Alla ricerca del bene comune … per custodire il patrimonio dell’umanità Sassone (RM) 5-6 marzo 2011 COOPERAZIONE COME STRUMENTO A TUTELA DEI DIRITTI di Guido Barbera Oggi la posta in gioco è molto alta! Siamo tutti consapevoli di non poter ricostruire da soli una “nuova civiltà”. Siamo chiamati a scelte coraggiose per dare un contributo forte ad uno scenario nazionale ed internazionale sempre più preoccupante per la sua non curanza, disattenzione e violenza contro i diritti umani, la dignità e la vita delle persone. Il CIPSI da venticinque anni ha proposto una cultura della cooperazione oltre i bisogni, ripartendo dalle relazioni tra i popoli e tra le persone. Ha cercato di dare voce ai diritti, facendo parlare l’acqua, l’Africa, le donne… le esperienze, le storie, le culture… Alcune convinzioni forti, hanno sempre guidato il nostro cammino e le nostre scelte: La vita è il bene più grande che ci è stato donato. Il primo tra tutti i diritti. Un dono ed un diritto che dobbiamo costruire e difendere nel nostro cammino quotidiano, con le nostre scelte, con la nostra partecipazione ed il nostro impegno di persone e di cittadini. Il bene comune richiama ad una responsabilità personale e collettiva, come parte di quella rete di relazioni che costituisce la polis, la civitas, la communitas. La libertà è il presupposto essenziale per una vera responsabilità. Chi non è libero non può neppure essere responsabile. Senza libertà non si può neppure parlare di comunità. I Diritti umani e i Beni Comuni, esigono la centralità di una vera e propria cultura della relazione. Il concetto e la pratica della responsabilità esigono la necessità di pensare e vivere i diritti nella loro dimensione di indivisibilità, universalità e di interconnessione. Il senso di appartenenza alla medesima famiglia umana, sta alla base della responsabilità nei confronti dell’ambiente che richiede una seria e diffusa azione culturale ed educativa. Oggi altre sfide si aprono davanti a noi. Ci interrogano. Ci chiedono risposte, scelte forti. Forse radicali. Non esisterà più la cooperazione internazionale così come l’abbiamo conosciuta e vissuta fino ad oggi. La cooperazione era nata per ridurre le diseguaglianze. Oggi dobbiamo prendere atto del suo fallimento e saper cogliere le nuove sfide, rispondendo con scelte coraggiose, di alto livello e prospettiva. È fondamentale lavorare insieme sui beni comuni, ognuno a partire dal proprio territorio, dalle sue realtà, da casa sua. Viviamo oggi in una società, dove una parte crescente di popolazione non ha garantiti i propri diritti economici, sociali, culturali ed ambientali. Popoli interi sono condannati all’esclusione, alla miseria, alla fame, alla povertà, a privazioni di ogni tipo. Perché e come, tutto ciò accade? Quanto più il mondo si sviluppa, sempre più si genera disuguaglianza. Se questo livello di consumi si generalizzasse a tutti gli esseri umani, verrebbe meno lo stesso nostro pianeta: mancherebbero le risorse naturali! Gli ecologisti 1 hanno inventato l’impronta ecologica, proprio per valutare l’appropriazione indebita della natura da parte dei settori privilegiati di popolazione e da parte dei Paesi cosiddetti ‘più sviluppati’. Per vivere al livello di uno statunitense l’umanità avrebbe bisogno di cinque pianeti. Per questo, cambiare è una condizione sine qua non. Si impone una grande rivoluzione di mentalità e di sistema di valori. Abbiamo bisogno di superare un’ideologia di progresso ed iniziare a collocare al centro la giustizia sociale ed ambientale con una idea di “ben-vivere”, di vita buona – “ben-essere” - per tutte le persone. Il tempo è ora, perché se non cambiamo adesso, domani sarà tardi. Una scommessa fondamentale per cambiare tutto è ricollocare al centro i beni comuni, che sono la condizione della vita per tutti gli esseri umani. In primo luogo, i beni comuni dati, come l’acqua o l’aria che respiriamo, il clima, la biodiversità, le enormi risorse che la natura ha accumulato nel corso del tempo e infine la biosfera, come un sistema unico nella sua diversità. Ma sono anche fondamentali per un altro stile di vita i beni comuni ‘creati’ lungo la storia umana, che siano le lingue, il canto o la musica, l’arte e la cultura in generale, come la conoscenza, la scienza, la tecnica, la filosofia. Il rafforzamento e l’uso responsabile di questi beni è condizione fondamentale della vita sociale e di una relazione sana, giusta e sostenibile con la natura. Una questione urgente e ineludibile è de-privatizzare e smercantilizzare i beni comuni. Per ampliare lo spazio della politica rispetto all’economia, dello spazio pubblico rispetto al privato, del potere della cittadinanza rispetto al potere del denaro e dell’impresa, la democrazia è fondamentale. Ma la democrazia è essenziale per riposizionare la questione ambientale come una questione di giustizia sociale, per questa e per le future generazioni. Quando parliamo di società sostenibili, afferma il sociologo brasiliano Candido Grzybowski, stiamo sostituendo al diritto individuale e privato di accumulare senza limite, il diritto collettivo di avere il necessario per vivere degnamente secondo le condizioni storiche – cibo, vestiario, casa, salute, cultura e felicità - secondo un principio radicale di uguaglianza nella valorizzazione delle diversità. La democrazia ha al centro la partecipazione, ossia il diritto e la responsabilità della cittadinanza di definire il tipo di giustizia sociale e ambientale che la società possa garantire a tutte e a tutti. Il problema sta nel modello dominante, ma la possibilità di cambiamento sta nelle mani della cittadinanza attiva. Un altro aspetto fondamentale da mettere in luce, come qualcosa che emerge e chiede di essere rafforzato per quel che significa, è la ri-territorializzazione del potere e dell’economia. Non si tratta di ignorare o invertire l’interdipendenza planetaria, condizione stessa della vita. Ma questo non può essere confuso con la globalizzazione promossa dalle grandi organizzazioni economiche e finanziarie che regolano il mondo in funzione delle sue strategie di accumulazione. La localizzazione e la territorializzazione parte dal riconoscimento del bene comune maggiore, il pianeta, la biosfera, la biodiversità, come l’aria, gli oceani, il clima. Ma riconosce anche le potenzialità e i limiti differenti di ciascuna parte del pianeta, di ciascuna società umana in quel luogo ancorata. Sussidiariamente, tutti e tutte dipendiamo gli uni dagli altri. Nessuno ha il diritto di toglierci la responsabilità di decidere per noi stessi, imponendo soluzioni dal di fuori. È chiaro anche che nessuno di noi ha il diritto di decidere ignorando le conseguenze su tutte e su tutti. Localizzare e territorializzare è re-incontrarsi fra di noi e con l’ambiente. Per questo, abbiamo bisogno di forme di organizzazione che ci permettano di internalizzare tutto o tutto quello che può essere internalizzato, producendo qui per consumare qui, decidendo qui quello che riguarda i cittadini e le città, facendo riferimento alle culture e alle identità che abbiamo. Di fronte al fatalismo rassegnato e dilagante, davanti a questa mondializzazione essenzialmente economica e le chiusure identitarie che producono esclusione, l'unica via che abbiamo, per costruire un futuro comune, la troviamo nel porci insieme alla testa di questa 2 evoluzione. Ripartire dal territorio, da casa nostra, dalla famiglia, dalla comunità locale per abbattere ogni barriera e aprirci al mondo sulla base di nuove relazioni, a partire dal riconoscimento dell’altro, dalla necessità e capacità di con-vivenza e condivisione. Non è più tempo di “aiuto” per riportare il sorriso sul volto di una persona, di migliaia di persone. L’aiuto non sradica la miseria dal mondo! La forza dei paesi del Nord, oggi, non è la ricchezza, ma il potere. La miseria di miliardi di persone in Africa e nel mondo, non è frutto della mancanza di aiuti dai paesi del Nord, ma della loro richezza che attira gli interessi del potere, delle decisioni che vengono prese dai governi e dalle istituzioni da loro controllate: WTO, Banca mondiale, Fondo monetario… Un nuovo approccio di cooperazione necessita, in primo luogo, di un nuovo modo di pensare e di agire. È necessario superare l’approccio legato al “progetto” e “all’aiuto”, per sostenere la difesa dei diritti fondamentali e dei beni comuni, attraverso la lobby, le campagne di informazione, sensibilizzazione e opinione, di promozione della cultura e della cittadinanza attiva responsabile. Ricostruire un volto umano alla nostra società: ecco la sfida che abbiamo davanti a noi! Valorizzare insieme il nostro ruolo di cittadini e di comunità, per rilanciare una presenza in grado di imporre all’agenda politica internazionale, la ridefinizione delle scelte indispensabili a trasformare radicalmente le relazioni tra tutti i popoli e l’economia mondiale: rimettere in discussione il nostro modello di vita attuale soprattutto perché questo modello è insostenibile per il nostro stesso futuro. Non è sufficiente destinare più fondi alla cooperazione, dobbiamo chiedere e ottenere coerenza tra le politiche. Una coerenza oramai fondamentale se si vuole che la cooperazione non sia semplicemente dono di pochi “aiuti” verso chi noi stessi abbiamo impoverito; sviluppare la ricerca del bene comune e la tutela dei diritti fondamentali di ogni essere umano, attraverso tutte quelle azioni rivolte a cambiare le condizioni generali che causano disuguaglianze, ingiustizie e miseria; costruire insieme una nuova solidarietà internazionale, un nuovo impegno rivolto alla trasformazione generale delle condizioni di ingiustizia che affliggono il nostro pianeta. Riscoprire le nostre origini basate sulla presenza e sulla capacità di coinvolgimento della società civile, recuperando quei valori etici che ci caratterizzano come soggetti di cambiamento e di trasformazione. Costruire un’economia di giustizia. Far nascere relazioni alternative. Riumanizzare la politica, indirizzandola alla difesa dei diritti di tutte le persone e dei beni comuni dell’umanità; definire una solidarietà politica tra i popoli, in grado di costruire dal basso un modello di vita diverso, rispettoso delle persone e liberato da ogni interesse, un insieme di pratiche semplici che possano rendere vivibile il nostro pianeta per tutti anche in futuro; superare il nostro ruolo di protagonismo nella cooperazione e riconoscere le aggregazioni e le associazioni degli altri paesi come partner alla pari nelle nostre relazioni, per analizzare i problemi, confrontarci ed individuare insieme le risposte da dare e i cambiamenti sociali e politici necessari; riempire di umanità ogni aspetto e relazione della cooperazione, eliminando ogni azione ed atteggiamento culturale che non tenga conto della dignità di ogni persona e di ogni popolo. Non ridurre mai le persone ad immagini strumentali per sostenere gli aiuti. La solidarietà è un valore e non può essere ridotto a strumento per la raccolta di fondi; costruire una cooperazione di pace, intesa non solo come assenza di guerra, ma come insieme di valori, di diritti e di contenuti. Sono solo alcuni spunti di riflessione, dai quali dovremmo forse ripartire tutti insieme, a partire da noi, dalle nostre associazioni, per un seria verifica, se vogliamo veramente costruire “civilta” e soprattutto se riteniamo che, anche i nostri figli ed i nostri nipoti, debbano avere il diritto ad un futuro. 3