Introduzione alla lettura della Gaudium ed Spes1 Il frutto acerbo del Concilio2 Inizio dalla fine, riportando le riflessioni di Dom Helder Camara 3 dopo la votazione, in aula, della GS: "In Basilica si è conclusa la votazione dello schema XIII, che ormai non esiste più. Ha ceduto gloriosamente il passo alla costituzione pastorale sulla presenza della Chiesa nel mondo. Lo stato maggiore dell'opposizione allo spirito del Vaticano II, sfruttando la paura dei vescovi statunitensi riguardo a ciò che sembrava loro una condanna totale della guerra (ai vescovi USA sembra irrealistico, sembra fare il gioco del comunismo) aveva annunciato la bocciatura dello schema e il suo rinvio al futuro Sinodo dei Vescovi … Invece, c'è stata un'approvazione straordinaria! Ormai si erano rifugiati nella speranza che il Santo Padre rinviasse la promulgazione, ma dieci minuti dopo la votazione finale stava già arrivando la notizia che il Santo Padre desiderava la promulgazione della nuova Costituzione durante la sessione di chiusura del Concilio ... Ho passato tutto i tempo a pregare per il ROC4. Ho pensato a lungo, e con nostalgia, a tutti voi quando in basilica, dopo le ultimissime votazioni, ho assistito alla proclamazione solenne della dichiarazione sulla libertà religiosa, del decreto sull'attività missionaria della Chiesa, e sul ministero della vita dei sacerdoti, e soprattutto della costituzione pastorale sulla presenza della Chiesa nel mondo. La dichiarazione storica, rivoluzionaria (nel senso più bello e più profondo dell'espressione), e la costituzione (il sognato, sofferto e opportunissimo schema XIII) minacciati di bocciatura, non hanno avuto nemmeno 80 voti contrari. (Quelli che remavano contro)… sapranno quanto ho pregato per loro solo quando saranno in cielo ... solo l'azione dello spirito Santo, la protezione della vergine Maria e degli Angeli, la carità fraterna e profonda da parte nostra, hanno controbilanciato l'amarezza nella quale si devono trovare adesso” (circ. 88 e 89). Per la cronaca: la votazione per la GS, il 7 dicembre 1965, ha registrato: 2.309 si, 75 no, e 7 voti nulli. I no furono solo il 3,25 %. 1 Nel testo si userà la sigla GS; per la Lumen Gentium sarà LG; per la Pacem in Terris PT. 2 Il titolo è una interessante definizione del teologo Luigi Sartori. Partendo dalle sue riflessioni, ho ampiamente utilizzato anche contributi di alcuni protagonisti nel Concilio (Papa Giovanni Paolo II, Mons. Helder Camara, Card. Ive Congar, Mons. Luigi Bettazzi), di un attento studioso dell’avvenimento, il Card. Walter Kasher, di Savino Pazzotta, e della teologa Maria Terribile. 3 Tratte dalle sue interessanti circolari agli amicidal Concilio, pubblicate dalle Edizioni SANPAOLO; 497 pagine piacevoli e ricche di utili notizie. Prezzo: € 28,00. Titolo: “Roma, due del mattino”. 4 Sigla del gruppo che contrastava la riforma. GS x CPM 1 Una votazione così plebiscitaria, dopo quattro anni di animate discussioni, non poteva che essere prodotta da un intervento dall'alto! Il vescovo Camara ricorda gli interventi di Maria, degli Angeli celesti, e soprattutto, come più volte ha fatto nel corso del suo epistolario, quelli dello Spirito Santo, che ha guidato in modo sereno e profondo l'intero corso dei lavori, dalla fase preparatoria alla celebrazione dell'evento, e alla sua conclusione. Si può constatare, dalla lettura delle circolari, che all'interno del Concilio si misuravano non solo le convinzioni personali di vescovi e teologi, ma anche due gruppi consistenti che si erano man mano formati per approfondire le motivazioni dei “pro” e dei “contro” su alcune decisioni da prendere, e per convincere quanti erano ancora in fase di riflessione. L’insieme di chi voleva un consistente rinnovamento della vita della Chiesa faceva riferimento a due gruppi: - quello dei rappresentanti delle conferenze episcopali chiamato, da Mons Camara, "ecumenico"; - quello dei teologi era detto degli "angeli". Animatore attento ed efficace dei due gruppi, fu sopratutto il vescovo brasiliano Helder Camara: non parlò mai parlò in pubblica assemblea, ma animò la volontà di riforma, sostenendo soprattutto l’azione di alcuni prestigiosi cardinali. Fu particolarmente legato a Suenes e a Montini (che diverrà poi Papa il 21 giugno 1963). Le sue circolari documentano i tentativi di accompagnare l’azione dello Spirito nella direzione del rinnovamento. I gruppi5 lavoravano sia durante il concilio che nei momenti in cui i vescovi dovevano tornare alle loro diocesi per compiere il loro ministero, e per confrontarsi sul loro territorio con i membri delle loro chiese6. Durante questi intervalli i membri dei due gruppi continuavano il confronto e l'approfondimento per giungere più preparati alla ripresa dei lavori È giusto anche ricordare che durante lo svolgimento dei lavori quanti vedevano con trepidazione la direzione che concilio stava prendendo – particolarmente per lo schema XIII - tentarono più volte di bloccare i lavori proponendo di offrire documenti più generici e misurati. Le lettere del vescovo Camara, e le note del teologo domenicano (già perseguito dal Sant’Ufficio, e futuro cardinale) Yves Congar7 nel suo "Diario del Concilio", Per completezza di informazione, dobbiamo anche ricordare i membri più attivi dell’altro gruppo, quello che per fedeltà all’idea che avevano di “Chiesa” vedevano con sospetto, in soggettiva buona fede, modifiche che avrebbero potuto intaccare la fedeltà ai contenuti essenziali della fede ricevuta dalle Scritture e dalla Tradizione: l’italiano Mons. Carli, lo spagnolo Mons. Guerra Campos, il brasiliano Mons. Sigaud, e il francese Mons Lefevbre, raccolti nel “Coetus Internationalis Patrum”. Quasi tutti accettarono, poi, le decisioni del Concilio! 6 La prima fase durò dall’11 ottobre all’8 dicembre 1962; la seconda dall’8 giugno 1963 a l4 dicembre 1963; la terza dal 30 aprile al 21 novembre 1964; la quarta dal 14 settembre all’8 dicembre 1965. Le decisioni conclusive furono votate nelle Sessioni pubbliche: 11 X 62; 29 IX 63;4 XII 63; 14 IX 64; 21 XI64; 14 IX 65; 28 X 65; 7 XII 65; 8 XII 65. 5 7 Si tratta di un vero e proprio diario, che inizia nel 1960 e si chiude nel 1966. È edito da SAN PAOLO in due corposi volumi, di pagine 538 e 524. Prezzo: € 110,00. Una miniera profonda, sia per contenuti che per ricchezza di notizie. GS x CPM 2 testimoniano le difficoltà del percorso, e la potenza dell'azione divina che, senza violentare l'umana libertà, è riuscita a produrre una quasi unanimità; un fatto che, alla visione dello storico, può sembrare semplicemente miracoloso. Non dimentichiamo che Paolo VI, ricevendo da Papa Giovanno XXIII l’eredità del Concilio da portare avanti, aveva dichiarato ai Padri Conciliari che non avrebbe firmato documenti che fossero stati votati solo da una maggioranza. Chiese la quasi unanimità! Queste tensioni crearono nei diversi schieramenti anche forti crisi di coscienza. Dal diario di Camara possiamo scoprire il dubbio che accompagnava il Card. Ottaviani, Prefetto del Sant’Ufficio, deciso sostenitore di una linea di intransigente fedeltà alla tradizione, che si confidava con Frère Roger (il priore di Taizé, invitato come osservatore al lavori del Concilio), in questi termini: “Ho bisogno di vederci chiaro … non voglio assolutamente peccare contro la luce” (circ. 75). Negli ultimi tempi, confidava ancora: “Per 76 anni sono stato il guardiano del deposito della fede: il vecchio carabiniere di piantone. Ma se è la Santa Chiesa stessa a riesaminare e approfondire i temi, a parlare con un altro linguaggio al servizio di una nuova maniera di essere, Dio mi farà la grazia di essere fedele oggi come ieri. La Chiesa che io osservo ciecamente, da cieco quale sono"8. Premesso questo proviamo ad addentrarci nel documento che il Concilio ci ha donato. Partiamo dai fatti Iniziamo con il ricordo di Papa GP II. L'occasione: una solenne ricorrenza, i 30 anni dalla promulgazione. Nel discorso, tenuto nel pomeriggio di mercoledì 8 novembre 1995, nell'Aula del Sinodo, condivide il suo personale ricordo:. “Devo confessare che la Gaudium et spes mi è particolarmente cara, non solo per le tematiche che sviluppa, ma anche per la diretta partecipazione che mi è stato dato di avere alla sua elaborazione ….. Quale giovane Vescovo di Cracovia ... fui membro della sottocommissione incaricata di studiare i "segni dei tempi" e, dal novembre 1964, fui chiamato a far parte della sottocommissione centrale, incaricata di provvedere alla redazione del testo. Proprio l'intima conoscenza della genesi della Gaudium et spes mi ha consentito di apprezzarne a fondo il valore profetico e di assumerne ampiamente i contenuti nel mio magistero fin dalla prima Enciclica, la Redemptoris hominis In essa, raccogliendo l'eredità della Costituzione conciliare, volli ribadire che la natura e il destino dell'umanità e del mondo non possono essere definitivamente svelati se non alla luce del Cristo crocefisso e risorto”. 8 Il Card. Ottavini, in quegli anni, aveva già gravissime difficoltà nella vista. GS x CPM 3 Preziose indicazioni sull’importanza e la complessità dei contenuti, ci vengono fornite dalla ricostruzione dell’iter conciliare dello schema XIII. Esso fu ripetutamente rimandato alle commissioni non a causa di un insufficiente retroterra ecclesiologico, né perché agli estensori fosse mancato il tempo di assimilare la lezione della Lumen Gentium, ma perché nel rapporto Chiesa-mondo, che doveva costituire l’oggetto formale del documento, esisteva una lacuna teologica a carico del secondo termine della relazione. Lo schema non era carente sul versante ecclesiologico ma su quello antropologico! La prima parte della GS è dunque quella antropologica: se ne avvertiva la necessità, prima di affrontare i problemi trattati nella seconda parte. Si tratta di una antropologia che risulta “inclusa”, come può mettere facilmente in evidenza l’analisi strutturale del documento, nel dinamismo personale trinitario, immanente al Mistero di Dio: per l’uomo, essere “a immagine e somiglianza”di Dio (Gen 1,26s), vorrà ben dire qualcosa! Riguardo poi al proposito della GS di affrontare i problemi del mondo di oggi «alla luce del vangelo» sembrerebbe riduttivo volerne valutare il successo mediante la semplice conta delle citazioni bibliche contenute nel documento. La fondazione evangelica va ricercata piuttosto nella ispirazione di fondo della costituzione pastorale, nella sua struttura e nel suo sottosuolo teologico. E’ seguendo la traccia dell’antropologia agostiniano-tomista della tensione tra natura e grazia, che il concilio perviene alla sostanza biblica di questa dottrina. La definizione, narrativa e sapienziale, dell’uomo come di una «Immagine di Dio», largamente ripresa dalla GS, diviene il punto nodale verso il quale convergono sia la creazione che la redenzione. Per questo motivo, la riflessione conciliare sull’uomo è un’antropologia che si dispiega narrativamente secondo lo schema: creazione, peccato, redenzione. Non possiamo dimenticare che gli apostoli sono stati mandati da Gesù a tutti gli uomini del mondo per annunciare la verità illuminante e santificante del Vangelo: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,1920). Iniziamo l’analisi riprendendo il citato ricordo di Papa GPII: “Non era mai accaduto, nella bimillenaria storia della Chiesa, che un Concilio ecumenico rivolgesse con così profondo coinvolgimento la sua preoccupazione pastorale alle vicende temporali dell’umanità. Proprio di qui scaturisce l’interesse particolare che questa Costituzione ha suscitato fin dal suo primo apparire. D’altra parte, lungi dal limitarsi a considerazioni storiche e sociologiche, i Padri conciliari affrontarono ampiamente, in ottica teologica, gli interrogativi fondamentali che da sempre assillano il cuore umano: “Che cosa è l’uomo? Quale è GS x CPM 4 il significato del dolore, del male, della morte, che malgrado ogni progresso continuano a sussistere?” (GS, 10). Scandagliando così il “mistero dell’uomo” alla luce della Parola di Dio, impegnarono anche, e fortemente, la comunità cristiana ad offrire uno specifico contributo per “rendere più umana” l’intera famiglia degli uomini (GS, 40). Oggi rileggiamo quelle pagine in uno scenario mondiale decisamente mutato. Quanti cambiamenti – politici, sociali, culturali – sono intervenuti da quel 7 dicembre 1965! È finita la guerra fredda, la scienza e la tecnica hanno realizzato progressi inauditi: dai voli nello spazio all’atterraggio sulla luna, dai trapianti cardiaci all’ingegneria genetica, dalla cibernetica alla robotica, dalle telecomunicazioni alle più avanzate tecnologie telematiche. Ai fattori di cambiamento connessi con l’urbanizzazione e l’industrializzazione, si è aggiunto l’enorme incremento dei mass-media, che influenzano sempre di più la vita quotidiana degli uomini in ogni angolo della terra. Di fronte a tanti elementi di novità rispetto alla situazione degli anni sessanta, ci si potrebbe chiedere quanto rimane della prospettiva storica adottata dalla Gaudium et Spes. In realtà, se si va al cuore dei problemi, permane nella sua incisività ed acquista attualità persino maggiore l’interrogativo di fondo che allora la Costituzione poneva: i cambiamenti intervenuti nell’età contemporanea sono tutti utili al vero bene dell’umanità? (cf. GS, 6). In particolare, si può avere “un ordine temporale più perfetto, senza che cammini di pari passo il progresso spirituale”? (GS, 4). È pertanto legittimo, alla soglia ormai del terzo Millennio, tornare a riflettere sulle analisi e sulle indicazioni offerte dalla Gaudium et Spes per verificarne il valore e coglierne la sapienza”. La GS è un testo molto complesso, molto più difficile di tutti gli altri testi conciliari. Non per la materia in sé, ma per il metodo nuovo con cui ha voluto cimentarsi il Concilio, per impegnare la Chiesa ad una svolta tutta pastorale (senza poi riuscirci del tutto!). Bisogna coglierne le intuizioni, e valorizzare l'implicito. Il travaglio della sua lunga gestazione non è senza significato. La GS inizia il cammino sinodale senza aver un titolo: prima era lo "schema XVII" e poi il più noto "schema XIII"9: ambedue i casi indicano uno “schema” aggiunto ad altri che avevano, invece, un titolo. Perché questa Costituzione non aveva titolo? Non era stata prevista nella preparazione del Concilio? Alcuni temi che approderanno,, poi, nella Costituzione, esistevano. Si trattava di temi morali, presentati come tali: l'ordine sociale, l'ordine morale cristiano, l'apostolato dei laici. Temi relativi a contenuti anche etici. C'era però un "di più", in questi temi, che non tornava, che non permetteva di chiudere il cerchio: era il metodo! Quei temi non sembravano ricadere nei modi tradizionali di parlare della Chiesa. 9 Quando si operò la prima scrematura degli argomenti messi in evidenza dalle commissioni preparatorie: inizialmente erano73! Si operarono opportuni accorpamenti, e furono ridotti a 17. GS x CPM 5 E si trattava di un insegnamento che non riusciva facilmente a tradurre, in concetti semplici e condivisi, le due intenzioni che il Papa Giovanni XXIII aveva affidato al Concilio: l'aggiornamento e il carattere soprattutto pastorale. Il percorso della GS comincia nell'aula conciliare il 4 dicembre 1962, quando il dibattito sul De Ecclesia registra interventi dei Padri che ricusano lo schema offerto dalla commissione preparatoria per la discussione. Il Card. Suenens, nell'intento di dare una sistematicità ai lavori del Concilio, riprende la distinzione di ecclesia ad intra e ecclesia ad extra, che Giovanni XXIII aveva adoperato nella radiomessaggio dell'11 settembre 1962, un mese prima dell'apertura del Concilio: si trattava di affrontare anzitutto il tema della Chiesa in se stessa, nel suo essere “mistero”10, e solo poi quello del rapporto della Chiesa con il mondo contemporaneo. Questo orientamento, ampiamente, ma non totalmente condiviso, comunque accettato, metteva a tema non tanto alcuni problemi, quanto un metodo di ricerca e di riflessione, che la Chiesa, allora, non aveva ancora a sua disposizione. Tutti i documenti conciliari sono nati dal Concilio, cioè dal faticoso e collegiale lavoro dei Padri; ma questo va detto in modo del tutto particolare della GS. I temi che essa doveva trattare, infatti, erano più chiari nelle intuizioni che non nelle idee; i riferimenti che essi richiedevan, mettevano in questione il modo tradizionale di costruire un documento ecclesiale. Si deve ricordare che la partecipazione al dibattito, specialmente nella terza sessione del Concilio, di vescovi latinoamericani e africani, con il presentarsi di temi nuovi e rilevanti, quali: la povertà, la donna, la libertà, … rendevano il tutto assai difficile. Un fatto può essere considerato come spia di questa incredibile ed apparentemente insormontabile difficoltà: all'inizio del 1963, per l'elaborazione del testo che comincia a chiamarsi Schema XIII, sulla "presenza della Chiesa nel mondo odierno" fu proposta una commissione "mista", frutto di due commissioni, quella teologica e quella dell'apostolato dei laici. C'era quindi l'intuizione che toccava ai laici, o almeno alla riflessione che li riguardava, trainare la Chiesa a intrattenere rapporti con il mondo; e che questi rapporti erano un problema della teologia, cioè riguardavano una questione interna, essenziale per la Chiesa, per la quale metodo e contenuto erano ugualmente importanti, e anche difficili da mettere a segno. Non che le questioni in esame non fossero mai state trattate dalla Chiesa; essa era intervenuto più volte su settori della vita del mondo. Ma nel suo Magistero, la Chiesa non aveva mai esposto un pensiero sistematico sulle realtà temporali. Si trattava di una impresa da pionieri. Il nodo era appunto questo: si trattava di passare da una visione del mondo come luogo della vita di carità, come se fosse solo una realtà da salvare, ad una visione che considerasse invece il ‘temporale’ come valore nell'economia della salvezza . 10 Nel significato teologico, “mistero” non è una verità inconoscibile, ma un dono divino ricco di luce e di salvezza. GS x CPM 6 Emerge la necessità di individuare i punti nodali del discorso. Possiamo evidenziarli così: A) Il contrasto tra due modi diversi di affrontare il problema (dal punto di vista della storia o da quello della rivelazione) rimase immutato per tutta la durata del Concilio; anche la stesura finale non vide l’unanimità. Il lavoro dei Padri rimase sempre confortato dal magistero di Giovanni XXIII e di Paolo VI, che avevano indicato, nelle loro encicliche di carattere sociale, prospettive fondamentali e ineludibili. B) La distinzione del documento in due parti, una dedicata alla fondazione teologica e un'altra alla trattazione dei contenuti tematici pastorali, richiese un dibattito serrato e, in qualche modo, diverso da quello registrato per altri documenti. La novità infatti era rilevante: si trattava di dare una fondazione teologica (normalmente intesa come perenne e definitiva) a temi di cui era evidente e voluto il carattere puramente storico, quindi in continua evoluzione. Fu proprio questo legame tra quanto c'è nella Tradizione di immutabile e la condizione storicamente mutevole degli uomini (condizionie in cui anche la Chiesa vive), il nodo da sciogliere e, anche, la novità da conservare, anche nel cuore, di tutta la GS. Questo problema ha una sua illustrazione nel titolo stesso della GS, dove si spiega il carattere pastorale e dogmatico della Costituzione. La stessa qualificazione teologica del documento lo testimonia: è una Costituzione, cioè un testo che intende dire qualcosa di fondamentale; e l'aggettivo "pastorale" che allora (ma anche oggi!) indica piuttosto un'organizzazione, una indicazione sul da farsi, una concretizzazione qui e ora, in vista anche del domani. I teologi, K. Rahner tra gli altri, impiegarono più di una pagina a cercare di spiegare questa novità, rispettando l'equilibrio che quella qualificazione indicava. C) Il discorso sui "segni dei tempi": una indicazione proposta sin dall'inizio dell'elaborazione del testo dal Card. Pavan, e rimasta nel testo della Costituzione come un'eredità che nel postconcilio è stata abbondantemente recepita, forse alle volte in modo non corretto, ma pur sempre come il frutto più maturo di un'anima antica nella Chiesa, che solo la frattura della modernità aveva cancellato dal suo cuore. Proviamo ad entrare in alcuni temi difficili del documento. Molti furono i temi faticosi: ne ricordiamo solo alcuni che, mi sembra, testimoniano anche il segno della difficoltà metodologica sopra indicata. Il "mondo": non è più un'occasione per condividere, con chi ne era privo, un’offerta di verità e/o di beni; il luogo di un passaggio neutro e unidirezionale nel quale si gioca la partita di una salvezza individuale degli uomini che lo compongono. È, o almeno comincia ad essere, “un mondo di uomini”; una umanità, cioè, a cui compete la gestione dello spazio e del tempo; e che, in quanto visitata da Cristo Signore, smette di essere un contenitore vuoto che la fede deve "riempire di senso". GS x CPM 7 Gli uomini, da sempre, hanno prodotto pensieri e realizzazioni che sono arricchiti da tracce (talvolta anche consistenti!) di verità, di amore e di speranza che non possono essere misconosciute. È stato difficile, e forse è uno dei compiti incompiuti di questa Costituzione, individuare una descrizione, almeno verosimile, comunicabile all'esterno e teologicamente rilevante, di quella realtà oggettiva, e anche preziosa, che viene detta: "mondo". Analoga è la sorte toccata anche alla "storia". Anche qui, non si può dire che la Chiesa non si sia mai occupato della storia; ma, soprattutto per il Magistero, la storia era un'occasione, un punto del tempo dove accadevano fatti o misfatti estranei ed esterni alla Chiesa stessa. Per un normale credente, la storia era la successione di fatti più o meno felici. E la storia della Chiesa era, al massimo, o un'epica eroica o il succedersi di forme che custodivano, nel loro fondamento, un nucleo eterno e immutabile. Ciò che il Vaticano II, e GS in specie, fanno, è recuperare la categoria di "storia della salvezza", espressione in cui l'accento sta sulla parola ‘storia’: la salvezza avviene, si realizza, nella storia; ha una sua storia; ha un tempo e uno spazio, già compiuti in Cristo, e ancora incompiuti per ognuno dei credenti e per il popolo tutto di Dio. facendosi un uomo tra gli uomini, è entrato nella storia, l'ha vissuta e la resa "evento", occasione per il dono di una salvezza universale. Ma né il singolo né un popolo intero sperimentano, pensano, e sono raggiungibili e raggiunti, al di fuori di questa concreta e dinamica storia; e questo a motivo di Cristo, figlio di Dio e, insieme, dell’uomo; questa è la storia di Dio con gli uomini e per questo, anche contro l'evidenza dei fatti, è sempre storia di salvezza. Nasce da qui la riflessione, la dialettica, tra particolare e universale, tra parziale e totale; le conseguenze ecclesiologiche ed ecclesiali di questa ‘ricentratura’ sono state enormi. Altro tema da affrontare con occhi nuovi fu, senza dubbio, la povertà. Anche qui, la difficoltà era la stessa: la Chiesa si è sempre occupata dei poveri, ma da questo ad essere una Chiesa povera, il passo era (ed è ancora!) molto difficile! Inoltre la povertà, come virtù, sembrava essere un obbligo per alcune vocazioni particolari, la spiritualità propria soltanto di alcuni, nella Chiesa. Si stava scoprendo, invece, che l'indicare i consigli evangelici come propri, seppure in modi diversi, di tutti i battezzati era, ed è, una faccia necessaria dell'ecclesiologia del popolo di Dio. Conseguenze dell'uguale dignità di tutti battezzati, sono state anche l’indicazione della universale vocazione alla santità, e l'individuazione della vita laicale come vera e autentica vocazione ecclesiale, non come stato residuale: il laico non è più colui che GS x CPM 8 non è né prete né religioso, ma è un vero e proprio attore nella costruzione del regno, secondo uno specifico modo e tipiche ed originali finalità. Teniamo conto inoltre, del fatto che, sul tema della povertà, molto giocarono, nel dibattito, le diverse provenienze dei padri conciliari: altro è il richiamo alla povertà proposto e vissuto nei paesi ricchi, altra è la povertà di cui si parla nei paesi poveri. L'internazionalità della composizione del Concilio e anche il fatto che gran parte dei vescovi provenissero non da una pur prestigiosa cattedra universitaria, ma da una diocesi, mostra qui, come altrove, il suo valore. Notevoli erano i nodi concreti da sciogliere: - la libertà religiosa per tutti, e le relazioni con gli ebrei, cioè i temi proposti dal Segretariato per la promozione dell’unità dei cristiani, presieduto dal Card. A. Bea; - l’analisi della rielaborazione dello schema sulla rivelazione divina e del dibattito in aula indicava, a chi era attento, che i problemi della dottrina erano anche i problemi della pastorale; - il concilio si pone alla scoperta dei laici; la discussione sul ruolo del laico nella chiesa e la natura della chiamata del laico per essere uomo e cristiano nella storia, doveva costituire la parte centrale del documento sul laicato; - la chiesa vive e opera tra diverse e multiformi specie di società: sta anche qui la necessità e la difficoltà dell’analisi dei rapporti tra chiesa e mondo, nel dibattito conciliare che dovrà produrrela futura costituzione GS; - la ovvia necessità di una diversa formazione dei sacerdoti. Nella terza sessione vengono riproposti all’attenzione dei padri conciliari i testi delle due future “Dichiarazioni”, che erano già state discusse nel secondo periodo conciliare. Si tratta di due testi che, originariamente inseriti nello schema “Sull’ecumenismo”, erano diventati due schemi autonomi. Attraverso le formulazioni contenute in quei due testi, la chiesa cattolica era decisa a imprimere una svolta nella forma e nel contenuto del suo rapporto con i cristiani e con il mondo, recependo e integrando alcuni temi trattati in altri testi conciliari, come la costituzione sulla Chiesa e, appunto, lo schema sul rapporto tra Chiesa e mondo. Nella redazione dei due schemi e nelle vicende del dibattito in aula, si confrontarono, con contrapposizioni talvolta durissime, idee diverse sulla definizione e sulla natura della libertà religiosa e sul valore delle religioni non-cristiane. “Sulla libertà religiosa” esplodono, in aula, due opposte concezioni, presenti sin dalla fase preparatoria; l’una a favore del rispetto della libertà religiosa dei fedeli, senza per questo negare il primato della fede cattolica, e l’altra a difesa del magistero tradizionale della chiesa e sostenitrice dell’immutabilità ed intangibilità della dottrina. GS x CPM 9 Il testo conciliare proporrà una soluzione di grande equilibrio, nel pieno rispetto sia della verità oggettiva che del diritto/dovere di ogni uomo di seguire le indicazioni motivate della sua coscienza. Nel dibattito conciliare, numerosi furono gli interventi sui rapporti della Chiesa cattolica con il mondo ebraico, con le implicazioni teologiche e politiche che determinarono la presentazione di questo testo in aula conciliare. Uno dei punti centrali era costituito dal ripensare l’atteggiamento della Chiesa verso gli ebrei, alla luce anche dei disastri provocati in Europa dall’antisemitismo. Nel corso del dibattito, su questo tema si delineano due opposti fronti: l’episcopato europeo e nordamericano esprimeva una piena approvazione del testo, mentre ad esso si contrapponeva l’esigenza di escludere questo tema dal Concilio da parte dei patriarchi orientali,11 mentre non pochi padri preferivano non abbandonare la tradizionale dottrina dei rapporti della Chiesa con tutte le religioni non cristiane, ebrei compresi. In questa situazione, spesso tesa e difficile, toccò al Segretariato per la promozione dell’unità dei cristiani, svolgere un’azione di mediazione che condusse alla promulgazione delle dichiarazioni solo nell’ultima sessione. La Dichiarazione “Nostra Aetate” (sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, 28 ottobre ‘65) avrà poi accoglienza positiva anche nelle comunità ebraiche. Ma nel novembre ’64 scoppia la tempesta: “la settimana nera”, rappresenta il momento di crisi più grave del concilio, per l’intervento del Papa che introduce delle modifiche nello schema sull’ecumenismo12, impone la “nota previa” alla LG (11 XI ’64), e dispone il rinvio della votazione dello schema sulla libertà religiosa. Poi c’è una provvidenziale e lunga intersessione (dal novembre 1964 al settembre 1965), che permette di preparare con pacatezza la conclusione del Concilio, con la redazione e la revisione conclusiva degli schemi da approvare. 11 Per comprendere il clima e le motivazioni che producevano queste difficoltà, riporto alcune righe dal diario di Congar (Vol. II, pag. 248): “Padre Peeters, della curia generalizia OFM, che ha notizie dalla Custodia di Terrasanta, mi dice che dieci parrocchie sono passate all'ortodossia, per reazione contro la dichiarazione sugli ebrei. Il patriarca ortodosso li avrebbe incoraggiati dicendo: noi siamo del tutto estranei a questa dichiarazione; noi non abbiamo nemmeno voluto inviare osservatori a questo concilio politico e filosemita.. Ch. Moeller, che rientra proprio oggi da Gerusalemme, mi dice: è falso che alcune parrocchie cattoliche siano passate all'ortodossia; ma è vero che gli ortodossi sono molto irritati contro gli ebrei, e prendono nettamente le distanze dalla dichiarazione conciliare". 12 Lo schema relativo all'ecumenismo recitava che: “ per l'azione dello Spirito Santo i non cattolici nelle Sacre Scritture trovano Dio che parla loro nel Cristo”. Per suggerimento di alcuni cardinali, il Papa fa cambiare il "trovano" in "cercano". Non pochi osservatori in quell'occasione pensarono di allontanarsi dal concilio: ritenevano che il testo mettesse in dubbio il fatto che i protestanti avessero già trovato il Signore! Sulla nota previa, Helder Camara, nella circolare 76, parla di “tentazione di definirla un sabotaggio”: si tratta di un testo che limita la portata della collegialità nella Chiesa. Però non figura come testo definitivo conciliare, ma è solo testo papale. Schillebeecks disse a Camara che, nonostante fosse un passo indietro, poteva essere provvidenziale, perché ammorbidiva le resistenze di chi reagiva violentemente al concetto di collegialità. Nella stessa circolare Camara riferiva l'opinione di un cardinale: il Papa segue queste discussioni con molta attenzione, perché teme che si possa produrre, in Europa, uno scisma. GS x CPM 10 Si assiste ad un frenetico impegno per andare insieme alla sostanza, e presentare documenti che possano, nella fedeltà alla verità, avere il maggior numero possibile di adesioni. Si offriranno così le soluzioni sui temi fondamentali per la storia del concilio: - la Chiesa, con il dibattito sulla collegialità episcopale, - la Rivelazione divina, nella sua nuova riformulazione, dopo la bocciatura dello schema sulle fonti della rivelazione, - il rapporto Chiesa-mondo, alla luce della redazione di un nuovo schema, - il laicato, - il carattere dell’ecumenismo cattolico, - la libertà religiosa - il rapporto della Chiesa cattolica con le altre religioni. In questo clima di necessaria serietà, e con profondità di motivazioni, si affrontò e si decise il tema della posizione della Chiesa nel mondo contemporaneo! Contenuti generali Lo schema della Costituzione: Introduzione al tema Prima parte – La Chiesa e la vocazione dell'uomo o Capitolo I - La dignità della persona umana o Capitolo II - La comunità degli uomini o Capitolo III - L'attività umana nell'universo o Capitolo IV - La missione della Chiesa nel mondo contemporaneo Seconda parte - Alcuni problemi più urgenti o Capitolo I - Dignità del matrimonio e della famiglia e sua valorizzazione o Capitolo II - La promozione della cultura o Capitolo III - Vita economico-sociale o Capitolo IV - La vita della comunità politica o Capitolo V - La promozione della pace e la comunità delle nazioni Conclusione L’8 dicembre 1965, Paolo VI chiudeva l'avventura del Concilio Vaticano II, consegnando alla Chiesa e all'umanità il mandato di dialogare a tutti i costi. Era in corsi la “Guerra Fredda”, con l’annesso terrore nucleare; l'alternativa al dialogo era solo la fine del mondo! Ma leggendo la GS ci si accorge che non si trattava solo di individuare e proporre una scelta di ragionevolezza. Anzi: si nota una profonda e motivata passione per tutto ciò che è umano, anche se diverso e non ancora pienamente conosciuto; un fatto che descrive la differenza tra chi costruisce ponti (“pontefice” vuol dire proprio questo!) e chi invece innalza muri, sentendosi cittadella assediata. GS x CPM 11 Il messaggio che la Chiesa affidava a se stessa e al mondo, era che ogni uomo mi interessa, mi sta a cuore13, perché è un mio familiare; perché fa parte della grande famiglia umana. Il metodo e la teoria della PT furono ripresi e sviluppati nella costituzione GS, definita, proprio in questo senso, «pastorale». Sulla scorta della LG, è affermato con maggiore chiarezza che definirla “pastorale” non significa attribuirle una classificazione di minor pregio; è semplicemente definire e indirizzare, con termini chiari e stringenti, l’agire dei cristiani nella storia come segno dell’agire salvifico dell’intera comunità ecclesiale; è quindi “prassi teologale”, proprio in quanto significa l’agire redentivo di Cristo nella storia del mondo: in esso, Cristo costruisce il Regno come capo di un corpo di cui noi siamo le membra! Per questo motivo, il carattere innovativo della gradualità è più in evidenza nella Gaudium et Spes che nella PT. L’incarnazione del Figlio di Dio è invece il principio ermeneutico di questa sintesi: “… nella luce di Cristo, immagine del Dio invisibile, primogenito di tutte le creature (Col 1,15), il Concilio intende rivolgersi a tutti per illustrare il mistero dell’uomo e per cooperare nella ricerca di una soluzione ai principali problemi del nostro tempo”. La legge della gradualità. Senza che venisse espressamente menzionata, la questione della reale portata della GS, sorta in margine ai dibattiti che abbiamo ricordato, implicava strettamente il concetto di legge della gradualità. Il nesso tra la legge della gradualità, nella sua qualità di principio della progressiva comprensione della verità rivelata e di principio inventivo dell’agire ecclesiale nel mondo, si trova già nel proponimento di impostare il discorso ad extra “alla luce del Vangelo e dell’esperienza umana”; e quindi di ripensare i rapporti tra natura e grazia in prospettiva dinamica. Nel paragrafo 44 della GS questo nesso viene fatto oggetto di riflessione esplicita. Il contesto immediato è il quarto capitolo della costituzione, quello che in origine apriva l’esposizione dello schema XIII. Nella sua forma definitiva, il quarto capitolo si presenta strutturato sui tre precedenti. Dopo un paragrafo introduttivo che si richiama, sintetizzandola, alla dottrina della LG, il concilio mostra la capacità di tale dottrina di ispirare i criteri pratici di un fruttuoso dialogo tra la Chiesa e gli individui, tra la Chiesa e la società; la sinergia tra l’attività della Chiesa e l’attività umana. Il filo conduttore di tutte queste affermazioni rinvia al fatto che la Chiesa, essendo inserita nel Mistero di Cristo, insieme umano e divino, è in se stessa luogo del dialogo e dell’armonizzazione. 13 Viene in mente il cartello “I CARE” che Don Milani teneva appeso nella scuola di Barbina. GS x CPM 12 Il dialogo tra Chiesa e mondo è dunque solidamente fondato sulla reciproca inerenza di Chiesa e mondo instaurata proprio dall’Incarnazione. Rispetto al magistero precedente, tutta la novità che il paragrafo 44 racchiude sta nel fatto che esso tira la conclusione della reversibilità del rapporto Chiesa-mondo come logica conseguenza di questa reciprocità d’inerenza: “L’esperienza dei secoli passati, il progresso della scienza, i tesori nascosti nelle varie forme di cultura umana, attraverso cui si svela la natura stessa dell’uomo e si aprono nuove vie verso la verità, tutto ciò è di vantaggio anche per la Chiesa” (GS 44). Essere nel mondo è precisamente lo specifico della Chiesa, così come ovunque si ottenga una conquista autenticamente umana, questa accade, di fatto, nell’orizzonte del Vangelo: “La Chiesa, avendo una struttura sociale visibile, che è appunto segno della sua unità in Cristo, può far tesoro, e lo fa, dello sviluppo della vita sociale umana, non quasi che le manchi qualcosa nella costituzione datale da Cristo, ma per conoscere questa più profondamente, per meglio esprimerla e per adattarla con più successo ai nostri tempi. Essa sente con gratitudine di ricevere, nella sua comunità non meno che nei suoi figli singoli, vari aiuti dagli uomini di qualsiasi grado e condizione. Chiunque promuove la comunità umana nell’ordine della famiglia, della cultura, della vita economica e sociale, come pure della politica, sia nazionale che internazionale, porta anche non poco aiuto, secondo il disegno di Dio, alla comunità della Chiesa…” (44). L’aspetto più interessante di questa svolta, in ordine alla gradualità, è il nesso che lega quest’ultima al tema conciliare del “sensus fidelium”, ossia quell’ “istinto” che orienta infallibilmente la comunità ecclesiale nel suo insieme verso la verità. Natura e grazia concorrono alla formazione del “sensus fidelium”; e si vanno attuando storicamente nella graduale autocomprensione e nella scoperta di nuove possibilità dell’agire, quindi nella crescita degli spazi di cooperazione. “La Chiesa ha particolare bisogno di coloro che, vivendo nel mondo, sono esperti nelle varie istituzioni e discipline, e ne capiscono la mentalità, si tratti di credenti o di non credenti. E’ dovere di tutto il Popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l’aiuto dello Spirito Santo, ascoltare attentamente, capire e interpretare i vari modi di parlare del nostro tempo, e di saperli giudicare alla luce della Parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma più adatta” (GS 44). Il concilio afferma che la comprensione della verità rivelata cresce grazie alla collaborazione di quanti hanno competenze temporali; e dunque in ragione della nostra comprensione del mondo e degli interlocutori cui il Vangelo offre la sua Verità. Quest’ultima si comprova, “esistenzialmente”, attraverso la sua forza comunicativa e la sua capacità di essere espressa in forme, culture e linguaggi sempre nuovi. La crescita graduale ed organica nella comprensione del Vangelo, è dunque l’effetto di ritorno dell’essere nel mondo e dell’agire ecclesiale in esso; è il segno rivelatore GS x CPM 13 del carattere di verità di questo stesso essere ed agire, tanto da costituire, come significativamente la definisce il concilio: “la legge di ogni evangelizzazione”. Contenuti specifici Alla fine dell’introduzione, la GS afferma in modo programmatico: “la Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dà sempre all'uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza per rispondere alla sua altissima vocazione… Essa crede anche di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana… Così nella luce di Cristo… il Concilio intende rivolgersi a tutti per illustrare il mistero dell'uomo e per cooperare nella ricerca di una soluzione ai principali problemi del nostro tempo” (n. 10). Tali affermazioni, assolutamente cristocentriche, si ritrovano in molti altri paragrafi (cf. GS nn. 22, 32, 39, 45, 93). Esse sono state più volte ribadite da Papa Giovanni Paolo II, sin dalla sua prima Enciclica Redemptoris hominis (1979), che incomincia con la frase: “Il redentore dell’uomo, Gesù Cristo, è il centro del cosmo e della storia” (GS 1). Sulla base di tale convinzione fondamentale, il Concilio intraprende una doppia riflessione. Da una parte vuole leggere i “segni dei tempi” alla luce del Vangelo (cf.GS nn. 3 s, 10 s, 22, 40, 42 s, ecc.); dall’altra vuole accettare la sfida che essi rappresentano e interrogarsi su di essi, per giungere ad una comprensione più approfondita del proprio messaggio evangelico (cf.GS nn. 40, 44, 62). Si tratta dunque di un’interpretazione del mondo, dell’uomo, ma anche del Vangelo, che si realizza man mano nella storia, grazie ad un atteggiamento dialogante. Potremmo addirittura parlare di un discorso ecclesiale di tipo profetico. Per illustrare concretamente cosa significhi tale discorso dialogante e profetico, rifletteremo solo su alcuni punti specifici, trattati dettagliatamente in Gaudium et spes: Una visione realistica del mondo moderno La situazione dell’uomo nel mondo moderno. Il lavoro La pace L’ateismo Ci limitiamo a questi temi, perché permettono di proporre alcune riflessioni sulla visione che la Chiesa ha del suo essere e del suo operare nel mondo. Il dramma del mondo odierno GS x CPM 14 Come vede la costituzione pastorale il mondo odierno? Come giudica i “segni dei tempi”? Il Concilio constata che: “L'umanità vive oggi un periodo nuovo della sua storia, caratterizzato da profondi e rapidi mutamenti che progressivamente si estendono all'insieme del globo” (GS 4). In modo più concreto afferma: “Così il genere umano passa da una concezione piuttosto statica dell'ordine delle cose, a una concezione più dinamica ed evolutiva” (GS 5). Ne deriva una crisi di crescita, che rende più complessa la situazione odierna e comporta un turbamento dell’equilibrio finora conosciuto. Il Concilio prende atto dell’esistenza di vari fattori: da una parte, una ricchezza assai superiore al passato e, dall’altra, fame e miseria; una crescente esigenza di libertà accanto ad un asservimento sociale e fisico; una dipendenza reciproca accanto a forze in conflitto; l’esistenza di tensioni tra razze e gruppi sociali; una crescente socializzazione non accompagnata da una crescente personalizzazione; l’erosione dei valori tradizionali; l’indifferenza religiosa; la crisi latente della famiglia; le rivendicazioni di pari opportunità da parte delle donne (su questo aspetto cf. anche GS n. 29, 52 s.); ed infine, altrettanto importante, la scissione interna dell’uomo a causa del peccato (cf. GS nn. 4, 7-10). Così la stesura finale e definitiva della costituzione pastorale, sebbene non cada in una visione negativa e apocalittica della situazione, non rappresenta neppure una visione unilateralmente ottimista. La costituzione parla del problema fondamentale del tempo moderno in modo nuovo e coraggioso in due punti. Anzitutto riconosce l’autonomia legittima delle realtà terrene (cf. GS nn. 36, 41, 56, 76), affermando che “le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l'uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare”. Per il Concilio, tale riconoscimento non solo rappresenta una sfida per l’uomo del nostro tempo, ma rispecchia anche la realtà di tutte le cose create, che hanno “la loro propria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine” (GS 36). Da ciò deriva il riconoscimento dell’autonomia legittima della scienza, della cultura e della politica; quest’autonomia legittima deve essere distinta da un falso autonomismo e da un falso umanesimo, meramente contingente e materialista, se non addirittura antireligioso. Con tali affermazioni, la costituzione riconosce l’importante rivendicazione dell’Illuminismo ed uno dei desideri legittimi della moderna secolarizzazione. Il Concilio mette fine così ad un triste capitolo della più recente storia della Chiesa: respinge l’integralismo che, volendo trarre una risposta uniforme ed automatica dai principi della fede per le questioni del mondo, ha spesso causato conflitti totalmente inutili (e nella maggior parte dei casi insensati) con le scienze, la cultura e la politica moderne. Vorrei soltanto accennare, come esempi, al conflitto con Galileo, con Darwin e, in altra prospettiva, all’esistenza di uno Stato Pontificio. GS x CPM 15 Il riconoscimento della legittima autonomia delle diverse realtà in cui vive l’uomo in questo mondo, è fondamentale per la libertà dei laici nella Chiesa, perché sono loro gli esperti in questi vari campi; sono loro che dispongono delle competenze necessarie, per il cui impiego, il Vangelo è fonte di “luci e forze”, anche se non direttamente fonte di conoscenza (GS 42). I pastori debbono dunque riconoscere con rispetto la giusta libertà dei laici nella Chiesa (LG 37). Un secondo orientamento si muove in questa stessa direzione: la promozione dei diritti umani e la condanna di ogni forma di discriminazione (cf. GS nn. 21, 26, 29, 41 s, 59, 73, 76). Anche questo è uno dei postulati di base dei nuovi tempi. La decisione del Concilio di compiere tale passo, trova il suo fondamento ancora una volta nella creazione; cioè nel fatto che Dio (Gen 1,27) abbia creato l’uomo a sua immagine e somiglianza (GS12). In conformità con la sua concezione cristocentrica, la costituzione aggiunge, a questo argomento tradizionale, la convinzione che solamente in Gesù Cristo il mistero dell’uomo trovi la vera luce. “Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo, e gli fa nota la sua altissima vocazione” (n. 22). La più importante conseguenza tratta dal Concilio in proposito, è rispecchiata nella “Dichiarazione sulla libertà religiosa, Dignitatis humanae”, intorno alla quale si sono accese le più vive discussioni nell’aula conciliare. In passato, la libertà di coscienza e di religione erano state condannate espressamente dai pontefici del XIX secolo, secondo una concezione liberale che non riconosceva il nesso tra libertà e verità, nesso che invece il Concilio ritiene essenziale. Con la Dignitatis humanae il Concilio mette fine a tali dibattiti perniciosi, sottolineando la positività della crescente importanza attribuita alla libertà nei tempi moderni; ed ammettendo che non esiste soltanto un diritto della verità, ma anche un diritto della persona; e che la verità può essere riconosciuta soltanto nella libertà. Con ciò, il Concilio congeda la dottrina del cosiddetto ‘stato cattolico’, e getta le basi per il riconoscimento della democrazia pluralistica moderna. La posizione storica assunta dal Concilio in merito ai due aspetti citati, è un punto di riferimento fondamentale che permette alla Chiesa ed al singolo cristiano di dirsi e di sentirsi “a casa” nella realtà moderna. È finita la nostalgia romantica del medioevo e della sua cultura unitaria; è finita la mentalità restauratrice impostasi dopo la rivoluzione francese; è finito anche il tristemente zelante antimodernismo della fine del XIX e dell’inizio del XX secolo, che tanto danno ha fatto alle persone ed alle comunità ecclesiali. Purtroppo, dopo il Concilio, alcuni circoli sono caduti nella trappola opposta; ed hanno trasformato l’apertura del Concilio in una “ingenua” apertura e disponibilità verso tutto il possibile del mondo. GS x CPM 16 Tale ingenuità non aveva caratterizzato il Concilio stesso, che era in grado di distinguere la legittima autonomia dalle false idee di autonomia totale, e di un umanesimo puramente terrestre, o anche avverso alla religione (GS. 56), considerando l’ateismo come uno dei tratti più preoccupanti del nostro tempo (cf. GS nn. 19-22). Conseguenze concrete e giuste sono state tratte da questa apertura conciliare già da Papa Paolo VI, soprattutto con le modifiche apportate a specifiche disposizioni del concordato italiano e spagnolo. Papa Giovanni Paolo II ha assunto pienamente, in modo dinamico ed energico, queste posizioni; e ne ha fatto il fondamento di una chiara politica di difesa dei diritti umani, che ha dimostrato la sua validità ed efficacia nei confronti dei sistemi totalitari del XX secolo, soprattutto dell’ex-blocco sovietico (cf. Redemptor hominis, n. 17). Tuttavia, ben presto è stato necessario difendere questi nuovi orientamenti da un fronte ben diverso. Nel 1965, l’anno della promulgazione della costituzione pastorale, si era ancora influenzati dall’attrito tra il mondo liberale ed il comunismo totalitario, anche se la Chiesa non ha mai condannato quest’ultimo esplicitamente14, per riguardo ai cristiani che vivevano dietro la cortina di ferro. All’epoca, nessuno avrebbe previsto che il blocco comunista sarebbe crollato; e che, a seguito di tale evento, dopo il ‘68, il mondo avrebbe sperimentato una crescente emancipazione, ed anche una impressionante e profonda perdita di orientamento. Nel processo di secolarizzazione, i frutti positivi del tempo moderno si sono staccati dalle loro radici cristiane, che ne motivavano (spesso in modo inavvertito) il significato e l’uso; come frutti caduti dall’albero del cristianesimo, rischiano ora di marcire e diventare velenosi. Questo, d’altronde, si è già verificato. I grandi ideali della modernità hanno reciso le loro radici trascendenti, perdendo così il loro stabile fondamento. Con questa emancipazione, lo nostra società ha dovuto rinunciare al forte tessuto connettivo che nel passato era permeato dalla coscienza di rapporti interumani fondati sulla consapevolezza di essere creature! Allo stesso tempo, abbiamo sperimentato che la tolleranza e la libertà possono ribaltarsi e trasformarsi in tendenze totalitarie contro chi difende valori fondamentali: il mercato è la nuova divinità cui si sacrifica tutto! Quando non lo sono i partiti politici, i gruppi sociali e/o economici, … Sarebbe dunque ingenuo non osservare la “Tragedia dell’umanesimo senza Dio” (H. de Lubac); vedi anche “Dialettica dell’Illuminismo” (Th. W. Adorno). Tutto ciò non deve spingerci a barricarci dietro un nuovo integralismo, un pericolo oggettivamente reale al giorno d’oggi. Dobbiamo piuttosto continuare a difendere i principi del Concilio; ed impedire, rispettosamente e tenacemente, che il mondo moderno si autodistrugga. 14 La condanna delle ideologie violente contro le religioni era esplicita; ma non era legata alle concrete strutture statali. GS x CPM 17 La Chiesa deve dunque riproporsi, in modo nuovo, come un fermento di libertà nel mezzo di un continuo e rapido mutare di eventi. Come segno e salvaguardia del carattere trascendente della persona umana (GS 76), deve promuovere un nuovo umanesimo per la vera libertà dell’uomo. Detto questo, veniamo alla seconda tematica di Gaudium et spes, ovvero: la vocazione dell’uomo. Il dramma dell’uomo Come abbiamo visto, la riflessione della costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo moderno si concentra sull’uomo e ne fa il suo cardine, dicendo espressamente: “tutto quanto esiste sulla terra deve essere riferito all'uomo, come a suo centro e a suo vertice “ (n. 12). In tal modo, la costituzione dimostra di assumere una posizione esplicitamente moderna e di aderire alla moderna svolta antropologica. Anche Papa Giovanni Paolo II ha chiamato l’uomo “la prima e fondamentale via della chiesa” (Redemptor hominis, 14). Naturalmente, la costituzione pastorale non riprende questa posizione semplicemente per adattarsi alla situazione che si è venuta a creare; ma la fa sua in base a fondamenti teologici. L’autonomia non viene intesa come autonomismo; l’uomo non è considerato come massimo criterio di ogni cosa: la dignità dell’uomo è vista piuttosto come derivante da Dio e fondata in Gesù Cristo. Partendo da questo presupposto, la costituzione sviluppa per la prima volta in modo dottrinale un’antropologia coerente e strutturata. Nel passato, naturalmente, erano già state elaborate affermazioni antropologiche dottrinali; ma non ne era ancora stato fatto, dottrinalmente, un discorso unitario e sistematico. Dobbiamo ricordare che, anche dal punto di vista filosofico, l’antropologia è una disciplina relativamente recente, sviluppatasi per la prima volta nel XX secolo. Anche sotto questo aspetto, il Concilio è, per così dire, un pioniere dei tempi moderni. Non è possibile entrare qui nel merito di tutte le affermazioni antropologiche della costituzione e commentarle nel dettaglio. Mi limiterò soltanto ad alcuni punti caratteristici, invitandovi però ad una lettura personale dei paragrafi che vanno dall’undicesimo al ventiduesimo, brani a cui, a mio parere, vale la pena rivolgere una rinnovata attenzione. Vediamo il primo aspetto. Originariamente il testo della costituzione era abbastanza ottimista; soltanto in una seconda fase del dibattito sono state aggiunte delle prospettive critiche. GS x CPM 18 Così il testo definitivo non parla soltanto della dignità della persona, ma anche della sua miseria. L’uomo, a causa del peccato per il quale si ribella contro Dio, sperimenta una scissione interna: “Per questo tutta la vita umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre” (n. 13). Con tale visione realistica e drammatica, il Concilio si discosta dalla visione parziale ed ottimistica dell’Illuminismo, che crede nella bontà naturale dell’uomo, guastata solo dall’educazione e dai rapporti sociali. La costituzione getta anche uno sguardo realistico sulla caducità della natura umana e guarda, per così dire, la morte negli occhi; la morte che rappresenta il più grande mistero dell’uomo (cf. n. 18). Vi è un’acuta coscienza del dramma dell’esistenza umana. Con Blaise Pascal potremmo dire che grandeur et misère dell’uomo vanno di pari passo; e che la grandezza dell’uomo consiste proprio nella consapevolezza della sua miseria. Vi è poi un secondo aspetto: la visione unitaria dell’uomo come unione di anima e corpo e come essere sociale e relazionale. Il Concilio difende espressamente la dignità del corpo, opponendosi ad interpretazioni spiritualistiche riduttive che danno origine a forme difettose di pietà ed ascesi. Ma si oppone ancora di più ad un’antropologia materialistica. Ritiene infatti che il primato dell’uomo sul resto del creato dipenda dalla sua natura spirituale: l’uomo trascende l’universo delle cose grazie alla sua ragione (cf. GS nn.14 s). In modo significativo la costituzione afferma: “L'epoca nostra, più ancora che i secoli passati, ha bisogno di questa sapienza per umanizzare tutte le sue nuove scoperte. È in pericolo, di fatto, il futuro del mondo, a meno che non vengano suscitati uomini più saggi” (GS 15). Della natura spirituale dell’essere umano fa parte anche la sua libertà. La dignità dell’uomo richiede “che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè, e determinato, da convinzioni personali, e non per un cieco impulso istintivo o per mera coazione esterna” (GS 17). Tale affermazione contrasta chiaramente con ogni tipo di antropologia che ritiene l’uomo animato soltanto da anonime pulsioni, da funzioni celebrali o da meccanismi biochimici. In questo contesto, vi sono stati grandi cambiamenti nel corso degli ultimi sessant’anni; l’ingegneria genetica e la moderna ricerca sugli embrioni ci pongono oggi davanti a sfide inimmaginabili nel passato. L’antropologia unitaria del Concilio è inoltre un’antropologia che vede l’uomo non come una monade, ma come un essere dialogico, in relazione con Dio e con i suoi simili. La costituzione aggiunge all’affermazione che Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza che, in questa somiglianza, Dio creò uomo e donna (cf. n. 12). GS x CPM 19 Tale antropologia unitaria e dialogale, tra le altre cose, ha condotto ad un nuovo concetto personale della sessualità e della coppia; e ad una approfondita concezione del matrimonio come comunità personale e come patto coniugale (cf. n. 47-52), sollevando perfino, insieme all’Enciclica Humanae vitae (1968), alcuni conflitti interni alla Chiesa che non sono ancora stati risolti. La costituzione vuole preservare e difendere la dignità del corpo e la dignità della persona umana; e ribadire la sua responsabilità davanti alla banalizzazione dell’uomo e della sua sessualità. Anche sotto questo aspetto vuole impedire che la soggettività del tempo moderno arrivi ad un’autodistruzione. Tutto ciò incica che le affermazioni fondamentali della costituzione pastorale sono tuttora di grande attualità. Il terzo aspetto, è la questione della coscienza personale, che la costituzione definisce come “il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità” (GS 16). La coscienza è una voce nell’intimo dell’uomo, che lo chiama a fare il bene e a fuggire il male. In queste affermazioni ritroviamo il pensiero del grande teologo moderno John Henry Newman: tra Dio e l’anima,“cor ad cor loquitur, solus cum solo”15. Per il suo rapporto diretto con Dio, l’uomo può sottrarsi ad ogni rivendicazione totalitaria ed esclusivista che proviene dall’esterno. In questo punto troviamo anche un limite interno per un mal interpretato atteggiamento d’ubbidienza nella Chiesa. Ma la coscienza, pur essendo una voce percepibile solo nell’interiorità, non deve essere confusa con il soggettivismo, con un’etica ad hoc circostanziata, o addirittura con una cieca arbitrarietà. Nella voce della coscienza, l’uomo incontra piuttosto quella “legge scritta da Dio dentro al cuore” (Rom 2,14-16) alla quale “obbedire è la dignità stessa dell'uomo”. Nella sua soggettività, l’uomo sente qualcosa di oggettivo, una legge morale che, in ultima analisi, si identifica con il messaggio centrale anche dell’etica biblica: amore verso Dio e verso il prossimo. Comprendiamo allora perché, per il Concilio, la questione della coscienza personale costituisca il punto di contatto fondamentale nel dialogo con i non cristiani. Ciò che unisce cristiani e non cristiani, non è il possesso della verità, ma la ricerca della verità! Il termine “ricerca” indica che la coscienza non è una realtà infallibile. Il Concilio afferma, secondo la tradizione tomista: la coscienza che commette un errore a causa di un’ “invincibile ignoranza” non perde la sua dignità. Nondimeno subito aggiunge: “Ma ciò non si può dire quando l'uomo poco si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all'abitudine del peccato” (n. 16). Può dunque esistere una peccaminosa cecità davanti ai veri valori ed un offuscamento del cuore dell’uomo. 15 “Un cuore parla ad un cuore; un solo parla con un solo” GS x CPM 20 Le affermazioni relative alla coscienza personale rappresentano in un certo senso il culmine della costituzione pastorale, ma continuano a muoversi sulla linea tradizionale della dottrina ecclesiale. Con queste affermazioni, il Concilio tocca il punto centrale del pensiero moderno sulla soggettività, ma non arriva allo stesso livello raggiunto da questo concetto moderno di soggettività e nemmeno riflette fino in fondo la situazione dell’oscuramento e di un accecamento totale dell’orizzonte, che può emergere quando l’uomo perde la luce della verità. La coscienza non può soltanto errare, può anche smarrirsi ed essere accecata, cosicché l’uomo si trova ad annaspare nelle tenebre. Il capitolo sulla coscienza si snoda come se si muovesse sul filo del rasoio, e cercasse di mantenere l’equilibrio per evitare la caduta da una parte o dall’altra. Per questo, le affermazioni del Concilio sono già state oggetto di malintesi e di abusi dall’una e dall’altra parte. Papa Giovanni Paolo II si è sforzato di svilupparle ulteriormente nella sua Enciclica Veritatis splendor (1993). Rimangono tuttavia punti da chiarire e da approfondire, come, ad esempio, il rapporto tra ordine oggettivo e ordine soggettivo; tra norma oggettiva e situazione concreta; e soprattutto cosa significhi concretamente questa legge naturale in una situazione di enormi mutamenti culturali e sociali, di confusione e di manipolazione esteriore, come la sperimentiamo oggi. A quest’ultimo problema vuole rispondere il quarto aspetto sul fondamento cristologico dell’antropologia del Concilio. Esso si riferisce al fatto che, conformemente a quanto dice la Scrittura, l’immagine di Dio impressa nell’uomo al momento della creazione (cf. Gen 1,27) non è distrutta, ma solo offuscata dal peccato; e viene rinnovata e portata a compimento da Gesù Cristo, che è l’immagine di Dio (cf. 2 Cor 4,4; Col 1,15; Eb 1,2). Il Concilio afferma infatti: “solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo” (GS 22). In Gesù Cristo trova piena e completa realizzazione la somiglianza dell’uomo con Dio. Pertanto, Gesù Cristo non è solo la rivelazione del Padre; egli rivela anche “l’uomo a sé stesso”. Il Concilio precisa: “Con l'incarnazione, il Figlio di Dio si è unito, in un certo modo, ad ogni uomo” (GS 22). In modo ricapitolativo si afferma: “Tale e così grande è il mistero dell'uomo, il mistero che la Rivelazione cristiana fa brillare agli occhi dei credenti. Per Cristo e in Cristo riceve luce quell'enigma del dolore e della morte, che al di fuori del suo Vangelo ci opprime”. E altrove si legge: “Soltanto Dio, che ha creato l'uomo a sua immagine e che lo ha redento dal peccato, può offrire a tali problemi una risposta pienamente adeguata; cose che egli fa per mezzo della rivelazione compiuta nel Cristo, Figlio suo, che si è fatto uomo. Chiunque segue Cristo, l'uomo perfetto, diventa anch'egli più uomo” (GS 41). GS x CPM 21 Questo concetto cristologico universale è stato più volte ripreso ed ampliato da Papa Giovanni Paolo II. Esso rispecchia la discussione condotta nei decenni precedenti al Concilio sul rapporto tra ordine della natura e ordine della grazia. Grazie ai teologi della théologie nouvelle, quali M. D. Chenu, H. de Lubac e altri, è stato così superato lo schema a due piani di natura e grazia sviluppatosi nel XVII e XVIII secolo. Questi teologi si sono riferiti alla concezione anteriore a cui era pervenuto il pensiero altomedioevale, in particolar modo a quello di Tommaso d’Aquino; le loro posizioni sono state ulteriormente sviluppate all’interno di un cristocentrismo universale sotto l’influenza della nuova teologia biblica e della teologia evangelica, soprattutto di Karl Barth, forse il teologo protestante più importante del XX secolo. L’attuale importanza della visione cristocentrica diventa evidente alla luce del pluralismo delle culture di cui siamo oggi molto più consapevoli rispetto al passato. In tale situazione è divenuto alquanto difficile determinare concretamente un ordinamento morale naturale che sia universalmente valido. Ciò che nel passato era considerato come legge naturale si rivela oggi, in molti casi, espressione solo della cultura occidentale, in parte borghese; nella misura in cui la civiltà occidentale si disgrega nel processo di secolarizzazione e di pluralizzazione, la legge morale naturale non può più essere data per scontata neppure in Occidente. Questo, pone la Chiesa di fronte ad un grave dilemma: come trasmettere il proprio messaggio in maniera comprensibile ed accettabile? Il Concilio ha dunque fatto scivolare in secondo piano la questione della legge morale naturale, senza comunque abbandonarla (cf.GS nn. 64; 74). Anzi, il Concilio ha cercato un nuovo approccio per salvaguardarla. Perché se non esistono più valori umani universali, è impossibile instaurare un dialogo interreligioso e un’intesa pacifica tra uomini di diverse epoche e di diverse culture. Lo “scontro delle culture” (S. P. Huntington) sarebbe allora inevitabile. Anche ai fini di una pacifica convivenza, è indispensabile affrontare nuovamente la questione della legge morale; e tentare di rispondere alla domanda presentataci già dalla Bibbia e ripetuta da Gaudium et spes: che cos’è l’uomo? Non possiamo prescindere dalla domanda che la metafisica ci ha posto nel passato. Il Concilio ha potuto dare la sua risposta solamente per allusione. Ha intrapreso un nuovo orientamento affermando, per due volte, che dal Vangelo scaturiscono delle luci e delle forze che possono contribuire a costruire e consolidare la comunità umana secondo la legge divina (GS nn. 42 s). Ciò vuole dire che nella luce e nella forza di Cristo, uomo nuovo, possiamo riscoprire, guarire e rinnovare la vera umanità dell’uomo; e costruire un nuovo umanesimo. In questo senso si può capire ciò che significa pensiero dialogico e linguaggio profetico. Il Concilio ha potuto soltanto accennare a questo nuovo metodo e a questa nuova sintesi; è solamente l’inizio di un cammino, ma non ne ravvisa già la fine. Gaudium et spes ci impegna ad andare avanti. GS x CPM 22 Il lavoro La GS non prende posizione sulla questione: i padri potevano riprendere e sviluppare un’importante indicazione della Lumen Gentium, là dove si esortava i laici a “illuminare e ordinare tutte le realtà temporali” (LG 31), comprendendo fra di esse anche le strutture della società, alle quali si faceva di seguito riferimento (LG 36), a proposito della necessità di “risanare le istituzioni” della società. La GS preferisce invece un approccio differente; e pone al centro del rapporto fra comunità cristiana e società civile non tanto la Chiesa come gerarchia, quanto i laici come Chiesa: “spetta alla loro coscienza, già convenientemente formata, inscrivere la legge divina nella vita della città terrena” ( GS 43). Il passaggio dall’attenzione alle “istituzioni” alla centralità della “vita”, implicava indirettamente la transizione dal regime di cristianità (quello in cui le istituzioni stesse della società recano in misura profonda l’impronta del cristianesimo) al regime di post-cristianità, all’interno del quale anche i cristiani, uomini fra gli uomini, operano per l’animazione della città terrena. Si tratta quindi del passaggio dalla “cristianità” alla “città dell’uomo a misura d’uomo” (Lazzati), al centro della quale non stanno più esclusivamente o prevalentemente la difesa e la promozione dei diritti della Chiesa, ma l’impegno per i diritti dell’uomo (e dunque, ma solo conseguentemente, anche dei diritti dei credenti). Per quanto riguarda il problema del lavoro, l’umanità, e soprattutto l’occidente industrialmente avanzato, si trova a misurarsi con una vistosa caduta del senso complessivo del lavoro stesso. In una certa stagione della storia – quella delle origini del capitalismo, ma anche della prima fase della società industriale – il lavoro è stato enfatizzato ed esaltato a dismisura, sino a prendere quasi il posto (tanto nell’ethos borghese quanto in quello marxista) della religione, sino cioè a diventare quasi una “religione laica”. Ma da quarant’anni a questa parte – a partire dagli scritti marcusiani, veri e propri “manifesti di questa nuova stagione (cfr. Marcuse, “Eros e civiltà”, Einaudi, Torino, 1968) – il lavoro ha perduto, soprattutto agli occhi delle nuove generazioni, quasi tutto il suo fascino e, soprattutto, la sua centralità. L’attività lavorativa rimane ancora un punto di riferimento, tuttavia non in sé e per sé, quanto per i consumi che essa rende possibili. Il fulcro della vita non è più la professione ma, generalmente, il tempo libero, rispetto al quale il tempo impiegato nell’agire economicamente finalizzato appare quasi soltanto una periferia o un’appendice. Il fenomeno della secolarizzazione (e quello, ad esso strettamente collegato, del declino delle ideologie) ha indubbiamente concorso a questa dequalificazione del lavoro, anche perché si espelle da esso quella dimensione religiosa che è stata una GS x CPM 23 delle caratteristiche dell’etica protestante, ma in qualche misura anche dell’etica cattolica (cfr. M. Novak, “L’etica cattolica e lo spirito del capitalismo”, Comunità, Milano 1994). Il lavoro non appare più • né una risposta ad un “mandato” di Dio, e dunque una vocazione; • né la via maestra per costruire una nuova società, • ma è ridotto quasi esclusivamente a mezzo in vista dell’acquisizione delle risorse necessarie per realizzare una esistenza “autentica” fuori del lavoro, nel consumo enel tempo libero. Mentre l’orizzonte della GS era quello di un “lavoro forte” (valore laico, al quale occorre in qualche modo contrapporre un valore religioso, e dunque il senso cristiano del lavoro), quello di oggi è un “lavoro debole”. Parallelamente, i problemi dell’economia mondiale si vanno acutizzando e lo squilibrio nella ripartizione delle risorse già denunciato dalla GS si sta accentuando, come attestano la Populorum Progressio e la Sollicitudo rei socialis. Anche da questo punto di vista si impone un nuovo governo dell’economia, su scala non solo nazionale ma planetaria, in una dimensione che recuperi appieno la dimensione etica e solidaristica dell’attività economica. Il problema della pace L’orizzonte attuale è profondamente mutato rispetto agli anni ’60. Quella che allora era avvertita come seria minaccia, la guerra atomica, ora sembra un pericolo remoto, anche se non del tutto da escludersi, a causa della debolezza degli organismi che dovrebbero tutelare la pace nel mondo (cfr. ONU). Nello stesso tempo si vanno moltiplicando e crescendo di intensità e distruttività, le “guerre locali”, spesso lunghe e sanguinose, di fronte alle quali la comunità mondiale si rivela quasi sempre impotente. Si delinea, su questo sfondo, una nuova “frontiera” dell’impegno per la pace, alla quale il Concilio non poteva allora porre mente: la legittimità di un possibile “intervento umanitario” (cfr. Mattai-Marra, “Dalla guerra all’ingerenza umanitaria”, SEI, Torino 1994), volto a scongiurare mali più gravi e specificamente ad impedire il genocidio di intere popolazioni: un’ipotesi sostanzialmente nuova per la tradizione teologica e che pone una serie di problemi etici di non facile soluzione. Su tale questione il magistero ufficiale della Chiesa non si è ancora pronunciato: fino a che punto, cioè, sia possibile abbandonare l’unica legittimazione di intervento militare ammessa dal Concilio, e cioè la guerra di legittima difesa, per riconoscere la liceità di un intervento militare umanitario. GS x CPM 24 È dunque un problema ancora aperto, sul quale occorrerà una riflessione che si preannuncia molto complessa. In ogni modo eventuali “interventi umanitari” non potranno mai essere una sorta di camuffamento moderno di antiche forme di “guerra giusta”: il fondamentale elemento di distinzione fra gli antichi e nuovi interventi è rappresentato dal soggetto che li pone, ieri lo Stato nazionale, oggi la comunità internazionale. Il passaggio da interventi unilaterali ad azioni volute e attuate da una pluralità di paesi segna un netto distacco rispetto al passato. L’ateismo La GS ne parla ai nn. 19-21. La Chiesa non può chiudere gli occhi di fronte ad un fatto così clamoroso e diffuso; non può fare a meno, nella sua riflessione sul suo essere nel mondo, di ricordare questo fenomeno che la tocca in un punto per lei essenziale: è stata mandata ad annunciare a tutti gli uomini la “buona/bella notizia” del Regno di Dio! (Mt 28,19). Si esprime in merito con diversi atteggiamenti. La Chiesa ha anzitutto un comprensibile atteggiamento di dolore nei confronti dell'esistenza dell'ateismo; dolore non nei confronti di Dio o della Chiesa, ma nei confronti dell’uomo: dolore che nasce dalla consapevolezza, garantita dalla Parola di Dio, che la vocazione dell'uomo è entrare e vivere in una piena comunione con Dio (GS 19). Ritiene che l'ateismo, oggettivamente, ha una concezione dimezzata dell'uomo: conosce e promuove un uomo che non raggiungerà mai, consapevolmente, la propria pienezza; perché la vera e totale pienezza dell'uomo si realizza solo in una libera e gioiosa accettazione di Dio, nell’entrare in comunione con Lui, mediante l’innesto nel suo Figlio fatto uomo (vite e tralci, Gv 1 e 15). La Chiesa si sforza di capire le ragioni che portano alla nascita di una posizione atea da parte dell'uomo; si sforza di capirne il perché proprio in ragione del mandato che ha ricevuto (“Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura” Mc 16,15) e dell'amore che vive per l’essere che è stato pensato e voluto “a immagine e somiglianza di Dio” (Gen 1,27), e con un destino finale di vita eterna. Per garantirlo, lo stesso Figlio di Dio si è offerto al Padre: “… il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6,51). La Chiesa crede e sostiene che il riconoscimento di Dio non si oppone alla dignità dell'uomo. GS x CPM 25 Nei nn 17 e 19 GS ha affermato che una delle ragioni dell'ateismo sia proprio nel postulato secondo cui occorre scegliere fra Dio e l'uomo. I due soggetti, secondo l'ateismo, non possono convivere; è questo il concetto che esiste alla base della posizione, ad esempio, di Nietzsche che rappresenta uno degli esponenti più significativi dell'ateismo contemporaneo assoluto e positivo, secondo la classificazione fatta da Maritain. Per la Chiesa, al contrario, la dignità dell'uomo è fondata e custodita proprio da Dio. La Chiesa insegna che la speranza escatologica non diminuisce l'importanza degli impegni terreni, anzi da nuovi motivi a sostegno dell'attuazione di essi. Alcune forme di ateismo nascono da un impegno sociale tanto forte e onnicomprensivo da ritenere che il Paradiso, con la speranza di una vita dopo la morte, induca l'uomo a non impegnarsi per la costruzione della città terrena; invece è vero proprio il contrario: “I cristiani, il cammino verso la città celeste, devo ricercare e gustare le cose di lassù; questo tuttavia non diminuisce, ma anzi aumenta, l'importanza del loro dovere di collaborare con tutti gli uomini per la costruzione di un mondo più umano" (GS 57). Anche alcune forme di teologia della liberazione, pur con alcune incertezze di tipo dogmatico, partono comunque da una promozione e liberazione dell'uomo. È proprio partendo da Cristo, che la Chiesa opera per la promozione dell'uomo! Senza Dio, l'uomo è un enigma, un paradosso, un mistero senza soluzione. La vita è comunque mistero, realtà che ci supera e ci sovrasta; solo Dio, che ne è creatore, può dare a questo mistero senso e dignità. GS n. 18 ci ricorda che la vita e la morte, senza Dio, sono e restano un grosso punto interrogativo; e l'uomo è un enigma a sé stesso, perché perde le coordinate essenziali del vivere: la vita ha il significato che noi le diamo; ma occorre trovare anche un senso globale, un orizzonte ultimo che non può che essere data da Dio (GS 12). Ricordiamo il concetto di significato parziale del vivere (famiglia, amici, lavoro, ecc.) e il senso totale della vita. E la distinzione classica di Josef Intin tra le molte speranze che l’uomo scopre e nutre, e “la Speranza”, che è la certezza che la vita, comunque, ha un valore anche se non si realizzano le singole speranze. L'uomo, ubriaco di tecnologia e scienza, può oggi, meglio che in altri tempi, nascondersi i grandi temi ed interrogativi della vita. Il Concilio ricorda in merito che l'uomo, però, non può sfuggire del tutto alle grandi questioni del significato della morte e del dolore, soprattutto in certi momenti della sua vita di particolare rilievo (GS 10). Dio è colui che chiama l'uomo, il cristiano, a pensare in grande e a ricerche più umili. GS x CPM 26 La Chiesa individua, come radici non piccole dell'ateismo contemporaneo, anche una non corretta presentazione del messaggio cristiano; e una spesso palese incoerenza di vita da parte dei cristiani. E' importante non comunicare una falsa immagine ed idea di Dio, dovuta spesso alla nostra ignoranza di cristiani; ed è importante impegnarsi a testimoniare la fede mediante una globale coerenza di vita (GS 21). E', questo, un forte appello alla purificazione della Chiesa sotto l'azione dello Spirito Santo (Maritain scriveva: "Per Cristo, in Cristo"). Il problema importante, parlando di ateismo, è la posizione dei singoli, della coscienza dei singoli, nei confronti della trascendenza, del Dio cristiano. La linea di separazione fra l'incredulità e la fede passa dentro l'uomo; la testimonianza della fede rimane particolarmente importante, ricordiamo quella dei martiri. La Chiesa riconosce a tutti gli uomini, credenti e non credenti, la responsabilità della retta edificazione di questo mondo. Il ché non può avvenire senza un sincero e prudente dialogo: - sincero: è chiaro il perché: occorre una autentica disponibilità interiore; - prudente: perché il dialogo non deve essere ingenuo: la prudenza è una delle virtù cardinali, una delle virtù umane arricchita dallo Spirito Santo. Il Papa ci ricorda che la linea di demarcazione al di sotto del quale non dobbiamo mai scendere è l'uomo, è la dignità dell'uomo. Quindi il punto di riferimento è l'antropologia cristiana: ciò che va contro l'antropologia cristiana non può essere oggetto di dialogo, perché questo significherebbe svendere l'uomo. Ricordiamo che, al tempo del Concilio, il clima era fortemente interessato dall'ideologia antropologica marxista: l'uomo è ciò che mangia; la coscienza dell'uomo è lo specchio di ciò che avviene, senza che ad essa venga riconosciuta nessuna capacità critica. Il marxismo, in particolare, osteggiava il concetto di "confessione", perché con essa l'uomo mantiene viva la coscienza, la sua capacità critica; per il marxismo la coscienza è specchio di ciò che accade, e non luogo di giudizio; l'uomo non è soggetto, ma solo oggetto dell'azione. Oggi altre ideologie si stanno diffondendo nel nostro mondo; ideologie che ugualmente considerano l'uomo come mezzo, e non come fine dell'agire umano. Una nota (utile) sulla valutazione del fenomeno della irreligiosità: resta vero che l’ateismo può svolgere, nei confronti della fede, una funzione di approfondimento o addirittura di purificazione (GS 19- 21). Allora l’interlocutore era l’ateismo marxista: avversario diretto e visibile, che obbligava a rispondere liberando e depurando la fede dalle sovrastrutture che vi si erano depositate lungo i secoli. GS x CPM 27 Ma dopo la caduta del Muro e la crisi delle ideologie, quel particolare ateismo è diventato periferico; il nuovo antagonismo della fede è oggi l’indifferentismo, fenomeno ambiguo e sfuggente nei confronti del quale il discorso andrà posto su basi completamente nuove. Altra nota su secolarizzazione e nuova evangelizzazione Da parecchi decenni ormai si parla di “secolarizzazione”. Solo da qualche anno si parla invece di “ritorno al sacro”: non di un “ritorno al cristianesimo”, ma di un’operazione sincretistica (miscuglio di vari elementi), un ritorno ambiguo, confuso, contraddittorio ad un “religioso” che non coincide più con il cristianesimo. Per la prima volta, nella storia dell’occidente, finisce l’identificazione tra “religioso” e “cristiano” La prima conseguenza è data dalle “appartenenze parziali”. Come una secolarizzazione radicale presuppone un rifiuto totale del cristianesimo, così una fede profonda e consapevole implica una adesione totale allo stesso cristianesimo. Oggi l’uomo moderno è “in mezzo al guado”, non sa cosa scegliere: crede e non crede: “crede di credere” (Vattimo); “appartiene” e “non appartiene”. E così non fa che “selezionare” - sia tra le proposte di fede, sia tra le indicazioni etiche - ciò che ritiene, qui e ora, più congeniale alla soluzione dei suoi problemi esistenziali e alle sue “domande di senso”. L’emergere del “religioso-non-cristiano”, è certamente il dato più importante di questo inizio di secolo, quello che esige una più lucida e illuminata risposta pastorale, che Giovanni Paolo II ha chiamato “nuova evangelizzazione”. Il contesto storico e cultura in cui ci troviamo richiede, da parte nostra, l’elaborazione di una nuova cultura e di un nuovo concetto di missionarietà, e non solo l’elaborazione di nuove strategie pastorali. Anche la Chiesa dunque è “in mezzo al guado”: nella necessità, cioè, di tutto reinventare, perché essa cammina all’interno di una società che cammina e che, oggi come oggi, è insieme post-cristiana e neo-religiosa. La GS, quarant’anni fa, rappresentò il documento emblematico di questa nuova consapevolezza, che noi oggi siamo chiamati ad attualizzare. Il problema centrale della Chiesa, oggi, è quello di definire le caratteristiche, i tratti, le strutture portanti di questa “nuova evangelizzazione”, fin qui avvertita più come una “esigenza” piuttosto che delineata come “progetto”. La “nuova evangelizzazione”, pertanto, dovrà passare sempre meno attraverso le strutture, e sempre più attraverso le coscienze. GS x CPM 28 La società odierna infatti è una società individualistica: la presa delle strutture sui singoli si fa sempre più debole. Un cristianesimo “tradizionale”, fondato cioè sulla “trasmissione” della fede nelle strutture e agenzie formative del passato, come la famiglia, la scuola, la parrocchia, …, si fa sempre più problematico. Alla forza della società secolare potranno contrapporsi solo coscienze lucide, capaci di abbandonare un cristianesimo ripetitivo per un cristianesimo creativo e innovativo. La nuova evangelizzazione sarà, sempre più, opera dei laici. Per un millennio, gli “specialisti” della evangelizzazione sono stati i sacerdoti e i religiosi: “La nuova evangelizzazione o sarà laicale, o non sarà” (Dianich). E questo non solo per la mancanza di preti, ma soprattutto perché le caratteristiche della società secolare implicano un nuovo rapporto “frontale”, nutrito dalla vita quotidiana, che rinnovi quel legame tra fede e vita, che il cristianesimo “costituito” ha talora perso di vista. Non dimentichiamo, infine, l’importanza del “genio femminile”, (come l’ha chiamato Giovanni Paolo II). Un dato di fatto, in larga misura ancora inesplorato nella stessa Chiesa, ma che deve essere messo al centro della nuova evangelizzazione. In particolare pare importante elaborare luoghi di riflessione. I temi della post-modernità toccano complessivamente le comunità cristiane e non solo gli specialisti: si tratta di elaborare, qui ed ora, con categorie nuove, la propria esistenza, individuare gli elementi di novità (o anche di vischiosità) nelle proprie situazioni di vita, orientare percorsi formativi (nuovi o rinnovati), verificare strumenti e metodologie. Anche la Chiesa è chiamata a programmare una “stagione costituente”: un processo di vera e propria “rifondazione” e non di un semplice “aggiornamento”. Una specie di “conciliarità”, di “sinodalità” continua e diffusa; con il coraggio di adottare nuovi stili di vita, e non solo nuove strategie di azione pastorale; e non da soli, ma nel dialogo con tutti, come sottolinea la stessa GS. Forse solo da questa schietta e coraggiosa verifica potrà nascere la nuova Chiesa del terzo millennio. In questo sforzo ci sarà di aiuto prezioso la “compagnia” della GS. Riandare alla sua lezione e riscoprire il significato “rivoluzionario” del suo messaggio costituisce certamente un momento essenziale della nostra verifica pastorale. Per questo la GS è, nello stesso tempo, memoria e profezia: - memoria di un Regno che è venuto; - e profezia di un Regno che deve ancora avvenire e al cui avvento il cristiano è tenuto a collaborare, nella consapevolezza “che l’attesa di una terra nuova non deve indebolire, ma piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra GS x CPM 29 presente che già riesce ad offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo” (GS 39). Prospettive Oggi, la GS è affidata a noi! Questa Costituzione pastorale è uno dei documenti conciliari che più ha colpito il cuore dei figli della Chiesa. E non solo dei figli della Chiesa. La GS è la porta della Chiesa aperta dal Concilio verso l'esterno. Abbiamo trovato in essa un linguaggio familiare, una onesta attenzione al mondo, un riferimento schietto e fraterno alle vicende della vita umana che, soprattutto all'epoca del Concilio, non era frequente se non in alcuni filoni della riflessione teologica o in alcuni ambienti ecclesiastici che, anche in alcune indicazioni del magistero preconciliare, avevano trovato spunti e lumi per una rinnovato rapporto con il mondo. La GS è il documento con cui spesso ci siamo presentati al mondo "fuori di casa", agli "altri": la Chiesa che sembrava saper solo giudicare e escludere, la Chiesa che sembrava disapprovare quasi per professione (come scrisse un giornalista del The Guardian), nel testo della GS parlava un linguaggio di simpatia e di semplicità. Luigi Sartori ha scritto: "In realtà, la GS sembra sporgere fuori dal Concilio; appartiene quasi già ad una stagione nuova della Chiesa; intenzionalmente. Essa è frutto del Concilio; ma, inevitabilmente, un frutto acerbo, prematuro. (...). Ovviamente, anche altri testi conciliari mirano a questa meta; soprattutto quelli del dialogo (Il Decreto sull'ecumenismo e la Dichiarazione Nostra Aetate sulle religioni non cristiane), il Decreto sull'apostolato dei laici, e più ancora, la Dichiarazione sulla libertà religiosa. Ma senza la GS, quei testi potrebbero apparire quasi come sospesi nel vuoto, senza una legittimazione di fondo, senza un quadro che offra loro un disegno di sintesi" GS, quindi, raccoglie e connette una delle due grandi direzioni del Concilio, quella verso il mondo e la storia. Non bisogna però pensare questa direzione come semplicemente derivato da quell'altra, da quella che guardava la Chiesa al suo interno, alla Chiesa in se stessa, che era rappresentata dalla Costituzione dogmatica Lumen Gentium. Queste due direzioni, e soprattutto queste due Costituzione, vanno lette e intese in connessione, l'una con l’altra e nell'altra. Senza questo sforzo di comprensione sinottica si fa torto all’intenzione più profonda del Concilio e della sua "novità". GS x CPM 30 Abbiamo così imparato a parlare di “Chiesa nel mondo” (e non di “Chiesa e mondo”). E non è piccola cosa! Abbiamo avuto in eredità un metodo che, seppure non ancora del tutto messo a punto (forse, per la sua stessa natura, non potrà esserlo mai!), ci ha insegnato a prendere sul serio il mondo, gli uomini e le loro culture. È l'attenzione alla storia. E la definizione della storia come luogo teologico. I destinatari: la Chiesa intende parlare a tutti, non per una più forte ansia di potere, ma per una più forte ansia di servizio. I destinatari furono uno dei criteri che aiutarono i Padri del Concilio a selezionare i temi, il linguaggio, la scelta dei riferimenti filosofici. Forse a scapito della chiarezza ed esaustività dell'insieme; ma certamente a vantaggio di un testo che è diventato una parola realisticamente detta a tutti. I motivi rivelati e teologici di tale ‘parola’, si trovano, in definitiva, nella rinnovata coscienza che la Chiesa, scrutando la Parola di Dio, ha preso di se stessa, del suo ‘mistero’ e della sua vocazione e ‘missione’ salvifica, nella divina ‘economia’. Il tema centrale, la perla di questa eredità, sta forse proprio nel metodo e nella fatica. Anche noi, oggi, ci troviamo di fronte a questioni che vanno studiate e conosciute, ma che, anche se sviscerate, non si incontrano esattamente con il deposito della tradizione (pensiamo al dialogo interreligioso); a seconda di come le prendiamo, di fatto, siamo ancora spiazzati, e apparentemente divisi, tra il dato della fede e il comandamento della carità. Sono questioni che dal margine dei nostri pensieri, in genere indotto da un motivo di fraternità, si arrampicano nella nostra testa e nella nostra coscienza di credenti, fino a spaesarci e a renderci silenziosi. Ma alle nostre spalle, nel tempo e nella dottrina della Chiesa nella quale camminiamo e nella quale cerchiamo di vivere, stanno quei tre anni in cui i Padri del Concilio Ecumenico provarono a pensare in un altro modo, per riuscire, almeno, a cominciare a pensare, tutti insieme, in una direzione nuova, confortati dal magistero dei due papi del Concilio. Ereditiamo quella prospettiva di atteggiamento interiore di fondo verso la storia; e l'impegno che ne consegue, anche in ordine allo studio. La realtà storica, se guardata come un segno e non come un accidente, si rivela complessa, rivendica una sua autonomia, un suo linguaggio, un suo itinerario, rimandando ad altro. Al fedele cristiano dunque spetta di "ordinare il mondo secondo Dio", nella ricerca delle mediazioni culturali, sociali, tecniche, che sono necessarie perché il piano teologico e quello della vita degli uomini si incontrino, mostrando a tutti il volto misericordioso del Padre e spostando la storia sino alla lode. GS x CPM 31 Questo dobbiamo, e molto altro, alla GS. Dobbiamo ricordarci che nel volto di ogni uomo, specialmente se reso trasparente dalle sue lacrime e dei suoi dolori, possiamo e dobbiamo ravvisare il volto di Cristo, il Figlio dell'uomo; e se nel volto di Cristo possiamo e dobbiamo ravvisare il volto del Padre celeste ("Chi vede me, disse Gesù, vede anche il Padre", Gv 14,9), il nostro umanesimo si fa cristianesimo; e il nostro cristianesimo si fa teocentrico; tanto che possiamo anche affermare che: per conoscere Dio bisogna conoscere l'uomo Quel “frutto ancora acerbo” è affidato alle cure di tutti noi! Di tutti. N on solo dei pastori. Deve maturare, per dare sapore alla vita ed alle relazioni umane. Per dare frutti e semi che possano far nascere nuovi alberi ricchi di frutti. Con la chiusura del Concilio, lo Spirito Santo non andato in ferie! Riporto, perché le considero profetiche, alcune righe della circolare 87 di Helder Camara (6/12/65): “Senza coraggio, i testi conciliari resteranno lettera morta. Non mancherà chi, in nome della fedeltà alla chiesa, vorrà ancorarsi al passato. Ma le riforme da intraprendere in noi, e intorno a noi, non sono le creazioni capricciose di laici imprudenti, di preti innovatori o di vescovi progressisti. È il Concilio, cioè i vescovi del mondo intero in unione perfetta con il Santo Padre e sotto la guida diretta dello Spirito Santo; è il Concilio l'autore delle riforme che spetta a noi, popolo di Dio -vescovi, preti e laici - eseguire. Fedeltà alla Chiesa non significa aggrapparsi al passato: significa non vacillare mentre si accompagna la Chiesa che avanza; e non vacillare nel fare oggi quello che ieri sembrava temerario, giacché è la Chiesa stessa che ci induce a farlo. A volte sembreremo audaci. Ma se saremo fedeli ai testi conciliari, se saremo fedeli allo spirito del Vaticano II, se saremo attenti alle indicazioni dei nostri preti, dei nostri vescovi e del Papa, potremo rispondere che, se di audacia si tratta, è l'audacia dello Spirito Santo”. Per dare atto alla lungimiranza di Mons. Camara, aggiungo una sua nota (circ. 71) con cui prevede la opportunità/necessità di un Vaticano III, per riprendere e proseguire il cammino iniziato. Un’idea che fu più volte suggerita anche dal Card. Martini: “Se Dio vorrà, giovedì 2 dicembre, ci sarà una fraterna cena d'addio ….. Ma abbiamo preso tutti i provvedimenti necessari alla prosecuzione dell'Ecumenico 16. Fra le preoccupazioni principali: rinforzi tecnici per le conferenze episcopali; stimolo agli organismi continentali della gerarchia, per aiutare ad aprirsi al dialogo del secolo; stimolo alla realizzazione di Sinodi e Concili Pastorali che prolunghino, Era così chiamato il gruppo di vescovi impegnati nella promozione della riforma della Chiesa. “Ecumenico”, perché pienamente aperto al dialogo, e perché composto da vescovi di tutte le nazioni. 16 GS x CPM 32 approfondiscano e completino il Concilio Ecumenico Pastorale; messa a profitto dell'esperienza dell'incontro di Viamao (incontro di teologi del terzo mondo con teologi del mondo sviluppato, a giovamento di ambo le parti); inizio di preparazione del Vaticano III, soprattutto attraverso la formazione di teologi laici e di teologi aperti alla scienza". Era ovvia, nella mente di Mons. Camara, la convinzione che il Concilio avesse dato la miglior risposta possibile nelle reali condizioni del tempo. I padri conciliari avevano un retroterra culturale e teologico che non permetteva loro più di tanto nell’aprirsi alle possibilità che si presentavano. Dopo un certo numero di anni, anche per l'apporto di quanti sarebbero cresciuti nel clima del Concilio appena concluso, il cammino della Chiesa poteva essere meglio indirizzato in risposta agli stimoli che lo Spirito Santo avrebbe posto sul loro cammino. In effetti, anche in relazione ad alcuni tentativi di restaurazione, l'ipotesi di celebrare, non immediatamente, ma nemmeno in un lontano futuro, un Concilio Ecumenico, sembra sempre più opportuna: come si è visto tra gli anni 1962 e 1965, l'incontro di vescovi e teologi di tutto il mondo, in un clima di profonda preghiera di tutta la Chiesa, e di confronto tra tutte le Chiese, può dare frutti straordinari. Può realizzare quello che gruppi ristretti di vescovi o teologi non sarebbero in grado di realizzare. Chiediamo allo Spirito Santo di promuovere nella Chiesa ciò che Egli sa essere necessario. E confidiamo! GS x CPM 33