Europa - Diritto privato comparato

Pierpaolo Bellucci
DIRITTO PRIVATO
COMPARATO
2008
Appunti tratti da:
Diritto privato comparato. Istituti e problemi, Laterza 2006
Istituzioni di diritto privato, Giuffré 2002
www.wikipedia.it
L’AMBITO DEL DIRITTO PRIVATO
Per diritto privato s’intende il diritto degli interessi particolari e disponibili: dunque
bisogni, esigenze, valori e finalità di cui gli stessi interessati possono, in certi limiti, cercare
la soddisfazione o accettare il sacrificio. Il diritto pubblico cura gli interessi generali,
mentre il diritto privato s’interessa delle parti in una posizione di reciproca eguaglianza,
ma anche dell’autonomia privata (regolare da sé la soddisfazione dei propri interessi) e
tutta la sfera giuridica del contratto. I settori in cui prevalgono le caratteristiche del diritto
privato sono quelli che formano lo scheletro del codice civile: diritto delle persone e della
famiglia, successioni ereditarie. Alcune di queste materie assumono il carattere di
autonome discipline come il diritto civile o il diritto commerciale. I caratteri del diritto
pubblico si ritrovano nelle norme che regolano l’attività degli organi costituzionali e della
pubblica amministrazione, gli obblighi dei cittadini verso lo Stato, la prevenzione e
repressione dei reati, lo svolgimento del processo. Le discipline che se ne occupano sono il
diritto tributario, penale, amministrativo. Anche tra più soggetti pubblici possono esistere
rapporti disciplinati dal diritto privato. In Europa il movimento di codificazione del diritto
privato s’identifica con alcune grandi tappe: codici napoleonici (1804); formazione del
Codice civile generale austriaco del 1811; formazione del Codice civile dell’Impero
germanico (1900). Il Regno d’Italia, unificato nel 1861, nel 1865 si è dotato del Codice civile
e del Codice di commercio, ricalcati sul modello dei codici francesi. Prima della
codificazione non esisteva un apparato unitario di regole, ma esistevano leggi scritte
emanate dall’autorità statuale, cioè dal sovrano. Queste leggi non formavano un sistema
completo né coerente. Esistevano anche altre regole di cui tener conto: statuti municipali,
statuti delle corporazioni mercantili, regole legate alla gerarchia feudale, diritto della
Chiesa. I vuoti erano colmati dal diritto consuetudinario (costumi), che si poteva conoscere
attraverso raccolte curate dai giuristi. Quasi alla base della vita giuridica stava il diritto
romano, così come si conosceva nella codificazione di Giustiniano (VI secolo): questo era
concepito come diritto comune ai diversi Stati. La complessità delle fonti di diritto si
combinava con quella delle autorità giudicanti: la giurisdizione (potere di dettare norme e
fare giustizia) del sovrano si incrociava con quella feudale, municipale, canonica.
COMPARAZIONE GIURIDICA E UNIFICAZIONE DEL DIRITTO
Il diritto uniforme tenta di superare i contrasti esistenti tra le varie esperienze giuridiche
nazionali, proponendo una normativa comune, intesa a risolvere le questioni specifiche
che ne formano l’oggetto in modo uguale da chiunque e ovunque esse vengano affrontate
e risolte. Il movimento per una progressiva unificazione internazionale del diritto prende
inizio sul finire dell’Ottocento, più o meno nello stesso periodo in cui si completano le
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codificazioni nazionali. I primi passi verso il ripristino di una maggiore uniformità
normativa a livello internazionale vennero compiuti nel settore delle creazioni
intellettuali (Convenzione di Parigi per la tutela della proprietà industriale del 1883;
Convenzione di Berna sulla protezione delle opere letterarie e artistiche del 1886). I primi
argomenti soggetti a comparazione furono il trasporto ferroviario, la navigazione
marittima, il diritto di famiglia, la tutela degli incapaci e l’assistenza giudiziaria
internazionale. Addirittura vi fu anche l’idea di procedere all’elaborazione di un vero e
proprio codice universale. Il secondo conflitto mondiale rappresentò anche per il
movimento per l’unificazione del diritto una cesura profonda. Quando agli inizi degli anni
Cinquanta da più parti si cercò di rilanciarlo, riprendendo i lavori su progetti rimasti in
sospeso oppure promuovendo nuove iniziative, apparve subito chiaro come il contesto
internazionale era cambiato. In più, fin dai primi anni del dopoguerra era in atto una
contrapposizione, sul piano ideologico e politico, tra Est ed Ovest, cui si sarebbe poi
aggiunto, a partire dagli anni Sessanta, il contrasto, per ragioni economiche, tra i paesi
industrializzati del Nord e quelli di nuova formazione e ancora in via di sviluppo del Sud.
Apparve subito chiaro che, accanto ai soliti contrasti di carattere tecnico tra i sistemi di
civil law e quelli di common law, vi sarebbero stati da sciogliere anche una serie di nodi
politici, quali il principio della libertà di forma e la necessità nella determinazione del
prezzo ai fini della valida conclusione del contratto, per quanto concerne i rapporti EstOvest, oppure la rilevanza degli usi, i termini per la denuncia dei vizi della cosa o il diritto
di sospendere l’adempimento per l’alterarsi delle condizioni economico-finanziarie della
controparte, nei rapporti Nord-Sud.
Prospettive agli inizi del Duemila
Il crollo dei regimi socialisti dell’Est europeo e il tramonto nella stessa Cina del mito del
monopolio e dirigismo statale nell’economia dovrebbero favorire un riavvicinamento tra
questi paesi e il resto del mondo non solo sul piano politico ed economico, ma anche su
quello giuridico. Più problematico appare il discorso con riferimento ai rapporti NordSud. Tutto lascia prevedere che, almeno a breve termine, il divario tra i paesi
industrializzati c.d. occidentali e quelli del Terzo Mondo, tenderà ad aumentare
ulteriormente, con la conseguenza che i loro rapporti continueranno ad essere improntati
ad un clima di reciproca diffidenza, se non di aperta conflittualità. E’ altresì vero che,
seppur in mancanza di una formale adesione da parte dei paesi in via di sviluppo alle
singole convenzioni o leggi uniformi, i loro operatori economici se ne avvalgono sempre
più di frequente in occasione delle loro contrattazioni con i partner dei paesi
industrializzati, e ciò per disporre di un modello cui rifarsi per decidere il tipo di
regolamentazione da concordare.
Le diverse forme o tecniche di unificazione
Unificazione legislativa. E’ ancora oggi la più diffusa tecnica di unificazione: esempio
tipico è il diritto comunitario, nelle sue due fonti principali del regolamento e della direttiva.
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Unificazione giurisprudenziale. Il rimedio più radicale per assicurare questo risultato
consiste nell’attribuire ad un tribunale internazionale la competenza a decidere in via
preliminare le questioni relative all’interpretazione dei singoli prodotti di diritto uniforme,
imponendo nello stesso tempo ai giudici nazionali di sospendere la decisione fino alla sua
sentenza, per poi conformarvisi. Limitandoci all’esempio dell’ormai ricca giurisprudenza
formatasi con la Convenzione di Bruxelles sulla competenza giurisdizionale e l’esecuzione
delle sentenze, c’è da dire che già il metodo seguito dalla Corte nell’interpretare la
Convenzione, vale a dire il fatto di non fermarsi all’interpretazione letterale del testo, valutando
invece gli obiettivi perseguiti dal legislatore, ha rappresentato una novità, quanto meno per i
paesi di common law, dove peraltro gli stessi giudici nazionali hanno cominciato ad
assumere un atteggiamento analogo. Inoltre, quando si trattava di determinare l’esatto
significato da attribuirsi a termini e concetti usati dalla Convenzione, ma dalla stessa non
meglio definiti (materia civile e commerciale, fallimento, contratto, succursale, agenzia, o
qualsiasi altra filiale) la Corte ha sempre cercato, nei limiti del possibile, di fornire
un’interpretazione autonoma, vale a dire di ricavare il significato dei singoli termini e
concetti in questione dalla Convenzione stessa, oppure dai principi comuni ai sistemi
giuridici di tutti gli Stati contraenti, anziché da un singolo ordinamento nazionale. Il
metodo più efficace per raggiungere quest’obiettivo consiste nel considerare il modo in cui
il rispettivo prodotto di diritto uniforme viene inteso e applicato negli altri paesi. Tanto
più meritano di essere apprezzati gli sforzi compiuti da quei giudici nazionali che,
confrontati con una questione interpretativa riguardante una determinata convenzione di
diritto uniforme, hanno cercato di tener conto, in misura più o meno sistematica e
completa, dei precedenti stranieri esistenti in materia, uniformandosi nei limiti del
possibile. In più, in questi ultimi anni si registrano una serie di iniziative volte ad
assicurare, anche con l’aiuto dell’informatica e della comunicazione elettronica, una più
diffusa conoscenza delle varie decisioni nazionali in materia di diritto uniforme. Una di
queste iniziative è Unilex, una banca dati creata e continuamente aggiornata dal Centro di
studi e ricerche di diritto comparato e straniero in Roma.
Unificazione contrattuale. Un’altra forma di unificazione da tempo praticata è quella che
si attua sul piano contrattuale, attraverso l’impiego, in occasione delle singole operazioni
tipiche del commercio internazionale, di strumenti negoziali largamente diffusi a livello
internazionale o sovraregionale. Fu per ovviare a questo stato di cose poco favorevole ad
un ordinato svolgimento dei traffici commerciali, che alcuni organismi internazionali
neutrali hanno preso l’iniziativa di elaborare strumenti contrattuali che fossero, oltre che
contenutisticamente più equilibrati, anche nella forma autenticamente “internazionali” o
“transnazionali”, senza legami, cioè, con istituti e concetti propri di questo o di quest’altro
sistema giuridico nazionale, e come tali suscettibili di essere intesi in maniera
sostanzialmente uniforme ovunque e da chiunque dovessero essere in concreto adottati.
Difficile stabilire fino a che punto i recenti strumenti contrattuali a vocazione
autenticamente internazionale siano in pratica riusciti a sostituirsi ai prodotti del
tradizionale diritto corporativo.
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Unificazione dottrinale. Altrettanto evidente è l’importanza dell’apporto dottrinale in
sede di interpretazione del diritto uniforme esistente. A tal proposito, rilevante è
l’iniziativa dell’Unidroit per l’elaborazione di principi dei contratti commerciali
internazionali. Pubblicati nel 1994, i principi Unidroit rappresentano una sorta di codice
del diritto dei contratti a vocazione universale, inteso a rispecchiare tutti i principali
sistemi giuridici del mondo e a soddisfare le esigenze dei rapporti commerciali Est-Ovest
non meno che Nord-Sud.
Unificazione del diritto e circolazione dei modelli
L’ipotesi normale è indubbiamente quella del travaso di modelli dagli ordinamenti
nazionali verso la disciplina di diritto uniforme, ma vi possono anche essere dei casi in cui
sono viceversa le soluzioni elaborate a livello internazionale ad essere imitate dai singoli
legislatori statali, anche al di là dell’ambito di applicazione dello stesso diritto uniforme. A
volte, poi, più che di circolazione, sarebbe opportuno parlare di vera e propria invenzione
di modelli, visto che le soluzioni raggiunte in sede di elaborazione del diritto uniforme
non trovano un diretto riscontro in alcuno dei modelli preesistenti. Sempre nell’ambito del
diritto uniforme si può infine distinguere tra una circolazione formale o palese ed una
circolazione informale o non dichiarata dei modelli. Ebbene, è precisamente in questa
ulteriore fase che si può verificare una nuova circolazione di modelli, non più a livello
legislativo, bensì ad opera della dottrina e della giurisprudenza, le quali, infatti, possono
distorcere il vero significato della normativa uniforme interpretando i suoi termini e
concetti, anziché in via autonoma, secondo il significato che essi tradizionalmente
assumono all’interno di un particolare ordinamento internazionale.
Unificazione del diritto ed esigenze di riforma
Il più delle volte le materie, in ordine alle quali tentare di giungere ad una
regolamentazione uniforme, venivano prescelte non già sulla base di valutazioni
intrinseche, bensì muovendo dalla semplice constatazione che le stesse risultavano
regolate all’interno dei singoli ordinamenti nazionali in maniera difforme, e che vi erano
comunque buone probabilità di giungere ad una loro disciplina unitaria. Non dunque
l’unificazione del diritto in quanto tale è da criticare, ma soltanto l’idea che essa
rappresenti un valore assoluto, e quindi possa, anzi debba, essere perseguita senza tener
conto, da una parte, del tipo di disciplina positiva che nell’ambito dei singoli ordinamenti
si pretende di sostituire, e dall’altra parte, del tipo di regolamento uniforme che si intende
predisporre a livello internazionale. In effetti, tralasciando quei settori come il diritto
penale, amministrativo o fiscale, laddove si fa particolarmente sentire il diverso modo di
concepire i rapporti tra Stato e società civile, tra autorità pubblica e cittadino privato,
anche nell’ambito del diritto privato si nota la propensione da parte dei legislatori
nazionali a prendere in considerazione interessi di carattere generale. Per quanto concerne
poi il tipo di disciplina uniforme che si intende elaborare, il primo problema riguarda
naturalmente la determinazione del suo oggetto. Una volta definito l’ambito di
applicazione della progettata disciplina uniforme, si pone naturalmente il problema dei
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criteri da seguire per l’elaborazione del suo contenuto. Disciplinando esclusivamente i
rapporti internazionali, sembrerebbe ovvio cercare i punti in comune tra le varie
legislazioni. Discorso diverso nell’ipotesi di un’unificazione integrale, riguardante cioè
anche la disciplina dei comuni rapporti interni. In questo caso si tratta di realizzare un
vero livellamento tra i vari diritti positivi nazionali. La comparazione non deve essere uno
strumento per uccidere i diritti nazionali, bensì deve porsi l’obiettivo di livellare le differenze,
convergendo verso un’ampia armonizzazione tra le varie codificazioni.
IL MODELLO INGLESE DI PROPRIETÀ
Il giurista inglese troverebbe difficoltà nel comparare il concetto di proprietà presente
negli ordinamenti di civil law, con il proprio concetto di property. Infatti, in italiano il
termine proprietà assume un significato spiccatamente giuridico, cosa che non avviene
nella lingua inglese. Un termine che esemplifica in maniera simile il concetto di proprietà,
comune sia all’area di civil law che a quella di common law, è “dominion”, che indica un
rapporto di appropriazione totale ed esclusiva. Questo termine ha radici feudali, ma col
passare dei secoli e l’infittirsi dei codici di diritto non è stato in grado di rispondere alla
casistica sviluppatasi. Infatti, se una tale res è posseduta da più persone, magari in
maniera diversa, come bisogna comportarsi?
Property e law of property
Il problema relativo al confronto tra modello romanistico e inglese di proprietà
consisterebbe in una diversa tessitura grammaticale. Nel caso del modello romanistico, come
risulta configurabile alla luce di una tradizione culturale che ha radici nel mondo romano, la
nozione di proprietà va intesa nel significato di diritto assoluto ed esclusivo del soggetto su una
cosa, mobile o immobile che sia. Nozione che viene tenuta distinta dal possesso. Il tutto,
naturalmente, in un quadro di varianti nazionali più o meno importanti per la
ricostruzione del modello. Nel modello inglese, si osserva che il termine property riveste una
marcata connotazione patrimonialistica, usandolo sia in termini soggettivi (con riferimento ai
diritti reali 1), sia in senso oggettivo (con riguardo ai beni, materiali e immateriali, inclusi
anche i diritti personali, in quanto considerati tutti insieme elementi costituenti la
ricchezza di una persona, cioè il suo patrimonio).
Real property. La prima delle due categorie di property attiene, storicamente, alle
situazioni di carattere possessorio, in origine interne al mondo delle concessioni feudali,
Il diritto reale ha per oggetto una cosa (in latino res) e la segue indipendentemente dal suo proprietario.
Caratteristiche peculiari dei diritti reali sono: l'assolutezza, cioè possono essere fatti valere erga omnes, contro
tutti, e non solo contro l'alienante; l'immediatezza del potere sulla cosa; tipicità, cioè sono stabiliti dalla
legge e patrimonialità, in quanto il contenuto è prevalentemente economico. Nel nostro sistema giuridico
sono a numero chiuso, e tra di essi spicca: il diritto di proprietà (il diritto reale fondamentale), affiancato dai
“diritti reali minori” (o “diritti reali su cosa altrui”), che a loro volta si distinguono in: diritti reali di
godimento (l'enfiteusi, il diritto di superficie, l'usufrutto, il diritto reale d'uso, il diritto reale di abitazione, le
servitù (o servitù prediali); e i diritti reali di garanzia (il pegno e l'ipoteca).
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riguardanti il libero godimento di fondi, tutelate mediante azioni reali, dirette ad ottenere
la reintegrazione nel possesso dello specifico bene.
Personal property. La seconda categoria si estende ad un’eterogenea gamma di beni
mobili e diritti, quest’ultimi anche relativi ad immobili. Tali beni sono stati tutelati, ancora
fino al secolo scorso, mediante azioni personali che non ne assicura la restituzione in
forma specifica, stante la facoltà del convenuto di pagarne il valore.
Un’eterogeneità di casi. Tuttavia, nell’odierno diritto inglese, e più in generale, nei paesi
di common law, la scomparsa del regime feudale, l’abolizione delle antiche azioni reali e
delle regole di diritto successorio, incidenti sui diversi modi di devoluzione, ha
determinato una progressiva attenuazione delle ragioni alla base dell’originaria
contrapposizione tra realty e personality. Ciò ha portato all’attuale giurisprudenza, che
differenza in maniera sostanziale solo i diritti su beni mobili e immobili. Venendo ai
contenuti della materia, c’è da osservare che di legge di proprietà si parla principalmente
con riferimento ai beni, ma in alcuni casi la si riferisce anche ai diritti di famiglia,
successorio e fallimentare. La confusione creatasi con questa eterogeneità di significati, ha
portato il mondo giuridico medievale a non legiferare in maniera chiara sulla nozione di
proprietà, con il risultato che si sono sviluppati una miriade di casi, tesi a fare chiarezza
sulla moltitudine di “beni incorporali”, che stando alla legislazione vigente, erano da
assimilare ad appezzamenti di terra, quando in realtà non lo erano affatto.
Ownership e possession
Al pari, e forse più di property, anche il termine ownership (avere come proprio, possedere), in
assenza di una specifica nozione tecnica che ne traduca il significato corrente di “possesso
in nome proprio”, “titolarità”, si presenta poco compatibile con il lessico romanisticocontinentale, che non legifera su una nozione di uguale significato. Infatti nella
giurisprudenza di common law il termine ownership sta a significare il possesso su una
cosa, mentre nell’area di civil law il termine proprietà è svincolato dalla fisicità
dell’oggetto in questione. In passato la differenza di concezioni su questo tema era ben più
ampia, ora la comparazione ha sortito l’effetto di associare il termine ownership con la
proprietà del bene fisico, in particolare se si tratta di un appezzamento di terreno. In
definitiva, possiamo asserire che non solo la disciplina dei diritti sui beni immobili (land
law), ma tutto lo scibile attinente alla law of property, continua ad essere caratterizzato
dall’assenza di un’idea precisa di proprietà. Uno dei tratti caratterizzanti il modello
inglese, per contrasto con quello romanistico di proprietà, è dato dalla connessione tra i
concetti di ownership e possession. Mentre in Italia e negli altri ordinamenti giuridici
continentali, proprietà e possesso non sono sinonimi, nel mondo anglosassone formano una nozione
composita, quella di possessory ownership, che si basa sul principio di possesso come presunzione di
proprietà. Appare evidente che l’equazione ownership-title-possession, ovvero l’idea di
ownership ancorata al suo fondamento possessorio per via del titolo che ne scaturisce, dà
come nozione finale quello di una proprietà relativa, concepita quale possesso provvisto,
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appunto, di un titolo migliore al diritto corrispondente: nel senso che tutti i titles of land
così fondati si dimostrano essenzialmente relativi, ovvero graduati in un ordine di priorità.
Conclusione
Per tentare di riassumere i modelli di proprietà nell’ambito delle due maggiori tradizioni
giuridiche europee occidentali, possiamo dire che il modello di common law
(contrariamente a quello di civil law) è riferibile alla proprietà delle cose in senso
materiale, e alla titolarità di diritti qualificabili come un insieme di poteri relativi alle cose
(anche immateriali). Tra i due modelli finisce per essere segnato un duplice paradosso. Da
un lato, quello per cui nei paesi di civil law, muovendo da una base di concretezza estrema
(le res corporales) si perviene a toccare le vette di un’estrema astrattezza, inseguendo il
miraggio di un diritto assoluto di proprietà. Dall’altro lato, quello per cui nei paesi di
common law, muovendo al contrario da un’astrattezza estrema, si perviene a toccare il
limite di una relativizzazione dei diritti reali, fino a farne dei semplici diritti al possesso o
diritti personali 2.
LINEAMENTI DI DIRITTO CONTRATTUALE
A livello di comparazione del diritto contrattuale, ciò che stupisce è la sostanziale
uniformità dei trends evolutivi nelle esperienze straniere di maggior riferimento, nei
progetti di codificazione uniforme e nelle regole del commercio internazionale:
un’uniformità che si risolve nel ripensamento della stessa categoria logica e pratica di
“contratto”, e nel dissolvimento del modello tradizionale di contratto. Si possono
segnalare alcuni aspetti nell’evoluzione del diritto contrattuale:
1. Rilevanza dello status delle parti;
2. Rilevanza delle tecniche di controllo interno dell’operazione economica, con strumenti quali la
causa, l’oggetto e la forma;
Il diritto soggettivo è una situazione giuridica soggettiva attiva, attribuita ad un soggetto di diritto nel suo
interesse. Il termine diritto viene usato anche in senso oggettivo, per denotare l'insieme delle norme che
costituiscono l'ordinamento giuridico (ad esempio, il diritto italiano, svizzero, canonico, internazionale ecc.)
o una sua parte (ad esempio, il diritto civile, amministrativo, costituzionale); in relazione a questo significato
si parla di diritto oggettivo. La dottrina più recente, ritiene che il termine diritto, quando viene usato dai
legislatori e dai giuristi in senso soggettivo, assuma diversi significati; infatti può di volta in volta significare:
una particolare situazione giuridica soggettiva attiva elementare, che si può denominare anche pretesa e che
nel rapporto giuridico è correlata all'altrui dovere od obbligo; una qualsiasi situazione giuridica soggettiva
attiva elementare, ossia un diritto nel senso di pretesa, una facoltà, un potere o un'immunità (intesa come
situazione correlata alla mancanza di potere); un complesso di situazioni giuridiche soggettive attive
elementari (ad esempio, il diritto di proprietà su di un bene è scomponibile nella facoltà di utilizzarlo, nella
facoltà di modificarlo, nel potere di alienarlo e così via). Come si è detto il diritto soggettivo, inteso come
pretesa, è correlato nel rapporto giuridico alla corrispondente situazione giuridica passiva, il dovere od
obbligo, in capo ad un altro soggetto. Al riguardo si distingue: il diritto assoluto, che il titolare può far valere
nei confronti di chiunque e che è correlato ad un dovere in senso stretto, negativo (di non fare); il diritto
relativo, che il titolare può fare valere nei confronti di uno o più soggetti determinati, sui quali grava il
correlato obbligo, negativo (di non fare) o positivo (di fare o dare).
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3. Applicazione di criteri di “giustizia contrattuale” con riferimento ai valori della persona e
all’equità dello scambio;
4. Applicazione di clausole generali per il controllo del comportamento delle parti nella fase
prenegoziale, nella fase di conclusione ed in quella di esecuzione del contratto;
5. Adattamento del contratto alle circostanze sopravvenute;
6. Codificazione sociale di formule contrattuali internazionali;
7. Affidamento della soluzione delle controversie ad organi extragiudiziali.
I processi di armonizzazione e di unificazione della disciplina del contratto non si
realizzano in ragione delle asserite radici comuni, e neppure sotto il segno di una fittizia
definizione di una trama comune di valori, quanto attraverso i propositi pratici ed
economici che accomunano i giuristi nel tentativo di agevolare gli scambi di beni, servizi e
capitali. In altre parole, il sostrato economico è il tessuto connettivo di questi processi: è la
concezione del contratto come veste giuridica dell’operazione economica quella che
accomuna i testi predisposti per il raggiungimento di una lingua comune. Non si
costruisce un’Europa comune se non si costruisce un edificio giuridico comune. Non si
promuovono le relazioni economiche se si mantengono in vita gli steccati costituiti da
lingue diverse, categorie concettuali diverse o contrapposte, da regole giuridiche diverse o
configgenti. L’analisi di questi fenomeni deve tenere distinti tre piani di lettura:
1. Tipizzazione dei contratti;
2. Sufficienza del consenso;
3. Rilievo dei patti nudi.
La causa gioca un ruolo fondamentale in tutti i piani: come elemento qualificante il tipo,
come elemento integrativo del consenso, come elemento integrativo del consenso, come
elemento di controllo della meritevolezza e della liceità dei contratti.
Modelli contrattualistici (da www.wikipedia.it alla voce “contratto”)
Il concetto di contratto non è definito allo stesso modo in tutti gli ordinamenti giuridici.
Elemento comune di tutte le definizioni è, però, l'accordo tra due o più soggetti per
produrre effetti giuridici (ossia costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici),
quindi un atto giuridico e, più precisamente, un negozio giuridico bilaterale o
plurilaterale.
Le differenze tra common law e civil law
Nel linguaggio corrente e in quello economico il contratto è concepito come l’accordo tra
due o più soggetti per lo scambio di prestazioni: ad esempio, nella compravendita, che
rappresenta il prototipo del contratto in questa concezione, un soggetto trasferisce all’altro
un bene e, in cambio, riceve da questi una somma di denaro (il prezzo). Negli ordinamenti
di common law il contract è proprio questo: un accordo tra due o più soggetti connotato
dallo scambio di prestazioni e, quindi, dall’assunzione di obblighi da entrambe le parti (la
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cosiddetta consideration). Negli ordinamenti di civil law, invece, il concetto ha una
maggiore estensione, frutto di quella tendenza all’astrazione che caratterizza tali culture
giuridiche. Qui, infatti, vengono fatti rientrare tra i contratti non solo gli accordi connotati
da uno scambio di prestazioni e, quindi, dal sorgere di obblighi in capo a tutte le parti
(contratti bilaterali o sinallagmatici) ma anche quelli che, come la donazione, fanno sorgere
obblighi in capo solo ad una o ad alcune delle parti (contratti unilaterali). Nei paesi di
common law questi ultimi non sono considerati contratti, in quanto mancanti del requisito
della consideration; per produrre i medesimi effetti giuridici è necessario un atto
formalmente unilaterale, il deed, nel quale la consideration è sostituita da una serie di
requisiti formali (redazione per iscritto; firma della parte e suo sigillo, oggi sostituito dalla
dicitura "as seal"; presenza di un testimone; consegna del documento all'altra parte).
Inoltre, gli ordinamenti di civil law, a differenza di quelli di common law, ammettono
l'esistenza di contratti reali (sebbene la categoria non sia operativa in tutti gli ordinamenti):
questi, a differenza dei contratti consensuali, per perfezionarsi necessitano, oltre che del
consenso delle parti, della consegna dell’oggetto del contratto dall'una all'altra parte
(traditio rei); è il caso del deposito negli ordinamenti, come quello italiano, in cui ha natura
reale. Le situazioni che negli ordinamenti di civil law danno luogo ad un contratto reale,
nei sistemi di common law danno luogo ad un bailment, un rapporto giuridico in forza del
quale chi ha consegnato il bene (bailor) può chiederne la restituzione a colui che lo ha
ricevuto (bailee) non in virtù di un'obbligazione contrattuale ma della proprietà o del
possesso sul bene medesimo.
Le differenze all'interno dell'area di civil law
In realtà nemmeno all'interno dell'area di civil law il concetto di contratto ha ovunque la
stessa estensione. Infatti, mentre nell’ordinamento tedesco e in quelli ad esso ispirati è
considerato contratto qualsiasi atto negoziale bilaterale o plurilaterale, a prescindere dal
suo contenuto, in taluni ordinamenti di civil law, tra cui quello francese e quello italiano,
sono contratti solo quegli accordi con i quali si creano, modificano o estinguono rapporti
giuridici patrimoniali, vale a dire corrispondenti a interessi di natura economica (ossia
suscettibili di essere valutati in denaro). Di conseguenza, in questi ordinamenti il concetto
di contratto è più ristretto di quello di convenzione, che si estende anche agli accordi
relativi a rapporti giuridici non patrimoniali, mentre i due concetti vengono a coincidere
negli ordinamenti riconducibili al modello tedesco. Va aggiunto che nell’ordinamento
tedesco e in quelli ad esso ispirati la validità del contratto non richiede, oltre all’accordo
tra le parti, una causa poiché l’ordinamento conferisce validità alla dichiarazione di
volontà in sé (principio di astrattezza) a differenza di quanto avviene negli ordinamenti
dove vige il principio di causalità. Quella di causa è una nozione piuttosto sfuggente, che
risale al diritto romano o, meglio, alla sua rielaborazione ad opera dei giusnaturalisti del
XVIII secolo, ed è stata mantenuta nel Code Napoléon francese, donde si è diffusa negli
ordinamenti che ne hanno recepito il modello, tra cui quello italiano. La causa, variamente
definita sul piano teorico, finisce per riflettere l'esistenza di uno scambio di prestazioni nel
caso dei contratti a titolo oneroso (richiamando così la consideration anglosassone) e lo
spirito di liberalità, il cosiddetto animus donandi, nel caso dei contratti a titolo gratuito.
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Il contratto nel diritto inglese odierno
Nella giurisprudenza inglese, l’idea di contratto, intesa come espressione dell’eguale
potere di obbligarsi riconosciuto alle parti, tramonta alla fine del XIX secolo. Alcuni
studiosi (come Atiyah) rintracciano le radici di questo declino nella nuova economia, nel
tramonto del lassez-faire, nell’affermazione del principio di eguaglianza in senso
sostanziale (oltreché formale), nel declino del sistema dell’equity 3. Secondo Atiyah, questo
fenomeno può essere inteso in tre accezioni diverse:
1. Declino come perdita di rilevanza del ruolo del contratto nella società moderna;
2. Declino come sostituzione della libera scelta che dà luogo all’acquisizione di diritti, con una
scelta non volontaria del destinatario e imposta dall’intervento legislativo;
3. Declino della responsabilità fondata sulla promessa di fronte alla responsabilità fondata
sull’affidamento o sul benefit.
Nella sua accezione più comune, il contratto è costituito da uno scambio di promesse che
creano diritti e obblighi per le parti. L’espressione “promessa” è sempre usata
nell’accezione di promessa esplicita. Quando essa è implicita, è accompagna da
un’adeguata oggettivazione. L’opera di Atiyah tratta della descrizione della crisi della
promessa, intesa come manifestazione di volontà di per sé vincolante, senza riguardo alla
sua causa, cioè al perché della sua determinazione. Passando alla comparazione delle
diverse concezioni di causa, scopriamo che nelle codificazioni europee esistono tre modelli
normativi in materia di causa:
1. La causa può essere definita codificandone il significato.
2. La causa può essere menzionata ma non definita.
3. La causa può addirittura non essere menzionata.
Laddove essa è definita non è necessario il ricorso alla dottrina e alla giurisprudenza, cosa
che avviene laddove la causa non è definita, ma solo menzionata nei codici. Laddove,
infine, la causa non è neppure menzionata nei codici, si registra con maggiore evidenza il
divario tra il testo normativo e la costruzione dottrinale e giurisprudenziale del suo
significato. Nel caso italiano, la causa assume diversi ruoli:
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Dà il fondamento alla rilevanza giuridica del contratto.
E’ criterio interpretativo del contratto.
E’ criterio di qualificazione.
E’ criterio di adeguamento, in relazione alla sopravvenienza delle circostanze esterne al
programma economico delle parti.
L’equity è il nome attribuito ad un insieme di principi di diritto seguiti nei Paesi dotati di un sistema di
common law, che intervengono, in via suppletiva, ogniqualvolta l'applicazione dello stretto diritto risulti in
concreto iniqua, operando come criterio di giustizia che tiene conto delle particolarità del caso di specie e
delle correlate circostanze umane, al fine di realizzare la c.d. "giustizia del caso concreto". È spesso
contrapposta, in modo improprio, alla "legge" scritta, che negli ordinamenti di common law si indica come
“statutory law”.
3
11
Si impone perciò una stretta connessione tra causa e principio causalistico: la necessari età
della causa, esaminata alla luce della tutela del promittente, importa la concezione unitaria
del contratto, l’inscindibilità degli effetti del contratto, l’infungibilità delle varie cause e la
corrispondenza della causa al negozio concluso tra le parti, ed infine la necessaria
allegazione della causa. Importante esplicitare sempre, durante la stipulazione della causa
del negozio, l’intento dei negoziatori. A tal proposito esistono vari intenti nella stipulazione
della causa del negozio:
1.
2.
3.
4.
5.
Impiego della causa per identificare i motivi delle parti.
Impiego della causa per la qualificazione del contratto.
Impiego della causa per il controllo della compatibilità del contratto.
Uso della causa per circoscrivere i rischi accollati alle parti.
Impiego della causa per il riequilibrio del rapporto tra le prestazioni.
I contratti del consumatore e la loro influenza sulla disciplina del contratto
Uno dei problemi che pervadono oggi la letteratura europea in materia di contratti
riguarda la correlazione tra la disciplina dei contratti dei consumatori e la disciplina del
contratto in generale. La categoria dei contratti dei consumatori è penetrata nell’universo
concettuale e normativo delle esperienze dei paesi membri dell’Unione europea, a seguito
dell’approvazione della direttiva 93/13/CEE, con la quale si è introdotto, per ragioni di
protezione della concorrenza, per agevolare la circolazione di beni e servizi nel mercato
interno e per la tutela degli interessi dei consumatori, un controllo giudiziale delle clausole
abusive. In alcuni ordinamenti la disciplina delle clausole abusive era già prevista: è il caso
di Germania, Regno Unito e Francia. Negli ordinamenti in cui già esistevano modelli
d’intervento, la direttiva ha comportato problemi derivanti dalla sovrapposizione delle
due normative, il problema del loro coordinamento, e la scelta del mantenimento di una
doppia formazione, oppure della loro unificazione. In Italia la categoria della vendita di
immobili è sempre stata considerata estranea all’ambito di operatività della direttiva.
Molteplici sono le ragioni che militano a favore di questa scelta: la vendita di immobili è
strettamente legata, per la sua disciplina particolare, alla circolazione giuridica della
proprietà immobiliare (mentre la vendita di beni di consumo è assoggettata ad una
disciplina più semplificata, anche nelle forme) e non è materia di diritto comunitario. Per
contro, si è stabilito recentemente di inserire anche i contratti di locazione di abitazioni
nell’ambito dei contratti dei consumatori.
I processi di armonizzazione e di unificazione del diritto contrattuale
I processi di armonizzazione e di unificazione del diritto dei contratti non nascono ex
novo. Non si tratta solo di circolazione di modelli giuridico-formali, ma anche della
circolazione di prassi contrattuali e commerciali, della circolazione di modelli di decisione.
Le categorie di comparazione sono in massima parte le seguenti:
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1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
Libertà contrattuale
Buona fede, correttezza, ragionevolezza
Protezione della parte debole
Trattativa
Formazione del contratto
Contenuto
Forma
Conservazione
Il contratto, in qualsiasi modo venga denominato e concepito, appare come veste giuridica
di un’operazione economica. La terminologia in questi testi è sufficientemente omologata
in lingua inglese, ma un po’ in tutte le giurisdizioni, i concetti sono esposti in maniera semplice e
pratica. Altre caratteristiche comuni sono il prevalere dell’oggetto sulla causa; inoltre il
controllo di liceità è affidato ai giudici nazionali. Il contratto è considerato fonte di
obbligazioni, piuttosto che come strumento di trasferimento della proprietà; al contratto si
tende ad assegnare una durata e degli effetti che sono curvati allo scopo che è diretto a
realizzare. La forma è tendenzialmente libera, per non impacciare la conclusione di
operazioni economiche. Quando prevista, la forma è intesa come tecnica di tutela delle
parti contraenti, perché esse comprendano il significato vincolante dell’operazione e i
contenuti delle obbligazioni assunte. La parte più debole è protetta da quella più forte, più
informata e preparata. Lo squilibrio economico tra le prestazioni cede allo squilibrio
giuridico, ed in ogni caso il giudice si preoccupa di introdurre elementi correttivi. Gli
stessi comportamenti negoziali delle parti, nelle diverse fasi dell’operazione, sono
controllati mediante criteri di correttezza e ragionevolezza. L’operazione economica viene
salvaguardata quanto più possibile, nel senso che prevalgono gli strumenti di riequilibrio
e di adattamento piuttosto che quelli rivolti allo scioglimento del vincolo. Sul fronte della
comparazione in senso stretto, interpretazione e integrazione operano in modo oggettivo.
Le parti non sono considerate operatori neutri, ma si dà rilevanza al loro status. Il modello
di riferimento, infine, rimane quello della compravendita, o comunque dello scambio.
L’armonizzazione del diritto contrattuale e il progetto di Codice civile europeo
Il processo di ravvicinamento del diritto civile e commerciale europeo ha preso avvio da
alcune iniziative assunte dal Parlamento europeo con la risoluzione del 26 maggio 1989, su
un’azione volta ad avvicinare il diritto privato come disciplinato negli ordinamenti
nazionali, e con la risoluzione del 6 maggio 1994 sull’armonizzazione di taluni settori di
diritto privato negli stati membri. L’acquis comunitario è già una realtà ampiamente
sperimentata. Le opzioni offerte dagli organi preposti dell’Unione europea sono quattro:
1. Astensione del legislatore comunitario da ulteriori interventi;
2. Promozione di un complesso di principi comuni in materia di diritto dei contratti per arrivare
ad una maggiore convergenza degli ordinamenti nazionali;
3. Miglioramento qualitativo della legislazione esistente: è la proposta di ritoccare le disposizioni
già approvate per colmare le lacune, eliminare le antinomie e chiarire le formule ambigue;
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4. Adozione di una nuova ed esaustiva legislazione a livello comunitario.
Quest’ultima proposta si dirige indubbiamente verso la redazione di un nuovo testo
uniforme. In realtà le opzioni davvero presenti sul tavolo di concertazione solo soltanto la
“2” e la “4”. Stando agli atti delle sedute parlamentari europee, viene rilevato che e
direttive approvate in materia di diritto civile provocano, se combinate con gli
ordinamenti nazionali di diritto civile, alcuni problemi. In definitiva, i confini giuridici
dell’Europa progressivamente si assottigliano, e proprio uno degli elementi identificativi
dell’identità europea potrebbe essere apportato dalla costruzione di un ordinamento di
diritto sostanziale e processuale unitario.
LA RESPONSABILITÀ CIVILE
Per responsabilità civile 4 s’intende quella branca del diritto privato che disciplina il
sorgere di un obbligo in capo ad un soggetto che ha arrecato un danno al di fuori di un
rapporto di natura contrattuale. Mettere l’accento sulla natura extracontrattuale della
responsabilità implica che vi sia chiarezza sull’area confinante, che è quella della
responsabilità contrattuale. Già da questa presentazione ci si avvede che l’oggetto varia a
seconda:
1. dell’ambito della responsabilità contrattuale;
2. dell’esistenza di fonti di obbligazioni diverse dal contratto e dal fatto illecito produttivo di
responsabilità;
3. dell’identificazione degli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità.
L’evoluzione dei sistemi di responsabilità civile è poi influenzata da due ulteriori fattori:
1. La crescente complessità, per numero ed intensità, dei rapporti fra i soggetti
appartenenti ad una comunità, che non può più essere considerata localistica, ma che
ha un’estensione planetaria.
2. Lo sviluppo economico-sociale, il quale tende nei paesi occidentali a ridurre i divari
fra i cittadini e a raggiungere un’uguaglianza sostanziale, rende sempre più
consapevoli i soggetti danneggiati della possibilità di ricorrere a procedure legali
La responsabilità civile rientra nella categoria più ampia delle responsabilità giuridiche. In particolare la
locuzione ha un duplice significato: da un lato indica l’istituto composto dalle norme cui spetta il compito di
individuare il soggetto tenuto a supporto il costo della lesione ad un interesse altrui; dall'altro può essere
considerata sinonimo della stessa obbligazione riparatoria imposta al soggetto responsabile. La r.c. quale
istituto si fonda su una molteplicità di norme distribuite in due grandi gruppi di cui agli artt. 2043 ss. c.c. e
1218 ss c.c. Esistono, poi, altre disposizioni previste per specifiche fattispecie. All'interno della r.c. si rinviene
la disciplina del cd. "fatto illecito" descritto, in via generale dall'art. 2043 c.c. che obbliga chiunque arrechi,
con fatto proprio, doloso o colposo, un danno "ingiusto" ad altra persona, al risarcimento del danno. Un atto
illecito è un atto vietato dall’ordinamento: è una condotta umana per la quale l’ordinamento esprime un
comando, un ordine cogente, di osservare un determinato contegno, e la cogenza del comando è espressa e
coincide con l’imporre una sanzione a carico del trasgressore.
4
14
ripristinatorie o risarcitorie e sempre meno disposti a sopportare il danno senza reagire
giuridicamente. Il che ovviamente moltiplica il numero di azioni giudiziarie.
La comparazione degli orientamenti giurisprudenziali
Le questioni che si esamineranno riguardano l’antigiuridicità della condotta dell’evento, il
nesso causale fra condotta ed evento e la responsabilità per attività d’impresa.
Antigiuridicità. S’intende quell’elemento dell’illecito civile che consente di affermare che il
comportamento del soggetto è appunto illecito, perché contrastante con una regola. In termini
sommari si può dire che mentre negli ordinamenti continentali l’antigiuridicità è
prevalentemente collegata alla sussistenza in capo al danneggiato di una situazione
giuridica protetta, nei sistemi di common law essa è prevalentemente collegata alla
sussistenza in capo al danneggiante di un divieto o di un obbligo.
Nesso causale. Nei diversi sistemi della responsabilità civile il problema causale, inteso
come riconducibilità all’azione di un soggetto di conseguenze negative subite da un altro soggetto,
emerge in modo autonomo solo in tempi relativamente recenti che possono individuarsi,
grosso modo, nell’età della codificazione. La ragione è duplice: per un verso, nell’epoca
precedente, ci si interroga soprattutto sul nesso causale nel risarcimento del danno da
inadempimento contrattuale. Per altro verso, , fin dall’epoca romana il nucleo essenziale
dei fatti illeciti era costituito da comportamenti nei quali il danno veniva arrecato dalla
persona dell’offensore direttamente contro la persona (o la proprietà) dell’offeso.
Nell’Ottocento il nesso causale diventa uno degli elementi essenziali nella struttura della
responsabilità per fatto illecito, utilizzato soprattutto al fine di escluderla.
Responsabilità dell’impresa. Una delle grandi sfide che ha affrontato il sistema della
responsabilità civile in tutti i paesi industrializzati è il proliferare dei fatti dannosi legati
allo sviluppo delle imprese ed alla progressiva automazione dei processi produttivi.
L’esempio topico sono gli infortuni sul lavoro. Il mero verificarsi del fatto dannoso nell’impresa o
nell’esercizio delle sue attività dà luogo all’erogazione previdenziale. Assai più complesse e
lunghe sono le vicende relative ai danni arrecati dall’impresa al di fuori dei propri locali o
luoghi di esercizio dell’attività a soggetti diversi dai propri dipendenti, ovvero ai
consumatori. Nel momento in cui si verifica un fatto dannoso addebitato ad un prodotto si
pongono numerosi problemi che solo all’apparenza sono meramente pratici: essi sono
costanti e dunque caratterizzano la categoria:
•
•
•
Spesso il prodotto, al verificarsi del danno, è distrutto o viene sottoposto a modifiche strutturali.
Poiché tra la fase di produzione e il momento del verificarsi del danno trascorre solitamente un
tempo rilevante, può riuscire assai difficile rilevare quando e come si è verificato il difetto.
Lo sviluppo dei sistemi di trasporto consente che vengano immessi sul mercato prodotti
fabbricati da soggetti distanti, i quali si affidano a numerosi intermediari per la distribuzione.
15
Le particolarità ora enunciate influiscono direttamente su quelli che sono elementi
costitutivi della fattispecie illecita: la colpa, il nesso causale, l’imputazione della responsabilità e
la prova. Qualora si applicassero rigorosamente le regole abituali, la declaratoria di
responsabilità del produttore sarebbe, il più delle volte, negata. Non è, pertanto, inusuale
che nel caso della responsabilità dell’impresa per i danni da prodotti si assista alla
sovrapposizione dei rimedi collocati nell’ambito contrattuale e di quelli extracontrattuali:
spesso, ma non sempre, il danneggiato ha un rapporto contrattuale con il produttore e
dunque può agire per l’inadempimento di quest’ultimo.
LE SUCCESSIONI NEL DIRITTO COMPARATO
L’essenza del fenomeno successorio si risolve nel complesso di regole che collegano alla
morte di una persona la trasmissione delle situazioni soggettive e dei rapporti giuridici
che ad essa facevano capo. Le scelte fondamentali del diritto delle successioni a causa di
morte si possono immaginare disposte in una serie di cerchi concentrici, al cui nucleo si
colloca l’appartenenza al diritto privato, cui seguono la riserva a favore dei legittimari, la
libertà testamentaria, il principio della successione nell’universalità dei beni. In questo
campo, la varietà di nozioni giuridiche presenti nei vari ordinamenti nazionali, scoraggia
più di un comparatista a volere trovare soluzioni armoniche. E’ possibile definire quattro
modelli successori (ciascuno collegato ad un’esperienza storica) in relazione ai quadranti
descritti dagli assi ortogonali:
1.
2.
3.
4.
Successione familiare e non proprietaria;
Successione che non è né familiare né proprietaria;
Successione proprietaria e non familiare;
Successione insieme familiare e proprietaria.
Il venir meno della funzione politica della vicenda successoria si lega al fatto che lo
strumento successorio in quanto tale non appare più idoneo a trasmettere il potere o la
legittimazione sociale, sia esso il comando del clan familiare o la carica politica. Per altro
verso, alla trasmissione ereditaria del patrimonio familiare non può più riconoscersi una
funzione propriamente assistenziale/previdenziale, oggi assolta essenzialmente dallo Stato
attraverso i meccanismi del welfare state. L’anticipazione degli effetti successori si lega,
invece, al dato demografico: il prolungarsi della vita media ha determinato un salto
generazionale nella trasmissione ereditaria, in quanto statisticamente si eredita in un’età
compresa fra i 30 e i 50 anni, dunque dopo l’inserimento nel mondo del lavoro. Infine,
strettamente connesso alle strategie di pianificazione ereditaria, è l’emergere di un sistema
successorio parallelo per effetto di forme di delazione triangolari, che prescindono e
sostituiscono il testamento. Dell’evoluzione della famiglia l’attuale diritto delle successioni
è largamente tributario. Si pensi alla trasformazione della famiglia da unità produttiva ad
unità di consumo, alla concentrazione del gruppo familiare ormai ridotto alla sua
dimensione nucleare, all’attribuzione di compiti che prima gravavano sulla famiglia ad
altri istituti frutto dello Stato sociale.
16
Incidenza della trasformazione della ricchezza sull’istituto successorio
Un discorso meno lineare di quello proposto per la famiglia può essere svolto con
riguardo alla proprietà. Non può certo porsi in dubbio che il riferimento alla proprietà
costituisca un dato indispensabile per comprendere l’evoluzione storica del diritto delle
successioni. La prospettiva storica, ad esempio, consente di ipotizzare una spiegazione al
fatto che sistemi giuridici caratterizzati da uno stato di sviluppo simile si sono ritrovati a
disciplinare il fenomeno successorio in maniera diversa. La progressiva distribuzione della
ricchezza tra le classi sociali fa sì che il fenomeno successorio interessi fasce crescenti della
popolazione. Al tempo stesso, però, questo porta all’impoverimento del contenuto della
successione, tanto che si è parlato di proletarizzazione dell’eredità, proprio a sottolineare
che l’accumulazione consentita dal reddito da lavoro riduce il relitto essenzialmente ai
risparmi ed ai beni di uso personale. E’ sufficiente limitare il discorso a tre esempi:
1. Nelle moderne economie capitaliste i beni produttivi sono di proprietà delle persone giuridiche,
che evidentemente si estinguono per ragioni diverse dall’avvicendarsi dei soci.
2. Si sono delineate una serie di nuovi beni, quali la previdenza pubblica e privata, la cui
allocazione è considerata indifferente alle regole di successione mortis causa.
3. Le strategie di riproduzione del potere sociale passano attraverso il capitale umano e si collocano
al di fuori della trasmissione ereditaria.
Una proposta di lettura ancora diversa è quella che rivolge attenzione alla natura e alle
caratteristiche dei beni che cadono in successione, anche se la prospettiva dei moderni
sistemi successori afferma che la legge non considera né la natura, né l’origine dei beni per
regolarne la successione.
LA SOCIETÀ PER AZIONI
La Società per azioni (SPA) è una società di capitali, in cui le partecipazioni dei soci sono
espresse in azioni. Questo significa che il capitale sociale è frazionato in un determinato
numero di titoli, ciascuno dei quali incorpora una certa quota di partecipazione e i diritti
sociali inerenti alla quota stessa. In quanto società di capitali, le SPA sono caratterizzate
anche dall'autonomia patrimoniale perfetta, ossia dal massimo grado di autonomia
patrimoniale. Il patrimonio della società, in altre parole, risulta essere completamente
distinto da quello dei soci che, quindi, non sono chiamati a rispondere delle obbligazioni
sociali. La responsabilità dei soci è limitata, in via di principio, alla sola quota di
partecipazione. Nel Codice civile gli articoli che trattano della SPA si trovano dal 2325 ss.
Origine storica
La nascita del modello societario “SPA” si fa risalire alle compagnie coloniali dei secoli
XVII e XVIII. Le esplorazioni e gli insediamenti coloniali necessitavano di ingenti
finanziamenti e comportavano altresì alti rischi per l'investimento effettuato. Per attrarre i
finanziatori, i sovrani presero a concedere la separazione patrimoniale tra la società e i
17
soci, cosicché questi ultimi non esponessero il loro intero patrimonio al rischio, ma solo il
denaro investito nella compagnia. Da notare come sia essenziale sin dall’origine il
momento del finanziamento dell’attività. Con le codificazioni napoleoniche, all’inizio del
XIX secolo, venne introdotto un tipo generalizzato di società anonima, a cui i privati
potevano ricorrere per ottenere, mediante il rispetto di determinate procedure, il beneficio
dell’autonomia patrimoniale perfetta.
Tipi reali di società per azioni
In seguito alla riforma del diritto societario del 2003, si possono individuare tre livelli di
disciplina della SPA a seconda del cosiddetto “modello socio-economico” sottostante. Il
principio che anima questa tripartizione della regolamentazione è la considerazione delle
differenze che intercorrono tra una piccola impresa con pochi soci che decidono di
utilizzare il modello organizzativo SPA, e invece una SPA di grandi dimensioni con
azionariato diffuso e frammentato e che faccia anche ricorso al mercato dei capitali di
rischio. Si delineano quindi tre tipi:
1. SPA modello chiuso: la disciplina è quella codicistica, salvo qualora il legislatore
detti norme specifiche per le società che fanno ricorso al mercato dei capitali di
rischio o alle quotate che non valgono per questo primo tipo.
2. SPA modello aperto non quotata: si applicano anche le regole dettate per le società
che fanno ricorso al mercato dei capitali di rischio.
3. SPA modello aperto quotata: vi sono quattro piani successivi in cui cercare la
soluzione ai quesiti normativi.
• Leggi speciali (es. T.U. Finanza D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58).
• Norme speciali per le quotate contenute nel Codice civile (es. 2441, 4° comma).
• Norme che si riferiscono alle società che fanno ricorso al mercato dei capitali di rischio.
• Diritto societario comune.
Per determinare quando una società faccia ricorso al mercato dei capitali di rischio occorre
fare riferimento alla norma risultante dall'art. 2325 bis c.c., al 1° comma: “Sono società che
fanno ricorso al mercato dei capitali di rischio le società emittenti di azioni quotate in mercati
regolamentati [e qui si fa riferimento alle quotate] o diffuse fra il pubblico in misura rilevante".
Caratteristiche fondamentali
Inquadriamo gli elementi che caratterizzano questo tipo societario, la cui sussistenza è
essenziale per applicare la normativa relativa a questo istituto:
• L’intento di limitare il rischio.
• La presenza di azioni che rappresentano la partecipazione dei soci alla società.
• La corporazione normativa: il legislatore impone che i poteri siano rigidamente
distribuiti tra diversi organi.
Se viene meno uno di questi elementi non si considera integrata la fattispecie, e quindi non
è applicabile la disciplina della SPA.
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Costituzione
Le condizioni per la valida costituzione di una SPA sono quattro:
• Un contratto associativo tra due o più persone o un atto unilaterale (nel caso della
SPA cosiddetta unipersonale, cioè con un unico socio).
• La redazione di un atto costitutivo e di uno statuto per atto pubblico, contenenti
importanti informazioni sulla società (sede principale e sedi secondarie, oggetto
sociale, ammontare del capitale) e le regole dell’agire comune che i soci stabiliscono.
• L’intera sottoscrizione di un capitale sociale il cui valore non deve essere inferiore ai
120.000 euro (una percentuale pari o superiore al 25% del capitale sociale dichiarato
nell’atto costitutivo deve essere depositata presso un istituto di credito oppure una
polizza assicurativa per una somma equivalente deve essere stipulata a fini di garantire
il conferimento)
• Il deposito dell’atto costitutivo presso il registro delle imprese (da effettuarsi ad
opera del notaio oppure in caso di inadempienza a cura degli stessi amministratori
nominati nell'atto costitutivo) e la conseguente iscrizione della società in tale registro:
solo a seguito di questa operazione la società acquisirà personalità giuridica e
autonomia patrimoniale perfetta.
Solo al momento dell'iscrizione della società nel registro delle imprese si verifica la
separazione patrimoniale tra il patrimonio dei soci e quello della società: la società
acquista la personalità giuridica (art. 2331 c.c.). Degli atti compiuti nel periodo che
intercorre tra la stipula dell'atto costitutivo e la sua iscrizione nel registro rispondono chi li
ha compiuti e chi si ritiene abbia dato l'ordine. Tali atti possono poi essere ratificati dalla
società, una volta che sia sorta, con l'effetto di aggiungere la responsabilità della società nei
confronti dei terzi e, sul piano interno, di sollevare il socio che ha agito. Prima della
riforma del diritto societario del 2003, non era consentito costituire SPA di tipo
unipersonale. Qualora tale ipotesi si fosse verificata durante la vita della società, la
conseguenza sarebbe stata il superamento della separazione patrimoniale ai danni
dell'unico socio il quale avrebbe risposto, seppur in via sussidiaria illimitatamente con il
proprio patrimonio delle obbligazioni assunte dalla SPA. Inoltre il permanere di tale
situazione per un periodo di sei mesi era una delle cause di scioglimento della società.
Attualmente, qualora si verificasse l’unipersonalità del socio nella SPA, il principio
dell'autonomia patrimoniale perfetta è derogato solo nel caso in cui non siano stati
effettuati per intero i conferimenti e non si sia adempiuto a pubblicizzare il fatto secondo
gli oneri speciali del caso. L'atto costitutivo deve contenere: - Generalità dei soci e degli
eventuali promotori - Denominazione sociale e sedi - Oggetto sociale - Capitale sottoscritto e
capitale versato - Numero delle azioni emesse, valore nominale delle azioni, modalità di emissione,
modalità di circolazione delle azioni - Valore dei crediti e dei beni conferiti - Norme sulla
ripartizione degli utili - Benefici dei soci promotori o dei soci fondatori - Sistema amministrativo
adottato, numero, poteri, rappresentanza degli amministratori - Membri del collegio sindacale (3
oppure 5 + 2 sostituti) - Eventuale durata della società - Spese di costituzione a carico della società.
19
Nullità della società (art. 2332 c.c.)
La disciplina della nullità della Spa è rilevantissima perché mostra come il momento
contrattuale che sta alla base della nascita della società lasci il campo al momento
funzionale e organizzativo. Infatti una volta avvenuta la registrazione della società nel
registro delle imprese, non valgono più le normali cause di nullità degli artt. 1418 e ss. c.c.
ma si applica la differente disciplina del 2332 c.c.: "Avvenuta l'iscrizione nel registro delle
imprese, la nullità può essere pronunciata soltanto nei seguenti tre casi:
1. Mancata stipulazione dell'atto costitutivo nella forma di atto pubblico;
2. Illiceità dell'oggetto sociale;
3. Mancanza nell'atto costitutivo di ogni indicazione riguardante la denominazione della società, o
i conferimenti, o l'ammontare del capitale sociale o l'oggetto sociale.
Azioni
Le azioni rappresentano la partecipazione sociale. Danno accesso, a seconda dei tipi, a
diritti amministrativi e/o patrimoniali. A seguito della riforma del diritto societario è
stato aumentato il grado di atipicità dell'azione. In pratica nell'atto costitutivo i soci
possono predisporre i più diversi tipi di azioni, corredati dalle più varie combinazioni di
diritti amministrativi e patrimoniali. Gli unici vincoli sono: il capitale minimo di 120.000
euro deve essere interamente composto da azioni di tipo ordinario, e le azioni prive del
diritto di voto non possono superare la metà del capitale sociale. Importante novità postriforma è la possibilità concessa ai soci di stabilire nell’atto costitutivo un’assegnazione
delle azioni diversa dal criterio dispositivo che è l'assegnazione proporzionale alla quota
di capitale sociale sottoscritto. La conseguenza è una maggiore adattabilità del modello
societario SPA al volere dei soci: è ora possibile attrarre soggetti particolarmente
meritevoli o utili alla società mediante l'assegnazione di un numero di azioni superiore a
quelle loro spettanti. I diritti dell’azionista possono essere:
• Diritti patrimoniali: diritto all'utile, diritto alla quota di liquidazione.
• Diritti amministrativi: diritto di intervento in assemblea, diritto di voto in assemblea,
diritto di impugnazione delle deliberazioni, diritto a consultare i libri contabili e i
progetti di bilancio, il libro delle deliberazioni ed il libro soci.
• Diritti di controllo: diritto di denuncia di eventuali sospetti fondati di irregolarità.
• Diritti di disporre: pegno/usufrutto dell'azione.
COMPARAZIONE DEL DIRITTO DELLE SOCIETÀ PER AZIONI
Il diritto delle società presenta alcune caratteristiche comuni nella maggior parte degli
ordinamenti vigenti nei diversi paesi. Tra questi, la distinzione tra società di persone e società
di capitali, l’attribuzione della personalità giuridica alle società di capitali, la presenza di società per
azioni, il progressivo affermarsi di società a responsabilità limitata e di società unipersonali.
Generalmente, le società di tipo personale sono caratterizzate dalla responsabilità
illimitata e solidale dei soci per le obbligazioni sociali sia nei paesi di derivazione
romanistica che nei paesi di common law. Inoltre, il potere di amministrare è insito nella
20
qualità di socio. Da questi principi discende che non è possibile trasferire la qualità di
socio senza che gli altri soci vi acconsentano. Le società capitalistiche presentano
caratteristiche opposte. Per esse vige, anzitutto, il principio della responsabilità limitata
per cui i soci rispondono delle obbligazioni sociali soltanto nei limiti del proprio
conferimento. Inoltre, le funzioni amministrative non sono direttamente correlate alla
titolarità dello status di socio, che ha unicamente il diritto di concorrere alla nomina degli
amministratori e al controllo del loro operato attraverso il proprio voto in assemblea. Lo
status di socio può essere generalmente ceduto ad altri – a meno che lo statuto non limiti
tale possibilità – per mezzo della cessione delle quote di partecipazione al capitale. La
società per azioni è il prototipo delle società di capitali, che tuttavia nei diversi paesi
rappresenta realtà notevolmente diverse. La società per azioni è prevalentemente
destinata alle società quotate, società di grandi dimensioni che fanno appello al
pubblico risparmio, ma è impiegata anche in modo più ampio in altri paesi in cui, anche a
causa di motivi psicologici, sociali, fiscali o legati a particolarità della disciplina della
società, il numero delle società per azioni è elevato, ma la maggior parte di esse non è
quotata e a volte è utilizzata per fini estranei alle regole del diritto societario. Nelle società
per azioni aperte il rispetto degli interessi in gioco rende necessario un maggiore formalismo
procedurale ed una struttura di gestione e di controllo adeguata. Ciò non avviene nelle
società per azioni chiuse, che sono di dimensioni più limitate.
Costituzione. In Spagna e in Italia il numero dei soci di una società per azioni può ridursi
ad uno dopo la costituzione. Le legislazioni di tutti i paesi membri della CE ammettono la
costituzione da parte di una sola persona di società a responsabilità limitata. Le relative
normative sono state introdotte spontaneamente in Danimarca, Germania, Francia, Olanda
e Belgio, e in attuazione della XII direttiva negli altri paesi. Generalmente, la società
unipersonale è considerata come strumento di esercizio dell’attività imprenditoriale
individuale, con il beneficio della responsabilità limitata, in minor misura come mezzo di
raggruppamento della grande impresa. Nei paesi di civil law esiste la distinzione tra atto
costitutivo e statuto, ma non assume la stessa rilevanza che nei paesi di common law.
Anche in questi paesi la legge fissa il contenuto minimo dell’atto costitutivo e dello
statuto, lasciando alla libera disponibilità delle parti l’inserimento negli statuti di
particolari condizioni. Laddove, infatti, come nei paesi di common law, la società per
azioni si è storicamente sviluppata come organismo a base associativa (corporation),
completamente distinto dalle partnerships o società di persone (che sono contratti per lo
svolgimento in comune di attività commerciale), non c’è alcun limite alle attività che
possono essere svolte. Anche in Germania la società per azioni può avere ad oggetto
un’attività con finalità non lucrative o anche un’attività non economica. Ciò deriva dalla
diversa struttura che in tale sistema la società per azioni e le altre società di capitali
presentano rispetto alle società di persone. Nei paesi di tradizione romanistica, invece, la
società per azioni è rimasta collegata in modo più stretto agli altri tipi di società che
svolgono attività economica e distinta nettamente dalle associazioni. Un problema sorge in
quei paesi che hanno conservato la distinzione tra società civili e commerciali. Il criterio di
distinzione tra i due tipi di società è dato proprio dall’oggetto sociale. Più recentemente si è
affermato il criterio di distinzione basato sulla forma assunta dalla società. Questa
21
tendenza si è affermata soprattutto con riferimento alle SPA, nelle quali difficilmente le
attività relative alla costituzione e al funzionamento possono svolgersi senza comportare
la creazione di un’impresa. Nei paesi di common law l’oggetto sociale rappresentava un
vero e proprio limite alla capacità della società.
L’assemblea dei soci. L’assemblea generale ha nei diversi ordinamenti una disciplina
dettagliata con riferimento alle società di capitali, delle quali costituisce l’organo destinato
ad esprimere la volontà sociale. I poteri dell’assemblea degli azionisti variano in base
all’ordinamento.
Gli organi amministrativi della società. La struttura degli organi amministrativi delle
SPA nei diversi ordinamenti sono disciplinati secondo due modelli: tradizionale francese a
struttura monista (che comprende anche l’Italia) e tedesco a struttura dualista.
Il controllo. Mentre nelle società civili e personali il controllo sull’’operato di chi
amministra la società può essere esercitato da qualunque socio, nella SPA e nelle SRL tale
controllo è esercitato in vari modi e a diversi livelli. Nelle SPA, il controllo può essere
esercitato da organi interni delle società o da professionisti esterni. Può essere inoltre
previsto un controllo di tipo pubblicistico svolto da organi statali o dall’autorità
giudiziaria operante come controllo permanente o come reazione a situazioni patologiche.
In pochi ordinamenti (tra cui la Spagna) ormai è ancora previsto e disciplinato un organo
di tipo sindacale sul modello italiano. Le funzioni di detto organo tendono infatti ad essere
attribuite all’organo di amministrazione negli ordinamenti che, sul modello tedesco,
sdoppiano tale organo in direttorio e collegio di vigilanza.
Il bilancio d’esercizio. In tutti i paesi le società di capitali devono redigere, di solito al
termine di ogni esercizio, un bilancio da cui risulti il valore del patrimonio sociale e
l’ammontare degli utili, se vi sono, distribuibili al termine dell’esercizio stesso. Il bilancio
si presenta pertanto come uno dei principali strumenti posti dai diversi ordinamenti a
tutela sia degli interessi dei terzi che intrattengono rapporti con la società, sia degli
azionisti, tanto di maggioranza quanto soprattutto di minoranza. Si possono individuare
due sistemi di formazione del bilancio. Nei paesi a consiglio di amministrazione monista,
con esclusione dei paesi di common law, il bilancio è redatto dall’organo che sovrintende
alla gestione, è controllato da un diverso organo e approvato dall’assemblea. I paesi ad
organo di amministrazione dualista e i paesi di common law non riconoscono invece
all’assemblea il potere di approvare il bilancio.
Gruppi di società. La grande impresa economica appare spesso frammentata in una
pluralità di società. Di solito si individua una società capogruppo, per lo più una SPA, che
detiene le partecipazioni nelle altre società secondo una struttura cosiddetta “a stella” o, in
alternativa, “a piramide”. La capogruppo è a volte affiancata da società satellite, ad essa
sottomesse. Compiti affidati alla capogruppo sono gestire le partecipazioni (esempio
Belgio e Lussemburgo) o partecipare alla gestione delle società partecipate. Anche
quest’ultime sono spesso SPA.
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Trasformazione, fusione e scissione. Tra le modifiche dell’ordinamento societario, le
delibere di trasformazione e di fusione rappresentano il limite estremo fino al quale
possono giungere i mutamenti posti in essere dall’interno della stessa società senza che
essa si estingua. Si tratta infatti di atti interni della società che possono cambiare
interamente la sua forma organizzativa, trasformandola da un tipo ad un altro o
cambiando interamente la sostanza della sua organizzazione, fondendola con un altro
organismo societario o in un altro organismo societario. Per quanto riguarda la
trasformazione, può trattarsi della trasformazione di una società di persone in altra società
a base personale o in società di capitali; oppure viceversa. Quanto alla fusione, la
normativa è stata armonizzata in seguito all’emanazione di una direttiva comunitaria del
1978. Presupposto della fusione e della scissione è il progetto, che deve essere predisposto
dagli amministratori delle società partecipanti, reso pubblico e accessibile ai soci almeno
un mese prima della data fissata per la riunione dell’assemblea che dovrà decidere
sull’opportunità o meno del progetto.
Scioglimento. I diversi ordinamenti prevedono che, al verificarsi di talune circostanze,
definite “cause di scioglimento della società”, il rapporto societario si sciolga e la SPA entri in
liquidazione. L’effettiva esistenza delle cause di scioglimento può dare luogo a contrasti
tra soci per dirimere i quali deve intervenire l’autorità giudiziaria. L’assemblea dei soci
può intervenire non solo per rimuovere la causa di scioglimento, ma anche per deliberare
essa stessa lo scioglimento della società. In entrambi i casi si tratterà di una modifica
dell’atto costitutivo. Una delle cause di scioglimento è la scadenza del termine di durata
previsto dallo statuto, salvo proroga del termine stesso. Altra causa è il conseguimento
dell’oggetto sociale, qualora esso sia dettagliatamente circoscritto. Anche l’impossibilità di
conseguire l’oggetto sociale determina lo scioglimento della società. L’impossibilità dovrà
essere di tipo oggettivo e indipendente da calcoli di convenienza e da difficoltà
economiche della società.
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