculare ma del fatto che ci sia una percezione diretta. Alcune persone, tra cui mio figlio, non so se ve l’ho già raccontato, sente sulla pelle quando qualcuno lo guarda in modo diretto. Io non grido mai a casa, non ho bisogno di gridare. Se fa qualcosa che non voglio che faccia, lo guardo e lui comprende il mio pensiero e dice: “Ok, non lo faccio più”. Cosa cercare – Evita il contatto visivo diretto – Reagisce meglio alle istruzioni quando esse “vengono indirizzate al muro” – Tollera solo il contatto strumentale (non sociale) – Evita odori o sapori diretti – Mangia con molta prudenza – Ha difficoltà ad imitare i movimenti – Evita le attività di equilibrio 113 Cerco di trovare sempre qualcosa di positivo nell’autismo perché così la mia vita diventa più facile. È bello non dover gridare. Il problema è che mio figlio non è in grado di sopportare quando la nostra gatta lo guarda. Dice sempre: “Dille di girarsi”. Vi rendete conto qual’è il mio problema: negoziare con la gatta. A volte, credo che la gatta lo faccia apposta, è molto intelligente. La percezione periferica è decisamente migliore. Ecco perché vi consiglio di non insistere, e fidatevi funziona, perché lo applichiamo da più di dieci anni con tantissime persone. Coloro che non sono in grado di tollerare la percezione diretta, coloro che passano attraverso la percezione periferica, non hanno solo un problema di vista ma anche di udito e di tutti gli altri sensi. Provano un grande vantaggio dal confronto e da un approccio indiretto. Come possiamo aiutarli – Mai forzare il contatto visivo – Non approcciarsi alla persona direttamente nella sua modalità ipersensibile. Quando l’ipersensibilità del canale interessato è incanalata e ridotta, la percezione diretta diventa più facile Se volete insegnare a vostro figlio qualcosa o dargli delle informazioni, sia che sia un bambino che un adulto, dovete trovarvi nella stessa stanza con questa persona, menzionare il suo nome e parlare al muro, parlare al pavimento, parlare alla finestra, alle scarpe. La persona recepisce così in modo decisamente migliore. Se poi vi sedete e gli dite “Guardami” è finita. In modo periferico questa persona recepisce tutto. Vedrete risultato, ve lo prometto, non in modo immediato perché a volte la percezione è ritardata, ma la persona riceve l’informazione, anche se non vi guarda. Dobbiamo insegnare loro ad interagire con le persone naturalmente. A qualcuno non piace evitare lo sguardo, ma è importante guardare nella direzione del bambino o del ragazzo senza stabilire il contatto oculare, consentendo loro di svilupparsi e di imparare ad affrontare la pressione sociale. L’approccio del confronto indiretto funziona, ve lo garantisco. Un'altra strategia è che ci siano due persone nella stessa stanza con un bambino, ma che parlino tra loro del bambino in sua presenza. Non discutete come fareste in un incontro con i genitori: fate un gioco di ruolo: “Katy è davvero brava nel fare questa cosa”, e Katy riceve il messaggio nel modo migliore. Dovete fingere una messa in scena, parlare della ragazza. Che cosa volete che faccia? Adottare un atteggiamento positivo, così riceve nel modo migliore questo messaggio. Non funziona dire: “Katy fai questo”. 114 Un avvertimento però molto importante. A volte gli insegnanti o gli altri membri dello staff, i genitori, gli assistenti, pensano che il ragazzo sia seduto in un angolo senza capire quello che succede, senza ascoltare. Invece, il ragazzo recepisce tutto ed è in grado di ripetere a casa quello che sente. Conosco tanti segreti delle vite private degli insegnanti di mio figlio, che credono che non li stia ascoltando, mentre in realtà ascolta tutto. A volte non capisce, ma ripete interi brani di conversazione. Conosco una serie di aneddoti delle vite private degli insegnanti dei miei figli, non ve li rivelo, ma state attenti quando parlate in presenza dei ragazzi. Cerco di preparare mio figlio, anche se ormai conosce i miei orari, sa che lavoro in Scozia e altrove, che il lunedì vado in un luogo e il martedì in un altro. Non sono stata io a dirglielo, ma lo ha appreso quando parlo al telefono, mentre ascolta nella sua camera da letto al piano superiore. Conosce tutte le mie conferenze ed il mio programma meglio di chiunque altro, come fosse il mio segretario. State molto attenti a parlare in sua presenza, come faccio io, quando sono a casa se voglio parlare di un argomento che non voglio che senta, perché è ipersensibile sul piano dell’udito e può utilizzare in seguito le informazioni che ascolta. Ci sono bambini che vi guardano fissi, vi vengono vicino e vi fissano: questo non è contatto visivo, è una cosa completamente diversa che implica una volontà. Ora vi faccio vedere un video di pochissimi secondi, ancora con mio figlio, perché con altri bisogna sempre chiedere l’assenso dei genitori per la privacy. Nel nostro giardino sono venute alcune persone a trovarci e lui ha voluto essere presente. Non è stato un problema per lui dal punto di vista sociale; in quel caso gli ho detto: “Dì ciao” quando se ne sono andati. Ho fatto sì che lui diventasse più socievole, anche se nel video vedrete che ci ha girato la schiena mentre salutava con la mano. Cosa cercare – Evita il contatto visivo diretto – Reagisce meglio alle istruzioni quando esse “vengono indirizzate al muro” – Tollera solo il contatto strumentale (non sociale) – Evita odori o sapori diretti – Mangia con molta prudenza – Ha difficoltà ad imitare i movimenti – Evita le attività di equilibrio La compensazione del senso debole con gli altri sensi Un senso non è mai abbastanza 115 Per esempio ci sono bambini che controllano tutto: annusano il cibo, le persone, toccano o picchiettano su tutto. Immaginate un po’ se la loro vista è distorta, frammentata, ipersensibile, dolorosa, in un certo senso inaffidabile, come possono fare? Come possono riconoscere gli oggetti? Li riconoscono annusandoli, leccandoli, toccandoli, picchiettandoli. Al centro veniva un bambino con una vista molto inaffidabile, la cui mamma diceva che toccava e picchiettava su tutto. Solo picchiettando con le nocche sulla televisione, riusciva a riconoscerla dal suono che produceva. Anche mio figlio annusava tutto, ad esempio il cibo prima di mangiarlo, perché la sua vista non era affidabile. Ora che la sua vista è migliorata grazie all’uso degli occhiali, non ha più bisogno di annusare tutto. Per esempio, quando diamo ad un bambino una palla e lui la annusa o quando annusa le persone, voi gli dite: “Non annusare le persone, non è bello”. Ma se gli altri sensi sono inaffidabili o se non funzionano, come fanno questi bambini a riconoscere le persone che li circondano? Quindi dobbiamo scoprire quali sono i canali inaffidabili. È molto importante scoprire quale canale costituisce il loro problema principale, in quanto tutti i canali, tutti i sensi sono in relazione tra loro. Se alcuni sensi sono colpiti, saranno colpiti anche gli altri sensi. Ad esempio se è colpita la vista, il bambino farà uso dell’udito per vedere, come faceva Donna Williams. Questo significa che l’udito fa due lavori, svolge due compiti: vedere e sentire. Questo è il motivo per cui i ragazzi entrano facilmente in sovraccarico e diventano facilmente ipersensibili. Se si risolve il problema della vista, cioè il problema principale, migliorerà anche l’udito. È successo anche a mio figlio che non è più ipersensibile. Sì, magari lo è ancora un po’, ma non come nel passato perché la sua vista è migliorata tantissimo, non usa, quindi, più l’udito per supportare la vista carente. Mia figlia, in passato, se dalla cucina voleva dire qualcosa a mio figlio che si trovava al piano di sopra in camera, glielo comunicava con la voce normale e lui la sentiva perfettamente. Ora non riescono più a farlo e lei dice: “Ma è sordo?”. Preferiva quando lui la sentiva ad un piano di distanza, con due o tre porte chiuse. Un’altra storia che voglio raccontarvi riguarda Giorgiana, una ragazza americana con autismo, che ha trascorso undici anni della sua vita in un istituto speciale. Poi la mamma ha deciso di portarla in una clinica in cui curavano i problemi di udito. Risolto quel problema, non è guarita anche dall’autismo, ma ha dimostrato di essere ad alto livello di funzionamento. La sua storia è stata pubblicata in un libro che ha convinto centinaia di genitori a portare i loro figli in questo centro. Nel caso di Giorgiana, l’udito era il problema principale, quindi una volta risolto, il suo comportamento generale è migliorato. In altri casi l’udito, come nel caso di mio figlio, compensa la carenza della vista, quindi 116 non aveva senso portarlo in un centro specializzato. Vedete che, come ho detto prima, tutti i sensi sono correlati. Cosa cercare per comprendere se c’è compensazione fra i sensi? – – – – – – Odora, lecca, tocca o sbatte gli oggetti Cerca la fonte dei suoni Ispeziona il cibo prima di mangiarlo Si guarda i piedi mentre cammina Si guarda le mani mentre sta facendo qualcosa Evita di arrampicarsi, saltare, camminare sul terreno irregolare Cosa possiamo fare per aiutarli – È importante lasciare che gli individui usino la modalità sensoriale che preferiscono per verificare la loro percezione Con il trattamento appropriato e gli aggiustamenti ambientali per diminuire l’ipersensibilità, essi possono imparare gradualmente ad usare i loro sensi in modo appropriato – occhi per vedere, orecchie per sentire Le reazioni insolite agli stimoli sensoriali sono bizzarre e anormali? – I comportamenti bizzarri sono spesso strategie compensative per regolare i loro sistemi e fronteggiare l’informazione in eccesso – Questi comportamenti auto-stimolatori possono servire a molteplici scopi e lo stesso comportamento può avere diverse cause “Molte auto-stimolazioni, incluso dondolare il corpo, oscillare, battere le mani, sfregare la pelle e molte altre, sono connessioni piacevoli e calmanti per i sensi”. (O’Neill) 117 Funzioni delle stereotipie – Difesa (per ridurre il dolore o lo sconforto causati dall’ipersensibilità, frammentazione, sovraccarico, ecc.) “Eliminazione dell’eccesso sensoriale che interferisce con il funzionamento”. (Shore) – Auto-stimolazione (per incrementare l’input in caso di ipersensibilità) – Compensazione (per interpretare l’ambiente in caso di ridotta informazione sensoriale) “Stavo fronteggiando un mondo di cui gli altri non comprendevano nulla. Reagivo a tutti questi bombardamenti e alla confusione con quei movimenti fisici, il silenzio e i suoni strani che di solito sono etichettati come comportamenti autistici”. (Lucy Blackman) – Manifestazioni di frustrazione: “A volte sbattere la testa e mordere le nocche, scoppi d’ira o collera sono modi per dire che non se ne può più”. (Lawson) – Esperienze piacevoli che aiutano ad allontanarsi da un ambiente che confonde “Dondolarsi ed oscillare sono altri modi per chiudere fuori il mondo quando c’è troppo rumore. Oscillare mi calma. È come una droga che crea assuefazione. Più lo faccio e più ho voglia di farlo”. (Grandin) Temple Grandin a proposito dello spettro autistico dice: “Per le persone con autismo ci sono continuamente problemi di elaborazione sensoriale, che vanno da fratture e immagini disgiunte da un lato, ad una lieve anormalità dall’altro” I casi più gravi sono quelli definiti a basso livello di funzionamento, per quelli ad alto livello la situazione è meno grave. La tempistica è importante quando appaiono questi problemi sensoriali. 118 “L’esatta manifestazione nel tempo dei problemi sensoriali può determinare in un bambino un autismo ad alto funzionamento, un autismo non verbale o un autismo a basso funzionamento. Ipotizzo che la maggior sensibilità al tatto e all’udito, che si sviluppa prevalentemente all’età di due anni, possa causare rigidità di pensiero e mancanza di sviluppo emotivo, che si riscontrano nell’autismo ad alto funzionamento. Questi bambini recuperano parzialmente la capacità di comprendere il linguaggio tra i due anni e mezzo e i tre. Coloro che hanno un normale sviluppo fino ai due anni, possono avere un livello normale di emotività perché i centri emotivi del cervello hanno avuto la possibilità di svilupparsi prima che si manifestassero problemi di elaborazione sensoriale. Può essere che una semplice differenza di manifestazione nel tempo determini quale tipo di autismo si svilupperà”. (Grandin) Questa è un’ipotesi di Temple Grandin, che credo sia estremamente interessante e valga la pena di sviluppare. Le differenze nella percezione possono cambiare radicalmente il corso del linguaggio, dello sviluppo sociale, emotivo e cognitivo e possono portare a sviluppare abilità, stili di pensiero e di comunicazione differenti. Questo è il motivo per cui si sviluppano soltanto attraverso canali diversi. Il profilo percettivo sensoriale (SPP) Nessuna persona con autismo sembra avere esattamente lo stesso tipo di esperienze percettive sensoriali Il profilo di percezione sensoriale (SPP) è di estrema importanza. Ricordate che non ci sono due persone affette da autismo che hanno le stesse esperienze di percezione sensoriale. Questo è il motivo per cui è importante usare i questionari che ho elaborato. Ho poi usato colori diversi a seconda dei sensi considerati. La vista è rossa, l’udito è arancione, il tatto è giallo, eccetera. Ho sviluppato dei grafici in base ai colori dei sensi ottenendo profili sensoriali completamente diversi. Sono relativi a bambini autistici, il cui comportamento in apparenza è esattamente lo stesso: deficit nell’interazione sociale, nella comunicazione, nell’immaginazione. In realtà sono solo la punta di un iceberg che nasconde sott’acqua una realtà percettiva assolutamente diversa. 119 Riportiamo di seguito alcune delle domande alle quali ha risposto Olga Bogdashina “È possibile intervenire per curare l’autismo ed i problemi che comporta?” Non c’è una cura per l’autismo, però può essere trattato come sindrome. Se conosciamo i meccanismi della percezione del mondo esterno, se sappiamo come sviluppano il linguaggio e i loro sistemi cognitivi, possiamo adottare approcci che li aiutino a comprendere ed a sviluppare una serie di capacità. Naturalmente sono trattabili e sono in grado di avere un loro ruolo e funzionamento all’interno della società. Ad esempio il trattamento dell’integrazione sensoriale funziona abbastanza bene. Al momento ci sono diverse controversie: ci si chiede se trattare ogni bambino allo stesso modo. Secondo il mio punto di vista è fondamentale riuscire a ricostruire il profilo sensoriale dei pazienti per chiedersi quale tipo di trattamento adottare nei vari casi. C’è speranza! “Quale può essere il ruolo dei genitori nella cura di un figlio con autismo?” Anch’io sono madre di un ragazzo autistico. I genitori vogliono sapere che cosa succede, vogliono imparare. È vero che a volte hanno una resistenza ad accettare la situazione, però è importante continuare a parlare con loro, a dare informazioni, a spiegare come funziona. Io non sapevo nulla all’inizio. Ad esempio, se l’operatore spiega ai genitori cosa accadrà al figlio e dà consigli sul comportamento da adottare, la loro vita e quella del ragazzo diventeranno più facili. Tutti i genitori imparano, anche se ci vuole tempo. Credo che l’istruzione, l’educazione dei genitori sia molto importante, per cui dobbiamo preoccuparci anche di loro e non soltanto dei ragazzi. Io lavoro molto con i genitori in Gran Bretagna, occupo molti giorni per la loro formazione perché è importante lavorare con tutta la famiglia. “Qual è la differenza fra autismo ad alto e basso funzionamento?” In realtà non esiste una diagnosi specifica di autismo ad alto o basso funzionamento. Si parla soltanto di diagnosi autistica per quanto riguarda la classificazione della Società Americana di Psichiatria. Noi effettivamente dividiamo autismo ad alto e basso funzionamento semplicemente per capire con che cosa abbiamo a che fare. In generale si parla di autismo a basso funzionamento quando un bambino non parla, mentre l’alto funzionamento riguarda una persona che è molto verbale, che ha un quoziente di intelligenza normale. Per esempio in Tito, che non è ancora verbale, che non è in grado di parlare ed ha un comportamento difficile, pur con un quoziente intellettivo molto elevato, è veramente difficile considerare quello che è il ritardo mentale. 120 In Inghilterra è politicamente scorretto parlare di ritardo mentale. Si parla di difficoltà di apprendimento. La mia opinione personale è che in realtà oggi non abbiamo tempo per discutere. Sto facendo una ricerca sulla cognizione e sul pensiero autistico e, quindi, direi che è meglio utilizzare il test del quoziente intellettivo, formulato per definire le persone normali; in base ai risultati ottenuti noi definiamo un ritardo mentale. Credo che si tratti soltanto di diversità di abilità e di approccio sbagliato da parte nostra. Sono convinta che abbiano veramente un sistema cognitivo molto diverso dal nostro. In verità, credo che il nostro approccio verso le persone con autismo sia sbagliato perché esse hanno un sistema cognitivo molto diverso. Questa è la mia opinione personale: noi li avviciniamo in modo sbagliato per quanto riguarda il ritardo mentale. Vi prego di credere a quello che dico. Immaginate di verificare il quoziente intellettivo di un bambino non vedente chiedendogli di dare un nome ai colori che ha davanti. Anche se questo bambino toccasse il colore, non sarebbe in grado di rispondere alla vostra domanda. Questo significa forse che ha un ritardo mentale? Capite quello che sto cercando di dire? A volte utilizziamo test inadeguati rispetto al loro sistema cognitivo, che è profondamente diverso dal nostro. “Come dobbiamo comportarci di fronte alle situazioni con comportamenti problematici?” Quando diventano aggressivi, come dicevo prima, non sono in grado di affrontare nulla; bisogna semplicemente spostarli e dare loro il tempo di ricaricare le batterie, di rilassarsi. Durante gli attacchi di panico, non possiamo aiutarli, ma semplicemente spostarli o spostare le altre persone che sono presenti. Qualcuno in Inghilterra una volta mi ha chiesto come fare quando in classe c’è un bambino agitato e in sovraccarico. È utile cercare di confortarlo, di abbracciarlo? Ho risposto che invece di aiutarlo, rischiamo di sovraccaricarlo ancora di più. Dobbiamo lasciare da solo il bambino, assicurandosi prima che non sia in pericolo. Il tentativo di confortarlo, di contenerlo è eccessivo per lui; bisogna dargli il tempo per riprendersi. “Ha senso insegnare a leggere e scrivere ad un bambino con autismo?” Ho una presentazione che tratta proprio della comunicazione e dell’apprendimento linguistico nei bambini autistici, ma ci vogliono otto ore per fornire questa informazione. È una domanda vastissima e richiede un’intera giornata per rispondere. Vi ho già spiegato come imparano le parole a causa della percezione Gestalt e letterale. È importante sapere che hanno difficoltà a generalizzare. Possono apprendere, ma noi dobbiamo essere in grado di insegnare adeguatamente. La lettura e la scrittura sono molto importanti, ha fatto bene a chiedermelo. A volte abbiamo delle concezioni sbagliate. Ad esempio, riteniamo che un bambino che non 121 è verbale, non sia in grado di scrivere o di leggere, ma sbagliamo. È in grado di farlo, non potete immaginare quanto. La stessa cosa vale per gli adulti autistici, anche quelli a basso funzionamento. Ho visitato molti centri di cura in Inghilterra e mi sono sentita molto frustrata, perché trovavo blocchi colorati, giocattoli e nient’altro. Nessun materiale per la lettura, niente di niente, e io dicevo: “Perché non ci sono riviste, giornali, libri”. Qualcuno mi rispondeva: “Non sanno leggere”. “Come fate a saperlo! Date loro l’opportunità di farlo, presentate loro gli strumenti adeguati!”. Alcuni sono in grado di imparare a leggere guardando televisione, vi rendete conto? Imparano a leggere con i sottotitoli, le scritte, le parole non lettera per lettera ma in modo globale. È così che mio figlio ha imparato. I problemi, nel mio caso, sono iniziati quando ha imparato a leggere in tutte e due le lingue. Non gli ho insegnato molto e lui ha imparato a leggere il russo e l’inglese con una comprensione di tipo letterale. In un negozio che frequentiamo, è capitato che per cercare di attirare clienti a comprare una determinata marca di sapone fosse stato preparato un pannello con la scritta “Prendete e andate”. Lui l’ha fatto. Capite cosa intendo dire? Ho avuto problemi con la sicurezza, ma per lui era un’istruzione, “Prendete e andate”. Per questo è importante insegnare loro a leggere e a scrivere. Vi do un consiglio a questo proposito. Quando alcuni di loro si rifiutano di tenere in mano la matita o la penna, noi teniamo la loro mano, gli mettiamo la mattina in mano e scriviamo e disegniamo con le loro mani. Molti hanno problemi motori, non sono in grado di muovere la mano e collegare quattro punti. Noi lo facciamo con loro per giorni interi, per settimane, finché imparano a scrivere. È così che Tito ha imparato a scrivere, è così che sua madre gli ha insegnato a scrivere: tenendogli la mano e scrivendo insieme a lui. Ora ha scritto due libri, nonostante fosse stato diagnosticato come un ritardato mentale autistico grave. È importante insegnare loro a leggere ed a scrivere, ma utilizzando queste strategie. Se un bambino usa un solo canale alla volta, oppure se è ipersensibile, bisogna adattare l’ambiente e trovare il canale adeguato. È un argomento vastissimo e potrei parlarne per delle ore. Spero di aver risposto, almeno in parte, alla sua domanda. “Cosa intende per desensibilizzazione?” Quando parlo di desensibilizzazione, parlo del metodo di lavoro che condivido e applico. Di questo stavo parlando senza dargli un nome: la desensibilizzazione attraverso gli esercizi. Come dice Delacato è importante esporre gradualmente i ragazzi agli stimoli sensoriali che non sono in grado di tollerare. È quello che faccio quando porto mio figlio a fare la spesa il sabato: abbiamo iniziato con la spesa di 5 minuti, poi 10, poi 15 e così via. Credo che sia una terapia molto utile. “Può servire la psicomotricità?” Per quanto riguarda la terapia psicomotoria sì e no, sinceramente. Non esiste una sola te122 rapia in grado di aiutare tutti i bambini. Ecco perché è importante capire che tipo di terapia è più adatta ad un particolare bambino, magari attraverso il profilo sensoriale. Molti di loro hanno problemi motori, ma ogni bambino deve avere una terapia su misura o una combinazione di terapie diverse. “Posso sapere come sono organizzati i servizi per le persone con autismo?” Iniziamo dall’Ucraina. Fino a 10 anni fa, non c’erano bambini autistici in Ucraina, non esistevano. Ecco perché ho creato questa società 10 anni fa. Prima di allora c’erano diagnosi sbagliate di schizofrenia o di grave ritardo mentale o altre patologie. Erano senza speranza. Semplicemente venivano tenuti in istituti speciali per bambini con ritardo. Lì ho avviato la mia scuola, di cui ho ancora la direzione, per persone con autismo, che avevano avuto la diagnosi di una malattia senza speranza. Ufficialmente questa scuola non ha alcun riconoscimento. Tutti ne conoscono l’esistenza, i genitori ci portano i loro figli da ogni angolo del Paese, in particolare quando ci sono io, perché sono io a fare la diagnosi ai bambini e la formazione agli insegnanti che danno anche consulti ai genitori. In Ucraina la situazione è difficile. Ci stiamo dando da fare: ho creato degli enti caritatevoli in Inghilterra, attraverso cui paghiamo gli insegnanti ed ora va un pò meglio, ma c’è ancora molto da migliorare. Per quanto riguarda la Gran Bretagna, ci sono delle scuole sia private che pubbliche. Il problema, come ovunque, è che le autorità locali non vogliono mandare i bambini autistici in scuole private, per via dei costi che questo comporta, ma la qualità è indubbiamente migliore, perché appartengono alla società internazionale per l’autismo. Per avere un incarico all’interno di questi istituti bisogna essere molto esperti e avere una formazione adeguata e approfondita. Ci sono diversi corsi a livello universitario, dove formiamo gli insegnanti e i terapeuti del linguaggio, gli psicologi, gli operatori ed anche i genitori. Io curo uno di questi corsi, all’università di Birmingham. Anche in Inghilterra ci sono problemi di finanziamenti. Per quanto riguarda i metodi che utilizziamo, l’approccio TEACCH va per la maggiore, lo conoscete? I genitori hanno iniziato a chiedere anche l’approccio ABA. Io non lo condivido come madre, perché secondo me si tratta di un addestramento come quello degli animali, basato sulla psicologia comportamentale. È un tipo di approccio che non mi piace, ma mi rendo conto che è di moda in alcune regioni dell’Inghilterra. Noi seguiamo l’approccio sensoriale. Tutte le scuole cercano di adeguare l’ambiente sensoriale e hanno dei profili sensoriali su tutti gli studenti autistici, quindi l’approccio sensoriale è molto importante in Inghilterra, non soltanto per quanto riguarda i ragazzi, ma anche gli adulti. “L’essere madre di un ragazzo con autismo l’ha aiutata nel suo lavoro”? Sicuramente essere madre è stato il punto fondamentale. Vi racconto un mio segreto, lo racconto a tutti, quindi non è più un segreto in realtà. Sono molto egoista ed ho iniziato la mia ricerca per aiutare mio figlio, però sapevo che per aiutare mio figlio dovevo educare più per123 sone possibili e quindi è così che ho iniziato. Ripeto, sono molto egoista, ecco perché ho iniziato una ricerca in un’area che non interessava ad altri, perché non faceva parte della triade delle inabilità. Vivevo questa realtà e capivo che la percezione era il problema principiale, quindi era da lì che dovevo partire. Sicuramente il fatto di essere madre è il fatto di averlo fatto per il mio bellissimo figlio, ha sicuramente aiutato molto. Ci sono dei professionisti che sviluppano una teoria, che la difendono a spada tratta a qualunque costo; che funzioni o che non funzioni non ha molta importanza per loro. Io ho sviluppato una teoria, ma se non funziona la scarto; capite cosa voglio dire, perché io ho bisogno di una teoria che mi serva, che possa essere applicata e che funzioni. Sono disposta ad ammettere di aver sbagliato approccio e di provarne uno diverso, quindi senz’altro essere madre mi ha aiutato. Potete vedere la mia crescita professionale quando ho iniziato a lavorare con i bambini. Mio figlio era piccolo; poi quando è diventato adolescente ho iniziato a lavorare con gli adolescenti. Adesso lavoro nei servizi, con gli adulti affetti da autismo. “Cosa fare quando un bambino si rifiuta di mangiare a scuola”? Innanzitutto, se il bambino rifiuta il cibo dalla mensa, io mi concentrerei sul sovraccarico. Magari rifiuta il cibo, perché c’è rumore, caos, troppe persone. La pausa pranzo può essere difficile da gestire. Tutti i ragazzi della scuola sono insieme e fanno un gran baccano che i compagni con autismo non riescono a sopportare. “Cosa ne pensa del DAN”? Prima di rispondere a questa domanda, voglio dire una cosa: non c’è una singola causa di autismo, ci sono diverse cause; giusto? Non le sappiamo. Queste cause portano allo stesso quadro clinico di autismo, cioè abbiamo gli stessi comportamenti dovuti a ragioni diverse. Per alcuni bambini funziona la dieta di cui lei ha parlato: cibi senza glutine e cibi senza caseina. Donna Williams, per esempio, seguiva una sua dieta personale, per lei questa soluzione funzionava molto bene. Io ho provato con mio figlio e non ha funzionato. Mio figlio odia il latte, non lo berrebbe mai, non gli piace perché è bianco. Ci sono ragioni sensoriali, vedete. Per alcuni bambini funziona, per altri no, quindi qual è il senso di imporre una cosa del genere? Donna Williams dice che lei ama tantissimo il cibo, ma soprattutto quello che lei ama di più è ciò che le fa più male. Quando ha controllato lo stato di salute del suo corpo ed ha iniziato una dieta adeguata, ha detto che si è sentita molto meglio. Per esempio la coca cola non va bene per i bambini; giusto? Ma io la lascio bere a mio figlio. Alcune volte, magari per il suo compleanno. Non voglio dire: “No, questa cosa non la devi mai fare in vita tua”. Ci sono delle occasioni in cui una certa cosa si può fare, ma se sapete che il sistema chimico di un bambino è fatto in modo tale che questa cosa lo danneggia, allora non dategliela. Le diete possono funzionare in alcuni casi e in altri no. 124 ATTI DEL PERCORSO FORMATIVO “GENITORI ED AUTISMO” BERGAMO GENNAIO - MAGGIO 2006 Nuove frontiere dell’autismo Maurizio Brighenti * Moderatore Due parole sull’incontro di oggi e sul programma. Inizialmente avevamo pensato di limitarci ad organizzare questo percorso formativo per i genitori. Durante gli incontri a Spazio Famiglia, parlando soprattutto con i genitori dei soggetti adulti, sono emerse tantissime domande, le stesse che probabilmente si pongono anche i genitori dei piccoli e molti familiari. Ci hanno ricordato l’importanza della preparazione negli operatori e la necessità che anche le famiglie sappiano come muoversi in determinati contesti. Avrete notato che abbiamo cercato di focalizzare il nostro interesse, al di là dell’incontro di oggi, sul tema della comunicazione, che sarà affrontato da alcuni dei nostri operatori, in particolare dalla dottoressa Liliana Pensa e dalla signora Gina Forlani e successivamente, per quanto riguarda la logopedia, dalla dottoressa Sara Isoli. Un altro aspetto di cui non abbiamo mai parlato nello specifico con i genitori è quello della psicomotricità e dell’utilità di un intervento di tipo musicale nelle attività didattiche e ludiche. Rispetto a quanto avete trovato sulla locandina, ci sarà un cambiamento, perchè il giorno 29 aprile purtroppo la dottoressa Donata Vivanti non sarà in grado di venire, quindi vedremo se sostituirla con qualcun altro, oppure incontrarla in un’altra occasione. Adesso passo la parola al dottor Maurizio Brighenti per affrontare il tema “Nuove Frontiere dell’Autismo”. Intervento di Maurizio Brighenti Buongiorno a tutti. Vi ringrazio dell’invito: in genere la posizione, i punti di vista che io e il mio gruppo di lavoro portiamo, si differenziano dagli altri. Questo, a mio parere, è una ricchezza o almeno spero che non diventi motivo di conflitto. Sicuramente potrete avere un’ipotesi o un parere diverso. Mi complimento con l’Assessorato alle Politiche Sociali della Provincia di Bergamo perché ha messo in campo iniziative estremamente interessanti e importanti sia come accoglienza, sia come organizzazione e sono il primo a sostenere che, al di là delle teorie, delle ipotesi, delle tecniche e dei metodi che si possono utilizzare, un lavoro di rete in cui le parti co- * Responsabile Centro Diagnosi Cura e Ricerca per L’autismo, Ulss 20 di Verona - Primario di Neuropsichiatria Infantile - Coordinatore Dipartimento Neuropsichiatria Infantile e Psicologia dell’Età Evolutiva 127 munichino tra loro è fondamentale per coloro che hanno un bisogno così ampio e generalizzato come le persone con autismo, essendo un disturbo generalizzato dello sviluppo che interessa più specialisti. Specialista può essere anche l’insegnante, il genitore, il medico, lo psicologo, l’educatore o il riabilitatore. È un problema che riguarda il gruppo di persone che si deve occupare di questi bambini, adolescenti o adulti. Quindi, almeno nella mia esperienza, è proprio l’approccio integrato, inteso come insieme di parti che comunicano, che serve e porta dei risultati. Credo che nessuno oggi sia in grado di portare un intervento risolutivo, un intervento migliore degli altri nell’ambito dell’autismo. Ognuno di noi, che ci occupiamo di queste persone, credo lo faccia in scienza e coscienza per cercare di migliorare la condizione dei propri utenti e pazienti. Faccio questa premessa perché quello che oggi, forse, manca un po’ in Italia sono uno scambio ed un confronto sereno su ipotesi di funzionamento, su teorie diverse e su modelli di intervento che danno comunque dei risultati. Tante condizioni permettono di far star bene e di migliorare ciò che conosciamo della problematica autistica. Vi parlerò di queste nuove “frontiere”. Sono convinto che nell’autismo ogni due-tre anni ci sia una nuova frontiera. Poi si ritorna nel territorio che, nell’ultimo convegno che abbiamo fatto, abbiamo chiamato la “terra di mezzo”, indicando quello spazio dove le persone con autismo non riescono a trovare ancora una propria definizione e per le quali è difficile trovare un’armonia tra le differenze e quello che noi riteniamo normale. Differenza che, secondo me, non deve essere fraintesa con quello che viene definito come deficit o diversità. Non voglio negare che ci siano disturbi di sviluppo, deficit strutturati, ma nell’armonia di una persona si trova sempre un equilibrio tra deficit e risorse. Una delle cose che critico molto, anche quando i miei colleghi danno le definizioni di ritardo mentale, è di attribuire questo concetto all’idea di una persona globalmente deficitaria e, quindi, globalmente incapace di accedere alle risorse che l’ambiente presenta. Tutti noi abbiamo l’esperienza, in quanto operatori o genitori, che ad alcuni reali e dimostrabili deficit, per esempio nella capacità di astrazione, nel calcolo o nel linguaggio, si accompagnino potenzialità e risorse che vanno a bilanciare il rapporto della persona con gli altri. Per esempio, recentemente abbiamo valutato una bambina, arrivata con una vera diagnosi di ritardo mentale grave e autismo. In realtà questa bambina aveva delle carenze, dei deficit specifici, ma la comprensione del linguaggio comune era molto buona, per cui le permetteva di avere una produzione verbale altrettanto buona e quindi di poter dialogare e stare con gli altri. Certamente a livello scolastico i deficit emergevano, per cui mostrava delle difficoltà, ma aveva anche buone potenzialità e capacità. Forse andava rivisto il profilo funzionale, neuropsicologico di questa bambina, dando al deficit ed alle potenzialità la loro reale natura. Questo portava a sviluppare un progetto educativo più adatto a quel tipo di bambina, legato alle sue necessità e ai suoi bisogni. Questo per dire che facciamo fatica a fare le nostre valutazioni, perché cerchiamo sempre 128 di trovare gli elementi caratteristici e attuali di quel bambino in quel momento. Perché dico attuali? Perché l’evoluzione di ogni individuo non è un fatto generico o banale, ma reale. I bambini cambiano, per cui se oggi utilizziamo un percorso riabilitativo di un certo tipo, domani dobbiamo usarne un altro. Dobbiamo variare il nostro approccio perché cambia la persona, altrimenti rischiamo di fallire, perchè li facciamo restare sempre nella stessa situazione di partenza. Per questo dico che ogni tipo di intervento utilizzato deve portare ad usarne un altro, perché deve favorire l’evoluzione del soggetto. Vi faccio vedere la nostra struttura. Il nostro centro si trova su un’area collinare sopra Verona, le cosiddette Torricelle, che sono la continuazione della città. Uno spazio piacevole, con una piscina esterna ed una interna offerta dai Lions Club di Verona. Abbiamo un centro di ippoterapia, perchè l’area fa parte di un istituto di accoglienza per persone disabili. Noi ne utilizziamo un’ala. Il Centro Diagnosi, Cura e Ricerca per l’autismo fa parte del Dipartimento di Neuropsichiatria Infantile e Psicologia dell’Età Evolutiva dell’USSL 20 di Verona. In quest’altra slide vedete un gruppo di educatori, tra cui anche la logopedista Sara Isoli che lavora con noi da quattro anni. Siamo un gruppo attivo da dieci anni: siamo partiti in tre e oggi siamo una quindicina di operatori. Cerchiamo di lavorare il più possibile in un’ottica di équipe: vi sono varie figure professionali e il nostro obiettivo è lavorare insieme. Collaboriamo direttamente con le associazioni di genitori, nel senso che fanno parte dei nostri progetti, ci consigliano e ci fanno richieste. Con le risorse che abbiamo a disposizione cerchiamo di dare delle risposte. In modo particolare collaboriamo con il gruppo dell’AGAVE di Verona, che è un’associazione di genitori con i quali, grazie all’intervento dell’USSL, costituiremo una fondazione che ci consentirà di investire sugli aspetti sociali, ludici, del tempo libero, sanitari, che si rivelano necessari per le persone con autismo, soprattutto quando diventano adulte. Siamo in contatto anche con l’Associazione Luna di Novagli, con un’associazione di Rovereto, con cui abbiamo realizzato un’attività di integrazione sociale in rete per adolescenti e adulti, con l’AGSAT di Trento e con l’Associazione Oltre il Muro di Napoli. Ora vi do alcuni dati, così vi potete fare un’idea di come ci muoviamo. Abbiamo circa 6.000 prestazioni l’anno e gli utenti, provenienti da varie parti d’Italia, affluiti nel corso dell’anno sono stati 785. Ogni settimana abbiamo in carico 46 pazienti che vengono al centro due-tre volte alla settimana per terapie specifiche e mirate. Ogni bambino può seguire una o più terapie. Spesso associamo l’intervento educativo a quello riabilitativo, perché riteniamo che quello che il riabilitatore fa emergere durante le sedute, debba essere consolidato in ambito familiare, educativo e scolastico. C’è un grosso lavoro di rete che cerchiamo di far emergere. Svolgiamo un’attività prevalentemente di tipo clinico, di diagnosi precoce; valutazione e accertamenti biologici; un’attività riabilitativa nelle aree che vi ho descritto, nell’area educativa seguendo il progetto Sifne (Sviluppo e Integrazione delle funzioni neuropsicologiche). 129 Quindi un’attività di integrazione sociale, di supporto alle famiglie. Seguiamo i gruppi di genitori ogni quindici giorni con la presenza di uno psicologo e di un educatore; sono gruppi di confronto, di scambio, non si fa psicoterapia. Conoscete già bene cosa sia l’autismo, quindi non voglio ripetermi. So che siete per la maggior parte genitori, insegnati, educatori e quindi ne siete sicuramente consapevoli. Noi partiamo dal punto di vista secondo cui l’autismo è una problematica su base organica, sostenuta dalla combinazione fra alterazioni biologiche-genetiche e fattori ambientali. Il disturbo si evidenzia nella disorganizzazione delle funzioni e delle integrazioni neuropsicologiche e cognitive. È diversamente rappresentato nei vari soggetti e coinvolge in particolare le aree del linguaggio e dell’interazione. È inevitabilmente un disturbo delle funzioni cerebrali dal momento che il cervello ci serve per entrare in relazione con l’ambiente. Tutto ciò che si sviluppa nel cervello serve alla persona per interagire e adattarsi alla realtà. Il bambino sviluppa progressivamente la funzione motoria: passa in modo automatico dalle funzioni primarie, come succhiare, a funzioni più evolute e questo perchè la sua predisposizione genetica viene attivata dall’incontro con l’ambiente. Automaticamente o con una certa gradualità, si strutturano le modalità di rapporto con l’ambiente. Per esempio, il gesto dell’indicare, che sembra un gesto geneticamente predeterminato, in realtà si incontra con la risposta dell’ambiente. Questo gesto diventa quindi qualcosa di consapevole, diventa vera e propria comunicazione. Quello che può essere stato un fenomeno geneticamente predeterminato si consolida come un apprendimento. Lo stesso potremmo dire della funzione esecutiva: per esempio le funzioni motorie, disorganizzate e caotiche in ogni neonato, diventano sempre più precise. Pensate alla prensione: voi tutti avrete sicuramente visto bimbi che invece di farvi una carezza vi danno una sberla, vi mettono un dito nell’occhio, vi tirano i capelli; non hanno ancora una buona capacità di gestire il gesto in funzione della loro intenzione. Per raggiungere un oggetto devo utilizzare questo schema di movimento, uno schema che si consolida ed elimina tutte le altre ipotesi e possibilità che il bambino sperimenta all’inizio. Nell’ambito dell’autismo noi vediamo, invece, che queste situazioni non si sviluppano in tutti i casi, ma solo in una buona percentuale. Quanti bambini, per esempio, di fronte ad un computer danno un’occhiata e solo in seguito si attivano con un gesto perché non riescono a fare due cose insieme. Quanti bambini, se devono dare un calcio alla palla, riescono a vederla, sanno che devono usare il piede, ma non riescono ad attivarsi in quel momento, almeno che non arrivi qualche forma di facilitazione, che può essere un’immagine, un’imitazione o un semplice contatto. Capite che l’integrazione tra la componente genetica e l’input ambientale viene a mancare. Ciò si può manifestare con modalità differenti. Ci sono bambini che hanno una buona abilità nel costruire un puzzle e una scarsissima abilità nel vestirsi o versarsi da bere. Perché queste contraddizioni? È un problema di abilità? Probabilmente è un problema di 130 mappe, di strutture che funzionano in modo sequenziale, rapido, perchè la struttura funzionale glielo permette e, laddove, ci sono da collegare più sistemi questo non avviene. Per individuare percettivamente una forma e collocarla in uno spazio, noi compiamo due-tre operazioni visive e spaziali. Quindi, un bambino potrebbe avere un’ottima capacità di rapporto spaziale, ma se deve mettersi le scarpe, le funzioni cambiano, deve integrare diversi movimenti, gesti, sequenze, ordini e, in questo caso, potrebbe manifestarsi una difficoltà. Vediamo delle abilità emergenti e delle abilità poco sviluppate. Questo cosa ci dice? Mentre noi prevediamo che nello sviluppo normale alle attività di base seguano quelle più complesse, nell’ambito dell’autismo l’organizzazione delle funzioni di integrazione (guardo, mi muovo, ecc.) sembra non essere completa. Questa consapevolezza ci permette di impostare un lavoro riabilitativo mirato sul bisogno. A questo punto facciamo le valutazioni che ci dicono qual’è la funzione esecutiva del bambino. Abbiamo bambini che sanno imitare molto bene con i quali sviluppare un percorso che nasce dalla buona capacità imitativa; bambini che non sanno imitare e con i quali lavorare sul requisito che precede l’imitazione; bambini che usano sempre la stessa mano e non sanno utilizzare le mani insieme; bambini che hanno un’ottima abilità manuale e di equilibrio. I quadri clinici che vediamo nelle persone con autismo sono vari e differenti, con livelli di evoluzione altrettanto vari. Individuando il livello di un bambino nelle varie aree di interazione percettive o comunicative, riusciamo a formulare un ipotesi di progetto. È un discorso sicuramente complesso, ma cerchiamo di farlo nel modo più aderente al bambino. Per questo lavoriamo in équipe sulle seguenti aree: percezione, attenzione, funzione esecutive, comunicazione, linguaggio, processi di interazione che sono un po’ la sintesi di tutti gli altri percorsi. Per esempio nell’ambito del linguaggio vediamo varie tipologie di deficit linguistici, per cui abbiamo bambini assolutamente non verbali, bambini che ripetono, bambini che hanno un linguaggio disorganizzato anche se formalmente ma con disturbi di selezione delle parole, bambini che hanno un disturbo fonologico e tutta una serie di altre problematiche di cui vi parlerà la dottoressa Sara Isoli nei prossimi incontri. Riteniamo che tutte queste attività siano collegate tra loro: un disturbo dell’attenzione può essere isolato, ma può anche essere secondario ad un disturbo della percezione. Se mostro ad un bambino una figura semplice ho un livello attentivo buono, ma se la figura diventa più complessa non ho più un buon livello attentivo. Agire non significa trovare la risposta, vuol dire cercare di lavorare su quell’ambito. Siamo tutti consapevoli dei limiti e delle risorse che abbiamo. Sicuramente l’intervento riabilitativo serve ad identificare ed a chiarire il percorso per superare la difficoltà, mentre l’intervento educativo è fondamentale per diffondere e consolidare nel bambino la difficoltà emersa o la risorsa trovata. Per cui se un bambino comincia a dire di sì e di no con la logopedista, si deve inevitabilmente trovare un contesto che gli 131 consenta di fare lo stesso a casa con i genitori e a scuola con gli insegnanti ed i coetanei. Noi utilizziamo una serie di sistemi che vanno dalla valutazione clinica, neurologica, psicologica del bambino alla valutazione cognitiva, applicando i test dove è possibile, riassumendo un percorso che ci dice come sono gli aspetti percettivi, le funzioni esecutive, la comunicazione, i livelli di ansia, il comportamento, l’iperattività, per cui la nostra “griglia” o valutazione si rifà sul profilo neuropsicologico. Naturalmente ci occupiamo anche delle funzioni emotive, intese come stati d’ansia o secondari alla difficoltà del bambino di interagire, che si possono evidenziare con iperattività, con ritiro dell’attenzione o isolamento. Un comportamento di rinuncia può essere la conseguenza di stati di ansia che hanno frustrato il bambino, l’adolescente o l’adulto: non comunicare, non parlare, non essere compresi, porta ad una frustrazione fortissima in questi soggetti, che rinunciano così ad interagire perché non sanno quale strumento utilizzare per mettersi in relazione. L’aspetto comunicativo è uno dei più importanti per l’essere umano. Noi utilizziamo la comunicazione facilitata, che chiamiamo anche integrata perché la associamo all’intervento logopedico laddove è necessario. Va offerta alle persone che ne hanno bisogno ed è uno strumento alternativo per comunicare laddove ci sono certi requisiti. Ricordo una ragazzina che chiedeva finalmente al genitore di poter andare al mercato o al supermercato e scegliere la gonna, perchè era stanca di indossare la tuta, che portava da quando era nata. C’è anche la consapevolezza di un desiderio che, senza nessuno strumento comunicativo, non può essere espresso, per cui riteniamo che l’intervento sulla comunicazione debba essere iniziato precocemente con i bambini. Nei nostri interventi ci occupiamo di queste terapie. Nuove sfide o illusioni? È un argomento molto complesso e delicato, perché sono più le certezze negative di quelle positive, se parliamo in termini scientifici. Farò una brevissima premessa. Gli studi epidemiologici confermano la presenza di un fattore rispetto alla popolazione. Ma dobbiamo tener presente che uno studio epidemiologico viene svolto su almeno 100 mila persone. Problematiche specifiche, come le intolleranze o i danni da metallo, non hanno a disposizione un numero così elevato di persone per poter fare degli studi epidemiologici. Oggi siamo di fronte a gruppi di genitori che vogliono sperimentare queste nuove proposte, anche senza una base scientifica dimostrata, ma solamente basate sull’esperienza e sull’evidenza di risultati soggettivi. Ci stiamo occupando dell’autismo o ci stiamo occupando di tutto ciò che l’autismo rappresenta? È un miscuglio di tante problematiche che confluiscono in una serie di comportamenti standard che possono avere motivazioni differenti per ogni gruppo e sottogruppo. Noi siamo dell’ipotesi di studiare i sottogruppi, perché voi sapete, sicuramente meglio di me, quante varietà di sindromi autistiche ci possano essere. Oggi parliamo di autismi, non più di autismo. 132 Abbiamo esperienza che bambini che si sottopongono allo stesso tipo di intervento possono ottenere risultati diversi. Non credo si possa parlare di terapie dell’autismo, ma di studi e tentativi che hanno dato, in alcuni casi, un buon risultato. Come medici non possiamo esimerci dallo studiare queste cose: non prescriviamo ciò che non ha una validità scientifica, ma non possiamo rifiutarci di aiutare un genitore che chiede di provare, perché, per intenderci, oggi è possibile accedere a qualunque tipo di farmaco, basta andare in Svizzera, negli Stati Uniti, in Inghilterra. Per un genitore provare è molto facile. Pertanto ci siamo posti una domanda come gruppo: “Ci rifiutiamo perchè non ci sono basi scientifiche, oppure cerchiamo di fare in modo che “il fai da te” sia il meno dannoso possibile”? Quindi abbiamo cominciato ad osservare le persone che fanno questi trattamenti, a seguirle, a fare controlli ed esami. Il nostro dovere non è solo dare consigli, ma anche assumersi responsabilità rispetto a quello che fa un genitore. Vogliamo condividere con loro questa esperienza; questo ci consente anche di avere un punto di vista diretto su quello che accade. Abbiamo nei confronti di queste “terapie” speranze e illusioni. Abbiamo costituito un gruppo che si chiama Gira: è un gruppo indipendente di specialisti che si stanno occupando di autismo. Ad esempio io che sono un neuropsichiatra infantile mi sto occupando di mercurio e di candida che sono argomenti che non mi hanno mai interessato dal momento che non che riguardavano la neuropsichiatria infantile. Per cui, di fronte alla difficoltà di dover dare delle risposte di cui non siamo competenti, abbiamo deciso di costituire questo gruppo italiano di ricerca, costituito da neuropsichiatri, gastroenterologi, tossicologi, pediatri, allergologi, immunologi, neuropsicologi, aperto a tutti coloro che vogliono operare in modo indipendente e in scienza e coscienza per portare un contributo. Lavorare insieme è un grande arricchimento per tutti; collaboreremo con le Università di Brescia, Verona, Padova, Torino, Genova e con altri gruppi che si stanno interessando per far parte di questo gruppo di ricerca. Saranno informate anche le associazioni di genitori. Speriamo che attivino dei fondi per poter fare ricerca. Siamo indipendenti e autonomi, ma il tempo dedicato da molti colleghi va riconosciuto anche in termini economici. Non abbiamo scopi di lucro, ma siamo tutti abbastanza disincantati per rendersi conto che le risorse sono fondamentali. I genitori devono essere consapevoli di quello che si sta facendo, conoscere i limiti e i vantaggi di una ricerca e, nello stesso tempo, avere delle risposte. Vi faccio l’esempio di un bambino che ora ha undici anni. Quando l’ho conosciuto aveva otto anni; era magrissimo, mangiava solo cose liquide e la mamma era disperata. La risposta che aveva ricevuto sino a questo momento era che mangiava poco a causa dell’autismo. Questo è un mito da sfatare: un soggetto non urla perché ha l’autismo, ma perché, ad esempio, ha mal di denti o perchè gli hanno dato un calcio. Noi siamo contrari a questa tipicità che non spiega nulla. Ci siamo resi conto di quanti sintomi si associano. Come ha detto Granito negli anni 50, 133 il nostro cervello non fa nulla senza uno scopo, quindi qualsiasi gesto, anche la stereotipia, ha un senso per quel bambino. Se non lo capiamo è un problema nostro non suo. Lo diventa nel momento in cui non riesce ad interagire. Dobbiamo sforzarci di capire che senso ha quel comportamento per il bambino e non ridurre il tutto alla sindrome autistica, perché questo non aiuta nessuno. Tornando all’esempio di prima, il bambino non mangiava per un semplice motivo. Mi sono arrabbiato con alcuni pediatri della zona, gastroenterologi, che non volevano fare una gastroscopia a questo bambino. Questo non significa che tutti i bambini che mangiano liquido devono sottoporsi a questo esame. Ma il nostro bambino ci aveva dato l’indicazione, dicendo che aveva fame, ma quando inghiottiva il cibo sentiva bruciare lo stomaco. Aveva un’ulcera del cardias, che è la valvola che permette il passaggio dall’esofago allo stomaco. Ogni volta che passava del cibo che non era liquido o freddo provava un dolore fortissimo. Naturalmente siamo riusciti a fare questo grazie all’intervento di un gastroenterologo. Abbiamo fatto anche un esame delle feci e abbiamo trovato dei livelli di candida altissimi, ecco perchè il bambino si toccava, non era una stereotipia. Curato per la candida e per l’ulcera, ha ripreso a mangiare ed è scomparsa la stereotipia. Questo significa che dobbiamo capire se sono presenti dei disturbi organici nei bambini con autismo. Non vuol dire che sono disturbi tipici dell’autismo; tutti i bambini possono avere un’ulcera del cardias o disturbi gastroenterici, si tratta di capire, e questo fa parte della ricerca, se c’è una prevalenza in questi bambini. Internet è la via con cui i genitori trovano tutto. Ecco, perchè ritengo importante che un centro che si occupa di persone con autismo, affianchi i genitori. Se rifiutate il genitore lo farà comunque, non chiede il vostro consenso perché ha già deciso di farlo. Qual è il nostro punto di vista? Non possiamo prescrivere, ma se un genitore ci chiede un parere, possiamo fornirlo sulla base di una corretta informazione, dicendo non ci sono prove, quali sono, eventualmente, gli effetti collaterali, se ci sono danni per il bambino, perché questo ci chiedono oggi i genitori. Una dieta, se gestita bene, non crea danni specifici,. Ci sono colleghi che le prescrivono senza fare esami. Posso parlare solo di esempi clinici, non di teorie; non ho conclusioni di tipo scientifico da generalizzare. Facciamo gli esami, verifichiamo se c’è una correlazione, mettiamo a dieta il bambino. Il genitore fa delle proposte perché cerca risposte e, se può fare qualcosa di buono per il proprio figlio, si attiva. Gli studi più grossi sull’intolleranza alimentare e l’intestino sono quelli di Sheffield, che ha coniato un nuovo termine per indicare una malattia intestinale infiammatoria e cronica, chiamata enterocolite autistica. Alcuni sostengono che non esiste. Non si può negare perché ci sono le prove delle endoscopie. Il problema non è negarne l’esistenza, ma dire che è tipicamente autistica. In realtà non è così, anche se recenti studi di Eufemia e altri, del gruppo del Gaslini di Genova, ne hanno evidenziato una percentuale più elevata nei bam134 bini con autismo, rispetto alla popolazione normale. Anche noi abbiamo fatto uno studio in questo senso su cinquanta bambini. Abbiamo visto che c’è una percentuale maggiore rispetto alla popolazione normale, ma non è presente in tutti. Quindi non esiste l’enterocolite autistica per tutti, ma per un sottogruppo di bambini con autismo, così come ci sono sottogruppi di bambini che hanno deficit della funzione epatica o della capacità ossidativa. Credo che questo nome verrà cambiato. Dobbiamo solo chiederci se c’è una prevalenza nell’autismo: quando avremo cinquecento casi con un disturbo intestinale, vedremo se tutti cinquecento saranno correlati con le statistiche dell’autismo. Un altro gruppo di autori ha parlato di autismo regressivo. Cosa vogliono dire? Si riferiscono a bambini che stavano bene e poi sono cambiati, hanno seguito un’evoluzione diversa. Il termine regressivo è riferito a queste cause. Non credo che il disturbo intestinale sia, come si dice in medicina, una comorbidità, cioè qualcosa che si associa per alcuni soggetti e non per altri, quindi non è tipico. Laddove è presente si deve intervenire. È anche vero che ci sono molti genitori che ci dicono che il figlio fino al primo anno di vita stava bene, non aveva problemi così evidenti. Non ci sono studi a proposito, ma solo riferimenti ai genitori. Stiamo chiedendo alle famiglie di portarci i video. Finora ne abbiamo visti una quindicina: ci sono situazioni in cui effettivamente, a quell’età, non avrei fatto la diagnosi di autismo. Può darsi che questo non abbia a che fare con un prima e un dopo, ma con il fatto che l’autismo si manifesta successivamente. La regressione dovrebbe essere dimostrata da uno studio che oggi non c’è, quindi è solo un’ipotesi. È anche vero che, intorno ai quindici-diciotto mesi, nella maggior parte delle raccolte anamnestiche, viene collocato un periodo di breakdown più accentuato, una caduta più accentuata di situazioni rispetto a prima. Ciò ha portato alcuni ricercatori a pensare che questi cambiamenti fossero collegati alla vaccinazione per il morbillo. Per quale motivo? Perchè hanno trovato nell’intestino gli anticorpi attivi del morbillo, ma anche in questo caso non c’è uno studio statistico su cento casi che lo confermi. Questi studi hanno portato a conclusioni scientifiche, non si può negare, anche se non applicabili a tutti. È un’associazione che non ha ancora avuto una sufficiente dimostrazione. Le sostanze, quali casomorfina e radiomorfina, quindi latte, derivati e glutine sarebbero prodotti nell’intestino dal resto di alcuni cibi assunti con la dieta e sembra che siano in grado di esercitare un’azione simile. Vi spiego sinteticamente: questi peptidi (casomorfina e radiomorfina) che sono catene di proteine, normalmente sono presenti, ma non passano la barriera emato-encefalica e quindi non vanno in circolo. Se lo facessero, funzionerebbero come neuromodulatori, per cui si sostituirebbero all’acetilcolina, alla noradrelalina, cioè a quelle sostanze che permettono al cervello di trasmettere gli impulsi. Trasmettendo gli impulsi si organizzano le vie nervose, per cui un recettore che riceve sempre lo stesso impulso con lo stesso messaggio, si collega sempre in quel punto per fare funzionare il sistema, che a sua volta fa sviluppare il linguaggio, il movimento, l’udito, la vista. Ho sintetizzato molto, 135 in realtà il processo è molto più complesso. Per cui se ho problemi intestinali e queste sostanze, a causa di un problema immunitario, non vengono scisse ed ho un intestino che per qualche motivo è più permeabile, questa maggiore permeabilità farà passare le sostanze non digerite, che nel circolo cerebrale potrebbero sostituire i neuromediatori e, quindi, darmi una serie di comportamenti alterati. Molte persone con intolleranza al glutine o alla caseina, presentano disturbi comportamentali associati al disturbo intestinale. L’asse intestino-cervello è fortemente correlato. Immaginate i nostri bambini che non hanno nemmeno la capacità di comunicare che hanno mal di pancia! Questa permeabilità intestinale ha portato alla teoria degli oppiodi. Sono sostanze che prodotte in eccesso nel nostro organismo e nel nostro cervello, creano disturbi del comportamento e delle funzioni celebrali. La domanda che ci poniamo è la seguente: “Il disturbo gastroenterico segnalato dai vari autori è una caratteristica tipica dell’autismo o è presente in generale nella popolazione”? Noi pensiamo che ci sia una comorbidità: non è una causa dell’autismo, ma è presente anche in alcuni soggetti con autismo. Siamo arrivati alla conclusione che ci sia un’aumentata comorbidità tra disturbo autistico e disturbo gastroenterico (stipsi ostinata, diarrea, distensione addominale, meteorismo, feci maleodoranti) e che ci sia un sottogruppo fenotipico distinto. Gli studi più recenti affermano che, rispetto alla popolazione generale in cui è presente un’incidenza di disturbi gastroenterici del 9-10%, nei bambini con autismo questa percentuale va dal 24 al 50% . Sono utili da conoscere perchè sono quelli che andiamo a monitorare durante una dieta o una terapia. Quindi possiamo riconoscere la patologia sanitaria come una comorbidità. C’è tutto un discorso sul sintomo che ovviamente aiuta il bambino, ma i bambini con autismo, che non riescono a dire se hanno male e dove per cui nessuno interviene, possono solo accentuare i propri comportamenti di disturbo, manifestando un grave disagio che non riescono ad esprimere in altre forme o modi. Qual è il rischio che si corre e che invito medici pediatri a non sottovalutare? Il rischio di dire che il bambino è iperattivo o aggressivo perché è tipico dell’autismo e, quindi, gli somministro dei neurolettici, senza curare niente. I sedativi neurolettici possono aiutare per un periodo, ma non sono la risposta al problema del bambino. A volte non si capisce qual’è il problema, ma glielo somministriamo lo stesso perchè bisogna calmarlo e, nessuno, si rifiuta di dare un sedativo, ma solo dopo aver escluso tutta una serie di altre problematiche che vanno dal mal di denti, alla carie, al mal di pancia. L‘intervento con i sedativi dovrebbe essere l’ultimo. L’assorbimento di peptidi e oppioidi, la crescita di batteri neurotossici, l’alterazione dell’intestino, i deficit immunitari, lo stress possono portare a questa alterazione delle molecole, favorendo il passaggio nel torrente circolatorio. 136 C’è un test specifico per vedere la permeabilità intestinale, il test al lattulosio, che nessuno vuole fare perché complicato. Non ci sono prove, né ricerche. Per questo dobbiamo istituire dei gruppi studio, per capire, approfondire! I peptidi oppiodi si possono trovare anche nelle urine. C’è un test basato sulla ricerca dell’IAG, un derivato del terzofano che però deve essere fatto da Paul Shadow, all’Istituto di Farmacologia dell’Università di Sunderland che lui dirige. Questi non sono indicatori di certezza, ma sono molto più significativi di altri che comunemente vediamo negli esami dei nostri laboratori. Sulla base di questa suscettibilità iniziamo la dieta e verifichiamo, dopo due o tre mesi, se abbiamo risposte significativamente migliori del bambino e la manteniamo. Se non si trovano miglioramenti si torna indietro. Ci diamo sempre tre mesi di tempo per verificarne l’efficacia. Abbiamo utilizzato la parola regressivo perché abbiamo usato gli stessi parametri. I disturbi intestinali venivano segnalati dopo che il bambino aveva raggiunto delle capacità. Quando le ha perse sono comparsi i disturbi gastroenterici e comportamentali. La cosa non è priva di logica: se una persona sta male fisicamente si comporta male. Per alcuni bambini, i restanti quattro, l’esordio era segnalato dai genitori tra la nascita e i primi sei mesi di vita. Tramite una griglia abbiamo riscontrato comportamenti aggressivi e auto-lesivi, irritabilità, risveglio notturno, iperattività accentuata, presenza massiccia di comportamenti ripetitivi e stereotipati. Il 48% dei soggetti, al momento degli accertamenti, aveva un disturbo gastroenterico in atto e l’esordio dei primi, dai zero ai tre mesi in sei soggetti, con proseguimenti per oltre un anno di questi disturbi in cinque soggetti; in alcuni abbiamo rilevato anche un disturbo cutaneo e una rinite cronica che però non aveva nessun collegamento. Nei quarantaquattro soggetti è stato eseguito un esame colturale delle feci, da cui è emerso che ben quaranta avevano una candidosi, tra questi tredici avevano anche altri batteri patogeni e sette parassiti. In quindici campioni sono stati misurate le EGA mucosali intestinali, aumentate in tre soggetti e diminuite in due; i parametri intestinali come PH e lisozima positivi in dieci pazienti come indicatori di una possibile impermeabilità intestinale. Su trentotto soggetti, diciassette sono risultati positivi alle intolleranze alimentari per uno o più alimenti; a dieci soggetti abbiamo fatto il Rast per alimenti e tre sono risultati positivi, due per inalanti e uno per il latte. Questa prevalenza però è simile alla popolazione pediatrica priva di malattie neurologiche. La positività dell’esame delle feci ha fatto consigliare l’introduzione di probiotici, quali antagonisti naturali per terapie specifiche, la classica enterogermina e l’uso della nistatina come farmaco antifungino. Per tre mesi è stato sostituito l’apporto di latte di origine animale e i suoi derivati e sono stati ridotti i cibi contenenti zuccheri. La ricerca di peptidi urinari è stata fatta inviando i campioni di urina a Sunderland. Anche l’intestino è migliorato; il bambino non aveva più feci maleodoranti, era sgonfio e 137 più tranquillo. Non abbiamo curato l’autismo, ma l’intestino di un bambino con autismo che rispondeva al disturbo gastroenterico con comportamenti accentuati perché era l’unico linguaggio che aveva a disposizione. Termino dicendo che parliamo di sottogruppi. Tutti i bambini che hanno avuto un trattamento di anticandida hanno ottenuto dei buoni risultati. C’è anche la questione dei vaccini, ma non abbiamo tanto tempo. Se qualcuno vuole avere informazione ne posso parlare. Ora lascio spazio alla discussione. Posso concludere dicendo che anche per i vaccini, probabilmente, c’è una comorbidità. I vaccini vanno fatti, non si discute. Noi parliamo di mercurio: da tre anni in Italia lo hanno tolto dai vaccini; è rimasto solo in quello per il tetano e nel vaccino antinfluenzale, però i nostri bimbi in genere non hanno questo tipo di problema. Cosa fare: attendere o rischiare? Cosa deve fare un genitore? Oggi non abbiamo una risposta che abbia una validità scientifica. L’unica risposta che possiamo dare è di ricercare, in scienza e coscienza, e di continuare. Vi ringrazio. “Questi esami si fanno in Italia”? Maurizio Brighenti Gli esami che si fanno sono tanti. In un primo tempo venivano mandati al Gris Plain o a Phoenix, negli Stati Uniti, con costi elevati. I genitori spendevano 1.500 dollari per ottenere dati di laboratorio non autorizzati dalla Vie americana, che sosteneva che i risultati si erano raggiunti con metodologie non autorizzate, cioè con parametri non internazionali, ma propri, per cui si poteva pensare che i parametri fossero manipolati. In realtà chi faceva questo lavoro non era uno stupido, né un venditore di fumo. Ho incontrato William Shaw, direttore di questo laboratorio, e sua moglie a Rovereto. Mi sono sembrate persone estremamente competenti e capaci; lavorano in questo campo perché hanno un figlio con un disturbo autistico molto grave e che stanno trattando. Quindi, gli sforzi che facevano i genitori per mandare gli esami all’estero non sono mai stati sufficientemente considerati da noi “italiani”, perché ritenuti ricerche non valide. Non si è mai avviato un gruppo di ricerca che andasse veramente a verificare in modo specifico. Dobbiamo chiederci se vogliamo fare uno studio e come farlo. Noi partiamo dall’esperienza clinica, proviamo per tre mesi, valutiamo i risultati. Non mandiamo nessuno negli Stati Uniti a fare gli esami, perchè oggi possiamo anche in Italia, basandoci sull’esperienza di quei genitori che si sono offerti e hanno provato. Ci siamo accorti che possiamo fare gli esami anche da noi, chiedendo gli accertamenti ai laboratori. Le ricerche sui metalli si fanno anche a Brescia; noi siamo in contatto con la cattedra di tossicologia di Brescia e ci hanno invitato a fare i nostri studi da loro. 138 Moderatore Scusi se la interrompo, ma a tale proposito, al centro Spazio Autismo di Bergamo, l’associazione dei genitori ha organizzato, un paio di mesi fa, un incontro con il responsabile del laboratorio di Brescia. Ci ha detto che ci potrebbe essere la possibilità di fare esami sul capello, pur trovando una difficoltà notevole nel valutare i risultati. I genitori ci hanno riferito di essere venuti a conoscenza della possibilità di un collegamento tra un eccesso di metalli pesanti e alcune manifestazioni dell’autismo. Il professor Apostoli, ci ha detto che si possono fare questi esami, ma per farli in maniera precisa bisogna, soprattutto con i bambini piccoli, cateterizzare. Era un procedimento abbastanza complesso che non ricordo bene. I genitori gli hanno detto di portare avanti queste esperienze, cui avrebbero prestato molta attenzione, prima di decidere. Maurizio Brighenti C’è anche la Fondazione Maugeri di Pavia, centro di tossicologia che collaborerà con noi e con Brescia per fare uno studio. Dobbiamo fare noi gli studi, dal momento che le ricerche epidemiologiche non possono essere realizzate a causa dell’impossibilità di reperire mille casi che hanno lo stesso problema, per cui non è possibile fare correlazioni. Ci sarà un gruppo selezionato e ristretto, composto da venticinque bambini che saranno seguiti per sei mesi da un immunologo, che farà uno studio sistematico sui movimenti immunitari, da un tossicologo e da un neuropsichiatra. Faremo uno studio anche insieme alla Molinette di Torino. Se parliamo di cosa mi interessa, di cosa posso ipotizzare, vi posso dire tantissime cose; vi posso raccontare la mia esperienza clinica, ma potrò darvi un consiglio solamente dopo aver fatto l’esperienza. Non ho un consiglio da dare, posso informarvi che noi costituiremo un gruppo di genitori e bambini che parteciperanno a questo tipo di studio. Questo gruppo sarà seguito almeno per un anno. Il reclutamento sta avvenendo e si deve concludere tra breve. Lo studio non sarà soltanto sulla ricerca dei metalli o sulla loro escrezione, ma anche sulla ricerca delle varianti immunologiche in rapporto alle varianti comportamentali e gastroenterologiche. Le ipotesi servono a chi le vuole studiare, a chi fa ricerca, non ai genitori. State attenti perché il “fai da te” è veramente pericoloso. Vi consiglio di seguire, di essere attenti e di tenervi informati. Noi siamo un gruppo aperto e vi terremo informati. Se qualcuno di voi decide di fare qualcosa deve essere seguito, monitorato. Non prendete le cose con leggerezza! Assumersi in proprio una responsabilità è una disperazione che il genitore mette in atto, non una speranza. La speranza è vedere cosa si studia, cosa succede ed essere sufficientemente informato per decidere. Andare da soli dal professor Apostoli, fare l’esame del capello, trovare il metallo, andare in farmacia in Svizzera a prendere il chelante e fare la chelazione, è pericoloso. I primi genitori che l’hanno fatto hanno avuto dei problemi. Ci 139 hanno chiesto di seguirli. Lo abbiamo fatto e continuiamo a fare regolarmente, una volta al mese, gli esami del sangue. Dopo un anno li facciamo ogni due-tre mesi. In alcuni abbiamo dei risultati, in altri no. Quindi apriamo un altro capitolo: a chi serve e a chi non serve? Moderatore Il motivo per cui abbiamo chiesto l’intervento del Professor Brighenti è nato parlando con i genitori ed anche con alcuni operatori, dopo che era stato pubblicato il testo sul Dan. Potevamo decidere due cose: la prima, visto che molto spesso da parte dell’ambiente medico esiste una sorta di ostracismo verso tutto ciò che è nuovo, era di rifiutare; la seconda strada è nata dalle richieste dei genitori, che ci hanno detto di esserne al corrente e di volerne parlare. I genitori molto spesso usano Internet, cercano informazioni e le trovano. Spesso sono poco attendibili o non sufficientemente obiettive. Per questo abbiamo chiesto al professor Brighenti di venire, perchè sapevo che sta portando avanti questo tipo di ricerca, per la quale non ci sono risposte precise. Io e il gruppo che coordino presteremo sicuramente attenzione ai risultati di questi studi. Manteniamo l’attenzione sulla sperimentazione che si sta avviando in altre città, perché questo potrebbe darci delle risposte. Non parlarne mi sembrava il male peggiore, perché la curiosità comunque porta a cercare le risposte da soli e abbiamo visto che il “fai da te” può essere veramente molto pericoloso, con conseguenze gravissime per la salute dei ragazzi. Questo inciso è per spiegare il motivo dell’intervento del dottor Maurizio Brighenti, perchè noi stessi siamo stati ripresi della scelta che sembrava troppo audace. Non è negando che esistano strade diverse che risolviamo il problema. Maurizio Brighenti Non è più possibile prendere parte alla nostra ricerca. Possiamo informarvi tra sei mesi su come abbiamo impostato il lavoro, su come vanno le cose. Lo facciamo anche con le associazioni di genitori cui siamo collegati. Non si deve avere fretta di fare tutto subito, anche se capisco i genitori. Non dovete preoccuparvi di anticipare i tempi! Sono convito che ci siano dei sintomi, dei comportamenti che si inseriscono nel disturbo autistico, che non hanno niente a che fare con l’autismo, ma sono secondari a ciò che l’autismo rappresenta. Per esempio, fare giochi fortemente stereotipati, credo sia la conseguenza di una difficoltà del bambino a organizzare il gioco, piuttosto che della necessità di evitare di comunicare, di interagire, di partecipare. Vi racconto l’esperienza di una ragazza che seguo da tantissimi anni: ha frequentato la scuola superiore ed ha iniziato a fare educazione fisica e motoria. Facevano dei movimenti seguendo il ritmo musicale. Era molto curiosa e attenta. Ad un certo punto è andata in ansia, perché si è resa conto di non fare 140 quello che era richiesto. Durante una lezione si è alzata ed è andata via. Per una settimana non siamo più riusciti a coinvolgerla. Più si va avanti con gli anni, più si consolidano comportamenti che possono essere poco variabili in base ad attività di tipo riabilitativo. La madre di questa ragazza ha avuto una celiachia all’età di 50 anni, perciò abbiamo avuto il sospetto che anche la figlia avesse un problema di questo tipo, dal momento che manifestava stipsi ostinata, a volte diarrea, anche se il suo comportamento non era così vario come potevamo vedere in un bambino, perché aveva trovato un suo modo di comportarsi, di mantenere un equilibrio. È stata messa a dieta dal gastroenterologo dopo che, con la rettoscopia, le avevano trovato lo stesso problema della madre. Obbiettivamente non abbiamo visto miglioramenti, ma la ragazza ci raccontava di sentirsi meglio, di dormire più rilassata, di essere più disponibile e attenta. Anche i ragazzi che la seguivano al centro, ci hanno comunicato che, effettivamente, era molto più partecipe e aveva meno scatti d’ira e aggressività. Nel bambino si verifica un cambiamento molto più ampio. Nella persona adulta il cambiamento soggettivo è presente, ma è meno vistoso rispetto a quello dei bambini. “Lo studio della sindrome autistica viene fatto anche con soggetti adulti o soltanto con soggetti piccoli”? Maurizio Brighenti Siamo un servizio pubblico e il centro, pur essendo all’interno del Dipartimento di Neuropsichiatria Infantile, è aperto a bambini, adolescenti e adulti. Anche l’adulto merita una valutazione, una rivalutazione, perché anche l’adulto ha una propria evoluzione. Con uno studio, confermato anche da colleghi argentini, abbiamo visto che lo sviluppo del linguaggio può evolvere anche dopo i cinque anni. Tutti allora parleranno dopo i cinque anni? Non è questo l’argomento, ognuno ha una sua valutazione e potenzialità da esprimere. Dobbiamo abituarci a selezionare e ad offrire ad ogni persona quello di cui ha bisogno. Credo che anche un soggetto adulto meriti di essere osservato, valutato, rivalutato, riosservato e seguito. Moderatore Da noi la struttura è diversa. Mentre nel caso di Verona è l’USSL che segue questo tipo di interventi, da noi non è così. Per questo motivo alcuni genitori sono disorientati e non sanno a chi fare riferimento, perché fino a diciotto anni i ragazzi sono a carico dei servizi di Neuropsichiatria Infantile e, quindi, usufruiscono di un certo tipo di approcci e di servizi. Il problema si pone dopo quest’età: non ci sono punti di riferimento. E que141 sto è probabilmente una delle ragioni per cui le chiediamo se anche con i grandi si possono fare interventi. A Spazio Autismo gli interventi si fanno finché i ragazzi sono all’interno della scuola dell’obbligo, fino a diciotto anni, poi ci sono attività svolte con successo sempre da Spazio Autismo Bergamo con progetti di tipo psico-educativo che portano all’autonomia. Cristina venga a parlarne un attimo, dal momento che fa parte di questo gruppo. Sono ragazzi nella fascia di età dai quindici ai trentacinque anni, che una volta ultimato il percorso scolastico accedono a progetti che sono basati sull’autonomia e sulla dimensione socio-occupazionale. Abbiamo anche un progetto con la formazione professionale, un progetto che è sempre un Flad, legato all’autonomia delle persone che hanno compromissioni più ampie che, dopo aver terminato l’obbligo scolastico, entrano a far parte di questo progetto di tipo psico-educativo. Maurizio Brighenti Il rischio che corrono le persone adulte è quello di essere massificate nei centri in cui non ci sono risposte specifiche. Deve esserci un’attenzione particolare per le problematiche delle persone con autismo, come avviene per persone con la cerebropatia, con la paralisi celebrale, come la Sindrome di Down. Ci possono essere anche gruppi misti, ma le risposte non devono essere comuni per tutti. Non deve esserci l’omogeneità delle patologie, ma l’omogeneità delle funzioni, delle competenze, delle capacità e questo purtroppo oggi non viene più considerato nei centri, perché si bada più all’organizzazione che ai bisogni del soggetto. In questo contesto le persone adulte stanno veramente peggio del bambino e dell’adolescente, perchè le risorse finiscono. Moderatore Noi facciamo interventi di tipo socio-psico-educativo e non terapeutico perché questa parte terapeutica non ci compete. Maurizio Brighenti Io sono primario di Neuropsichiatria Infantile e anche responsabile del centro per l’autismo. Perché abbiamo voluto un centro per l’autismo? È troppo complesso investire e specializzare le persone su una tematica così vasta, questo è un problema istituzionale, non di volontà, di capacità, di interessi. Tutti i servizi di Neuropsichiatria Infantile si occupano di autismo, ma anche di anoressia, epilessia, psicosi infantili, ritardo mentale, dislessia, paralisi cerebrali, malattie muscolari. È un problema istituzionale, non della singola neuropsichiatria. Per la complessità e la multidisciplinarietà della materia, del problema, il bambino con autismo deve avere 142 un’équipe che lavora e si dedica solo a lui. Questo è un dato inconfutabile. Sono il primo a riconoscere la necessità di stimolare le associazioni di genitori, i politici, tutte le persone sensibili per organizzare centri specifici, associati alle neuropsichiatrie che si occupino anche delle persone adulte. Serve un’organizzazione differente da quella attuale. Io ho voluto il dipartimento di Neuropsichiatria Infantile non il servizio perché sul nostro territorio c’è un enorme bisogno di risposte altamente specialistiche. Nel dipartimento stiamo organizzando il gruppo che si occupa dei disturbi del comportamento, che collaborerà con le assistenti sociali, con le scuole, le famiglie. Non abbiamo molte risorse. Per questo cerchiamo altre soluzioni: le famiglie che si associano ci danno una mano, io faccio il giro delle banche. Ci si arrangia, l’importante è avere chiare le idee sulla prospettiva, sull’obiettivo da raggiungere. Bisogna dedicare del tempo perché l’autismo è un problema multidisciplinare, ci vuole un’équipe che se ne occupi. Il nostro servizio è gratuito perchè è dell’USSL e si accede con l’impegnativa del medico di base. “A proposito dei farmaci per l’umore, vorrei raccontarle brevemente la storia di mia figlia. Abbiamo ragione di essere contenti in questo periodo, perché Francesca si è molto calmata. Premetto che ha frequentato per dieci anni un CSE e poi si è rifiutata di andare. Abbiamo comunque notato un notevole miglioramento e negli anni in cui non ha più frequentato il CSE si è verificato un cambiamento radicale anche nel linguaggio, nella comprensione e nei comportamenti. Francesca prende i neuroenzimi e adesso sta bene. In base alla sua esperienza quando possiamo provare a smettere”? Per disturbi dell’umore intendo situazioni di aggressività e di instabilità, per cui ci sono manifestazioni di chiusura o eccitazione improvvise. Ci sono instabilità di umore che oggi vengono affrontate da un punto di vista farmacologico in molti modi. Bisogna capire dove nasce il disturbo: in genere le motivazioni si possono manifestare durante la pre-adolescenza e l’adolescenza, in seguito alla consapevolezza di avere l’autismo, di confrontarsi con gli altri; a volte sono legate a situazioni ambientali non più adatte a quel bambino o a quella persona. Ognuno di noi ha una propria soggettività. Di fronte ad un disagio che ha una natura di tipo ambientale e non legata a se stessi, il fatto di dare un farmaco può aiutare la persona ad adattarsi meglio ad un cambiamento ambientale o a mantenersi nella stessa realtà. Sono dell’idea che una volta ottenuto l’effetto varrebbe la pena pensare ad una diminuzione, monitorata dal medico che l’ha prescritta. Il farmaco che lei usa è conosciuto, abbastanza blando, non pericoloso, si può prendere per anni, anche perché è un farmaco che si somministra anche nel caso dell’epilessia. 143 “Le faccio un’altra domanda. Francesca per un periodo ha avuto delle macchie sulla pelle, una micosi, e l’abbiamo curata con un anti-micotico che però ha avuto un effetto bruttissimo. Lo assumeva per via orale. In pratica non aveva più la percezione dei sensi, cioè camminava all’indietro, si sedeva per terra. Abbiamo smesso subito di somministrare il farmaco, ma nessuno mi ha saputo dare una spiegazione. Lo ha utilizzato per una settimana e mi sono accorta che non riusciva più ad allacciarsi il cappotto. Abbiamo smesso subito ma ci sono voluti quindici giorni perché questi effetti scomparissero”. Si è verificato un effetto chiamato “day-off”, cioè un peggioramento. Con l’assunzione di anti-micotici, in alcuni casi, possono aumentare il livello di candida a livello intestinale o cutaneo, perché assorbito per bocca. Avendo sospeso prima, non ha potuto osservare il miglioramento. Sono situazioni drammatiche e un genitore, che non è ben informato sugli effetti, sospende la somministrazione. Non so se è proprio quello che è successo nel suo caso, comunque abbiamo verificato questi effetti in alcuni bambini cui viene somministrata la nistatina. “Ha parlato di come sono seguiti i bambini e i ragazzi della sua équipe. Volevo sapere come sono affiancati i genitori nel periodo di grande cambiamento che va dall’infanzia alla pre-adolescenza e all’adolescenza”. Abbiamo offerto ai genitori la possibilità di avere ogni quindici giorni un’ora e mezzo di scambio e di confronto sulle problematiche con un educatore ed uno psicologo. Abbiamo scelto queste due figure insieme, perché lo psicologo molto spesso non è in grado di rispondere alle domande più semplici, che sono molto importanti e che l’educatore conosce e gestisce bene, affiancando il ragazzo. I nostri ragazzi sono conosciuti da tutta l’équipe, dal momento che ci troviamo una volta alla settimana. Quando i genitori ce lo chiedono organizziamo anche riunioni serali. Inoltre ogni genitore può dialogare tranquillamente con i terapisti e gli educatori quando vuole. “Come vengono coinvolti gli insegnanti nel percorso e nel progetto che si porta avanti con i bambini e i ragazzi”? Maurizio Brighenti Teniamo incontri regolari, stabiliti in base ad alcuni parametri: disponibilità della scuola a collaborare, competenze delle insegnanti a gestire un trattamento, ecc. Dobbiamo lavorare molto su questo aspetto, perché gli insegnanti sono bravissime persone, ma la competenza non ha a che fare con l’essere delle brave persone. 144 In genere facciamo un periodo di formazione. Ad esempio, abbiamo un bambino con autismo che deve entrare in prima elementare o in prima media; cerchiamo di capire chi sono gli insegnati del gruppo classe, prima ancora dell’insegnante di sostegno, che è nominato l’ultimo giorno, per cui vogliamo che ci sia una figura di riferimento nella classe. Informiamo gli altri insegnati e presentiamo il bambino, in genere cerchiamo di farlo con l’insegnante della scuola materna o elementare, dopodichè facciamo venire l’insegnante di sostegno o il referente al nostro centro e gli mostriamo come lavora il bambino con l’educatore e con la logopedista. Abbiamo appena pubblicato delle linee guida per l’integrazione scolastica del bambino e dell’adolescente con autismo; abbiamo suggerito la presenza di un tutor, persona esperta di area educativa, non un medico o uno psicologo, che faccia da ponte tra le famiglie, la Neuropsichiatria, i bambini e gli insegnati. Non basta l’insegnante di sostegno. Pensiamo ad un tutor che si occupi di una quindicina di bambini, che non lavori direttamente con loro, che sia informato di tutte le strategie e le tecniche e che supporti gli insegnati. Moderatore È sicuramente vero che la scuola ha una grande importanza nel progetto di vita. Anche noi, presso i nostri centri, invitiamo sempre i docenti a partecipare al nostro percorso. Purtroppo non sempre riscontriamo questa disponibilità, per cui sono i genitori che fanno da tramite e, spesso, sono gli operatori che vanno a scuola per istruire, nel vero senso della parola, più che informare. Sono perfettamente d’accordo con lei quando parla di équipe. Noi siamo agli inizi, ma credo un passa avanti rispetto ad altre realtà che conosciamo, anche al di fuori della provincia di Bergamo. Questo è un fiore all’occhiello per noi. Abbiamo ancora molto da imparare, ma la nostra è una realtà abbastanza fortunata. Domanda di un genitore Come genitore, volevo dare un contributo per far comprendere come ci sentiamo. Mio figlio, all’età di 5-6 anni, manifestava iperattività accentuata e macchie estese sul corpo per diverso tempo. Abbiamo consultato un medico Dan, che si definiva alternativo. La pediatra ci dava del cortisone e altri farmaci, ma non avevano nessun effetto. Questo medico ci ha invitato a fare una dieta priva di proteine vaccine e ci ha dato del Tinset, perché diceva che probabilmente nostro figlio aveva l’istamina alta e un’intolleranza al fenolo. Abbiamo provato e, nel giro di poco, il bambino si è calmato e le macchie sono sparite. Quando siamo tornati dalla pediatra ci ha chiesto cosa avevamo fatto dal momento che il bambino era guarito. Gli abbiamo parlato della dieta e degli antistaminici. Sentiamo il bisogno che ci sia qualcuno in grado di spiegarci il funzionamento dei farmaci e gli effetti collaterali. 145 Maurizio Brighenti La considero un’esperienza che non conosco ed a cui non posso rispondere. “Nel vostro centro c’è anche un supporto per i fratelli e le sorelle dei bambini che soffrono di autismo”? Ci sono situazioni e famiglie che ci chiedono di intervenire: abbiamo tre psicologi che si occupano di questi argomenti, oltre che di valutazioni cognitive. In modo particolare abbiamo una persona che si è specializzata in dinamiche familiari. Cerchiamo di rispondere e non di stimolare il bisogno. “A livello di ricerca c’è una collaborazione con la medicina alternativa”? Non c’è un collegamento nel senso di una ricerca comune o condivisa. I genitori ci portano a conoscenza delle prescrizioni dell’omeopata. Lasciamo al genitore la decisione e se ci espongono eventuali effetti collaterali, li invitiamo a tornare dallo specialista cui si erano rivolti. Non c’è una relazione ufficiale. “Può elencare gli esami per l’intolleranza al lattosio? Mio figlio ha tredici anni e, finora, ha avuto quattro grossi momenti di crisi e di iperattività superiore alla norma. È sempre stato iperattivo, ma in questi episodi l’iperattività aumentava notevolmente. Ha anche disturbi di sonno. Questi episodi si sono sempre accompagnati a disturbi gastrointestinali. Avevo già fatto fare alcuni esami, ma sono risultati negativi. All’Ospedale, cui mi sono rivolta, mi hanno detto che uno degli esami avrebbe avuto bisogno di un ulteriore accertamento, ma poiché il bambino non era collaborante, non avevano potuto proseguire con l’indagine. Perciò volevo chiedere quali esami potrei fare e dove”? Gli esami sono quelli classici di laboratorio, l’esame delle allergie alimentari. Un’alternativa può essere l’esame delle urine con la ricerca di neuropeptidi, ad esempio la casomorfina che se presente in quantità molto elevate è indicatore di un’intolleranza. Questo esame si può fare anche in Italia, però bisogna trovare il laboratorio che mette a disposizione i macchinari; altrimenti noi li mandiamo a Sunderland in Inghilterra. Inviamo le urine e abbiamo la risposta, che compariamo con le IGG e le IGE che vengono dosate nel sangue nei nostri laboratori. La prima cosa da fare credo che sia sentire il suo pediatra e vedere se si riesce a fare un prelievo preparando il bambino. 146 “Mi hanno detto che il risultato non è sicuro al 100%, perchè comunque servirebbero ulteriori accertamenti. Tenga presente che mio figlio ha un disturbo compulsivo dell’alimentazione”. L’esame dei neuropeptidi urinari si può fare anche in Italia. Bisogna chiedere l’esame della casomorfina, fare gli esami del sangue per vedere le allergie, ma anche le IGE e le IGG, che sono le immunoglobine responsabili dell’intolleranza. “A fine ricerca le informazioni verranno divulgate? Le faccio questa domanda perché giustamente in tutta la sua relazione sottolineava l’importanza del non fare da soli, però purtroppo si riscontra molta reticenza a divulgare anche solo le informazioni e tante volte non si dà fiducia al genitore”. Non ci sono collegamenti tra le neuropsichiatrie su argomenti specifici. Ognuna crea le proprie collaborazioni e pubblica i risultati sulle riviste. Passa molto tempo prima che vengano pubblicati. In genere da noi sono più le associazioni di genitori che mantengono informati gli altri genitori o le altre associazioni. “Dove si effettuano gli esami per l’intolleranza al latte”? Si effettuano anche in Italia, ma non sono facilmente eseguibili per un problema di strutture. Per esempio a mio figlio ho fatto fare, alcuni anni fa, il cytotoxic test. Era risultato negativo sei anni fa e si era rilevata una lieve intolleranza al latte. Ultimamente ho portato mio figlio alle Molinette di Torino per quel programma di ragazzini che dovrebbero essere messi a dieta senza latte. Ha effettuato tutti gli esami e non è risultato né intollerante, né celiaco, però mi hanno richiamato per iniziare questa dieta. È un esame attendibile? Non ho esperienza di questo test. Lo conosco perchè molti genitori mi hanno portato gli esami e ho visto i risultati, ma non ho mai approfondito. Quindi, se lei l’ha fatto qualche risultato potrà averlo avuto. Sono test, tra cui anche il Vega, molto sensibili, che danno risultati che non sono confermati da altri test. Si dovrebbe fare uno studio per comparare questi risultati. Noi quando non otteniamo risposte con gli esami del sangue, andiamo a cercare i peptidi 147 urinari. Li ha sviluppati Reichelt in Norvegia, Shadow negli Stati Uniti. Potremmo farli anche in Italia, ma il problema è che serve una macchina, il gascromatografo ad alta definizione, che viene utilizzata per le intossicazioni. Tenere ferma una macchina per dodici ore significherebbe far perdere altri trenta esami eseguibili in dieci minuti, per questo quindi non la tengono ferma. “Il costo degli esami che farete è a carico dei genitori”? In Inghilterra l’esame delle urine costa 70 sterline. È un esame serio che viene fatto dall’Università di Farmacologia di Sunderland. Noi siamo purtroppo ancora in una fase in cui non c’è certezza rispetto a questo tipo di intolleranza; la serietà c’è sicuramente ed anche l’alta suscettibilità di risposta, ma non la certezza. “Su quale rivista pubblicate gli interventi psico-educativi che fate nel vostro centro? Dove possiamo trovare gli articoli”? Non abbiamo ancora pubblicato nulla in ambito psico-educativo. Lo faremo probabilmente alla fine dell’anno: abbiamo avuto bisogno di più tempo dal momento che il nostro approccio, di tipo clinico-educativo, è diverso da quello classico. Stiamo aspettando di avere dei risultati e stiamo studiando l’evoluzione dei bambini. Pubblicheremo la nostra tecnica e la nostra metodologia solo dopo aver verificato i risultati, che possediamo dal punto di vista clinico, ma che devono ancora essere contestualizzati. 148 Riportiamo di seguito le slides proiettate da Maurizio Brighenti durante gli incontri Presentazione delle attività del Centro Diagnosi Cura e Ricerca per l’Autismo Dipartimento NPI e PEE – ULSS20 Verona (Italia) • il Centro è all’interno del Dipartimento di Neuropsichiatria Infantile e Psicologia della età evolutiva. • il Coordinatore del Dipartimento e del Centro è il dr. Maurizio Brighenti. • è presente un Referente Clinico dei progetti che li realizza insieme alla équipe di operatori: dr.ssa Anna Franco • le attività sono previste in una ottica di équipe Il Centro DCRA è costituito da: • 2 Neuropsichiatri Infantili • 1 Psicologo • 3 Educatori • 2 Logopediste • 1 Psicomotricista • 1 Pedagogista • 1 Amministrativo • 2 borsisti psicologi Collabora con l’Associazione Genitori di: • Verona - AGAVE • Novagli (Bs) - Associazione LUNA • Rovereto (Tn) - Associazione INSIEME • Trento - Associazione AGSAT • Napoli - Associazione OLTRE IL MURO Prestazioni • il Centro si rivolge a bambini, adolescenti, adulti • il numero delle prestazioni dirette annuali (2004) è di 6000 • il numero totale degli utenti, provenienti da varie parti di Italia affluiti nel corso degli anni è di 785 • totale pazienti 785 • totale pazienti in carico settimanale 46 • totale prime visite anno 93 • totale interventi settimanali 285 149 Attività Clinica (diagnosi precoce, diagnosi e valutazione, accertamenti biologici) Riabilitativa (psicomotoria, logopedica, cognitiva, comunicativa) Educativa (progetto Sifne) Integrazione sociale Supporto alle famiglie Consulenza alle scuole ed alle istituzioni Formazione Ricerca Note sull’autismo • L’Autismo è un Disturbo Generalizzato dello Sviluppo caratterizzato da alterazioni nella: ❖ interazione sociale ❖ comunicazione e linguaggio ❖ problematiche comportamentali (DSM IV°) • nella nostra ipotesi l’Autismo è una problematica su base organica, sostenuto dalla combinazione tra alterazioni biologiche, genetiche e fattori ambientali; • il disturbo si evidenzia nella disorganizzazione delle funzioni di integrazione neuropsicologiche e cognitive, diversamente rappresentato nei soggetti, coinvolgendo in particolare le aree del linguaggio e della interazione; • il processo di integrazione delle funzioni è un fenomeno epigenetico e quindi dipende da fattori congeniti ed ambientali; • un’alterazione di questi fattori disorganizza la costruzione pre - post-natale delle reti di connessione nervosa e la loro integrazione funzionale, portando a sviluppare dei disturbi nei processi di interazione con l’ambiente; • da ciò può derivare un disturbo dei processi di analisi, decodifica e sintesi delle informazioni interne ed ambientali, che si manifesta con difficoltà nella elaborazione dei processi di: ❖ percezione ❖ attenzione ❖ funzioni esecutive ❖ comunicazione e linguaggio ❖ processi di interazione ❖ meccanismi di regolazione dell’ansia e delle emozioni 150 • l’Autismo in rapporto alla compromissione di varie aree funzionali richiede un approccio multidisciplinare; • occorre perciò operare in una prospettiva d’équipe, in cui le varie parti comunichino tra loro; • la valutazione dovrebbe riguardare l’area neuropsicologica, i processi di interazione, quelli emozionali e le problematiche comportamenti; • ogni progetto di intervento, pertanto, dovrebbe corrispondere ai bisogni prioritari attuali del soggetto e dovrebbe essere individualizzato. Terapie, nuove sfide od illusioni? • Non vi sono certezze sui nuovi interventi, tuttavia molte esperienze cliniche sono suggestive di nuove possibilità di cura; • in nessun’altra problematica i dati della ricerca sono così contraddittori. Esistono studi pro e contro le nuove ipotesi; • chi li valuta? • il nostro punto di vista è quello di non trascurare nulla che possa essere di aiuto alle persone autistiche; • non lasciare soli i genitori ed essere loro di sostegno quando iniziano determinate terapie, controllando che non si sviluppino danni dal “fai da te”; • monitorare gli effetti di una terapia per verificarne la validità clinica sul soggetto; • assumere un atteggiamento di ricerca e formulare ipotesi, confrontando i vari studi e le nostre esperienze cliniche. GIRA: Gruppo Italiano Ricerca Autismo: • Neuropsichiatra Infantile, Gastroenterologo, Tossicologo, Pediatra, Allergologo, Immunologo, Neuropsicologo ... • Associazioni di Genitori Internet è una risorsa ed un rischio • Diffonde i vari tipi di informazione e le comunicazioni tra le persone; • porta molti punti di vista sui vari argomenti, aiutando le persone ad essere più documentate 151 • non c’è alcun controllo sui contenuti; • favorisce il rischio del “fai da te”; • i genitori sono i diretti interessati alle problematiche e pertanto sono i maggiori fruitori del servizio; • questo atteggiamento ci spinge alla ricerca di una risposta tra le varie sperimentazioni per poter rassicurare i genitori sugli interventi proposti; • significa analizzare i comportamenti, individuare le modalità di indagine, valutare gli effetti di una terapia; • significa cercare delle risposte chiare, indipendenti, a favore delle persone autistiche; • siamo attivi nella ricerca e nella attenzione alle nuove proposte, ma siamo inevitabilmente soggetti alle molte critiche di coloro che credono ad una sola verità e non indagano oltre. APPROCCIO SISTEMICO (enciclopedia scientifica Fondazione Veronesi) • • • • difetto genetico disturbo immunitario disturbo gastroenterico (digestione, disbiosi) disordine metabolico (digestione, sostanze anomale endogene, anomalie nella metilazione per la sintesi dei neurotrasmettitori) • infezione da microrganismi (micosi) • sostanze tossiche (esogene) • varia combinazione delle precedenti voci Intestino e intolleranze alimentari • Nel 1998 a Londra il Dr Wakelfield ha descritto per la prima volta in pazienti pediatrici affetti da autismo una nuova malattia infiammatoria cronica intestinale, diversa dal Morbo di Crohn e dalla Rettocolite ulcerosa, denominata “enterocolite autistica”. Questa nuova sindrome è caratterizzata da 1) disturbi dell'alvo con stipsi o diarrea cronica e disturbi digestivi con dispepsia e sintomi di reflusso gastro- esofageo; 152 2) presenza di iperplasia nodulare follicolare dell'ileo terminale e del colon insieme ad una ileo-colilte cronica aspecifica; 3) disturbi comportamentali dello sviluppo di tipo autistico “regressivo”, caratterizzati cioè da una perdita o da un arresto dell'acquisizione di alcune funzioni relazionali, sociali e di comunicazione, quali la capacità di parola e di articolazione del linguaggio che si instaurano dopo un periodo di normale sviluppo di almeno 15/18 mesi di vita. • Di particolare importanza per l'identificazione di questa nuova patologia sono state le segnalazioni, da parte di genitori di bambini autistici e di alcuni pediatri, della correlazione tra l'inizio dei sintomi di tipo regressivo e l'esposizione al virus del morbillo o alla vaccinazione trivalente (MMR, Morbillo Rosolia Parotite). • Successivi studi hanno infatti dimostrato la presenza della proteina antigenica di superficie del virus del morbillo nelle cellule dentritiche del tessuto linfoide reattivo dell'intestino ileale nei bambini con autismo regressivo. • Inoltre grazie a tecniche molto sensibili e specifiche di biologia molecolare in situ, (TaqMan PCR Sistem, Perkin-Elmer) è stato possibile amplificare e sequenziare il gene dell'emoagglutinina (H) del virus del morbillo sia su biopsie intestinali che su sangue periferico e liquido cerebrospinale in un gruppo di pazienti con “autismo regressivo”. • È stato pertanto ipotizzato che in soggetti con “autismo regressivo” la persistenza “asintomatica” del virus del morbillo all'interno dell'intestino possa indurre direttamente o indirettamente: 1) uno stato immuno-soppressore cronica con il mantenimento nel tempo di una risposta immunitaria di tipo Elper2, peculiare solo dei primi anni di vita; 2) un quadro infiammatorio intestinale cronico caratterizzato da un’alterata permeabilità gastro-intestinale. Questa maggiore permeabilità permetterebbe non solo un aumentato ingresso nell'organismo di antigeni normalmente presenti nel lume intestinale (tossine batteri, alimenti ecc.), ma esporrebbe il sistema immune e la parete intestinale ad uno stimolo infiammatorio continuo. • Le sostanze denominate, caseomorfina e gliadomorfina sarebbero prodotte nell'intestino dalla digestione di alcuni cibi assunti con la dieta come il latte o la pasta e sarebbero in grado di esercitare un’azione simil-oppioide a livello cerebrale. Tuttavia questi peptidi sono normalmente presenti nell’intestino dei soggetti sani, ma non sono in grado, in condizioni normali, di raggiungere concentrazioni elevate a livello del sistema nervoso centrale. 153 • Per questo in condizioni particolari (autismo regressivo, encefalite epatica, celiachia, acidosi lattica ecc.) una loro “eccessiva” presenza a livello centrale sarebbe responsabili del quadro neurologico. In particolare nell’ “autismo regressivo”, l’eccessiva presenza di oppioidi a livello cerebrale causata dal maggior passaggio enterico dei peptidi per l’alterata permeabilità intestinale non neutralizzata dal filtro epatico che risulta essere ancora insufficiente in età pediatrica, potrebbe interagire direttamente o indirettamente a livello del sistema nervoso centrale. • Sebbene le basi fisiopatologiche dell’enterocolite autistica siano ancora oggetto di studio e di discussione, i dati preliminari fino ad ora ottenuti sulla ripresa di alcune funzioni socio-comportamentali di questi pazienti trattati con dieta senza glutine e caseina e/o con farmaci specifici (mesalazina o 5 -asa) sono molto incoraggianti, ma purtroppo non ancora uniformi, duraturi e sopratutto progressivi nel tempo. • Sono pertanto ancora necessari studi controllati su un numero maggiore di pazienti e per periodi più prolungati per confermarne non solo la validità delle terapie proposte nel lungo periodo, ma anche per meglio comprendere questa nuova patologia che coinvolge così inaspettatamente l’asse intestino-cervello. • Domanda: il disturbo gastroenterico segnalato dai vari autori fa parte di una caratteristica tipica dell’autismo o è presente nella popolazione generale così come nell’autismo? • È una delle cause oppure rappresenta una comorbidità? • Come si manifesta? Mente e corpo nell’autismo • In ambito medico la ricerca sta discutendo sull’evenienza che ci sia una correlazione molto stretta tra la salute dell’intestino e il buon funzionamento dell’encefalo, ipotizzando la presenza di un’enteropatia con assorbimento di sostanze anomale neuroattive o meccanismi più complessi che coinvolgono il sistema immune e la neuroregolazione. • Si evidenzia un’aumentata comorbidità tra DSA e disturbo gastroenterico. • Questi b. con m. infiammatoria GE possono rappresentare un sottogruppo fenotipico distinto all’interno dell’eterogeneo gruppo di soggetti che sono riuniti sotto i criteri comportamentali per l’autismo. 154 Sintomi gastrointestinali e autismo Alcuni recenti lavori interessanti una popolazione non selezionata di bambini autistici hanno evidenziato che sintomi gastrointestinali, quali: • • • • • • stipsi ostinata diarrea dolore distensione addominale meteorismo feci maleodoranti Sono significativamente più comuni rispetto alla popolazione generale (9-10%) e colpiscono dal 24 al 50% dei soggetti. Ad essi si aggiunge un’accentuazione dei sintomi comportamentali correlati a: • disturbi del sonno • disturbi del comportamento: aggressività accentuata, ansia, iperattività • disturbi dell’attenzione Oggi possiamo riconoscere la patologia GE come una comorbidità che disorganizza i comportamenti del bambino. • La persona con autismo riporta dei comportamenti reattivi differenti da altri soggetti verbalizzati e, pertanto, sono più accentuati rispetto alla norma. • L’assenza di verbalizzazione impedisce un loro diretto riconoscimento, quindi i sintomi presentati sono spesso interpretati come disturbi del comportamento “tipici” della S. Autistica e vengono curati frequentemente con neurolettici o con sedativi. • La cura dei disturbi gastroenterici migliora in tutti gli individui lo stato di benessere psicofisico. Nel b. A i miglioramenti sono facilmente riscontrabili in ambito clinico. Wakefield e colleghi (2000) • Melmed (2000) dimostra che i sintomi GE nei controlli sui soggetti sani sono il 10% e nei casi riportati con autismo sono il 46%. Questo suggerisce che mentre la percentuale tra i controlli rimane costante, i sintomi GE possono incorrere più frequentemente nei b. con DSA seguendo le diagnosi di disturbo dello sviluppo. • Taylor 2001 17% dei b. con DSA ha sintomi GE. • Molloy e colleghi (Autism 2003): il 24% dei b con DSA ha sintomi GE. 155 • D’Eufemia e coll. (1996) hanno riportato un aumento di permeabilità intestinale nel 43% dei pazienti con autismo e nessuna storia di sintomi cronici GE. Questi b. possono rappresentare un ulteriore sottogruppo. • Assorbimento di peptidi oppioidi (Cade 2000; Knivsberg 2001). • Crescita di batteri neurotossici (Sandler 2000). Permeabilità intestinale • Una sua alterazione favorisce: – il passaggio di molecole inusuali nel torrente circolatorio con il cervello quale possibile bersaglio; – l’instaurarsi di allergie e intolleranze alimentari numerosi riscontri nella letteratura in immunologia pediatrica. Alterazione della permeabilità intestinale • test al lattulosio: se il lattulosio è alto, la permeabilità della membrana cellulare è alterata; • parimenti, se nelle urine trovo quantità elevate di peptidi che normalmente non dovrebbero esserci, posso ipotizzare la presenza di un’alterazione della permeabilità intestinale. Tipi di peptidi urinari • peptidi oppioidi derivati dal glutine – glutine-morfina A1- A5 – C – B5 • peptidi oppioidi derivati dalla caseina – caseo-morfina 1-3, 1-4, 1-4 NH2, 1-7, 1-8 • altri peptidi oppioidi – peptide P1, P2 , HK1 , HK • peptidi che aumentano l’attività serotoninergica: – p-glu-trp-gly, p-glu-trp-gly NH2 • altri peptidi di probabile origine fungina : deltorfina, demorfina • molecola non psicolettica: indolil- acrilil-glicina IAG Caratteristiche dei peptidi urinari • la forma peptidica dell’acido detossificato INDOLIL ACRILICO, che si ipotizza derivi dal TRIPTOFANO malassorbito: IAG; 156 • peptidi esorfinici, come la CASEO-MORFINA e la GLUTINO-MORFINA, che si ipotizzano legarsi a siti recettoriali dei neuroni, cellule immunitarie (linfociti) ed alcune cellule della mucosa intestinale. Studio di una popolazione Abbiamo selezionato 50 soggetti, che erano stati sottoposti precedentemente o su nostro consiglio ad alcuni esami atti a valutare lo stato del sistema immunitario e del sistema gastroenterico: • rapporto M/F = 3,2 :1; • ai pazienti era stata formulata una diagnosi dopo valutazione clinica effettuata da un NPI e da una psicologa; • 46 con diagnosi Disturbo Autistico; • 4 con Disturbo dello Spettro Autistico; • anamnesticamente sono emersi dati, segnalati dai genitori, di perdita di acquisizioni precedentemente raggiunte in 46 pazienti, per i quali si introduceva la diagnosi di “Autismo regressivo”; • nei restanti 4 l’esordio era precoce (tra la nascita e i 6 mesi). Nel nostro studio, dall’analisi clinico-comportamentale, oltre ai disturbi nello sviluppo del linguaggio e della comunicazione, nell’interazione, nell’abilità imitativa e nella qualità dell’attenzione, per tutti i pazienti emergevano: • comportamenti aggressivi ed autolesivi; • irritabilità improvvisa ed inspiegata; • risveglio notturno; • presenza massiccia di comportamenti ripetitivi e stereotipati (anche nei 4 soggetti con DSA); • iperattività accentuate; • sintomi gastroenterici presenti al momento degli accertamenti: 24 soggetti (48%); • esordio dai primi 0 a 3 mesi di vita in 6 soggetti, con proseguimento per oltre 1 anno in 5 soggetti; • in 5 soggetti era presente un disturbo a livello cutaneo e in 1 soggetto rinite cronica; • per 44 soggetti fu eseguito un esame colturale delle feci con riscontro in 40 di CANDIDA Albicans (concludendo per una diagnosi di candidiasi); 157 • nei 40 campioni positivi per la candida 13 presentavano anche batteri patogeni e 7 parassiti; • in 15 campioni sono state misurate le IgA mucosali intestinali (aumentate in 3 e diminuite in 2) e i parametri intestinali infiammatori come il pH e il lisozima (positivi in 10 pazienti); • in 38 soggetti prelievo ematico per indagare la presenza di intolleranze alimentari IgG mediate: 17 positivi per uno o più alimenti; • in 10 soggetti prelievo ematico per RAST (IgE) alimenti-inalanti: 3 positivi, due per inalanti e 1 per latte (prevalenza simile alla popolazione pediatrica priva di malattie neurologiche). Significato degli esami e terapia • La positività nell’esame delle feci ha fatto consigliare l’introduzione di probiotici quali antagonisti naturali e terapie specifiche. • Per candidiasi (farmaco specifico antifungino: di prima scelta la NISTATINA in quanto sostanzialmente non assorbita dalla parete intestinale). • Veniva, inoltre sospeso per un periodo di tre mesi l’apporto alimentare di latte di origine animale e suoi derivati e ridotta l’assunzione di cibi contenenti lieviti o zuccheri aggiunti, in quanto terreno favorente la proliferazione delle micosi intestinali. • Per parassitosi o riscontro di batteri: terapia specifica. • Per il riscontro delle allergie per inalanti e alimenti Ig E mediate è stata eseguita profilassi ambientale (all.acari) e dietetica. • È stato effettuato invio al pediatra curante. • Per il riscontro di intolleranze alimentari è stato ridotto considerevolmente l’introito degli alimenti segnalati. Studio di una popolazione Ricerca dei peptidi urinari • 46 soggetti hanno effettuato l’esame inviando il campione d’urine presso l’Università di Sunderland (UK- Prof. Paul Shattock) e 40 sono risultati positivi per IAG e 5 con tracciato dubbio. • 12 hanno effettuato l’esame inviando il campione d’urina presso laboratori negli Stati Uniti o a Parigi e 8 sono risultati positivi per la glutine-morfina e 8 per la caseo-morfina. 158 • dei 50 soggetti della popolazione studiata nessuno era completamente privo di riscontro di peptidi nelle urine. Peptide urinario IAG • Paul Shattock e Paul Whiteley lo trovano frequentemente elevato nella popolazione degli autistici. • È, inoltre, possibile indice di: – formazione disordinata della serotonina – disbiosi intestinale o esposizione ai pesticidi – stress epatico; gli enzimi epatici possono essere elevati Studio di una popolazione • Sul riscontro di tale peptide si ipotizza, comunque, un’aumentata permeabilità intestinale con infiammazione della mucosa e stato di “non salute” intestinale. Sarebbero da indicare ulteriori esami sullo stato di salute del sistema gastroenterico (test lattulosio-mannitolo, esami di funzionalità epatica). • Da varie fonti viene suggerito un tentativo di dieta priva di glutine, soia e caseina al fine di ridurre la formazione di peptidi neurotossici. I genitori solitamente sono informati di tale ipotesi e se decidono per una dieta, li accompagnamo nel monitorare la salute del figlio in questo tentativo terapeutico • Nei 40 soggetti positivi per presenza di Candida albicans nelle feci, la terapia prima descritta ha portato in 33 casi alla reazione di die-off, (caratterizzata dall’aumento temporaneo dei comportamenti aggressivi e/o autolesivi,o dell’irritabilità con aumento di stereotipie e aumento di risvegli notturni. • E in due casi anche a comparsa di rash cutaneo temporaneo. Dopo qualche giorno (5-14) si evidenziava in ogni paziente una netta riduzione dei seguenti comportamenti o di almeno uno di essi: • • • • comportamenti aggressivi ed autolesivi irritabilità improvvisa ed inspiegata risveglio notturno presenza massiccia di comportamenti ripetitivi e stereotipati (anche nei 4 soggetti con DSA); 159 • nei restanti 10 soggetti 8 erano positivi per la IAG e 6 per la glutino-morfina e sono state consigliate diete prive di glutine e/o caseina; • nei soggetti che hanno seguito la dieta priva di caseina in pochi giorni si è riscontrato il medesimo effetto di riduzione dei quattro comportamenti segnalati sopra; • per i soggetti per i quali era consigliata una dieta priva di glutine non si sono evidenziati chiari cambiamenti comportamentali a breve tempo e forse lievi modificazioni verso il terzo mese. Per tale valutazione di efficacia clinica sono probabilmente necessari tempi d’osservazione maggiori; • in tutti pazienti sottoposti a terapia con probiotici o sintomatici si è normalizzata la funzione intestinale, la composizione delle feci, il dolore addominale diurno e notturno, il meteorismo, l’odore delle feci; • la ripresa occasionale o su iniziativa dei genitori della dieta libera, ha portato in tutti i casi ad un peggioramento delle condizioni cliniche comportamentali e GE, mentre il ripristino della terapia indicata ha riportato il benessere nel bambino. Mente e corpo nell’autismo: conclusioni Si può concludere che la comorbidità con patologie come: – disbiosi intestinali – parassistosi – intolleranze alimentari aggrava per aumento in frequenza e/o intensità la sintomatologia tipica dell’Autismo. • L’evidenza clinica di un anche modesto miglioramento, in tempi brevi (1-3 mesi), ci induce ad interrogarci sui meccanismi che sottendono i complessi sistemi gastroenterico, immunologico e neurologico e ci spingono a strutturare protocolli diagnostici che coinvolgono più apparati. • Ci spinge, inoltre, a trovare nuovi protocolli diagnostici e a proporre consolidate terapie mediche e farmacologiche. • Il benessere migliora le capacità del bambino, per cui occorre diagnosticare eventuali problematiche GE. • La cura dei disturbi GE migliora, quindi anche i problemi comportamentali dei bambini e i loro sintomi. • I disturbi GE sono una causa dell’Autismo (teoria degli oppioidi) o sono una comorbidità che peggiora la condizione autistica? 160 • Qual è il rapporto d.GE e Autismo? • La presenza di uno stato infiammatorio può favorire lo sviluppo di candida. • È una conseguenza del disturbo GE, oppure è un dato occasionale? • La sua cura porta a dei benefici indiretti sul comportamento interessando attenzione, iperattività, insonnia, aggressività e sui sintomi. 161 Autismo e logopedia: principi di terapia ed educazione al linguaggio e alla comunicazione Sara Isoli * Introduzione dell’Assessore Bianco Speranza Buongiorno a tutti da parte mia e del Presidente della Provincia di Bergamo Valerio Bettoni. Oggi si apre il secondo modulo del percorso formativo “Genitori ed autismo” con il quale diamo la possibilità a tutti coloro che non hanno potuto essere inseriti nel primo percorso di usufruire di una nuova fase di formazione. Le numerose richieste che ci sono pervenute dimostrano che il nostro impegno verso l’autismo risponde ad un bisogno fortemente sentito nel territorio. Non saremo in grado di affrontare in modo approfondito ogni questione sui nuovi orientamenti, ma contribuiremo, ne sono certo, ad aggiungere nuovi elementi e contributi alla nostra conoscenza dell’autismo e a far sì che ciò abbia ricadute importanti sulla qualità degli interventi sia presso gli Spazi Autismo e Spazio Famiglia, che nelle scuole, considerata la presenza di molti insegnanti di sostegno ed assistenti educatori. Vorrei aggiungere che l’impegno della Provincia di Bergamo per il sollievo non si limita solo alle persone con autismo, ma riguarda anche individui affetti da patologie diverse, in particolar modo malati psichici e soggetti con disabilità fisica, per il cui sollievo finanziamo progetti nei quattordici ambiti, per dare loro la possibilità di socializzare e vivere con i loro coetanei e, nel medesimo tempo, di aiutare le famiglie a riprendere fiato. Vi ringrazio per la vostra presenza e mi congratulo con la Dottoressa Sara Isoli, che ho avuto già il piacere di sentire a Verona. In questo convegno lei parlerà di logopedia. Credo che il dibattito che affronterà sarà molto interessante per tutti voi. * Logopedista presso il Centro Diagnosi, Cura e Ricerca per l’autismo - Ulss 20 di Verona 163 Intervento di Sara Isoli Buongiorno a tutti. Ringrazio innanzi tutto il Dottor Speranza e la Dottoressa Savoldi che mi hanno dato l’occasione di essere qui. È veramente un onore potervi trasmettere le mie conoscenze e le mie intuizioni sulla logopedia, nel trattamento del soggetto autistico. Sono una logopedista del Centro Autismo di Verona, centro pubblico che dipende dall’USSL 20, che esiste da circa una decina di anni. Lavoro all’interno di un’équipe composta da tre neuropsichiatri infantili, (voi avete conosciuto il Dottor Brighenti) due psicologi, tre logopedisti, quattro educatori, uno psicomotricista e una segretaria che tengo sempre a nominare, perché anche il lavoro amministrativo all’interno di un’équipe riabilitativa è fondamentale. L’attività che svolgiamo all’interno del nostro centro è per lo più di tipo riabilitativo. Seguiamo soggetti in età evolutiva dai due anni, fino all’età adulta. Svolgiamo attività diagnostica e di consulenza a specialisti che seguono bambini che non possono accedere al centro a causa della distanza, oltre a incontri di formazione sulla tematica dell’autismo, generalmente per genitori, insegnati e specialisti. Due parole, prima di entrare nel merito del mio campo, per farvi capire la nostra prospettiva di intervento, perché ovviamente qualsiasi attività pratica deriva da assunti teorici, dall’idea che abbiamo rispetto alla patologia autistica. Il nostro progetto si chiama S.I.F.Ne. (Sviluppo e Integrazione delle Funzioni Neuropsicologiche). Riteniamo che il disturbo autistico possa essere visto da una prospettiva neuropsicologica, il che significa ritenerlo la conseguenza di una disorganizzazione di varie funzioni neuropsicologiche (attentive, percettive, esecutive). Quello che mi interessa maggiormente è la disorganizzazione delle funzioni comunicative e interattive, cioè la difficoltà a porsi in relazione con altri soggetti, che è l’elemento più caratterizzante del disturbo autistico. Se un soggetto ha delle difficoltà a entrare in relazione con l’altro, è abbastanza probabile che incontri delle difficoltà anche nel comunicare e nel controllare l’emotività, in particolare per quel che riguarda l’ansia. La persona autistica, soprattutto di fronte ad una situazione di richiesta, fa fatica a gestire l’ansia da stress che tutti possiamo avere, ad esempio, di fronte ad un esame; fa fatica a controllare l’emotività, per cui spesso il tratto comportamentale è l’elemento che può andare ad alterare il normale svolgimento della quotidianità. Per quanto riguarda il linguaggio e la comunicazione, che sono gli ambiti dei quali mi occupo, assumiamo un’ottica funzionale, ovvero riteniamo che il soggetto autistico abbia un’alterazione nell’organizzazione e nel controllo dei processi neuro-psicologici che regolano le funzioni comunicative e linguistiche. Come vi dicevo all’inizio, ottiche diverse danno luogo a modalità di approccio diverse. Se noi consideriamo il soggetto autistico necessariamente un ritardato mentale, se partiamo dal presupposto che non possa avere ac164 cesso a processi di simbolizzazione o estrazione, non gli proporremo mai attività e stimoli che richiedano tale funzione cognitiva. Assumere un’ottica di tipo funzionale significa dare a questi soggetti il beneficio del dubbio. Affronteremo due grandi temi: la comunicazione ed il linguaggio, a sua volta diviso nelle aree della comprensione e della produzione. Partiamo da due definizioni di comunicazione. La prima afferma che la comunicazione non è riconducibile a schemi complessivi e riassuntivi uniformi. Tutto è comunicazione. La seconda, nota a chi fa studi di linguistica, definisce la comunicazione come tutto ciò che accade in presenza di almeno due persone. È impossibile non comunicare. Queste definizioni mi piacciono molto applicate al mondo autistico per svariati motivi. Innanzitutto perchè troppo spesso, a mio parere, si è ritenuto che il soggetto autistico non facesse le cose perché non ne aveva voglia. La nostra opinione è che il soggetto autistico non fa perché non riesce, il che significa che il suo isolamento è dovuto ad un’incapacità ad aprirsi al mondo, legata alla sfera interattiva. I due grandi capitoli della comunicazione sono il linguaggio e la comunicazione non verbale, fatta di mimica, sguardi, espressioni del viso, gesti, movimenti, distanze e posture. Mi capita molto spesso di avere bambini che imitano la mia voce, che ripetono quello che dico con il mio stesso tono. Questa distinzione è importante perché molti soggetti autistici non sono verbalizzati, cioè non riescono ad accedere al linguaggio verbale, che è il sistema di comunicazione maggiormente condiviso dalla nostra comunità per cui, anche in una prospettiva di integrazione, non possiamo non tenerne conto. Un altro aspetto da considerare è la nostra opinione secondo cui il linguaggio non è solo un sistema comunicativo, ma anche un modo per organizzare il pensiero. Approfondiremo il capitolo della comprensione del linguaggio che è composta dalle seguenti aree: conversazionale, morfo-sintattica, lessicale-semantica e fonetica-fonologica. La produzione invece funziona al contrario, cioè quando parliamo, anche se non ne siamo consapevoli perché lo facciamo in maniera automatica, prima organizziamo i suoni, poi le parole e le frasi, inserendole in un contesto di conversazione e di interazione con l’altro. Se la comunicazione è tutto ciò che accade in presenza di almeno due persone, quindi è interazione, a maggior ragione il soggetto autistico avrà disturbi di comunicazione visto che presenta disturbi di interazione. Analizzeremo nello specifico le diverse componenti della comunicazione. Trovare delle caratteristiche che definiscano la comunicazione in maniera uniforme è impossibile. Ho scelto quelle che sono maggiormente compromesse nel soggetto autistico: l’intenzionalità comunicativa, l’iniziativa comunicativa, la capacità di condivisione, la capacità di scambio, la mimica, il contatto oculare, l’uso dei gesti e la capacità di gestire i turni della conversazione. 165 Cos’è l’intenzionalità comunicativa? È la consapevolezza, non la volontà, di realizzare un atto comunicativo. Nel soggetto autistico è difficile valutare la consapevolezza di un atto comunicativo. Ad esempio se un bambino non mi guarda, lo fa perché consapevole del fatto che se non mi guarda mi sta comunicando qualcosa o perché per lui guardarmi è troppo difficile? Questo aspetto è fondamentale quando si lavora sul linguaggio perchè è importante non far acquisire frasi vuote ma, al contrario, farle usare con un fine comunicativo. Come si fa? Vi do degli spunti. Il modo migliore per stimolare l’intenzionalità comunicativa è utilizzare il contesto naturale. Come ho già detto è fondamentale la collaborazione con la scuola e la famiglia. Io insegno il linguaggio, ma le persone che lo fanno usare, sentire, vivere siete voi, perchè io posso anche insegnare al ragazzo a chiedere di andare in bagno come sequenza di suoni, ma diventa una cosa meccanica se non riesce a verbalizzare il suo bisogno. La prima cosa da fare è lavorare sui bisogni, sul contesto naturale, sulla quotidianità del soggetto. È anche possibile lavorare sull’intenzionalità comunicativa verbalizzando l’azione del soggetto autistico e le sue conseguenze. Questo significa che se penso che alcune volte mio figlio faccia delle cose senza rendersi conto di quale ripercussione hanno sul mondo, pensiamo alle manifestazioni di ansia, di etero o auto-aggressività, non faccio altro che dirglielo. Ad esempio pensiamo al ragazzo che è stanco di svolgere un’attività, ma la modalità che ha di comunicare questa stanchezza è prendere il braccio dell’insegnante e morderlo! In questi casi è presente, senza dubbio, una funzione comunicativa, ma non è efficace, perchè la reazione dell’insegnante sarà probabilmente di stizza o di fastidio. Parlare ai soggetti autistici funziona. Dire al bambino: “ascolta la prossima volta se sei stanco non mi mordere, troviamo insieme qualcos’altro, batti piuttosto con i piedi per terra, batti con le mani sul banco, al limite butta per terra la penna”. È chiaro che le cose vanno graduate in base alla situazione individuale. Credetemi parlare ai soggetti autistici serve: spesso non lo si fa proprio per il discorso che vi facevo all’inizio, perchè si crede che non capiscano, che non ascoltino. Io do sempre loro il beneficio del dubbio, nella peggiore delle ipotesi non passa nulla di ciò che ho detto, ma se c’è una sola minima speranza che possano comprendere, se non lo faccio ho sprecato una grande occasione. Cercherò anche di variare il contesto in base al comportamento manifestato. È importante comunicare quale significato ha per voi il gesto del bambino. Un altro punto importante è fornire, quanto più precocemente possibile, un sistema comunicativo. Far apprendere al soggetto autistico un sistema comunicativo di tipo gestuale è molto difficile, perché avendo un disturbo nelle funzioni esecutive fa molta fatica ad organizzare un gesto, soprattutto se di tipo comunicativo. Nel 2005 sono stati pubblicati alcuni articoli che hanno mostrano la forte correlazione esistente tra funzioni esecutive e linguaggio. 166 Un altro aspetto è l’iniziativa comunicativa. È molto difficile che i soggetti con autismo prendano l’iniziativa per comunicare qualcosa, lo fanno più facilmente quando si trovano in condizioni di bisogno, nel senso che è più facile che vi dicano quando devono andare in bagno, piuttosto che il loro stato d’animo. È raro che abbiano iniziative comunicative o, se sono presenti, sono inferiori al loro livello di verbalizzazione, nel senso che, anche se un bambino riesce ad articolare qualche parola, quando ha bisogno di qualcosa di solito prende la mano dell’adulto e la porta verso l’oggetto che vuole. L’iniziativa comunicativa può essere indotta creando delle routine con le quali innescare comportamenti anticipatori. Ad esempio per abituare un bambino a fare un gioco a turni posso usare le bolle. Creo delle routine per poi interromperle e per vedere se nel bambino si attivano comportamenti anticipatori. Mi rendo conto che è difficile perchè spesso l’interpretazione di quelli che possono essere degli abbozzi di comunicazione non è sempre univoca. Partendo dal presupposto che ogni cosa è comunicazione, cercate di interpretare il meno possibile, ma di farvi dire cosa vuole. Ciò serve a rinforzare l’iniziativa comunicativa, perchè se il bambino vede che io avvallo le sue manifestazioni è chiaro che le rinforzerà. È chiaro che quanto più un sistema comunicativo è spendibile tanto più invoglierà il soggetto a costruire degli atti comunicativi. La condivisione e lo scambio sono due momenti propedeutici a qualsiasi tipo di attività con i soggetti autistici. Mi riferisco in particolar modo agli insegnanti, ma senza dubbio anche ai genitori. A volte siamo noi operatori ad avere l’ansia da prestazione. Ho incontrato situazioni critiche, ho fatto errori e probabilmente ne farò ancora, mi sono trovata a dover riflettere su tutto quello che deve venire prima della richiesta diretta di prestazione. Il rischio è che se si insiste troppo e si fanno scattare momenti di intensa ansia e opposizione, poi non si recupera più la relazione e l’interazione. Come fare? Innanzitutto si fanno dei passaggi graduali, si lavora sulla condivisione e sullo scambio. Questi passaggi vanno seguiti in maniera gerarchica. Ad esempio prima chiederete al soggetto di stare insieme nella stessa stanza. Se è una classe di molti bambini, girare per la classe è già un buon risultato, perchè sta condividendo uno spazio con altre persone in pochi metri quadrati. Successivamente chiederete al bambino di venirsi a sedere vicino a voi. Quando anche questo passaggio è stato raggiunto gli chiederete di usare lo stesso materiale; questo non vuol dire né fare richieste, né scambiare, vuol dire usare lo stesso materiale, ma facendo cose diverse. Il passaggio successivo è più complesso perché implica un livello di interazione più forte del precedente. Se ad esempio il bambino sta facendo il treno con le costruzioni, cominciate a passargli i pezzi senza dire niente, dopodichè cercate di indurlo a cercarvi. Ad un certo punto non passate più le costruzioni. Il bambino è costretto a girasi verso di voi e, a questo punto, potete provare a fare delle richieste. È chiaro che anche in questo caso esistono differenti livelli. È importante che nel frattempo abbiate cercato di capire quali 167 possono essere le abilità e capacità del bambino in modo da fargli richieste semplici cui è in grado di rispondere. Un altro aspetto della comunicazione è la mimica, cioè la capacità di realizzare atti comunicativi con il viso. Questo è un capitolo piuttosto delicato nel soggetto autistico, non facile da affrontare, da valutare e da riabilitare. Ritengo che, in un certo numero di casi, sia applicabile la teoria della mente, cioè l’ipotesi che questi bambini facciano fatica ad assumere il punto di vista dell’altro e quindi a modificare il proprio comportamento non verbale in base alla persona che hanno di fronte. Per l’interiorizzazione e la comprensione delle emozioni, è necessario che il bambino si metta nei panni dell’altro. Come lavorare sulla mimica? Solitamente prima lavoro sulla comprensione e poi sulla produzione. È inutile che chieda al bambino di esprimermi con il viso che è triste, se non riesce a decodificare nell’altro l’espressione di tristezza. Per cui lavoro sull’enfatizzazione delle situazioni. “Marco mi hai dato un morso, non sono per niente felice, anzi sono triste, sono proprio triste”, andando a lavorare sulle indicazioni di immagini che gli metto davanti. Partirò dalle espressioni del viso più marcate del tipo felice-triste, arrabbiato-spaventato, anche perchè sono le situazioni più spendibili nella realtà. Il passaggio successivo è mostrare al bambino queste figure e chiedere quale emozione è indicata. Poi lavorerò sul bambino stesso chiedendo di farmi una faccia triste, felice, ecc. Capite anche voi che questo livello è molto meccanico, perciò anche in questo caso cerco di lavorare su situazioni reali, coinvolgendo gli insegnanti, i genitori e chiedendo loro che nei momenti di vita vera comunichino al bambino come si sentono e gli chiedano come si sente. La drammatizzazione ed il role play sono delle tecniche che a volte uso in seduta, soprattutto laddove manca la collaborazione. Con la drammatizzazione utilizzo dei pupazzetti per creare delle situazioni, con il role play mimiamo delle situazioni. Per quanto possibile cerco di lavorare in gruppo. Come lavorare sul contatto oculare? La verbalizzazione funziona come richiamo attentivo. A volte mi tolgo gli occhiali, che porto sempre, per introdurre una variante che attivi maggiormente l’attenzione. Scelgo attività che favoriscono l’orientamento dello sguardo verso il terapista, ad esempio le bolle di sapone o le canzoni mimate. Cerco di assumere delle postazioni che inducano il contatto oculare, tenendo conto che a volte hanno delle controindicazioni, nel senso che lavorare di fronte implica un grado di interazione che non sempre è accettato dal soggetto autistico. Mi metto semi frontale, ad angolo o uso uno specchio a leggio, che consente al bambino di focalizzare l’attenzione. Il gesto dell’indicazione, a mio avviso, ha un buon rapporto costo-benefici, nel senso che riabilitare il gesto dell’indicazione è relativamente semplice e consente di aprire una gamma di possibilità comunicative enormi. Perchè indicare e non prendere? Perché l’indicazione 168 mi può, ad esempio, permettere di lavorare sulle immagini. È uno degli elementi comunicativi, insieme allo sguardo, su cui puntiamo subito, perché apre molte possibilità. Come fare? Non è facile, ma qualche spunto penso di potervelo dare. Ad esempio decidiamo di mettere l’acqua in un punto in cui il bambino non riesce a prenderla da solo, ma sia costretto a cercarci. Di solito questi bambini sviluppano livelli di autonomia molto alta, per cui se non vengono create le condizioni di bisogno sembra che non si manifestino nemmeno. È possibile anche utilizzare le potenzialità riabilitative della comunicazione facilitata. Non mi dilungherò molto su questo argomento, però voglio far passare l’idea che la comunicazione facilitata non è solo scrittura alla tastiera; serve anche per riabilitare un gesto, lavorando anche solo sulle immagini. L’ultimo aspetto che tratteremo riguarda i turni conversazionali. Il soggetto autistico a volte è troppo passivo, cioè non prende il turno quando dovrebbe, soprattutto se ci sono tante stereotipie verbali. Come fare per questo aspetto? Innanzi tutto si deve sempre partire dall’ingresso: insegno che la comunicazione si svolge a turni, fornendo anche delle facilitazioni. Spesso mi viene chiesto come gestire le stereotipie verbali. Non esiste una tecnica per farle diminuire; l’importante è non fomentarle. Lasciate perdere perché ogni vostra attenzione alle stereotipie è un rinforzo. “Spesso a Spazio Famiglia ci sono bambini che continuano a ripetere la parola papà. A volte diciamo che viene dopo il lavoro. Come dobbiamo comportarci”? Sara Isoli Bisogna saper distinguere quando è il momento del bisogno, cioè quando il ragazzo è stanco e verbalizza con papà la voglia di andarsene o quando invece è una stereotipia. Se vedete che il bambino sta male, che non è contento, è chiaro che esprime un intento comunicativo. Moderatore Mentre facciamo partire il video, vorrei dire due parole su questo corso, che si intitola “Genitori e Autismo”. Il titolo non è assolutamente un caso, perchè è nato da una serie di richieste da parte dei genitori che io incontro a Spazio Famiglia. Per gli operatori la Provincia ha già realizzato molti momenti formativi, i genitori li abbiamo visti un pochino di meno e ci hanno appunto fatto presente che una delle loro gravi necessità è proprio quella di intervenire sulla comunicazione; per questo abbiamo previsto all’interno dell’attuale percorso formativo due incontri, uno con Sara Isoli oggi, l’altro con Gina Forlani e Liliana Pensa nelle prossime settimane. 169 Quindi, tutto quello che voi vedrete durante questo percorso non è frutto di una scelta nostra, ma è proprio nato da una necessità, da una serie di richieste che abbiamo recepito dalle famiglie. L’INTERVENTO CHE SEGUE È INTEGRATO DA UN VIDEO Nel video vedete Michele, un bambino di cinque anni e mezzo che non ascolta, ma con delle buone funzioni esecutive. Faccio moltissima fatica a fare in modo che risponda alle mie richieste, che non sono legate alla prestazione, ma all’ascolto di quanto gli dico. Gli metto davanti degli animali e gli chiedo di passarmeli. Vedete che lui si sta “parlando addosso” e non mi guarda mai. Gli prendo la mano in modo da fornirgli un modello, perchè può anche darsi che non sappia come fare. Provo a vedere se con la canzone riesco ad “agganciarlo”, se riesco a interagire con lui. Accendo il computer, Michele sente il rumore del computer e mi si avvicina. Vedete però che non mi ascolta, anzi continua a giocare con gli animali, li mette in fila. Questa è una sua stereotipia. Alla richiesta di portare il coccodrillo, per sentire la sua canzone, mi porta tutta la scatola. Quando inizia la musica non riesce a gestire tutte le informazioni. Ho provato ad interrompere la musica, ma non ha mostrato nessun segno di interazione nei miei confronti. Siamo nella stessa stanza, riusciamo a condividere anche il piano di lavoro, ma non lo stesso materiale, dal momento che non accetta alcuna interferenza da parte mia. Dal punto di vista degli apprendimenti è bravissimo: conta, fa le addizioni, ha cominciato a leggere e a scrivere. L’aspetto dell’interazione è invece il più difficoltoso. A questo punto faccio un recinto da sola per vedere se riesco a stimolare in lui una qualche forma di imitazione. Prova a prendere i miei animali, ma non è una forma di interazione, lì prende solo perché sono più vicini. Ho nascosto appositamente la borsa degli animali in modo che me li chiedesse. Anche Michele inizia a costruire un recinto. A questo punto però ho fatto un errore: avrei dovuto cogliere la sua iniziativa di venire nel mio recinto a prendere gli animali, invece ho insistito troppo e abbiamo sospeso l’attività. La comprensione, invece, è la parte di ingresso che viene prima della produzione, per cui qualsiasi verbalizzazione intendiate stimolare in vostro figlio lavorate prima sull’ingresso. Non posso chiedere ad un bambino di dirmi che quella è una bottiglia se non sa che quella è una bottiglia e che si chiama in quel modo. La comprensione è un capitolo delicato nel soggetto autistico. A volte si confonde la comprensione con l’attenzione uditiva e con le capacità di percezione uditiva. Ci sono anche dei problemi nell’output. Cosa vuol dire? Molto spesso la comprensione viene valutata in base a quello che uno fa, cioè all’output, all’uscita, anche perchè è molto difficile fare al170 trimenti. Nel soggetto autistico le modalità di uscita a volte sono alterate, per cui quello che si scambia per non comprensione della parola “bottiglia”, è in realtà un disturbo nelle funzioni esecutive, tale per cui non il soggetto riesce ad allungare la mano per prendere la bottiglia, dal momento che non riesce ad organizzare un programma motorio che gli consenta di compiere queste azioni. Le componenti attentive maggiormente compromesse sono l’attenzione condivisa (la capacità di stare attenti mentre si fa qualcosa insieme) e l’attenzione selettiva (la capacità di isolare lo stimolo rilevante all’interno di una serie di altri stimoli). Questo può avvenire in classe, per cui il soggetto autistico fa fatica a isolare la voce dell’insegnante perchè c’è il vicino che parla o l’autobus che passa fuori, ma è altrettanto vero a casa, per cui il bambino presta più attenzione alla lavatrice, piuttosto che alla mamma che parla. Hanno anche difficoltà nell’attenzione sostenuta, cioè nella capacità di mantenere l’attenzione per un certo periodo di tempo. Dobbiamo cercare di allungare i tempi di attenzione senza aumentare la complessità cognitiva, perchè nei soggetti con autismo è fondamentale lavorare su un obiettivo alla volta. Dal momento che hanno un deficit di attenzione selettiva eviterò che sul tavolo di lavoro ci siano molte cose; libero il campo. Per quanto riguarda l’esecuzione di ordini è preferibile che i comandi siano chiari e semplici. Ci sono soggetti autistici che hanno difficoltà nell’iniziare una sequenza motoria, per cui possono essere utili facilitazioni quali un colpetto sulla gamba o sul braccio o frammentare la consegna. Se voglio far compiere al bambino un’azione complessa, ad esempio aprire la bottiglia e versare l’acqua nel bicchiere, non darò un'unica consegna ma descriverò un’azione alla volta: vai al tavolo, apri la bottiglia, svita il tappo, inclinala, versa l’acqua nel bicchiere. Ora vi faccio vedere un video che riguarda l’indicazione. L’INTERVENTO CHE SEGUE È INTEGRATO DA UN VIDEO Vedete che difficoltà ha questo ragazzino ad isolare il dito. Devo scomporre il lavoro in tante parti, perché tante sono le variabili che intervengono. Molto spesso chi ha un disturbo delle funzioni esecutive, chi ha stereotipie nelle mani e fa fatica ad indicare, ha anche un contatto oculo-manuale praticamente assente. Un lavoro che stiamo facendo è cercare di coordinare dito e occhio, ma con Salvatore devo procedere per gradi, dal momento che manifesta delle crisi auto-aggressive molto forti. Non ci sono regole fisse. Vi posso dare degli spunti, ma poi ogni elemento dev’essere fortemente individualizzato. La produzione è la parte di uscita, cioè la verbalizzazione fatta con la voce. È incredibile 171 quanto da questo punto di vista gli autistici siano diversi: ho Salvatore che non dice una parola, che vocalizza solo, ho Giacomo che non sta zitto un secondo; tra questi estremi ci sono una serie di quadri intermedi. Noi per comodità terapeutica abbiamo cercato di dividere i disturbi in aree linguistiche. Tenete conto che non sono mai dei quadri puri. La grande distinzione è fatta tra presenza o assenza di verbalizzazione. Salvatore, ad esempio, è un bambino che non parla, che considero con assenza di verbalizzazione. In questi soggetti si ritrova molto spesso un disturbo di tipo prassico, cioè una difficoltà a muovere la bocca, la lingua, le labbra soprattutto su richiesta verbale. Per ogni quadro ho identificato degli obiettivi di massima per darvi alcune indicazioni pratiche. In alcuni soggetti è necessario ampliare le iniziative comunicative. Generalmente sono soggetti non verbalizzati con modalità comunicative piuttosto rudimentali, per cui è necessario ampliarle e modificarle verso modalità più evolute. Proprio perché hanno un disturbo molto forte in tutta l’area interattiva, vengono meno anche alcune componenti della comunicazione. Lavorerò ovviamente su tutto quello che è il potenziale. È molto importante riuscire a stimolare in loro la consapevolezza non solo dell’esistenza, ma anche del range di possibilità che le varie strutture danno loro. Il quadro successivo entra nell’area della verbalizzazione che è il livello fonetico-fonologico. Un disturbo fonetico-fonologico si caratterizza per il fatto che il soggetto autistico non sa come organizzare i suoni nella parola, alcune volte è carente anche il livello precedente, ovvero l’inventario dei suoni (fonetico) non è completo. Troviamo spesso dei disturbi di selezione nei soggetti autistici che si manifestano a vari livelli: nei suoni, nella selezione delle parole, nella selezione e organizzazione della frase. Un'altra caratteristica tipica dei soggetti che hanno questo tipo di disturbo è quella che viene detto in clinica “conduites d’approche”. Ad esempio un bambino per riuscire a dire bottiglia deve continuare a “balbettare” ripetendo la prima sillaba, dal momento che fa fatica a organizzare tutto quello che viene dopo. Gli obiettivi che ci poniamo per primi sono un miglioramento delle capacità di articolazione e di co-articolazione. Spesso nei soggetti che hanno un disturbo fonologico in uscita lavoriamo molto anche in entrata. Ad esempio se un bambino confonde il suono “p” con la “b nel parlare, lavorerò perché comprenda che sono suoni simili, vengono articolati nella stessa identica maniera; si differenziano solo per il fatto che uno è sonoro e l’altro è sordo, cioè uno implica la vibrazione delle corde vocali e l’altro no. Tuttavia possono veicolare significati completamente diversi. Lavorerò proprio per raggiungere quella che viene detta “consapevolezza fonologica”, cioè la capacità di maneggiare i suoni nella maniera più creativa e più consapevole possibile. Da questo livello al successivo, usiamo moltissimo la letto-scrittura, con un avvio anche precoce. 172 Questo non vuol dire che non si debba lavorare sul canale uditivo, ma che se ci servono degli aiuti, possiamo trovarli in tutto quello che sfrutta il canale visivo. Per cui se devo lavorare sul fatto che il bambino distingua le parole “pere” e “bere”, è utile che il bambino sappia scrivere le lettere “p” e “b”. Il quadro successivo si rifà al livello della parola. Noi parliamo di disturbo a livello lessicale e semantico. Vi spiego: un disturbo a livello semantico implica la mancanza di conoscenza di una parola; nel disturbo lessicale, che è presente in maniera peculiare nel soggetto autistico, si trova una discrepanza tra le parole conosciute e le parole che riesce ad esprimere. Possono avere un vocabolario interno molto ricco, ma un vocabolario espressivo molto povero, con errori tipici. Per questo parliamo di disturbo lessicale. L’errore che fa il soggetto autistico non è casuale: di fronte alla matita mi dice penna, di fronte al dentifricio mi dice spazzolino. Sono tutte parole che appartengono alla stessa classe semantica. Questo suggerisce l’idea che riescano ad individuare la categoria semantica, probabilmente hanno in testa la parola giusta, ma ci sono delle interferenze. L’obiettivo per questo tipo di quadro è inizialmente un potenziamento della memoria di lavoro. È una memoria di tipo procedurale che permette di aumentare l’effetto frequenza. Un altro obiettivo è il miglioramento nell’accesso al lessico, cioè si cerca di aumentare la possibilità che il soggetto dica le parole giuste. Sappiamo infatti che il soggetto autistico, di fronte a frequenti frustrazioni, abbandona l’attività. Lavoro molto con il sostegno della facilitazione: ad esempio se sto facendo denominare le parole, fornisco al bambino un aiuto fonologico, in modo da non farlo sbagliare. La mia evoluzione in questo caso, non sarà data tanto dal numero di parole che denomino, che probabilmente rimarranno sempre le stesse, ma dal cambiamento nell’aiuto che gli do. Ad esempio oggi denominiamo dieci parole, otto delle quali con l’aiuto della prima sillaba; domani denominiamo sempre dieci parole, delle quali due da solo, tre con il primo fonema, le restanti cinque con la prima sillaba. La velocizzazione è importante perchè la processazione del pensiero in linguaggio è molto rapida, per cui non devo fare solo in modo che il mio soggetto denomini correttamente, ma anche rapidamente. È chiaro che non posso lavorare sui due livelli contemporaneamente, altrimenti aumenta l’ansia. Anche in questo caso lavoriamo molto sulla letto-scrittura proprio per la prevalenza del canale visivo su quello verbale. Un altro tipo di aiuto che potete utilizzare, se il soggetto legge ad alta voce, è scrivere la parola, la prima iniziale o l’iniziale della prima sillaba. L’altro quadro riguarda il disturbo morfo-sintattico, ovvero le difficoltà nell’organizzazione della frase ed degli aspetti grammaticali. Per quanto riguarda questi ultimi gli errori più frequenti sono sostituzioni di genere (maschile/femminile), di numero (singolare/plurale) e nella coniugazione dei verbi, che solitamente sono usati all’infinito. Per quanto riguarda la struttura frasale, invece, abbiamo delle frasi che sono spesso povere, costituite da soggetto e verbo o verbo e oggetto, in cui l’elemento più forte è la man173 canza di creatività. Anche in questo caso svolgiamo un lavoro in ingresso. Da alcune ricerche sembra che i soggetti autistici prestino poca attenzione alle parole prive di significato. Tali parole sono proprio gli elementi grammaticali (articoli, congiunzioni, proposizioni, ecc), per cui farò in modo che vadano ad indicare la figura corrispondente prestando attenzione a quelle che sono le parole prive di significato. Cercherò di espandere la frase, anche in questo caso uso molto il rinforzo visivo, per esempio usando i blocchi logici. Sono delle figurine (cerchio rosso, rettangolo rosso, triangolo giallo, ecc) cui scelgo, in maniera del tutto arbitraria, di far corrispondere gli articoli, i verbi, i sostantivi. Avere questi sostegni visivi aiuta in maniera incredibile i ragazzi a recuperare la struttura della frase. L’uso di strategie visive è molto utile, ma sempre con le dovute precauzioni, nel senso vanno usate con l’intento di toglierle al più presto, dal momento che limitano la creatività. Dobbiamo lavorare anche sulla sequenza di eventi, non solo sulle frasi singole e, anche in questo caso, introdurre la letto-scrittura. L’ultimo quadro riguarda il disturbo dell’area conversazionale. Sono soggetti che parlano bene dal punto di vista formale, coniugano i verbi e le frasi, ma mancano di coerenza verbale. Gli obiettivi per questo tipo di quadro sono due: l’aumento della coerenza verbale, con la diminuzione delle stereotipie verbali, e il lavoro sulle regole sociali della comunicazione. Sono soggetti che parlano benissimo, che eseguono senza difficoltà esercizi di produzione verbale, ma quando si trovano a dover conversare non riescono a mantenere l’argomento. L’INTERVENTO CHE SEGUE È INTEGRATO DA UN VIDEO Volevo lasciarvi con una frase che non è mia, ma che è molto più utile di tutto quello che ho detto oggi. È di una ragazza autistica che ha scritto un libro: “nessuno si rendeva conto che non potevo far uscire le parole così come si trovavano nella mia mente”. Grazie a tutti. “Quante sedute vengono fatte durante la settimana”? Sara Isoli Facciamo poche sedute a settimana; essendo un servizio pubblico cerchiamo di dare risposta a quanta più utenza possibile. Facciamo una media di due sedute alla settimana, però tenga conto che non lavoro da sola. Nessuno dei bambini con cui lavoro fa solo logopedia, fanno tutti anche terapia educativa o psicomotoria, per cui sono quattro sedute alla settimana. La generalizzazione degli apprendimenti è una delle parti più difficili. In174 segnare il linguaggio e le parole è relativamente facile; l’esportazione è la parte più complessa. Per questo sono molto felice quando vado a parlare agli insegnati ed ai genitori, perchè l’autismo non è un disturbo semplice di linguaggio, ma un insieme di fattori disarmonici su cui bisogna lavorare in molti e nel contesto reale. Non credo nella divisione dei ruoli in questa patologia. Ci sono dei nuclei di specificità. Io lavoro molto sul linguaggio e sulle funzioni esecutive con finalità comunicative; lo psicomotricista lavora sulla capacità di gestione dell’intero corpo; l’educatore lavora molto sul gioco e sulla sua evoluzione. Moderatore Ecco, per chiudere, volevo far presente che una modalità abbastanza simile viene utilizzata anche nei vari Spazi Autismo, nell’integrazione con le scuole, con la famiglia e con SpazioFamiglia, proprio perchè il rinforzo di questi apprendimenti deve essere continuo. È inutile fare un intervento di trenta incontri di logopedia, piuttosto che di psicomotricità, se poi questi interventi non vengono portati nella vita quotidiana, ed è proprio il presupposto su cui si basa anche il lavoro di Verona. Questa attività in rete è l’unica possibilità per poter ottenere risultati e per fare in modo che questi siano poi costanti nel tempo, perché il rischio, altrimenti, è proprio quello di perdere i benefici. Sara Isoli Lo scorso week-end sono stata a Vacone, in provincia di Rieti presso una Casa Famiglia di adulti autistici, che ci ha chiesto una consulenza. Ho trovato situazioni in cui si erano raggiunti dei buoni livelli a venti anni, dopodichè perdendo ogni stimolazione alcuni aspetti erano regrediti. Ho pazienti dai due anni e mezzo ai venti anni, lavoro quindi anche al di fuori della fascia prettamente evolutiva. È chiaro che non si pensa di fare logopedia per sempre, ma si lavora con l’obiettivo di trasmettere ai genitori, alla scuola, alle strutture che accolgono i ragazzi indicazioni operative efficaci. 175 Riportiamo di seguito le slides proiettate da Sara Isoli durante gli incontri COMUNICAZIONE “In genere si parla di comunicazione pensando, o facendo finta di credere, che questa sia un fenomeno fondamentalmente unitario, o riconducibile a schemi complessivi e riassuntivi uniformi” (Zijno, 1999). “La COMUNICAZIONE è tutto ciò che accade in presenza di almeno due persone. Non si può non comunicare” (Watzlavick, Beavin, Jackson - Scuola di Palo Alto - 1967). COMUNICAZIONE NON VERBALE gesti mimica movimenti, distanze e posture del corpo 176 tono e prosodia COMUNICAZIONE VERBALE linguaggio LINGUAGGIO (verbale) ➢ è un sistema di comunicazione; ➢ è il sistema di comunicazione più utilizzato dall’uomo, perché è il più potente, efficace ed economico; ➢ non assolve alla sola funzione comunicativa, ma è anche una facoltà mentale capace di codificare il pensiero. LINGUAGGIO PRODUZIONE Area fonetica-fonologica Area lessicale-semantica Area morfo-sintattica Area conversazionale COMPRENSIONE 177 COMUNICAZIONE “La COMUNICAZIONE è tutto ciò che accade in presenza di almeno due persone. Non si può non comunicare” (Watzlavick, Beavin, Jackson - Scuola di Palo Alto - 1967). È interazione, esiste solo in presenza di almeno 2 persone che si relazionano tra loro. Il soggetto autistico avrà sempre difficoltà di comunicazione, perché sempre manterrà difficoltà di interazione. In particolare nelle componenti di: • intenzionalità comunicativa • iniziativa comunicativa • condivisione • scambio • mimica • contatto oculare • uso dei gesti • turni conversazionali Intenzionalità comunicativa Si riferisce alla consapevolezza (non alla volontà) di realizzare un atto comunicativo, nel momento in cui viene espresso. Come? • sfruttando il contesto naturale; • verbalizzando l’azione e le sue conseguenze; • variando il contesto in base al comportamento manifestato; • fornendo al soggetto al più presto un sistema comunicativo sufficientemente efficace e di rapida implementazione (es: CF, CAA, gestuale). 178 Iniziativa comunicativa Si riferisce alla capacità di iniziare, di intraprendere un atto comunicativo, abbandonando una posizione responsiva a favore di quella assertiva. Come? • creando routines con le quali innescare comportamenti anticipatori; • cogliendone anche solo abbozzi; • facendo evolvere sistemi presenti ma poco efficaci; • fornendo al soggetto al più presto un sistema comunicativo sufficientemente efficace e di rapida implementazione (es: CF, CAA, gestuale). Condivisione Si riferisce alla capacità di accettare di avere qualcosa in comune con qualcun altro. Come? Effettuando passaggi graduali: • stare insieme nella stessa stanza • stare vicini • usare lo stesso materiale Scambio Si riferisce alla capacità di prendere dall’altro ma anche di dare, in un sistema a feed-back che si influenza continuamente. Come? Effettuando passaggi graduali: • accettare le intromissioni dell’altro • ricercare l’altro • accettare le richieste dell’altro 179 Mimica Si riferisce alla capacità di realizzare atti comunicativi mediante l’espressione facciale. Come? • inizialmente lavorando in ingresso, sulla comprensione e sulla consapevolezza degli stati emotivi: ➢ enfatizzazione di situazioni ➢ indicazione di immagini ➢ verbalizzazione e spiegazione • quindi lavorando sull’espressione degli stati emotivi: ➢ descrizione di volti ➢ dramatizzazione ➢ role-play Contatto oculare Si riferisce alla capacità di guardare l’interlocutore negli occhi durante la realizzazione dell’atto comunicativo. Come? • richiesta verbale diretta • associazione ad un gesto • attività che favoriscano l’orientamento dello sguardo verso il viso del terapista • preferendo postazioni frontali o semi-frontali e/o l’uso di uno specchio Gesti Si riferisce alla capacità di utilizzare sistemi comunicativi gestuali, anche in alternativa al linguaggio verbale. Cosa? Gesti deittici = esprimono l’intenzione dell’emittente, ma il referente dipende dal contesto. Sono: • indicare • mostrare • richiedere Usati con funzione di richiesta o di dichiarazione 180 Indicazione Si riferisce alla capacità di utilizzare come sistema comunicativo gestuale il dito indice isolato e puntato verso qualcosa. Come? • facendo evolvere modalità comunicative meno fini (es: prendere e portare) • sfruttando situazioni di bisogno o di alta motivazione • imitazione • utilizzando le possibilità riabilitative della Comunicazione Facilitata Turni conversazionali Si riferisce alla capacità di rispettare l’alternanza comunicativa tra gli interlocutori, sia come presa di turno che come cessione. Come? • portando alla consapevolezza il soggetto della loro esistenza • inibendo eventuali stereotipie verbali • utilizzando giochi che prevedano turni • verbalizzando il momento o sfruttando altre strategie di facilitazione Tutti questi elementi sono senza dubbio propedeutici alla riuscita di una buona comunicazione, soprattutto verbale. Tuttavia, essi devono essere tenuti costantemente in considerazione durante tutta la riabilitazione, qualsiasi sia l’aspetto da modificare. COMPRENSIONE Processo mediante il quale il ricevente è in grado di capire quanto viene detto dall’emittente. Richiede innanzitutto che siano integre le capacità: • attentive • percettive dell’eloquio Vanno accuratamente scelte le modalità con cui valutarla, ovvero le modalità di output richieste. 181 CAPACITÀ ATTENTIVE Cosa? • condivisa • selettiva • sostenuta Come? • impegnando il soggetto in compiti condivisi per tempi sempre più lunghi, eventualmente partendo da attività di suo interesse; • inizialmente “liberando il campo” per poi introdurre gradualmente stimoli disturbanti, durante attività consolidate; • aumentando gradualmente i tempi di lavoro, mantenendo stabile la complessità. CAPACITÀ PERCETTIVE DELL’ELOQUIO Cosa? • detezione • discriminazione • identificazione • riconoscimento • comprensione Come? Ripercorrendo le tappe sopra-elencate, in particolar modo le prime due, attraverso attività specifiche. MODALITÀ DI OUTPUT RICHIESTE Cosa? • verbalizzazione • esecuzione di ordini • indicazione assenza di linguaggio o linguaggio incoerente disturbo delle funzioni esecutive disturbo di orientamento del gesto Come? Utilizzo di strategie di facilitazione! • verbalizzazione: aiuto fonologico aiuto lessicale aiuto semantico 182 • esecuzione di ordini: comando chiaro e semplice tocco frammentazione della consegna • indicazione: ambiente pulito richiamo al compito Comunicazione Facilitata PRODUZIONE Processo mediante il quale il soggetto costruisce un eloquio e lo emette mediante il canale uditivo-verbale. La patologia autistica è caratterizzata da un’enorme variabilità di quadri di produzione verbale. Si può osservare il soggetto che non parla, emette solo vocalizzi, così come quello che parla molto, quasi troppo, che non riesce ad essere pertinente né adeguato. Tra questi, numerosi quadri intermedi. Identificazione di differenti aree linguistiche: • ASSENZA DI VERBALIZZAZIONE • VERBALIZZAZIONE ➜ area fonetica-fonologica area lessicale-semantica area morfo-sintattica area conversazionale che permettano l’identificazione dei disturbi riscontrabili. Ogni disturbo va inteso come componente valutabile clinicamente e prevalente all’interno del disturbo comunicativo. • ASSENZA DI VERBALIZZAZIONE • VERBALIZZAZIONE ➜ disturbo area fonetica-fonologica disturbo area lessicale-semantica disturbo area morfo-sintattica disturbo area conversazionale 183 ASSENZA DI VERBALIZZAZIONE CARATTERISTICA CLINICA: disturbo prassico Presenza di: • impaccio motorio del distretto bucco-linguo-facciale • difficoltà di imitazione con il distretto bucco-linguo-facciale • incapacità o forte difficoltà a produrre semplici movimenti con il distretto buccolinguo-facciale su richiesta verbale • ridotta verbalizzazione (vocalizzi o catene sillabiche) VERBALIZZAZIONE CARATTERISTICA CLINICA: disturbo fonetico fonologico I fonemi ci possono essere tutti, ma il soggetto non sa come organizzarli; come selezionarli per costruire la corretta stringa fonemica Produzione di parafasie e/o neologismi fonemici, eventualmente con conduites d’approche CARATTERISTICA CLINICA: disturbo lessicale-semantico Le parole come etichette, come insieme di suoni che formano la parola C’è forte discrepanza tra l’input e l’output, come difficoltà a reperire l’etichetta lessicale corretta, pur restando all’interno della categoria semantica adeguata = parafasie lessicali 184 CARATTERISTICA CLINICA: disturbo morfo-sintattico Grammatica Struttura frasale Produzione verbale con errori tipici di: • genere • numero • coniugazione verbi Produzione verbale con caratteristiche tipiche: • omissione parti frasali • riduzione struttura • mancanza di creatività CARATTERISTICA CLINICA: disturbo conversazionale L’uso del linguaggio a fini interattivi L’eloquio è tipicamente descritto come “bizzarro”; il linguaggio è strutturalmente ben formato, ma manca fortemente di coerenza verbale. “Nessuno si rendeva conto che non potevo far uscire le parole così come si trovavano nella mia mente”. Katja Rohde – “La ragazza porcospino” – 2001 185 Come implementare la comunicazione: riflessioni teoriche e spunti pratici - Prima parte Liliana Pensa * Buongiorno a tutti. Vorrei darvi la scaletta dell’intervento di questo pomeriggio che divido con Gina Forlani. Partiremo dalla definizione di autismo per condividere con tutti i presenti quali possibili soluzioni concrete possiamo dare al problema della comunicazione. Il taglio che abbiamo deciso di dare non è troppo tecnico dal momento che il corso è rivolto soprattutto ai genitori. Cercheremo di esporre le esperienze che abbiamo accumulato in questi anni; esperienze pratiche, concrete, condivise con le nostre operatrici qui presenti e che cercheremo di trasmettervi. Il nostro sforzo sarà anche quello di darvi un’informazione globale di cui possiate fruire. Dopo questa premessa, partiamo dalla definizione di autismo, secondo la Società Italiana di Neuropsichiatria ed attualmente in vigore nelle A.S.L. L’autismo è una sindrome, un insieme di tanti disturbi, che ha esordio nei primi anni di vita e che ha cause biologiche ancora in fase di studio. Il nostro desiderio è di focalizzare l’attenzione sulle aree interessate nell’autismo: interazione sociale reciproca, abilità di comunicare idee e sentimenti, capacità di stabilire relazioni con gli altri. C’è un denominatore comune tra questi tre punti, cioè la comunicazione è sempre legata all’aspetto sociale e quindi, se noi parliamo di problema di comunicazione nell’autismo, non ci riferiamo soltanto a un problema di linguaggio, ma alla difficoltà di comunicare e di iniziare relazioni sociali. Cosa succede in sostanza nell’autismo? Risulta danneggiato quello che chiamiamo lo schema normale della comunicazione. Un ultimo dato che volevo darvi prima di entrare nel merito del discorso è questo: le ultime ricerche hanno stabilito che la percentuale delle persone con autismo che non svilupperanno mai il linguaggio verbale o lo svilupperanno in minima parte, va dal 20% al 50%. Questa percentuale è molto alta e ci fa capire l’importanza di riuscire a sviluppare una comunicazione alternativa al linguaggio. * Responsabile Scientifico Spazio Autismo Seriate e Ponte San Pietro – Coordinatore Handicap per l’Istituto Comprensivo “A. da Rosciate” di Bergamo 187 Questo è uno dei punti su cui si focalizzerà Gina Forlani questo pomeriggio, sulla comunicazione aumentativa alternativa, la cosiddetta CAA. Tutti sappiamo che per comunicare dobbiamo averne voglia. È fondamentale l’intenzionalità comunicativa, che manca nei nostri bambini con autismo che non sembrano motivati a comunicare con noi. Ecco dove sta il nocciolo del problema e dove cercheremo di intervenire. Questi sono gli argomenti che svilupperemo oggi: gli stadi di sviluppo del linguaggio, dove si manifesta la compromissione, i deficit che troviamo nei bambini e come possiamo aiutarli ad imparare a comunicare. Vi accenno brevemente agli stadi di sviluppo del linguaggio. Il primo stadio avviene da 0 a 9 mesi ed è il momento in cui il bambino si forma le prime immagini mentali ed il linguaggio interno di cui parla spesso Theo Peeters. Come avviene questo meccanismo di apprendimento dei primi rudimenti del linguaggio? Avviene attraverso le immagini. Vi faccio un esempio semplice e concreto. Supponete che il bambino si trovi di fronte alla mamma che gli allunga le mani e lo incita ad andare verso di lei. In questa fascia di età il bambino associa l’immagine della mamma con la parola “mamma”. Come fa a riconoscere che quella persona è la mamma? La riconosce attraverso la sua sensorialità e, quindi, attraverso il tatto, la vista, l’olfatto. La riconosce e si crea un’immagine mentale, per cui le sorride mostrando di riconoscerla. Il secondo stadio è quello in cui il bambino inizia a comprendere il linguaggio parlato e sembra, da recenti studi , che sia proprio questo il punto in cui avviene il deterioramento per il bambino con autismo. Cosa succede? Se il nostro bambino ha difficoltà a comprendere le parole, non le associa mentalmente, non costruisce il linguaggio interiore. Questo discorso è spiegato molto bene nella teoria della mente. Se qualcuno di voi volesse approfondire il discorso, c’è il testo del professor Wolkmer sulla teoria della mente che è edito dalla Erickson. Nel terzo stadio il bambino incomincia a sviluppare il linguaggio espressivo, cioè inizia a parlare. Chiaramente è uno stadio impossibile da raggiungere se prima il bambino non ha imparato a decodificare il linguaggio. Se prima non c’è la fase del linguaggio ricettivo, non si sviluppa quella di linguaggio espressivo. Tutti quelli che studiano una lingua straniera lo sanno: prima imparo a capire il senso del linguaggio orale e poi imparo a parlare. Quali sono, allora, le conseguenze per il nostro bambino? Sono compromesse o addirittura assenti, quelle che noi chiamiamo “le abilità di conversazione”, per cui il bambino non interagisce con l’ascoltatore, manca di intenzionalità reciproca, non è capace di iniziare una conversazione spontaneamente, non capisce quando deve inserirsi nella conversazione. Da questa descrizione emerge che l’aspetto maggiormente compromesso è quello della comunicazione sociale. Adesso andiamo a vedere nello specifico cosa noi insegnanti e noi operatori riscontriamo nei bambini quando hanno questi problemi. Innanzitutto rileviamo la mancanza dei sistemi gestuali di supporto alla comunicazione. 188 Quando parliamo noi ricorriamo moltissimo ai gesti, alla mimica facciale, al movimento del corpo, all’intonazione della voce per fare capire quello che stiamo dicendo. Questo aspetto della comunicazione non solo non viene compreso dal bambino ma, come dice il professor Peeters, gli complica la vita. Se mentre parlo con il bambino aggiungo i movimenti del viso e delle mani, lo mando ancora più in confusione. Quindi non solo non lo capisce, ma non può assolutamente usarlo. In questo modo il bambino perde un grosso supporto alla comunicazione. Altri bambini, che vediamo quotidianamente, hanno un ritardo generale nello sviluppo del linguaggio. Come facciamo a capirlo? È evidente, se li paragoniamo a bambini della loro età c’è un divario molto grosso e lo notiamo. Poi abbiamo bambini con mancanza totale di linguaggio, il cosiddetto mutismo, fanno qualche piccolo vocalizzo ma ci comunicano poco. C’è poi un mutismo legato alla non collaborazione dell’atto comunicativo: parlo con il bambino ma lui non risponde, non mi fa capire se ha compreso e non comunica con me. C’è anche l’ecolalia, che tutti conosciamo molto bene, perché è molto diffusa tra i nostri bambini. C’è quella immediata, quando diciamo qualcosa ed il bambino la ripete subito, e quella differita, quando il bambino ripete dopo alcuni minuti ciò che abbiamo detto, ma non comunica. C’è il linguaggio perseverativo, cioè quello che il bambino usa ripetendo sempre le stesse parole senza comunicare nulla. L’uso di frasi memorizzate è una delle modalità più diffuse nei nostri bambini, per cui ripetono le frasi dei cartoni animati, dei film e della pubblicità. Noi, ad esempio, a Spazio Autismo abbiamo un bambino che spesso ripete gli slogan televisivi, anche molto raffinati. Qualche giorno fa, mentre stava facendo un lavoro a tavolino e, probabilmente era stanco e voleva comunicarci che non ne voleva più sapere, ci ha detto: “L’auto ha delle performance che vi stupiranno” ed ha continuato con slogan sulle auto. Chiaramente non è riuscito a comunicarci che era stanco di stare al tavolino e che voleva smettere il lavoro strutturato. Non è stato in grado di ripescare nella sua memoria la frase “sono stanco”. Abbastanza frequentemente rileviamo anche l’uso rigido del linguaggio. Per esempio abbiamo insegnato ad uno dei nostri ragazzi a dire “basta”per evitare che, quando è stanco e non vuole più continuare il gioco, rovesci tutto quello che ha sul tavolo. Però il bambino comprende e utilizza la parola “basta” solo in quel contesto. Questi sono i deficit che si riscontrano maggiormente. Torniamo un momento al primo che vi ho descritto: la mancanza dei sistemi gestuali di supporto alla comunicazione. Voi capite che, se un bambino non è in grado di additare o di indicare quello che vuole, ha dei seri problemi a comunicarci ciò che desidera. Allora ci chiediamo: se il bambino non ha intenzionalità comunicativa, se non è in grado di indicarci con il gesto che vuole una certa cosa che è lontana da lui e non riesce a prenderla come facciamo a motivarlo ed a comunicare? Ci sono due strade: la funzione di richiesta e le routine di gioco. 189 La funzione di richiesta non è altro che il chiedere qualcosa; se il bambino non lo sa fare, glielo dobbiamo insegnare. Per quale motivo partiamo dalla funzione di richiesta? Perché è la prima funzione che compare nel bambino. Voi vedrete bambini preverbali, anche molto piccoli, che comunque vi fanno capire se vogliono qualcosa. È la prima funzione che soddisfa un bisogno, è quella che compare per prima nel bambino. È l’unica funzione che sono in grado di elaborare alcuni dei nostri bambini e ragazzi, per cui dobbiamo per forza puntare su quella. Vorrei allacciarmi brevemente a quello che ha detto la Dottoressa Ucelli due settimane fa. Molte volte i comportamenti problema dei nostri bambini sono un tentativo di comunicarci qualcosa. Noi avevamo un bambino che non avendo linguaggio verbale e non essendo in grado di indicare, cominciava a battere il mento sul tavolo, sul lavandino o su qualsiasi ripiano duro mettendo a repentaglio la propria incolumità. Era un problema serio. Quindi, tornando alla nostra funzione di richiesta: come facciamo a insegnarla concretamente, cosa facciamo a Spazio Autismo per insegnare al bambino a chiedere? Di solito partiamo dal contesto della merenda perché funziona con l’80% dei bambini. Tutti sono sensibili alle patatine e alla coca cola! Sono due oggetti magici! Due bambini su dieci dei nostri hanno problemi di alimentazione e sono molto selettivi; è difficilissimo convincerli a collaborare nel momento della merenda, però anche con questi si riesce sempre a trovare qualcosa che piace e si può tentare di lavorare su questo. Poi vi darò un’alternativa, nel caso in cui il bambino rifiuti assolutamente il cibo. Torniamo al contesto merenda: abbiamo di fronte il bambino e prepariamo le cose che gli piacciono. Come faccio a insegnargli a chiedere le patatine se le vuole? Faccio in modo che lui non le possa prendere direttamente, gli insegno a darmi il piatto e, ogni volta che me lo porge, gli metto le patatine. Capite che prima è un insegnamento di tipo comportamentale, molto meccanico, ma vi assicuro che con il tempo diventa autonomo. Lo stesso con il bicchiere per chiedere da bere. A volte qualche genitore mi chiede che senso ha dare al figlio le patatine solo quando porge il piatto, quando è in grado di aprire l’armadio in cui si trovano e prenderle autonomamente. Dal punto di vista dell’autonomia questo è verissimo, ma dovete pensare che il bambino vive anche al di fuori dell’ambiente strettamente familiare e, quindi, se deve chiedere qualcosa da mangiare a scuola e non può prenderlo, deve poter trovare una modalità sostituiva, che consenta agli altri di capire il suo bisogno. Nel momento in cui il bambino mi porge il piatto e il bicchiere, mi comunica il suo bisogno. Questo è un punto di partenza, che poi va sviluppato al di fuori di quel contesto. Come facciamo a stimolare nel bambino la funzione di richiesta? Facciamo in modo che non abbia a portata di mano quello che vuole. Per esempio, abbiamo lavorato con una ragazza – adesso abbastanza grande – che ha la passione per i Cd musicali. Per far sì che ce li chiedesse, li abbiamo messi in una scatola gialla, il suo colore preferito. Abbiamo attac190 cato il logo di alcuni di questi all’esterno e abbiamo posizionato la scatola molto in alto in modo che non potesse prenderla. Si è abituata a chiederci la scatola. Quindi abbiamo generalizzato questa funzione per cui adesso, quando vuole qualcosa, è in grado di scegliere la foto dei suoi passatempi, di mostrarla e di avere in cambio quello che chiede. Lo stesso si può fare con un gioco. A Spazio Autismo abbiamo un trenino stupendo che piace moltissimo ai nostri bambini. Come si può usare per stimolare il bambino? Tolgo le pile al treno in modo che non possa funzionare; faccio in modo che il bambino mi dia il gioco e mi faccia capire che non funziona, che c’è qualcosa che non va e che ha bisogno di aiuto. Lo stesso per i puzzle. Se tolgo un pezzo del puzzle, cosa fa il bambino? Solitamente quasi tutti si voltano e ti guardano. Faccio in modo che abbia a portata di mano l’immagine di questo puzzle; se me la dà, gli consegno il pezzo che manca. Capite che è un lavoro che va a stimolare gradualmente la funzione di richiesta, partendo dall’interesse del bambino. Se non funziona nell’ambito della merenda, potete provare con il gioco. Anche per i casi più disperati, dopo un’attenta osservazione, vi assicuro che si riesce a trovare una strada per comunicare. Nelle esperienze che ho accumulato in questi anni, soltanto con due ragazzi non siamo riusciti ad avere progressi perchè erano presenti anche patologie di tipo fisico, fisiologico e motorio. Mi ricordo che con Johnny Roncalli ho lavorato con una bambina ucraina, la cui mamma si era trasferita appositamente in Italia per trovare adeguati interventi Con lei abbiamo fatto un lavoro intensissimo a Spazio Autismo per mesi e mesi. Il problema era che questa bambina aveva anche delle difficoltà a livello motorio, non riusciva ad afferrare gli oggetti, non aveva forza muscolare, aveva crisi epilettiche continue per cui ci siamo dovuti arrendere. Vi dicevo che, oltre alla funzione di richiesta, possiamo intervenire attraverso le routine. Sono la modalità prediletta dai bambini. Quasi tutti le hanno, tant’è vero che a volte diventano stereotipate perché sono continue. Se proviamo a toglierle, il bambino si innervosisce, ma noi possiamo tentare di costruire una routine positiva che gli possa diventare familiare. Come si può fare? Le routine si sviluppano molto bene tra pari, ma c’è un passaggio precedente, indotto dall’adulto. Vediamo quali sono le caratteristiche. Dobbiamo metterle in atto in un contesto significativo per il bambino. Per esempio vedrete nel video che vi proietterò tra poco il contesto della piscina: i bambini sono tutti all’interno della piscina e sono molto motivati a giocare con l’acqua, ad andare sott’acqua, a fare le bolle con la bocca. Le routine coinvolgono sempre due persone: il bambino e l’adulto o il bambino e il coetaneo, per cui hanno un carattere sociale. Ci consentono di affiancare il bambino, di entrare progressivamente in collaborazione e di insegnarli i turni. In questo modo riusciamo a 191 coinvolgerlo in un’interazione. Vediamo quali sono concretamente queste routine e che cosa possiamo fare. Le più semplici sono quelle di tipo motorio. A Spazio Autismo Seriate, la nostra operatrice Stefania lavora con i bambini a tappeto, li fa sdraiare, esercita una pressione sulla schiena o sulla pancia. Tanti bambini, soprattutto quelli più piccoli, sono molto sensibili alla pressione: piace loro essere schiacciati dalle mani o dal cuscino. Se iniziamo questo contatto corporeo e poi lo interrompiamo, vediamo, ad esempio, uno dei nostri bambini fermarsi, guardare Stefania, prenderle la mano e metterla sulla sua schiena o sulla sua pancia, riproducendo il movimento. In questo modo riusciamo a entrare in contatto, a creare un ponte con il bambino. Certo questo è un bambino a cui piace tantissimo il contatto corporeo. Se, quando è perso nella sua stereotipia con le mani, l’operatrice che è in empatia con lui gli soffia sul collo o emette qualche suono, egli interrompe la stereotipia, sorride e incomincia ad entrare in contatto con lei. Riusciamo in qualche modo a farlo uscire dal suo isolamento, dal suo mondo. Ci sono anche delle routine più complesse, non solo di tipo motorio. Per esempio con due ragazze più grandi facciamo attività di routine come preparare la spremuta, spalmare la marmellata sulle fette biscottate per fare merenda. Sono tutte cose che hanno concordato tra loro le operatrici e che mettono in atto nel pomeriggio dedicato all’autonomia. Come insegnare questa routine? Si mettono in ordine tutti gli oggetti e si segue una sequenza molto rigida. Il passaggio successivo può essere usare un libretto con le istruzioni che consente di finire il lavoro in modo autonomo. Chiaramente si selezionano lavori semplici. Con una di queste ragazze siamo arrivate anche a fare il budino sul fornello, attività più complessa. Un’altra modalità che aiuta tantissimo lo sviluppo delle routine è la musica. Non mi addentro molto in questo argomento che tratterà poi Gina Forlani, che ha collaborato con i centri Spazio Autismo, dove ha messo in atto un intervento intensivo di musica ed è riuscita a tirar fuori dal guscio bambini che sembravano impermeabili. Si tratta di un intervento individualizzato. Gina opera con il singolo bambino, lo prende in braccio, lavora al tappeto. L’intervento è abbastanza lungo e vi assicuro che produce routine in cui i bambini emettono vocalizzi, in cui rispondono alle richieste, cioè mettono in atto la comunicazione. Per impostare le routine e la funzione di richiesta facciamo sempre ricorso al gioco. Il gioco è veramente fondamentale per lo sviluppo dell’abilità di comunicazione e delle abilità sociali. Vi mostro il video che abbiamo girato questa estate a Spazio Estate per i genitori, perché volevamo che loro sapessero come stanno bene i loro figli anche quando sono lontani dalla protezione della famiglia, come possono essere sereni e contenti insieme ad altri bambini. Quindi il taglio di questo video è molto gioioso; vi vuole trasmettere il clima di empatia e di serenità che si è creato all’interno di questo gruppo di bambini e di operatori. Non è un video didattico. Vedrete gli operatori sorridenti e questo vi potrebbe trarre in inganno nel senso che non è tutto bello e tutto facile come vi sembrerà. Vedrete la parte migliore, 192 ma credete che dietro c’è un lavoro serio e duro, durato tantissimi anni con la collaborazione dei genitori e degli operatori sociali. L’INTERVENTO CHE SEGUE È INTEGRATO DA UN VIDEO Cosa troviamo in questo video di quello che vi ho detto prima? Avete visto quante routine di tipo motorio mettiamo in atto. È tutto strutturato per riuscire a entrare in comunicazione con questi bambini. È importantissimo avere una buona formazione su questo tipo di intervento, perché anche se si è ben formati sull’autismo, non si possono avere competenze su tutto. Per questo bisogna appoggiarsi a persone che abbiano competenze a livello psicomotorio piuttosto che a livello musicale. Detto questo, vi parlerò di come facciamo a sviluppare la comunicazione sociale attraverso il gioco. Vi presento i prerequisiti che il bambino deve possedere prima di iniziare l’intervento. Come facciamo a stimolare i prerequisiti se il bambino non li possiede? Come impostiamo l’intervento comunicativo attraverso il gioco? Vi cito due metodologie che sono le più diffuse oltre il TEACCH e che sono specifiche sullo sviluppo del gioco: la ABA, importata dagli Stati Uniti, e il DIR Model (o modello del dottor Greenspan) basato sul recupero delle abilità sociali e della comunicazione sociale attraverso il gioco. Il primo e più importante prerequisito è il contatto oculare con le persone. Il bambino deve saper riconoscere almeno uno e due oggetti; deve riuscire a rimanere seduto sul tappeto se non a tavolino per qualche minuto; deve decodificare istruzioni molto semplici come “Dammi la palla”, quindi è indispensabile un minimo di comprensione del linguaggio; deve essere in grado di imitare un gesto o un movimento, ad esempio battere le mani. Quando vado a verificare queste cose, devo assolutamente rispettare i tempi del bambino e verificare che abbia comportamenti accettabili. Cominciamo dal contatto oculare. Prendo il bambino, lo metto vicino, prendo la sua mano e comincio a farmi fare delle carezze sul viso, mi faccio toccare il naso, la bocca. Poi io faccio la stessa cosa, gli sorrido e cerco di entrare in contatto con lui, anche se ci sono bambini che non amano molto il contatto corporeo. In questo caso ci mettiamo sulla loro lunghezza d’onda. Nel video avete visto una bambina che si arrampicava sulla spalliera. Quando abbiamo iniziato l’intervento, ricordo che abbiamo passato delle ore in giardino a rincorrerla mentre percorreva tutto il perimetro esterno del giardino. Abbiamo macinato chilometri e chilometri per non so quanto tempo, prima di riuscire a metterci vicino a lei e a prenderle la mano. Abbiamo ridotto lo spazio, siamo andati dal giardino alla palestra e, adesso, è assolutamente in grado di rimanere tranquilla. Possiamo interagire, accarezzarla, fare le insieme le bolle di sapone. Dobbiamo capire quale è l’approccio giusto per ogni bambino. Ci è anche capitato un bambino, che durante la prima visita a Spazio Famiglia ha smon193 tato tutto quello che è riuscito a trovare, con cui non è stato facile stabilire il contatto oculare perché era molto piccolo, molto irrequieto e non riusciva a stare fermo. Gradualmente lo abbiamo abituato a stare fermo, a stare seduto nello stesso posto sul tappeto, abbiamo strutturato attività in cui doveva fissare lo sguardo su quello che faceva. Abbiamo preso alcuni scatoloni del supermercato, abbiamo fatto dei buchi in cui passassero uova Kinder di plastica abbastanza grosse. Gliene abbiamo posizionate un quantità consistente e a furia di insegnargli a schiacciare e stare attento a quello che faceva, prima guidandolo e poi via via più autonomamente, siamo arrivati ad avere lo sguardo, a fargli fissare lo guardo su qualcosa non sempre con lo sguardo perso, e anche lì sono stati molti mesi di lavoro. Adesso il bambino è inserito nella scuola potenziata dove stanno facendo un lavoro in questa direzione. Si è manifestato un progresso consistente in questi anni. Un'altra modalità per stimolare alcuni bambini sono i giochi luminosi o gli oggetti sonori con i quali si riesce a focalizzare l’attenzione per un momento. Poi si alza il tiro e si lavora sull’appaiamento e sulla discriminazione degli oggetti. Riprendendo quanto vi dicevo prima, i bambini imparano a fare per imitazione del compagno o dell’adulto. Sappiamo che i nostri bambini non ci osservano, non imitano. Difficilmente posseggono questa capacità di imitazione. Oltre a questo non hanno la motivazione interna per fare qualcosa. Cosa dobbiamo fare per stimolare questa motivazione? Dobbiamo trovare una strategia. Spesso ricorriamo a un rinforzo esterno come battergli le mani e l’elogio sociale. Dalla mancanza di imitazione e dalla mancanza di motivazione parte la metodologia ABA. È una modalità di tipo comportamentale di cui abbiamo documentazione dal 1985. Nel corso degli anni questa metodologia, molto diffusa negli Stati Uniti, è stata modificata e aggiornata. Parte da alcuni presupposti che sono comuni al metodo TEACCH. Bisogna abituare il bambino al gioco sociale in un ambiente strutturato. Poi vi parlerò dell’altra modalità, il DIR Model, che invece è contraria ai metodi TEACCH e ABA. Cercheremo così di avere una visione globale perché nessuno ha in mano la soluzione di tutti i problemi. Poi vi accennerò alla metodologia AERC del professor Zappella. Ve la accenno perché è una delle più recenti e sarà discussa la prossima settimana al convegno di Siena, cui andrò con le mie operatrici, dove spero di acquisire qualcosa di concretamente spendibile. Ritorniamo alla metodologia ABA. L’ABA, che ha questo grosso centro a Fano e che prende in carico i bambini provenienti da ogni città, stabilisce un programma di lavoro con i genitori ed effettua una verifica periodica su come funziona il metodo. Si parte dal gioco. Prima di iniziare la sessione di gioco si struttura un ambiente privo di distrazioni, esattamente come si fa all’inizio con il TEACCH; poi si scompongono le abilità di gioco. Chi di voi ha fatto gli stage di ottobre e dicembre o quelli precedenti, sa benissimo che il metodo TEACCH lo chiama “Task analysis” del compito, che riguarda la suddivisione 194 di un compito o di un gioco in tante piccole parti per insegnarlo al bambino e per facilitarlo. L’ABA insiste molto sull’uso del rinforzo. Vi faccio un esempio molto banale. Se al bambino piacciono i puzzle posso iniziare con quelli, tolgo un pezzo e faccio in modo di passargli il pezzo cosi che completi il gioco. Prima tolgo un pezzo, poi due, tre sino a lasciargli solo la cornice. Qual è l’obiettivo sostanziale di questa metodologia? Insegnare le abilità di gioco in modo codificato. Lo scopo non è solo di portare il bambino a restare seduto al tavolino, ma di farlo in contesti più naturali, meno strutturati e artificiali. La proposta è di sviluppare la comunicazione o la produzione verbale per arrivare al gioco simbolico. Questo è l’obiettivo che loro si propongono: partire dall’imitazione di un gioco attraverso un oggetto, per esempio con la palla, strutturare giochi e percorsi motori finché il bambino è in grado di rifare da solo questo percorso, quindi di imitare quello che ha visto. Voi sapete che alla base di qualsiasi sviluppo del linguaggio c’è l’imitazione. Questa è la modalità messa in atto dal metodo ABA. Poi abbiamo il modello DIR del dottor Greenspan che è un modello di sviluppo della comunicazione. Ho seguito un corso all’Università dell’Insubria di Varese; questo è un modello molto utilizzato negli Stati Uniti. Ci hanno mostrato dei documenti interessanti: bambini visti prima dell’intervento e sei mesi dopo, che avevano avuto un’evoluzione incredibile, per cui mi ha dato molto da pensare. Questo modello parte dall’aspetto sociale della comunicazione attraverso il gioco. L’elemento di partenza importantissimo è la relazione tra educatore e bambino. Poi vengono codificate delle sessioni di intervento. C’è un primo intervento del terapeuta sul bambino, cui segue il lavoro con i genitori ai quali il terapeuta insegna come giocare con il bambino. Sono sedute strutturate. Fatto questo si cominciano a formare educatori, operatori, insegnanti e si costruisce un programma condiviso da tutti. C’è anche una supervisione continua. Capite che partendo con un’équipe ben strutturata è già stato fatto un primo passo. Prima di iniziare l’intervento viene definito il profilo individuale molto dettagliato del bambino. Hanno elaborato un protocollo che consente di analizzare il funzionamento sensoriale del bambino e di definire un profilo di partenza. Si tratta di un intervento di tipo scientifico. Sarebbe bello portarlo da noi in Italia, il problema è che non esistono strutture in grado di farsi carico di costi così elevati. Un’altra modalità che viene messa in atto è quella del professor Zappella, che lavora sul contatto corporeo con il bambino. Dobbiamo prestare attenzione al discorso dell’interazione affettiva: lo stesso terapeuta che di solito è una persona neutra si mette in gioco nella relazione con il bambino e dà ai genitori le indicazioni su come lavorare a casa. Vedete che è un lavoro di collegamento: non è possibile lavorare solo a Spazio Autismo, solo a scuola o a casa. È importante trovare un filo conduttore che ci leghi in questo senso. A questo proposito vi volevo anche dire che il metodo DIR non approva il metodo 195 TEACCH perché sostiene che far lavorare un bambino a tavolino con delle cose strutturate è una situazione artificiale, priva di significato e perdente in partenza. Allora sono intervenuta dicendo che è vero che si lavora molto a tavolino, che si struttura il gioco, ma è anche vero che voi nel video avete visto un bambino che scrive sul quaderno. Quando abbiamo preso in carico questo bambino frequentava la scuola materna, quindi circa cinque anni fa, non aveva nessun contatto oculare, autolesionismi molto pesanti, per cui si faceva male. Quando abbiamo iniziato l’intervento l’abbiamo fatto stare tanto a tavolino, ma è quello che sta dietro che è importante. Lo abbiamo abituato a selezionare due oggetti, poi tre, quindi le forme, cercando di sviluppare l’aspetto cognitivo e l’aspetto dell’autonomia. Per fare questo devo avere un progetto alla base. Per questi motivi la collaborazione della famiglia è importantissima. Ho visto genitori che hanno stravolto la casa, hanno spostato i mobili, hanno cambiato tutto. Hanno trasformato la loro vita. Ho una stima enorme verso questi genitori. 196 Riportiamo di seguito le slides proiettate da Liliana Pensa durante gli incontri LA COMUNICAZIONE (prima parte) Accenno agli STADI di sviluppo del linguaggio COME si sviluppa il linguaggio nei bambini. Il primo stadio di apprendimento del linguaggio, va da 0 a 8-9 mesi ed è quello in cui il bambino acquisisce i primi significati verbali e le immagini mentali. Il secondo stadio è quello in cui il bambino inizia a comprendere il LINGUAGGIO PARLATO e sembra che sia questa la fase in cui avviene il danno. Il terzo stadio è quello in cui il bambino inizia a sviluppare il linguaggio espressivo e quindi a parlare. Il bambino con autismo non arriva a questo stadio. Come conseguenza: sono parzialmente compromesse o assenti LE ABILITÀ DI CONVERSAZIONE e quindi i presupposti alla comunicazione sociale. Compromissioni - deficit dell’alunno/a con autismo COSA osserviamo noi insegnanti quando abbiamo di fronte il nostro bambino. Quali caratteristiche possiamo riscontrare: ➢ ➢ ➢ ➢ ➢ ➢ ➢ innanzitutto un ritardo generale nello sviluppo del linguaggio mancanza totale di linguaggio = mutismo mutismo legato alla non collaborazione nell’atto comunicativo ecolalia linguaggio perseverativo ma non comunicativo, non serve a comunicare un bisogno uso di frasi lunghe memorizzate uso rigido del linguaggio, una parola appresa in un contesto ha sempre e solo un significato, non si può generalizzare. ➢ mancanza di sistemi gestuali di supporto alla comunicazione come indicare-additare che facilitano la comprensione. Se il nostro bambino non comprende la gestualità che per noi è qualcosa di automatico, se usa gesti o parole senza intenzionalità comunicativa, COME motivarlo a comunicare? Attraverso: la funzione di richiesta e le routines di gioco. 197 La FUNZIONE DI RICHIESTA è la migliore per insegnare a comunicare, perché è la funzione che compare per prima ed è la più facile da dimostrare. Dobbiamo insegnare a chiedere al nostro bambino, non come un’abitudine meccanica ma per chiedere quando ne ha bisogno. I comportamenti problema, il più delle volte, sono tentativi di comunicarci qualcosa (quando S. batte la testa contro i compagni di classe, ci fa capire che la confusione gli dà fastidio ed ha bisogno di uscire dall’aula). Ricordandoci di insegnargli una funzione alla volta. Per far apprendere la funzione di richiesta, il nostro bambino NON deve avere modo di ottenere ciò che vuole se non attraverso di noi e quindi lo dobbiamo mettere in condizione di CHIEDERE (aiuto) per OTTENERE. Esempio: Gli diamo un gioco che gli piace e che non sa fare funzionare da solo perché (manca la pila); togliamo un pezzo per completare un puzzle e gli diamo l’immagine del pezzo mancante… LE ROUTINES Sono la modalità che i ragazzi con autismo prediligono. A loro piace la prevedibilità e le routine sono fisse. Noi iniziamo una routine positiva, gliela rendiamo familiare. La ripetiamo più volte, poi la interrompiamo e il bambino deve avere lo strumento per chiedere di continuare la routine. CARATTERISTICHE delle routines: ➢ vanno messe in atto in un contesto significativo per il bambino ➢ coinvolgono due persone, quindi hanno carattere sociale ➢ stimolano il livello di comprensione del bambino, iniziando dallo svolgimento di un’azione in parallelo, poi in collaborazione, poi con il turno … TIPI di routines: ➢ ➢ ➢ ➢ 198 r. semplici di tipo motorio r. più complesse come ad es. preparare la spremuta r. della piscina, contesto motivante dell’acqua r. del gioco con gli animali … LA COMUNICAZIONE SOCIALE (seconda parte) Abbiamo visto che le routines si basano essenzialmente su proposte di gioco, quindi è fondamentale il loro ruolo sia per entrare in contatto con il bambino che per iniziare una interazione sociale. COME possiamo insegnare il gioco? Attraverso un insegnamento diretto e sistematico e quindi strutturato. Prima però dobbiamo verificare se il bambino possiede i prerequisiti per iniziare questo apprendimento: ➢ ➢ ➢ ➢ ➢ ➢ il contatto oculare saper riconoscere un oggetto rimanere seduto tranquillo decodificare comandi e istruzioni semplici; seguire semplici istruzioni imitare un gesto o un movimento non avere comportamenti “non accettabili”. SE il bambino NON possiede questi prerequisiti, COME possiamo intervenire per stimolarne lo sviluppo? ➢ ➢ ➢ ➢ per attivare il contatto oculare: prendo vicino il bambino… utilizzo un oggetto che piace al bambino… lavoro sull’appaiamento – discriminazione di due oggetti lavoro (con l’aiuto fisico) con l’oggetto … Oltre alla mancanza dei prerequisiti, vi sono altri limiti per l’apprendimento del gioco nei nostri bambini che: ➢ NON osservano le persone intorno e perciò non imitano … ➢ NON hanno una motivazione intrinseca a compiere le azioni … Esistono numerose METODOLOGIE di intervento che codificano le sessioni di GIOCO. Ve ne citerò alcune delle più diffuse attualmente. METODOLOGIA ABA Si tratta di un intervento intensivo di tipo comportamentale di cui esiste documentazione dal 1985 circa. In Italia viene applicata al Centro ABA di FANO (Ancona). 199 L’ABA parte dal presupposto che è poi comune al TEACCH ➢ di iniziare la sessione di gioco, se così si può chiamare, in un ambiente privo di distrazioni, ➢ di scomporre le abilità di gioco che voglio insegnare al bambino in piccole parti (quello che il TEACCH chiama Task analysis del compito), ➢ di aiutare il bambino e dargli un rinforzo. Anche il Modello D.I.R. del dottor Greespan (Floor Theraphy) ➢ parte dall’aspetto sociale della comunicazione ed individua il gioco come elemento di partenza per sviluppare la relazione tra educatore e bambino, ➢ prevede e codifica sessioni di intervento per l’apprendimento del gioco Anche il Modello DENVER della dottoressa Sally Rogers ➢ parte dall’approccio al gioco che viene messo in atto con bambini in età molto precoce, ➢ prevede sessioni strutturate da 20 a 40 ore settimanali col bambino. Per i bambini con Asperger, il modello del dottor Greespan può anche integrarsi con altri approcci come l’AERC (Zappella 1996) Attivazione con Reciprocità Corporea. L’AERC: ➢ prevede che il terapeuta renda attive delle strategie di avvicinamento al bambino, basate su modalità amichevoli, affettuose, esplorative, ➢ utilizza il terapeuta come modello col genitore che porterà avanti un programma giornaliero intensivo. Entriamo ora nel dettaglio degli apprendimenti del gioco sociale. Diamo per assodato che il bambino possegga i prerequisiti di base. COME organizziamo il GIOCO SOCIALE con i pari? ➢ sarebbe opportuno iniziare con il compagno/a preferito dal bambino, ➢ se il livello non è verbale e con problemi cognitivi, il compagno si siede di fronte a lui e cerca di inserirsi nel gioco del nostro bambino seguendo le nostre istruzioni, ➢ il compagno deve verificare se c’è il contatto oculare e aiutare il bambino ad ottenerlo, ➢ il compagno gratifica il bambino ogni volta che fa l’azione di gioco, se possibile gli fa una carezza o un gesto, 200 ➢ il compagno lo aiuta fisicamente nell’azione se necessario, ➢ se il bambino ha comportamenti socialmente negativi, il bambino non deve parlare, lo deve ignorare, sarà l’adulto ad intervenire, ➢ se si usano giochi di ruolo con turno occorre fare prima delle simulazioni con il compagno. Utilizzo il RINFORZO con modalità precise… cambio il tipo di rinforzo… Mentre avviene questa interazione, il nostro bambino IMPARA a: ➢ ➢ ➢ ➢ ➢ ➢ ➢ ➢ ➢ imitare l’azione del compagno imitare il linguaggio verbale del compagno (anche con vocalizzi…) imitare un’azione dietro istruzione del compagno chiedere un gioco dare il gioco richiesto iniziare il gioco rispettare il turno nel gioco fare quello che gli chiede il compagno avere il senso del tempo con timer (o altro) RIFLESSIONI Le metodologie di intervento che ho citato si differenziano sostanzialmente nell’approccio al gioco: alcune sostengono che occorre agire in un contesto naturale, partendo dal gioco spontaneo del bambino (M. Denver) per poi svilupparlo in modo sistematico e adeguato; altre codificano rigorosamente le sessioni di gioco (M. ABA). Tutte condividono il presupposto che deve essere ben chiaro prima di ogni intervento: CHIUNQUE interviene sul bambino deve CONOSCERE molto bene i suoi prerequisiti; deve DEFINIRE CON PRECISIONE gli obiettivi che vuole raggiungere; deve POSSEDERE UNA BUONA PREPARAZIONE nel campo; deve LAVORARE in rete coi genitori, i terapeuti, gli operatori sociali … deve CONDIVIDERE il più possibile le modalità di intervento pena il mancato miglioramento del bambino. 201 Come implementare la comunicazione: riflessioni teoriche e spunti pratici - Seconda parte Gina Forlani * Vorrei ritornare un attimo rispetto al programma TEACCH, che vede sì il lavoro al tavolino, ma dietro il quale c’è un pensiero rispetto a quello che si va a fare con questi bambini. Mi viene proprio in mente una ragazzina che stiamo seguendo da poco per la comunicazione aumentativa e alternativa. È una ragazzina sulla sedia a rotelle, che ha frequentemente brevi crisi di assenza. Quando l’ho conosciuta non muoveva le braccia e a malapena la testa. Abbiamo iniziato il lavoro due-tre anni fa, in collaborazione con i terapisti della Neuropsichiatria Infantile. Se non le davo l’opportunità di fare movimenti a tavolino attraverso scatole di lavoro, non avrebbe avuto l’opportunità di entrare in relazione con gli altri. Abbiamo iniziato, pertanto, una attività di scelta tra tre opportunità da guardare e da scegliere fissando lo sguardo sull’oggetto desiderato. Con tanta costanza e pazienza, i tempi di risposta, che sono molto lunghi all’inizio, si possono velocizzare quando la bambina comprende che il suo sguardo determina un cambiamento intorno a lei, quando comprende di poter relazionare e comunicare. Non a caso la carta dei diritti alla comunicazione inizia così: “Ogni persona, indipendentemente dal grado di disabilità, ha il diritto fondamentale di influenzare, mediante la comunicazione, le condizioni della sua vita”. Seguono altri dodici diritti. Questa ragazzina è stata una sfida per noi, per la famiglia, per il gruppo dei terapisti. Siamo contenti di aver creduto nel programma TEACCH, di aver dato credito a tutte quelle attività di routine e di gioco che abbiamo messo in atto durante i periodi del Sollievo Estate. A questo proposito, voglio ringraziare la Provincia che ci ha dato l’opportunità di stare con questi ragazzi, di conoscerli e di stare bene con loro. Non sono frasi fatte, bisogna stare con loro per capire quanto ci danno. * Responsabile Scientifico Spazio Autismo Romano di Lombardia – Docente dell’Istituto Comprensivo “E. De Amicis” di Bergamo 203 Alla fine di ogni giornata ci chiediamo: “Ci siamo divertiti noi o abbiamo insegnato qualcosa a loro”? Credo, senza ombra di dubbio, che la costanza, la pazienza, la determinazione e la professionalità siano essenziali nel nostro lavoro. Per impostare un lavoro di comunicazione aumentativa alternativa è fondamentale la collaborazione tra famiglia, scuola, Spazio Autismo, Cre, oratorio, ovunque vada il nostro bambino. Devo innanzitutto sempre valutare la situazione di partenza anche quando sembra che i nostri bambini non comunichino niente. L’ultimo bambino, che ho visto, ha compiuto questo mese sei anni; sembra assente, eppure la mamma mi dice di capirlo. Com’è possibile se l’ho visto solo girovagare per il corridoio? La mamma aggiunge che per chiedere fa un verso, quindi decidiamo di differenziare questi versi ascoltandoli e contestualizzandoli. La comunicazione deve essere spontanea; anche il pianto è comunicazione. Bisogna sempre considerare in quale contesto ci troviamo. La comunicazione può essere verbale, gestuale, motoria, iconica, simbolica. Ognuno di noi comunica con queste modalità. Può essere che il bambino con autismo comunichi utilizzandone solo una. Dobbiamo analizzare se si tratta effettivamente di comunicazione. Parla perché utilizza il linguaggio? È un parlare a se stesso? È un ricordare quello che gli piace guardare in tv? Quando parla per comunicare? Per iniziare un percorso di comunicazione devo: progettare, monitorare i progressi, sapere come insegnare e valutare sulla base di ciò che sono riuscita a vedere oggettivamente a livello comunicativo a scuola, a casa, nel contesto sociale che frequenta il bambino. La prima cosa che faccio è un’intervista ai genitori. Di solito una delle risposte che risulta generica è “La musica gli piace”, ma quando vado ad analizzare più in concreto, mi accorgo che la musica per lui è solo ascolto. Chiedo quindi informazioni più precise rispetto a quello su cui andrò a lavorare e inizio ad osservare il bambino. Gli insegnanti hanno delle grandissime opportunità perché a scuola hanno svariati contesti per osservare la comunicazione spontanea e intenzionale. Osservo tutti i comportamenti comunicativi e li registro. Non tutti i bambini sono uguali: ognuno segue un proprio percorso. Non pensate che i bambini più “facili” non abbiano bisogno di un progetto, perché la comunicazione, soprattutto quella di tipo sociale, va sempre ampliata. Non ci si limita alla semplice comunicazione, si passa a tabelle tematiche, alle situazioni sociali al di fuori del contesto scolastico. Il bambino può anche andare al bar a comprare un gelato, può prendere l’aereo con i genitori o con i compagni di scuola. Perché non insegnargli la comunicazione di tipo sociale (salutare, porgere la mano, chiedere informazioni)? Da parte mia, creo situazioni che suscitino manifestazioni spontanee e di comunicazione. Chiedo ai genitori come il bambino comunica, quando e dove. Ho anche bisogno di sapere qual è la prima meta che vogliono fare raggiungere a loro figlio. Secondo il programma 204 TEACCH la comunicazione ha diverse dimensioni e specifiche funzioni. Non è detto che il ragazzino con autismo non abbia queste funzioni, magari le possiede ma in un modo non socialmente accettabile, (ad esempio, il bambino attira l’attenzione strattonandoti o dando uno schiaffo al compagno). È vero che attira l’attenzione, ma io devo riuscire a cambiarne la modalità. Il bambino possiede questa funzione: sa che può attirare l’attenzione e questo è già un passo avanti. Indica per chiedere la merenda e questa è una modalità di comunicazione: indicare, chiedere qualcosa. Noi lavoreremo su queste affinché diventino universalmente leggibili. Voglio fare un altro esempio: tutte le mamme riconoscono quando i loro figli non stanno bene. La difficoltà nasce se essi non riescono a comunicare dove sentono male e cosa succede dentro di loro. Anche per questo può essere utile la comunicazione aumentativa. Le emozioni sono un altro aspetto particolare. Siamo stati con ragazzini con autismo per diverso tempo, quindi abbiamo imparato a riconoscere in loro le espressioni mimiche che manifestano vere emozioni da quelle che non hanno niente a che fare con l’esprimere ciò che provano a livello emotivo. Se ho imparato a differenziare queste emozioni, gliele insegno. Ecco perché è importante creare delle situazioni, dei contesti di vissuto dove dare l’opportunità a questi bambini di apprendere a comunicare. Una cosa che succede spesso è che i nostri bambini nominano gli oggetti senza poi utilizzarne il nome per uno scopo. Nominare non è sufficiente per comunicare. L’ecolalia è comunicativa o non è comunicativa? Sono domande che ci poniamo per poter lavorare. Altra forma di comunicazione è quella iconica attraverso le foto, le immagini. In questi casi si parla di comunicazione aumentativa. Ci sono poi le forme simboliche, le parole scritte, il linguaggio dei segni ed il linguaggio verbale. Il programma TEACCH suggerisce di tenere in considerazione, in fase di progettazione, i significati, i contenuti, le parole, i gesti. Come diceva prima la dottoressa Pensa, se un bambino impara qualcosa in una situazione, non è detto che poi la generalizzi facilmente. Mi ricordo un aneddoto che ci ha raccontato una collaboratrice di Theo Peeters che aveva accompagnato un bambino ad una visita medica, dopo avergli promesso che al termine gli avrebbe comperato una coca cola. Arrivata al distributore automatico si accorge che non funziona; riprova ad inserire il denaro, comincia a battere la parete con i pugni, dice una parolaccia e, all’improvviso, esce la lattina. Qualche giorno dopo, a scuola il bambino ripete quella parolaccia. Solo dopo la spiegazione della mamma, gli insegnanti comprendono che quella espressione inappropriata sta ad indicare la coca cola. Questo episodio, che può farci sorridere, dimostra che il bambino è stato in grado di generalizzare l’esperienza. Il problema è stato poi degli adulti che hanno dovuto aiutarlo a trovare un'altra forma per chiedere quella bibita. 205 Questo esempio ci fa comprendere come i nostri ragazzi siano particolari ed unici, aspetto che tiene noi operatori sempre in allenamento e ci rende più creativi. I bambini con autismo utilizzano spesso una forma di precomunicazione assolutamente personale, privata e non generalizzabile; ecco perché è necessario insegnare loro una comunicazione universale, che sia comprensibile per tutti. Anche noi educatori prendiamo parte al gioco di precomunicazione all’inizio dell’intervento. Lo scorso anno ho seguito un ragazzino a scuola, che ripeteva spesso, senza comprenderne il significato: “Con la macchina vado a fare un giretto”. Ho dovuto fargli capire il senso dei termini che usava, mostrandogli prima le auto, poi facendogliele riconoscere attraverso le foto sui giornali, quindi ho lavorato sul senso di “fare un giretto” perché capisse a quale azione si riferisse. Adesso questo ragazzo, a distanza di un anno, usa una tabella di comunicazione che gli permette di dire, per esempio: “Gina, compagni, piscina pullman”, esprimendo il suo desiderio di andare con Gina e i compagni in piscina con il pullman. Mi occupo di un altro bambino della scuola materna che già utilizza la tabella. Io avevo proposto la somministrazione del PEP, che tra le prove ne prevede una con le bolle di sapone, la sua passione. Sulla sua tabella naturalmente ci sono le bolle. Egli è talmente abile ad utilizzarla che le insegnanti ed i genitori hanno già aggiunto anche gli aggettivi. Ritornando al test, io metto da parte le mie bolle e passo ad un item successivo. A quel punto il bambino prende la tabella ed indica “bolle”. Io gli dico: “Aspetta, dopo! prima finiamo…”. Allora, non contento, riprende la tabella ed indica “bolle tante e grandi”. Anche una bolla di sapone può favorire l’inizio della comunicazione. Passiamo al caso di una ragazza di 14 anni che ha iniziato la comunicazione aumentativa in prima elementare. Ora frequenta un’altra scuola dove io vado qualche volta a incontrarla. Nella sua tabella la mia foto è stata tolta perché la tabella è stata rinnovata con nuovi insegnanti. Quando torna a casa, la mamma capisce che mi ha vista perché indica “Pippo – un burattino che io utilizzo di solito – Teatro sì, sì, sì…” e rimette la mia foto alla sua tabella: “Gina, Pippo Teatro”, utilizzando correttamente la comunicazione. All’inizio, sono state enormi le difficoltà che ho incontrato e qualche volta sono stata in procinto di rinunciare al progetto, ma dopo otto anni questa ragazzina ha incominciato a comunicare. Questa ed altre esperienze mi hanno insegnato che ci vuole costanza e pazienza. Capisco che a casa è abbastanza difficile lavorare sulla comunicazione, soprattutto quando un bambino è autonomo e prende da solo ciò che vuole, per esempio la merenda. Noi non gli togliamo questa capacità. Il bambino, che prende la merenda quando ha fame, ha raggiunto un buono livello di autonomia, ma cosa succede quando è in un contesto nuovo, dove non sa dove sono le merendine e non è in grado di chiederle? 206 La comunicazione serve per riconoscere il significato intrinseco delle immagini e utilizzarle nei diversi contesti. Quando ho individuato le abilità che il bambino possiede, fisso gli obiettivi. La mia comunicazione deve essere funzionale, cioè deve trasmettere qualcosa che sia motivante da casa a scuola e da scuola a casa. Lascio sul quaderno un segno di quello che abbiamo fatto e creo qualcosa di diverso dalla tabella: il “quaderno delle tracce” su cui indico che ho fatto questo con il pongo, le tempere, altro materiale. Quando il bambino torna a casa, deve mostrare ai genitori il quaderno. Essi prendono la tabella e gli chiedono cosa ha fatto. Questo significa parlare con il proprio bambino. È vero che sono io, quando il bambino non utilizza le parole, che le dico al suo posto, ma sono solo un mezzo, mentre il bambino è lo strumento che agisce. La situazione è comunque corretta perché in quel momento sono consapevole di quello che desidera e di ciò che ha fatto. Costruisco contesti strutturati per dare maggiore flessibilità all’apprendimento. Come dicevo prima, la parola “basta” si utilizza non solo quando termina il gioco, ma anche a tavola e in tanti altri contesti. Se il bambino comincia a generalizzare la situazione, inizia anche a possederne il concetto. Non basta un training per impararlo; i tempi sono lunghi. Devo individuare contesti reali per l’apprendimento. Quando succede qualcosa ne approfitto per insegnargli a comunicarlo: se un compagno si è fatto male perché è caduto e si è sbucciato un ginocchio, prendo la tabella in cui è raffigurato il corpo umano e gli mostro ciò che è successo. È in questo modo che insegno a trasferire le informazioni ad altri che non erano presenti. È importante monitorare i progressi e valutare le abilità che il bambino possiede. Quando inizio un intervento di comunicazione alternativa, lo sottolineo ancora, non vado a togliere le modalità che già possiede. I gesti potenziano la comunicazione, la sottolineano. Quindi per progettare valuto le abilità che il bambino possiede. Se un bambino già comunica con le sue modalità, si tratta di renderle comprensibili a tutti. Se voglio che questa comunicazione non si limiti agli oggetti, ai gesti o al movimento, devo vedere se il bambino comprende i disegni rappresentati, se li associa e, quindi, faccio un training al tavolino di associazione: oggetto/foto, situazione/foto, ambiente/foto. Lo stesso per i contesti, per riconoscere le figure nelle diverse dimensioni. Anche questo è importante: parto da grandi cartoncini con l’immagine e progressivamente riduco le dimensioni. Anche figurine piccolissime sono riconosciute dal bambino in quanto il percorso è stato graduale. Come definisco i miei obiettivi? Gli obiettivi, come dicevo prima, devono essere realistici. Mi domando se ciò che progetto lo posso fare con un bambino di questa età che vive in questa situazione? Sarà utile? È tra le priorità richieste dai genitori? Poi scelgo gli obiettivi che devono essere fondati sulle sue abilità. Non devo dare mai una frustrazione in un training di apprendimento: il più piccolo 207 gesto intenzionale di comunicare deve essere rinforzato. Non sia mai che un bambino viene con il bicchiere per chiedermi da bere ed io non gli do l’acqua. Non deve mai succedere. Se mi porge il bicchiere, il piatto o mi dà la tesserina della caramella, è una comunicazione e deve avere immediatamente la risposta. Devo sfruttare il momento: al minimo accenno di comunicazione devo rispondere, altrimenti ho già perso di vista lo scopo. Il “passaporto”, per esempio, è il libro che permette ai ragazzi, che non riescono a parlare o a gesticolare, di presentarsi. Ci sono le foto, i loro dati, le immagini di ciò che piace e di quello che assolutamente non piace loro. Si scelgono le foto o i disegni in modo tale che chi vede questo libro cominci a conoscere il ragazzo o il bambino. Questo vuol dire dare informazioni. Voglio portare un altro esempio. Quando chiedo ad un bambino: “Come ti chiami?” il bambino mi risponde porgendo la tabella dove nella prima pagina c’è scritto: “Io sono Roby, comunico con questa tabella, segui il mio dito e mi capirai” . Se aggiungo “Raccontami qualcosa ...” … Roby indica sui disegni della tabella “mamma, casa, andare” che significa “voglio andare a casa dalla mamma”. Allora io gli dico: “Guarda, alle quattro e mezza, quando vedi la lancetta dell’orologio che arriva qui, andiamo a casa”. Spesso i bambini utilizzano delle ecolalie verbali e/o gestuali. È vero che ci sono momenti in cui tutti i nostri alunni a scuola desiderano andare dal papà, dalla mamma, a casa, perché sono stanchi. Se vedo che il bambino è stanco e mi dice le parole mamma, papà o casa non si tratta di un’ecolalia ma è un dire basta. Allora sta a me cambiare il contesto e l’attività. Se manca ancora del tempo prima del termine della lezione, cercherò di renderlo piacevole. Tutti coloro che hanno a che fare con i nostri bambini devono essere coinvolti. Un discorso a parte va dedicato ai fratelli che vivono direttamente la situazione complessa dell’autismo. Cerchiamo di coinvolgerli senza appesantire le situazioni. È vero che ci dedichiamo maggiormente a chi ha bisogno, ma non scordiamoci che, in alcuni momenti, sono loro ad averne più bisogno. Forse vorrebbero essere coinvolti in maniera attiva ma non troppo oppressiva. È difficile, ma si può provare. Dobbiamo cercare di modificare alcuni comportamenti, possiamo consultarci, parlarne. Il confronto è la miglior cosa. L’insegnamento delle nuove forme di comunicazione deve essere graduale. Si inizia con gli oggetti e si arriva alle persone assenti, agli eventi passati e futuri. Il percorso è lungo. Pensiamo che il bambino raggiunge solo a diciotto mesi la permanenza dell’oggetto. Gradualmente si introducono nuovi disegni comunicativi sulla tabella. Inizio con poche cose per non creare confusione e coinvolgo i compagni che si rivelano entusiasti quando vedono il compagno ottenere dei risultati. È un gioco che trasforma il compagno e lo aiuta a parlare. Si favorisce l’iniziativa comunicativa attraverso ricche modalità interattive. Ricche vuol dire “tante”, ma non confusionarie. 208 L’intervento deve coinvolgere tutti. La modalità di comunicazione aumentativa alternativa è indicare su una tabella. Ci sono anche dei comunicatori a voce, con voce in uscita con otto, sedici, trentasei caselline dove, a seconda dell’immagine che inserisco, registro il bisogno, la canzoncina o una chiamata. Per i ragazzini che hanno un livello cognitivo più elevato e che hanno imparato a leggere e a scrivere, ma che non hanno l’opportunità di esprimersi con un linguaggio orale, ci sono dei piccoli computer con le lettere dell’alfabeto. Loro compongono le parole e costruiscono la frase strutturata. Vediamo secondo il TEACCH come si deve operare rispetto all’imparare a chiedere. L’obiettivo è che il bambino impari a chiedere un oggetto utilizzandone la foto in contesti diversi. Consideriamo il contesto classe. Devo eliminare il comportamento di tipo asociale e lavorare sulla forma di richiesta. Ad esempio utilizzo la foto di un pezzo del puzzle per chiedere. Il passo precedente è stato utilizzare un pezzo del puzzle incollato su cartoncino, non quello che mi serve, ma consente al bambino di dirmi che manca un pezzo. Poi si passa alla foto. La foto è bidimensionale, il pezzo del puzzle tridimensionale, anche se non può essere utilizzato. Capite il passaggio? Prendo l’oggetto, lo utilizzo e lo metto via. Incollato sul cartoncino, l’oggetto non perde le sue qualità, ma non posso usarlo. Con la foto ho un passaggio più simbolico. Mi metto d’accordo con la terapista e la psicomotricista, che a loro volta utilizzano le foto. In questo modo gli diamo l’opportunità di chiedere le cose in una forma diversa, collaborando. Da poco abbiamo iniziato a lavorare con un bambino fuori provincia. Abbiamo preparato tanti oggetti e li abbiamo incollati sui cartoncini. Ho poi proceduto con attività in scatola, al tavolo di lavoro, per il riconoscimento e l’associazione di oggetti reali alla foto. Le scatole di lavoro impegnano il bambino in attività finalizzate alla comunicazione. Quando succede qualcosa di nuovo, approfitto per insegnare al bambino a comunicare agli altri, poi costruisco contesti diversi. Questo perché do l’opportunità di utilizzare la comunicazione in modo più generale. Facilito il comportamento, perché un bambino con autismo, che ha solo modalità comunicative di precomunicazione, ha bisogno a volte di un aiuto fisico, di un modello. Non a caso il programma TEACCH prende e sfrutta soprattutto la merenda per fare in modo che due operatori lavorino insieme e si pongano come modello per la richiesta. (Aiuti visivi, aiuti dati sotto forma di domande, di istruzioni dirette). Assumo sempre un atteggiamento per cui il bambino deve chiedere. Quando si inizia un progetto di comunicazione si hanno sempre molti dubbi. È importante non lavorare da soli: i genitori sanno di cosa c’è bisogno e noi sappiamo come organizzare il lavoro. Per costruire una tabella di comunicazione i genitori devono conoscere a cosa corrispondono i colori usati: ad esempio giallo per i soggetti, verde per i verbi, azzurro per i sentimenti, arancione per tutti gli oggetti e i contesti. Questa operazione serve per differenziare le parti del discorso. A casa dobbiamo etichettare all’interno di ogni stanza gli og209 getti che non sono visibili per fare in modo che il bambino chieda. Questo non impedisce al bambino di prendere ciò che vuole da solo. Per esempio, seguo una ragazzina sulla sedia a rotelle che è molto esigente e selettiva nell’abbigliamento. Quando la mamma le prepara indumenti che a lei non piacciono, li butta a terra e non vuole saperne di indossarli. A questo punto ho suggerito alla mamma di far scegliere gli abiti tramite foto applicate sull’armadio. Lo stesso discorso vale in cucina. Possiamo costruire una tabella dove può scegliere cosa mangiare. Si possono costruire tanti libretti che, gradualmente, conducono all’autonomia. Avete qualche domanda da fare? “Alcune volte non riesco a rispondere alle richieste di un alunno della mia classe perché non capisco qual è il suo bisogno. Cerco in tutti i modi di comprendere cosa può avere. Chiedo alla mamma se è successo qualcosa a casa. Passano delle ore prima di riuscire a rispondere adeguatamente alla sua richiesta e, a volte, torno a casa frustrata per l’insuccesso. Lei cosa mi consiglia di fare”? La capisco perfettamente. Prima ho detto che la collaborazione scuola/famiglia è essenziale. Anch’io ho avuto problemi di questo tipo. Per esempio, un giorno un ragazzino continuava a ripetere in modo ossessivo le parole “papà musica”, nonostante non fosse prevista nella programmazione scolastica di quel giorno. Non sapendo più cosa fare, ho deciso di chiamare i genitori ed ho scoperto che essi gli avevano promesso di portarlo ad un concerto la sera dopo le otto. Evidentemente non si trattava di una richiesta rivolta a me perché il bambino sapeva bene che sarebbe andato con il papà, ma, non avendo la concezione del tempo, egli era convinto che le otto fossero in quel momento. Questa situazione era per lui molto stressante e gli impediva di restare in classe tranquillo. I genitori avrebbero dovuto avvisarmi in anticipo per consentirmi di intervenire adeguatamente. Per questo è necessario il famoso quaderno di comunicazione casa- scuola. A scuola c’è una ragazzina che vive con difficoltà e stress il passaggio casa/pulmino, perciò la mamma la riempie di caramelle e cioccolatini. A scuola questo diventa un problema: pasticcia, non li mangia, li butta in giro, li vuole continuamente. Per evitare questa situazione stiamo cercando di individuare qualcosa che può tenere con sé durante il trasporto, ma che lascerà sul pulmino al suo arrivo a scuola. All’inizio è difficile ma è indispensabile che la fase del passaggio sia vissuta come un momento piacevole e che non disturbi gli altri. 210 “Che cosa si intende per comunicazione facilitata”? La comunicazione facilitata vede coinvolto un facilitatore che aiuta il bambino ad iniziare una comunicazione. Uno dei problemi dei ragazzi con autismo è iniziare un’azione, quindi anche la comunicazione. Il facilitatore deve, innanzitutto, instaurare una buona relazione con il ragazzo, utilizzando uno strumento che può essere il computer o una tabella. Il limite di questa forma di comunicazione è che, se manca il facilitatore, il bambino non riesce più a comunicare. Il facilitatore parte da un contatto fisico, sostiene la mano, il dito, il polso, il gomito, la spalla. Non sempre si tratta di una presa, è sufficiente anche un tocco. Ho seguito un ragazzino che con l’educatore sembra scrivesse dei poemi mentre con me pochissimo. Questa comunicazione è molto criticata. Non è un metodo scientificamente provato ed è questo che tutti mettono in discussione. È un metodo che ha visto diverse prove di verifica fallire. Se al ragazzino veniva fatta una certa domanda ed al facilitatore un'altra, la risposta fornita era quella alla domanda del facilitatore. E questo ha fatto sorgere molti dubbi. Personalmente non saprei cosa dire. Dicono che la comunicazione facilitata funzioni su base empatica; per questo devono essere presenti fra il facilitato e il facilitatore molta emotività e sentimento, con conseguenze spesso imprevedibili. La comunicazione non è uguale con tutti i facilitatori e questo sottolinea ancora come anche noi scegliamo persone diverse a cui dire cose diverse. Ho assistito alla presentazione del libro “Le urla nel silenzio” di Scilla, una ragazza con fortissimo ritardo mentale. Il libro era presentato dalla mamma che raccontava della grave disabilità della figlia. Attraverso questo tipo di comunicazione, secondo le parole della madre, sono riusciti a farle raccontare i vissuti di quando era piccola che solo lei, oltre alla mamma, poteva conoscere. Sono queste contraddizioni che lasciano perplessi rispetto alla comunicazione facilitata. 211 Riportiamo di seguito le slides proiettate da Gina Forlani durante gli incontri COMUNICAZIONE SPONTANEA VERBALE GESTUALE MOTORIA ICONICA SIMBOLICA SITUAZIONE DI PARTENZA Progettazione di mete educative individualizzate AL BAMBINO CON AUTISMO INSEGNO ABILITÀ COMUNICATIVE PER TRASMETTERE MESSAGGI IN SITUAZIONI QUOTIDIANE TECNICHE DIDATTICHE E ATTIVITÀ EDUCATIVE MONITORAGGIO DEI PROGRESSI VALUTAZIONE 212 COME INSEGNARE VALUTAZIONE INIZIALE DELLA COMUNICAZIONE OSSERVAZIONE DIRETTA INFORMAZIONI: intervista ai genitori PRIORITÀ DELLE METE OSSERVAZIONE DIRETTA 1 della comunicazione spontanea ed intenzionale del b/o in situazioni quotidiane naturali; 2 delle circostanze in cui il b/o mostra di non possedere abilità comunicative necessarie in quella situazione; È importante registrare quei comportamenti che sono intenzionalmente comunicativi (vocalizzi, gesti, linguaggio verbale, atti motori, ...) perché ci forniscono delle indicazioni su ciò che motiva la comunicazione del b/o. 3 osservare per periodi più o meno lunghi a seconda del livello di funzionamento del b/o; 4 creare situazioni che suscitano manifestazioni spontanee di comunicazione (richiesta di aiuto, ...). INFORMAZIONI DALLA FAMIGLIA hanno lo scopo di fornire: – informazioni su COME il b/o comunica a casa QUANDO comunica DOVE comunica (colloquio strutturato) – sulle PRIORITÀ dei genitori, cioè quello che ritengono più importante e primario che il figlio apprenda a comunicare. 213 scuola Rapporti con gli insegnanti e adulti, con il gruppo dei pari, nei diversi ambienti scolastici. famiglia Differenti priorità che necessariamente richiedono la collaborazione per raggiungere gli obiettivi che sono importanti in entrambi gli ambienti e nelle diverse situazioni quotidiane in cui il b/o si viene a trovare. Rapporti con i genitori, i fratelli, i parenti, a casa, nel quartiere, nel paese. ANALISI DELLA COMUNICAZIONE DIMENSIONI DELLA COMUNICAZIONE FUNZIONE scopo della comunicazione: – attirare attenzione: il b/o desidera l’attenzione di chi gli è vicino; – chiedere: il b/o chiede che gli si dia qualcosa; desidera che si faccia qualcosa per lui; vuole l’autorizzazione a prendere o fare qualcosa; – rifiutare-opporsi-respingere: il b/o respinge e rifiuta un oggetto o un’attività che gli vengono proposti; – commentare-dare informazioni: il b/o esprime delle caratteristiche su se stesso o su persone e oggetti presenti; – chiedere informazioni: il b/o vuole sapere qualcosa; – esprimere stati fisici, emozioni e sentimenti: il b/o comunica malesseri, dolori fisici, stati emotivi che sta provando, sentimenti nei confronti di qualcuno; – manifestare comportamenti sociali: il b/o si presenta, saluta, ringrazia. 214 I bambini con autismo spesso sono limitati nelle abilità di comunicazione, soprattutto verbale. Nominano gli oggetti, ma non utilizzano le parole per uno scopo. Sovente le frasi sono caratterizzate dall’uso immediato o differito di ecolalia. Non sempre il bambino capisce ciò che dice. Accade invece, a volte, che queste frasi siano formulate in contesti appropriati e con scopi comunicativi. La difficoltà sta nel cogliere se il bambino dice qualcosa per comunicare. Ecolalia immediata: ripetizione di una parola o frase appena sentita. Ecolalia differita: ripetizione di una parola o frase a distanza di tempo, anche una o più settimane. Le ecolalie possono essere anche gestuali. FORMA modalità o sistemi di comunicazione non simbolici: atti motori: il b/o spinge una persona o oggetti, tira, sposta gesti: il b/o indica uso di oggetti: il b/o mostra un oggetto per chiedere comunicazione iconica: il b/o utilizza foto, immagini (si costruisce un vocabolario) simbolici: parole scritte: il b/o sa leggere e comprendere linguaggio dei segni: il b/o memorizza, comprende e comunica con persone che conoscono lo stesso linguaggio linguaggio verbale o parlato SIGNIFICATI tipi di contenuto, categorie semantiche PAROLE espressioni specifiche Quali gesti, quali parole, quali immagini? CONTESTO situazione nella quale si comunica Con chi? Dove? In quali circostanze? I bambini con autismo utilizzano spesso una forma di precomunicazione che è personale, privata, non generalizzabile. Essi comunicano con le persone che conoscono bene le loro forme di precomunicazione. È necessario insegnare forme di comunicazione universali, comprensibili a tutti. 215 Tabella tratta da “La comunicazione spontanea nell’autismo” di Watson, Schaffer, Schopler Comunicazione motoria caratteristiche - non simbolica - implica la diretta manipolazione di persone o oggetti - input visivo - output motorio limiti - comunicazione limitata al qui ed ora - può essere difficile trasportare oggetti in ambienti diversi indicatori per la scelta - il b/o manca di abilità simboliche - qualche interesse per gli oggetti - qualche interesse per le persone Comunicazione gestuale caratteristiche - non simbolica - persone, oggetti e azioni sono indicati e non direttamente manipolati - input visivo - output motorio limiti - comunicazione limitata al qui ed ora - i gesti spontanei sono rari tra i b/i autistici indicatori per la scelta - il b/o manca di abilità simboliche - qualche comprensione dei gesti - qualche interesse per gli oggetti - uso funzionale degli oggetti - qualche interesse per le persone Comunicazione iconica caratteristiche - basata sulla rappresentazione - non simbolica - persone, oggetti e azioni sono indicati e non direttamente manipolati - non transitoria (non deve richiamare le immagini dalla memoria) - input visivo - output motorio 216 limiti indicatori per la scelta - le immagini devono essere trasportate in ambienti diversi - in una immagine può essere difficile rappresentare chiaramente alcuni concetti non riferiti a oggetti - vi sono limiti pratici nel numero di immagini utilizzabili - interesse per le immagini - comprensione che l’immagine rappresenta un oggetto, un concetto Comunicazione scritta riconoscimento della parola caratteristiche - simbolica - non transitoria (non deve richiamare le parole dalla memoria) - input visivo - output motorio limiti - le carte-parole devono essere trasportate in ambienti diversi - vi sono limiti pratici nel numero di parole utilizzabili indicatori per la scelta - livello simbolico - comunicazione non verbale o verbale limitata - comprensione che una parola scritta rappresenta un oggetto, un concetto Comunicazione con i segni caratteristiche - simbolica - transitoria (deve richiamare i segni dalla memoria) - input visivo - output motorio limiti - si può comunicare solo con chi conosce i segni indicatori per la scelta - livello simbolico - comunicazione non verbale o verbale limitata - abilità motorie sufficienti per la produzione dei segni - il b/o accetta che le sue mani siano modellate e/o ha buone abilità di imitazione motoria Comunicazione verbale caratteristiche - simbolica - transitoria (deve richiamare le parole dalla memoria) - input visivo - output motorio - sistema usato da altri nell’ambiente del b/o limiti - nei soggetti autistici le abilità uditivo-verbali sono in genere più scarse di quelle visivo-motorie indicatori per la scelta - livello simbolico - ecolalia, abilità di imitazione verbale o qualche forma di linguaggio già presente 217 PENSARE IL PROGETTO EDUCATIVO PER L’APPRENDIMENTO DELLA COMUNICAZIONE Dall’accurata osservazione diretta Dalle informazioni ricevute dalla famiglia... ...la pianificazione di un programma individualizzato Individuazione delle abilità che il b/o possiede Fissare degli obiettivi di comunicazione funzionale Costruire occasioni sistematiche e strutturate di apprendimento funzioni forme significati parole contesti Gli obiettivi devono implicare l’apprendimento di una nuova abilità in una dimensione per volta Strutturare contesti diversi d’apprendimento per dare maggiore flessibilità comunicativa Individuare contesti reali per l’apprendimento, diversi ambienti per dare maggiori opportunità all’utilizzo di una abilità Monitorare i progressi 218 Valutazione delle abilità (a scuola e a casa) DALL’OGGETTO AL SIMBOLO Percorso operativo per b/i che non utilizzano linguaggio verbale, e non possiedono modalità di comunicazione chiare (comportamenti socialmente inadeguati). 1. preparare una serie di oggetti di uso quotidiano e riconoscibili dal b/o: gioco, cucchiaio, bicchiere, piccolo cuscino, scarpa, giacca, … 2. ogni volta che si compie un’azione associare un oggetto e proporlo al b/o dicendo: “Giochiamo! Mangiamo! A nanna! Dormiamo! ...” 3. poi il linguaggio diventa: “Gioca! Mangia!” oppure “la pappa!” (a seconda dell’età del b/o), 4. gli stessi oggetti vanno proposti come scelta: “Cosa vuoi fare?” “Vuoi la pappa?”… 5. quando il b/o utilizza gli oggetti con l’intenzione di comunicare, gli stessi oggetti vanno incollati su cartoncino: carta-oggetto che è il primo passaggio verso il simbolico, l’oggetto non si può utilizzare, ma è forma di comunicazione, 6. si procede con attività in scatola, al tavolo di lavoro, per il riconoscimento e l’associazione di oggetti reali a foto; di oggetti riprodotti in plastica a foto, 7. per la comunicazione il passaggio è quindi quello di sostituire la carta-oggetto con le foto degli oggetti, 8. dalle foto si passa alle immagini e ai simboli P.C.S.; si costruisce una tabella di comunicazione. COMUNICAZIONE AUMENTATIVA ALTERNATIVA È da premettere che si mantengono e potenziano tutte le modalità comunicative dei bambini: vocalizzi, gesti, segni, motori, indicatori, mimica. SCOPI DELLA C.A.A. • • • • • migliorare la comunicazione promuovere l’interazione sociale aumentare la possibilità di inserirsi in un’attività scolastica e/o lavorativa ridurre il disagio causato da un insuccesso comunicativo migliorare la comprensione del linguaggio verbale. Il percorso prevede, per la progettazione, la Valutazione di abilità: a) valutare l’intenzionalità comunicativa del b/o; b) valutare la comprensione dei disegni rappresentanti soggetti, oggetti, azioni, bisogni, … 219 c) valutare la capacità di riconoscimento di alcuni contesti anche rappresentati; d) valutare la capacità di riconoscere figure di diverse dimensioni; e) valutare la capacità del b/o di indicare un'immagine o disegno tra due o più; f) valutare la capacità di indicare anche due immagini in sequenza sulle tabelle tematiche. DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI PER DEFINIRE GLI OBIETTIVI È NECESSARIO PORSI DELLE DOMANDE: “È realistico, attuabile?” “È importante per la comunicazione quotidiana del b/o?” “È tra le priorità richieste dai genitori?” 1. scegliere gli obiettivi che sono passi logici (un passaggio alla volta e ben definito) verso il raggiungimento delle mete scelte per il b/o 2. scegliere obiettivi ben fondati sulle abilità di comunicazione spontanea già possedute dal b/o 3. formulare obiettivi funzionali, utili nell’ambiente di vita quotidiana del b/o GLI OBIETTIVI DEVONO ESSERE DESCRITTIVI DEL COMPORTAMENTO COMUNICATIVO RICHIESTO Definizione di OBIETTIVI (esempi): a) riconoscere l’utilità della comunicazione tramite disegni (PCS) a1) A. “capisce” che se utilizza la tabella, ottiene una risposta b) riuscire ad indicare i disegni per comunicare b1) A. utilizza i disegni per DIRE QUALCOSA c) ampliare sempre più il lessico disegnato per una più ampia comunicazione: di BISOGNI, OGGETTI, EMOZIONI, ATTIVITA', CONTESTI/AMBIENTI c1) A. in ogni nuova situazione dimostra di “capire” che si inserisce in tabella un simbolo nuovo c2) A. utilizza il nuovo simbolo nella situazione creata per la verifica dell’obiettivo 220 d) dare informazioni d1) A. risponde a domande semplici relative a sé e alla sua esperienza indicando disegni sulla tabella e) ottenere che l'interlocutore faccia qualcosa e1) A. in contesti diversi (anche creati apposta) indica un disegno per far agire l’interlocutore f) esprimere desideri, sentimenti f1) A. indica il suo “desiderare la mamma”, “voler andare a casa”, sui disegni della tabella SITUAZIONI COMUNICATIVE Casa Scuola genitori, fratelli, … insegnanti, compagni, bidelli, personale di cucina SVILUPPO DELLA C.A.A. Creazione di contesti che portino a ricercare la soddisfazione di bisogni, di richieste, l’intenzione di esprimere sentimenti, ... STRATEGIE D'INTERVENTO a) b) c) d) e) f) l’intervento si focalizza sull’insegnamento di nuove forme di comunicazione l’intervento deve essere graduale s’introduce la comunicazione su oggetti, persone assenti, eventi passati (e futuri) gradualmente s’introducono nuovi disegni comunicativi si favorisce l’iniziativa comunicativa attraverso ricche modalità interattive l’intervento deve coinvolgere i compagni oltre che gli adulti FORMA ovvero la MODALITÀ di comunicazione Indicare, sulla tabella per la comunicazione, ciò che si vuole dire STRATEGIE D’INSEGNAMENTO Sedute strutturate: il b/o è stimolato a partecipare ad un intenso momento di esercitazione nel quale gli si chiede di formulare gli stessi tipi di risposta agli stessi tipi di stimoli. 221 (es: colorare un disegno, non ci sono colori a portata di mano, il b/o viene stimolato a chiedere i colori). Per il b/o questa è una situazione prevedibile quindi anche facile da capire, è il miglior modo di iniziare ad insegnare un’abilità nuova. Insegnamento incidentale: l’insegnamento avviene sfruttando gli eventi che accadono naturalmente durante la giornata. (es.: evidente manifestazione di malessere del b/o o di un compagno può essere occasione per insegnare a comunicare che si sente male, dove prova dolore). Insegnando delle risposte in contesti naturali si aumenta la probabilità che il b/o capisca che quelle risposte le può utilizzare per comunicare nella vita di tutti i giorni. Costruzione del contesto: predisposizione dell’ambiente circostante per creare un numero maggiore di opportunità di insegnamento in contesti naturali. Questi eventi costruiti devono essere variati nella loro natura e frequenza, in modo da non essere del tutto prevedibili dal b/o. Le variazioni permettono lo sviluppo della flessibilità del b/o nell’uso delle sue abilità comunicative. Tecnica del boicottaggio 1. in un contesto strutturato e conosciuto dal b/o, lo si pone di fronte ad un’attività che gli piace 2. si prepara il materiale in modo tale che manchi qualcosa di necessario per la riuscita del compito, gioco,… 3. si osserva il b/o mentre esegue e si registra il comportamento nel momento in cui si accorge che manca qualcosa ➢ Se si osserva una modalità di richiesta: il b/o si guarda intorno, cerca l’oggetto, fa dei versi, cerca l’operatore, chiede, si interagisce e si risponde alla richiesta. ➢ Se il b/o abbandona il compito: lo si stimola a continuare mostrandogli il “pezzo mancante” “Cercavi questo? Eccolo!....” ; si verifica se la causa dell’abbandono era dovuta a questo il b/o continua l’attività. In questo caso il b/o però non ha esplicitato una richiesta, si deve quindi strutturare un percorso di apprendimento per favorire le richieste (ad es. iniziare con la richiesta di soddisfazione dei bisogni). 222 Facilitare il comportamento dei bambini Aiuti fisici: guidare il b/o fisicamente perché apprenda un’azione. Modelli: fornire un modello completo verbale o motorio del comportamento richiesto (esempio: battere sulla spalla di una persona per attirare l’attenzione). Modelli parziali: fornire il suono iniziale di una parola, l’atto iniziale di un gesto. Aiuti visivi: indicare, porgere, mostrare una persona, un oggetto, una foto, un’immagine, una parola. Aiuti dati sotto forma di domande o di istruzioni dirette: “Che cosa vuoi?”, “Dov’è....?”, “Dimmi cos’è”. Suggerimenti: dare indizi verbali non diretti: “È ora di giocare” per avere la richiesta di un gioco. Prossimità fisica e sguardo diretto al b/o: porsi in atteggiamento di ascolto per sollecitare una comunicazione. Nessun aiuto se non quelli presenti in quella situazione. OBIETTIVO META: imparare a chiedere – Il b/o chiede un oggetto utilizzando una foto in contesti diversi. Osservazione di forma, funzione in un contesto forma Precomunicazione: crisi di collera funzione per chiedere: il b/o vuole un oggetto ad es. un pezzo di puzzle contesto In classe 1 passo: modifichiamo la FORMA forma Utilizzare una foto del pezzo di puzzle funzione per chiedere: il b/o vuole un oggetto ad es. un pezzo di puzzle contesto In classe 223 2 passo: cambiamo il CONTESTO forma Utilizzare una foto del pezzo di puzzle funzione per chiedere: il b/o vuole un oggetto ad es. un pezzo di puzzle contesto durante una seduta dalla psicomotricista COMUNICAZIONE RECETTIVA Per esaminare la comprensione della comunicazione verbale del bambino è necessario porgli (verbalmente) alcune domande e richieste. Se non vi è comprensione è necessario modificare la forma delle nostre richieste: si utilizzano gesti, movimenti, immagini, oggetti, fotografie. Si registrano i comportamenti. Si osservano i cambiamenti motori, della mimica, dello sguardo (ad esempio se il b/o cerca nell’ambiente ciò che gli è stato richiesto; se il b/o dà delle risposte mimiche-motorie anche se non riesce ad esaudire la consegna). 224 Comportamenti problema: gestione della crisi e programmi educativi Stefania Ucelli * Riportiamo di seguito le slides proiettate da Stefania Ucelli durante gli incontri Comportamenti problema Definizione “Un comportamento culturalmente abnorme di tale intensità, frequenza e durata da porre in serio rischio la sicurezza fisica della persona o degli altri, oppure un comportamento che presumibilmente limita in modo grave o fa sì che a una persona sia negato l’accesso alle ordinarie situazioni della vita sociale” (Emerson 1995) * Ricercatore e Docente presso la Clinica Psichiatrica dell’Università di Pavia – Responsabile Scientifico Fondazione Genitori per l’autismo – Direttore Cascina Rossago 225 Comportamenti problema come messaggio Il CP funziona spesso come una forma primitiva di comunicazione per soggetti che non possiedono ancora, o non usano, forme più sofisticate di comunicazione; attraverso i CP possono influenzare gli altri ottenendo una serie di effetti desiderabili, definiti rinforzatori”. E. G. Carr, 1994 Nell’età dell’adolescenza, la maggioranza dei soggetti autistici non presenta modificazioni più drammatiche degli altri coetanei ed in alcuni casi addirittura presenta miglioramenti inaspettati. Kanner e al 1972; Rutter e Bartak 1973; Wing e Wing 1980; Mesibov 1983; Park 1983 Tuttavia in almeno il 30% dei giovani autistici si ha un importante peggioramento. Principali problemi in adolescenza Gillberg Epilessia 20-29% 12% maschi 50% femmine Gillberg & Steffenbaun, 1987 Aggravamento dei sintomi 35% 47% maschi 0% femmine Gillberg & Steffenbaun, 1987 Problemi legati alla maturazione sessuale 35% Gillberg, 1989 Apatia/Depressione/Disturbi affettivi (particolarmente in individui ad alto funzionamento) 22 (44%) Wing, 1981 Questo peggioramento riguarda in particolare quei PDD con più chiara compromissione neurologica; ad es. il Disturbo Disintegrativo della Fanciullezza e in generale gli autismi caratterizzati dal cosiddetto “setback phenomenon” (regressione massiccia dopo sviluppo pressoché normale) che sono circa un terzo degli autismi e che sono ritenuti a prognosi meno favorevole. Kobayashi e Murata 1998. Ma non è limitato a questi casi. L’adolescenza, sul piano neurobiologico, può essere già di per sé un fattore generico di scompenso della vulnerabilità soggiacente. 226 L’adolescenza e poi la prima giovinezza sono il periodo di un secondo “picco” di manifestazione di un’epilessia prima misconosciuta. Rutter 1970; Gillberg e Steffenburg 1987 Il prolungamento delle osservazioni oltre l’età infantile (oltre ai mutamenti nei criteri di inclusione diagnostica) ha progressivamente innalzato le stime di prevalenza nella popolazione autistica sia di epilessia manifesta (dal 18% dell'originale casistica di Kanner al 25% di Rutter 1970 al più del 33% degli studi di popolazione scandinavi più recenti) sia di disturbi EEG significativi anche se non clinicamente espressi (più del 50%). Evidenziando anche per questa via la vulnerabilità neurobiologica di base e rendendo ulteriormente problematico il vecchio progetto di distinguere autismi “puri” da autismi con compromissione neurologica. Gillberg 2000 È osservazione del resto comune, nei soggetti autistici, l’esordio di una epilessia clinicamente manifesta dopo i 18 anni, quando i soggetti sono al di fuori dell’osservazione dei NPI, come in 3 casi di “disturbo disintegrativo della fanciullezza” presenti nella nostra casistica. Ma questi aspetti neurologici non bastano affatto a spiegare le difficoltà del passaggio adolescenziale del giovane autistico. Vi sono molte altre ragioni di ordine psicologico e di ordine psicodinamico. L’adolescenza autistica: aspetti psicologici 1. contenitore mentale del processo adolescenziale e delle sue trasformazioni fragile e indifferenziato 2. accesso impossibile al contenitore “sociale” 3. percezione dolorosa della propria diversità 4. vuoto di prospettive esistenziali 5. depressione Kanner stesso nel 1972, rivedendo la sua originaria casistica, sottolineò come l’accettazione della propria diversità sia uno dei problemi fondamentali dell'adolescenza autistica e uno scoglio importante che ne determina l’evoluzione... Anche L. Wing ritornò su questo aspetto. L’adolescenza autistica rischia dunque, almeno in alcuni casi, di essere un elemento disorganizzatore del sé, rinnovando quella patologia originaria del “sé interpersonale” (Cohen 1983, Neisser 1993, Tomasello 1993, Hobson 1993), causata dalle difficoltà di base, che, dal punto di vista psicodinamico, è l’autismo. 227 Cosa fare di fronte ad un CP Innanzitutto porsi delle domande 1. Che funzione o quale insieme di funzioni svolge quel determinato CP? Comunicativa verso l’ambiente? Di autostimolazione? Di modulazione del flusso sensoriale? Un misto di tutto ciò? 2. In quali occasioni è più frequente? Ci sono delle ricorrenze evidenziabili? 3. Quali comportamenti positivi del repertorio del soggetto autistico potrebbero essere utilizzati in alternativa e/o essere incrementati? ANALISI CP Analisi funzionale CP Ipotesi DATA ORA Contesto generale Contesto interpersonale Comportamento problema Reazione operatore 1. Richiesta di attenzione 2. Fuga dal compito o situazione sgradita 3. Richiesta di oggetto gratificante Elementi fondamentali 1) I CP hanno in genere uno scopo per la persona che li manifesta; 2) l’assessment funzionale serve per identificare tale scopo (o tali scopi); 228 3) lo scopo dell’intervento è l’educazione e lo sviluppo di comportamenti alternativi, non la semplice riduzione del CP. L’intervento cioè deve essere costitutivo di abilità; 4) il CP ha spesso più scopi e richiede molteplici interventi; 5) l’intervento richiede il cambiamento non solo degli individui ma del sistema di relazione e del contesto; 6) la meta finale di ogni intervento è rivolta non al singolo problema ma alla persona, al suo stile di vita. CP aggressivi auto ed etero – condizioni fisiche – contesto – programmi educativi ruolo dei farmaci mantenimento sedazione Gestione della crisi – – – – – – – – – difesa bloccaggio estinzione “capriccio” distorsione psicotica? “bullismo” impulsività incapacità a contenere le emozioni crisi epilettiche atipiche L’operatore di fronte alla crisi – paura – blocco dell’aggressività di difesa – impotenza 229 L’operatore davanti alla crisi Paura – – – – difficoltà a modulare la distanza fisica reazione di paralisi reazione impulsivamente aggressiva reazione di vendetta (punizione differita, rancore) Comportamento aggressivo e punizioni fisiche La punizione nella cultura comportamentista La punizione nella storia della psichiatria 230 Materiali operativi Tratto da: Carr et al. (1998), “Il problema di comportamento è un messaggio”, Erickson, Trento LA GESTIONE DELLE CRISI COMPORTAMENTALI 1. Mettere in atto strategie di gestione delle crisi quando il comportamento problematico ha probabilità di aumentare fino a un livello veramente grave a meno che non venga fermato, o quando ha raggiunto un livello tale da costituire un pericolo per la persona disabile o per gli altri che le stanno vicino. 2. Usare la strategia dell’ignorare per gestire piccoli comportamenti problematici, che abbiano dimostrato di condurre a comportamenti problematici più seri se non vengono fermati. Usare la strategia consistente nel bloccare momentaneamente se il comportamento problematico è così pericoloso da dover essere interrotto immediatamente per evitare ulteriori danni alla persona in difficoltà o agli altri. 3. Quando la crisi è terminata, iniziare o continuare a mettere in atto le procedure di intervento descritte nel resto di questo libro. 4. Verificare i risultati. I risultati saranno positivi quando il comportamento problematico si arresta rapidamente e per un periodo di tempo abbastanza lungo da permettere di iniziare ad applicare strategie di intervento a lungo termine basato sulla comunicazione. LA COSTRUZIONE DEL RAPPORTO - A 1. Stendere un elenco delle attività e degli oggetti preferiti dalla persona con la quale si sta lavorando. Si può trattare di cibo, giochi, argomenti di conversazione così via. II termine tecnico è: rinforzatori individualizzati. 2. Offrire gratuitamente questi rinforzatori. Non occorre chiedere alla persona di lavorare o di fare una richiesta per poterli ottenere. Lo scopo non è quello di condurre una procedura rigidamente tecnica, ma piuttosto di fare in modo che entrambe le parti traggano soddisfazione nell’interagire. 3. Continuare a offrire le attività e gli oggetti per diversi giorni fino a raggiungere il successo. Successo significa che la persona guarda l’educatore quando è nelle vicinanze, cerca di stargli vicino, continua a interagire con lui una volta iniziato l’approccio e parla con lui se ne ha la possibilità. Significa anche che la persona sorride e ride quando sta con l'educatore e, in vari modi, dimostra di gradirne la compagnia. 231 LA COSTRUZIONE DEL RAPPORTO - B 1. Attendere finché la persona si avvicina spontaneamente prima di dare gratuitamente i rinforzatori e proseguire tale procedura per diversi giorni. 2. Una volta che la persona abbia preso l’abitudine di avvicinarsi, attendere circa un minuto per vedere se esprime una richiesta, quindi offrire il rinforzatore. La forma nella quale avviene la richiesta non deve necessariamente essere quella verbale: sono accettabili forme basate sul linguaggio dei segni, sui gesti, su cartellini o qualunque altro mezzo di comunicazione la persona abbia a disposizione. 3. Se la persona non esprime una richiesta entro un minuto, si offre un suggerimento. È importante non eccedere con i suggerimenti, ma suggerire a intermittenza, secondo la necessità, oppure aspettare almeno un minuto prima di offrire il suggerimento stesso. 4. Verificare i risultati ottenuti. Si può parlare di risultati positivi se la persona si avvicina spesso per fare qualche richiesta. Occorre ricordare che tali richieste possono diventare ripetitive e noiose, ma si tratta di un effetto temporaneo e comunque meno grave dell'autolesionismo e dell'aggressione. LA COSTRUZIONE DEL RAPPORTO - C 1. Stendere un elenco dei motivi per i quali non desideriamo interagire di più con la persona in difficoltà. Tale elenco può includere molte cose quali l’igiene personale, la cura di sé, l’abbigliamento e le condizioni fisiche. 2. Per ciascun motivo, scrivere che cosa dovrebbe cambiare al fine di sentirci più portati a interagire con la persona (ad esempio: eliminare l’odore del corpo). 3. Stendere un programma per raggiungere ciascuna delle mete, ad esempio, per insegnare alla persona a fare la doccia e a usare il deodorante. 4. Mettere in atto i vari programmi e controllare i risultati. Si può parlare di successo quando non ci si sente più a disagio per l’aspetto fisico della persona e ci si sente più disponibili ad accettarne l’avvicinamento e i tentativi di comunicazione. Inoltre, il miglioramento dell’aspetto fisico offre ulteriori possibilità di svolgere attività sul territorio e quindi amplia le possibilità di fare esperienze. LA COSTRUZIONE DEL RAPPORTO - D 1. Stendere un elenco delle attività che costituiscono un interesse comune per la persona in difficoltà e per l’educatore. 232 2. Quando è possibile, cercare di far incontrare le due persone su attività che entrambe apprezzano. 3. Continuare costantemente in questa procedura e controllare i risultati. Si può parlare di successo quando la persona in difficoltà chiede frequentemente di svolgere l’attività gradita assieme all’altra persona e quando questa, d’altra parte, inizia spontaneamente l’attività in questione, dimostrando di farlo volentieri. Inoltre, l’attenzione agli interessi comuni offre l’opportunità di uscire di più, da maggiore controllo personale e, in generale, porta a una vita più variata. SCEGLIERE LE FORME ALTERNATIVE DI COMUNICAZIONE - A 1. Insegnare alla persona in difficoltà a rispondere con il nuovo comportamento comunicativo alle situazioni in cui si manifestava il comportamento problematico. 2. Se il comportamento problematico mira a più di un obiettivo (come spesso accade) accertarsi che vengano insegnate diverse forme comunicative in grado di raggiungere ciascuno degli obiettivi del comportamento problematico. 3. Verificare i risultati. Si può parlare di successo quando la persona in difficoltà chiede spesso e in modo adeguato assistenza, attenzione e gratificazioni tangibili, e lo fa in modo rapido e costante nelle situazioni che, un tempo, attivavano il comportamento problematico. Di conseguenza, il comportamento problematico stesso diminuirà o sparirà. SCEGLIERE LE FORME ALTERNATIVE DI COMUNICAZIONE - B 1. Dopo aver scelto una forma comunicativa funzionalmente equivalente, verificare se il problema comportamentale diminuisce fino a un livello accettabile. 2. Se il comportamento problematico persiste, occorre valutare se il ritardo nell’ottenimento della conseguenza desiderata possa costituire un fattore importante. 3. Se il ritardo nel rinforzamento costituisce un fattore importante, osservare la persona per verificare se il comportamento comunicativo richiede uno sforzo particolare. Sapremo che lo sforzo costituisce un problema reale se la persona ha bisogno di troppo tempo per eseguire correttamente la forma comunicativa prescelta o se ha bisogno di troppi suggerimenti da parte di altre persone per rispondere correttamente. Verificare anche se il comportamento comunicativo è di facile interpretabilità per le altre persone. L’interpretabilità costituisce inoltre un problema se gli altri non sapranno rispondere al comportamento comunicativo, o rimarranno confusi (ad esempio chiedendo spesso: “Che cosa vuoi?” oppure dicendo: “Non ho capito” ), oppure daranno spesso un rinforzatore che non è quello richiesto dalla persona. 233 4. Se lo sforzo o l’interpretabilità costituiscono un problema, scegliere una nuova forma comunicativa funzionalmente equivalente che sia più efficiente di quella che si intende sostituire. Dopo aver insegnato la nuova forma comunicativa, ripetere i passaggi da 1 a 3. 5. Minimizzare le proprie reazioni al comportamento problematico per insegnare alla persona in difficoltà che tale comportamento non costituisce più un modo molto efficiente per produrre conseguenze desiderabili. 6. Controllare i risultati per alcune settimane. La nuova forma comunicativa dovrebbe condurre sistematicamente al rinforzamento con un ritardo minimo. La persona dovrebbe usare costantemente la nuova forma comunicativa in tutte le situazioni appropriate. Infine, il comportamento problematico dovrebbe diminuire o sparire completamente nelle situazioni in questione. 234 Riportiamo di seguito, al fine di creare un quadro più completo relativo ai comportamenti problema, anche il materiale fornito da Stefania Ucelli durante i Percorsi Formativi 2004 rivolti ai genitori. I “comportamenti problema” (CP) e i loro contesti Il mio intervento vuole avere soprattutto una funzione introduttiva al tema Cosa sono i “CP”? Perché occuparcene? “CP” corrisponde a “challenging behaviour”, il termine proposto dall'Associazione Americana per la Persone con Grave Disabilità che internazionalmente ha rimpiazzato una serie di definizioni precedenti. La sua definizione è: • “un comportamento culturalmente abnorme di tale intensità, frequenza e durata da porre in serio rischio la sicurezza fisica della persona o degli altri, oppure un comportamento che presumibilmente limita in modo grave o fa sì che alla persona sia negato l’accesso alle ordinarie situazioni della vita sociale” (Emerson 1995). Questa definizione, assai generica, presenta alcuni vantaggi; tra i quali: 1. Non identifica tout court CP con disturbo psichiatrico. Certo, alcuni CP possono essere degli equivalenti o dei modi in cui si manifestano, nelle persone con disabilità mentale, alcuni disturbi psichiatrici. Per esempio alcuni CP (ritiro, apatia, agitazione...) possono essere l’espressione di un disturbo dell’umore (sia in senso depressivo che ipertimico). Così come sono note le sovrapposizioni tra alcuni fenomeni autistici e spettro ossessivo-compulsivo, come confermato anche da alcune evidenze farmacologiche. • “Vi sono crescenti evidenze che agonisti della serotonina o inibitori del suo re-uptake (es.: fluoxetina, clorimipramina...) riducano i sintomi ossessivo-compulsivi nelle persone senza disabilità intellettiva e riducano invece i comportamenti autoaggressivi nelle persone con disabilità intellettiva, quando hanno carattere compulsivo”. (Aman e al.1999; Bodfish e al. 1993; Sovner e al. 1998; Lewis e al. 1996) Ma la maggior parte dei CP non sono affatto sintomi di un disturbo psichiatrico, bensì risposte funzionali adattative a particolari contesti o a particolari aspetti del contesto; ovviamente a partire da quella disabilità e da quella incapacità a comunicare altrimenti. 2. Il secondo vantaggio sta nel riferimento culturale presente nella definizione, che, assieme al termine stesso “to challenge”, chiama in causa il contesto interpersonale. 235 Il contesto è chiamato in causa in primo luogo per l’aspetto comunicativo dei CP, o almeno di segnale (non è in questione qui l’“intenzione” comunicativa). Il CP sta spesso, non sempre, al posto di una comunicazione, di una interazione altrimenti impossibili. Non per niente nell’autismo, che ha al suo centro proprio la disabilità nella comunicazione e nell’interazione, i CP sono così diffusi ed importanti. E. G. Carr intitola così uno dei libri più importanti e belli che siano stati scritti sull'argomento: • “L’ipotesi comunicativa del comportamento problematico sostiene che il CP funziona spesso come una forma primitiva di comunicazione per soggetti che non possiedono ancora, o non usano, forme più sofisticate di comunicazione; attraverso il CP possono influenzare gli altri ottenendo una serie di effetti desiderabili, definiti rinforzatori” (E.G.Carr, 1994). Ci sono innumerevoli studi che dimostrano come nel normale sviluppo infantile i normali comportamenti problematici (piangere, gridare, aggredire...) vengano a poco a poco superati man mano che si sviluppano competenze sociali e linguistiche. Così come ci sono innumerevoli studi che correlano il persistere di tali comportamenti problematici al ritardo nelle acquisizioni di queste competenze. Carr usa la metafora del pianto. Non è una cosa nuova. • “Quando i bambini iniziano a parlare, piangono meno. Si tratta di una progressione naturale. Un linguaggio viene sostituito dall’altro” (J.J. Rousseau, Emile). Oppure, se vogliamo stare più vicini a noi: • “Spesso le esplosioni di rabbia dei bambini autistici sono dovute al fatto che non riescono a chiedere ciò che desiderano usando la parola... sfortunatamente imparano che il modo più rapido di ottenere ciò che vogliono, o anche solo la presenza, è quello di avere una bella esplosione di collera...” (L. Wing 1971). Dicevo che “non sempre” è così. Non bisogna avere posizioni ideologiche, nella clinica. Particolarmente nella clinica dell’autismo, che è tutt’altro che semplice. Sia la metafora del pianto che l’idea che tutti i CP abbiano “già” un valore comunicativo sono troppo semplificanti. E forse anche troppo ottimistiche. La trasformazione del CP in una situazione più comunicativa è spesso invece un duro lavoro. E molti CP sono difficili da far rientrare in questo modello. Ad esempio: alcuni comportamenti sembrano direttamente in relazione con una sofferenza biologica. Recenti lavori scandinavi ad esempio sono riusciti a dimostrare la correla236 zione tra alcune anomalie EEG e alcuni fenomeni critici dell'autismo, come crisi di tantrum e scoppi di stereotipie. Tornerò dopo sui modelli neurobiologici. E poi, soprattutto, vi sono comportamenti, quelli in un certo senso più emblematici dell’autismo, che sembrano intrinsecamente “anti-comunicativi”: non finalizzati ad ottenere una risposta ma anzi con funzione di barriera con l'esterno: comportamenti autostimolatori, omeostatici, che regolano autarchicamente il flusso sensoriale, sia in senso positivo (autostimolazione) che negativo (riduzione, fino al completo isolamento). Potremmo farne un elenco lunghissimo: battere ritmicamente la fronte sul pavimento, annusare e leccare ripetitivamente oggetti, masturbarsi compulsivamente, dondolarsi e girare su se stesso stereotipicamente per ore o girare per ore tra le mani palline di carta... Ma vedremo dopo come anche questi, in qualche modo, chiamino in causa il contesto, come segnali che richiedono una modulazione del contesto. In ogni caso, tutti i comportamenti, anche quelli che hanno di più i caratteri della pura scarica, dell’automatismo, quelli che più si avvicinano al modello teorico dell’epilessia, oppure anche quelli omeostatici e/o di autoregolazione sensoriale autarchica ... tutti questi diversi comportamenti, qualunque sia la loro funzione originaria (che spesso non è unica), non avvengono nel vuoto. Sono comunque dei segnali emessi: a patto che qualcuno li raccolga e suscitano delle risposte. In secondo luogo la definizione che abbiamo dato chiama in causa il contesto perché è comunque nei confronti di questo contesto (e della sua tolleranza), non solo di per sé, che quel CP diventa “problema”. Viene in mente una celebre battuta molto “british” di Beate Hemelin, la grande studiosa che diede avvio negli anni 70 a quel filone di ricerche che poi negli anni 80 si è sviluppato nella “teoria della mente”: “I bambini autistici sembrano ignorare parimenti lo psichiatra e il suo schedario, ma è lo psichiatra che se ne lamenta”. • L. Wing, in un aureo libretto degli inizi degli anni 70, che è un vero “manuale di sopravvivenza per i genitori” suggeriva di cercare di prendere anche dal lato comico le incredibili situazioni sociali spesso provocate dai CP dei ragazzi autistici (es. dei ciechi?). Chi è a stretto contatto con l’autismo sa come questo suggerimento sia purtroppo raramente perseguibile. I CP sono di fatto uno degli ostacoli più gravi all’integrazione sociale delle persone autistiche e contribuiscono a fare dell’autismo, tra tutte le disabilità, la condizione che comporta per le famiglie lo stress più grave. Sentiremo su ciò, nel pomeriggio, altri colleghi. Fermandoci solo un attimo su questo aspetto: è impressionante pensare all’enormità della questione, alla quantità di dolore che comporta e, contemporaneamente, alla scarsità di riflessione sistematica, di ricerca, di strumenti e di strategie di intervento. 237 Questo è uno di quei temi che richiederebbero davvero una forte rete di alleanze tra servizi, famiglie, tecnici, ricercatori, gruppi di auto-aiuto. Il terreno di un grande sforzo collettivo psicoeducativo. In realtà solo un settore della psicologia comportamentistica si è dedicato negli ultimi decenni a riflettere e a cercare di elaborare strumenti di intervento. Tema troppo poco nobile? Troppo poco remunerativo narcisisticamente? I CP interferiscono gravemente con la vita, la socializzazione, delle persone autistiche e delle loro famiglie non solo quando hanno caratteri clamorosi, come quelli aggressivi (più rari nell’autismo) o autolesionistici (più frequenti, in taluni casi gravissimi) o la pica o le crisi di tantrum, eccetera; ma anche quando sono meno clamorosi e più diffusi, come quelli appunto “omeostatici” o la chiusura prolungata in comportamenti stereotipici, il negativismo, le reazioni abnormi od impulsive a qualsiasi variazione, magari anche minima, della sameness... i comportamenti intrusivi o appiccicosi... l’autostimolazione ... Vedete già qui come l’elenco potrebbe continuare e finirebbe col coprire una fetta importante della clinica dell’autismo nell'adulto. Questa estensibilità pone grossi problemi alla ricerca, che presuppone una chiara definizione del proprio oggetto. Tuttavia, solo per dare una dimensione quantitativa del fenomeno, riporto i dati di una delle due ricerche “di popolazione” esistenti sulla prevalenza nella disabilità mentale dei principali CP (quelli indiscutibili e più chiari): solo i dati di Borthwick-Duffy. Il 21% dei soggetti presentava gravi CP. Questi dati riguardano la disabilità mentale in generale. Se pensate come sia opinione diffusa tra i clinici (mancano dati certi) che la prevalenza dei gravi CP (eccetto quelli aggressivi verso l’esterno) nell’autismo è assai più elevata che nelle altre disabilità, avete già un’idea dell’entità della questione. • Prevalenza dei CP (inclusi altri meno clamorosi) in un esteso campione di frequentatori di servizi educativi speciali nel Galles e Nord Inghilterra. • In definitiva, un’alta prevalenza di CP è correlata positivamente: 1. ad un basso QI 2. al sesso maschile (per i comportamenti eteroaggressivi) 3. alla co-presenza di altre disabilità (motorie, visive; ma soprattutto comunicative e di social-skills, quelle più implicate nell’autismo) 4. ai livelli e alla precocità di istituzionalizzazione in contesti restrittivi (dato che non va interpretato semplicisticamente e in modo univoco, come se l’istituzionalizzazione “causasse” i CP; tutte le evidenze a disposizione sull’andamento dei CP nei processi di deistituzionalizzazione impongono anche l’altro percorso, cioè che i CP inducono istituzionalizzazione...) 238 5. ad un eccesso oppure ad un difetto di stimoli (contesti confusi o eccessivamente richiedenti; contesti poco significativi e demotivanti) 6. all’età (tende a crescere progressivamente durante l’infanzia, ha un picco tra i 15 e i 35 anni, poi tende a declinare, con differenze tra i singoli tipi di CP e per sindromi). Dunque si tratta di un enorme problema. Anche nella nostra esperienza, sia nell’ambito dell’attività di consulenza presso i CSE di Pavia, sia nell'ambito dell’attività di counseling presso il Laboratorio Autismo, durante la quale abbiamo osservato più di 100 casi di autismo negli adulti, buona parte delle richieste riguarda la gestione dei CP. Problema che negli adulti è ovviamente ancora più grave: una crisi di tantrum (una perdita improvvisa di autocontrollo con crisi di pianto, urla o comportamenti violenti) in un luogo pubblico di un uomo di 100 chili fa un effetto diverso da quello che può sembrare un capriccio di un bambino maleducato (“ma come deve essere permissiva quella mamma....”); è diverso se non è un bambino, ma un signore distintamente vestito che impassibile infilza la forchetta nella cotoletta del signore del tavolo vicino, oppure che si cala le brache per far la pupù davanti all'ingresso di un supermercato... A parità di significati, la tolleranza del contesto è ben diversa. Di nuovo dunque il “contesto”. Dicevamo prima che ci sono almeno due modi per cui il contesto c’entra: perché il “problema” implica il contesto e perché i CP sono spesso una “risposta” al contesto, o un modo paradossale di interagire con esso, di comunicare un disagio o di ottenere dei vantaggi. Lo sono o possono, strada facendo, diventarlo, qualunque sia stata la loro origine. Dunque capire il rapporto tra CP e contesto è fondamentale. Se non si fa questo sforzo, non solo nessuna modificazione del CP può essere avviata, ma il rapporto tra soggetto che esprime un CP e contesto peggiora, si avvita su se stesso, i CP si autorinforzano, possono solo essere “soppressi”... Non vorrei che questa centratura sugli aspetti comunicativi inducesse dei fraintendimenti. Il messaggio introduttivo generale che il mio intervento vuole dare è invece quello della complessità della questione dei CP: sia nella loro eziopatogenesi che nei meccanismi di mantenimento o viceversa di trasformazione, intervengono fattori neurobiologici, comportamentali, relazionali, ecologici... Bisogna muoversi tra tutti questi piani. Dunque anche i farmaci possono essere utili. Talvolta indispensabili. Come del resto anche alcuni interventi a carattere più o meno decisamente frustrante (estinzione, time-out, ipercorrezione, blocco fisico). Un comportamento grave239 mente autolesivo o una situazione di agitazione perdurante vanno bloccati. Ma tutti questi interventi avranno significati e valori ben diversi a seconda che si integrino oppure no nel contesto di una strategia positiva; strategia positiva che richiede altri momenti, altre tecniche e che ha, al suo fondo, comunque, il chiedersi: “che senso ha questo comportamento?” “ci può comunicare qualcosa?”, oppure “è il segnale di qualcosa?”. È fondamentale se ci poniamo in quest’ottica di ricerca di senso e di comunicazione oppure no; se ci poniamo di fronte al CP come a qualcosa secreto da un cervello rotto, che si tratta di sopprimere, oppure come all’espressione, distorta certo dalle difficoltà di base, di una soggettività che si tratta innanzitutto di intendere, per farla, se possibile, evolvere. Cambia davvero tutto. E non è solo una questione etica (cercare la persona anche nelle sue espressioni più cieche di sofferenza); o addirittura giuridica, come è diventata in America, dove, come molti sapranno, una legge del 1986 impone espressamente agli educatori (si vede che ce n’era bisogno!) quello che Foox ha chiamato il “modello del trattamento meno restrittivo”, cioè impone che l'educatore usi dapprima tutte le tecniche positive (prompting, modelling, rinforzo...) e proceda via via nella gerarchia verso il basso e verso gli interventi negativi solo in caso di comprovata inefficacia... Su quella opzione di fondo, che certo è anche etica, si gioca in realtà la qualità complessiva, evolutiva oppure no, degli interventi. In quest’ottica “integrata” e con queste premesse eccovi dunque riassunte le principali ipotesi neurobiologiche. • “Modelli neurobiologici 1. Sistemi dopaminergici” a. le persone affette da sindrome di Lesch-Nyhan, che presentano tutte comportamenti autoaggressivi (morsi) mostrano significativi deficit della trasmissione dopaminergica in certe aree del cervello e diminuiti livelli di dopamina e metaboliti (Breese et al. 1995; Nyhan 1994); b. alterando sperimentalmente le vie dopaminergiche in ratti neonati, la somministrazione di agonisti della dopamina produce un grave comportamento di “self-biting” che può essere bloccato con antagonisti della dopamina (Breese 1995); c. scimmie cresciute in situazioni di isolamento e deprivazione manifestano comportamenti autoaggressivi, che compaiono verso i 3-5 mesi, persistono nell'età adulta e sono accentuati da stress ambientali (Kraemer 1990). Tali comportamenti sono associati ad alterazioni che diventano permanenti delle vie dopaminergiche (Lewis 1992). Cervello e contesto sono profondamente in relazione fin dall'inizio nei due sensi; d. alcune evidenze suggerirebbero che alcuni antagonisti dei recettori D1 e D2 della dopamina ridurrebbero i comportamenti autoaggressivi (Aman 1999; Gualtieri 1989; Schroeder et al.1995); 240 e. diverse evidenze da diversi campi sperimentali suggeriscono che alterazioni precoci delle vie dopaminergiche D1 e l’persensitività nei recettori D1 rimanenti sono correlate alla genesi di comportamenti autoaggressivi e che anormalità nei sistemi recettoriali D2 sono correlate alla genesi di stereotipie. Non è chiaro quanto questi siano effetti diretti delle alterazioni dopaminergiche e quanto invece siano effetti dello squilibrio conseguente tra sistemi dopaminergici e serotoninergici; f. il dato sulle scimmie cresciute in isolamento che presentano secondariamente alterazioni permanenti dei sistemi dopaminergici e comportamenti autoaggressivi ha implicazioni (per il momento teoriche) nelle strategie riabilitative precoci per quei soggetti “a rischio” che, per un danno originario, hanno difficoltà di legame e rapporto con i care-givers e il mondo intorno. Tutti i sistemi dei neurotrasmettitori e neuromodulatori sono funzionalmente correlati. • “Modelli neurobiologici 2: Sistemi serotoninergici” a. i sistemi serotoninergici (esistono almeno 11 tipi di recettori serotoninergici, alcuni inibitori, altri eccitatori) sono funzionalmente correlati ai livelli di vigilanza, al controllo degli impulsi, all'ansia e alla depressione, ai fenomeni ossessivo-compulsivi; b. in animali, lesioni di sistemi serotoninergici o inibizione della sintesi di serotonina, aumentano l’aggressività. L’aumento della sintesi di serotonina o la somministrazione di suoi agonisti, diminuisce i comportamenti aggressivi (Baumeister e Sevin 1990); c. in soggetti umani non disabili vi è qualche evidenza di una correlazione negativa tra livelli di serotonina e metaboliti nel fluido cerebrospinale e aggressività (Baumeister e Sevin 1990; Thompson e al. 1994); d. agonisti serotoninergici e inibitori del re-uptake (Fluoxetina ecc.) possono ridurre i fenomeni ossessivo-compulsivi e i comportamenti autoaggressivi e aggressivi nelle persone con disabilità (Aman e al.1999; Racusin e al. 1999; Sovner e al. 1998; Verhoeven e Tuinier 1999); e. anche le diete che aumentano i livelli di serotonina sono state indicate come riduttrici dei comportamenti autoaggressivi (Ellis e al. 1999; Gedye 1991). • “Modelli neurobiologici 3: i peptidi oppioidi” a. in soggetti disabili con comportamenti autoaggressivi si è evidenziato un aumento di livelli di beta-endorfine rispetto a gruppi appropriati di controllo (Sandman e al 1990); b. il naltrexone, antagonista delle beta endorfine ha prodotto in alcuni casi una significativa riduzione dei comportamenti autoaggressivi. I suoi effetti sono strettamente correlabili ai livelli in cui le beta endorfine sono innalzate nel plasma dagli episodi di auto-aggressività; 241 c. Sandman ha avanzato 2 modelli ipotetici di correlazione tra beta endorfine e autoaggressività: il modello dell'eccesso congenito di oppioidi endogeni, che condurrebbe ad un innalzamento permanente della soglia del dolore e l’addiction hypothesis (l’autostimolazione, attraverso il rilascio di oppioidi endogeni, provocherebbe una sorta di “sballo” che viene costantemente ricercato come piacere autarchico). Sandman ha inoltre messo in evidenza suggestive correlazioni tra comportamenti autoaggressivi e un fenomeno assai diffuso ed importante, vale a dire la risposta paradossa ai sedativi. Torniamo dunque alla nostra ricerca di senso dei CP. Abbiamo detto che il valore comunicativo dei CP non è né un dato certo né un dato “statico”. Qualche volta non c’è, altre volte magari si costruisce strada facendo. Si costruisce strada facendo nella genesi del CP, magari attraverso le risposte che a quel CP sono state via via date ed il valore funzionale che esso ha assunto; si decostruisce e ricostruisce strada facendo, in modo migliore (si spera), nella sua presa in carico. Cosa dobbiamo fare di fronte ad un CP? Dobbiamo intanto, porci alcune domande: Possiamo riassumerle così: 1. Che funzione o quale insieme di funzioni svolge quel determinato CP? Comunicativa verso l’ambiente? Di autostimolazione? Di modulazione del flusso sensoriale? Un misto di tutto ciò?... 2. In quali occasioni è più frequente? Ci sono delle ricorrenze evidenziabili? 3. Quali comportamenti positivi del repertorio del soggetto autistico potrebbero essere utilizzati in alternativa e/o essere incrementati? I temi fondamentali del percorso che da ciò può partire sono così riassunti da Carr: 1. I CP hanno in genere uno scopo per la persona che li manifesta 2. L’assessment funzionale serve per identificare tale scopo (o tali scopi) 3. Lo scopo dell’intervento è l’educazione e lo sviluppo di comportamenti alternativi, non la semplice riduzione del CP. L’intervento cioè deve essere costitutivo di abilità. 4. Il CP ha spesso più scopi e richiede molteplici interventi: ad esempio la stessa persona può battere la testa a casa per ottenere l’attenzione del padre a casa, in classe per costringere l’nsegnante a sospendere la richiesta di performance, al supermercato per ottenere una stecca di cioccolata. I tre scopi, ricerca di attenzione, fuga dal compito, ottenimento di un cibo, sono diversi. 5. L’intervento richiede il cambiamento non solo degli individui ma del sistema di relazioni e del contesto. 242 6. La meta finale di ogni intervento è rivolta non al singolo problema ma alla persona, al suo stile di vita. Ognuno di questi punti richiederebbe un’intera relazione. Mi soffermo solo su pochi aspetti. Anche i CP “omeostatici”, di riduzione o aumento o modulazione autarchica del flusso sensoriale sono segnali che richiedono una modulazione del contesto. Ad esempio può trattarsi di un contesto che facilita la chiusura, troppo povero di stimoli significativi, troppo poco “alimentato”. Oppure, viceversa, può trattarsi di un ambiente troppo caotico, o iperstimolante. Quando Carr scrive che la meta dell’intervento è lo stile di vita, contestualmente critica in modo feroce quegli interventi eccessivamente al ribasso e segmentanti che in qualche modo colludono con le caratteristiche dell'autismo, si basano su una idea astratta e decontestualizzata dei processi di apprendimento, non creano nessuna contestualizzazione positiva e finiscono con l’essere isolati da qualsiasi valore ecologico: “... ad esempio (di questa frammentazione e dell'incapacità di collegare strategie educative e contesti ecologici) ... si potrà pensare che un obiettivo sia infilare perline di vetro, supponendo che questo esercizio, ripetuto, affini le abilità motorie o di attenzione da usare, più avanti, in contesti lavorativi ... o andare in gita al centro commerciale a salutare Babbo Natale e le sue renne anche se la persona in questione ha 30 anni...” (E. G. Carr , Il problema di comportamento è un messaggio). In sostanza, riflessione sulle strategie di gestione dei CP, riflessione sui contesti abilitativi e riflessione sui contesti di vita, di una vita adeguata all’esperienza e alla condizione di un adulto, sono problemi che non si possono scollegare. Per questo abbiamo sviluppato un così forte interesse per il modello e l’esperienza delle farm communities. Abbiamo avuto occasione di visitare diverse di quelle ricordate prima da J. Giddan e siamo stati colpiti, insieme, dalla qualità di vita, dall’atmosfera affettivo-relazionale e dalla riduzione dei CP (fino ad un minore uso di farmaci). Vi sarebbero tante altre cose. Ma su questa nota di speranza concludo. 243 La valenza dell’intervento psicomotorio e musicale nelle attività didattiche e ludiche per l’autismo Stefania Donda * Riportiamo di seguito il materiale fornito da Stefania Donda durante gli incontri Autismo e psicomotricità Il gioco psicomotorio è il gioco che favorisce una stretta relazione tra l’aspetto psicologico e l’aspetto più motorio, il corpo viene considerato come un linguaggio che parla (linguaggio non verbale). Una delle difficoltà, nei ragazzi autistici è capire il loro linguaggio corporeo. Io sono convinta però che a tutti i ragazzi piacciono i giochi tonico-emozionali e i giochi senso-motori. Vediamo quali sono le caratteristiche di questi due tipi di movimento. Il dialogo tonico È un movimento caratterizzato da continuità tonica, fluidità, che possiede una linearità circolare, privo di spezzettature, di brusche rotture, che modula il tono su una gamma centrale tra i poli opposti di tensione-distensione. Possiede un ritmo lento, dolce, ondulare. È il dondolare, cullare, oscillare. Questo tipo di movimento è un elemento del linguaggio corporeo che comunica benessere, presenza. Esso provoca una vera e propria iper-stimolazione di tutta la sensorialità interna, quella vestibolare e labirintica in particolare, e di quella esterna, del tatto (vibrazione, calore). Il significato fondamentale del movimento fusionale è il vissuto di esistere con... un vissuto che apre al piacere condiviso e alla comunicazione. * Operatrice Spazio Autismo Seriate e Spazio Famiglia – Esperta in Psicomotricità con Diploma Isef 245 Il movimento senso-motorio Il movimento senso-motorio, al contrario di quello tonico, è caratterizzato da brusche rotture toniche; invece che sulla continuità si basa sulle rotture. È caratterizzato da corse, salti, cadute, rotolamenti, contatti violenti: spingere, tirare, arrampicarsi, scivolare, cadere, girare ecc.., tutti gli usi possibili del corpo, in genere vissuti con la massima intensità sia fisica che emotiva. Tutte queste attività hanno lo scopo di presentare al bambino il proprio corpo come complesso di potenzialità da scoprire attraverso il loro uso. Ecco giustificata l’ebbrezza emozionale di un salto, di una corsa, di un lancio. Il piacere senso-motorio, dicevamo è caratterizzato da rotture toniche continue e brusche, è il gioco continuo di rilevare e perdere la propria dimensione corporea attraverso variazioni di peso, di equilibrio. Tutto il movimento senso-motorio è un giocare sulle sensazioni che fondano e strutturano l’identità corporea personale. Il movimento stesso diventa l’elemento privilegiato dell’espressività corporea. Partendo da questi due presupposti, ho provato il piacere di far sperimentare a questi ragazzi i due tipi di gioco, per stare ad osservare il loro comportamento e cercare di capire (per tentativi ed errori) se anche per loro poteva essere un piacere e, in caso positivo, far nascere in loro il desiderio di ripeterlo e, quindi, di comunicarmelo. 246 Riportiamo di seguito il materiale fornito da Gina Forlani durante gli incontri Musica DUPLICE ASPETTO PIACERE ASCOLTO PRODUZIONE EMOZIONI ASCOLTO • l’ascolto non è un’attività passiva: al contrario si mettono in gioco una serie di facoltà fisiche, mentali ed emotive: immagini di sentimenti, ricordi, anticipazioni, divagazioni, emozioni; • “sentire” è un lasciarsi andare, invadere dai suoni, senza avere sempre una reale percezione a livello cosciente; • “ascoltare” presuppone un atteggiamento diverso, è una sollecitazione generale del corpo e del pensiero che fa “andare verso il suono”. ASCOLTO PIACERE MEMORIA MOVIMENTO Ascolto è anche UNIONE, gruppo 247 PRODUZIONE • • • • percezione sensoriale intenzione relazione dialogo sonoro Percezione sensoriale • utilizzo degli strumenti musicali per far “sentire il proprio corpo” • stimolare all’ascolto sensoriale * • l’effetto sinergico dell’approccio multisensoriale stimola l’apprendimento * ANALIZZATORE FUNZIONE CONSEGUENZA: CAMBIAMENTI TATTO TOCCARE DISCRIMINARE OLFATTO “SENTIRE” ANNUSARE GUSTO “SENTIRE” ASSAPORARE UDITO “SENTIRE” ASCOLTARE VISTA VEDERE GUARDARE MOTRICITÀ AGIRE ESEGUIRE Consapevolezza di sé e crescita dell’identità INTENZIONE • potenziare e sviluppare la tattilità, la motricità, la vocalità, la comunicazione, l’identità in un percorso che vede il bambino intenzionato al fare, all’agire per rilassarsi, sorridere, muoversi, volgere lo sguardo o porgere l’orecchio verso il suono, giocare, partecipare per giungere al gesto guidato verso la relazione intenzionale, voluta dal bambino stesso; • l’idea che esiste intenzionalità anche in un corpo “prigioniero del deficit” è confermata dal fatto che molte risposte vengono date in un dialogo sonoro rispettando i turni della comunicazione. È la mia finalità il potenziare e sviluppare questa abilità. 248 RELAZIONE • prendere atto dell’esistenza degli altri come individui che interferiscono nei nostri comportamenti; • capacità di uscire dal proprio punto di vista ed assumere quello dell’“altro”; • stabilire rapporti di collaborazione con gli altri anche per il raggiungimento di obiettivi comuni. “DIALOGO SONORO” Utilizzo degli strumenti per una comunicazione: • ascolto • rispetto dei turni • espressione delle emozioni EMOZIONI • • • • • • ogni suono implica una reazione ogni suono lascia in noi una traccia ogni individuo dà ai suoni percepiti un carico di memoria, un carico di piacere ogni suono fa vivere un’emozione produrre un suono provoca una gratificazione fisica ed emotiva suonare uno strumento è fonte di gioia e di energia SEQUENZE DEL PERCORSO GIOCO-MUSICA • Conoscenza: – informazioni dai genitori e/o insegnanti e loro coinvolgimento anche durante l’attività • Osservazione: – presenza di atteggiamenti esplorativi rivolti agli strumenti musicali; – produzione di espressioni vocali spontanee o imitative, suoni onomatopeici, canzoncine, …; – atteggiamenti di attenzione ed ascolto alle produzioni sonoro musicali proposte; – capacità imitative sonoro musicali; – presenza di abilità ritmiche-musicali; – presenza di atteggiamenti di condivisione e relazione. 249 • Finalità: – sviluppare e migliorare la comunicazione con il mondo che ci circonda – stabilire contatti attraverso canali diversi da quelli costituiti dalla lingua – attivare l’interazione degli analizzatori sensoriali – percepire gli effetti sonori prodotti dagli strumenti e dal corpo – attivare una serenità globale nei vissuti – agire con intenzionalità STRUMENTI • • • • • • di semplice utilizzo di facile spostamento di grande potenza sonora che facilitino la creatività di materiali diversi IL PROPRIO CORPO I b/i e gli strumenti 1) 2) 3) 4) conoscenza prova scelta utilizzo Sequenze della produzione sonora 1) caotica individuale, rispecchiamento 2) ritmica 3) creativa 4) dialogica 250 eseguita insieme ATTIVITÀ • • • • • • • accoglienza tramite un oggetto sonoro, canzoncina di saluto ascolto del b/o proposte con gli strumenti musicali canzoncine improvvisate a seconda delle necessità movimenti stimolo alla relazione saluto finale RIFLESSIONI Nella mia esperienza ho riscontrato che il suono ha avuto potenzialità attivanti sotto ogni aspetto favorendo: – una crescente relazione sia diretta che mediante gli strumenti musicali; – un uso del corpo maggiormente coordinato, un uso della voce differenziato: dal grido al vocalizzo; dal vocalizzo alla parola; – una maggior comunicazione sonora e gestuale; – una capacità attentiva sempre maggiore; – una capacità ritmica sempre più diversa, meno ripetitiva; – un incremento delle abilità cognitive e didattiche (dal ritmo al numero). 251 “CONTRIBUTI” Adolescenti ed adulti con autismo: la sessualità possibile Alcune riflessioni Paolo Aliata, Stefania Ucelli * Tentativi di fuga, ritorni e riflessioni Movimenti di istinto a fronte del tema sessualità: da un lato mettere le mani avanti: “è una tematica difficile da trattare, già nelle persone con normalità, figuriamoci in quelle con disabilità, per non parlare poi in quelle con Autismo”…; dall’altro un altro primitivo movimento: affidarsi a disperate ricerche bibliografiche, che dicono alla fine della stessa difficoltà: poco su sessualità e disabilità, pochissimo su sessualità e autismo. Infatti, sull’argomento specifico della sessualità nelle persone con autismo, la letteratura è scarna. La letteratura scientifica consiste da un lato in una produzione che di scientifico non merita neanche il nome: lavori che sono l’emanazione dei principi etici o della filosofia di vita di chi la scrive, con la citazione di casi clinici o conferma di enunciati preformati. Per fortuna, però, dall’altro lato, fin dalla fine degli anni ’70, compaiono lavori e reviews nordeuropei basati sull’osservazione clinica di soggetti adulti, ad esempio svolta in contesti residenziali e lavori di tipo psicoeducativo su come fornire ai soggetti disabili una educazione sessuale appropriata, nella convinzione – che condivido pienamente – che la sessualità è una dimensione fondamentale della vita umana e, quindi, un diritto che va tutelato con l’educazione per i soggetti disabili. Considero ricco di spunti ed equilibrato il report Danese di D. Harecopos e L. Pedersen, finanziato nella parte sperimentale del Ministero Danese per gli Affari Sociali. Vi è inoltre un capitolo del libro di Schopler e Mesibov sugli adulti autistici. Sono preziosi spiragli da tenere in considerazione, che però riportano al punto da cui è stato attivato il mio primario tentativo di fuga. Perché questa fatica ad affrontare il tema della sessualità nella disabilità e nell’Autismo? Come se il concetto di intimità, già così impercettibile e delicato, privato e, con voluta ripetizione, “intimo”, svanisse ma mano che ci si allontana dalla normalità, per diventare rarefatto e quasi assente, almeno al pensiero, nella disabilità. O come se, altra sfumatura dello stesso movimento, già fosse tanto oneroso affrontare tematiche “pubbliche” della disabilità, che diventasse faticoso affrontare anche la “privacy” * Già Coordinatore e Direttore di Cascina Rossago 255 della persona disabile. O forse, e l’ipotesi più verosimile e pesante da condividere, ci sta tutta la personale difficoltà a trattare di intimità e di relazioni tra intimità, sia da un punto vista fisico che emotivo. Una sorta di proiezione di difficoltà verso il tabù sessuale. Difficile sarebbe per i normali affrontare le reazione che genererebbe un pensiero sulla sessualità per i disabili. Da qui rimozione e negazione. Il fatto che davvero pochi studi e report sul disturbo autistico, dunque, si siano concentrati su problemi di natura sessuale è probabilmente dovuto alla generale tendenza nella società ad ignorare o perfino sopprimere la sessualità come una naturale ed integrata parte dello sviluppo della personalità. Nel ventesimo secolo, molte persone con disabilità mentali e fisiche sono state confinate in istituzioni e la loro vita sottomessa a sorveglianza, controllo, sinonimo paradossale di abbandono. Queste persone non hanno avuto alcuna opportunità di avere una vita privata nella quale la loro sessualità potesse svilupparsi all’interno di una struttura emozionale stabile, sicura e significativa. Ciò ha portato ad una sessualità repressa o soppressa, ad una vita “monca” o con una attività sessuale spesso vissuta in circostanze umilianti e deprimenti. Anche se già nel 1987 Buttenschon dimostra nel suo lavoro quanto falsa sia la convinzione che le persone con ritardo mentale non abbiano o abbiano solo una ridotta attività sessuale, secondo le rivelazioni degli autori nordamericani è dura a morire la convinzione che la sessualità delle persone con disabilità mentale sia pericolosa e incontrollabile. Questo è evidente ogni volta che la persona “con normalità” si confronta con la persona con “disabilità” all’interno di ambienti residenziali in contesti urbani. “Il fatto che io non abbia integrato alcuna rappresentazione dell’oggetto non necessariamente significa che le mie rappresentazioni siano disintegrate. Per capirmi bisogna superare la teoria della relazione con l’oggetto. Non sono affatto nata con quella struttura e non ne ho alcun bisogno. Ciò non significa che la mia esistenza non sia tuttavia altrettanto piena, ma semplicemente che è diversa. Apprezzo cose diverse nella vita e, come altri individui autistici, voglio essere rispettata e considerata per quello che sono” . (Gerland) La sessualità fa fatica dunque a trovare un equilibrio nella percezione dell’asse vitale delle persone con disabilità: dal niente all’eccesso, o una sessualità negata o una sessualità negativa (anche, o forse soprattutto, per gli altri “normali”), o una sessualità annullata e annullabile o pericolosa. Come se là dove non vi sia segno o parola, o vi sia solo (all’estremo opposto) comportamento problema, non vi possa essere comunicazione, relazione, desiderio ed intento comunicativo di soggettività, di umanità di vita. 256 Ho la fortuna di lavorare a Cascina Rossago, che, tra le tante cose, per me è anche un prezioso laboratorio di riflessione sulla natura stessa dell’esperienza autistica, manifestamente evidente e vera in un contesto così densamente vissuto nella quotidianità. Da questa officina di costruzione di pensiero ed azione ho raccolto gli strumenti per provare a portare alcuni spunti di riflessione, per dare giusta “possibilità” al diritto di sessualità nelle persone come autismo. La mia esperienza (anche se non lunga) e il mio modo di vedere le cose mi fanno dire che esiste una sessualità possibile per il mondo della disabilità e dell’autismo in particolare che mi è dato di vivere. È una sessualità particolare, “personale”, “delicata”, “buona”, “naif”, insieme espressione e ricerca, come tutte le sessualità, o la sessualità di tutti, di un bisogno, di un desiderio, di un’emozione, di un significato. Rimane comunque pur sempre la mia esperienza ed il mio pensiero, senza alcuna pretesa di esaustività e completezza. Combinazioni difficili (e compromesse) di un percorso possibile: sessualità, ... Anche per le persone con autismo è possibile una sessualità da vivere ed affrontare con le caratteristiche proprie dei protagonisti. Questa possibilità si declina mettendo a sistema tre “elementi vitali” che la persona vive: l’autismo, la sessualità e l’adolescenza/adultità. Tre “essenze” che si combinano, si intrecciano. Il percorso di riflessione parte dalle “competenze” richieste dalla sessualità, per verificarne la “disponibilità” nelle persone con autismo alla luce delle caratteristiche nucleari del loro disturbo e per “calarle” poi nel periodo dell’adolescenza di un soggetto autistico. Ne esce un quadro denso di “compromissioni” e di altrettante luci e aperture. Tutti spunti di riflessione. Cosa è la sessualità? Cosa comporta? La sessualità è parte della crescita fisiologica collegata alla maturazione neurologica, ormonale e psicologica. Si sviluppa normalmente insieme al sentimento di Sé attraverso l’interazione sociale e la comunicazione, il contatto fisico, il gioco e l’assimilazione di regole e norme sociali. Sessualità è esperienza emozionale del proprio Sé e del Sé con gli altri. È fantasia e fantasticare, è percezione e percepire, è immagine e immaginare. È sogno e sognare. È desiderio e desiderare. È attesa e capacità di saper aspettare per rimandare l’appagamento del desiderio. È dolore e sofferenza, capacità di sacrificare e di “sopportare” la frustrazione. La sessualità richiede, inoltre, tutta una serie di competenze che riguardano la comprensione di significati e concetti simbolici e codici tratti dalla vita quotidiana. Implica desiderio, capacità di controllare l’eccitazione e infine l’orgasmo. Deve essere scoperta, messa in pratica, esperita. Necessita di tutto questo sia per svilupparsi in una dimensione solitaria che di scambio con gli altri. Non può dunque essere data in gioco, da sola od insieme agli altri, a prescindere dai valori di fondo. 257 … Autismo ... La sessualità richiede in sintesi ampie e raffinate capacità di relazione, comunicazione, immaginazione, proprio le aree di capacità compromesse nella persona affetta da disturbo autistico. Infatti, attraverso le versioni DSM-III (APA, 1980), DSM-IV (APA, 1994), ed aggiornamenti DSM III – TR (APA, 1987) e DSM-IV-TR (APA, 2000), si definiscono, su un piano esclusivamente clinico- descrittivo, come criteri essenziali di identificazione del nucleo del comportamento autistico la contemporanea presenza di un: o disturbo qualitativo della interazione sociale reciproca; o disturbo qualitativo della comunicazione verbale e non verbale e dell’attività immaginativa; o repertorio nettamente ristretto delle attività e degli interessi. Tale base per l’elaborazione del costrutto diagnostico, proposta inizialmente per la definizione di Autismo Infantile del DSM-III-R (APA, 1987), è la cosiddetta triade sintomatologica (Wing e Gould, 1979). Quale sessualità possibile alla luce di tali compromissioni? Quale sessualità per una persona che definisce la propria realtà come “una massa interattiva e confusa di eventi, persone, luoghi, rumori e segnali.”, “inesorabilmente caotica”, in cui “niente sembra avere limiti netti, ordine o significato” (Therese Jollife, in Temple Grandin, Thinking in Pictures, 1995). “Io mi sento come se ogni emozione mi vibrasse dentro e mi facesse tremare come se prendessi la scossa. Questo mi succede con la rabbia, con la gioia, con la tristezza, con la paura e se persone a me vicine sono emozionate io riesco a sentire quello che provano”. (I., 17 anni) Sappiamo che l’interazione sociale, la comunicazione e il contatto fisico (e le relativa integrazione delle emozioni) sono aree problematiche di primo ordine per le persone con autismo. Sappiamo che una persona con autismo trova difficoltoso o non è in grado di relazionarsi con altre persone e che spesso ha problemi nella comprensione e nell’espressione dei suoi sentimenti, bisogni e desideri. Noi sappiamo che la loro limitata fantasia e abilità ad immaginare e la loro tendenza a ritualizzare e ripetere schemi comportamentali in modo stereotipo impedisce di fare “esperienza della vita”. Essi sono limitati nella loro abilità a relazionarsi alle esperienze, sia in relazione a contesti fisici, sociali e psicologici. Sappiamo della sua nucleare difficoltà ad integrare le emozioni. 258 Può sembrare difficilmente “vivibile” una sessualità talmente compromessa nelle sue vie di accesso, di pensiero e di azione, di esperienza. Di fondamentale significato è la presenza nella definizione diagnostica del DSM-IV-TR dell’aggettivo qualitativo (incluso per la prima volta nel DSM IV). Da un punto di vista “tecnico” richiama l’esistenza di un range di compromissioni piuttosto che l’assoluta presenza o assenza di un particolare comportamento quale sufficiente per soddisfare un criterio per la diagnosi. Da un punto di vista “educativo”, apre la possibilità di cercare e trovare anche tramite abilità così fortemente compromesse, ma esistenti, espressioni di soggettività, persone che, con o nonostante il loro autismo possono, “esprimere” e vivere la loro sessualità, o “dire” la loro. “Chiedetevi non quale malattia la persona abbia, ma piuttosto quale persona la malattia abbia”. Oliver Sacks, “Un antropologo su Marte” Vi possono essere anche altre compromissioni, anche se qui interessano gli aspetti psicoeducativi. Il processo di crescita e maturità sessuale di una persona con autismo infatti può essere influenzato da un gran numero di disordini nel sistema nervoso, nel metabolismo e nei processi ormonali. L’epilessia è comune e spesso richiede rimedi farmacologici. Farmaci antipsicotici sono spesso usati per limitare e contenere comportamenti aggressivi ed autolesionistici e possono inoltre influenzare la pulsione sessuale. Studi tra adulti pazienti psichiatrici indicano che gli antipsicotici possono avere un effetto inibitorio sulla libido, sulla erezione e sulla eiaculazione (Mitchell & Popkin, 1983; Hertoft, 1987). ... e adolescenza E, per chiudere (o per aprire?) il sistema: quale sessualità per l’adolescente con autismo. Ecco il quadro all’interno del quale la sessualità mostra e chiede i suoi primi segni: “Il processo adolescenziale di per se stesso è in genere fortemente traumatico per i giovani autistici. L’intero contenitore mentale del processo adolescenziale è precario; il sistema delle identificazioni personali è inadeguato, i processi introiettivi fortemente ostacolati. La montata pulsionale trova l’apparato mentale dei soggetti autistici impreparato a contenerla, significarla, mentalizzarla ed integrarla. Quel faticoso e conflittuale processo di disinvestimento, emancipazione dai legami interni ed esterni, reinvestimento, re-introiezione di nuove immagini identificatorie, alla ricerca di una identità autonoma che è l’adolescenza, nel nostro risulta pressoché impossibile. Anche l’accesso al “contenitore sociale” delle problematiche adolescenziali (gli schemi sociali, le immagini condivise, il gruppo dei coe259 tanei) la cui importanza è ben nota, è in questo caso impossibile. In queste condizioni l’adolescenza rischia di essere un elemento disorganizzatore del sé, rinnovando quella originaria patologia del sé (altra faccia dell’impossibilità di costituirsi di una alterità e quindi di una socialità condivisa) che dal punto di vista psicodinamico è l’autismo. Per questo gli adolescenti autistici accentuano i meccanismi di difesa primitivi (smontaggio dell’esperienza, isolamento, chiusura, disinvestimento, bisogno di “sameness”) e per questo le faticose acquisizioni raggiunte sono spesso messe a dura prova… Inoltre finito il faticoso periodo dei tentativi di inserimento scolastico, il giovane adulto autistico trova davanti a sé il vuoto: vuoto di interventi, vuoto simbolico, vuoto di prospettive di vita” (Barale, Ucelli, 1999). La pubertà con l’improvvisa crescita e l’evidente mutazione nell’aspetto fisico e con la prorompente pulsione sessuale può spesso produrre una forte ansia nella giovane persona con autismo, che non sta capendo cosa gli stia succedendo. Nei ragazzi autistici che non hanno malattie concomitanti e non sono sedati da neurolettici, il picco ormonale produce un’impulsività difficilissima da integrare e da trasformare in un processo di significazione. Il report danese riporta l’esperienza di una ragazza autistica che descrive l’orribile sensazione che sentiva dentro ed attorno alle zone genitali. Qualche volta, lei parlava rivolgendosi a queste parti, dicendo di smetterla. Passava da momenti in cui si faceva del male, ad altre in cui rifiutava qualsiasi contatto per il disgusto che provava. Le erezioni spontanee possono creare immagini di grande paura e sensazioni di incontrollabilità: immagini del pene che scoppia, che si stacca, etc… sono riferite di frequente. Il difficile accesso alla comprensione delle norme e regole sociali e la compromessa capacità di relazionarsi, sotto effetto di una impulsività prorompente, possono creare dei problemi: un adolescente autistico può toccarsi in pubblico o masturbarsi o può toccare o abbracciare o baciare estranei. Il desiderio di avere un partner può diventare un’ossessione. È il momento degli innamoramenti, seguiti da inevitabile frustrazione. Difficoltà correlate a tentativi di stabilire legami “amorosi” e/o il rifiuto di forme inadeguate di sessualità e di contatto fisico, possono confluire in comportamenti auto e/o etero-aggressivi o alla rimozione completa di ogni forma di sessualità. Quale sessualità rimane? Sembra uscirne un quadro fortemente compromesso, se la sessualità per essere vissuta richiede competenze fortemente danneggiate nella persona con autismo e ulteriormente stressate durante quei momenti altamente problematici, che sono lo snodo dell’adolescenza ed il passaggio dall’adolescenza alla vita adulta. 260 Non è un problema di “quantità”, ma di qualità, ancora una volta, e di soggettività. Dewery e Everad (1974) descrivono la sessualità degli autistici come “ingenua, immatura e senza esperienza”. Alla luce di questi attributi, questi autori affermano che il candore e l’aspetto infantile degli approcci dell’autismo alla sessualità ne riducono la problematicità comportamentale, anche rispetto ad altri disabili e malati mentali. Senza guardare a ciò che non sappiamo – come è stato detto, vi è scarsa ricerca sulla sessualità nelle persone con autismo – si può dire che molte persone con autismo hanno una pulsione sessuale e la esprimono attraverso la masturbazione, esattamente come la maggioranza degli adolescenti. La grande differenza rispetto alla maggioranza degli adolescenti, consiste nel fatto che la sessualità delle persone con autismo non fa esperienza dell’altro. Molte persone con autismo rimangono autocentrate durante l’adolescenza, apparentemente disinteressate, nel passaggio all’età adulta nell’esplorare la loro relazione con gli altri. Dove si mostra interesse, le abilità sociali richieste per creare e sostenere una relazione socio-sessuale adulta sono spesso troppo immature per ottenere esiti positivi. Con questo “candore”, “ingenuità”, immaturità” esce nella sua pienezza l’esperienza di “persone non “malgrado” il loro autismo, ma nel cui autismo è presente una soggettività, aurorale certo, ma per questo ancor più preziosa e degna di emersione (Barale et al., 1999). Soggettività che rende ogni sessualità la sessualità di ognuno. Viene in mente parte dell’enunciato numero 20 del documento “Sono autistico. Ecco cosa mi piacerebbe sentirmi dire” di Angel Revier: “Non paragonarmi sempre ai bambini “normali”. Anche se per me è difficile comunicare, ho dei pregi: non inganno mai, non capisco le sfumature sociali ma non ho doppie intenzioni né sentimenti pericolosi”. Una purezza ed innocenza di fondo che – mi piace pensare – non sia solo una caratteristica ascritta dell’ autismo, bensì frutto ed esito di un “percorso e di una storia” di persone nelle quali, a partire da delle difficoltà di base (la vulnerabilità genetiche e/o biologica che ha interferito con la normale maturazione del sistema nervoso centrale e con lo sviluppo affettivo e cognitivo) si è prodotto un intreccio precoce ed evolutivo di aspetti deficitari, emozionali, relazionali. Mi piace pensarlo come qualità scelta/imposta per poter affrontare una “essenza” così complessa, compromettente, coinvolgente e richiedente quale è la sessualità. E su questa immaturità di fondo, possono interagire variabili personologiche (ci sono persone senza e con autismo più “scaltre” di altre”) e fattori culturali ed educativi (quanto influisce l’educazione ricevuta sul nostro modo di affrontare la sessualità!) 261 È frutto di percorsi seppur aurorali, bensì faticosi di attribuzione di significati, di prese di coscienza e di assunzione di comportamenti. È ricerca di un diritto possibile, al di là degli esisti cui si giunge. È tensione verso possibilità di espressione di qualcosa che è propria di ogni persona in quanto tale, al di là dell’autismo. Tommy ha scritto che “per colpa dell’Autismo non può fare sesso con le ragazze”, dove l’ingenuità emerge paradossalmente da una saggia e dolorosa presa di coscienza. Come se Tommy avesse capito ed esperito su di sé quanto siano complessi e difficili da integrare i portati emotivi e fisici connessi alla sessualità ed avesse capito fin dove poter arrivare. Tommy, come tutte le persone con autismo, si affeziona, stabilisce rapporti preferenziali, nota le ragazze più carine, ha i suoi gusti e i suoi criteri di giudizio (non solo fisici). “Essere autistico è un modo di essere. Anche se non è il modo “normale”, la vita di una persona con autismo può essere appagante e felice come quella di chiunque altro”. (Angel Rivier) E così ognuno, facendo i conti con le possibilità (vincoli/risorse) che “ha dentro”, è come se sapesse fino a che punto arrivare, oltrepassato il quale la frustrazione ed il turbinio emotivo sarebbe eccessivo da vivere e sopportare. L’idiosincrasia per le situazioni indefinite e per le sfumature e per “le vie di mezzo” e la preferenza per la chiarezza (o il dentro o il fuori), porta spesso a scegliere il fuori. Questo spiegherebbe, come è stato rilevato nella letteratura, perché la sessualità nell’autismo mostra una minore problematicità comportamentale rispetto alle altre disabilità. Ma il fuori, rispetto ad una situazione sessuale, non vuol dire non provare più emozioni e pulsioni. Per tutte le persone, sia con autismo che con normalità, valgono i detti popolari “al cuor non si comanda” e “l’uomo non è di legno”. Le persone con autismo si innamorano, mostrano attaccamento, si eccitano e sono pronte a stupire. La ricerca danese, più volte citata, riporta che quando un autistico dirige la sua attenzione verso altri, il “contatto” finisce immediatamente nel momento stesso in cui il contatto stesso avviene. Mentre questa ricerca indica che le persone autistiche soddisfano il loro bisogno sessuale esclusivamente tramite la masturbazione e non attraverso il contatto con altri, molte persone autistiche mostrano un forte interesse a desiderio di contatto intimo con le altre persone. La possibilità di una sessualità per le persone con autismo non si misura dunque da quanta.. Sessualità a modo loro. Sessualità loro e possibile. Fondamentale è l’intervento educativo di spiegazione, sostegno e di direzione da parte dei caregiver. 262 Comportamenti problema Il percorso che porta a quella “messa nel cassetto” dell’essenza sessualità, che spesso avviene nella persona con autismo, può non essere facile. Corrisponde al percorso dell’adolescenza, in cui emergono i comportamenti problema di natura sessuale. “Mentre noi possiamo domandare che le persone con autismo debbano rispettare certe regole e norme della società, noi dobbiamo anche rispettare lo stile individuale delle persone. Non dobbiamo vedere l’autistico semplicemente come un deviante o uno che soffre di un handicap dal quale deve essere alleviato. Non dobbiamo trascinarli nel nostro modo di pensare, sentire e soddisfare i nostri desideri, speranze ed ambizioni. Mentre il loro modo di pensare può essere differente, non è “sbagliato”. Tuttavia, non dobbiamo forzarli a vivere una vita come la nostra, ma dare loro la possibilità di imparare da noi, così come dobbiamo cercare di capire e imparare da loro”. (Haracopos) Il comportamento problema di natura sessuale “spaventa” forse più al pensiero che altro, proprio per quell’aggettivo “sessuale” che – come visto nella premessa – mette più che altro in difficoltà noi. In realtà, a mio parere, è possibile far fronte al comportamento problema sessuale riferendosi a quanto vale per la macrocategoria a cui appartiene, cioè i CP in generale. Infatti, come per tutti i comportamenti problema, anche il comportamento sessuale degli adulti con autismo non può essere considerato di per sé ma va visto all’interno delle problematiche che costituiscono il nucleo dell’autismo e della persona con autismo. Secondo la prospettiva proposta dalla dottoressa Ucelli nell’incontro precedente, i comportamenti dunque non sono solo rappresentazione concreta di sintomi da cogliere come fini a sé stessi, ma sono anche “conduttori” di soggettività e di esperienza, di valore assoluto ed umanità. Il titolo del libro di Carr “Il problema di comportamento è un messaggio” (Carr, 1988) è di per sé emblematico. Il comportamento problematico (Si definisce comportamento problema “un comportamento culturalmente abnorme di tale intensità, frequenza e durata da porre in serio rischio la sicurezza fisica della persona o degli altri, oppure un comportamento che presumibilmente limita in modo grave o fa sì che alla persona sia negato l'accesso alle ordinarie situazioni della vita sociale” (Emerson 1995) che fa da contraltare agli aspetti più bizzarri e cinematografici presentati da Rain Man, che “tipologizza” solo una minoranza delle persone con 263 autismo, vanno letti all’interno di un quadro complesso che tenga conto di più fattori (neurobiologici, comportamentali, relazionali, ecologici) all’interno di una strategia positiva, di ricerca e di senso, di comunicazione. Il comportamento problema che segna così spesso il vivere della persona con Autismo non è qualcosa da identificare come secreto da un cervello rotto, ma come all'espressione, distorta certo dalle difficoltà di base, di una soggettività che si tratta innanzitutto di intendere, per farla, se possibile, evolvere (Ucelli, 2001). Nel 1983, Gillberg così descrive i problemi che gli adulti autistici possono presentare: 1. tendono a masturbarsi in pubblico (che poi si tratta più di un toccarsi che di masturbarsi, molte volte) 2. possono manifestare un comportamento “sessuale” inappropriato verso le altre persone 3. possono utilizzare tecniche autolesive nella masturbazione. Questi comportamenti vanno dunque compresi alla luce delle riflessioni precedenti circa il binomio sessualità e autismo: quelle di relazione, comunicazione e attività immaginativa sono requisiti richiesti dalla prima e competenze compromesse nel secondo. Fondamentale è dunque tenere presente quell’ingenuità che nasce dalla compromessa capacità di comprensione delle regole sociali: non c’è dunque nulla di esibizionista in un giovane autistico che si masturba in pubblico, così come non c’è nulla di malizioso in un giovane autistico che “tocca” qualcuno in modo inappropriato. Allo stesso modo la difficoltà a comunicare e a stabilire relazioni sociali tende ad orientare i soggetti verso la masturbazione o come meta primaria (low functioning) o come risultato della frustrazione dei tentativi di relazione o del fallimento delle aspettative. La mancanza di attività immaginativa o la difficoltà a mantenere distinta attività immaginativa e realtà favorisce l’uso di oggetti in modo meccanico-concreto (uso di cuscino – vaso) o come stimolo visivo, udito, olfattivo o in modo bizzarro, che ricorda l’uso che ne fanno i feticisti (oggetti il cui significato eccitatorio è particolare o incomprensibile). L’uso di oggetti durante la masturbazione per le persone con autismo corrisponde al naturale ricorso di fantasie sessuali per le persone con normalità. In conclusione, il comportamento sessuale delle persone con autismo non è né deviante né disturbato, ma piuttosto un espressione di una immaturità sociale ed emozionale, nucleo del disturbo autistico. Possibilità Come più volte detto, esistono pochi suggerimenti ben definiti su come si possa sostenere, insegnare e far crescere la persona autistica in relazione ai suoi bisogni o desideri di natura sessuale. (Melone et al., 1987; Ford, 1987). Questo potrebbe essere un buon alibi per 264 evitare il passaggio, sempre difficile dal piano del pensiero a quello dell’operatività, o per lo meno a quello dei principi operativi. Mi ricorda un po’ il tentativo di fuga inizialmente attivato. Penso che alcuni elementi siano fondamentali da assumere come base per ogni intervento o programma educativo, che riconosca alle persone con autismo la sessualità come possibilità. Mi aiuta ancora il prezioso Haracopos, diventato ormai mio indispensabile compagno di viaggio, quando identifica le politiche su cui fondare considerazioni e decisioni concernenti strategie e metodi di programmi e training circa la sessualità per le persone con autismo: 1. le persone con autismo dovrebbero avere il diritto e la possibilità di avere una vita sessuale in accordo con i loro desideri e bisogni e con ciò che possono gestire. 2. Le persone con autismo hanno il diritto di ricevere guida e supporto, con riguardo ai problemi sessuali irrisolti. 3. L’apprendimento di comportamenti sociali appropriati nei confronti della sessualità dovrebbe avvenire in accordo con le regole sociali e le norme del posto di residenza delle persone con autismo. 4. Il tipo di guida dovrebbe essere, prima di tutto, correlata a e dipendente su come viene vissuta la sessualità dalle persone con autismo. È poi importante determinare e valutare se i segni sessuali sono definiti, indefiniti o non presenti: a. Quando la persona ha definiti segni di comportamento sessuale che consistono in un problema sessuale irrisolto, allora il contesto ha un obbligo a direzionare la sua attenzione al problema. b. Se la persona mostra non chiari segni di comportamento sessuale, ulteriori osservazioni e informazioni devono essere raccolte per determinare come e se queste riguardino o meno un problema irrisolto. c. Se la persona autistica non mostra segni di comportamento sessuale, il contesto non dovrebbe deliberatamente stimolare la pulsione sessuale. 5. La sessualità dovrebbe essere vista all’interno di un contesto globale, così che l’educazione ed il training non consistano solo nell’aiutare le persone con autismo ad apprendere come masturbarsi e raggiungere l’orgasmo,nello inserire questo insegnamento in un percorso di coscienza di sé, di accettazione dei cambiamenti del proprio corpo. In ultima analisi in un percorso di costruzione del Sé (…). 6. Quando una persona con autismo dirige il suo interesse sessuale verso un’altra persona, uno dovrebbe decidere quanto lontano andare nel supportare tale contatto. Dato che esprimere la sessualità con un’altra persona consiste nel mostrare tenerezza, cura ed empatia, uno deve riconoscere che la maggior parte delle persone con 265 autismo hanno una grande difficoltà a relazionarsi con le persone. Mentre potrebbe essere necessario stabilire chiari limiti per l’interesse sessuale verso altri della persona con autismo, uno dovrebbe essere cauto nel non essere troppo influenzato dalle affermazioni categoriche circa l’inabilità delle persone con autismo di stabilire relazioni intime. Questo è particolarmente chiaro per le persone ad alto funzionamento che ha esperito sfortunatamente fallimenti in esperienze con l’altro sesso. Metodi di trattamento sono ancora sotto studio ed è possibili che concentrati sforzi possano permette a qualche autistico di gestire e raggiungere relazioni di intimità. Emerge il bisogno che le persone con Autismo hanno per rendere possibile la loro sessualità, come espressione di soggettività. È un bisogno di comprensione, di supporto nella ricerca di percorsi non frustranti, di una protezione non castrante, ma che faciliti e veicoli la possibilità di vivere “situazioni ed emozioni possibili”. È bisogno di progettazione e realizzazione di contesti tarati con il loro essere autistici e con il loro essere persone, in modo inscindibile. È bisogno di vita da persone “vere”: la vita è vera, reale se è offerta e supportata attraverso un contesto educativo che tenga inscindibilmente conto sia della persona che della condizione particolare in cui vive. Non è vita da adulti, né tanto meno vita la richiesta continua alla persona di adattarsi ad un luogo mentale, emotivo e di significati, ancor prima che fisico, che li fa sentire sempre più “pesci fuor d’acqua”, “angeli feriti”, “tesori sommersi” o “antropologi su marte”. Questa è solo causa di ulteriore immersione, di ferita, di estraneità. È vita favorire e sostenere la soggettività mediante un contesto attento alle particolari esigenze della persona con autismo, in tutta la sua umanità. Sono le persone stesse che mi hanno aiutato in questo percorso di riflessione, (le cui testimonianze mi sono permesso di incorniciare) a dirlo, e la loro parola, è più preziosa e densa della nostra, perché le parole valgono di più se dette o scritte da persone con autismo. Tutti sottolineano quanto sia fondamentale il contesto. Therese Jollife dichiara “ha dedicato gran parte della mia vita al tentativo di scoprire il disegno nascosto in ogni cosa. La routine, scadenze predeterminate , percorsi e rituali specifici aiutano ad introdurre un ordine in una vita inesorabilmente caotica”. Il 20° enunciato di “Sono affetto dia Autismo. Ecco cose mi piacerebbe dirti…”, conclude “La mia vita può essere soddisfacente se semplice e ordinata, tranquilla, se non mi chiedi in continuazione di fare cose troppo difficili per me”. Così I. scrive: “solo se sento la calma di chi mi circonda riesco a stare tranquillo e concentrato”. Il contesto non è solo struttura, layout, organizzazione spazio-temporale. Contesto è anche stile, persone, pensiero, tensione, motivazione. La costruzione di un contesto per una 266 sessualità possibile non è solo questione legata ad opzioni di natura operativa: mi sembra soprattutto una scelta di fondo che dipende da noi. Davvero, “sta a noi decidere se vogliamo che l’autismo sia l’altra parte del mondo o il mondo delle altre menti: isolato e distante, al confine tra il nostro sordo egoismo e la loro muta sofferenza” (Baron- Cohen).E con la sessualità questo esce con maggiore forza e propulsione. Riferimenti bibliografici – American Psychiatric Association (2000). Diagnostic and statitstical manual of mental disorders (4° ed., text revision). Washington, DC – Barale F. Ucelli S. (1999). L’Autismo nell’età adulta – Profili evolutivi e modi di cura. Quaderni di Psichiatria, 10-11, 18-28 – Buttenschon J. (1987) Sexual problems among the mentally retarded. In P. Hertoft (ed.) 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Severe impairments of social interaction and associated abnormalities in children: epidemiology and classification. Journal of Autism and Chilhood Schizophrenia, 9: 11-29 268 Articoli tratti da “L’Eco di Bergamo” del 7 Gennaio 2007 Autismo, un universo ancora tutto da scoprire A colloquio con Olga Bogdashina, tra i massimi esperti mondiali: “serve comprensione” L’invito a Bergamo, da parte della Provincia e di Spazio Autismo, di Olga Bogdashina rappresenta il salto di qualità da un buon progetto di rete territoriale dedicato agli autistici e alle loro famiglie (nella foto lo “spazio autismo” nella scuola elementare del Villaggio Santa Maria di Ponte San Pietro), a qualcosa che permette di innescare un processo di riabilitazione qualitativamente superiore, perché le conoscenze sul mondo percettivo degli autistici ha aperto porte nelle menti dei genitori, insegnanti e degli stessi tecnici preposti alle diagnosi e alla terapia. Olga Bogdashina è una simpatica linguista russa, moglie di un inglese, che ha vissuto una decina d’anni in Ucraina e ora vive nello Yorkshire e lavora all’Università di Birmingham come docente. Come ha cominciato ad occuparsi di autismo? “L’autismo è nella mia famiglia: mio padre era un brillante matematico con un sacco di problemi nei rapporti sociali, ma si sa che i matematici vivono in un mondo tutto loro… Mio fratello è uno storico, sicuramente autistico. Io riconosco in me tratti di personalità autistica e così pure è per la mia figlia maggiore. Ma è stato mio figlio a cambiarmi la vita. Ora ha 18 anni, alla sua nascita la diagnosi, corretta, fu di autismo severo, senza speranza. Le terapie e le informazioni che mi venivano suggerite non mi soddisfacevano del tutto, così cominciai a fare ricerca per mio conto, osservando mio figlio e quanti più bambini autistici potevo. Essendo già allora ricercatrice universitaria, possedevo un metodo per procedere razionalmente e non a tentoni. Progressivamente ho approfondito alcune ipotesi già presenti sul terreno, anche perché, via via, testimoniate da autistici adulti ad alto funzionamento come Grandin, Williams, Tito che hanno scritto libri sulla loro esperienza. Si sa che l’autismo è un disturbo, su base genetica, che coinvolge la relazione, la comunicazione e l’immaginazione e che ha varie forme, tanto da parlare di “spettro” piuttosto che di patologia o di sindrome. A mio giudizio però si era posta poca attenzione al fatto che gli autistici reagiscono in modo diverso dal solito, e ognuno in modo diverso, rispetto agli stimoli sensoriali. Ma se tutti i loro sensi, fin dalla nascita, trasmettono percezioni diverse, allora le idee sul mondo che il bambino autistico si costruisce devono per forza essere diverse dal solito. Mi chiedevo se questa diversità avesse conseguenze sul comportamento e quali. Man mano che procedevo in questa ricerca, constatavo che, la teoria aggiustata viva via sul comportamento di mio figlio funzionava e molti pezzi, prima inspiegabili, andavano a posto”.. 269 Per esempio? “Gli autistici, per il loro comportamento bizzarro, sono stati a lungo diagnosticati come schizofrenici, pazzi. Ma se vediamo il mondo dal loro punto di vista i comportamenti diventano abbastanza logici. Molti autistici hanno una percezione di gestualità, cioè tutti gli stimoli visivi e auditivi li colpiscono come un fiume in piena, senza possibilità di filtrare e armonizzare, dare un’architettura e delle priorità. Il risultato è che una situazione troppo ricca di stimoli li sovraccarica dal punto di vista sensoriale e neurale, come un computer che si blocca. Per questo mettono in atto strategie di gestione, come usare un canale sensoriale alla volta: se devono fare attenzione a ciò che dici non possono contemporaneamente guardarti in faccia. Non è che siano terrorizzati, è che funzionano così. A scuola la maestra chiede ai bambini di guardarla per ascoltarla meglio, agli autistici è impossibile. Alcuni hanno una vista frammentata, vedono gli oggetti scomposti, cubisti. Con questi autistici l’aiuto con immagini non serve, meglio comunicare attraverso oggetti significativi che possono riconoscere col tatto o l’olfatto. Alcune teorie erano già note, la ipersensibilità o iposensibilità degli autistici, si è scoperto che alcuni possono passare dall’ipo all’ipersensibilità, hanno percezioni fluttuanti. Io mi sono accorta che mio figlio, che non rispondeva al suo nome detto ad alta voce o gridato, non era sordo perché quando scartavo in cucina una merendina arrivava subito. Gli autistici possono avere una “propriocezione”, cioè una percezione dei segnali interni al proprio corpo, alterata. C’è chi non sente lo stimolo della fame o della sete, chi non prova dolore, chi non ha lo stimolo a urinare: non ha regolatori interni, deve aiutarsi con tabelle o suonerie che gli ricordano cosa deve fare per non morire di inedia o trovarsi in situazioni imbarazzanti. C’è il caso estremo di Tito, un ragazzo indiano molto grave al quale la madre riuscì a insegnare a scrivere. Tito, ora adulto, scrive che non ha mai sentito di avere un corpo. Per sapere se è vivo o morto deve mettersi davanti a uno specchio, da bambino agitava una mano guardava se l’ombra si muoveva. Un comportamento intelligente, ma chi poteva capirlo visto che non parlava?”. Davvero antropologi su Marte, come il titolo del vecchio libro di Sachs. “Sì, e uno diverso dall’altro, ognuno ha bisogno di una strategia sensoriale differente. Ho elaborato una mappa sensoriale che ho chiamato “rainbow”, arcobaleno. Diversi test, uno per la vista, uno per l’udito e così via, trascritti in colori diversi permettono di rendersi conto di quanto vengono usati i diversi sensi. La mappa ha il pregio di mostrare intuitivamente che ogni autistico è diverso dall’altro”. Quindi ognuno esige un comportamento diverso per poter comunicare. “Il punto è capire come ogni bambino percepisce. Ogni bambino deve avere un suo profilo e in base al profilo particolare si possono studiare le strategie”. 270 Gli autistici sono violenti? “Non di proposito, sono strategie estreme per gestire una situazione per loro intollerabile. C’è sempre una ragione, nel presente o nel passato. C’era un omone autistico che colpiva ogni volta che qualcuno diceva sorry, che in inglese si usa spessissimo. Abbiamo alla fine capito che la prima volta che aveva udito la parola, contemporaneamente era stato attaccato o fisicamente o psicologicamente, ed ecco allora che adesso la parola scatenava l’azione di difesa”. Essere una linguista l’ha aiutata nella ricerca? “Molto perché ha reso spontanea la domanda: se percepiscono il mondo in maniera diversa, allora sviluppano anche un linguaggio diverso per padroneggiare quel mondo? E mi ha aiutato aver studiato i meccanismi della formazione del linguaggio per capire che memorizzano in modo diverso, che le associazioni di idee procedono in modo diverso ma non illogico”. Comunicare sembra un’impresa disperata… “Molto faticosa perché devi prevedere tutte le situazioni e tutta la situazione. Nella nostra scuola i ragazzi escono, li portiamo al cinema e gli insegniamo come fare. Se in città ci sono 4 cinema li portiamo in tutti e quattro, e così via. È un processo molto lungo, evidentemente, e poi la stessa situazione non deve mutare. Per esempio, ho allenato mio figlio ad andare al centro commerciale, un poco alla volta. E ha funzionato, ma un anno l’ho portato nel periodo natalizio. C’era troppa luce, troppa gente, troppi stimoli, e lui si è sovraccaricato, è saltato il sistema, era colpa mia ed è stato un disastro”. C’è differenza tra autismo nelle femmine e nei maschi? “Le donne si mascherano meglio, perché in ogni caso sono migliori comunicatrici. Quindi le femmine sono sottodiagnosticate. Sanno imitare meglio, si mimetizzano. Ci sono molte donne adulte che si autodiagnosticano l’autismo quando ricevono la diagnosi per i figli. Riconoscono nei figli i problemi che avevano avuto loro e adesso sanno perché”. Ci sono trattamenti per l’autismo? “Ci sono centinaia di trattamenti per l’autismo, non ne funziona uno. Dico ai genitori di non crederci, perché ogni autistico è unico e ha bisogno di un approccio multicentrico, non esiste cura per l’autismo che funzioni per tutti. Dico ai genitori non cadete nelle trappole dei mercanti dei trattamenti che approfittano della vostra disperazione”. Come si fa a resistere con un figlio autistico? “Dopotutto sono ancora viva! Certo a volte ho pensato che non ce l’avrei fatta, quando 271 non mi hanno dato speranze, ho pensato che la mia vita era finita, poi ho pensato che potevo aiutarlo se riuscivo a capirlo. Si parte dallo choc, poi c’è l’incredulità -non è vero è normale-, poi c’è la colpa, ho fatto qualcosa di sbagliato, i miei geni sono sbagliati, poi il rifiuto, perché a me e al mio bambino e non a quei disgraziati che abitano al numero 15? Poi, se riesci a fare lo sforzo di cambiare punto di vista, pensare che puoi aiutarlo, allora cominci a respirare e poi arrivi ad apprezzare questo figlio autistico. Certo devi sviluppare un gran senso dell’umorismo, perché molte situazioni sono imbarazzanti perché non hanno segni esteriori di diversità. Poi lui dice ad alta voce, guarda mamma quella signora sembra un bulldog, ed è vero, ma tu che fai? Una volta facevo la traduttrice a un meeting anglo russo e tutto andava magnificamente. Alla fine la delegazione inglese invita i russi per un drink, c’è una pausa, e si sente mio figlio che dice perentorio: “ma prima, tutti alla toilette…” adesso è buffo, allora non lo fu affatto. Per lui era la giusta routine: prima in bagno e poi a tavola”. Susanna Pesenti 272 Troppe sensazioni mandano in tilt Altro che “fortezza vuota”, secondo una vecchia definizione dell’autismo. Al contrario, gli autistici sono attraversati da un fiume in piena di sensazioni e percezioni tanto da esserne spesso travolti. Lo ha ammesso bene in luce il convegno internazionale “Sensorialità e percezione nell’autismo”, che il 15 dicembre scorso ha portato per la prima volta a Bergamo Olga Bogdashina. Convegno organizzato al Centro congressi dal Settore politiche sociali della Provincia di Bergamo in collaborazione con l’Ufficio scolastico. I lavori sono stati aperti dal saluto dell’assessore Bianco Speranza che ha ricordato l’impegno della Provincia cominciato nel 2001 e portato avanti con convinzione in rete con il territorio e con il contributo economico pubblico e privato: “Questo modo di procedere coinvolgendo tutti, ci ha permesso – ha sottolineato – di costruire in comune accordo, nel rispetto delle reciproche competenze, le risposte che le famiglie si aspettavano”. C’erano più di 600 persone e un centinaio di iscrizioni hanno dovuto essere rifiutate per mancanza di spazio, tutto il materiale è stato però videoregistrato e il Settore Politiche Sociali dell’assessore Bianco Speranza si è impegnato a pubblicare gli atti a tempo record. Questi bambini riescono a dimostrare amore? “Questi bambini non mostrano amore, qualunque cosa si faccia. È che non capiscono quello che sentono, che nome dare a quello che sentono. Ricordo una sera, mio figlio aveva 14 anni, era già a letto e io scrivevo al computer. Si è alzato, si è fermato sulla porta e mi ha detto, mamma, ti voglio tantissimo bene, te ne ho sempre voluto… Ho pianto… Ho dovuto aspettare 14 anni per sentirlo… E a lui ci era voluto tutto quel tempo per capire cosa sentiva ed esprimerlo. Per un autistico vivere con noi è come essere in un Paese straniero, non capire né la lingua né la cultura e questo nei due sensi, lui verso di te e tu verso di lui. È importante godersi il proprio bambino, sono ragazzi che possono diventare meravigliosi, dare gioia. Ora non posso immaginare la mia vita senza di lui”. Lei ormai vede autistici, genitori e operatori in tutto il mondo. Che idea si è fatta della situazione? “I problemi sono gli stessi, dobbiamo tutti parlarci e tenerci in contatto per continuare ad esplorare questo continente che è come un iceberg, quasi tutto sommerso”. Lei è russa, com’è la situazione nell’Est Europa? “Nell’Est Europa è terribile, ho vissuto in Ucraina 10 anni, pensavo che il mio fosse l’unico bambino autistico, non c’era in giro nessuno, poi ho notato che non c’erano disabili in genere. Perché sono tutti chiusi in terribili istituti dove i genitori non possono entrare. In uno 273 ci dissero che morivano cento autistici l’anno “per cause naturali”… Cosa significa, gli autistici non hanno disturbi fisici particolari. Non capivano quando si ammalavano e non li curavano? Lontano dai genitori morivano di solitudine? Io so solo che erano le undici del mattino ed erano ancora a letto. È stato lì che ho deciso di aprire una scuola in Ucraina, era il 1994, l’autismo non si diagnosticava, la diagnosi era di schizofrenia o ritardo grave. Ho portato mio figlio dal medico e gli ho detto, guarda, questo è autismo… Ora viene diagnosticato e i genitori hanno auto organizzato altre scuole. Ma naturalmente gli istituti non sono chiusi. Sono fiera di aver fatto muovere la situazione, è la cosa di cui sono più fiera”. S.P. 274 PROPOSTE BIBLIOGRAFICHE AUTISMO A CURA DEL CENTRO STUDI Settore Politiche Sociali 275 TESTI Autismo: studi specialistici – AA.VV., Abitare l’assenza. Scritti sullo spazio-tempo nelle psicosi e nell’autismo infantile, Franco Angeli, Milano, 2005 – AA.VV., Autismo: le nuove frontiere della riabilitazione. Atti del II Convegno Internazionale, Nola (Na) 22-23 novembre 1997, Phoenix, Roma, 1997 – AA.VV., Autismo infantile: lo stato dell’arte. Atti del Convegno di Verona, 1999, Azienda Ospedaliera Verona, Verona, 2000 – Aarons M., Gittens T., È Autismo? Test di valutazione psicopedagogica, Erickson, Trento, 1993 * – American Psychiatric Association, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, DSM IV, Masson, Milano, 1995 – Andreoli V., Cassano G., Pichot P., Rossi R. (a cura di), DSM IV. 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Difficoltà di apprendimento: sostegno e insegnamento individualizzato * Trimestrale A cura del Centro Sudi Erickson Giornale di Neuropsichiatria dell’età evolutiva Trimestrale A cura dell’Organo Ufficiale della Società italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza GID - Giornale Italiano delle Disabilità (the italian journal of disabilities) * Quadrimestrale A cura dell’Organo Ufficiale del Centro di Ateneo di ricerca e Servizi università di Padova Journal of Autism and Development Disorders Rivista specializzata su autismo e Disturbi Generalizzati dello Sviluppo più importante a livello internazionale. A cura della Klumer Academic La Rosa Blu Trimestrale A cura dell’ANFFAS Onlus (Associazione Nazionale Famiglie di disabili affettivi e relazionali) * Disponibile presso il Centro Studi - Settore Politiche Sociali - Provincia di Bergamo 295 LINK A cura di un’Associazione internazionale. Riunisce circa quaranta associazioni europee di genitori; vi possono aderire anche persone singole. Psicologia clinica dello sviluppo Quadrimestrale A cura della casa editrice Il Mulino Risposte Mensile A cura di Oasi editrice 296 SITI INTERNET 1 SITI DI ENTI PUBBLICI O ASSOCIAZIONI Asl 16 Mondovì - Ceva www.alihandicap.org/ali/autismoIndi.html Fondazione Bambini e Autismo www.bambinieautismo.org SITI SU ASPETTI SPECIFICI Anni verdi www.anniverdi.org Autismo www.geocities.com/~lerre/autismo.html Centro Futura www.bluepages.it/aziende/centrofutura/default.htm Centro studi sulla Comunicazione Facilitata www.geocities.com/HotSprings/Spa/2576 Comunità Passaggi www.comunitapassaggi.it Il Filo dalla Torre www.filodallatorre.it L’educazione del bambino autistico http://digilander.iol.it/infoautismo Progetto Horizon www.autismo.it 1 Tratti dal sito “Gli Argonauti” (Associazione onlus che si occupa di interventi per l’Autismo e altri Disturbi Generalizzati dello Sviluppo): http://www.gli-argonauti.org 297 SITI DI GENITORI O ASSOCIAZIONI DI GENITORI A.G.S.A.S. www.autismoperche.it Aipa http://digilander.iol.it/irpiniautismo A.N.G.S.A. Emilia-Romagna http://members.it.tripod.de/cristina A.N.G.S.A. Lombardia http://digilander.iol.it/angsalombardia A.N.G.S.A. onlus www.angsaonlus.org A.N.G.S.A. Treviso www.provincia.venezia.it/cidh/ospiti/ANGSA/angsa.htm Autismando www.autismando.it Autismo e futuro www.autismoefuturo.it Autismo in rete www.autismoinrete.org Autismo Italia www.autismoitalia.org Autismo on-line www.autismoonline.it Autismo Sardegna www.autismosardegna.org Autismo Triveneto www.nautilus.ashmm.com\autismo_triveneto\autismo_triveneto.htm Il club della Letizia www.club.it/letizia/indice-i.html 298 Insieme per l’autismo http://web.tiscalinet.it/ass_inautismo Oltre il muro www.oltreilmuro.com Peter Pan www.assopeterpan.org Pianeta Autismo www.pianetautismo.org Prometeo http://prometeo-onlus.it SINGOLE PAGINE IN ITALIANO Analisi Psicologica http://space.tin.it/scienza/vvolpi/it/autismo.html Autismo - Lecco www.merateonline.it/associazioni/associazioni_autismolecco.htm Autismo, autismi e processi educativi http://www.pegacity.it/abctel/files/autismi.htm Autismo, pochi esami e pochi farmaci www.pegacity.it/abctel/files/autismo.htm Il Disturbo Pervasivo dello Sviluppo (PDD) www.psiconweb.it/DocumentoPsichiatria_PDD.htm Mappatura delle risorse per l’autismo sul territorio nazionale www.comune.forli.fo.it/cda/speciale%20autismo.htm mistro.virtualave.net http://mistro.virtualave.net/autismo Panoramica sull’Autismo www.autism.org/translations/italian.html SOS Psiche - Autismo www.sospsiche.it/disturbi/autismo/autismo.htm 299 SITI INTERNAZIONALI ABA Resources for Recovery from Autism/PDD/Hyperlexia www.abaresources.com/resources.htm Association Française du Syndrome de RETT www.syndrome-de-rett.org Asperweb http://perso.wanadoo.fr/asperweb Autism Europe www.autismeurope.arc.be AUTISM Independent UK www.autismuk.com/main-index.htm Autism Network Resources for Physicians http://home.san.rr.com/autismnet Autism Research Institute www.autism.com/ari Autism Resources www.vaporia.com/autism Autism Society of America www.autism-society.org Autism Spectrum Disorders www.geocities.com/Heartland/Fields/6979 Autismo www.autisme.com Autismus Therapie Ambulanz LiNie www.autismus-online.de Bundesverband Hilfe für das autistische Kind www.autismus.de Center for the Study of Autism www.autism.org Coping.org Tools for Coping with Life’s Stressors www.coping.org 300 CSAAC www.csaac.org Cure Autism Now (CAN) www.cureautismnow.org Division TEACCH www.teacch.com Facilitated Communication Institute http://nodulus.extern.ucsd.edu/ Fondazione A.R.E.S. www.fondazioneares.com Forum on Alternative and Innovative therapies http://nodulus.extern.ucsd.edu Indiana Resourche Center for Autism www.isdd.indiana.edu/~irca/Welcome.html Laboratory for Research on the Neuroscience of Autism http://nodulus.extern.ucsd.edu National Autistic Society www.oneworld.org/autism_uk Organizzazione Mondiale per l'Autismo http://wa.n4u.org http://worldautism.org Son-Rise Program www.son-rise.org Special abilities www.specialabilities.org The BHARE Foundation www.bhare.org The Great Plains Laboratory www.greatplainslaboratory.com The Miller Method www.millermethod.org 301 The Tomatis Method www.tomatis.com Yale Child Study Center http://info.med.yale.edu/chldstdy/autism AUTISMO: INFORMAZIONI Autism/PDD Resources Network www.autism-pdd.net Autism99 www.autism99.org Autism Center www.patientcenters.com/autism Autism Society of Michigan www.autism-mi.org Autism Society of Middle Tennessee www.autismmidtenn.org Autism Society of Wisconsin www.asw4autism.org Autism Society of Alabama www.autism-alabama.org Autism Support Center www2.primushost.com/~nsarc AutismWeb www.autismweb.com Communication Strategies for Children With Autism www.outersound.com/cafiero Geneva Center for Autism www.autism.net Illinois Center for Autism www.illinoiscenterforautism.org 302 Kind Tree Productions www.kindtree.org Nederlandse Vereniging voor Autisme www.autisme-nva.nl New York Families For Autistic Children www.nyfac.org Paris Autisme www.autisme75.org Pro Aid Autisme www.proaidautisme.org Ray's Autism Pages http://web.syr.edu/~rjkopp/autintro.html Scottish Society for Autism www.autism-in-scotland.org.uk Sesame Autisme http://sesaut.free.fr The Irish Society for Autism www.iol.ie/~isa1 Unlocking Autism www.unlockingautism.org Videnscenter for Autisme www.autisme.dk AUTISMO: RICERCA Autism Diet Research http://autism-diet.com Autism Genetic Resource Exchange (AGRE) www.agre.org Autism Network Resources for Physicians http://home.san.rr.com/autismnet 303 Autism Research at the University of Rochester www.urmc.rochester.edu/autism Autism Research, Coriell Institute for Medical Research http://arginine.umdnj.edu/science/autism.html Autism Research Institute www.autism.com/ari Autism Tissue Program www.brainbank.org Center for the Study of Autism www.autism.org Eastern Kentucky University (EKU), Autism & Related Disorders Group Research www.psychology.eku.edu/Autism/research.html Gluten Free Casein Free Diet www.gfcfdiet.com Good News Doctor Foundation and The International Autism Research Center www.gnd.org/autism/autism.htm International Meeting for Autism Research (IMFAR) www.imfar.org National Alliance for Autism Research (NAAR) www.naar.org Pepcid (Famotidine) Research for Autism and PDD www.drlinday.com/Pepcid_autism/index.htm The Autism Autoimmunity Project www.gti.net/truegrit The Autism File www.lifestages.com/health/autism.html The Autism Research Fondation www.ladders.org/tarf The Center for Human Development Research http://www.uth.tmc.edu/chdr 304 The International Molecular Genetic Study of Autism Consortium www.well.ox.ac.uk/~maestrin/iat.html U.C. Davis M.I.N.D. Institute http://mindinstitute.ucdmc.ucdavis.edu Yale Child Study Center Developmental Disabilities Clinic & Research http://info.med.yale.edu./chldstdy/autism SINDROME DI ASPERGER AHA/AS/PDD www.lightlink.com/schissel/aap Asperger’s Association of New England http://aane.autistics.org Asperger Syndrome Coalition of the United States www.asperger.org Asperger Syndrome Education Network www.aspennj.org Families of Adults Afflicted with Asperger's Syndrome www.faaas.org Gruppo Asperger ONLUS www.asperger.it MAAP www.maapservices.org Mission Possible www.anythingispossible.ca Online Asperger Syndrome Information & Support www.udel.edu/bkirby/asperger Oops... Wrong Planet Syndrome www.isn.net/~jypsy PDD/Asperger Support Group www.pddaspergersupportct.org 305 Tony Attwood www.tonyattwood.com University Students With Autism And Asperger’s Syndrome www.users.dircon.co.uk/~cns SINDROME DI LANDAU-KLEFFNER AMA-Landau-Kleffner na WWW - links para sites sobre Landau-Kleffner en todo o mundo www.ama.org.br/links-lk.htm Folks Friends of Landau-Kleffner syndrome www.bobjanet.demon.co.uk/lks/folks.html QEEG in Landau-Kleffner syndrome http://fhdno2.tch.harvard.edu/www/qeeg/qeeglks.html SINDROME DI RETT International Rett Syndrome Association www.rettsyndrome.org Ontario Rett Syndrome Association www.members.home.net/rettsyndromeontario Rett Syndrome Research Foundation www.rsrf.org Rett Syndrome UK www.rettsyndrome.org.uk 306 APPENDICE Elenco delle pubblicazioni edite dal Settore Politiche Sociali della Provincia di Bergamo COLLANA “I QUADERNI DI RISORSE” 1) Il disagio giovanile in provincia di Bergamo (1988/89). A cura di Luigi Regoliosi 1989 2) Un anno da scegliere: servizio militare e servizio civile. A cura di Gennaro Esposito 1990 3) Ripensare il carcere dalla dissociazione all’inserimento sociale e lavorativo. A cura di Alessandra Brambilla e Luigi Regoliosi 1991 4) Un luogo, un tempo per progettare. L’esperienza dei centri di aggregazione giovanile in provincia di Bergamo. A cura di Beatrice Testa 1991 5) Itinerari dei preadolescenti. Una ricerca sulla condizione dei preadolescenti in provincia di Bergamo. A cura di Francesco Belletti, Gennaro Esposito, Beatrice Testa 1993 6) Dalle società chiuse allo scambio. L’immigrazione nella provincia di Bergamo. A cura di Consorzio Aaster, Centro Servizi Stranieri del Comune di Bergamo, Assessorato ai Servizi Sociali della Provincia di Bergamo 1994 7) Il tossicodipendente in carcere. Atti della Giornata di Studio, Bergamo 2 aprile 1993. A cura dell’Assessorato ai Servizi Sociali della Provincia di Bergamo 1994 307 8) Servizi educativi in crescita. I Centri Socio-Educativi in provincia di Bergamo (1986-1993). A cura di Maurizio Colleoni 1994 9) Regolamento edilizio. Integrazione per il superamento delle barriere architettoniche. A cura della Commissione Provinciale Consultiva per l’abolizione ed il superamento delle Barriere Architettoniche 1994 10) Da frammenti di conoscenze a progetti di vita. L’esperienza di integrazione tra i servizi per l’orientamento dei disabili in provincia di Bergamo. A cura del C.I.T.E. Regione Lombardia 1994 11) Servizi e cure domiciliari per gli anziani: problemi e prospettive. Atti della Prima Conferenza provinciale sui servizi per anziani. A cura di Rita Bianchin e Gennaro Esposito 1996 12) Servizi territoriali per disabili. Quale collegamento in rete? A cura della Provincia di Bergamo – Assessorato ai Servizi Sociali e dell’Azienda USSL 12 di Bergamo – Servizio di Assistenza Sociale 1996 13) Genitori e genitorialità. Atti del Convegno, Bergamo 1 marzo 1997. A cura del Gruppo di Studio 1998 14) Servizi per l’infanzia. Nuovi modelli e bisogni familiari in provincia di Bergamo. Atti del Convegno, Bergamo 22 marzo 1997. A cura di Matteo Colleoni e Fiorenza Bandini 1998 15) Immagini dal buio, voci dal silenzio: aspetti dell’integrazione sociale dei disabili sensoriali in provincia di Bergamo. A cura di Marco Galligani 2000 16) Genitori e genitorialità: una riflessione che continua… Atti del Convegno, Bergamo 30 maggio 1998. A cura del Gruppo di Studio “Genitori e genitorialità” e del Centro IN.CON.TRA. per la Genitorialità 2000 308 17) Vado al massimo. La ricerca dello “sballo” in adolescenza fra rischi distruttivi e spinta creativa. Quale prevenzione? Atti del Convegno, Bergamo 24 marzo 2000. A cura di Cristiana Panseri e Emilia Strologo 2001 18) Genitorialità come bene di tutti. Percorsi di condivisione e responsabilità nella comunità locale. Atti del Convegno, Bergamo 17 febbraio 2001. A cura del Gruppo di studio “Genitori e genitorialità” e del Centro IN.CON.TRA. per la Genitorialità 2002 19) Il Terzo Settore nelle politiche sociali. A cura di Silvano Gherardi e Lucilla Perego 2003 20) Bullismo pensieri e strategie. Atti del Convegno, Bergamo 8 novembre 2001 A cura di Silvano Gherardi e Beatrice Testa 2003 21) Famiglie e dintorni: tra stare ed abitare. Le politiche sociali a favore dei minori. Atti del Convegno, Bergamo 29 gennaio 2003 A cura di Silvano Gherardi e Fiorenza Bandini 2003 22) Quaderno dei servizi per l’infanzia e le famiglie. A cura di Fiorenza Bandini, Emilio Majer, Tiziana Morgandi, Beatrice Testa 2004 23) Povertà e vulnerabilità sociale in provincia di Bergamo. Ricerca a cura della Fondazione Zancan e del Settore Politiche Sociali 2004 24) Da Spazio Autismo a Spazio Famiglia. Un itinerario attraverso le opportunità operative nel contesto educativo e del sollievo. A cura di Silvano Gherardi e Gabriella Savoldi Cortinovis 2004 25) La relazione nonno-nipote in rapporto alla struttura familiare. Tesi di laurea di Stefania Pisapia, vincitrice del “Premio tesi di laurea in campo sociale”, IV edizione. A cura di Silvano Gherardi e Federica Mangione 2004 309 26) Secondo Quaderno I servizi per l’infanzia e le famiglie. A cura di Fiorenza Bandini, Emilio Majer, Tiziana Morgandi, Beatrice Testa 2006 27) Figli di immigrati, conoscenza ed azione per favorire l’integrazione. A cura di Silvano Gherardi, Mangione Federica, Eugenio Torrese 2006 28) Sollievo,disabili e servizi: una lettura esplorativa A cura di Simona Colpani, Lucio Moioli, Angela Perla, Antonio Rinaldi 2006 310 COLLANA “BERGAMO SOCIALE” Pubblicazione annuale del Settore Politiche Sociali 1) Bergamo Sociale n. 1 A cura del Centro Studi 2001 2) Bergamo Sociale n. 2 A cura del Centro Studi 2002 3) Bergamo Sociale n. 3 A cura del Centro Studi 2004 4) Bergamo Sociale n. 4 A cura del Centro Studi 2005 5) Bergamo Sociale n. 5 A cura del Centro Studi 2006 311 COLLANA “STRUMENTI DI LAVORO” 1) Immigrazione. Facilitare l’accesso ai servizi. A cura di Silvano Gherardi e Federica Mangione 2003 2) Documento di riferimento per la stesura della Carta dei Servizi degli “Spazi per bambini e adulti”. A cura di Silvano Gherardi e Beatrice Testa 2006 312 COLLANA “ITINERARI FORMATIVI” 1) Emarginazione grave: come intervenire, risultati e fatiche. Atti del Corso di formazione, maggio 2002 2002 2) Affido familiare: tra legge ed operatività. Atti del Convegno, Bergamo 23 novembre 2001 2002 3) Alzheimer. La ricerca di nuove letture. Atti del Convegno, Bergamo 12 aprile 2002 2002 4) A.I.D.S. Il punto della situazione. Atti del Convegno Nazionale, Bergamo 19 giugno 2002 2002 5) Laboratori di solidarietà giovanile. Materiali sul rapporto tra handicap e volontariato giovanile in provincia di Bergamo. Atti del Convegno, Bergamo 12 ottobre 2002 2003 6) I Servizi Formativi all’Autonomia in provincia di Bergamo. Atti del Convegno, Bergamo 7 dicembre 2002 2003 7) I processi di lavoro quotidiano con le famiglie. Atti del Corso di formazione, 2001-2003 2004 8) La qualità dei servizi integrativi per l’infanzia e la famiglia. Atti del Corso di formazione, 2000-2003 2004 9) Droga: come parlare e intervenire con i nostri giovani. Atti del Convegno, Bergamo 15 aprile 2003 2004 10) Pena Carcere Lavoro. La giustizia in-divenire. Atti del Convegno, Bergamo 9 giugno 2003 2004 313 11) Conoscere per ascoltare. Indagine sulla Genitorialità Sociale. Ricerca Azione Multifocale e Multilocale 2004 12) Fare posto alle relazioni di cura: le famiglie accoglienti interrogano la comunità. Atti del Convegno, Bergamo 26 marzo 2004 2005 13) Comunità Alloggio: un’indagine sui minori accolti. Ricerca Azione a cura dell’Osservatorio Disagio Minorile 2005 14) Lavoro di cura: aspetti critici, significati e vissuti. Atti delle giornate seminariali, aprile – maggio 2003 2005 15) Costruire la qualità: i nidi famiglia in provincia di Bergamo. Report 2003- 2006 2006 16) Progetti extrascuola. Laboratorio di esperienze e apprendimenti fra sucola, famiglia e territorio. A cura di Floris F., Majer E., Reggio P., Testa B. 2007 314 FUORI COLLANA 1) Il nuovo processo penale minorile nella rete dei servizi. A cura delle Province di Bergamo, Brescia e Mantova – Assessorato ai Servizi Sociali 1991 2) Valore e potenzialità della professione di ausiliario socio assistenziale. Giornata di studio 4 maggio 1994. A cura di Rita Bianchin 1995 3) Social-mente utile. Catalogo dei volumi, delle riviste e dei materiali del Centro Studi e Documentazione sul disagio minorile e giovanile. A cura dello staff del Centro Studi 1997 4) A che cosa serve il centro di aggregazione giovanile? La valutazione del lavoro educativo nei servizi per gli adolescenti. A cura di Giuseppe Scaratti, Emilio Majer, Unicopli Milano 1998 5) Questionario anamnestico multilinguistico di emergenza. A cura del Settore Politiche Sociali, in collaborazione con il Comitato Provinciale della Croce Rossa di Genova, il Soroptimist International d’Italia – Club di Bergamo e il Comitato Provinciale di Bergamo Ispettorato Infermiere Volontarie 2001 6) Per conoscere… Come avvicinarsi alla sordità infantile… A cura degli Istruttori Tecnici S.P.I.Di.S. 2002 7) Il futuro possibile. L’orientamento dei disabili. A cura di Silvano Gherardi, Maurizio Colleoni e Maria Carolina Marchesi 2002 8) I servizi sociali nei territori montani. A cura di Silvano Gherardi 2002 9) Vademecum di orientamento per le realtà associative. A cura di Silvano Gherardi e Lucilla Perego 2004 10) Accessibilità e sostenibilità nei territori montani. A cura di Silvano Gherardi e Davide Fortini 2005 315 11) La genitorialità sociale: pensieri e azioni. A cura del Gruppo di studio Genitori e Genitorialità e del Centro IN.CON.TRA. per la Genitorialità (Cofanetto contenente 9 opuscoli) 2005 12) Interagire nelle dipendenze. Un percorso di ricerca e formazione. A cura di Ivo Lizzola, Unicopli Milano 2005 13) Cartina Bergamo per tutti. Due itinerari turistico-culturali 2006 14) I Bulli non sanno litigare. L’intervento sui conflitti e lo sviluppo di comunità. di Daniele Novara, Luigi Regoliosi, Unicopli Faber 2007 316 CD-ROM 1) Rapporto Immigrazione 2000. A cura dell’Osservatorio Politiche Sociali – Area Immigrazione 2001 2) Verso le nuove politiche socio educative e assistenziali per i minori in provincia di Bergamo. Territori, popolazioni, interventi e attori. A cura dell’Osservatorio Politiche Sociali – Area Minori 2002 3) Anziani: uno sguardo al cambiamento. A cura dell’Osservatorio Politiche Sociali – Area Anziani 2004 4) Rapporto Immigrazione 2003. A cura dell’Osservatorio Politiche Sociali – Area Immigrazione 2004 5) I servizi per l’infanzia e le famiglie in provincia di Bergamo A cura dell’Osservatorio Politiche Sociali – Area Minori 2006 6) Accessibilità e sostenibilità nei territori montani 2006 7) Rapporto Immigrazione 2006. A cura dell’Osservatorio Politiche Sociali – Area Immigrazione 2006 317 Finito di stampare nel mese di Novembre 2007 dallo Studio Lito Clap snc - Bergamo