Parrocchia Gesù Crocifisso e Madonna delle Lacrime La divina liturgia Dalla fede creduta alla fede celebrata 10. 1. Il Larito: Divina Rivelazione Liturgia Eucaristica (2) Riti di conclusione DECIMO INCONTRO IL RITO: LA LITURGIA EUCARISTICA SECONDA PARTE E I RITI DI CONCLUSIONE RITI DI COMUNIONE Seguono immediatamente la Preghiera Eucaristica. Durante questi riti ci si prepara per poi ricevere l’Ostia consacrata. Si tratta di un momento determinante. Si è appena consumato il sacrificio di Cristo. E come avveniva negli antichi riti, quando la vittima immolata sull’altare veniva poi mangiata, così anche qui noi siamo chiamati a mangiare il Corpo di Gesù. Si deve arrivare al banchetto sacrificale, senza il quale il sacrificio non sarebbe completo. Tuttavia qui non si tratta di mangiare le carni di un animale, ma il Corpo di nostro Signore! Si deve esserne degni e debitamente preparati. IL PADRE NOSTRO A questo punti recitiamo la preghiera che Gesù stesso ci ha insegnato. Chiediamo che venga il regno di Dio. Chiediamo che il Padre ci dia il pane quotidiano, che in questo senso per noi non è solo il pane da mangiare, ma lo stesso Corpo di Cristo che stiamo per ricevere. Chiediamo di rimettere i nostri peccati, e di aiutarci a fare altrettanto con gli altri. Chiediamo di proteggerci dal male, perché la comunione tra noi e con Dio sia sempre piena. Si conclude senza dire Amen, perché il Padre nostro si collega immediatamente alla preghiera successiva, che è quella per la pace. LA PREGHIERA PER LA PACE Il sacerdote riprende la richiesta conclusiva del Padre nostro di liberarci da ogni male. Poi chiede al Signore di concederci la pace, che è un frutto della comunione. I fedeli rispondono con una frase presa da un antico testo, che si chiama Didaché, scritto circa 1900 anni fa: “Tuo è il Regno tua la potenza e la gloria nei secoli”. Il sacerdote invoca la pace di Cristo, il quale la diede ai suoi Apostoli e, attraverso di loro, essa viene data a noi. Non si tratta di una pace esteriore, ma di una vera pace interiore, possibile solo per un cuore aperto a Dio e in piena comunione con lui. Si tratta di una pace che permane anche se ci sono delle difficoltà di relazione tra di noi, perché non è una pace che dipende dalle nostre forze, ma dall’azione dello Spirito Santo, che sa coprire anche le nostre povertà. IL COMMIATO Il sacerdote (o il diacono) invita tutti ad andare, perché la Messa è terminata. Si tratta della ripresa di un’antica abitudine dei romani, tra i quali era norma di cortesia che nessuno lasciasse una riunione finché non fosse autorizzato da colui che la presiedeva. I fedeli rispondono dicendo rendiamo grazie a Dio: è a Lui che va il ringraziamento ultimo, non certo al sacerdote. Da questo momento la liturgia è finita e tutti possono uscire. IL CANTO FINALE In teoria il canto finale non è prescritto e non è più parte dell’atto liturgico. Normalmente viene eseguito per accompagnare il sacerdote durante l’uscita dal presbiterio, in modo solenne, anche con la finalità di coprire i rumori. Inoltre può essere molto utile affinché i fedeli abbiano un momento di transizione tra la fine della liturgia e il ritorno alla vita ordinaria. Quindi può essere usato anche come canto di ringraziamento, per mantenere un clima di preghiera. LA FRAZIONE DEL PANE Il sacerdote recita l’Agnello di Dio. Lo fa per 3 volte e i fedeli rispondono. Durante questa invocazione, il sacerdote prende l’Ostia e la spezza. Si tratta qui di un antico rito, che si faceva fin dall’inizio. La Messa, celebrata dagli Apostoli veniva chiamata “frazione del pane” (come ci ricorda At 2,42). Spezzare il pane ricorda il gesto che Gesù fece davanti ai discepoli di Emmaus e fu proprio quel gesto che aprì loro gli occhi e finalmente, dopo una giornata di cammino, i discepoli di Emmaus riuscirono a riconoscere Gesù risorto. Dopo aver spezzato il pane il sacerdote stacca una piccola parte dall’Ostia e la mette nel calice. Quest’azione si chiama immixtio, cioè immissione, e mentre viene fatta il sacerdote recita in silenzio questa preghiera: “Il Corpo e il Sangue del Signore nostro Gesù Cristo, uniti in questo calice, siano per noi cibo di vita eterna”. Questo rito probabilmente deriva da una consuetudine dell’antica Chiesa di Roma. Quando il Papa celebrava la Messa attorniato dai suoi presbiteri e uno di essi non poteva partecipare, perché impegnato altrove, il Papa staccava una piccola parte dall’Ostia e la inviava al presbitero assente. Questi, quando celebrava la Messa, immetteva la porzione ricevuta nel calice e in questo modo esprimeva la comunione con il Papa. Il sacerdote conclude con la formula: “Beati gli invitati alla cena del Signore. Ecco l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo”. Siamo beati, perché godiamo della grazia di partecipare ad un simile banchetto. Cristo si da sulle nostre mani, entra nelle nostre bocche, nutre il nostro corpo e in questo modo realizza la comunione di tutta la Chiesa, produce frutti di salvezza, apre le porte del cielo. Soprattutto perdona i peccati e li toglie, li cancella in modo definitivo. Solo eliminando radicalmente i nostri peccati la salvezza diventa davvero possibile, perché senza peccati non ci sono più ostacoli ala santità. LE PREGHIERE DI PREPARAZIONE ALLA COMUNIONE Sono due preghiere che nel rito antico il sacerdote recitava personalmente, prima di fare la comunione. Sono state conservate nel messale moderno. Anche ora il sacerdote le recita in silenzio, come si faceva un tempo. La prima dice: Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che per volontà del Padre e con l’opera dello Spirito Santo morendo hai dato la vita la mondo, per il santo mistero del tuo Corpo e del tuo Sangue liberami da ogni colpa e da ogni male, fa che sia sempre fedele alla tua legge e non sia mai separato da te. Esprime un sentimento di umiltà. Dopo aver invocato la Trinità e affermato il mistero pasquale di Gesù, il sacerdote chiede di essere liberato dai propri peccati e la grazia di mantenersi fedele alla legge di Dio. La seconda dice: La comunione con il tuo Corpo e il tuo Sangue, Signore Gesù Cristo, non diventi per me giudizio di condanna, ma per tua misericordia sia rimedio e difesa dell’anima e del corpo. Richiama un testo di San Paolo: 1Cor 11, 27-28, dove l’Apostolo mette in guardia dal ricevere il Sacramento dell’Eucaristia in modo indegno. Questa preghiera non vuole certamente esprimere la volontà del sacerdote di ricevere l’Eucaristia in stato di peccato mortale. Al contrario, esprime una volontà contraria: il sacerdote riconosce di essere un peccatore come tutti e chiede al Signore, proprio nel momento precedente alla sua comunione, di essere sempre vigile nel tenersi lontano dal peccato, per accostarsi in modo degno all’Eucaristia. LA COMUNIONE SPIRITUALE Alcuni fedeli non sono ammessi a ricevere la comunione, nella forma appena descritta. Ciò può dipendere da qualche motivo oggettivo, presente nella loro vita, che di fatto li esclude da questa possibilità. È bene chiarire che questo avviene in conseguenza di un altro divieto, che riguarda la confessione. Si tratta di situazioni che, nel momento della confessione, non possono essere assolte, perché non vi sono le condizioni per un vero pentimento, in quanto i fedeli hanno creato delle circostanze che non possono essere eliminate come se niente fosse. Non potendo ricevere l’assoluzione, i fedeli non possono nemmeno ricevere la comunione. Questo però non significa che essi non sono in comunione con la Chiesa: non possono ricevere la comunione sacramentale, ma possono fare la comunione spirituale: al momento della comunione, davanti all’Eucaristia, essi sono invitati a recitare una formula che esprime il loro desiderio, sebbene poi esso non possa esplicitarsi nell’azione. La formula da usare può essere questa: Vorrei, Signore, riceverti con la purezza, l’umiltà e la devozione LA RICEZIONE DEL SACRAMENTO (COMUNIONE) È il momento più intimo della celebrazione. Non è l’essenza del sacrificio, ma ne è una parte integrante. La vittima del sacrifico va consumata. Come negli antichi riti, quando si offrivano animali e prodotti della terra, poi venivano mangiate le carni, così ora una Messa senza la comunione al corpo e sangue di Gesù offerto in sacrificio resterebbe una Messa incompleta. Noi riceviamo il vero corpo di Gesù: non si tratta di un simbolo che ricorda il suo corpo offerto sulla croce, al contrario si tratta di quello stesso corpo che visse in mezzo a noi, che compì miracoli, che insegnò il Vangelo, che fu inchiodato sulla croce, che fu sepolto, che fu risuscitato dopo tre giorni e che poi ascese in cielo e ora siede alla destra di Dio. Quel corpo, proprio quello, ci è dato attraverso il sacramento, nella materia del pane e del vino. Per questo motivo occorre riceverlo con grandissima devozione e rispetto. Si tratta di una realtà sublime, una grandezza senza eguale, perché ciò che è sacro non lo si può prendere alla leggera. Occorre: Essere preparati, sapendo in coscienza cosa si riceve; Essere in stato di grazia, cioè senza peccati mortali da confessare; I modi per ricevere l’Eucaristia sono tre: In mano: la sinistra sotto la destra, a modo di trono (questa è un’antica tradizione già raccomandata da un padre della Chiesa, S. Cirillo di Gerusalemme, nelle sue catechesi). L’importante è ricevere l’Eucaristia, non prendersela: si tratta di un dono, quindi è il sacerdote che la pone sul palmo; In bocca: la si riceve direttamente sulla lingua; In bocca, mentre si è in ginocchio: come gesto di ulteriore riverenza verso l’Eucaristia. con cui ti ricevette la tua santissima Madre, con lo spirito e il fervore dei Santi. LE ABLUZIONI Dopo che i fedeli hanno ricevuto l’Eucaristia, il sacerdote ripone i vasi. Purifica la patena dalle briciole che vi sono rimaste attaccate, versandole nel calice. Poi, all’interno di questo, versa dell’acqua e beve il contenuto. Alla fine asciuga il calice e ripone tutto sulla credenza, accanto all’altare. Questo rito si compie perché l’Eucaristia non vada sprecata in nessuna sua briciola, nemmeno la più piccola. L’ORAZIONE DOPO LA COMUNIONE (POSTCOMMUNIO) Il sacerdote recita l’ultima preghiera, con le braccia alzate, nella quale esprime il ringraziamento per quanto ricevuto e chiede la grazia di poter far fruttare i doni dell’Eucaristia nella vita di tutti i giorni. Esprime la speranza che questi frutti possano essere bene usati per guadagnarci la vita eterna. È quindi sempre una preghiera che rivolge lo sguardo al Paradiso. I RITI DI CONCLUSIONE Il sacerdote invoca la benedizione del Signore: è una benedizione trinitaria, invocata su tutti i fedeli presenti. Così, fortificato dal santo Sacrificio e benedetto nel nome delle tre Persone divine, il fedele si immerge nella vita ordinaria disposto a santificare le realtà nelle quali vive.