Abelardo Rivera Llano

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Abelardo Rivera Llano* **
Necessità di una riflessione giuridica sul presente
come tempo1 veduto2 e consumato e sul futuro 3.
Il cammino verso il soggetto4 nella società postmoderna
«Questo solo può dirsi: che nell’uomo è una divina virtù
d’astrarre dalle cose la propria forma, e di ritrarre da essa
un contenuto nuovo».
A. SARNO
«Le parole che non ricevono luce nella relazione dialogica si degradano nei rumori delle cose, degli animali, delle
macchine ecc. … Tutte entità che possono presentare
solo i segni di una mutazione, ma non i contenuti di una
creazione cercata nel dialogo, perché sono prive dell’io».
B. ROMANO
* Università
di Bogotà – Colombia.
Per la correzione del testo si ringraziano Rosamaria Mesiti e Antonio
Siniscalchi.
1 Cfr. E. BONCINELLI, Tempo delle cose, tempo della vita, tempo dell’anima,
Roma-Bari, 2006. L’autore in questa opera presenta la complessità del concetto
che è sempre stata oggetto di riflessioni e studi da parte di filosofi, scienziati,
teologi come Agostino: «che cos’è dunque il tempo? Se nessuno me ne chiede
lo so bene; ma se volessi dare spiegazioni a chi me ne chiede, non lo so».
AGOSTINO, Le Confessioni distingue due condizioni: una è rivolta al soggetto da
risvegliare, l’altra all’oggetto transeunte che occorre anche conoscere. Per
Parmenide, invece, il tempo è ombra, l’immagine della temporalità; Heidegger,
a sua volta, parla della temporalità intesa come «l’originario fuori di sé e per sé»,
per cui il pensiero è venire in prossimità con il lontano che è il futuro. MerleauPonty parla a sua volta del tempo come una dimensione del nostro essere. La
filosofia moderna attribuisce il tempo ai progetti della libertà. Nel mistero dello
spirito si svolge il mistero del tempo. Il tempo, insomma, è un riflettore che
l’uomo fa del suo significante. Per questo, essere nel tempo è essere nel rischio,
che comprende anche quello dell’attività poetica, dell’imperativo kierkegaardia**
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RELAZIONI
1. Premessa. Marc Augé, in Che fine ha fatto il futuro?, ritiene
no di staccarsi infinitamente da se stesso infinitizzando l’io e «… ritornare infinitamente a se stesso rendendolo finito». B. ROMANO, Il senso esistenziale del
diritto nella prospettiva di Kierkegaard, Milano, 1973, p. 83 e ss. Vd. anche B.
ACCARINO, Mercanti ed eroi. La crisi del contrattualismo tra Weber e Luhmann,
Napoli, 1986, § Figure della temporalità in Luhmann, p. 147 e ss.; S. COTTA, La
sfida tecnologica, Bologna, 1968, § La vittoria del tempo, p. 67 e ss.
2 In Romano il «“tempo veduto” è il colore della globalizzazione contemporanea … Quando si consolida l’incidere del “tempo veduto”, ciascuno si
relaziona a se stesso e agli altri solo nel medio del vedersi qua e ora nel veduto
da un indifferente nessuno; vede come sua immagine quella che gli restituisce
uno specchio dove è l’immagine di tutti; modellata dall’alterità tecno-informatica che rende ognuno un elemento oggi post-umano, omogeneo alla senzienza …».
B. ROMANO, Fondamentalismo funzionale e nichilismo giuridico, Torino, 2004,
p. 229. Si opera la trasformazione del Sé parlante nell’alterità del Sé transinformatico, dove l’uomo è costretto nel tempo veduto ad essere un semplice osservatore, imprigionato nello spazio del presente, chiamato «la fuga del presente»
come salto della realtà del tempo. In ID., M. Heidegger, l’essere-con-gli-altri e il
diritto. Dal moderno verso il post-moderno, in “Arch. di filosofia”, 1989, p. 476
e ss.; ID., La società post-moderna come sistema di universale dipendenza, Roma,
1990, p. 19 e ss.; ID., Soggettività, diritto e post-moderno. Un’interpretazione
con Heidegger e Lacan, Roma, 1988, p. 190. Il tempo veduto=prodotto, equivale, altresì, all’io geografico, inteso come staticità meccanica della vita nella
quale l’esistente vede spegnersi l’esercizio della possibilità, come forma «della
noia, dove ciascuno viene incontrato come un indifferente nessuno e … imposto l’essere costretti ad un “ascolto” o stabilire la differenza tra questa modalità e la colpa, opposto al tempo esistito=unità io-soggetto=io gnosico=unità esistita». In questo ambito si danno i tre anelli del reale, del simbolico (che è la
«connotazione della presenza e dell’assenza e dell’immaginario»), in ID.,
Terzietà del diritto e società complessa, Roma, 1998, § L’unità della terzietà del
diritto, p. 261 e ss. e dell’immaginario (nodo borromeo) «che spegne, invece,
l’attesa: esso è solo ciò che vi è già». In ID., Soggettività, diritto e post-moderno,
cit., p. 33; in ID., La legge del testo. Coalescenza di logos e nomos, Torino, 1999,
§ Ordine reale e ordine simbolico, proprio della filiazione del figlio e del padre
simbolico, io o l’altro, il singolo unico (Stirner) o del noi univoco di Marx dove
«il rapporto si risolve, infatti, in una condizione di aggressività, poiché lo stato
di imprigionamento in una immagine univoca ed escludente produce quanto
Lacan descrive come “lo scarico della più intima aggressività che è il contro
giuridico”, B. ROMANO, Filosofia del diritto, Roma-Bari, 2002, p. 81 ss. e §
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la riflessione sul tempo attuale un’esigenza «necessaria» poiché
«il tema della fine della storia, nega la speranza di tanti esclusi dal
sistema globale oggi esistente», che cercano e chiedono un senso
in cui l’uomo, sempre più alienato5 di fronte alla pressione della
Terzo giudice e terzo funzionale, p. 195 e ss.; in ID., Fondamentalismo funzionale e nichilismo giuridico, cit., § “Immaginario” e “simbolico” il diritto nel postumanesimo, p. 331 e ss. Il tema si riallaccia anche al senso formato/senso in formazione che sono in P. Ricoeur i due modi di rimanere nel tempo: idem e ipse.
Cfr. P. RICOEUR, Se come un altro, Milano, 1993.
3 Secondo Romano: «la privazione della dimensione del futuro è radicata nella rimozione della domanda di senso, estranea al linguaggio logotecnico. La questione del senso è nel futuro, che sorge nella sua originalità sia perché non è anticipabile, sia perché – pur sempre custodito in questa sua qualità – appartiene al ‘chi’ del domandare ed al ‘chi’ del rispondere, in quanto
entrambi si ritrovano nell’eccedere l’intenzione puntistica del ‘domandato’ e
del ‘risposto’. Il futuro, nel parlante, è in questo ritrovarsi nell’intersoggettività dell’eccedere l’intenzione di ciascun soggetto, in questo ritrovarsi è l’inizio del riconoscersi», ID., Assoggettamento, diritto, condizione logotecnica,
Roma, 1992, p. 194; L. AVITABILE, La filosofia del diritto in Pierre Legendre,
Torino, 2004, § Il principio genealogico come principio del Testo della legge, p.
70 e ss.
4 Il soggetto deve essere inteso come punto di partenza alla ricerca della
genesi del senso, orientato alla restituzione della sua centralità che sarebbe l’accesso dell’uomo al senso originario di sé. La persona come paradigma di sé.
5 Afferma Hersch: «chi non possiede personalmente i mezzi per produrre
ciò che è necessario alla sua vita, non possiede nemmeno se stesso, non dispone più di se stesso, è alienato da sé, è diventato la proprietà di qualcun altro,
anzi, la proprietà di un sistema oggettivo, anonimo», J. HERSCH, Storia della
filosofia come stupore, Milano, 2002, p. 218. L’alienazione impedisce a chi la
patisce di realizzare lo scopo del presente, passando dalle inclinazioni alla verticalità che è il mito di Icaro=alzarsi in volo, come segno di futuro (tenuto
conto del passato) senza il quale non c’è speranza. Nella cultura ebraica, «il
futuro è legato al rapporto tra uomo e tempo perché non viene rubato un
oggetto, ma l’essere, l’anima altrui». Afferma Romano in una sua magistrale
lezione: «quando qualcuno accresce il suo avere un altro ne deve pagare il
prezzo». Estratto delle lezioni tenute dal professor Bruno Romano presso
l’Università degli studi di Roma ‘Sapienza’. Vd. anche J.L. NANCY, Essere singolare plurale, Torino, 2001, § Misura del ‘con’, p. 101 e ss.
6 Questa nozione compare sin dall’origine del pensiero greco quando
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RELAZIONI
realtà e senza futuro, in preda al destino6 e costantemente privato della libertà (che è indisponibile), è ridotto, come gli esseri
viventi privi di linguaggio e quindi di realtà, ad eseguire passivamente la necessità senza potersene liberare. Questa condizione,
«portatrice di tutte le violenze»7, priva l’uomo della speranza e
del riconoscimento8 ed è l’espressione della società dell’esclusione e del disprezzo dell’esistenza dell’altro in cui il conflitto acuisce la disuguaglianza e la crescente povertà, così come la perdita
della libertà.
I prodromi problematici di questa condizione derivano, tra
l’altro, dall’assenza di una mediazione istituzionale imparziale e
ancora la nozione di tempo era profondamente influenzata dal mito e associata all’idea ciclica del tempo come ruota del destino in cui tutti gli esseri sono
eternamente destinati a rinascere, a cui si è ispirato Nietzsche. La parola
“legge”, d’altra parte, proviene da stabilire ed ha la stessa radice che nelle lingue germaniche antiche forma la parola “destino”. Chi non ha destino, cioè,
diritto, non può ascoltare, eseguire, dicevano i romani, il suo genio, cioè, le
divinità protettrici. B. ROMANO, Il diritto non è il fatto, Roma, 1998, p.105 e ss.;
ID., Terzietà del diritto e società complessa, cit., § La terzietà nel diritto come
unità delle tre figure del terzo nell’Altro-terzo (la giustizia riconoscimento), p.
263 e ss.
7 M. AUGÉ, Che fine ha fatto il futuro? Dal non luogo al non tempo, Milano,
2009, p. 45. L’invito che ci propone Augé si ricollega con questa sua affermazione: «il futuro insieme al passato è scomparso dalle coscienze individuali e
dalle rappresentazioni collettive», qui, come vedremo, non c’è speranza per il
soggetto data la prevalenza del «fare funzionale ‘dell’uomo desiderante’, senza
logos e nomos», dove “il Terrore” può diventare “giurisdizione” come in
Sartre, data l’opposizione che si dà tra conformità e ribellione. Sul punto A.
PUNZI, Il logos tra le carte del giurista. Frammenti di filosofia del diritto, in
AA.VV., Percorsi di fenomenologia del diritto, Torino, 2007, pp. 139-164. Il problema della violenza ripropone pure la cosiddetta «teoria dei corsi e ricorsi storici» di G. B. Vico, cioè con l’età della barbarie, dominata dalla paura «non
dalla speranza», come ha proposto Obama il giorno del suo insediamento
come presidente degli Stati Uniti, feroce violenza.
8 Tenuto conto della violenza strutturale della società che impedisce la
completa espressione delle potenzialità umane dell’individuo.
9 Rappresentato dal potere giudiziario che, terzo e indipendente, garantisce,
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disinteressata di un terzo9, garante dell’uguaglianza10, chiamato a
riparare quel non-essere che l’uomo ha introdotto nella storia, dove
l’essenza della volontà umana non è né il bene, né la verità, né
l’amore ma una morale costruttivistica. L’opera del ‘Terzo escluso’11
in ultima istanza, la corretta applicazione ai casi concreti delle norme di diritto
che pongono gli uomini in un rapporto di originaria uguaglianza, per cui essi
sono “uguali” in dignità e diritti come affermazione dello spirito umano. Con la
sua giurisprudenza, come si dirà nello svolgimento del tema, contribuisce creativamente alla evoluzione di un sistema normativo che è sempre in moto.
10 Secondo Romano le norme vanno istituite: «perché non si sia abbandonati all’indistinzione tra uguaglianza e discriminazione, il rispetto o la violenza.
Insomma: perché si esca da ogni eventualità dove tutto è possibile e dunque non
si ha ragione di compiere alcun progetto». La controfattualità viene intesa come
dimensione propria dell’incidere del diritto nella qualità della relazione fra i soggetti; essa non è né mia, né tua, ma è terza e solo in quanto tale, regola giuridicamente il mio e il tuo; non è contraddittoria perché non è prodotta dal dominio
dell’io o del tu, ma è la ripresa della trialità dell’ipotizzare garantito dal terzo legislatore, che costituisce, con il terzo-giudice e il terzo-polizia, una delle figure
della terzietà giuridica, costitutiva della specificità del diritto. B. ROMANO, Il
diritto non è il fatto, cit., p. 14. Uguaglianza non vuol dire innocenza, così quando afferma che: «l’assenza di una selezione fra i fini, fondata nella relazione del
riconoscimento tra i soggetti, è sia l’affermazione di una società eterarchica, sia
il costituirsi ed il generalizzarsi della figura di uomo, di cui discute Nietzsche,
sempre innocente, estraneo alla selezione e alla scelta dei fini, secondo una ragione intersoggettiva». F. NIETZSCHE, Così parlò Zarathustra, Torino, 1885, p. 93.
Ricorda Romano: «Jaspers discute in Nietzsche» un duplice significato del diritto: «in una prima accezione, si ha “il dominio di ispirazione mediocre” e, come
tale, il diritto si riduce alle leggi che si accumulano all’infinito. In una seconda
accezione, “il significato del diritto diventa quello di garantire una gerarchia dei
creatori”, prendendo atto che per Nietzsche “gli uomini sono … assolutamente
diseguali” e, pertanto, “non ci sono diritti umani” ma quel che decide è “il tipo
d’uomo che ha di fatto il potere”, perché è un ‘creatore’ e come tale si impone
usando violenza agli altri; gli esecutori ‘creatori ed esecutori’ consistono qui in
luoghi biologici di diversi gradi della vita-forza. Queste due accezioni del diritto
appartengono ad una genesi fattuale e non fenomenologica». In B. ROMANO,
Scienza giuridica senza giurista: il nichilismo ‘perfetto’, Torino, 2006, p. 243.
11 Romano definisce il Terzo escluso: acentrico, vuoto, innocente e scisso.
ID., Terzietà del diritto e società complessa, cit., p. 125 e ss. Secondo questo
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RELAZIONI
impedisce di valorizzare ogni persona nella sua unicità attraverso
l’esercizio del linguaggio-discorso e quindi del riconoscimento12,
limitandosi a «dichiarare l’uguaglianza formale che priva i più
deboli delle forme di protezione che sono loro proprie»13. Così
accade nella legalità senza giustizia, modello della giustizia del
presente come tempo veduto, dove si dà l’opposizione dialettica
tra dominanti e dominati, tra il punto di vista del sistema, che è
impersonale, e il punto di vista dell’azione – come intesa in
Weber – cioè l’intenzionalità che dà unità di senso, propria dell’umano, per evitare che rimanga sempre lo stesso, come sempliprincipio la formulazione tra essere e non essere non c’è, non si dà un termine
medio: tra essere e non essere domina la massima non identità, l’assoluta contraddizione. Insomma, affermare qualcosa di intermedio tra essere e non essere equivale ad eliminare l’incontraddittorietà dell’essere, a identificare l’essere
con il non essere, di cui discute Luhmann nella distruzione della persona
umana. ID., Il diritto tra il causare e l’istituire. Numeri del mercato e parole del
diritto, Torino, 2000, § Terzo negativo e terzo positivo: l’istituire, p. 260 e ss.
«L’esclusione del ‘terzo’ è la negazione della garanzia dell’improvviso nella
relazione tra gli esistenti e tra gli esistenti e le istituzioni». ID., Soggettività,
diritto e post-moderno, cit., p. 89.
12 ID., Filosofia e diritto dopo Luhmann, Roma, 1996, p. 258. Scrive infatti: «includere ed escludere sono in una relazionalità duale e unidirezionale,
mancante di una terzietà (misura). Il riconoscimento è una relazionalità reciproca e triale, misurata dalla figura del terzo-Altro…» che guarda la legge del
testo, come relazione discorsiva propria della gratuità dell’io.
13 A. SUPIOT, Homo juridicus, Milano, 2005, p. 249; cfr. anche P.
BARCELLONA, P. DE GIORGI, S. NATOLI, Fine della storia e Mondo come sistema. Tesi sulla postmodernità, Bari, 2003, § Principio di uguaglianza e idea democratica: il dramma della legittimazione dell’ordine convenzionale artificiale:
Kelsen versus Schmitt, p. 95 e ss. L’autore dimostra la necessità del terzo imparziale e disinteressato, capace di cercare il ‘giusto’ e non solo l’‘utile’. D.M.
CANANZI, Artificiale versus artificioso (Saggio perlustrativo su estetica e diritto),
“Journal of law, cognitive science and artificial intelligence”, vol. 2, Issue 5-6,
2006, p. 200 e ss.; Romano, al riguardo discute del rapporto di assoggettamento\esclusione e il non giuridico. B. ROMANO, Filosofia e diritto dopo Luhmann,
cit., pp. 217-220.
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ce portatore di inclinazioni 14 nella vita trovata preumana, ove
sopravvive il più forte biologico.
In questo contesto, si spiega il compito del giudice-giurista al
quale rinvia Cotta quando discute di un «portatore di umanità
nella società degli uomini» che incontra l’io e non si lascia mai
definire15 nella realtà delle situazioni esistenziali costitutive del ‘se
stesso unico’, come singolo in relazione16, evitando che i deboli,
gli umili e gli sfruttati, vinti nella lotta per la vita (tenuto conto
dello stato di penuria e della crescente povertà, sinonimo di esclusione)17, vengano assoggettati alla morale dei padroni18, attraverso un’applicazione meccanica delle leggi, una grammatica del
testo che fonda il formalismo giuridico, ‘analogo nella struttura’
al fondamentalismo funzionale, dove domina una memoria esecuzione che prescinde dalla filiazione simbolica, formativa del se
stesso, forma dat esse rei, «dice il fatto – ricorda Romano – senza
il senso del fatto».
In questa prospettiva, muta l’essenza originaria della giustizia,
alimentata dalla ricerca del vero attraverso l’esercizio del linguag-
14 ID.,
Sistemi biologici e giustizia. Vita animus anima, Torino, 2009, § Le
parole dell’intenzione. I segni dell’inclinazione, p. 125 e ss.
15 A questo proposito, in Luhmann l’io è privo del futuro, in quanto è
costretto a vivere nella realtà e non nella possibilità. Cfr. ID., Il senso esistenziale del diritto nella prospettiva di Kierkegaard, cit., p. 79 e ss.
16 G. BARTOLI, La forma del diritto. Un percorso fenomenologico: Reinach e
Binswanger, con riferimento alla teoria estetica di Pareyson, in AA.VV., Percorsi
di fenomenologia del diritto, cit., p. 74.
17 Romano afferma: «L’istituzione del mondo è qualificata anche dall’ordine della penuria, una condizione ove “non ce n’è abbastanza” per il durare nel
reale di tutte le ipotesi di formazione di mondo di tutti gli ipotizzanti. Infatti,
poiché la penuria apre all’esclusione, chiede l’incidere del “nomos”, delle regole del diritto idonee a disciplinarla secondo il logos». B. ROMANO, Filosofia del
diritto, cit., p. 84; ID., Terzietà del diritto e società complessa, cit., p. 204 e ss.;
ID., Il diritto tra il causare e l’istituire, cit., § L’apertura dell’affettività, utile, giusto, penuria, p. 337 e ss.
18 ID., Filosofia e diritto dopo Luhmann, cit., p. 145 e ss.
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RELAZIONI
gio-discorso che orienta e conferisce19 una qualità positiva alle
relazioni tra gli uomini. La scarsa considerazione della persona
umana, che, direbbe Capograssi, è ‘diritto stesso’20, dovrebbe sollecitare filosofi e giuristi a lottare, non per la vigenza formale delle
leggi, ma per l’applicabilità dei diritti in essa consacrati «tra i
quali i diritti dell’uomo» che, rifiutando l’identificazione del giuridico nel fatto (quindi nel sistema che esclude il fenomeno), resta
soltanto nel fatto, in quanto dotato di un plus eccedente il semplice mondo vitale che va al di là dei diritti della senzienza21 per collegarsi con la gratuità e la soggettività, come l’opposto del pensiero astratto22 che «mira a comprendere il concreto astrattamente,
il pensatore soggettivo mira invece a comprendere l’astratto completamente».
Questa riflessione è tanto più sentita quanto più si perde la
memoria dell’origine che, secondo Agostino, è ‘memoria significativa’ (nella dimensione veritativa23, sede di tutte le nozioni apprese), cioè verità in quanto nascondimento e ‘rivelazione’ dell’essere tramite la parola. Infatti, «è l’essere che porta la trascendenza
alla presenza», (il cammino verso il soggetto, che si può esprime19 ID.,
Tecnica e giustizia nel pensiero di Martin Heidegger, Milano, 1969, p.
113.
20 Poiché tutto il pensiero moderno sul reale è ordinatore, il reale non è più
ciò che poggia, riposa e sta in se stesso, la sostanza, bensì la funzione. Per
Luhmann, l’ordine sociale è l’orizzonte problematico costitutivo della sociologia come scienza. J. HABERMAS, Problemas de legitimacion en el capitalismo tardivo, Buenos Aires, 1973, p. 33 e ss.
21 B. ROMANO, Fondamentalismo funzionale e nichilismo giuridico, cit., p.
76 e ss., si vd. anche ivi, p. 199 e ss., 411 e ss., 416.
22 ID., Il senso esistenziale del diritto nella prospettiva di Kierkegaard, cit., p.
76.
23 «Le leggi sono nell’essere, il diritto è nell’esistere», ID., Il diritto tra desiderio e linguaggio, Roma, 1999, p. 4; ID., Critica della ragione procedurale,
Roma, 1995, p. 178 e ss.; AGOSTINO, Confessioni, Libro X; vd. anche P.
RICOEUR, Tiempo y narraciòn. Configuracion del tiempo en el relato històrico,
Mexico, 2004, vol. I, p. 354 e ss. (memoria: presente del passato).
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re in molti modi), è l’anello di congiunzione tra immanenza e trascendenza (totalità, unità), passato e futuro, realtà e possibilità
(futuro simbolico), significante (futuro-forma in formazione) e simbolo24, interpretazione e metodo25, verità e linguaggio26, linguaggio
e tempo27, verità e forma28, verità e interpretazione29, regola e rego24
Il simbolo deve essere inteso come specchio in grado di riflettere la realtà, cioè di ri-pensarla profondamente attraverso i simboli come dimensioni
immanenti. Cfr. P. RICOEUR, Il simbolo dà a che pensare, Brescia, 2006.
25 Ci si chiede, afferma Gadamer, se la verità venga a galla attraverso il
metodo. Cfr. H. G. GADAMER, Verdad y método, vol. I-II, Salamanca, 1993.
Gadamer afferma che, come l’ontologia studiava l’essere-quale concetto filosofico fondativo di tutti gli altri, così anche l’ermeneutica ha la stessa universalità,
poiché-l’essere che-può-venire-compreso è il linguaggio. Questa è la tesi dell’ermeneutica gadameriana, secondo la quale il linguaggio può essere equiparato
all’essere, poiché è solo nel linguaggio che l’io e il mondo trovano una mediazione che le riunisce. Dunque, l’ermeneutica è in questo senso un aspetto universale della filosofia e non solo delle cosiddette scienze dello spirito, dove il
contenuto delle norme è quello del nichilismo compiuto, non ha un fine ed un
senso per l’uomo (…), avendo presente che nelle ‘formulazioni numeriche’ si
compie il ‘sostituire il pensiero effettivo con un operare puramente meccanico’.
26 Romano ne discute «come opera di ricostruzione dell’essere-soggetto»
perché il linguaggio è proprio ciò che costituisce l’essenza vivente dell’uomo,
ricorda Romano, riprendendo Lacan: «la causa introdotta nel linguaggio è il
significante senza il quale non ci sarebbe alcun soggetto nel reale». «L’incidere
del linguaggio separa due direzioni, quella dell’appetire sostenuta dal bisogno,
e quella del desiderare, sostenuta dalla domanda, ove il bisogno è posto in
parole. Con la formazione della domanda, il vettore del movimento del soggetto si sposta dall’oggetto del bisogno al ‘chi’ della risposta. Il centro non è più
la funzione saziante dell’oggetto, ma la qualità della relazione tra i soggetti,
dove ciascuno è esposto all’alternativa di essere escluso in quanto essere parlante o dell’essere riconosciuto come soggetto della creazione di senso (…)».
B. ROMANO, Per una filosofia del diritto nella prospettiva di J. Lacan, Roma,
1991, p. 131.
27 ID., Heidegger, l’essere con-gli-Altri ed il diritto. Dal Moderno verso il
post- Moderno, cit., p. 473.
28 Questo «significa svelare il nesso tra verità, forma e temporalità del diritto». D.M. CANANZI, Artificiale versus artificioso, cit., p. 195.
29 Cfr. L. PAREYSON, Verità e interpretazione, Milano, 1971.
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RELAZIONI
lato, che avviano la ricerca di senso30 e «impegnano l’uomo nella formazione del futuro»31 come fenomeno ‘istituito’ e non come fatto
‘trovato’32, dal momento che la persona non è ma diventa.
È questo il nocciolo del tema33, ma vi è di più. La trascendenza, riprendendo il pensiero di Heidegger, è «la costituzione originaria della soggettività di un soggetto. Il soggetto trascende in
quanto soggetto, questi non sarebbe soggetto se non trascendesse. Essere soggetto significa ‘trascendere’… ciò verso cui il soggetto trascende è quanto viene da noi detto mondo, in quanto il
mondo senza l’io non produce presenza, l’io senza il mondo non
ha presenza», in quanto l’uomo è l’unico «formatore di mondo»34
30
In Heidegger «senso significa ciò in cui si mantiene la comprensibilità di
qualcosa senza tuttavia venire in luce esplicitamente e tematicamente». Si riporta
il linguaggio nella dimensione dei significanti a seconda che vengono assunti puramente per se stessi nel loro prodursi oppure intesi come ciò a cui il singolo segno
si riferisce; il primo piano è puramente formale-fenomenologico, il secondo è
materiale-empirico. B. ROMANO, Diritto e assoggettamento, Roma, 1990, p. 146.
31 ID., Fondamentalismo funzionale e nichilismo giuridico, cit., p. 442.
32 ID., Filosofia del diritto, cit., p. 7; in ID., Il diritto tra causare e istituire,
cit., p. 174 e ss.
33 Scrive Stirner: «L’uomo dall’istante che aprì gli occhi alla luce, nella confusione strana che lo circonda, cerca di ritrovare se stesso, di conquistare se
stesso… . Vincere o soccombere, tale la vicenda di questa lotta. Il vincitore
diviene il padrone, il soccombente lo schiavo; quegli esercita l’impero, il “diritto sovrano”, questi adempie umile e reverente i doveri di suddito», che ripropone la coscienza infelice e il rapporto di “servo-padrone” nella dialettica
hegeliana del marxismo. M. STIRNER, L’unico, Torino, 1921, p. 7.
34 Definendo il Mondo, scrive Cananzi, come «accessibilità dell’ente in
quanto tale», Heidegger rileva la differenza tra gli enti materiali che sono nel
mondo «senza averne alcun accesso; gli animali che hanno un accesso al mondo
nella forma della ‘povertà’, ovvero, nelle modalità dell’esser-aperto-per … e del
non-entrare-in relazione-con… che rendono il limite del “cerchio ambientale”
nel quale ogni animale svolge, eseguendo comportamenti, la propria vita; gli
uomini che hanno accesso al mondo “in quanto tale” ec-sistendo nella formazione della propria libertà i quali, attraverso le proprie condotte sono nel
mondo e “formano”, ovvero, danno forma “con e per la relazione intersoggettiva”, producendo, si legge in Ricoeur «… mondi sociali e culturali nei quali
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e così l’Essere è il tempo tra le tre dimensioni temporali (passato,
presente e futuro) entro le quali l’io istituisce la storia della sua
vita. Compito essenziale della filosofia del diritto è «trascendere… porre un’ipotesi, iscrivere un senso»35, «nel medio della filosofia del linguaggio … disfunzionale», centrato sull’esistere, sulla
logica esistenziale36 attraverso il metodo fenomenologico. Infatti,
risalire all’origine di qualcosa significa, innanzitutto, indagarne
l’essenza, grande esclusa del sistema funzionale teorizzato da
Kelsen che prende le mosse da Husserl ed è il paradigma ripreso
da Luhmann37, dove l’adattazione si integra con l’evoluzione, ed il
diritto non è già ‘condizione dell’autocoscienza’38.
ogni società intende se stessa». D.M. CANANZI, Artificiale versus artificioso, cit.,
pp. 169-170; P. RICOEUR, Ermeneutica filosofica ed ermeneutica biblica, Brescia,
1983, pp. 36 e 57 ss., ove analizza «l’effettuazione del linguaggio come discorso»; il mondo nella filosofia dell’immanenza, inteso come il complesso dei rapporti che l’uomo viene in esso attuando e svolgendo. C. FABRO, Introduzione
all’ateismo moderno, cit., vol. 2, p. 1188. Il tema in questione oggetto di rappresentazione nell’opera Mito del viaggio del pittore Antonio Nocera recupera e
rinnova i simboli arcaici e vitali di un’umanità in cammino per salvarsi dall’indigenza o in navigazione per scoprire il senso della propria presenza nel mondo.
Cfr. anche a proposito l’ultima pagina di questo lavoro.
35 B. ROMANO, Senso e differenza nomologica, Roma, 1993, pp. 112-113.
36 ID., Filosofia del diritto, cit., p. 10 e ss., ma nonostante ciò, scrive
Romano: «l’attuale società complessa produce quell’ombra, sempre più estesa e
potente, che, nel funzionamento dei sistemi sociali, copre l’essere-soggetto,
costringendolo nel non sapersi in ciò che gli si comanda di sapere. Il suo essere
un portatore soggettivo-di-funzioni», ivi, cit., p. 9. Si spiega perché Luhmann
afferma che la forma è forma di una distinzione, quindi di una separazione, di
una differenza, una linea di frontiera che marca una differenza e costringe a
chiarire quale parte si indica quando si afferma che si trova in una parte e da
dove si deve partire se si vuole procedere a nuove operazioni (del sistema). ID.,
Filosofia e diritto dopo Luhmann, cit., § Il sistema diritto. Differenziazione e codice, p. 165 e ss.
37 ID., Due studi su forma e purezza del diritto, Torino, 2008, § La fenomenologia di Husserl e la genesi della ‘dottrina pura del diritto’ di Kelsen, p. 53 e
ss.
38 ID., Fondamentalismo funzionale e nichilismo giuridico, cit., p. 443.
42
RELAZIONI
2. Fatte queste brevi considerazioni, darò avvio al mio intervento con una domanda: come si può rendere operativa detta trascendenza? Come metterla in atto nel mondo del diritto e della giustizia, in un sistema dove la «forza della forma è la forza del diritto»39, dove l’uomo è definito a priori sistema40, e il potere e il mercato sono le forze dominanti che escludono, con le parole di
Heidegger, «la rivelazione del fondamento per esibizione»41,
«epurato, privato, del ri-conoscere» e quindi senza base eticomorale?42 La questione problematica, da cui è possibile avviare
una critica, riguarda il bisogno di garantire, anche a scapito dei
‘diritti dell’io’, la certezza della legalità43 che, priva del rinvio al
senso di giustizia, implica un riconoscimento non di tipo costitutivo44 – tipico di una funzione esistenziale del diritto – quanto
39
P. BORDIEAU, La fuerza del derecho. Elementos materiales irreflexivos en
el derecho moderno, Bogotà, 2000, p. 81 e ss.
40 Qui non si dà un sistema di esistenza, poiché l’esistenza è data dalla
libertà. Il concetto di sistema evoca necessariamente quello di identità e stabilità. Da qui l’autopoiesis di Luhmann è svincolata da qualsiasi contenuto eticomorale, politico che non sia quello del presente, del qua e ora.
41 P. RICOEUR, Ermeneutica filosofica ed ermeneutica biblica, cit., p. 55.
42 In Schopenauer è il volto vero e demoniaco del mondo, «pervenuto gradualmente da Aristotele a Sartre, alla santificazione metafisica dell’ego separato, dunque, del Nulla, con cui si identifica il soggetto “liberato” da un ordine
universale. Il primato dell’ego già affermato nell’ontologia tradizionale si esprime poi senza più reticenza nel prometeismo-“umanistico” progressista e trionfante della modernità e in quello ormai antiumanistico, regressivo e disperato
del post-moderno, dove l’ego si risolve in puro potere di negazione regredendo verso l’infraumano». G. COGNETTI, Oltre il nichilismo, Milano 2007, p. 267.
43 B. ROMANO, Assoggettamento, diritto, condizione logotecnica, cit., p. 241 e
ss.
44 Insegna Cotta: «Per Cicerone la giustizia non è soltanto regolativa
della vita politica bensì anche e soprattutto costitutiva del popolo (…). Come
l’armonia nella musica, così la giustizia nella vita socio-politica stabilisce la
concordia fra le parti più diverse e quindi costituisce l’unità della res publica», S. COTTA, S. Agostino. Struttura e itinerario della politica, Roma, 1979, p.
170.
ABELARDO RIVERA LLANO
43
constatativo, richiesto dal fondamentalismo della forma, assoluta
e autoreferenziale (di pura45 astrazione).
La logica formale e immunitaria riduce il linguaggio, secondo
Saussure46, nel significato e prescinde dal rinvio al significante che
apre al logos e all’esercizio della soggettività, istitutiva degli scopi
nella gratuità dello spirito. È questa la dimensione dell’intenzionalità che Hegel individua nella relazione riconoscente, Satta nel
rapporto umano e Buber in quella Io-Tu, più vicina alla visione
fenomenologica dove il modello del relazionarsi è quello della
filiazione, cioè del Terzo altro, collegato col triangolo edipico di
Freud47. Il linguaggio, ridotto alla mera ‘forma’ (forma-passatopresente), è simile nei tratti alla riduzione fenomenologica opera45 È significativo «l’esempio della fenomenologia di Husserl che, volendo
fondar ogni realtà su basi certe e indiscusse, ha assunto la coscienza a facoltà
creativa attribuente i significanti. L’indiscussa verità a cui Husserl mirava è raggiunta facendo di essa un valore formale, sempre garantito e accessibile. La
verità diviene evidenza adeguatio formale, ossia ciò che è con significato di
verità. Tutto ciò che è realtà conseguentemente è tale solo come dato di
coscienza ad essa presente». L’io puro di Husserl non è altro che un tentativo
di spiegare scientificamente l’uomo che, non lasciandosi mai sistematizzare, è
ciò che è, ma anche ciò che non è. Cfr. B. ROMANO, Tecnica e giustizia nel pensiero di Martin Heidegger, cit., n. 8, p. 77, 130 e ss.; ID., Senso e differenza
nomologica, cit., p. 57 e ss.
46 A. DI CIACCIA, M. RECALCATI, Jacques Lacan, Milano, 2000, p. 49 e ss.
47 B. ROMANO, Male e ingiusto. Riflessioni con Luhmann e Boncinelli,
Torino, 2009, pp. 149-150: «… il senso di queste considerazioni di Freud viene
dall’estensione temporale di questo bisogno di essere amati, che non si confina
nella situazione dell’infanzia, nella sua non autosufficienza biologica, ma è
sempre costitutivo dell’uomo, anche nell’età matura. Si tratta pertanto di un
‘bisogno’, che non ha il suo significato nella sola ragione vitale della condizione infantile, ma viene dalla struttura intersoggettiva dell’uomo; accompagna
tutta la sua vita, dalla nascita alla morte, proponendosi come ansia di legittimazione del riconoscimento». Maldiney si riferisce, in questo senso, alla ‘dimensione di fictio originaria, coestensiva all’accoglimento, alla passività come tale …
(reale) io mi avvengo, io vengo a me con ‘esso’ e come me stesso- ici en deux.
L’accadere del reale o il reale in quanto accadere è sempre ‘qui in due’. H.
MALDINEY, Della transpassibilità, Milano, 2004, p. 7 e ss.
44
RELAZIONI
ta da Husserl che discute i rapporti tra la coscienza e l’esperienza, il soggetto e il reale (cosa è la realtà, come la si conosce), l’uomo e il mondo, dove «il logico appartiene alla sfera del significato e non a quella del significante»48 (momento “significativo” che
«apre buchi di senso» e quindi permette di instituire nel significante) e la coscienza e il fenomeno diventano la stessa cosa49, proprio di un realismo naturalistico o dogmatico per cui è reale ciò
che i sensi possono percepire, cioè il mondo dei fenomeni, origine di un nichilismo sviluppato con modalità dialettiche diverse50,
ma che comunque parte della desacralizzazione del passato e
dalla negazione del futuro.
Secondo questo punto di vista prospettico, l’autocoscienza e
la contemporaneità doppia (quindi la discriminazione, come
autocoscienza di sé)51 – la dottrina socratica «del-due-in-uno» –
vengono meno a causa della trasmutazione della libertà nel fattoevento che priva l’uomo della possibilità di disporre delle sue
decisioni nella formazione del futuro. Come afferma Luisa
Avitabile: « … il dovere si presenta come un automatismo che si
48
Cfr. B. ROMANO, Due studi su forma e purezza del diritto, cit. Scrive inoltre Romano che il culto dell’esattezza ha sostituito quello della verità.
49 Cfr. B. WALDENFELS, Percorsi fenomenologici di confine, Roma, 2002.
Questo autore affronta il dibattuto problema della fenomenologia dell’estraneo, tanto attuale nel tempo della globalizzazione e prende le mosse dalla filosofia di Husserl con particolare riferimento al modo in cui l’oggetto si presenta al soggetto, separato dal noema, dove l’io non incontra l’altro come un altro
io (la relazione di riconoscimento in Romano), ma come modificazione della
coscienza, equivalente in Sartre al rapporto dall’io all’ego. «L’altro è il mio
inferno».
50 Cfr. G. COGNETTI, Oltre il nichilismo, cit.; R. STEINER, Friedrich Nietzsche.
Un lottatore contro il suo tempo, Roma, 1985; R. RIOS, F. Nietzsche y la vigencia del
nihilismo, Madrid, 2004.
51 B. ROMANO, Filosofia del diritto, cit., p. 92, dove riprende la tesi di
Fichte: «il diritto è condizione dell’autocoscienza, garantendo quella possibilità di divenire uomo, che è ambientata nella relazione con gli altri uomini ove
l’io e l’altro si riconoscono nel reciproco mancarsi». ID., Senso e differenza
nomologica, cit., § ‘Soggettività’ ed ordine del significante, p. 63 e ss.
ABELARDO RIVERA LLANO
45
risolve solo nella soddisfazione del meccanismo causa-effetto, in
una sorta di ergonomia legalistica ove l’esistente è privo della possibilità esistenziale … annientata dalla superiorità fattuale della
ripetizione meccanicistica, di un paradigma consolidato»52, proprio della dimensione biologica e oggi pure economica. Anche
nell’excursus di Romano, il diritto rimane «estraneo alla chiarificazione e alla valutazione esistenziale dei suoi contenuti»53 quando prevale il testo della legge (causa formale) che si afferma nel
sapere-conoscere il ‘tempo veduto’. Questo tempo riduce la realtà
all’evoluzione54, quindi alla materia (senza causa finale), non
nell’«accogliere, vissuto attraverso il riconoscimento», dove l’io è
‘forma in formazione’, forma aperta55 che non esclude la ricerca
della verità (dell’unità di vero e giusto)56 nella libertà, vissuta
come esperienza, nel rischio di divenire se stessi e quindi responsabili57, perché aperta ad ogni itinerario nella libertà58.
52 L. AVITABILE, Diritto e osservatore. Interpretazione di Jaspers in costante
riferimento a Luhmann, Milano, 1998, p. 144.
53 Come accade nella teoria pura del diritto di Kelsen.
54 D. M. CANANZI, Artificiale versus artificioso, cit., p. 198.
55 C. FABRO, La fenomenologia della percezione, Segni, 2006, vol., 5, § La
nuova teoria della forma, p. 169.
56 B. ROMANO, Filosofia e diritto dopo Luhmann, cit., p. 110 e ss., dove si
domanda se «dopo Luhmann, nel moderno, si danno ancora norme irrinunciabili»; ID., Male ed ingiusto. Riflessioni con Luhmann e Boncinelli, Torino, 2009,
§ La differenza tra il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, il contingente, p. 49 e ss.
57 Cfr. J. L. NANCY, La experiencia de la libertad, Barcelona, 1996 e B.
ROMANO, Il senso esistenziale del diritto nella prospettiva di Kierkegaard, cit., p.
282.
58 Scrive al riguardo Ouaknin: «la libertà, afferma Lévinas, non ha a che
fare con atti di eroismo individuale. La libertà esige le istituzioni, uno Stato che
la garantisca come garantisce la giustizia: concepire e realizzare l’ordine
umano, significa istituire uno Stato giusto, che abbia, di conseguenza, la possibilità di superare gli ostacoli che minacciano la libertà. Questa è la sola maniera di preservarsi dalla tirannia… Ecco dunque la nostra conclusione: si impone un comandamento per essere liberi… Una legge esteriore scritta, munita di
forza contro la tirannia, ecco, sotto una forma politica il comandamento come
46
RELAZIONI
Emerge a questo punto la seconda domanda: è possibile questo oggi di fronte ai cosiddetti sistemi biologici e informatici, dove,
da una parte si nega il riconoscimento dialogico59, dato il contrasto
tra oggettivo opposto al soggettivo, la differenza tra spiegare e comprendere, propria dell’ermeneutica della precomprensione di cui
discute Gadamer e dall’altra, la consapevolezza e la libertà, legata,
in Kant, alla legge morale? È questa la sfida (e il compito) del filosofo del diritto e del giurista60, chiamati ad interrogarsi sul problema ermeneutico e a spiegare «i testi non più in funzione dei
loro autori, (cioè della rappresentazione formale), ma del significato ad essi… immanenti e degli orizzonti che essi dischiudono»61. Ecco il senso della filiazione che è memoria-creazione, e
non semplice ripetizione62-esecuzione. Altrimenti non sarebbe in
grado di intendere «realmente l’esperienza che è chiamata quotidianamente a comprendere-regolare», come si vede chiaramente
nell’esperienza del diritto penale messo di fronte alla categoria
dell’antigiuridicità, dell’imputabilità e della colpevolezza, con
condizione di libertà». M.A. OUAKNIN, Le Dieci Parole, Milano, 2001, pp. 7576.
59 C. TAYLOR, Il disagio della modernità, Roma, 2006, p. 62 e ss.
60 AA.VV. Il filosofo del diritto di fronte alla crisi della complessità, Napoli,
2010. Avitabile solleva il tema quando si occupa del ‘mondo come concetto
della totalità dell’esserci’ (…). Afferma infatti: «Nella teoria generale del diritto si assiste ad una rimozione della dimensione dell’esperienza giuridica non
sistematizzabile nella visione del diritto come unità compiuta dal sapere. Nella
filosofia del diritto si permane nella incompiutezza della non unità (…)», L.
AVITABILE, Diritto e osservatore, cit., p. 246, n. 77.
61 P. RICOEUR, Ermeneutica filosofica ed ermeneutica biblica, cit., p. 33.
62 B. ROMANO, Filosofia del diritto, cit., pp. 186-189, p. 91, p. 60 e ss.
Ricorda qui Romano le parole di Lacan quando afferma: «in ogni domanda è
ugualmente contenuto che il soggetto non vuole che essa sia soddisfatta da una
risposta totale, capace di estinguere il domandare di domandare», Ivi, p. 91.
ID., Sistemi biologici e giustizia. Vita animus anima, cit., § Conoscere e comprendere, p. 95 e ss. e ID., Fondamentalismo funzionale e nichilismo giuridico, cit., §
Presenza-assenza, memoria-filiazione, p. 439 e ss.
ABELARDO RIVERA LLANO
47
tutta la problematica sempre in crescendo delle patologie esistenziali e dei disturbi psichici-affettivi, dovuti in buona parte alle
costrizioni della realtà del presente, che non si può risolvere con
l’ideale dell’assoluta oggettività come si pretende dal funzionalismo penale, frutto di un totalitarismo ideologico-scientifico.
Nella società odierna63, governata da un mercato selvaggio (e
caratterizzata da rapporti seriali, anonimi) che tratta l’uomo alla
stregua di una funzione64, servente il successo del fondamentalismo funzionale-radicale, non ci si può esimere da un’indagine
sulla crisi e sull’erosione del fondamento del diritto (come fenomeno) in generale65, (che ne è del diritto nella situazione attuale
63
Nella società postmoderna, in cui il soggetto non è base e fondamento
di se stesso e del mondo, non è il principio che plasma il contenuto. Infatti,
non è la legge del testo, che prevale, ma il testo della legge. B. ROMANO, La
legge del testo. Coalescenza di logos e nomos, cit., in quanto «la legge del pensiero non risiede nelle regole della logica, che anzi, queste possono essere tali
solo a partire dalla legge dell’Essere». § Diritto, temporalità e angoscia, p. 282
e ss. Si vd. pure dell’autore, Il diritto non è il fatto, cit.; Il diritto tra causare ed
istituire, cit., § Numero del mercato e parole del diritto.
64 Questo equivale, secondo Jaspers «[…] a trasformare se stessi e gli altri
in materia. Lì, la quotidianità scorre nei ruoli, dove tutto si esaurisce in un succedersi di ripetizioni funzionali, non più poste radicalmente in discussione
[…] e allora la possibile crescita dell’uomo collassa in uno stato di sola energia di vita biologica, questo è un processo che trova il suo significato e si compie solo nel totalitarismo». Cfr. K. JASPERS, Verità e verifica, Brescia, 1986. Così
anche nel marxismo, che secondo Sartre, «il gruppo che nasce con il giuramento… non ha origine intrinseca, ma nasce unicamente dall’esteriorità della pressione nemica. Senza il nemico, in Sartre, il gruppo non avrebbe mai realtà». B.
ROMANO, Soggetto libertà e diritto nel pensiero contemporaneo. Da Nietzsche
verso Lacan, Roma, 1983, p. 64 e ss. Vd., anche l’impostazione giuridica che
del tema ne fa M. BARCELLONA, in Diritto, sistema e senso, lineamenti di una
teoria, Torino, 1996, § Forma-funzione e sistema, p. 79 e ss.
65 Luhmann rifiuta ogni fondamento ontologico (ontologia dell’unità) come
identità esclusiva che dà luogo alla differenza e modifica l’uguaglianza personale e sociale. Il mondo resta senza un centro di riferimento come fonte di informazione per il sistema e la realtà è soltanto ciò che è osservato. L’io si trasforma
in osservatore, esterno da se stesso e il sistema psichico acquista un altro volto,
48
RELAZIONI
dove crolla il concetto stesso della sua conoscenza? si chiede
Romano) e della giustizia, in particolare, che ha smesso di illuminare la genesi delle istituzioni giuridiche, diventate l’espressione di
un diritto avulso dalla vita66 e dalla realtà, lettera morta, propria
del fondamentalismo del detto che è violenza67, uno strumento di
potere, «l’ideologia vincitrice» di cui discute Irti. Il giurista perde
credibilità sociale quando si sottrae al suo compito essenziale,
ritornare alle origini, al significante68 (che è la causa del soggetto)69
quello esterno, simile nella struttura alla visione del mondo di Georg Spencer
Brown, sul calcolo delle forme, come demarcazione di un limite, dal quale
emergono i sistemi psichici e quelli personali. Solo nei primi si dà la distinzione
fra io-non io, tra interno ed esterno. Luhmann lavora con i cosiddetti paradossi, intesi come «contrari all’opinione comune». Cfr. L. AVITABILE, Diritto e osservatore, cit. In Romano l’immanenza-trascendenza (Umgreifendes=totalità=unità
in Jaspers) è un orizzonte inglobante dell’esistenza ricollegato con il nodo borromeo, cfr. ivi, cit., p. 36.
66 Il diritto in d’Annunzio è «ritmo di vita».
67 La pretesa di un sapere totale nega il sapere parziale proprio della terzietà del diritto, «vivere una necessità o una causalità è il non esistere nell’ipotizzare». B. ROMANO, Terzietà del diritto e società complessa, cit., p. 286. Vd. anche
L. PAREYSON, Estetica. Teoria della formatività, Bologna, 1988. Cfr. ID., Verità e
interpretazione, cit.; E. SEVERINO, Tecnè, le radici della violenza, Milano, 2010.
Per l’autore «le radici della violenza e dell’alienazione dell’occidente stanno
proprio (…) nell’idea che l’essere nasca e finisca nello stesso nulla a cui così si
riduce il senso stesso dell’esistenza», contrario a Parmenide che non pone il
mondo del divenire nel nulla, perché egli stesso afferma che del nulla non si può
né pensare, né parlare.
68 Scrive Lacan: «come il soggetto il significante, penso dove non sono,
dunque sono dove non penso», ricollegato con il tema dell’autocoscienza che
presuppone una coscienza, e questa, a sua volta, dovrà presupporre un inconscio. Quindi, l’autocoscienza è il riconoscimento che l’altro è il sé, la coscienza è coscienza dell’altro, quindi dell’inconscio. B. ROMANO, Per una filosofia del
diritto nella prospettiva di J. Lacan, cit., L’inconscio e la verità nelle regole della
relazione, p. 197 e ss; A. KOJÈVE, Linee di una fenomenologia del diritto,
Milano, 1989, § La fonte del diritto. Il desiderio antropogeno del riconoscimento in quanto fonte dell’idea di giustizia, p. 205 e ss.
69 Nella tradizione ebraica, afferma Ouaknin, «sopprimere il soggetto è
commettere l’omicidio dell’individuo». In senso contrario, aggiunge, «ci sareb-
ABELARDO RIVERA LLANO
49
senza fermarsi alla forma del significato, negando la genesi fenomenologica del diritto: la vita e il linguaggio70, polisemico e complesso. Discutere oggi della legittimità della legge, del pensiero e
del diritto71 (il calcolo della legittimità in Legendre72 e la crisi di
legittimità di Habermas73), non può prescindere da un rinvio
bero delle filosofie, quella di Nietzsche e quella di Sartre, per esempio che sopprimono il mondo della trascendenza per rifugiarsi nella sola immanenza. Dio
è morto, oppure Dio è la natura; esiste soltanto il mondo concreto, quello in cui
viviamo, e soprattutto non esistono retro-mondi nascosti dietro al nostro
mondo degli uomini. Anche qui, l’intervallo è sorpreso. Ma la vera filosofia o la
vera metafisica, come quella sviluppata da Levinas, consiste nel mantenere le
due realtà e più ancora, nel mantenere l’intervallo, la separazione, la tensione.
Poiché in questo intervallo si gioca tutta la relazione dello stesso e dell’Altro,
dell’Immanente e del Trascendente. Occorre rifiutare di celebrare unicamente
il Trascendente o unicamente l’Immanente, mantenendosi tra i due e aprisi alle
domande all’infinito della presenza dell’altro. È qui che si gioca l’etica tra gli
uomini…». M.A. OUAKNIN, Le Dieci Parole, cit., pp. 140-141.
70 Si tratta della casa dell’essere in Heidegger. In Merleau-Ponty il linguaggio è indiretto ed è plasmato da un silenzio evocante, legato con l’arte dell’inconscio. Cfr. B. ROMANO, Il diritto strutturato come discorso. Amore, uguaglianza e differenza. La differenza nomologica, Roma, 1994; ID., Scienza giuridica
senza giurista. Il nichilismo ‘perfetto’, cit., § Linguaggio e diritto, p. 145 e ss.
71 Dove tutto svanisce e diventa liquido, come nel pensiero di Bauman
sulla modernità: «nulla è stabile, tutto diventa aperto, liquido e si impone la
logica di Epimenide sulla pura-doxa», si vd. ID., Il senso esistenziale del diritto
nella prospettiva di Kierkegaard, cit., § L’assurdo come risposta all’immediatezza, p. 174 e ss.
72 Equivalenti ai «geni invisibili delle città», R. GUARDINI, La fine dell’epoca moderna. Il potere, Brescia, 1993, p. 15 e ss.
73 Sottolineano la crisi di legittimazione del modello liberale classico, data
la pluralità crescente di centri di potere o di contro-poteri (sindacati, gruppi di
pressione, corporazioni, clientele, ecc.) sommato ai risultati delle cosiddette
rotture epistemologiche che fanno emergere nuovi contenuti cognitivi che
diventano paradossali nei confronti degli anteriori. Cfr. L. AVITABILE, La filosofia del diritto in Pierre Legendre, cit., § La de-ragione legalizzata, p. 143 e ss.;
P. LEGENDRE, Della società come testo. Lineamenti di un’antropologia dogmatica, Torino, 2005, § La formazione dello spazio normativo e il potere di istruire la
legittimità, p. 197 e ss. In ID., L’inestimable objet de la trasmission, Etude sur le
50
RELAZIONI
all’attività ermeneutica del giudice, analisi posteriore al formale
che dà luogo ad un’interpretazione nomostatica-aperta74, perché,
come affermava l’Apostolo Paolo, «la lettera uccide, lo spirito
vivifica». Oltre il senso letterale, infatti, bisogna cogliere un significato nascosto, la legge del testo (tutto significa) attraverso l’attività interpretativa del magistrato che, diversamente da quanto
auspicava Montesquieu, non è chiamato ad agire meccanicamente
quanto a cogliere ed interpretare la parola plurivoca, dal momento
che l’essere, secondo Aristotele, «si dice con molti sensi», in quanto è atto e potenza.
Dunque, il testo normativo è non soltanto astratto e meramente valido, ma aperto, in fieri 75 e costantemente in trasformazione
per mezzo dell’attività della magistratura come fattore di equilibrio democratico tra il nomos e il kratos, tra la democrazia in quanto tecnica di governo e l’ideologia che la sostiene76. Questo fa sì
che l’uomo non sia visto solo dal potere tra una razionalità prettamente tecnica, la quale, attraverso una lettura aggiornata, deve
essere considerata una fonte del diritto al pari delle altre, soprat-
principe genealogique en occident, Paris, 1985, p. 69 e ss. «Pour chacun de nous
être parlé par le procedes juridiques de la societè costituè l’element premier de
notre entreè dans la vie. Le juridisme genealogique nous fait naitre au principe de division fondateur». Si riferisce l’autore ad un “corpus” che è innanzitutto una fortezza di parole. Cfr. J. HABERMAS, Problemi di legittimazione dello
Stato moderno, Milano, 1979; C. MONGARDINI, Il futuro della politica, Milano,
1965, § Legittimazione e delegittimazione, p. 44 e ss.
74 S. COTTA, L’istituzione giudiziaria tra diritto e politica, Parma, 1984, p.
424 e ss. Cananzi, a sua volta, sostiene: «il testo normativo … una volta ‘compiuto’ con la promulgazione trova il proprio senso nella dinamica delle successive interpretazioni che ne perfezionano “il valere attraverso la giustizia dei\nei
casi specifici”». D.M. CANANZI, Artificiale versus artificioso, cit., p. 197; L.
FERRAJOLI, Principia juris, Roma-Bari 2007, pp. 114-115, p. 137, n. 10.
75 Cfr. S. ROMANO, Corso di diritto costituzionale generale, Padova, 1943.
76 Poiché si tratta di due cose diverse in quanto tecnica di governo, la
democrazia si basa sul voto popolare, sulla trasparenza, sull’avvicendamento al
potere e, in generale, sulla partecipazione del popolo al res publica.
ABELARDO RIVERA LLANO
51
tutto nella società postmoderna in cui, di fronte alla predominante tendenza alla privatizzazione delle norme, alla loro elevata elasticità dovuta allo stemperamento del potere statale, che non
incontra limiti, i giudici sono chiamati a risolvere le contraddizioni determinate dal sistema politico77. Bisogna considerare, infatti,
che la verità non risiede necessariamente nell’opinione della maggioranza, né il bene comune è il risultato di un voto, come retoricamente si crede nella democrazia che, come la scienza moderna,
guarda alla quantità come al parametro più importante della realtà. Il primato della quantità indica che la vittoria del numero
diviene la cosa più importante in sé e che consentirà alla democrazia di poter funzionare; questo si traduce in un errore, perché
può negare la relazione di riconoscimento quando si rimane nella
dualità e non nella struttura triale78.
I magistrati, in una società veramente democratica, non possono accettare la norma per quello che è formalmente nella sua
validità, poiché «interpretare consiste nel rivelarsi contro ciò che
non è etico nello scritto, nell’immettere ciò che non è etico nel
mondo dell’etica e ciò che ci consente di vivere la giustizia»79, tramite valori validi per tutti nel vero del rapporto nomo-verità dove
la verità non si identifica con l’efficacia come accade nel mondo
del mercato utilitaristico oggi dominante.
Dunque, non c’è giuridicità senza interpretazione e ogni interpretazione implica sempre un’attitudine creatrice, «l’esistere nel
diritto» specifico degli uomini che esclude la dimensione formale
del semplice «conoscere\osservare» della «ripetizione meccanicistica»80. Il diritto – afferma Paolo Grossi – in questa visione «è
77 Spesso sono criticati dallo stesso sistema, perché come diceva Voltaire,
«è pericoloso avere ragione, quando il governo ha torto».
78 B. ROMANO, Ortonomia della relazione giuridica, Roma, 1997, § Dualità
o trialità del riconoscimento, p. 51 e ss.
79 M. A. OUAKNIN, Le Dieci Parole, cit., p. 281.
80 B. ROMANO, Filosofia e diritto dopo Luhmann, cit., p. 219; P. GROSSI,
Mitologie giuridiche della modernità, Milano, 2005, p. 73 e ss. Qui l’autore
52
RELAZIONI
soprattutto ordo81 non assicurato dalla coercizione di un assetto di
polizia, ma vigoreggiante negli strati più profondi della società,
che attende solo di esser letto, conosciuto, manifestato»82 attraverso i magistrati, interpreti naturali della legge e del tempo presente poiché il tempo è il maggiore innovatore. Questo permette
di guardare le cose reali con occhi freschi che consentono la scena
ludica83 e quindi, un conservare innovando, secondo il pensiero di
Mosca84.
Sono quelli i veri costruttori di Pace (come dato ontologico)85
e dell’ordo boni (all’interno dell’attuale società violenta) che
afferma: «… occorrono altri occhiali sul naso dei giuristi, occhiali che non sminuiscano l’interpretazione a una dimensione meramente conoscitiva ma la collocano come vita della norma in quanto esercizio, prassi, uso; occhiali che
siano disposti ad accogliere il paesaggio anche la comunità degli utenti in funzione non meramente passiva, che siano disposti ad ammettere non un solo
protagonista monocratico, il detentore del potere ma una pluralità fatta di soggetti. Forse è proprio giunto il tempo di cominciare a costruire il diritto anche
dalla parte di quelli che la tradizione ha chiamato, con implicito dispezzo, i
detentori del comando».
81 Legendre, a tal proposito, si riferisce ad un Corpus inteso come una fortezza di parole e del testo come discorso giacente. P. LEGENDRE, L’amour du
censeur. Essay sur l’ordre dogmatique, Paris, 1974, p. 80 e ss.
82 M. BARCELLONA, Diritto, sistema e senso, Torino, 1996, p. 42 e ss., p. 79
e ss., p. 171 e ss.
83 B. ROMANO, Filosofia del diritto, cit., § Gioco, amore, diritto, p. 80 e ss.
84 Tramite il quale i magistrati possono mettere il diritto in sintonia con la
realtà sociale e scientifica dove si possono avvalere dei paradossi che il progresso della scienza e della tecnica creano. Le Corti Costituzionali, infatti, non
sono state indifferenti a questa costatazione così come i giudici penali quando
si trovano di fronte all’incertezza scientifica, specialmente nel cosiddetto diritto del rischio o di fronte al cosiddetto ingrediente normativo extra giuridico o
del rinvio ad altre fonti extra giuridiche. Cfr. A. BARONE, Il diritto del rischio,
Milano, 2006.
85 Dove, insegna Cotta, «società e pace costituiscono una sorta di endiadi,
da che l’una si esprime nell’altra e quindi la pace è anch’essa un dato ontologico poiché senza un qualche grado di pace con gli altri non si dà vita e pace».
Cfr. S. COTTA, S. Agostino. Struttura e itinerario della politica, cit., p. 166.
ABELARDO RIVERA LLANO
53
diventa utopia quando si appaga soltanto della validità delle
norme86 che segnano «la morte della vita, decretando la morte stessa del diritto»87 o di un sistema democratico che esiste solo sulla
carta. A questo punto si pone il problema del potere dell’interprete
che solleva il ruolo odierno del magistrato nella società globalizzata e dei giudici protagonisti, ma all’interno della Costituzione.
Questo rapporto tra politica e giustizia, oggi più che mai è difficile, ma solo la res publica come coscienza istituzionale può garantire il raggiungimento di un equilibrio democratico88, molto discusso in questo periodo storico, e dell’ermeneutica costituzionale che
tratta le norme come fattispecie aperte in opposizione a quelle chiuse del sistema giuridico. Oggi, superata la tesi dell’interpretazione
come atto di conoscenza, guadagna spazio quella della dinamica
evolutiva-creativa che riconosce il vero legislatore non tanto nel
parlamento, quanto nell’interprete della legge chiamato a dare una
visione di sintesi e non soltanto di mere percezioni di forme vitali,
proprie dei sistemi biologici, che sostituisce «l’opera della spiritualità dell’anima con le operazioni della materialità dell’animus»89.
L’importanza del tema su accennato, richiama la necessità di
pensare non soltanto al tempo futuro, come è stato detto all’inizio, ma anche al vincolo inscindibile tra diritto e filosofia del diritto, espressione del vecchio rapporto tra dogmatica e interpretazione che, nel formalismo, opera unicamente come tecnica, entro il
«dato normativo» (Sollen) escludendo il diritto e la Terzietà,
garanzia di uguaglianza90. Quando il giuridico diventa prassi,
86
B. ROMANO, Filosofia e diritto dopo Luhmann, cit., p. 216 e ss.
p. 31.
e politica, cit.
89 B. ROMANO, Sistemi biologici e giustizia. Vita animus anima, cit., p. 41.
90 L’uguaglianza è un concetto astratto che presuppone l’omogeneità delle
cose. Ma l’uomo non è un concetto: ciascuno è unico e, pertanto, irriducibile nella
sua propria personalità in una qualche forma di uguaglianza attraverso l’operare
del terzo-giudice, imparziale e disinteressato. Affermava La Cordieur, nel 1938,
che «tra il forte e il debole, è la libertà che opprime e la legge che rivela».
87 ID., Due studi su forma e purezza del diritto, cit.,
88 Cfr. S. COTTA, L’istituzione giudiziaria tra diritto
54
RELAZIONI
viene meno il “gioco” di presenza e assenza, tra il presente, che
offre il già dato e la possibilità che rinvia al futuro, aperto alla
creatività della trascendenza, spazio dell’ortonomia del diritto,
rendendo possibile l’interpretazione, in Romano «immateriale,
non oggettivabile, né monetizzabile», in un mondo dove «tutto ha
un prezzo, persino la cultura (quella dello spettacolo) che diventa oggetto di mercato e dove si ripropone il debito simbolico di
Lacan»91. Infatti, solo lo spirito comprende, muovendosi nell’ambito del giusto (vitam instituere) e non soltanto del vero e del bello
come forma.
Qui si inserisce la separazione tra conoscere, come riproduzione (la scienza tratta fenomeni riproducibili riportati nel linguaggio numerico)92 e comprendere93, come valutazione. Se non fosse
così, non avrebbe senso, ad esempio, il concetto di antigiuridicità materialmente intesa, predominante, oggi, per fare un esempio,
nella dottrina e nella giurisprudenza penali. Bisogna ricordare,
altresì, che la norma ha due momenti94: la “testualità” e l’indipendenza dal proprio autore, capace di creare un contro-potere che
91 B. ROMANO, Per una filosofia del diritto nella prospettiva di J. Lacan, cit.,
§ La formazione della funzione simbolica, p. 263 e ss.
92 Si rinvia a questo proposito alle lezioni di Filosofia del diritto tenute dal
Professor Romano nell’a.a. 2010-2011 presso l’Università degli Studi di Roma
‘Sapienza’, dove ricorda, tra l’altro, che le scienze positive, riprendendo Fink,
«non sono nella possibilità di cogliere l’uomo nella sua totalità».
93 In questa maniera viene aperta la strada che dovrebbe portare al trascendimento di soggettività e oggettività e Nietzsche avvia il pensiero al decentramento del soggetto. Luhmann discute a questo proposito di riduzione della
complessità ad opera del più forte che si riflette nel campo dell’educazione, dove
«le spaventose potenzialità dell’uomo» sono ridotte a un numero calcolabile di
possibilità già note che apre le porte ad una riflessione senza soggetto ed estranea alla ricerca della verità, intesa come continuo divenire. Da questo pensiero
prende le mosse la cosiddetta «istruzione programmata», i monitori automatici, l’informatica e il linguaggio formalizzato. Cfr. M. LOENG, L’educazione nella
civiltà tecnologica, Roma, 1969; anche S. ROMANO, L’ordinamento giuridico,
Firenze, 1945.
94 D.M. CANANZI, Artificiale versus artificioso, cit., p. 188 e ss., p. 193.
ABELARDO RIVERA LLANO
55
fronteggi il potere senza controllo, come accade oggi con il potere economico transnazionale che nega la distinzione tra le norme
e il diritto.
Secondo la visione del diritto, intesa come prassi e come tecnica, la giustizia non è più una virtù innata – come la intendeva
Cicerone – ma è funzionale al «liberalismo economico, fondato
sul capitale privato che fa l’interesse di pochi e la volontà di profitto», propria di un’economia dello spreco in cui, afferma
Romano, le cose devono essere eliminate e divorate con la stessa
rapidità con cui sono state prodotte. Il diritto, in questa prospettiva, diventa «il frutto dell’ideologia vincitrice»95, dove «i tecnici
sono i sacerdoti» della nuova verità (l’anima della giustizia), di cui
discute Nietzsche, quando afferma che: «morti tutti gli dei: ora
vogliamo che l’Oltreuomo viva»96 (il soggetto dissipativo=la dissoluzione del simbolo come punto zero), e aggiunge: «perché si
possa prospettare il Superuomo, è necessaria la malvagità estrema». In questo itinerario, si chiarisce «la trasmutazione del diritto e della giustizia secondo l’analogo crescente scivolare delle
parole verso i numeri …»97 ovvero «del logos verso la techne»
95
N. IRTI, La tenaglia, Roma-Bari, 2008, p. 30.
Cfr. B. ROMANO, Scienza giuridica senza giurista. Il nichilismo ‘perfetto’,
cit.; vedi anche M. Heidegger, l’essere con-gli altri e il diritto. Dal moderno verso
il post-moderno, cit., p. 466. Scrive Romano: «Heidegger riferisce a Nietzsche
la trasformazione della giustizia in giustificazione del processo di compimento
del soggettivismo. Il subjectum si pone come il signore, che guadagna la certezza di se stesso mediante il produrre la certezza di tutto ciò che incontra, riducendolo a contenuto della sua rappresentazione; ove egli si “giustifica davanti
alle esigenze di giudizio posta da lui stesso”». ID., Soggetto, libertà e diritto nel
pensiero contemporaneo. Da Nietzsche verso Lacan, cit., § L’ambiguo ritorno di
Nietzsche, p. 13 e ss.: «Nietzsche, scrive Romano, appare il profeta e la liberazione dell’uomo contemporaneo, dall’esistere secondo il dovere espresso nell’imperativo categorico diventa universale».
97 «Quando gli esseri umani vengono trasformati in numeri, l’orrore si
avvicina… occorre contare, d’accordo! Ma, per fare questo, ciascuno deve
poter alzare la testa e far mostra così della propria dignità» e poi, facendo rife96
56
RELAZIONI
(chiamata ‘l’organizzazione della povertà dell’essere’ perché acentrico98 che distrugge le quattro forme delle cause99 in un nesso che
oggi non si discute)100, tradotta nel linguaggio di Deleuze «nell’inversione radicale della concezione classica del diritto presente nell’itinerario che lega Socrate e Platone con il pensiero giuridico e
filosofico fino alla svolta di Kant».
Afferma Romano al riguardo: «la visione classica del diritto si
può esprimere così: la legge non è che un potere delegato, essa
dipende da un principio più alto che è il Bene… la svolta di
Kant101 si afferma nel fatto che la legge non dipende più dal Bene,
ma, al contrario, è il Bene a dipendere dalla legge, … che deve
valere per se stessa e fondarsi su se stessa, che non ha dunque
altra risorsa che non sia la propria forma», infatti, «la presentazio-
rimento al «sistema nazista e il volto degli uomini», aggiunge: «Hannah Arendt
mostra così come la personalità morale e psichica delle persone venissero
annullate già prima della loro eliminazione fisica. I prigionieri non erano più
degli esseri umani, ma dei numeri, delle matricole, degli oggetti, e coloro che
li uccidevano non avevano neanche la coscienza di essere assassini». Ne consegue che il male peggiore è, quello di non vederlo, M.A. OUAKNIN, Le Dieci
Parole, cit., pp. 151, 157, 158.
98 B. ROMANO, Tecnica e giustizia nel pensiero di Martin Heidegger, cit., p. 7.
99 ID., Filosofia della forma. Relazioni e regole, Torino, 2010, p. 236 e ss.
100 Data la confusione tra le cause necessarie e quelle sufficienti.
101 Nella storia del pensiero occidentale si registra la trasformazione sempre più rilevante del pensiero che concepisce l’essere a partire dalla cogitatio
cartesiana. La svolta kantiana ha reso definitivamente evidente che l’esserepensato, in questo modo, poteva assumere il significato di manifestazione-posizione, opposto al pensiero di Parmenide, il primo a pensare l’essere= “La stessa cosa”. Infatti è pensare ed essere, quindi, pensare e volere, e volere e pensare, da cui sorge il cosiddetto “iter criminis” del diritto penale dei classici. Kant,
insomma, ha operato una rivoluzione copernicana spostando il pensiero dall’oggetto (essere) al soggetto (pensare), quindi, alla ragione. Come afferma
Nancy: «ha dovuto sopprimere il sapere per permettere l’entrata alla credenza, cioè apre la via alla credenza nei limiti della ragione». Cfr. A. KOJÈVE, Il
silenzio della tirannide, Milano, 2004, § Il concetto e il Tempo. Per una vera storia della filosofia, p. 139 e ss.
ABELARDO RIVERA LLANO
57
ne della ‘purezza’ del conoscere in Husserl e della dottrina del
diritto in Kelsen cancellano, senza una ragione sufficiente, la tesi
del pensiero greco-cristiano: ‘il Bene è ciò a cui tutte le cose tendono’»102 che presuppone l’accettazione del eunomia103, cioè l’esistenza di un ordine buono e giusto misurato dal nomos.
5. Si può affermare, dunque, che nella società contemporanea,
oppressiva104 e disumana, prevalga il diritto nel disordine, (con la
sua erosione ed esaurimento graduale), tipico del post-umanesimo, del pensiero debole e del relativismo, ossia l’idea che non vi
siano fatti oggettivi, indipendenti dall’osservatore e dai suoi sistemi di valore a fondare la vita individuale e sociale, ridotta, oggi, a
mero dato biologico. Il dominio della scienza (fiat scientia pereat
mundus) e della coincidenza, intesa come rottura del continuum
storico105, dove la differenza tra l’uomo e l’animale non è di qualità ma di grado106, mina e disgrega la dimensione del tempo
102
Cfr. B. ROMANO, Il diritto non è il fatto, cit.
I greci credevano alle tre figlie del tempo: eunomia, dikè, eirenè (il buon
ordine, la giustizia e la pace). La prima sembra fosse la caratteristica degli uomini retti. La giustizia è “ciò che fa il giusto” afferma Aristotele. Cfr. AA.VV.,
L’idea di giustizia da Platone a Rawls, Roma-Bari, 2008, § La giustizia degli antichi, p. 5 e ss. e § I modi e gli oggetti della giustizia da Aristotele, p. 39 e ss.
104 S. WEIL, Riflessione sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale,
Milano, 1983, pp. 74-80. La scrittrice francese sottolinea come le diverse forme
di Stato nazionalsocialista-comunista e liberaldemocratico propongano modelli di ordine sociale e politico diversi ma che di fatto presentano un unico paradigma di razionalità politica che organizza la società in base alle funzioni e non
alle relazioni, creando una nuova forma di potere oppressivo. Vd. ID., Echar
raices, Madrid, 1996.
105 P. BARCELLONA, Il suicidio dell’Europa dalla coscienza infelice
all’Edonismo cognitivo, Bari, 2005, § La percezione del tempo e la forma della
comunicazione, p. 40 sul punto scrive: «non abitiamo più la storia ma il mercato. Abitare il mercato vuol dire abitare un tipo di comunicazione diverso dalla
comunicazione storica legata al continuum delle scienze e del racconto…».
106 B. ROMANO, Il giurista è uno zoologo metropolitano?, cit., p. 83 e ss.
103
58
RELAZIONI
(minima temporalità)107 per trasformarlo nel ‘qui ed ora’ di
Nietzsche (carpe diem), dove la vita è soltanto la vita e l’uomo,
costretto a ruotare senza tregua nel circolo del proprio movimento biologico, diventa idolo di se stesso, l’Ego sum, ma non l’Ego
cum: «siamo soli in un universo muto, privo di un qualunque
significato intrinseco, e condannati a creare valori»108 in quanto il
futuro non è dato, perché viviamo la fine della certezza109. L’io, in
un mondo totalizzante e privo di trascendenza, «gioisce nel vedere i fatti carichi di tutto il miele del mondo, senza più cercare in
essi il senso generale»110: se non ci sono più leggi morali, etiche da
107
La nostra realtà ci sfugge, in quanto siamo nel tempo. Essere nel tempo
è appunto il perenne sfuggire a se stessi. ID., Assoggettamento, diritto, condizione logotecnica, cit., § Tempo e linguaggio nella relazionalità della domanda di
senso, p. 185 e ss.; ID., Il senso esistenziale del diritto nella prospettiva di
Kierkegaard, cit., § Temporalità e diritto, p. 277 e ss.
108 C. FABRO, Introduzione all’ateismo moderno, cit., vol. 2, § La morte di
Dio nell’irrazionalismo di A. Schopenauer e F. Nietzsche, p. 908 e ss. Da questo
punto di vista, la filosofia di Nietzsche appare come un tentativo di restaurare
la visione del mondo dei presocratici, che si colloca alla conclusione di tutto
un processo di “cristianizzazione” cominciato con Cartesio fino ad arrivare a
Nietzsche, che considera Socrate come il corruttore dell’umanità, perché con
lui nasce l’uomo morale e teoretico dal quale prende avvio il mondo del cristianesimo. Nietzsche mette in evidenza il parallelismo che intercorre tra Socrate,
l’uccisore dell’uomo dionisiaco ed Euripide, colui che snaturò l’essenza della
tragedia. Euripide è dunque figlio di una nuova cultura che non si basa più sul
mito bensì sull’intelletto, sulla retorica e sulla dialettica, valori introdotti da
Socrate, cfr. U.C.B. MONTAGNI, L’evoluzione presocratica, Città di Castello,
1912.
109 I. PRIGOGINE, El fin de las certidumbres, Santiago de Chile, 1996, p.
205.
110 C. NOICA, Sei malattie dello Spirito contemporaneo, Bologna, 1993, p.
168; cfr. F. NIETZSCHE, Sull’utilità e il danno per la storia della vita, Milano,
1974; M. A. OUAKNIN, Le Dieci Parole, cit., p. 168. PETRARCA, Il trionfo del
tempo e del disinganno, descrive così il tema riportato: «allor tenni io nostro a
ville, per la mirabil sua velocità vi è più che innanzi nol tenea gentile, e parsemi terribil vanitate, fermare in cose il cor che ‘il tempo preme’ che mentre più
le stringe, son passate».
ABELARDO RIVERA LLANO
59
rispettare, sparisce la funzione educativa della pena111, quella
della emenda, di cui discute Ricoeur e si lascia spazio alla tempesta della brutalità, la vanità e la banalità del male della Arendt.
Si tratta di un’impostazione teorica antitetica rispetto all’ordinamento di natura teorizzato da Parmenide112, poichè la legge ha
origine in un principio superiore, nell’Essere significante trascendentale e «verità immutabile diversa dalla doxa113 come opinione=divenire-apparenza fallibile, propria della cultura attuale»114
che esclude l’Essere, non soltanto come fondamento di tutto l’esistente, ma come concetto di giustizia sociale e di solidarietà carico di un pathos, lontano dall’ethos del materialismo e dall’egoismo estremi, tipico di un costruttivismo giuridico senza ontologia
che nega «i valori condivisi»115 e non riconosce l’altro con il suo
111
In cui la saggezza del legislatore deve tendere, non a mortificare l’uomo, ma ad elevarlo, come al tempo dei romani.
112 Quello a cui Parmenide mira con la nozione di essere, è il fondamento
e la realtà che conosciamo, e insieme il fondamento della possibilità di pensare tale realtà, di conoscerla, di dirla. L’essere viene da lui rappresentato come
una realtà immutabile ed eterna, che sta dietro al mondo continuamente mutevole. Quest’ultimo è il mondo della mera opinione, sempre fallibile e rivedibile, è la sfera dell’apparenza. E. SEVERINO, La filosofia Antica, Milano, 1994, §
I grandi temi del pensiero greco dai presocratici a Plotino, p. 48 e ss. Il concetto
ritorna in Kant con la domanda ‘come è possibile la natura’? È l’uomo ad adattarsi alla natura e non viceversa e in Luhmann con la questione «come è possibile la società?» dando luogo ai sistemi autoreferenti e autopoietici. Che prescindono dal nomos=ordinamento buono e giusto, perché il giusto è non legale, non nella verità dell’uomo che sparisce dal sistema, N. LUHMANN, Il paradigma perduto, Roma, 2005, § La sfida di Luhmann alla filosofia, p. 61. Per una
visione più approfondita del tema, cfr. B. ROMANO, Tecnica e giustizia nel pensiero di Martin Heidegger, cit., § Tecnica e disvelamento provocante, p. 50 e ss.
113 Cfr. H. PLESSNER, Antropologia dei sensi, Milano, 2008. Il vero come
reale e il reale come vero (le cose appaiono e per essi si giudicano) che ripropone la lotta tra pensiero ed opinione.
114 P. LEGENDRE, Dominium mundi l’empire du Managemente, Buenos
Aires, 2008, p. 89.
115 Cfr. F.A. VON HAYEK, La società libera, Roma-Bari, 2008.
60
RELAZIONI
nome proprio, la sua fragilità, la sua verità, il suo mondo e la sua
aspettativa della «terra promessa», come aforisma della speranza.
Infatti, non è l’uomo come volontà di potenza il creatore di
valori116. Vuol dire, allora, che è dell’essere che si può predicare
qualcosa con un valore e in particolare che esso è. Alla mera opinione e all’apparenza si contrappone la verità, che risiede nell’essere (ente sommo, bonum agathon) e nell’alterità discorsiva, sostituita da quella tecno-informatica117.
Nietzsche, a questo proposito, discute del mondo come un
insieme di forze che non hanno oggetto e ruotano su loro stesse nel
perpetuo identico, senza un fine né un punto di riferimento, determinando la perdita di centralità dell’uomo e del giuridico, «legato
alla catena della positività»118 e all’opera del Terzo escluso che “trasforma” la giustizia in giustificazione119 e ha bisogno di una «ragione procedurale come ragione simmetrica e spettatrice»120.
A tal proposito, Romano discute, in Fondamentalismo funzionale e nichilismo giuridico, della visione formale di un diritto senza
io, né filiazione e origine121 e del declino del giuridico, fondato
116
C. FABRO, Introduzione all’ateismo moderno, cit., p. 914, che ricorda
Heidegger quando dice non si può «spogliare qualche cosa della sua dignità per
attribuirvi valore soltanto in base alla valorizzazione compiuta dal soggetto».
117 B. ROMANO, Filosofia e diritto dopo Luhmann, cit., § Il sistema diritto.
Differenziazione e codice, p. 165 e ss.; ID., Per una filosofia del diritto nella prospettiva di J. Lacan, cit., § Verità e discontinuità nel reale: desiderio e verità, p.
216 e ss. Si ricordi la tesi che discute Lacan: «la verità trae garanzia non dalla
Realtà che concerne ma da altrove: dalla Parola, facendo si che la Parola…
possa mentire, cioè porsi come verità».
118 N. IRTI, Il salvagente della forma, Roma-Bari, 2007, p. 20.
119 B. ROMANO, Tecnica e giustizia nel pensiero di Martin Heidegger, cit., §
Nietzsche e il trasformarsi della giustizia in giustificazione, p. 154 e ss.; L.
AVITABILE, Forme del terzo nel diritto, interpretazione e testi di Kojève-SartreLuhmann, Torino, 1998, § Il terzo del diritto e il suo funzionamento come terzo
incluso-escluso, p. 107 e ss.
120 B. ROMANO, Critica della ragione procedurale, cit., p. 88 e ss.
121 C. TAYLOR, Hegel e la società moderna, Bologna, 1984, § L’assoluto come
soggetto, p. 40 e ss.
ABELARDO RIVERA LLANO
61
sulla verità dell’Essere, sulla ricerca del vero e la relazione dialogica122 nel rapporto duale Io-Tu che diventa inanimato senza la
luce che le azioni e il discorso degli uomini gli conferiscono (da cui
l’epigrafe di Romano posta all’inizio della presente relazione) nel
riconoscimento universale e incondizionato, genesi della domanda di senso123 che avvia la ricerca pura124, poiché l’uomo, ricorda
Legendre, «viene al mondo per assomigliarsi all’uomo», per questo, aggiunge, «non c’è cosa più umana che fuggire per questo…
non c’è cosa più umana che fuggire da ciò che si è».
Si comprendono allora le ragioni che hanno spinto Romano a
definire il giurista uno ‘zoologo metropolitano’125 sollecitando
l’analisi della transizione verso il post-umanesimo (che vede l’io in
frammenti, l’io multiplo)126 e contestualmente il superamento del
medesimo attraverso l’impegno di tutti: giuristi e non giuristi, chiamati a testimoniare, incondizionatamente, verità, dignità e rispetto
dell’uomo per far sì che non perda la specificità e non venga trasmutato in un oggetto, in una cosa o in un servo127 (come forma
della cosa lavorata, di origine sartriana e della ‘materia scritta’)128.
122
Cfr. epigrafe a questo lavoro.
Inteso in Romano, «… come una unità di domande e risposte (ma) non
appena compaiono questioni sul senso, si è, per Luhmann, nell’ordine di un
osservatore, che produce in unità ciò che è la differenza osservata, impiegando
a sua volta, una differenza». B. ROMANO, Filosofia e diritto dopo Luhmann, cit.,
p. 254; ID., Assoggettamento, diritto, condizione logotecnica, cit., p. 185 e ss.
124 Cfr. ID., Ricerca pura, ricerca applicata nella formazione del giurista,
Torino, 2008; C. FABRO, Introduzione all’ateismo moderno, vol. 2, cit., p. 924 e ss.
125 Cfr. B. ROMANO, Il giurista è uno ‘zoologo metropolitano’?A partire da
una tesi di Derrida, cit.
126 L. AVITABILE, Diritto e osservatore, cit., p. 141 e ss.
127 B. ROMANO, Assoggettamento, diritto, condizione logotecnica, cit., p. 88
e ss.; ID., Il diritto non è il fatto, cit., § Memorie, comunicazioni, informazioni, p.
140 e ss., opere queste che hanno una profondità di vedute, vastità di contenuto, serietà ed obiettività di argomentazioni, per contrastare il declino dell’uomo
loquens, sostituito con la «figura dell’uomo videns», di cui discute Irti.
128 ID., Filosofia del diritto, cit., pp. 35, 37, 60, 102, 127, 142, 167, 180, 196;
ID., Terzietà del diritto e società complessa, cit., p. 11 e ss; L. AVITABILE, Forme
123
62
RELAZIONI
È necessario recuperare l’umano dell’uomo affinché si possa
dare il ritorno dell’io a se stesso129, alla sua ‘sinteticità’, tramite la
parola, impedendo che il significante si disperda nel significato, proprio del divenire del mondo sensibile, quindi nell’immediatezza del
momento, confondendo «nel senso trovato» la «creazione di
senso»130. Ciò determina lo scivolare dell’esistere verso la condizione del semplice vivente, che rende vana la vita imperniata nel cieco
bisogno di azione, cioè ‘l’azione per l’azione’ senza senso, e nell’iperconsumismo capace di scatenare la violenza131, l’angoscia, la depres-
del terzo nel diritto, cit., § La terzietà materialistica in Sartre, p. 49 e ss., dove
spiega i concetti su accennati così «… Sartre stesso definisce la materia lavorata come i caratteri fissi ravvisabili nell’esigenza e nell’utilità strumentale… La
materia lavorata… a causa delle sue contraddizioni intrinseche, diventa, ad
opera degli uomini, addirittura il nucleo analitico fondamentale ed imprescindibile della storia… Nella materia lavorata, le azioni di tutti gli uomini si interconnettono e assumono un senso, cioè costituiscono per tutti l’unità storica di
una comunità futura… La materia scritta rappresenta la materialità svelata
come materialità passiva che si origina da un essere organico nel tentativo di
trovarvi il proprio fondamento…».
129 E includa, allo stesso tempo, la riconciliazione con se stesso, con gli altri
e con il mondo, tema che è alla base dell’opera di F. NIETZSCHE, Sull’origine
della tragedia, e ricorda Aristotele, che la fine della tragedia in Grecia ebbe
luogo quando l’uomo si riconciliò con le leggi della natura. Vd. anche B.
ROMANO, Il senso esistenziale del diritto nella prospettiva di Kierkegaard, cit., p.
204 e ss. e L. GUIGMARD, Juger la folie, § L’organicisme, istrument d’une possibile reconciliation, Presses Universitaires de France, 2010, p. 248 e ss.
130 Viene ripresa la formula spinoziana: ‘Cogito adequata semper vitat rem’.
E aggiunge: «Il pensiero è ritenuto adeguato quando è colto nell’appartenenza alla specificità dell’essere-soggetto, cioè nel continuo lavoro di dissoggettamento. Solo quando il pensiero evita ‘sempre la stessa cosa’ si allontana dall’essere ripetizione adeguatio rei, eco asoggettivo del reale, ossia si rivela da quell’incontro con il reale a cui l’esistente si assoggetta, disperdendosi in essa …».
B. ROMANO, Assoggettamento, diritto, condizione logotecnica, cit., p. 71
131 A questo proposito, il rinomato economista J.D. Sachs, direttore
dell’Eart institute, Columbia, in un articolo El crecimento en una economia
budista, “El Pais”, 5 septiembre, 2004, Madrid afferma: «todos saven de què
manera el iperconsumismo al estilo estadounidense puoede desastabilizar las
ABELARDO RIVERA LLANO
63
sione esistenziale, la solitudine, l’ambizione e il ‘lavoro per il lavoro’
come finalità ultima fino alla follia, intesa come patologia esistenziale di percepire la mancanza di significato perché, nella condizione
postumana, ricorda Romano, scienza, tecnica e ragione calcolante
diventano gli strumenti più efficaci per progredire nell’assoggettamento del mondo e nella sua manipolazione ad oltranza, costringendo l’uomo a vivere per immagini e senza legami132, visione che si
trova in una ex-staticità imprigionata dall’io, lo stadio dello specchio133. Qui si dà la coincidenza tra regola e regolato, quindi senza
responsabilità e imputabilità, e l’uomo è sempre innocente134.
È questa la genesi fenomenologica di alcuni disturbi psichici,
mentali e di molti squilibri morali: crudeltà, sadismi, allucinazioni, vizi di altro genere, l’ipertrofia dell’io nonché dell’eziologia di
alcuni reati che maturano repentinamente (crimini senza motivo)135 e si esprimono in modo particolarmente efferato. Si tratta
delle strutture paranoiche dell’io che trovano il loro analogo nelle
relazioni fondamentali messe in luce da Freud136 nei tre deliri di
gelosia, erotomania137 e interpretazione ambivalente, origine del-
relaciones sociales y conducir a la agressividad, la soledad, la ambiciòn y el
ecceso de travago al punto del agotamiento».
132 Cfr. G. DELEUZE, L’immagine, movimento, cinema, Milano, 2002; ID.,
L’immagine-tempo, Milano, 2010; U. GALIMBERTI, Psiche e techne, Milano,
2007, § L’uomo nell’età della tecnica.
133 B. ROMANO, Filosofia del diritto, cit., p. 112 e ss.
134 ID., Terzietà del diritto e società complessa, cit., § Innocenza e uguaglianza, p. 91 e ss.
135 L. GUIGNARD, Juger la folie, cit., p. 88. Nella tragedia greca si rappresenta il crimine con le «dee sanguinose del rimorso» dove «le colpe degli antenati (il colpevole) trascinano in ansia queste (=le Erinni)». Vd. anche E.
GOFFMAN, Stigma, l’identità negata, Verona, 2003, p. 9 e ss.
136 L. BINSWANGER, Per un’antropologia fenomenologica, Milano, 1984, § La
concezione freudiana dell’uomo alla luce dell’antropologia, p. 169 e ss.; A. DI
CIACCIA, M. RECALCATI, Jacques Lacan, cit., § Narcisismo e aggressività, p. 29 e ss.
137 «Lacan trova nella sindrome dell’automatismo mentale una formulazione del rapporto dello psicotico con il linguaggio» e nell’eteronomia «la forma-
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RELAZIONI
l’aggressività che si manifesta in una esperienza soggettiva per
costituzione. In tutti questi casi, l’io, perseguitato dalle Erinni
(divinità incaricate di vendicare i crimini) che nella tragedia greca
si rappresentano con le «dee sanguinose del rimorso», dove «le
colpe degli antenati “il colpevole”, trascinano dinnanzi ad esse, è
destinato a perpetuare il circolo della vendetta138 come unico
modo di stare al mondo»139 nella violenza cieca e irrazionale.
lizzazione del rapporto dello psicotico con l’amore, formalizzazione basata
sulla condizione erronea ma ferrea di possedere un’ascendente totale su una
determinata persona, generalmente altolocata», ivi, cit., p. 115.
138 Fabro riporta «il senso metafisico» da Heidegger al tema niezschiano
della vendetta come urgenza, istanza radicale (Roche) sull’essere la cui essenza
è riportata nella forma dal volere. C. FABRO, Introduzione all’ateismo moderno,
cit., p. 920, n. 4.
139 «Dove Apollo minaccia le Erinni nel caso che si rifiutino di uscire dal
suo tempio, annunciando loro che in questo caso dovranno vomitare il sangue
già succhiato agli uomini dopo essersi attirato addosso un serpente alleato…».
M. UNTERSTEINER, Le origini della tragedia e del tragico, cit., p. 352. Vedi anche
M. A. OUAKNIN, Le Dieci Parole, cit., § Il racconto della vigna di Nasot, p. 268
e ss. Il tema è riproposto in chiave ideologica da Pierpaolo Pasolini nella sua
Medea cinematografica, così commentata da Gianfranco Nuzzo nella parte
pertinente al pensiero di Barcellona: «… Pasolini fa officiare alla stessa protagonista (interpretata dalla straordinaria Maria Callas) uno di questi riti cruenti, sviluppando così un modo del tutto originale il tema del contrato tra la civile Grecia e la «barbara Colchide, che è presente anche nella tragedia euripidiana che il regista moderno interpreta in chiave ideologica di scontro fra Europa
colonialista (Giasone) e Terzo Mondo colonizzato (Medea). Anche nell’Orestea è presente il conflitto fra due mondi apparentemente inconciliabili.
Agamennone e Oreste, Apollo e Atena rappresentano la civiltà del Padre, l’ordine nuovo imposto da Zeus, il dio indoeuropeo del cielo Luminoso, su quello antico delle divinità pregreche incarnato da Clitennestra e dalle Erinni, terribili madri di un culto primitivo e sanguinario, al limite dei due mondi si colloca Elettra con la sua verginale e algida femminilità interamente consacrata al
ricordo del padre e alla testa del suo vendicatore, anche essa Erinni implacabile, “lupo affamato” che ha ereditato la spietata determinazione di Clitennestra
e ora la rivolge contro di lei, madre infeconda la cui gravidanza isterica è capace di partorire solo odio e vendetta…». Cfr. ESCHILO, Orestiade, Siracusa,
2008. Vd. anche G. NUZZO, Su tutte le donne di Eracle, dove scrive: «sulla
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La società post-umana, infatti, indifferente alla necessità di
curare mente e cuore140 (dove si trovano disturbi affettivi), non
aiuta l’uomo a trovare il senso nel tempo141, l’operare dello spirimoglie di Deianira grava un destino che è già nel suo stesso nome, “colei che
uccide il suo uomo”, e come quello di molte eroine tragiche, la sua esistenza è
un cammino inconsapevole verso un incontro finale e inevitabile con il suo
alter-ego: la docile fedele sposa di Eracli attende di vedere riflessa in uno specchio scuro, l’immagine deformata di se stessa quale mostruosa Erinni, carnefice involontaria dell’uomo che ama e a cui ha dedicato la propria esistenza…
Distruggere per possedere non ha altro nesso colui che cerca nell’amore l’assoluto, si legge nel Trionfo della morte di D’Annunzio, dove i due amanti possono dirsi veramente “avvinti” perchè nell’annullamento delle alterità termina
la lotta tra i nemici che caratterizza appunto il rapporto con l’altro da sé». Il
Trionfo della morte, Pescara, 1995, p. 306. Cfr. P. BOUGET, Fisiologia dell’amore moderno, Milano, 1955. Vd. anche XLIII Ciclo di rappresentazioni classiche
di Sofocle, Istituto nazionale del dramma antico, Siracusa, 2007. Questo incontro finale è inevitabile... è stato studiato ed applicato dalla Vittimologia per la
comprensione di alcuni reati passionali in chiave fenomenologica e criminologica che include altri schemi tipici, al di fuori della vendetta, come la paura, la
collera e il senso di colpa.
140 Con Socrate inizia lo studio del cuore e la critica di ciò che esso contiene. Infatti diceva: «voi dovete essere ‘puri di cuore’ se volete che la vostra saggezza sia degna di stima». A questo punto, afferma Stirner, «incomincia il
secondo periodo della liberazione dello spirito ellenico, il periodo della purezza del cuore. Giacchè il primo ebbe la sua conclusione con i sofisti, i quali proclamarono l’onnipotenza dell’intelletto che non è già la luce intellettuale piena
d’amore. Ma il cuore rimase mondano, cioè schiavo del mondo sempre agitato
dal desiderio di beni materiali e questo cuore rosso doveva venire educato:
sopraggiungeva l’età dell’educazione del cuore…». E. STIRNER, L’Unico, cit.,
pp. 15-16.
141 Dentro una visione olistica, il tema si ricollega con la salute nel suo rapporto con la libertà a cui accenna Boncinelli nel suo recente libro Lettera ad un
bambino che vivrà cento anni, dove afferma: «… io ti posso raccontare ciò che
ti succederà sul piano della salute, e sta a te dare dei contenuti al tempo che ti
verrà assegnato, ma se fosse troppo breve e vissuto in condizioni precarie
anche la tua libertà ne risulterebbe limitata…E sarà il futuro che oggi ci svegliamo… meglio sani per scelta che malati per caso», Milano, 2010, pp. 8-16.
Sul piano esistenziale vd. B. ROMANO, Il senso esistenziale del diritto nella prospettiva di Kierkegaard, cit., § Immediatezza e coesistenza semplice, p. 178 e ss.
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RELAZIONI
to e non solo della forma142 senza formazione, attraverso il quale
l’io recupera la presenzialità (che è riconoscimento – necessità di
essere conservati in vita)143 e non rimane nella periferia schizoide
senza centro e nell’informe senza formazione144, impedendo «l’accesso alla sua dignità»145 e all’esistenza. Essa è autentica quando si
lega alla «cultura della soggettività», di cui discute Legendre. Con
la perdita di senso, infatti, subentra il sentimento della noia146,
della estraniazione e l’uomo diventa un fantasma terrorizzato da se
stesso147 tanto più quando emerge l’ombra, descritta da Jung148, da
142 «Non basta, infatti, affermare la logicità se non se ne svela anche l’essenza…». D. M. CANANZI, Artificiale versus artificioso, cit., p. 200.
143 Poiché «il progettarsi nel futuro è un carattere essenziale dell’esistenzialità». B. ROMANO, Tecnica e giustizia nel pensiero di Martin Heidegger, cit.,
p. 230. ID., Male ed ingiusto. Riflessioni con Luhmann e Boncinelli, cit., p. 149
e ss.; C. MIGLIACCIO, Invito al pensiero del Bergson, Milano, 1994, § La psichiatria bergsoniana, p. 176.
144 Cfr. B. ROMANO, Filosofia della forma. Relazioni e regole, cit.
145 ID., Tecnica e giustizia nel pensiero di Martin Heidegger, cit., pp. 213214.
146 Kant definisce la noia come il sentimento cosciente del tempo che passa
lento, opposto a kurjweile, tempo che passa presto, rivelatore del divenire e
della morte. Essa è molto vicina alla nausea di Sartre ed è anch’essa l’esperienza dell’indifferenza delle cose nella loro totalità. È la malinconia in
Kierkegaard. ID., Il senso esistenziale del diritto nella prospettiva di
Kierkegaard, cit., § Diritto temporalità e angoscia, p. 282 e ss.
147 Goya riporta questo pensiero nella sua opera «Il sonno della ragione
produce mostri», per mostrare che l’uomo può arrivare ad uccidere se stesso
attraverso i fantasmi della ragione dentro uno spettro psicopatologico dove
non c’è equilibrio tra emozione e ragione.
148 Eppure, da Parmenide, quando fa la distinzione tra il Regno della Luce
e quello del buio cioè a dire del non-essere, del discontinuo. Distingue pure
due vie. L’una che conduce al castello dell’Essere o della verità, l’altra che
disperde per sentieri del non essere o della menzogna. A. SARNO, Filosofia poetica, Bari, 1959, p. 256 e ss. Questo pensiero è presente anche nella tragedia
greca, quando Ulisse e Naice esclama: «vero che tutti noi che viviamo non
siamo altro che ombre leggere e fantasmi», siamo di passaggio in questo
mondo. Vd. anche B. ROMANO, Per una filosofia del diritto nella prospettiva di
J. Lacan, cit., § Il soggetto scisso, p. 84 e ss.
ABELARDO RIVERA LLANO
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Lacan e Kierkegaard, come elemento oscuro e negato dall’io con
le sue debolezze e i suoi indigeribili contenuti che offre una nudità alla lunga insopportabile, sinonimo di disperazione149 e della
malinconia capace di scatenare neurosi di identità.
Al riguardo, l’opera di Jaspers150 sulla psicopatologia, conserva tuttora piena vigenza e attualità per comprendere i delitti che
hanno origine nella malattia dell’anima151, intesa come il peso
della colpa (che in Buber è la colpa esistenziale), dove si trovano
149 C. TAYLOR, Il disagio della modernità, cit. p. 80; cfr. anche E. GOFFMANSRITNER, L’identità negata, Verona, 2003; in ID., Le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione e della violenza, Torino, 2008; A. SEN, Identità e violenza,
Roma-Bari, 2006; cfr. B. ROMANO, Assoggettamento, diritto e condizione logotecnica, cit. Qui Romano spiega chiaramente la divisione del soggetto nella dispersione del significante nel significato, alla luce del pensiero di Lacan e Spinoza:
cogitatio adeguata semper vitat tandem rem, «un pensiero adeguato evita sempre
la stessa cosa. Il pensiero è ritenuto adeguato quando è colto nell’appartenenza
alla specificità dell’essere soggetto, cioè nel continuo lavoro di disassoggettamento. Solo quando il pensiero evita sempre la stessa cosa si allontana dall’essere ripetizione...». Cfr. ivi, cit., § La struttura del discorso è il discorso del diritto, p. 67.
150 K. JASPERS, Psicopatologia generale, Roma, 2008; M. BUBER, Colpa e sensi
di colpa, Milano, 2007, § La chiave ermeneutica: la società come sfondo necessario
per cogliere il senso del disagio, p. 82 e ss. Bisogna sottolineare che la malattia ha
trovato nella filosofia ermeneutica una specifica attenzione come si deduce dall’opera di K. JASPERS, Verità e verifica, cit., dove è stato evidenziato che essa va
analizzata sia sul piano medico che su quello esistenziale. Pertanto si impone non
un riduttivistico concetto della salute, bensì un’idea di malattia come espressione
significativa della vicenda esistenziale dell’uomo. In quanto questione filosofica,
la malattia, ci ricorda Jaspers, suscita interrogativi sul piano antropologico ed
etico e costituisce uno degli argomenti più dibattuti della filosofia della medicina.
Da qui scaturisce la necessità di incorporare al diritto la logica esistenziale e speculativa a cui abbiamo fatto cenno altrove. Cfr. ID., Psicopatologia generale, cit.; L.
BINSWANGER, Per un’antropologia fenomenologica, cit.
151 C. NOICA, Sei malattie dello spirito contemporaneo, cit., § Malattia dello
spirito, p. 27 e ss. Qui si pone di presente che l’occhio umano non può coprire tutte le realtà del mondo e dell’uomo, come unità inscindibile, K. JASPERS,
Verità e verifica, cit., p. 91 e ss. e p. 227 e ss.; vd. anche L. AVITABILE, Diritto e
osservatore, cit., § Dalla psicologia alla filosofia, p. 245 e ss.
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RELAZIONI
i contenuti stornati nel subcosciente152, sottratti al controllo della
coscienza. Si tratta sia di quelli conservati che di quelli rimossi
che, ammassati nell’inconscio153 e nella sua scissione tra conscio e
inconscio, si ripercuotono sulla psiche in modo distruttivo fino a
dilatarsi entro i confini della vita interiore, luogo dello scontro
estremo fra il bene e il male154 che ripropone la domanda: è possibile essere “se stessi” oggi? tenuto conto «dell’affievolirsi degli
imperativi etici della coscienza» e data la confusione tra il bene e
il male, la corruzione dei valori e il tradimento del sè, nell’attuale
società, caratterizzata dal pensiero debole e dove dell’uomo,
come in Vattimo, «non resta niente», è «morto» come noità in
quanto sostanza, in un mondo senza certezza? Lo aveva detto già
Marx: «l’uomo non esiste, io vedo solo operai, borghesi, intellettuali». Si pone, allora il problema della estraniazione.
Come si può allora essere se stessi al di fuori del nichilismo
dello scientismo e del relativismo dominanti? Qui si pone ad
152 V. DE GAULEJAC, Comment notre famille et nousautres nous lèguent in
neurosi de classe, in j’ai mal a mes ancetres, Paris, 2002, p. 171 e ss. In Buber la
colpa esistenziale si ha «quando qualcuno viola un ordine del mondo umano i
cui fondamenti egli riconosce essenzialmente come quelle dell’esistenza umana
comune a lui e a tutti… Essa consente alla coscienza di entrare nell’interiorità
della legge», M. BUBER, Colpa e sensi di colpa, cit., p. 10. Nell’Antigone di
Sofocle il coro ripete: «è terribile, è straniero, risvegliare un male antico, ormai
sepolto». Vd. anche la questione di Romano sul tema gratuità e diritto, spiega
infatti che la «nientificazione in Sartre, quale medio unico dell’avvenire reale
dell’esistente, esige la riduzione dei concetti di colpa e responsabilità nel solo
livello onto-fenomenologico, ossia nell’indifferente descrivere…» (con la conseguente) «espulsione di ogni riferimento ai significati etico-normativi della
colpa e della responsabilità…», B. ROMANO, Soggetto, libertà e diritto nel pensiero contemporaneo, cit., pp. 26-29.
153 Che molto spesso hanno alla base la depressione, molto ricorrente nella
società attuale. In Spagna, per esempio, secondo gli ultimi sondaggi fatti, più
del quaranta per cento degli insegnanti delle scuole medie intorno ai trentacinque quaranta anni di età soffre di depressione.
154 Cfr. F. DOSTOEVSKIJ, I demoni, Torino, 1993; H. BERGSON, Il riso,
Milano, 1980, p. 21 e ss.
ABELARDO RIVERA LLANO
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esempio la problematica della estraneazione. Di questa problematica della modernità si occupa Waldenfels, in Percorsi fenomenologici di confine155, dove ripropone il problema cartesiano e
kantiano156 di cui abbiamo fatto cenno nel rapporto tra conoscenza e autocoscienza, noema e noesi 157, oggetto e coscienza158, evi155
Tenuto conto che l’essere della coscienza non si esaurisce nel fatto della
coscienza, così come l’essere del fenomeno non si esaurisce nell’apparire, cfr.
B. WALDENFELS, Percorsi fenomenologici di confine. Vd. anche MERLEAUPONTY, Fenomenologia della percezione, Milano, 1985. Romano a sua volta
quando commenta «il destino storico della soggettività a partire da Hegel,
segnala che la rappresentazione soggettiva acquista principalità con il cogito
cartesiano, ove, sottolinea Heidegger, non si dice solo che io penso o che io
sono, o che del fatto del mio pensiero segua la mia esistenza, ma si afferma che
l’ego attraverso la re-presentazione determina se stesso e si pone anche come
metro normativo che decide di tutto ciò che è e dell’Essere stesso». B.
ROMANO, Tecnica e giustizia nel pensiero di Martin Heidegger, cit., p. 83, n. 49.
Quindi non si tratta di una semplice proiezione della coscienza, ma degli orizzonti di significato che essa produce. Vd. anche E. STEIN, Il problema dell’empatia, Roma, 1998, § La datità della persona estranea, p. 217 e ss., dove afferma
«una singola azione e altrettanto una singola espressione corporale, uno sguardo o un sorriso possono perciò offrirmi la possibilità di gettare uno sguardo nel
nucleo della persona» o, come afferma Heing Kohut, «mettersi nei panni di un
altro, calarsi accuratamente nella vita interna di un’altra persona…», H.
KOHUT, Introspezione ed empatia, Torino, 2003, p. 199 e ss. Sull’empatia vedasi anche F. BARONCELLI, Un inquietante filosofo per bene. Saggio su David
Hume, Firenze, 1975, § Un sistema d’amore ed odio: la simpatia, p. 89 e ss. Cfr.
anche L. AVITABILE, Per una fenomenologia del diritto nell’opera di Edith Stein,
Roma, 2006; T. MITZINGER, Il tunnel dell’io. Scienza della mente e mito del soggetto, Milano, 2010, § L’io empatico, p. 187.
156 F. WELDENDFELS, Percorsi fenomenologici di confine, cit., p. 79 e ss., p.
87 e ss.
157 P. RICOEUR, Ermeneutica filosofica ed ermeneutica biblica, cit., p. 59.
158 Tema questo avvicinato con particolare enfasi negli attuali studi delle
cosiddette neuroscienze dove la coscienza è nel nostro cervello. Si nega così ogni
connessione del cervello con il resto del mondo rimanendo schiavi del dogma
cartesiano che vedeva la coscienza come qualche cosa che accade solo entro il
soggetto, cfr. J. SEARLE, Il mistero e la coscienza, cit.; T. METZINGER, Il tunnel dell’io, cit., § Scienza della mente e mito del soggetto, p. 21 e ss.; cfr. C. DE DUVE,
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RELAZIONI
denziando, come nella fenomenologia di Husserl159, il noema è
l’oggetto che si presenta al soggetto, è un atto dell’intelletto, sottolineando come ogni intenzionalità vada verso l’in-fuori (le de
hors di Sartre), punto di convergenza costituito dal soggettosostegno delle sensazioni. In altre parole, coordinata-tempo e
coordinata-spazio160 si intersecano nell’hic et nunc, nel qui-ed-ora
dell’Ego. A questo proposito, si pone il problema del mondo della
percezione161 così come di definire i rapporti tra la coscienza162 e
Genetica del peccato originale. Il peso del passato sul futuro della vita, Milano,
2010, § La corteccia celebrale e la misteriosa sede della coscienza, p. 144 e ss.
159 E. HUSSERL, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Milano, 1961, p. 326: «l’uomo, dopo aver ideato le scienze naturali, ha
finito per intendere se stesso a partire da quell’ideazione, cioè dello schema
che si era fatto per intendere la natura». Questo pensiero lo riprende
Luhmann, quando parla dell’ironia della ragione illuministica oltre la barbarie.
«… l’analisi husserliana dell’intenzionalità, basata su una spontanea bipolarità
degli atti di coscienza tra un polo poetico e noematico, e la parallela analisi luhmanniana della referenzialità, spingono verso lo sviluppo di una linea di pensiero che fa del movimento pendolare tra endoreferenza ed esoreferenza la
condizione di esistenza di qualsiasi sistema, ed è sorta a sostituire la più collaudante routine descrittiva con nuovi e differenti percorsi. Solo così, agli occhi di
Luhmann ci si può sottrarre alle costruzioni obbliganti della paranoia della
ragione e alle loro totalizzazioni nella grande politica e nel grande consenso…». Vd. N. LUHMANN, Il paradigma perduto, cit., p. 37.
160 Cfr. G. CARDONA, I sei lati del mondo. Linguaggio ed esperienza, RomaBari, 1988.
161 La quale è il cominciamento di ogni forma di sapere e la matrice della
coscienza, della scienza e della filosofia, esaminata da Merleau-Ponty,
Fenomenologia della percezione. Fabro insegna che ogni percezione è una specie
di incorporazione del mondo nella nostra vita: «la sensazione e la percezione sono
più chiare delle idee se l’idea vale più della percezione. Qui il procedimento è dal
più chiaro al meno chiaro, ma quello che è meno chiaro è il più profondo e impegnativo…», C. FABRO, La fenomenologia della percezione, vol. 5, Milano, 2006, p.
27 e ss. Cfr. H. MALDINEY, Della transpassibilità, cit.
162 La coscienza viene costituita come ‘coscienza di se stessa’, nel cui interno si risolve il giudizio, così che l’uomo è portato al centro dell’essente come tale.
Cfr. B. ROMANO, Tecnica e giustizia nel pensiero di Martin Heidegger, cit., p. 85.
ABELARDO RIVERA LLANO
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l’esperienza, il soggetto e il reale163, l’uomo e il mondo, «azione,
esperienza e storia», non risolvibili nell’assolutizzazione come criterio esclusivo della realtà, poichè «non è storia naturale, ma è
storia degli uomini, della loro libertà e della loro capacità di
dominare gli eventi»164.
Anche Legendre in Le crime du caporal Lortie. Traitè sûr le
père, parte dallo studio dell’inconscio165 (il sapere che non si sa,
proprio dell’essere parlante, contrario al sapere-saputo, conscio)
per scoprire le cause profonde di alcuni reati166, dovuti tra l’altro
163 Dove, scrive Noica, «la gioia di rendere giustizia al reale si trasforma,
come le nostre vite è svuotata di senso in sentimento del nulla». Cfr. C. NOICA,
Sei malattie dello spirito contemporaneo, cit., p. 170.
164 P. BARCELLONA, L’epoca del postumano, Roma, 2007, p. 27. Vd. anche
G. BARTOLI, La forma del diritto. Un percorso fenomenologico: Reinach e
Binswanger, con riferimento alla teoria estetica di Pareyson, cit., p. 74. Cfr.
anche A. PUNZI, Il logos tra le carte del giurista. Frammenti di filosofia del diritto, in Percorsi di fenomenologia, cit., p. 57 e ss., p. 179 e ss.; K. JASPERS, La questione della colpa, Milano, 1996; D.M. CANANZI, Artificiale versus artificioso,
cit., p. 180 e ss.
165 Il futuro interpretato secondo la metonimia del significante – afferma
Romano – «si mostra essere oltre le tesi di Heidegger – il ritrovarsi nel non
coincidere, l’avvicinarsi a se stesso nella forma dell’allontanarsi dal me, schiudendo la domanda di senso, che impegna il parlante nel porre in opera la risposta in quanto io, ‘chi unico’. Il futuro, quanto al sapere che gli appartiene, non
è il sapersi nell’autocoscienza, ma è l’eccedersi nel medio del non-sapere,
secondo la formazione dell’inconscio, lungo l’incidere del significante.
L’inconscio, in quanto “sapere in formazione” sollecita il parlante a costituirsi
come io, eccentrico ad ogni me-saputo, ad ogni costrizione dell’essere-soggetto in un sapere già dato». B. ROMANO, Senso e differenza nomologica, cit., pp.
148-149.
166 ID., Per una filosofia del diritto nella prospettiva di J. Lacan, cit., p. 184 e
ss. Nell’opera di Legendre si racconta la storia «di un bambino del Quebec
abbandonato dal padre poco dopo la sua nascita e che prese, all’età di quattordici anni, il cognome della madre. In seguito, la donna cambiò sesso con
un’operazione chirurgica e, divenuta un uomo, chiese di essere riconosciuta
“padre” adottivo del ragazzo. Questo ora si trova con due padri mentre la
madre è morta, come dice lui stesso, portandone il lutto … come potrà iscriver-
72
RELAZIONI
al disordine della filiazione167, così come dell’angoscia168 e del tedio169, manifestazione del nulla e motivo di tanti suicidi, per spiesi in modo corretto nella filiazione? Affidato a un padre che è una madre, sua
madre diventa padre adottivo, con un vero padre che è assente ed è stato rifiutato dalla madre essa stessa morta in quanto tale …, non c’è se il legame con il
passato è spezzato, se l’individuo è incapace di riallacciarsi ad un passato». Non
senza ragione nell’interrogatorio ad un certo punto esclama: «il primo ministro
di Quebec aveva il viso di mio padre». Qui si trova la chiave dal problema vissuto da Lortie: «senso e fondamento, quindi non come prodotto dell’uomo,
costituiscono il fenomeno colto oltre le questioni formali della fenomenologia»,
cfr. B. ROMANO, Il riconoscimento come relazione giuridica fondamentale, Roma,
1983. M.A. OUAKNIN, Le Dieci Parole, cit., pp. 172-174. Cfr. anche P.
LEGENDRE, Le crime du caporal Lortie. Traitè sur le père, cit. ID., L’inestimable
object della transmission. Etude sur le principe genealogique en Occident, Paris,
1985, § Interdipendance des funciones maternelle et paternelle dans la naissance,
p. 335; ID., La fabrica del hombre Occidental, Buenos Aires, 2008, p. 33 e ss.
167 E. BORGNA, Le figure dell’ansia, Milano, 1997, § Il rischio del suicidio,
p. 162 e ss.
168 Cfr. B. ROMANO, Il senso esistenziale del diritto nella prospettiva di
Kierkegaard, cit.
169 «Ogni uomo se giace in riposo il tedio l’assale», scrive Leopardi. In
d’Annunzio, nel romanzo Nel trionfo della morte si pone nel presente come in
una penombra, la differenza notevole che c’è tra Tristano-Isotta e il rapporto
Giorgio-Ippolita. Nella vicenda di Tristano e Isotta tutti e due sono consenzienti, partecipano alla stessa logica tesa alla neutralizzazione e cancellazione
della diversità dell’altro e alla annessione dell’altro della verità profonda messa
in luce proprio da Nietzsche: la guerra mortale fra i sessi. Fino a quando si è
nella fase pregenitale, il rapporto fra due persone non è se non una lotta mortale, come quella di Tristano e Isotta per incapacità di accettare l’altro in quanto del tutto altro e del tutto diverso.
Nel caso di Ippolita, Giorgio vuole annullare la differenza; di più vuole sottrarsi alla soggezione, al bisogno erotico mediante l’omicidio di lei, denunciando
il massimo di dipendenza dalla donna che diventa la sua nemica, perché, nel rapporto pregenitale, appunto, l’altro è nemico, è fondamentalmente un nemico.
Solo superando il livello narcisistico pregenitale l’altro diventa amico, altrimenti
è sempre nemico, perché limitante l’ego. TODISCO, Nel cerchio chiuso del narcisismo, in Il trionfo della morte, “Atti del Terzo convegno internazionale di studi su
d’Annunzio”, Pescara, 1981, p. 364. Vd. pure E. DE MICHELIS, Tutto D’annunzio,
Milano, 1960, p. 137 e ss. Si ha la possessione per eludere il nulla e resistere all’im-
ABELARDO RIVERA LLANO
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gare le ragioni profonde di dipendenza dall’alcool e dalla droga
come meccanismo di fuga e di evasione dalla realtà che, in molti
casi, ha come base teologica la carenza di mondo che ostacola la
manifestazione dell’ente in quanto tale, perché «… getta l’uomo
nell’assenza di patria». Il presente ha bisogno di conoscere il passato per trovare senso.
«Dell’essere che esiste nel tempo» (quid ergo est tempus?) si
interroga Agostino, come angoscia del tempo, tradotto da
Luhmann nei modelli autoreferenziali che includono il soggetto
osservatore nel circolo dell’osservazione, fermandolo nel divenire, cioè l’esistere per immagini (la realtà virtuale, l’eterno presente) che genera pazzia perché non trova la sua misura in seno al
tempo: il mondo reale è trasformato in immagine. Queste sostituiscono la tradizionale equazione hegeliana tra apparenza e valori e
si imperniano sui paradossi come impronta dell’autoreferenzialità del sistema che porta «all’immediatezza e coesistenza semplice
e perché nell’immediatezza non vi è nessuna contraddizione»,
nelle parole di Kierkegaard170 e «la contraddizione è il segno dell’essere sospesi nella libertà», aggiunge Romano.
La critica di Romano parte, infatti, dal cosiddetto paradigma
di razionalità consumistica che, all’azione e alle relazioni che
intrecciano gli uomini tra loro, sostituisce l’operare delle funzioni che hanno creato una nuova forma di potere oppressivo, senza
giustizia, fondato sulla competitività piuttosto che sulla cooperazione e la solidarietà, come quello dell’universale dipendenza del
produrre e consumare dell’homo oeconomicus171, dell’homo
pulso radicale al suicidio. Per il protagonista, Giorgio Aurispa, la realtà umana si
rivela senza speranza, vuota ed inutile. Persino l’amore per Ippolita alla fine non
è capace di dare alcuna consolazione e al protagonista non rimane altra scelta che
quella di porre fine al ‘mal di vivere’, che già è insopportabile.
170 B. ROMANO, Il senso esistenziale del diritto nella prospettiva di
Kierkegaard, cit., p. 182.
171 B. INGRAO-G. ISRAEL, La mano invisibile. L’equilibrio economico nella
storia della scienza, Roma, 2006, p. 126 e ss.
74
RELAZIONI
technicus, dell’homo vacuus172 e dell’uomo-massa, senza identità
personale (data la precarizzazione della vita individuale), tipico
del darwinismo sociale e senza possibilità di istituire una seconda
vita nella contemporaneità doppia. Se l’uomo, infatti, non prende
posizione rispetto a quanto incontra, in quanto il mondo viene
inteso come la totalità degli oggetti, così come in Sartre173, è
costretto a vivere da spettatore passivo174 nella prima contemporaneità – quella biologica175 – caratterizzata dall’assenza di connessione (terzo escluso)176 con la dimensione più profonda a cui l’in172
B. ROMANO, Tecnica e giustizia nel pensiero di Martin Heidegger, cit., p.
55 e ss.
173 ID., Fondamentalismo funzionale e nichilismo giuridico, cit., p. 171 e ss.;
ID., Soggettività diritto e postmoderno. Un’interpretazione con Heidegger e Lacan,
cit., § L’esercizio della differenza come doppia contemporaneità, p. 34 e ss.
174 Perché nella costituzione dell’oggetto, noi ci poniamo di fronte al nostro
vissuto e trascuriamo o dimentichiamo le intenzioni che lo sorreggono. Così
l’oggetto si oppone a noi come estraneo. Il vissuto non può distinguersi in interno o esterno, perché tutto ciò che la coscienza vive è il mondo e lo è sempre allo
stesso titolo. «Se la vita e la realtà sono un insieme di impressioni sensibili che
si indicano con un ‘nome’, una molteplicità di fatti il cui star lì ‘è la loro ragione di essere’», come scrive Leopardi (Zibaldone, Opere, vol. I, p. 907), «in tal
caso ogni nostro discorso è ‘falso’ (pseudus) e l’unica verità è il Nulla, l’unico
demiurgo la retorica che dà al retore ‘la libertà per se stesso e il dominio degli
altri’: importano solo le parole per una finalità meramente pratica», (PLATONE,
Gorgia, 449d-459d).
175 In cui l’esistenza precede all’essenza. «Sartre – spiega Romano – pone
il tema dell’assurdità dell’in sé=la coscienza e la libertà del per sé=il mondo,
lasciando l’uomo solo nella ricerca di un senso da dare alla propria vita. Tale
assurdità è l’assenza di appigli si rivelano alla coscienza non tramite una conoscenza razionale, ma tramite il sentimento e la nausea», simile al sentimento
d’angoscia di Kierkegaard, B. ROMANO, Soggetto, libertà e diritto nel pensiero
contemporaneo, cit.; A. MASTROPIETRO, Altrimenti che essere o al di là della
legge. Per una filosofia del diritto a partire da Emmanuel Levinas, Roma, 2010,
§ Dalla totalità del même all’infinito d’autrui, p. 89 e ss. e § Altrimenti che essere: l’un-pour- l’autre, p. 211 e ss.
176 L. AVITABILE, Forme del terzo nel diritto, cit., p. 110 ss. Scrive a questo proposito «La dinamicità sistemica non ha luogo (…) secondo la binarietà classica
della logica del terzo escluso, ma secondo le operazioni sistemiche rese possibili
ABELARDO RIVERA LLANO
75
dividualità è collegata e tende177. Non è l’io, allora, che parla e
pensa, ma il linguaggio dei numeri, causa di una delle “malattie”
spirituali di cui l’uomo soffre nel momento in cui acquisisce la consapevolezza di essere prigioniero della statistica178. «L’intelligenza
artificiale cosmica» di cui discute Pietro Barcellona179, è la concretizzazione del male180, dell’ingiusto, della volontà di dominio che
allontana l’uomo dalle matrici universali della vita, dove il pensiero, contrario alla tecnica, è donativo.
La scienza, infatti, afferma Heidegger, non pensa, tanto più
quando «scienza e tecnica non possono determinare i fini»181.
All’ortonomia del diritto, come garanzia (il terzo garante dell’identità), si sostituisce l’affermarsi della forza che vince182 che
non distingue tra norma e fatto ed esclude «ogni principio supe-
dal terzo escluso e incluso. Quanto più la società diviene complessa, tanto più si
evolve come società sistemico-funzionale e tanto più non si può sviluppare che
attraverso i due poli opposti di un codice binario, sui due valori in opposizione di
un sistema, secondo una gerarchia che non ha come punto di avvio il vero, il bene,
il giusto e il bello, ma opera attivata dai programmi degli altri sistemi ed operanti come terzo incluso-escluso. La ragione per cui non è possibile l’inerenza del
terzo è data dallo scopo semplificativo che propone in embrione il codice; la dualità è semplificativa rispetto alla trialità, d’altra parte però in Luhmann, si gioca la
finzione della decisione del terzo. Il Terzo, si potrebbe obiettare, è il sistema, tralasciando così che esso è anche il primo e il secondo …».
177 L. BINSWANGER, Per un’antropologia fenomenologica, cit., § Scienza naturale e fenomenologia, p. 6 e ss.; cfr. B. ROMANO, Sistemi biologici e giustizia. Vita,
animus, anima, cit.
178 C. NOICA, Sei malattie dello spirito contemporaneo, cit., p. 83.
179 P. BARCELLONA, L’epoca del postumano, Troina, 2007, p. 13.
180 L. PAREYSON, Il male in Dostoevskij, in Antologia delle libertà, Torino,
2000, p. 661 e ss.
181 G. ISRAEL, Liberarsi dei demoni. Odio di sé scientismo e relativismo,
Genova-Milano, 2006, p. 147 e ss.
182 Legittimata dal ‘positivismo giuridico’, dottrina formalistica del diritto
e dello Stato il cui massimo esponente è Hans Kelsen, opposta all’ortonomia
(che si differenzia dall’autonomia e dall’eteronomia) che esprime la relazione
dei soggetti giuridici nel medio della Terzietà del nomos.
76
RELAZIONI
riore capace di fondarla»183, prescindendo dalla ricerca della verità perché, «non avendo un io, non compie atti»184. Le leggi e lo
Stato si configurano in questa episteme come «entità tecnica», con
la pretesa di adattare la natura all’uomo, necessarie al funzionamento di qualsiasi modello di società in cui il diritto è un «apparato strumentale» nelle mani della forza del più forte, matrice di
un «imperialismo planetario»185 che accresce il conflitto analizzato
da Marx186 tra istinto di accumulazione e di godimento187, privilegi e contrapposizioni, con l’aggressività generata dall’utilitarismo
egoistico, da cui la lotta di classe che storicamente è finita con la
violenza e col terrore «che il diritto fa nascere nel gruppo e che
tutti hanno liberamente voluto mediante il giuramento»188.
L’applicatio legis ad facto, insomma, è il trionfo del «nichilismo
giuridico perfetto», del «caos della necessità», dove «se nulla è
giusto tutto può essere legale»189 e, allo stesso tempo, la metateoria che contrappone Socrate a Trasimaco quando sostiene che la
giustizia è «l’utile del più forte» (ossia del tiranno), negandole
valore e realtà assoluta190, poiché chi ha la forza ha anche il dirit183 B. ROMANO, Fondamentalismo funzionale e nichilismo giuridico, cit., p. 263.
184 B. ROMANO, Filosofia della forma. Relazioni e regole, cit., p. 24. Vd.
anche ID., Ortonomia della relazione giuridica, cit., pp. 51-52.
185 Vd. anche La recezione italiana di Heidegger, in “Arch. di filosofia”,
anno LVII-19 1, n. 1-3, estratto, p. 465.
186 K. MARX, Il Capitale, Roma, 1964, cap. 23, n. 4, vol. I, p. 650.
187 B. ROMANO, Il diritto tra causare ed istituire. Numeri del mercato e parole del diritto, Torino, 2000, p. 92 e ss.
188 ID., Soggetto libertà e diritto, cit., p. 88 e ss.; ID., Tecnica e giustizia nel
pensiero di Martin Heidegger, cit., § La giustizia come giustificazione, p. 119 e ss.
189 ID., Scienza giuridica senza giurista. Il nichilismo ‘perfetto’, cit., p. 23.
190 M.F. SCIACCA, (Opere 1.6) Platone, cit., § La giustizia per Trasimaco, p.
248 e ss. Scrive l’autore: «… quando si tratta di definire che cos’è la giustizia in
se stessa, come virtù del singolo e dello Stato, Socrate e Trasimaco discordano.
Quest’ultimo si ferma al fatto empirico e vi impianta una dottrina politica: l’uomo tende per natura al proprio utile e ogni sua azione è diretta a questo scopo;
ma gli uomini per natura non sono uguali, e i più dotati si impongono; la giustizia si identifica con l’utile del più forte; dire diversamente è andare contro natu-
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77
to. È qui, giustamente si evince con nitida chiarezza da una parte
il pericolo della contingenza: è la morte del diritto dove «solo un
Dio ci può salvare», per parafrasare Heidegger; dall’altra, si pone
il problema del rapporto tra «diritto e autorità»191 che, si legge in
Romano «vengono a fondarsi in quella che Sartre chiama “impotenza seriale” in quanto la loro accettazione necessita della passività. A questo livello il detentore del potere è origine di alienazione per i singoli (…) come scrive Sartre “è di certo ‘ben necessario
riconoscere che il suo potere non si fonda sull’accettazione (come
atto positivo di adesione) ma che l’accettazione del potere è una
interiorizzazione dell’impossibilità di rifiutarlo»192 .
ra; perciò qualsiasi legge positiva che impone il contrario non merita rispetto e
osservanza. Per Socrate, invece, la morale è una scienza del singolo in rapporto
alla società e dunque alla politica; come scienza non può fermarsi al dato, ma da
questo deve risalire alla norma; il problema etico-politico non può prescindere
da quello gnoseologico…», p. 260. Qui si trova la ragione per cui Socrate è il fondatore dell’etica per evitare appunto che la morale diventi situazionistica e il
diritto flessibile. Punzi offre degli spunti di chiarificazione importanti quando
mette a fuoco l’importanza della «persuasione all’uso della forza». Si parla pure
oggi del consenso, come esplicitato da C. MONGARDINI, Il futuro della politica, p.
47 e ss. «Non si dà democrazia, dunque, senza procedure decisionali che mettano in dialogo i differenti. È già qualcosa: se è vero che tali procedure devono articolare un confronto argomentativo davvero pluralistico e garantire i diritti della
minoranza, si può ipotizzare che questi siano valori essenziali perché il discorso
deliberativo possa dirsi tale. Se così fosse, saremo già lontani dalla frammentazione sofistica del logos nonché del facile argomento di Trasimaco secondo cui
anche in democrazia non si persegue che l’utile del più forte». A. PUNZI, Il logos
tra le carte del giurista. Frammenti di filosofia del diritto, in Percorsi di fenomenologia, cit., p. 172. Vd. anche R. FEDERICI, Guerra e diritto? I delitti umanitari e i
conflitti armati tra ordinamenti giuridici, Napoli, 2010, § Gli scettici e il diritto nel
pensiero di Trasimaco, di Carneade e di Orazio, § L’idea negativa di Rousseau nei
confronti del processo, pp. 53-55. Vengono in mente le parole di H. Arendt in
Vita activa, nella parte in cui scrive «nella vita pubblica della polis si decideva con
la persuasione, con la parola, non con la forza e la violenza».
191 Cfr. M. HEIDEGGER, Oramai solo un Dio ci può salvare, Guanda, 1987.
192 B. ROMANO, Il senso esistenziale del diritto nella prospettiva di
Kierkegaard, cit., p. 317.
78
RELAZIONI
Questo tema ci rimanda alla riflessione su un’idea di giustizia –
nel pensiero di Platone – eccedente il relativismo politico e sociale, oggi dominante, che riduce il piano ideale dei valori (la verità,
il bene, la giustizia) come il solo vero e reale, a quello della realtà
dei fatti, contingenti, avviando il nichilismo e trasformando il diritto in un fatto privo di base giuridica e morale193. In questo contesto, è auspicabile un ritorno al soggetto194 attraverso l’esercizio di
un’ermeneutica anche costituzionale che sappia cogliere gli enunciati espressivi [bene comune, solidarietà (legata all’empatia)]195 e
con le norme di cultura (Legendre)196, uguaglianza, equità197, ecc.,
193 F. STELLA, La giustizia e le ingiustizie, Bologna, 2006, § La perdita di
senso della ‘giustizia’ penale e l’ambito della giustizia realizzabile oggi nelle
democrazie… Il modello Barack e i rapporti tra l’autorità giudiziaria e l’esecutivo, cap. XIII, p. 221 e ss. Dal punto di vista costituzionale, questo tema è stato
esaminato da Corrado Stefano: «… la somma Carta, per i più dei governanti di
oggi, è considerata un inciampo, un ostacolo da rimuovere perché fissa regole,
obblighi, comportamenti e impedisce che l’interesse privato e di parte prevalgano sul bene collettivo». “Corriere della sera”, 22 agosto 2010, p. 41.
194 Cfr. M. BELLET, La persona come paradigma di senso, Roma, 2009.
195 Definita come la capacità di vedere le altre persone come esseri umani
e non come oggetti. È stata uno dei punti chiave della migliore concezione
moderna di istruzione democratica. Infatti, scrive L. Avitabile «nella prassi
reale fenomenologica empatia significa entrare in contatto con l’alterità, in una
parola, riconoscerla», cfr. Per una fenomenologia del diritto nell’opera di Edith
Stein, cit., § Comunità giuridica ed empatia, p. 73 e ss; L. SANDONA, La rinascita dell’empatia, storia del concetto, prospettive teoriche e prassi applicative, in
Etiche di frontiera, Milano, 2008, p. 255 e ss.; cfr. L. BOELLA, Sentire l’altro.
Conoscere e praticare l’empatia, Milano, 2006.
196 P. LEGENDRE, Della società come testo, cit. ID., Lo que occidente non vee
de el occidente, Madrid, 2007, p. 53. Si ricorda al riguardo la celebre definizione della costituzione di Herman Heller, «come una forma aperta dove passa la
vita, vita informa e forma che nasce nella vita». Qui si trova il senso materiale
della costituzione di cui discute Mortati.
197 Scrive Cananzi, che l’equità deve essere intesa come «quell’atto di
volontà con il quale il giudice decide il conflitto… dettando la legge del caso
specifico non tanto in base ad un sistema normativo ma secondo le esigenze
contingenti del caso stesso, avendo quale riferimento possibile (dunque non
ABELARDO RIVERA LLANO
79
impliciti in tutte le costituzioni moderne, riconoscendo il valore
della persona umana e la sua dignità, fornita di senso. Siamo in
presenza di quanto la dottrina definisce ‘la regola nascosta dell’inizio’198 e dunque dell’‘anamnesi della Costituzione’, punto di partenza dell’ermeneutica costituzionale, genesi dell’interpretazione
della legge in senso creativo.
Il ‘riduzionismo meccanicistico’ dei sistemi di puri concetti
(lotta nella legalità)199, manifesta, infatti, l’estraneità dell’essere e
dello spirito, cioè della trialità discorsiva, della terzietà giuridica e
dell’incidere di pathos, logos e nomos. Quando una società si
allontana dall’ideale di giustizia e cancella dal suo patrimonio la
realtà del bene e dello spirito che è, in Romano, memoria aperta,
in quanto memoria riposta nella struttura relazionale (del dire
dirsi come creazione di senso)200 e del logos, tutti i valori umani si
arrestano (compresi i diritti dell’uomo), poiché l’essere come spirito – afferma Maldiney – è la libertà come autocoscienza e consapevolezza di essere un io, tanto esistenziale quanto psicologico
– fenomenologico e sociale comunicativo, fondamento dell’intenzionalità e dell’imputabilità ridotta oggi a semplice incontro tra
neuroni (sinapsi)201, propria della ‘visione tecnico-scientifica delobbligatorio né vincolante) i precedenti giudicati in sistemi simili». Cfr. D.M.
CANANZI, Artificiale versus artificioso, cit., pp. 184-185; anche C. TAYLOR, Il
disagio della modernità, cit., p. 60.
198 ID., Filosofia del diritto, cit., § La regola nascosta dell’inizio; lo sconvolgimento del ‘abituale’ e l’ordine giuridico, p. 187 e ss.
199 Che riduce il contenuto della conoscenza giuridica ad un puro sistema
di astrazione, collegato con una logica formale, che ha contribuito ad una
‘reductio ad unum’, cioè ad un ‘puro mezzo tecnico per l’attuazione di scopi
che non hanno in se stessi nulla di scientifico’. B. LEONI, Per una teoria dell’irrazionale nel diritto, Torino, 1940, pp. 49-50. si vd. L. AVITABILE, Diritto e
osservatore, cit., p. 141.
200 B. ROMANO, Filosofia del diritto, cit., p. 10 e ss.; § Istituire la mancanza,
nell’amore e nel diritto, p. 92 e ss, p. 134 e ss.
201 Perché l’ambizione dello spirito moderno è di fondare la vita, individuale e sociale, nella sola scienza. B. ROMANO, Fondamentalismo funzionale e nichi-
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RELAZIONI
l’uomo’ che finisce nell’homo sapiens immerso in un gioco innocente dove è una entità giocata e non un soggetto giocante, e dunque non è un ‘chi’ giuridicamente imputabile; una tale figura non
è conciliabile con l’homo juridicus202. Qui si pone il problema del
rapporto tra imputabilità giuridica e responsabilità (giuridica).
Tuttavia, oggi, la teoria del sociale ha trasformato il soggetto
in un’entità innocente203, prendendo le distanze dalle tesi di
Weber che ha fatto dell’azione e della relazione sociale l’oggetto
della sociologia come processo di razionalizzazione centrato sulla
soggettività204 dei rapporti umani205, insieme all’indagine dei valolismo giuridico, cit., § Ingegnerizzazione del se stesso e del diritto: il sé dei neuroni e il sé degli elettroni, p. 93 e ss., p. 155 e ss., p. 403 e ss. Cfr. J.R. SEARLE,
Libertà e neurobiologia. Riflessioni sul libero arbitrio, il linguaggio e il potere
politico, Milano, 2005; ID., Il mistero della coscienza, Milano, 1998, § La coscienza come problema biologico, p. 1 e ss., che si allontana dal compito e dalla
coscienza di percepire i principi della moralità e quindi assumere la responsabilità degli atti compiuti, tema che compare nel dilemma di Antigone: «Non alle
leggi scritte lei ha inteso obbedire, ma alle leggi degli dei, alle norme non scritte e indistruttibili dettate dalla natura e dalla propria coscienza», non senza
ragione definisce nella sua ‘estetica’ quest’opera ‘una delle opere d’arte più
eccelse e per ogni riguardo più perfette di tutti i tempi’. Oggi predomina piuttosto la visione di Sartre e Marx dove l’essere è irriducibile alla coscienza che fa
parte dell’essere, cfr. B. ROMANO, Soggetto, libertà e diritto, cit., p. 107 e ss.
202 ID., Il giurista è uno zoologo metropolitano?, cit., p. 202; ID.,
Fondamentalismo funzionale e nichilismo giuridico, cit., p. 364: «… il simbionte,
funzionale nell’eseguire i diritti della senzienza, luogo di una memoria che dice
il fatto senza il senso del fatto», (Il verum ipsum factum di Vico), Cfr. J. LEDEUX,
Il Sé sinaptico. Come il nostro cervello ci fa diventare come siamo, Milano, 2002.
203 La teoria di Luhmann propone una prospettiva di società caratterizzata dall’accettazione necessaria delle decisioni vincolanti, da una lealtà di massa
come apatica disponibilità all’obbedienza. La sovranità diviene di fatto monopolio di chi esercita concretamente il potere.
204 Per l’evoluzione del concetto di azione umana si possono consultare le
opere dei principali rappresentanti della Scuola Austriaca, Carl Menger, Mises
e Hayek.
205 Per Weber, l’agire sociale può essere determinato: a) in modo razionale rispetto allo scopo a partire dalle aspettative dell’atteggiamento di oggetti
ABELARDO RIVERA LLANO
81
ri culturali che ne rappresentano il substrato. Si tratta della contrapposizione tra una società, oggettiva (informativa)206, caratterizzata dalla frammentazione dell’io con la riduzione dell’Essere
nell’oggetto e una soggettiva, come quella analizzata da Searle207,
tramite la deposizione del modello classico, centrato sullo schema
giuridico – causale di scopo e sull’analisi dell’agire dove il pensiero non è più l’evento dell’Essere ma l’Essere è l’evento del pensiero208, quindi della volontà di potenza.
Nella società complessa209 maturano nuove prospettive di analisi dell’azione prive dell’essere210, funzionali al rapporto sistemaambiente che hanno determinato la crisi del garantismo, proprio dello Stato liberale, come si avverte nella disciplina penale
contemporanea che ha trasformato il concetto di responsabilidel mondo esterno e di altri uomini, impiegando tali aspettative come “condizioni” o come “mezzi” per scopi considerati ragionevolmente in qualità di
conseguenze; b) in modo razionale rispetto al valore; c) da stati attuali del sentire; d) tradizionalmente, da un’abitudine acquisita. Si tratta di una tesi del
tutto opposta alla società senza uomini teorizzata da Luhmann. Cfr. I.
IZUZQUIZA, La sociedad sin hombres. Niklas Luhmann o la teoria como escandalo, Barcelona, 1990; A. IZZO, Storia del pensiero sociologico, Bologna, 1991,
p. 37 e ss., vol. II.
206 B. ROMANO, Filosofia e diritto dopo Luhmann, cit., cap. IV, §
Comunicare e osservare-discorso del padrone e relazione giuridica, p. 133 e ss.
207 Cfr. J.R. SEARLE, La costruzione della realtà sociale, Torino, 2006.
208 B. ROMANO, Tecnica e giustizia nel pernsiero di Martin Heidegger, cit.,
p. 74 e p. 114.
209 E. MORIN, Il metodo, Milano, 1983; P. BARCELLONA, Diritto senza società. Dal disincanto all’indifferenza, Bari, 2003, p. 131. Afferma Pietro Barcellona:
«la parola chiave della nostra epoca è … complessità. Si tratta di una parola con
la quale si allude a fenomeni molteplici e a diversi modelli di analisi che non certamente rappresenta la crisi di ogni spiegazione semplice del mondo e dei processi sociali, precludendo ogni possibilità di ridurre le rappresentazioni dei fatti, di
accostamenti naturali e sociali a schemi concettuali affidati ad una logica lineare». Insomma, la complessità ci dice che il pensiero scientifico tradizionale è
insufficiente e che, dobbiamo imparare a pensare in modo più complesso, meno
lineare, più aperto al nuovo.
210 Z. BAUMAN, Vite di scarto, Roma-Bari, 2005, p. 53, p. 96 e ss.
82
RELAZIONI
tà211, identificando il senso con ciò che accade212, e ha fondato la
teoria del rischio sull’imputazione oggettiva213 che prescinde dal
problema interno-esterno (il cd. iter criminis), soggetto-oggetto per
cui contano soltanto le circostanze esterne e i ruoli sociali, imperniato tutto sull’etica delle conseguenze che risale a Hegel tramite
lo spirito oggettivo che culmina con l’assegnazione di responsabilità senza guardare «all’idea di capacità», con tutte le sue implicazioni giuridiche (capacità giuridica o capacità d’agire) ed è, leggiamo in Romano, «l’estinguersi della vita secondo l’estensione
non precalcolabile»214 che culmina nel nuovo modello di responsabilità: «è la responsabilità prodotta» che «identifica l’essere
211
B. ROMANO, Soggettività, diritto e postmoderno, cit., § Rischio, danno e
responsabilità giuridica nel produrre postsoggettivo, p. 83 e ss.
212 Se da una parte si arriva a dissolvere il principio – garanzia del diritto
penale generale, della responsabilità personale, per dare vita a forme che sorgono dalla psicologia sociale e cercano un colpevole comunque, dall’altra si fa
fronte alle implicazioni del progresso scientifico e tecnologico e alle nuove
forme di criminalità organizzata senza volto, come il terrorismo. Bruno Romano
discute a tal proposito del «presente dell’Accadere», B. ROMANO, Critica della
ragione procedurale, cit., p. 78, che coinvolge il principio e la conversione del vero
col fatto, accolto da Croce, preso da Vico e imposto alle sue dottrine dei concetti empirici o naturalistici e dei concetti astratti (o matematici).
213 Si presenta la questione problematica inerente al rapporto tra causalità
e imputazione che comporta il riconoscimento di “interconnessioni” di causalità non lineare (come era nel pensiero scientifico tradizionale, considerato
oggi insufficiente), della separabilità dei problemi, cioè responsabilità di tutti,
caratteristica del pensiero complesso e della riduzione di esso, in un mondo da
cui il senso sembra essersi definitivamente ritirato. Il diritto penale tradizionale partiva dal principio secondo il quale le scienze empiriche non dovevano
limitarsi a descrivere i fenomeni quanto ad indagarne le cause. Invece, nel funzionalismo sistemico penale, che muove dalla dottrina kelseniana, il rapporto
tra due norme è relazione di imputazione: se A allora B. D’altra parte, tramite
l’imputazione oggettiva si tende ad eliminare la colpevolezza classica che è alla
base della penalità e della responsabilità d’origine greca, passata dalla visione
psicologica a quella normativa, intesa come rimprovero ed eliminata definitivamente nel funzionalismo penale di Jakobs.
214 B. ROMANO, Soggettività, diritto e postmoderno, cit., pp. 82-90.
ABELARDO RIVERA LLANO
83
responsabile nell’essere obbligato al risarcimento, senza accertare
né la qualità dell’esercizio della soggettività, né la sua presenza, sia
pure indiretta, nell’insieme degli elementi che generano il danno».
In questo contesto, i fatti danno forma ad una giustizia, secondo
Heidegger, aggressiva che prescinde dall’intenzionalità del soggetto e con essa dalla colpevolezza come estratto analitico del reato e
dell’imputabilità, suo presupposto; cioè come unità di senso e di
forza, o meglio di significato, come in Blondel, dove si agisce
mediante un ‘atto di volontà’, cioè di un atto decisionale e spontaneo che può essere causa senza essere causato. Questo è il senso e
la volontà libera con gli altri, propria di un essere etico nel senso
hegeliano.
Ne scaturisce un diritto penale privato della riferibilità agli
atti e, quindi, all’azione propria del soggetto e interessato solo ai
fatti, non considerando che questi senza le idee sono ciechi. È
l’impero della ‘contingenza’215 che, in Luhmann, essendo immodificabile, nega il principio di non contraddizione216 di aristoteli215 Infatti, «se tutto ciò che è reale è contingente, allora vuol dire che non
soltanto il caso si trasforma in necessità, come pretendono alcuni scienziati, ma
anche la necessità (il generale, la teoria) può diventare caso, vale a dire gioco
d’azzardo. Ecco perché è possibile pensare ad altro o diversamente data la equivalenza delle funzioni, risultato del paradigma sistema-intorno che prescinde da
ogni analisi ontologica, cioè del pensiero essenziale che in Heidegger “è un avvenimento dell’essere”». ID., Tecnica e giustizia nel pensiero di Martin Heidegger,
cit., p. 70. Cfr. C. NOICA, Sei malattie dello spirito contemporaneo, cit., p. 89.
216 Bisogna chiarire che Hegel, nella dialettica non nega il principio di non
contraddizione. Nega solo la sua interpretazione intellettualistica in quanto
astratta, tale cioè da non salvaguardare l’identità dell’essere a se stesso. Se l’essere non si oppone al non essere vi si identifica: il che è la stessa formulazione
del principio di non contraddizione. Dunque è decisivo distinguere il momento negativo da quello positivo nella dialettica hegeliana. Il primo è il momento
intellettualistico, ed è la denuncia della contraddizione delle cose finite, quando vengono isolate dall’intelletto, assolutizzate nella loro separatezza: è il
momento in cui le cose mostrano la loro finitezza e a un tempo la loro impossibilità di fissarsi in essa. Il secondo punto è il momento speculativo ed è il
superamento delle cose finite nell’infinito e nell’assoluto. C. FABRO, Introduzio-
84
RELAZIONI
ca memoria (sostituito con quello di ragione insufficiente)217, di
conservazione dell’essere218, centrato sulla legge della ragione così
come quello dell’identità A=A. Il parametro della complessità
sostiene, infatti, che se è vero A può anche essere vero non A:
tutto dipende dal piano in cui sono collocati.
Si instaura così una relativizzazione219 che in Luhmann si traduce in funzioni220 equivalenti, in altre parole, l’“ordine” può nascere dal caos della contingenza come sinonimo di accidentalità-eventualità e che ha fatto di esso, così come la contingenza, «quasi una
fonte di riproduzione sociale»221. Non restano che i paradossi, il
trionfo dell’artificio222 come menzogna223 che si trasforma in realtà
e subentra per l’uomo la sofferenza-malattia di non poter trovare
la propria misura perché diventa massa, gregge senza filiazione,
dove «non si ec-siste nella formazione della identità creativa»224,
ne all’ateismo moderno, cit., vol. I, § Ateismo e principio di contraddizione, p.
67 e ss.
217 Cfr. B. ACCARINO, La ragione insufficiente, Roma, 1995; N. LUHMANN,
Il paradigma perduto, cit., p. 38.
218 J. LOCKE, Due trattati sul governo, Torino, 1948, p. 38.
219 B. ROMANO, Fondamentalismo funzionale e nichilismo giuridico, cit., pp.
353-354: «il nichilismo diventa compiuto … quando questa scissione tra valori
(regola) e condotte (regolato) viene negato; si afferma allora l’assoluta omogeneità in tutto quel che accade, avendo cancellato il posto lasciato vuoto dal Dio
morto che fin quando dura come luogo aperto, può essere colmato dal porre
eventuali, nuove, diverse gerarchie di non-omogeneità, dunque di permanenza
della separazione tra la regola e il regolato, ovvero tra il diritto e il fatto».
220 Questo avviene relativamente a concetti, come senso, tempo, evento,
elemento, relazione, complessità, contingenza, azione, sistema, ambiente,
mondo, aspettativa, struttura, processo, chiusura, osservazione, auto-osservazione, descrizione, auto descrizione, unità, conflitto, ecc. Cfr. B. ROMANO,
Terzietà del diritto e società complessa, cit.
221 ID., Soggettività, diritto e postmoderno, cit., pp. 82-90.
222 P. BARCELLONA, Fine della storia e mondo come sistema, Bari, 2003, p. 113.
223 A. ARGIROFFI, Identità personale, giustizia ed effettività, Torino, 2002,
p. 164 e ss.
224 B. ROMANO, Filosofia del diritto, cit., p. 187.
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come in Nietzsche. È «l’insoddisfazione dell’immediatezza» di
Kierkegaard e la struttura semplice dell’esistenza, resa estrema in
Sartre225. È qui che si trova la matrice autoritaria del modello di
Luhmann, tanto più quando sostiene che il diritto è uno strumento di «omogeneizzazione dei significati tra individui» e deve essere
praticamente indipendente dalle conoscenze e dai sentimenti del
singolo e, nonostante questo, accettato poiché «l’irrinunciabilità
della norma è l’autopoiesi del sistema»226 che ammette qualsiasi
contenuto, proveniente da qualsiasi ideologia. Nel sistema giuridico, sostiene Luhmann, «non vi sono contenuti irrinunciabili». La
sua temporalità, scrive Romano, «è quella della topologia propria
al continuo succedersi di equilibri diversi, che ciascuno incontra
nel volgersi agli altri ed alla cosiddetta natura»227.
In questa mutazione – si legge in Romano – l’uomo, «non si
differenzia dal non umano … e cadono le domande sul male e
l’ingiusto, il bene-giusto, così come sulle istituzioni, sull’ermeneutica, sull’arte» e quindi sul diritto che, invece va interrogato e sollecitato a «(porre) in essere la verità dell’essere»228, vale a dire, il
diritto di ogni individuo di essere riconosciuto229 come persona.
La situazione descritta accade quando si ha la pretesa, per
esempio, di considerare la fattispecie penale da un punto di vista
prettamente oggettivo, senza riferimento alcuno alla volontà del
soggetto, autore della pericolosità dell’azione tradotta in rischio230.
Come si può indagare la teoria del rischio e la pericolosità dell’azio225 ID.,
Il senso esistenziale del diritto nella prospettiva di Kierkegaard, cit.,
pp. 2-3.
226 ID., Filosofia e diritto dopo Luhmann, cit., p. 228.
227 ID., Soggettività, diritto e postmoderno, cit., p. 87.
228 ID., Ortonomia della relazione giuridica, cit., p. 38 e ss. ID., Il riconoscimento come relazione giuridica fondamentale, Roma, 1983.
229 C. TAYLOR, Il disagio della modernità, cit., § Il bisogno del riconoscimento, p. 51 e ss.
230 Cfr. N. LUHMANN, Sociologìa del riesgo, Messico, 2006. Cfr. anche C. R.
SUNSTEIN, Il diritto della paura, Bologna, 2010.
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RELAZIONI
ne tradotta nel risultato (evento), senza sapere cos’è l’intenzione?
Che cosa distingue l’agire umano responsabile da quel che fanno gli
animali, ammesso che le due cose possano venire distinte? Che cosa
sono i fini, gli scopi e i moventi quando il giudice penale è chiamato ad emettere giudizi di fatto per spiegare l’ingiusto, cioè, l’antigiuridicità (neminem laedere) e i giudizi di valore231 per giustificare la colpevolezza? Nullum crimen sine culpa collega la presunzione di innocenza con l’azione, che non è un cieco agire, altrimenti sarebbe indifferente al diritto penale dove il giudice stabilisce in concreto la dosimmetria punitiva secondo la maggiore o
minore intensità del dolo, cioè attraverso l’indagine sulla «formazione dell’atto di volontà»232, che gioca un ruolo non indifferente
per concretizzare le circostanze aggravanti e attenuaanti comuni
(artt. 61-62 c.p.), tramite i quali il giudice, nel cosiddetto spazio di
libertà, fissa, in concreto, il quantum punitivo.
A questo proposito, non si devono confondere due ambiti
diversi, quello delle leggi di natura, che si possono ‘spiegare’, con
quelle proprie della dimensione dello spirito, oggetto di ‘comprensione’. Infatti, secondo Hersch233: «l’essere non è soggettivo
né oggettivo, oppure è l’uno e l’altro. Questo è il paradosso».
Qui, si dà «il radicarsi del fenomeno diritto nella costituzione
intersoggettiva della soggettività, secondo la principalità della
relazione di riconoscimento su quella di riconoscenza»234.
5. La trasformazione del tradizionale principio di legalità, (nullum crimen, nulla poena sine lege) nella lex certa e lex scritta235,
231 H. KELSEN, La teoria politica del bolscevismo e altri saggi, Milano, 1981,
§ I giudizi di valore nella scienza giuridica, p. 122 e ss.
232 In Bettiol, questo aspetto è una delle questioni fondamentali del diritto penale.
233 Cfr. J. HERSCH, Essere e forma, Milano, 2006.
234 B. ROMANO, Assoggettamento, diritto, condizione logotecnica, cit., p. 299.
235 Si deve tenere presente della ricorrente presenza del principio di vaghez-
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considerando il ruolo recente e preoccupante dell’esecutivo nell’ambito del processo legislativo236, rende il diritto penale disumano e inefficace, una forma di potere237 che ha il monopolio della
forza-violenza e della punizione238 che diventa incerta di fronte
alla sostituzione graduale della pena detentiva e al ruolo crescente del diritto civile e delle assicurazioni tramite il risarcimento dei
danni. Si parla, in questo contesto, del declino del diritto penale239 che addirittura, nella posizione radicale di Jakobs, tende a
prescindere dal concetto di bene giuridico240 concetto tradizionaza in molte fattispecie penali, così come nelle cosiddette norme in bianco o di
remissione e (concetti valvola) dell’incertezza della scienza sulle molte domande sul rischio e delle nuove fonti del diritto penale nella società globalizzata. Cfr.
F. MODUGNO, Lineamenti di teoria del diritto oggettivo, Torino, 2009, §
Indeterminazione intenzionale indeterminazione non intenzionale, p. 153 e ss.
236 Detto anche «volontarismo del presente». N. IRTI, La tenaglia, cit., 8, p.
25 e ss., dove afferma: «… Rimane ciò che, nel titolo di un mio libro ho chiamato Il salvagente della forma, “le procedure produttive delle norme, di qualsiasi norma che la quotidianità pragmatica voglia immettervi. La lotta politica
si volge alla conquista di questa macchina che tramuta in norma ogni volontà
di potere”». Cfr. Z. BAUMAN, La decadenza degli intellettuali. Da legislatori a
interpreti, Torino, 2007, cap. 8, § La caduta del legislatore, p. 130 e ss. Si spiega così perché il diritto ha bisogno di una ‘ragione procedurale di secondo
grado’ che, come afferma Romano, è «un’operazioni del sistema nella formazione di un sapere che si confina nelle informazioni, senza accedere alla comunicazione». Cfr. B. ROMANO, Terzietà del diritto e società complessa, cit., p. 41
e il processo non è, come in Satta, un momento eterno dello spirito.
237 Che trasmuta la sua funzione tradizionale di controllo sociale diretto, nella
riduzione della complessità tramite un sistema normativo ripiegato su se stesso
(autopoietico), che si esprime «in un codice binario di classificazione della condotta sociale: lecito. Attraverso una generalizzazione delle aspettative normative
di comportamento, il diritto si autoregola e si autoriproduce, è un sistema autopoietico e quindi autonomo rispetto al sistema sociale generale e per questo funzionale ad esso». A. DE SIMONE, Intersoggettività e norma, Napoli, 2008, p. 266.
238 M.C. NUSSBAUM, Nascondere l’umanità. Il disgusto, la vergogna, la legge,
Roma, 2005, § Cittadini esposti alla vergogna?, p. 263 e ss.
239 Cfr. K. LUDERSSEN, Il declino del diritto penale, Milano, 2005.
240 Che è la categoria cardine della dinamica evolutiva del diritto penale
contemporaneo, tramite le nuove funzioni ad essa attribuite tra le quali quella
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RELAZIONI
le (bene, valore, interesse protetto dalla norma) e non ha rapporto alcuno con il mondo dei valori, come proposto da Windelband
e da Rickert quando discutono del mondo della cultura con i suoi
valori universali, presupposti sulla base dei quali procedere nella
selezione degli eventi.
Infatti, il giuridico assume i tratti del fatto – come abbiamo
detto – senza specificità fenomenologica, dando luogo – afferma
Beck – ad un tipo di «moralizzazione tecnologica» senza imperativi etici vincolanti. È l’etica matematica dell’era tecnologica, dell’indifferenza senza rapporto all’altro perché «la natura dell’agire è
mutata» e «cambia … il modo di stare ed abitare il mondo per
quanto concerne l’uomo, attore e spettatore postsoggettivo sulla
scena della postmodernità»241 che ha bisogno, per sopravvivere, di
un io disincarnato e impersonale senza un’etica della responsabilità (l’altro che mi richiama alla mia responsabilità), che è innanzitutto cura del futuro, poiché, prendersi cura dell’altro, significa
costruire un futuro degno di essere vissuto per tutti. Si avverte qui
l’importanza, tanto sentita oggi dalla sociologia della conoscenza,
della riorganizzazione della società in base a valutazioni etiche e a
giudizi di valore moralmente fondati, espliciti ed impliciti nel
cosiddetto tetto ideologico delle costituzioni moderne, con valore
ermeneutico in quanto norma di cultura242, che deve interagire con
la coscienza popolare, che è il mos, costume.
ermeneutica o di guida all’interpretazione della norma e quella critica e materiale per dotare di contenuto la fattispecie; cfr. A. RIVERA LLANO, Derecho
penal postmoderno, Bogotà, 2005, p. 576 e ss.
241 A. ARGIROFFI, Identità personale giustizia effettività, cit., p. 143. Cfr. anche
B. ROMANO, Tecnica e giustizia nel pensiero di Martin Heidegger, cit., p. 181 e ss.
242 Che afferma Häberle, non può essere il frutto di un’egemonia solo strumentale propria del funzionalismo sistemico che trascura i valori etici per risolvere tutto sul piano del comportamento o su qualche inclinazione patica, le
leggi trovate, di cui discute Romano. Quella che non va dimenticata è la libertà esistenziale fondata sulle leggi date che riconosce alla persona l’inalienabilità dei principi etici. Se tutto si risolve sul piano funzionale e pratico come si
pretende nel funzionalismo penale, senza valutazione della moralità delle scel-
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Dalla condizione appena descritta sorge il rischio dell’oggettivizzazione estrema del soggetto, privo di valori morali «che nega,
altresì, secondo Ricoeur, il se dell’altro da se stesso che è alterità,
differenza, mistero»243. Questo si osserva pure nel campo di certa
criminologia che concepisce il delinquente come nemico, dannoso
e superfluo, massa senza volto da sopprimere al più presto. Si tratta di un insieme di mutamenti che hanno determinato l’affermarsi
di un diritto penale, cosiddetto, del nemico e della sicurezza244 che
fa appello all’euristica della paura245, strumentalizzata politicamen-
te, non c’è allora esercizio autonomo della sfera decisionale, propria della doppia contemporaneità e autocoscienza.
243 D.M. CANANZI, Interpretazione, alterità, giustizia. Saggio sul pensiero di
Paul Ricoeur, Roma, 2008, p. 207 e ss.
244 Non bisogna dimenticare che l’ossessione della sicurezza, da parte dei
politici, ha spalancato le porte alla maggior parte delle dittature, giustificate
come il male minore, dato che le armi e la repressione sono incompatibili con
la democrazia, oggi bramosa, dove si stanno avverando le parole di Kant nella
Pace Perpetua, quando scrisse che la democrazia è la via che porta al dispotismo. Tra gli esempi più recenti c’è quello di Pinochet in Cile e dei militari in
Argentina che hanno scatenato genocidi per uccidere gli avversari e impedirgli
di esprimersi e manifestare la loro soggettività attraverso la ricerca «immanente alla parola umana che viene soffocata», che denuncia la crescente disuguaglianza inumana tra ricchi e poveri che supera i limiti del feudalismo più spietato. Cfr. M. BELLET, L’assassino della parola, Troina, 2009, p. 70. C.
MONGARDINI, Il futuro della politica, cit., p. 49 e ss.
245 Teoria strumentalizzata politicamente dai governi che sfruttano le
paure provocate dagli eventi (terrorismo) e quindi lo sfruttamento delle reazioni emotive indotte, e offre «perciò la legittimazione a un nuovo totalitarismo
che limita la libertà e riduce la democrazia a una vuota formula». C.
MONGARDINI, Le dimensioni sociali della paura, Milano, 2003. Spesso dette
teorie, ingigantiscono certi rischi o peggio ancora creano allarme sociale per
guadagnare consenso su politiche altrimenti non condivise. F. STELLA, La giustizia e le ingiustizie, cit., p. 122. La paura scatena, da una parte, l’ansia e lo
stress, considerati, oggi, una vera e propria malattia sociale per la sua elevata
diffusione e la sua capacità di sviluppare nell’uomo eventi patologici e criminologici, ci sono poi i rischi della fisica, della chimica e della biologia, come
minaccia sulla vita e sull’uomo; dall’altra parte, la paura viene, oggi, utilizzata
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RELAZIONI
te come forma di governo: si discute, infatti, della società della
paura e del rischio, strutturata a partire dall’attribuzione di ruoli
sociali simbolici, come risposte formali a problemi reali, che
nascondono, spesso, le vere cause della criminalità e della violenza, che vengono a colpire le persone più deboli della società.
Si spiega, nel modello funzionalista, come risposta al pensiero
niezschiano «… quanto più la massa è resa intellettuale, tanto più
cerca la via dell’ordine», scelte politiche oggettive determinano
una generalizzata convinzione di impotenza, la riduzione della
razionalità individuale246 e degli interessi materiali immediati che
porta a chiedere una protezione qualunque prezzo essa sia.
Primum vivere inde philosophari 247.
Secondo Romano, esiste un legame «inscindibile tra diritto e
politica», impegnata a fornire risposte esistenziali che mirino ad
strumentalmente dai politici e governanti tramite discorsi con forti accenti perlocuzionali per indurre determinati effetti criminosi dato lo stimolo che le
parole adoperate hanno. (Lo dico io perché lo ascolti e realizzi un terzo). Cfr.
Z. BAUMAN, La società dell’incertezza, Bologna, 1999, § Un catalogo delle paure
post-moderne, p. 99 e ss. Cfr. anche P. RICOEUR, Ermeneutica filosofica e ermeneutica biblica, cit., p. 59 e ss. Vedi anche C. R. SUNSTEIN, Il diritto della paura,
cit., § La paura come un incendio che divampa, p. 125 e ss; § Paura e libertà, p.
275 e ss.; § Paura e follia, p. 301. Cfr. G. TREMONTI, La paura e la speranza,
Milano, 2008; R. ESPOSITO, Communitas, cit., § La paura, p. 5 e ss. Da queste
puntuali parole dell’autore che prende le mosse da Hobbes, si evince che: «Lo
Stato non ha il compito di eliminare la paura, ma di renderla certa» e aggiunge: «… lo Stato moderno non solo non elimini la paura da cui originariamente si genera ma si fondi precisamente sui di essa, fino a farne il motore e la
garanzia del proprio funzionamento, vuol dire che proprio l’epoca – la modernità – appunto – che si autodefinisce in base alla rottura nei confronti dell’origine ne porta dentro una indelebile impronta di conflitto e di violenza».
246 L’individualismo in questo senso, «compie una sorta di de-socializzazione» degli esseri umani. M.A. OUAKNIN, Le dieci parole, cit., p. 962.
247 Illuminanti a questo proposito sono le parole di Argiroffi, nella sua
acuta riflessione su Paolo di Tarso in queste stesse giornate di studi, La Legge,
la sapienza, la giustizia e la fede, rifacendosi alle parole dell’apostolo: «…Se i
morti non vengono risvegliati, mangiamo e beviamo, poiché domani moriremo».
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eliminare la «insecuritas dei rapporti e a contrastare la possibilità
dell’inimicizia – sul piano sociale»248, affinché il diritto possa essere strumento di pace e organizzazione sociale e non mera retribuzione vendicativa249.
È necessario sottolineare che i crimini non risiedono soltanto
nella mente degli esseri umani, ma nelle condizioni sociali250 e nella
patologia della coscienza collettiva, influenzata da una cultura
materialista priva di etica e di senso della vita che genera sconforto e noia fino alla disperazione251 al sentimento di vuoto e all’assurdo che, per analogia, fa ricordare il grido di dolore di Antigone:
«oh, me infelice. Senza un posto né fra i vivi né fra i morti, senza
poter essere né vivere con i morti», cioè non posso uscire da qui
tuttavia non posso rimanere qui, come si osserva oggi con gli
esclusi del sistema globale, a cui si riferisce Marc Augé.
Sono queste alcune questioni che maturano nello spazio
socio-culturale insieme alle idee fisse (che è l’incubo più opprimente) e ai comportamenti irrazionali e distruttivi propri delle
pulsioni istintive, compreso l’«istinto di morte», come istinto di
distruzione, volto verso l’esterno (istinto aggressivo), come verso
se stessi, che «è spinta a ritornare allo stato inorganico»252. Questo
248 B. ROMANO, Il senso esistenziale del diritto nella prospettiva di Kierkegaard,
cit., p. 278.
249 L’idea della pena come vendetta si riallaccia a Kant per il quale la legge
penale è un imperativo categorico che assume i tratti della legge del taglione.
Cfr. F. STELLA, La giustizia e le ingiustizie, cit., cap. X , § La vana ricerca dell’idea di giustizia nel dibattito sui fondamenti della pena, p. 179 e ss. Il male in
F. DOSTOEVSKIJ, I Demoni, Torino, cit., p. 695 e ss. Bisogna avvertire che nel
nuovo paradigma del diritto penale funzionale, si osserva un allontanamento
dei tradizionali fini della pena, come quelli di retribuzione, prevenzione speciale e intimidazione.
250 Diceva Marx, infatti, che l’uomo è il prodotto delle sue circostanze.
Pertanto, dovremo umanizzare le circostanze.
251 B. ROMANO, Tecnica e giustizia nel pensiero di Martin Heidegger, cit., §
Il disvelamento provocante come “il pericolo”, p. 54 e ss.
252 K. JASPERS, Psicopatologia generale, cit., p. 345.
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RELAZIONI
sensibile tema costituisce una delle aree più complesse della psicopatologia sociale, per spiegare la devianza e l’antisocialità di
tanti reati ricorrenti nella società attuale, le cui cause endogene ed
esogene diventano disfunzionali al modello sociale dell’universale dipendenza di cui si occupa Romano. Le ideologie estreme
hanno dato luogo a dittature o a sistemi legati al cosiddetto «normativismo assiologico»253, oppure alla semplice concezione normativa del diritto, criticata da Santi Romano, che esclude «l’apertura verso il mondo dei fatti e la riscoperta della normatività dei
fatti»254, del suo potere normativo che spetta ai giudici fare, sollecitando la riflessione sul presente, tempo veduto e consumato, sul
futuro e sull’urgenza di recuperare la soggettività perduta a causa
«del vuoto lasciato dall’oblìo dell’essere» chiamato a vivere da
uomo e non da servo.
Come insegna Romano «il trasformarsi della giustizia in funzione del volere incondizionato»255 rende tutti possibili domina253 Rappresentato da H. Mezguer, che caratterizzò il diritto penale nazista,
cfr. anche B. ROMANO, Tecnica e giustizia nel pensiero di Martin Heidegger, cit.,
§ La nascita dei valori, p. 75 e ss.
254 S. ROMANO, L’ordinamento giuridico, cit., p. 86 e ss. P. Grossi, si riferisce così a questa visione del diritto: «…un diritto che nasce dal basso, all’insegna di una schietta spontaneità, una dimensione ontica della società, perché in
essa radicale e perciò vivente nella coscienza collettiva, una dimensione oggettiva giacchè autoorganizzazione prima che norma». P. GROSSI, Il diritto tra potere ed ordinamento, Napoli, 2005, p. 9. Questa teoria è di fondamentale importanza nel campo del diritto penale, non solo per la configurazione dell’antigiuridicità, nel confronto tra quella intesa formalmente e materialmente, ma di
fronte alle cosiddette norme penali in bianco e agli ingredienti normativi extragiuridici, che spetta ai giudici risolvere, L. FERRAJOLI, Principia juris, cit., p. 10
e ss., p. 20 e ss., p. 53 e ss., p. 432 e ss., p. 441 e ss., che parlano della metateoria del diritto, della pragmatica delle norme.
255 Romano muove da Heidegger quando afferma che «i dominatori sono
un evento coerente del vuoto […] il dominatore è colui che organizza il
vuoto…» aggiunge Romano: «l’avvento del Führer è da ricondursi al vuoto proprio della metafisica del pensiero calcolante, che richiede solo un ordine e una
sicurezza per l’uomo ridotto ormai da ec-sistente a semplice assente» e, aggiun-
ABELARDO RIVERA LLANO
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tori e presta il fianco alla «filosofia del volere che penetra ogni
pensiero contemporaneo riducendolo ‘all’impotenza’ del nonpotere dire l’ente» come «ente»256 «nell’impotenza del solo vedere» (l’accadere dello spettacolo dove tutto è possibile nella contingenza) del non ex veritate sed auctoritate257 tipico dei dittatori
che, posseduti dalle loro opinioni, fanno in modo «che né le prospettive politiche né quelle economiche, sociologiche, tecniche,
scientifiche, religiose o metafisiche, nel senso criticato da
Heidegger, siano capaci di pensare al problema della giustizia nel
nostro tempo. In questa condizione, il pensiero moderno non
diverrà autentico finchè non ci sarà coscienza dei pericoli che le
assolutizzazioni della ragione, intesa come calcolo, dove prima
l’estremo egoismo possono costituire per l’instaurazione dell’ordine nella sua incidenza sul destino dell’uomo»258, per far fronte
al «caotico ordine del caos»259, dato che l’uomo non può vivere
senza alcun perché nel senso dato, senza alcuno scopo, equivalente alla causa finale, che va oltre il divenire nella semplice natura
vivente260.
Da queste parole si può risalire al senso più profondo della
ge «ciò spiega la maggiore rilevanza data alla comprensione del “Pericolo” che
nel presente pone in ombra la “Salvezza”, contraria a ciò che dice Hölderlin nel
Patmos: «prossimo è il dio e difficile afferrarlo dove però è il rischio anche ciò
che salva cresce». HȮ˙LDERIN, Le liriche, Milano, 1977, vol. II, p. 261, pp. 127,
55, 59 ss; M. BELLET, Il pensiero che ascolta. Come uscire dalla crisi, Milano,
2006, § Il vuoto, p. 141 e ss., U.C. MONTAGNI, L’evoluzione presocratica, cit., p.
97 fa risalire l’idea del vuoto agli eleatici, «L’affermazione del vuoto era dunque
nata da necessità di sistema, come già la negazione…».
256 B. ROMANO, Heidegger, l’essere-con gli altri e il diritto, cit., pp. 473-475.
257 M. BARCELLONA, Critica del nichilismo giuridico, Torino, 2006, p. 42.
258 B. ROMANO, Tecnica e giustizia nel pensiero di Martin Heidegger, cit., p.
112 e ss e p. 121.
259 D.M. CANANZI, Artificiale versus artificioso, cit., p. 192. Idea già presente nel pensiero greco da un tempo abbastanza remoto che indicava una via di
mezzo tra l’infinito e la condizione nostra dello spazio.
260 B. ROMANO, Filosofia della forma, cit., passim.
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RELAZIONI
domanda che si pone Augè sulla necessità di pensare il futuro,
ove «l’uomo non sia esclusivamente un essente ma bensì un ecsistente» cioè «colui che è capace di ascoltare una voce che non
sia la sua: la voce dell’Essere» che gli consenta di ‘esistere come
altro’ senza essere mangiato261 dal potere, tanto più quando è
senza giustizia e terzietà, che ripropone la visione di Supiot ricordata all’inizio, per far vedere il ruolo trascendentale del Terzo
imparziale e disinteressato262, capace di fermare il potere, per far
sì che si possa fondare sulla possibilità ‘effettiva di mettere in
discussione la parola’, dato che, afferma Avitabile «il potere dello
Stato, oltre a presentarsi come potere legislativo, è anche il potere di trasmettere il capitale simbolico della tradizione storica
attraverso il loro riconoscimento…»263, in una società, intesa
261 Mangiare sopprime la differenza: si assimila ciò che si mangia, ciò che
mangiamo diventa noi. Se potessimo mangiare l’altro lo conosceremo completamente, ma lo sopprimeremmo. «Ci sono tanti modi di ‘mangiare’… per
esempio togliendo la parola perché sappiamo già cosa sta per dire, lo conosciamo e gli impediamo di parlare: ‘mangiamo le sue parole’. Il punto di non-conoscenza dell’altro reclama che gli si lasci la parola. Egli ha bisogno della sua
parola per esprimersi e noi non lo conosciamo mai interamente». M. A.
OUAKNIN, Le dieci Parole, cit., p. 259; B. ROMANO, Filosofia del diritto, cit., p.
12 e ss. Qui si legge: «… la dimensione del logos non è esauribile nella dualità
del conoscersi, ma si presenta nel formarsi triale dell’iscrizione di senso, posta
in opera da ciascun singolo, con il suo ipotizzare, sollecitato dall’ipotizzare dell’altro; questo relazionarsi ipotizzante si svolge nel luogo-misura del terzoAltro, oltre il piano giuridico dell’essere-più di una parte che esclude l’altra,
togliendogli la parola-ipotesi … ».
262 Spiegato da Romano tramite il cosiddetto triangolo edipico: «la madre,
il padre ed il figlio…», «la figura del padre mostra l’opera della terzietà, le sue
regole hanno contribuito a consentire la permanenza della persona umana,
garantendo che la nuova vita sia custodita in quanto vita dell’uomo e dunque
incondizionatamente, senza le attenzioni ai metri dell’utile biologico o economico, giuridicamente impersonali. Il padre rappresenta qui la terzietà costitutiva del diritto ed opera secondo gli imperativi dell’imparzialità e del disinteresse …», B. ROMANO, Male ed ingiusto, cit. p. 148.
263 L. AVITABILE, Per una fenomenologia del diritto nell’opera di E. Stein,
cit., p. 8.
ABELARDO RIVERA LLANO
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come associazione (e non comunità) artificiale fra individui che
mantengono la propria autonomia regolando i propri rapporti tra
il nomos costruttivo-terzietà e trialità, come struttura ortonomoma del diritto264, centrata sull’eunomia, cioè l’ordine che supera il
disordine per fronteggiare l’anomia, la mancanza di ordine, di
norme.
È qui che si pone il problema dell’ordine pubblico265, l’ordine
sociale. Il problema sollevato già da Agostino, nella Città di Dio,
quando si interroga «che cosa sono gli Stati, se non delle grandi
bande di ladri? Perché anche le bande dei briganti, che cosa se
non dei piccoli Stati? È pur sempre un gruppo di individui che è
retto dal comando di un capo, è vincolato da un patto sociale e il
bottino si divide secondo le leggi della convenzione». E commenta Romano: «ogni pluralità di uomini – negli Stati o nelle bande –
condivide un mondo e ha, come suo strumento di conservazione,
dei diritti fondamentali, che possono rispettare o violare i diritti dell’uomo»266, tra i quali, quello di diventare uomo, fondato sullo spirito che è la libertà, la quale non può essere sostituita dal caso o dalla
necessità 267, dove non si danno i diritti incondizionati, ma condizionati «dalla contingenza del mercato…»268, recuperando l’esercizio
264 B. ROMANO, Ortonomia della relazione giuridica, cit., § Ortonomia come
unità di Reale, Simbolico ed Immaginario e § Poter essere un tutto, nell’unità di
reale, simbolico ed immaginario, p. 198 e ss.
265 S. AMATO, L’ordine pubblico, relazione inedita Facoltà di Giurisprudenza,
Università di Catania, 2010. Afferma l’autore : «L’idea di ordine evoca la normalità della vita sociale e l’idea di pubblico, il limite entro il quale il legislatore deve
garantirla, perché ‘il criterio giuridico è l’apprezzamento delle azioni umane, non
sotto il punto di vista dell’ego o dell’alter, ma del socius. Il legislatore come il giudice, rappresenta il socius che si frappone – potenzialmente o effettivamente –
fra le parti. Tutte le norme giuridiche, quelle attinenti al diritto privato, non
meno che quelle attinenti al diritto pubblico, mirano all’interesse collettivo, alla
normalità della vita, all’ordine pubblico», p. 10.
266 B. ROMANO, Diritti dell’uomo e diritti fondamentali, Torino, 2009, p. 175.
267 P. BARCELLONA, L’epoca del post-umano, cit., p. 14.
268 B. ROMANO, Filosofia del diritto, cit., p. 27.
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RELAZIONI
del pensiero-parola, che è l’unica cosa che ci aspetta in questo periodo storico del tempo veduto e consumato, che è quello, ci ricorda
Nancy «di naufraghi senza ritorno» in un vuoto di senso.
Francesco Mercadante
Ringrazio il professore e collega Abelardo Rivera per la sensibilità squisita con cui ha rinunciato a leggere l’intero suo testo che
spero sia acquisito agli atti. Nel suo contributo leggiamo, io, in particolar modo, ritengo pregevole il suo richiamo da me, appena, tra
l’altro, adombrato, alle dottrine della giustizia che ci vengono dalla
classicità, in particolare da Aristotele e da Platone, ma comunque è
chiaro che della relazione del professor Rivera ciò che interessa di
più e che sentiamo ormai con una certa apprezzabile ricorrenza è
l’eco del magistero di Bruno Romano. Questa è una cosa importante perché non è certamente chiusa nell’ambito dell’attività universitaria, ma va veramente a un testo e a una filosofia, direi una concezione della filosofia del diritto di molto più ampio respiro. Ora
prego il professor Giampaolo Azzoni di prendere la parola.
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