collana del centro interuniversitario per le ricerche

COLLANA DEL CENTRO INTERUNIVERSITARIO
PER LE RICERCHE SULLA SOCIOLOGIA DEL DIRITTO,
DELL’INFORMAZIONE
E DELLE ISTITUZIONI GIURIDICHE
(CIRSDIG)
8
Comitato scientifico
PROF. LARRY BARNETT, Widener University (USA)
PROF. ROQUE CARRIÒN–WAM, Università di
Carabobo (Venezuela)
PROF. DOMENICO CARZO, Università di Messina
PROF. ALBERTO FEBBRAJO, Università di Macerata
PROF. MAURICIO GARCIA–VILLEGAS, Università
Nazionale di Bogotà (Colombia)
PROF. MARIO MORCELLINI, Università di Roma
“Sapienza”
PROF. EDGAR MORIN, École des Hautes Études en
Sciences Sociale (France)
PROF. VALERIO POCAR, Università di Milano
“Bicocca”
PROF. MARCELLO STRAZZERI, Università di Lecce
Tutti i volumi pubblicati nella Collana del CIRSDIG vengono sottoposti a un processo di peer–reviewing.
CIRSDIG – COLLANA DEL CENTRO
INTERUNIVERSITARIO PER LE RICERCHE SULLA
SOCIOLOGIA DEL DIRITTO,
DELL’INFORMAZIONE E DELLE ISTITUZIONI
GIURIDICHE
La collana ospita interventi, teorici o empirici, che trattino i processi normativi e/o comunicativi riguardanti le
trasformazioni in atto nel mondo contemporaneo e, in
generale, gli aspetti di potere connessi a genere, razza e
disuguaglianze presenti in tali processi. Più specificamente i testi pubblicati riguardano ad esempio: dinamiche e mutamenti sociali e giuridici; la cultura, gli immaginari collettivi e le trasformazioni sociali; i nuovi diritti
civili, politici e sociali; la comunicazione e le Nuove
Tecnologie.
Carlo Grassi
Progettazione e produzione delle arti
come azione sociale
Dall’arte popolare all’industria culturale transmediale
Copyright © MMXII
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00173 Roma
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ISBN
978–88–548–5248–8
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con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: novembre 2012
Per Axelle, Louis e Marguerite
Indice
9
Capitolo I
Cultura materiale
19
Capitolo II
Il mostro e la civiltà
29
Capitolo III
Pensosità e ornamento
37
Capitolo IV
Concezione moderna del lavoro artistico
45
Capitolo V
Diffusione delle arti popolari
57
Capitolo VI
Ambienti densi di esperienza vissuta
71
Capitolo VII
Sfera pubblica demassificata
8
Indice
81
Capitolo VIII
Industria culturale transmediale
93
Capitolo IX
Il genio e le piramidi
103
Capitolo X
Il passante e le sue escursioni
109
Capitolo XI
Dalla prospettiva alla trasparenza
121
Bibliografia
Capitolo I
Cultura materiale
Per ben comprendere la nozione di cultura materiale
bisogna risalire al XV secolo e a due movimenti cruciali che si
presentano in quest’epoca: uno diretto verso profondità arcane
del tempo e l’altro verso luoghi remoti dello spazio.
In primo luogo, il viaggio nel tempo. Un cammino a ritroso
del mondo occidentale alla ricerca delle proprie radici culturali
con cui dare nuova linfa all’identità attuale: la riscoperta dei
tesori della cultura classica latina e greca che, favorita dal
lavoro degli umanisti, introduce la rivoluzione moderna sul
piano della politica e su quello della scienza. In secondo luogo,
la traversata dell’oceano Atlantico: la scoperta dell’America nel
1492 e l’avvio del processo di colonizzazione.
Il profondo e diffuso esercizio di studio del passato
classico, che prende il nome di movimento umanista, muta
drasticamente il rapporto dell’uomo occidentale con la nozione
stessa di straniero e segna il primo passo decisivo verso la
modernità. Infatti, grazie alla nuova abitudine allo studio di un
passato glorioso, ma lontano e estremamente diverso
dall’attualità, per la prima volta nella storia gli uomini
cominciano a osservare e registrare le differenze culturali dei
propri contemporanei senza sentirsi in pericolo e senza, quindi,
9
10
Capitolo I
porre tali differenze in contrasto e opposizione con la propria
cultura. In questi termini, come scrive l’archeologo e
antropologo americano John Howland Rowe (1965, pp. 1–8), la
viva attenzione verso
le differenze di costume e di linguaggio, nonché verso le antichità
locali, caratteristico di molte narrazioni del periodo delle grandi
esplorazioni appare strettamente connesso al capitale mutamento
nell’attitudine degli uomini verso l’antichità classica che costituisce il
fondamento del Rinascimento italiano. Infatti, la tradizione antropologica
dell’interesse verso le differenze tra gli uomini ha i suoi inizi nel
rinascimento italiano del XIV e XV secolo e specificamente
nell’archeologia rinascimentale. Questo perché gli studi rinascimentali
sull’antichità classica non solo stimolano un generale interesse verso le
differenze tra gli uomini, ma forniscono anche dei modelli per descrivere
tali differenze. E, pertanto, quando si pone il problema di descrivere le
contemporanee culture non occidentali, gli studi rinascimentali sui
costumi e le istituzioni romane servono da precedente.
Così, le grammatiche e i dizionari di latino e greco classici
ricostruiti dagli umanisti
fungono da modelli per la descrizione delle lingue scritte in tutto il
mondo, e gli studi dei monumenti antichi in Italia e in Grecia
costituiscono dappertutto la base per i rendiconti archeologici. Gli inizi
dell’antropologia fisica cominciano più tardi proprio perché in questo caso
gli studi sull’antichità classica offrono un precedente di minore portata.
Riassumendo, è vero che il clima intellettuale dell’Europa
medievale risulta favorevole agli studi comparativi. Tuttavia, i
Cristiani fanno molta attenzione alle differenze religiose, ma
solo con l’obiettivo di sopprimerle. E, al contempo, domina
l’interesse letterario per mostri e meraviglie, derivato dalla
tradizione letteraria Classica rappresentata da Plinio il Vecchio,
che influenza le aspettative di chi viaggia in terre lontane. Così,
riguardo alle differenze culturali, gli autori Medievali
aggiungono ben poche informazioni al repertorio delle
compilazioni geografiche precedenti. Quando, invece, viene
finalmente elaborata una prospettiva più ampia, continua Rowe
(ivi, p. 10), questa «non deriva dalle osservazioni riguardo alle
Cultura materiale
11
diversità dei contemporanei, ma dallo studio dell’antichità
greco–romana». La prima differenza culturale a essere
riconosciuta come tale è quella tra il presente e il passato e
questo
riconoscimento
costituisce
una
conquista
dell'umanesimo. Prima del Trecento, «gli europei si mostrano
generalmente insensibili alle diversità culturali sia nel tempo
che nello spazio»: solo dopo aver imparato, grazie agli Umanisti
italiani, a individuare le differenze studiando l’antichità
classica, «diventano capaci di compiere osservazioni
sistematiche sulla disparità dei propri contemporanei». Il
significato del movimento umanista per la storia
dell’antropologia consiste nel fatto che esso crea una distanza
prospettica in base alla quale l’antichità o ogni altra cultura più
recente possono essere viste come un tutto e osservate con
quella considerazione che ne fa un rispettabile oggetto di studio.
Il punto di vista dell’antropologia deve molto all’esperienza
degli europei nei grandi viaggi di scoperta, ma non trova origine
nell’osservazione delle differenze dei propri contemporanei. I
viaggiatori vedono solo quello che sono preparati a vedere e gli
occhi degli uomini sono stati primariamente aperti dallo studio
dell’antichità classica in un quadro che la mette in contrasto con
il loro tempo». L’entusiasmo per l’antichità classica comporta
l’effetto ulteriore d’infrangere il guscio del pregiudizio
etnocentrico che tradizionalmente isola gli uomini
dell’Occidente. Se i greci e i romani antichi sono dei grandi
maestri, mai eguagliati da allora, per ogni popolo moderno
appare ridicolo affermare la propria eccellenza in modo
esclusivo. Un tocco di umiltà verso il grande passato rende
possibile alla curiosità di essere più imparziale.
Per dirla con le parole di Erwin Panofsky (1960, pp. 94–
95): la distanza prospettica tracciata dall’umanesimo «priva
l’antichità della sua realtà. Il mondo classico cessa di essere al
contempo una parte del presente e qualcosa che lo minaccia.
Diviene invece l’oggetto di una nostalgia appassionata». Con il
fiorire di tale tradizione di pensiero, quindi, per la prima volta,
il passato classico viene considerato come una totalità separata
dal presente. E, in quanto tale, «come un ideale da raggiungere
12
Capitolo I
piuttosto che come una realtà da utilizzare e da temere.
Rifiutandosi di seppellire l’antichità, il Medioevo cerca di volta
in volta di farla rivivere e di esorcizzarne il cadavere». Il
movimento umanista, invece,
piange sulla sua tomba e tenta di resuscitarne l’anima. E, in un
momento favorevole, vi riesce. Per questo il concetto medievale di antico
è tanto concreto, ma anche simultaneamente così incompleto e deforme.
Mentre il concetto moderno, che si è formato progressivamente durante gli
ultimi secoli, è largo e coerente ma, se così si può dire, astratto. E per
questo le rifioriture medievali sono effimere, mentre il Rinascimento ha
un valore permanente.
Mentre, in primo luogo, il rinvenimento del passato classico
modifica in profondità la concezione che il sapere occidentale si
fa del diverso e dello straniero; in secondo luogo, la rivelazione
del nuovo mondo sconvolge drasticamente l’idea di cultura
intesa come complesso teorico di conoscenze universali astratte:
come compilazione di norme morali e di verità naturali. Le
nuove comunità con cui gli esploratori europei entrano in
contatto hanno, infatti, alcune somiglianze con la loro civiltà di
provenienza, ma una grande e incolmabile differenza.
Se, da un lato, per quanto molto dissimili, oggetti,
architetture, comportamenti e istituzioni risultano in qualche
modo comparabili a quelli del mondo conosciuto. D’altro lato,
tutte queste altre civilizzazioni non hanno codici formalizzati
semplici, diffusi e popolari per trasmettere la conoscenza a
distanza nel tempo e nello spazio: non conoscono la scrittura,
ma sono dominate dall’oralità. Queste altre civilizzazioni
conoscono al massimo la logografia, espressione per mezzo di
figure che indicano oggetti e concetti. La pittografia degli
indiani d'America, per esempio, non essendo legata a nessuna
lingua particolare consente alle tribù di comprendersi malgrado
ciascuna possieda un proprio idioma differente.
Se la natura, il patrimonio biologico, si trasmette per via
genetica, la cultura, invece, non è ereditaria, ma viene elaborata
dagli individui nel corso della loro vita. La mancanza di una
letteratura scientifica, storica o artistica in grado di testimoniare
Cultura materiale
13
la loro attività culturale, fa sì che, per molto tempo, gli europei
abbiano considerato il continente euroasiatico moralmente
superiore e il resto del pianeta come popolato da esseri in
qualche modo più infantili, più primitivi e, in breve,
antropologicamente inferiori.
Questa concezione comincia a vacillare ed a entrare
seriamente in crisi nel XIX secolo, quando l'antropologo inglese
Edward Burnett Tylor, che è stato curatore del Pitt Rivers
Museum di Oxford e il titolare della prima cattedra di
antropologia creata in un’università della Gran Bretagna,
pubblica nel 1874 il lavoro Primitive culture. Researches into
the development of mythology, philosophy, religion, language,
art and custom in cui elabora la nozione di cultura materiale.
Come si evince dal suo articolo su Professor Adolf Bastian,
pubblicato nel 1905 sulla rivista «Man», tutto il lavoro di Tylor
risente profondamente l’influenza degli scritti del padre
dell’etnologia tedesca il grande collezionista Adolf Bastian
(1826–1905), co–fondatore nel 1869, insieme a Robert
Hartmann, della rivista scientifica «Zeitschrift für
Ethnologie»; e direttore, dal 1876 fino alla sua morte nel 1905,
del Königliches Museum für Völkerkunde (Museo Reale di
Etnologia di Berlino): uno dei più ricchi musei etnografici del
mondo, importante fucina degli studi etnologici.
Infatti, è Bastian che, viaggiando intorno al mondo,
dall’India all’Africa, dal Perù all’Australia, dal Messico ai
Caraibi, raccoglie oggetti, documenti, testimonianze che
considera le varietà locali delle idee elementari
(Elementargedanken) dell’umanità e che, in quanto tali,
meritano di essere conservate e accudite in un Museo al fine di
risultare accessibili alla conoscenza e lo studio. Le idee
elementari non esistono allo stato grezzo, ma unicamente nelle
forme particolari assunte in condizioni storico–sociali date.
L'espressione Elementargedanken non designa solamente delle
idee, ma dei costumi, degli utensili, delle pratiche sociali un
modo di confrontarsi con il mondo e di ordinarlo attorno a
necessità primordiali.
14
Capitolo I
Cosi, nella sua opera Der Mensch in der Geschichte
(L’uomo nella storia, 1860), analizza e compara le tracce
raccolte per provare empiricamente come dietro la varietà delle
culture esista una sostanziale unità dell'umanità che qualifica di
psichica, der psychischen Einheit der Menschheit, e come le
diverse civilizzazioni non facciano altro che associare in modo
differente degli elementi di base comuni a tutta l'umanità. Il
titolo di questo libro deve essere inteso come una confutazione
delle teorie che vedono nella storia un’incarnazione della
volontà divina, una teleologia. Atteggiamento di sfida verso la
teologia ripreso anche da Tylor nei suoi lavori sull'uomo primitivo. Si tratta di fondare une visione psicologica del mondo
(eine psychologische Weltanschauung). Di spiegare, cioè, il
pensiero umano e le sue produzioni attraverso un punto di vista
sociale e psicologico. La concezione di Bastian in definitiva
introduce l’idea che gli atti mentali di tutti gli individui
costituiscano il risultato dei meccanismi fisiologici specifici
della specie umana: che la cultura, in altri termini, sia una sola,
unica per tutta l’umanità, e che le differenze tra le culture non
siano che epifenomeni marginali.
È, quindi, a partire dalle nozioni di Elementargedanken e di
psychischen Einheit der Menschheit, che Tylor elabora la
concezione di cultura materiale equiparando sul piano
gnoseologico i testi scritti, i rituali agiti e gli oggetti costruiti.
Compongono, difatti la cultura materiale tutti i dispositivi
tecnici usati da una comunità per interagire con se stessa e con
il mondo esterno. Da un lato, le convenzioni e istituzioni
sociali, usanze cerimoniali, danze rituali; ma, d’altro lato anche
tutti gli attrezzi, gli artefatti materiali: tutto ciò che consente
agli individui di agire congiuntamente e di trasmettere il sapere
comune della propria collettività alle generazioni successive. La
sfera della cultura costituisce in tal senso l’ambito della natura
trasformata dall’uomo: il rifugio che l’uomo si è costruito nel
mondo per necessità vitale, in quanto mancante di
quell’adattamento innato che, al contrario di lui, fa dell’animale
un tutt’uno con il suo ambiente. La cultura dei popoli primitivi
si compone perciò in primo luogo di armi, utensili, capanne,
Cultura materiale
15
animali domestici, orti: tutto ciò è natura modificata,
trasformata, nobilitata, tutto ciò è natura che riceve una nuova
forma attraverso un’azione intelligente.
La nozione di cultura materiale permette di comprendere
che, in quanto implicano la totalità delle reazioni e delle attività
intellettuali e fisiche che caratterizzano il comportamento degli
individui che compongono un gruppo sociale, i processi
culturali comprendono anche i prodotti di queste attività.
Concepire o fabbricare un oggetto appare pertanto come
un’attività di grande valore intellettuale in quanto costituisce il
risultato di un’intenzione formulata, una competenza acquisita e
un lavoro eseguito. In altre parole, il termine ad quem,
l’oggetto, non può in alcun modo prescindere dal termine a quo,
il quadro sociale al cui interno prendono forma produzione,
distribuzione e consumo del manufatto stesso. In altri termini,
essendo al contempo uno strumento e un simbolo espressivo,
l’oggetto ha sempre e inevitabilmente a che fare con una sfera
di significati pubblicamente disponibili il cui senso non è mai
immediatamente evidente, ma viene incessantemente interpretato soggettivamente e collettivamente tramite il vissuto
quotidiano hic et nunc di modi di agire specifici e strategie
d’azione particolari.
Questi modi di agire e tali strategie d’azione forniscono a
loro volta le risorse per rinnovare socialmente la capacità
collettiva di agency perché consentono di elaborare
implicitamente ed esplicitamente altri e differenti stati d’animo,
nuovi modi di pensare, inedite motivazioni, inusuali stili
relazionali. Consentono in tal modo alle pratiche sociali di
generare un universo di significato in base al quale dei
frammenti di realtà vengono al contempo prodotti
materialmente ed elaborati simbolicamente: forgiati in quanto
oggetto e pensati come segno.
E’ proprio grazie all’inscindibilità del carattere strumentale
ed espressivo del linguaggio che gli individui possono attribuire
collettivamente un significato agli oggetti che li circondano e al
loro habitat, che i raggruppamenti umani trasmutano il caos
tumultuoso e indecidibile della coesistenza in un universo più o
16
Capitolo I
meno ordinato di rapporti stabili: che rendono abitabile l’aperto
generando un mondo.
Per esempio, qualcosa di estremamente semplice come una
selce appuntita, al pari di ogni altra arma o di ogni altro utensile
più complessi, costituisce un oggetto culturale: un artefatto la
cui morfologia rinvia direttamente agli obiettivi di colui che
l’ha progettato e realizzato, alle conoscenze di cui ha potuto
disporre e alla capacità di trasferire tali conoscenze astratte in
un’operazione concreta. In questo senso, un oggetto è qualcosa
che per poter essere preso in considerazione in quanto tale deve
potersi tradurre in un segno: deve poter rinviare ad altro da sé.
Questo è possibile perché nella sua conformazione è depositato
un sapere: delle informazioni che si trasmettono implicitamente
insieme con lui. Delle conoscenze che sono il frutto di
un’azione individuale ma di una rete più o meno coordinata di
cooperazione e di comunicazione. Colui che l’ha costruito o lo
ha solo osservato, infatti, non trae dal nulla la sua intelligenza e
le sue cognizioni ma le sviluppa a partire da un contesto sociale
di relazioni, scambi, insegnamenti, regole collettivamente
condivise, tabù.
Una cultura non è però, secondo Tylor, un sistema perfettamente integrato, in cui cioè ogni elemento è interdipendente da ogni altro, ma è ricca di dissonanze che scatenano i
conflitti che sono all’origine dei mutamenti sociali Le culture
del mondo non definiscono quindi delle aree occupate da
comunità nettamente delimitate l’una rispetto al’altra, ciascuna
caratterizzata da una propria forma di vita asettica, ma sono
ingegnose e variabili: non sono impermeabili l’una all’altra, ma
vivono per impollinazione, per inseminazione reciproca.
A partire dalla diffusione della nozione di cultura materiale
viene progressivamente messa in discussione la concezione
tradizionale della conoscenza come dimensione trascendente,
astratta, universale; e aperta la strada a una sua descrizione
storica e sociale per la quale, sulla base di un sostrato più
generale, i singoli saperi costituiscono il risultato contingente di
culture determinate. Si confuta quindi la concezione
mainstream della cultura, intesa come un processo top–down
Cultura materiale
17
che dall’alto delle elites dominanti si diffonde verso il basso
degli individui alienati, e prende sempre più piede una
concezione grassroots, cioè un’idea per cui il sapere costituisce
un insieme di pratiche sociali che si muovono bottom–up, dal
basso verso l’alto. La cultura appare allora non come qualcosa
di meno concreto del mondo reale che assolve il compito di
rappresentare o riflettere questa realtà stessa, ma come una
pratica collettiva e un processo interattivo che permettono di
orientarsi nella vita sociale, elaborandone i conflitti, e nel
mondo, trasformandolo.
In questo quadro, gli attori sociali risultano soggetti dotati
di autodeterminazione che, interagendo, creano significati
collettivi tramite un sistema di mediazione simbolica chiamato
linguaggio. Tali soggetti agiscono, sia a livello singolare sia
collettivo, per costruire, mantenere e difendere il proprio senso
del sé che costituisce il significato più importante da loro
posseduto. L’identità viene prodotta mediante l’interazione con
gli altri e richiede la conferma degli altri: essa definisce un
sistema attraverso il quale trovano connessione tutte le relazioni
sociali, sia quelle dirette, sia quelle indirette. La cultura non si
presenta più quindi come il monopolio di un segmento della
società, ma come parte integrante del processo collettivo tramite
il quale l’intera comunità costruisce un universo comune di
significati per potersi orientare nel mondo sociale, un
linguaggio comprensibile da tutti e un regime condiviso di
giudizi, gusti e valori: un sistema che tutti sono in grado di
riconoscere, indipendentemente dal fatto che vi aderiscano o no.
In questo contesto, la cultura costituisce un sistema generato dal
confronto costante tra le varie istanze politiche, economiche e
sociali esistenti in una collettività: negoziazione intersoggettiva
tra l’insieme delle differenti forze che animano una società in
grado di dare vita a un complesso di sistemi di mediazione
simbolica e a dei linguaggi comprensibili dall’intero corpo
sociale.