COLLANA La Storia e i suoi protagonisti PK 102 to n e S e r i e - il R is o rgi m GIUSEPPE MAZZINI SIMONE EDIZIONI ® Estratto della pubblicazione Gruppo Editoriale Esselibri - Simone Estratto della pubblicazione Copyright© 2010 Esselibri S.p.A. Via F. Russo 33/D 80123 Napoli Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale e con qualsiasi mezzo senza l’autorizzazione scritta dell’editore. Per le immagini riprodotte in questo volume, l’editore è a disposizione degli aventi diritto. L’editore provvederà, altresì, alle opportune correzioni nel caso di errori e/o omissioni nella citazione delle fonti a seguito della segnalazione degli interessati. Prima edizione: novembre 2010 PK102 ISBN 978-244-5580-0 Ristampe 8 7 6 5 4 3 2 1 2010 2011 2012 2013 Questo volume è stato stampato presso Pittogramma s.r.l. Via Santa Lucia, 34 - Napoli Testo a cura di Daniela Rocca Redazione: Alessandro Alfani Per informazioni, suggerimenti, proposte: [email protected] Grafica e copertina: Giuseppe Ragno Estratto della pubblicazione PREFAZIONE Le componenti politiche risorgimentali che a partire dagli anni Venti dell’Ottocento lottarono per l’unificazione dell’Italia erano riconducibili sostanzialmente a due schieramenti: quello moderato e quello democratico. I moderati guardavano con interesse al Piemonte costituzionale di Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II, e al suo maggiore statista: Camillo Benso di Cavour. Tra i democratici, la figura di maggiore spicco fu certamente Giuseppe Mazzini, forse il più importante ideologo dei movimenti patriottici italiani ed europei del suo tempo. Mazzini ricoprì cariche di governo soltanto nel 1849, come triumviro durante la brevissima e drammatica esperienza della Repubblica romana; la maggior parte della sua vita, invece, la trascorse in esilio, condannato a morte dal suo stesso governo, organizzando cospirazioni che non ebbero mai gli esiti sperati. Eppure, con il suo contributo teorico e con la sua attività di propaganda, realizzata anche attraverso un infaticabile impegno giornalistico, seppe infiammare e tenere sempre vivo l’entusiasmo per l’Italia unita. Nel 1831 fondò la Giovine Italia, organizzazione politica che aveva l’obiettivo di realizzare una rivoluzione finalizzata a «rovesciare le monarchie corrotte e corruttrici» che governavano la penisola e a istaurare un governo di tipo repubblicano. L’Italia unita, secondo Mazzini, doveva essere il frutto della libera scelta di un popolo educato alle istituzioni e ai valori democratici. La fede nel popolo e nelle sue capacità rivoluzionarie e di autogoverno, inoltre, lo indussero a considerare la monarchia e la Chiesa come istituzioni che ne limitavano la libertà. Il messaggio mazziniano fece presa inizialmente sui ceti imprenditoriali del Nord, ma dovette scontrarsi con la generale arretratezza sociale ed economica della penisola, dominata da un mondo agricolo povero e poco evoluto, impreparato a seguire la strada della rivoluzione; pertanto, non riuscì a produrre che fallimentari tentativi insurrezionali. Nonostante ciò, Mazzini ha lasciato un’impronta indelebile nella storia d’Italia e d’Europa, tanto che il Principe di Metternich, artefice dell’ordine politico europeo uscito dal Congresso di Vienna, disse di lui: Ebbi a lottare con il più grande dei soldati, Napoleone. Giunsi a mettere d’accordo tra loro imperatori, re e papi. Nessuno mi dette maggiori fastidi di un brigante italiano: magro, pallido, cencioso, ma eloquente come la tempesta, ardente come un apostolo, astuto come un ladro, disinvolto come un commediante, infaticabile come un innamorato, il quale ha nome Giuseppe Mazzini. Estratto della pubblicazione Mazzini in un ritratto eseguito intorno al 1865 Estratto della pubblicazione INDICE 1. Gli inizi (1805-1830) 1.1 I primi anni ........................................................................................ Pag. 7 1.2 La formazione ................................................................................... » 8 1.3 L’inizio della militanza politica ................................................... » 12 2. Svizzera, Francia, Inghilterra (1831-1845) 2.1 La detenzione ................................................................................... 2.2 Ginevra, Lione, Marsiglia ............................................................... 2.3 La lettera al re Carlo Alberto ....................................................... 2.4 La Giovine Italia ............................................................................... 2.5 La prima fase londinese................................................................. » » » » » 15 16 17 18 22 3. La rivoluzione (1846-1849) 3.1 La spedizione dei fratelli Bandiera ............................................. 3.2 Il 1848: una reazione a catena ................................................... 3.3 L’esperienza della Repubblica romana ...................................... » » » 25 28 30 4. Ancora cospirazioni (1850-1858) 4.1 Il Partito d’Azione ............................................................................ 4.2 Di nuovo in Italia per sostenere la rivolta ............................... 4.3 Cresce la spinta monarchica ........................................................ » » » 33 34 37 5. L’Unità d’Italia (1859-1861) 5.1 Di nuovo in patria ........................................................................... 5.2 La spedizione dei Mille .................................................................. 5.3 Di nuovo a Londra ........................................................................... 5.4 Venezia e Roma: continua la rivoluzione ................................ » » » » 38 40 45 46 6. Da esule a eroe indesiderato (1862-1872) 6.1 La Convenzione di settembre ...................................................... 6.2 La Terza guerra d’Indipendenza .................................................. 6.3 L’arresto a Palermo ......................................................................... 6.4 Gli ultimi anni .................................................................................. » » » » 47 48 50 50 Estratto della pubblicazione Istruzione generale per gli affratellati nella Giovine Italia .......... Pag. 53 Analisi grafologica ........................................................................................ » 58 Carta astrale.................................................................................................... » 59 Estratto della pubblicazione 1. Gli inizi (1805-1830) 1.1 I primi anni Giuseppe Mazzini nacque a Genova il 22 giugno 1805, in una famiglia della media borghesia ligure. Il padre, Giacomo, era medico e professore di anatomia e patologia all’università, nonché membro del governo della Repubblica Ligure. La madre, Maria Drago, figlia di ricchi mercanti genovesi, era una fervente giansenista1 ed ebbe un peso determinante nella formazione del figlio. In quell’anno Genova, fra tante promesse e speranze, in un’Europa in forte trasformazione, aveva perso l’indipendenza: la Liguria era stata annessa all’impero napoleonico. Il neonato venne battezzato nella Basilica di San Siro dal parroco Francesco Schellembrid, padrino lo zio materno. La sua nascita portò molta gioia ai genitori che fino ad allora avevano avuto due figlie, Rosa e Antonietta, e Mazzini da bambino che speravano in un maschio. Il bambino, però, era talmente gracile che per molto tempo i genitori ebbero paura di perderlo: nei primi tre anni della sua vita la madre non si staccò mai da lui. Giuseppe trascorse la sua fanciullezza nella casa paterna di via Lomellina 711, di proprietà del marchese Di Negro, riconoscente al padre Giacomo per averlo guarito da un disturbo alla gola. La casa fu presto rifugio di liberali e repubblicani. Giacomo, sincero democratico e massone, apparteneva alla loggia degli Indipendenti. In quegli anni la gioventù era in fermento e sollecitava un rinnovamento culturale e politico ispirato ai principi della Rivoluzione francese. Massoni e car1. Il Giansenismo è una dottrina elaborata da Giansenio, teologo e religioso olandese vissuto a cavallo tra il XVI e il XVII secolo. Secondo Giansenio, il peccato originale ha corrotto a tal punto l’uomo da renderlo incapace di resistere al male. L’unica possibilità di salvezza sta, pertanto, nella grazia, concessa da Dio solo ai predestinati dalla sua volontà. Di fronte a un Dio arbitro assoluto della sorte dell’uomo, il timore finisce per sostituirsi al sentimento dell’amore; da ciò discende una morale austera e rigorosa, alla quale evidentemente si rifaceva la madre di Giuseppe Mazzini. 8 bonari tramavano contro il conservatorismo culturale e religioso dei gesuiti per dare impulso al riconoscimento delle libertà civili. Queste nuove idee Giacomo le riassumeva nei tre principi basilari che avrebbero rappresentato l’ideale politico del figlio: l’unità nazionale, la repubblica come espressione più alta di autogoverno, l’educazione del popolo. «L’istruzione – scriveva sul giornale locale – è la prima necessità di un popolo». Giacomo Mazzini, inoltre, accettò di ricoprire incarichi pubblici fino al 1805, dimostrandosi amministratore onesto e coscienzioso. Giuseppe erediterà anche quest’aspetto del carattere paterno: come lui sarà leale, incorruttibile e implacabile accusatore dei disonesti. Tra il 1809 e il 1810 la famiglia Mazzini si trasferì in una casa più grande, al Castelletto, in collina. Nella nuova abitazione di via de’ Forni 1197, di proprietà dell’abate di San Bernardino, Giuseppe abitò fino al 1830, anno in cui sarebbe stato imprigionato per attività cospirativa e poi costretto all’esilio. Nella corrispondenza con la madre ricorderà la casa della sua adolescenza con tenerezza e nostalgia. Oh casa dei Forni! – scriveva nel 1838 da Londra – A proposito della mia camera colla finestra del poggiolo e le sue triplici barricate che tutto il mondo mi raccomandava di chiudere bene, come se dovesse venire un’invasione di barbari, mi ricordo spesso certe campanelle che non hanno odore affatto, ma che mi piacevano assai pei colori che mostrano a chi guarda dentro al fondo della corolla, specialmente quando la notte ha leggermente piovuto e la mattina è un bel sole. Crescendo, Giuseppe assomigliava sempre più alla madre: stesso pallore del volto, stesso neo sulla guancia destra, stessa fissità dello sguardo, e la stessa sensibilità, la stessa eccitabile fantasia che sconfinava nell’esaltazione, in una grande forza di autosuggestione. E assomigliava molto alla madre anche nell’amore della solitudine sdegnosa e misantropa, nell’odio per ogni debolezza e per ogni manifestazione mondana, e nella gentilezza del tratto. Come lei, aveva il gusto della caricatura e il senso dello humor. 1.2 La formazione Ragazzino sveglio e vivace, sin dalla prima infanzia Giuseppe mostrò una grande intelligenza: aveva imparato a leggere a quattro anni e metteva in difficoltà chiunque con le sue continue domande. Ciò indusse il padre ad affiancargli un valido precettore: si trattava di un prete, don Alberto, un amico di famiglia. Il sacerdote, tuttavia, dovette riconoscere che Giuseppe in fatto di storia e di letteratura ne sapeva più di lui e si limitò a insegnargli solo il latino. Nel periodo dell’adolescenza, per la formazione di Giuseppe, si avvicendarono gli abati Luca Agostino De Scalzi e Giacomo De Gregari; lui continuava a 9 eseguire i compiti con la stessa diligenza. Parlava meglio il francese dell’italiano e studiava con amore il latino, ma soprattutto leggeva con passione i libri di storia antica e moderna. Imparò a suonare la chitarra, a comporre musica e a tirar di scherma. Nelle ore libere dallo studio, ai giochi preferiva le conversazioni di politica che il padre teneva con i suoi amici, l’intellighenzia genovese. Nel corso di questi incontri, si parlava della situazione della città, dell’Italia divisa e governata da stranieri, del governo piemontese, e di tutti gli eventi che si erano succeduti in Europa dopo la Rivoluzione francese. Il giovane Giuseppe, insomma, non poteva aspirare a un ambiente familiare migliore; nelle sue memorie ricorderà la sua infanzia e i genitori con queste parole: Io ero già inconsciamente educato al culto dell’uguaglianza dalle abitudini democratiche dei due miei parenti e dai modi identici che essi usavano con il patrizio ed il popolano: nell’individuo essi non cercavano evidentemente se non l’uomo e l’onesto. E le aspirazioni alla libertà, ingenite nell’animo mio, erano alimentate dai ricordi di un periodo recente, quello delle guerre repubblicane francesi, che suonavano spesso sulle labbra di mio padre. Con il passare degli anni Giuseppe manifestava sempre più un temperamento risoluto e ribelle, insofferente a ogni inutile costrizione. Fisicamente rimase debole, ma si andava delineando una volontà di ferro che sarebbe stata rafforzata ulteriormente negli anni di solitudine e di ragionamento che lo attendevano. A scuola sobillava i compagni, che lo riconobbero come loro capo indiscusso, mentre i professori lo presero di mira. Seguiva le materie senza interesse, non trovandovi che «il vuoto assoluto», polemizzava con gli insegnanti sui metodi didattici insufficienti, scatenava discussioni filosofiche. I professori, se da un lato ammiravano il suo ingegno, dall’altro non gli perdonavano il tono provocatorio e insolente che contagiava la classe. DOCUMENTI Discolo sì, ma con stile! Mazzini compose questo epigramma contro il professor Lari, insegnate di eloquenza latina, supplente del professor Solari: Il professor Lari Due terzi è del Solari Ma spender non si può Perché gli manca il Sol 10 Nel 1820, per seguire l’esempio del padre, s’iscrisse alla Facoltà di Medicina, ma la passione per la politica prese il sopravvento, tanto che, dopo un anno, si rese conto della sua vera vocazione. Fu in quel periodo che assistette all’esodo, nel porto di Genova, di un gruppo di reduci dei moti insurrezionali che s’imbarcavano per la Spagna, dove la rivoluzione continuava: quella visione gli fece nascere il pensiero che si poteva e si doveva lottare per la libertà della patria. DOCUMENTI Un’esperienza rivelatrice L’evento decisivo per la vita di Mazzini fu quello del porto di Genova. Egli stesso racconta l’emozione di quel giorno in una famosa pagina autobiografica: I più erano confinati in Sampierdarena aspettandovi la possibilità dell’imbarco, ma molti s’erano introdotti ad uno ad uno nella città, ed io li spiavo fra i nostri, indovinandoli ai lineamenti, alle fogge degli abiti, al piglio guerresco e al dolore muto, cupo, che avevano in volto. La popolazione era singolarmente commossa! Taluni fra i più arditi avevano fatto proposta ai capi, credo Santarosa e Ansaldi, di concentrarsi tutti nella città, impossessarsene ed ordinarvi la resistenza, ma la città, dicevano, era militarmente sprovveduta d’ogni difesa, mancavano ai Forti le artiglierie, e i capi avevano ricusato e risposto: «Serbatevi a migliori destini». Non rimaneva che soccorrere di denaro quei poveri e santi precursori dell’avvenire e i cittadini vi si prestavano liberamente. Un uomo di sembianze severe ed energiche, bruno, barbuto e con uno sguardo scintillante che non ho mai dimenticato, s’accostò a un tratto fermandoci: aveva tra le mani un fazzoletto bianco spiegato e proferì solamente le parole «pei proscrittii2 d’Italia». Mia madre e l’amico versarono nel fazzoletto alcune monete ed egli si allontanò per ricominciare con altri. Seppi più tardi il suo nome. Era un tal Rini, capitano nella Guardia Nazionale che s’era, sul cominciare di quel moto, istituita. Partì anch’egli cogli uomini pei quali s’era fatto collettore a quel modo e credo che morisse combattendo, come tanti altri dei nostri, per la libertà della Spagna. Quel giorno fu il primo in cui m’affacciasse confusamente all’anima mia, non dirò un pensiero di Patria e di Libertà, ma un pensiero che si poteva e, quindi, si doveva lottare per la libertà della Patria! Nel 1822 passò alla Facoltà di Giurisprudenza e, tormentato dal pensiero della patria oppressa, ma ancora incapace di intravedere un modo per aiutarla, visse immerso nella tristezza per un lungo periodo, giurando a se stes2. I proscritti erano coloro che erano stati iscritti nelle liste di proscrizione e che pertanto erano noti alle autorità pubbliche come cospiratori e rivoluzionari. 11 so che avrebbe indossato sempre e soltanto abiti di colore nero finché l’Italia non fosse stata finalmente una, libera, indipendente e repubblicana. Leggeva volentieri Byron e Schiller e recitava a memoria interi brani della Bibbia. Era affascinato da Goethe e affermava che «se avesse potuto passare un giorno con lui, o con un altro genio simile, sarebbe stato quello il più bello della sua vita». Mazzini sedicenne con la madre e un amico di famiglia mentre un uomo chiede un’offerta per i proscritti d’Italia Tra i poeti italiani ebbe sempre una forte venerazione per Dante e Foscolo. Dante gli ispirò l’idea dell’unità della patria (nel suo primo saggio, Dell’amor patrio di Dante del 1826, si riferisce al grande poeta fiorentino come al Padre della nazione), Foscolo il senso della dignità perduta. Preferiva i poeti civili, gli artisti politicamente impegnati, che attribuivano alla propria attività una funzione educativa e non semplicemente di intrattenimento. Da questo punto di vista, l’opera di Manzoni, al quale pure riconosceva un «ingegno di prim’ordine e una squisita sensibilità», gli appariva manchevole poiché, essendo caratterizzata da una rassegnata accettazione del destino, risultava priva di un messaggio di riscatto politico. Difendeva la letteratura romantica, innovatrice nell’arte non meno che nella politica, contro i suoi denigratori italiani. Leggeva di tutto, prendeva note, non scartava a priori e non si lasciava facilmente consigliare. Il 6 aprile 1827 si laureò in legge. Il padre, contentissimo, sperava che a questo punto il figliolo avrebbe messo la testa a posto: nella città del 12 commercio c’era da guadagnare a sufficienza facendo l’avvocato. Giuseppe, però, seguendo il suo istinto di «apostolo dell’umanità», si iscrisse all’ufficio dell’Avvocatura dei poveri. Per due anni esercitò la professione senza compenso, ma con grande soddisfazione, sebbene fosse cosciente di non avere disponibilità economiche tali da poter continuare così all’infinito. 1.3 L’inizio della militanza politica Ritratto giovanile di Mazzini, Museo Civico del Risorgimento di Bologna Poco dopo la laurea Giuseppe venne introdotto dall’amico Pietro Torre negli ambienti della Carboneria, una società segreta con finalità rivoluzionarie derivata probabilmente dalla Massoneria napoletana di Gioacchino Murat. Con il fallimento dei moti del ’21, la Carboneria aveva perso gran parte del suo prestigio, ma le sue attività non erano cessate: le cospirazioni continuavano in Francia e Spagna, e i rivoluzionari dispersi per l’Europa si tenevano in contatto con i liberali che tramavano in Italia. Mazzini divenne segretario dell’organizzazione in Valtellina e svolse una serie di delicate missioni segrete in Liguria e in Toscana. APPROFONDIMENTO La Carboneria Tra tutte le organizzazioni segrete nate in Europa nel periodo della Restaurazione, la più importante fu la Carboneria, che si diffuse specialmente in Italia e in Francia. In Italia sorse dapprima nel Meridione, durante il regno di Gioacchino Murat, tra il 1807 e il 1812, probabilmente in seguito a una divisione interna alla Massoneria. L’organizzazione, i cui affiliati appartenevano in gran parte alla borghesia e alle classi sociali più elevate, aveva come obiettivo la cacciata degli Austriaci, il rovesciamento degli Stati assoluti e l’appoggio ai regimi più rispettosi delle libertà degli individui. Essa, inoltre, era dotata di una struttura gerarchica molto rigida: i membri, che tra loro si chiamavano cugini,i erano divisi in apprendisti e maestri,i mentre i diEstratto della pubblicazione 13 rigenti erano chiamati alte vendite. Il capo dell’organizzazione aveva il nome di Gran Maestro à e colui che presentava un nuovo aspirante carbonaro, Maestro della Società definito pagano, era chiamato preparatore. Gli spazi dove si incontravano i cospiratori erano chiamati baracca a e i gruppi locali vendite. Tutti gli adepti dovevano mantenere il più assoluto riserbo sulle attività dell’organizzazione, pena la morte. Stampa d’epoca raffigurante una riunione di carbonari all’inizio del XIX secolo 14 Per dare un valore sempre più propulsivo alle proprie idee, inoltre, Mazzini cominciò a collaborare con l’Indicatore Genovese, un giornale che trattava questioni letterarie, ma che, attraverso le recensioni di libri pubblicati in quegli anni, affrontava anche temi e problemi di carattere politico. Incoraggiati dal successo, i collaboratori dell’Indicatore intensificarono la loro attività, alimentando però anche i sospetti della polizia: il giornale, la cui pubblicazione era cominciata nel maggio del 1828, fu soppresso dal governo piemontese il 20 dicembre dello stesso anno. Secondo l’opinione generale, in effetti, nel Piemonte sabaudo era insediato uno dei regimi più dispotici d’Italia. Mazzini, intanto, andava convincendosi che la Carboneria, con la sua attività cospirativa fortemente ispirata alla segretezza, stava perdendo consensi. Egli aspirava a una lotta condotta a viso aperto, fondata sulla totale assunzione di responsabilità delle proprie azioni: voleva gridare al mondo la sua fede nella libertà, nella giustizia e nella futura patria italiana. Inoltre, non comprendeva la fideistica devozione ai capi, un’offesa alla sua coscienza di democratico, né il rituale deprimente dell’associazione che limitava il libero confronto tra Mazzini in un ritratto del 1830 gli adepti. Cominciò così a indicare i limiti della setta, che reclutava proseliti in una ristretta élite (tra i nobili, i borghesi, gli ufficiali dell’esercito, i funzionari e gli studenti) ma che restava estranea al popolo. Addirittura la criticò sostenendo che fosse malata d’impotenza. Arrivò a scrivere: Voi siete cospiratori per ridere! Non è sufficiente incontrarsi di notte in uno scantinato. […] Vi abbandonate a imprecazioni sinistre, pronunciate dei giuramenti da far drizzare i capelli e, finita la seduta, ciascuno rientra a casa per godersi la dolcezza del riposo e sognare tranquillamente la liberazione comune […]. Meno giuramento e più azione! Non affilate i vostri pugnali se non possono servirvi! Sentì che era necessario rinnovare il gruppo dirigente, ma così facendo spinse le alte cariche dell’organizzazione a liberarsi di lui. Fu deciso, infatti, di mandarlo in Toscana per riorganizzare i carbonari livornesi. Non poté sottrarsi, anche se intuì l’inganno. Tra tutti gli Stati italiani, infatti, il GranEstratto della pubblicazione 15 ducato di Toscana era quello che assomigliava di più a un regime paternalistico liberale: il popolo non era oppresso come nei Regni di Napoli e Sardegna, dove di conseguenza la Carboneria era più forte. In Toscana Mazzini cominciò a collaborare con l’Indicatore Livornese, giornale analogo al precedente, ma ben presto la polizia del granduca ne proibì la pubblicazione. Di ritorno dal viaggio in Toscana, tradito da un compagno, venne arrestato dalla polizia piemontese e rinchiuso nel carcere di Savona, nella fortezza di Priamar. Era il 1830. La fortezza di Priamar 2. Svizzera, Francia, Inghilterra (1831-1845) 2.1 La detenzione Nel primo mese di detenzione a Mazzini non fu concesso di leggere: il vecchio direttore del carcere era un vero e proprio aguzzino. Il suo successore, invece, gli riservò un trattamento più umano: lo invitava a prendere il caffè nel suo appartamento e gli permetteva di passeggiare sui bastioni della fortezza da dove era possibile vedere Genova. Riuscì a ottenere anche dei libri (aveva chiesto la Bibbia, leggeva Tacito e Byron) e cantava accompagnandosi con la chitarra. Ogni dieci giorni riceveva una lettera della madre (che doveva passare attraverso la censura) a cui poteva rispondere con una missiva aperta. Fu proprio in carcere che concepì il proposito di fondare una nuova organizzazione, la Giovine Italia, dal carattere profondamente democratico e con un programma che mirava all’unificazione della penisola e alla creazione di una repubblica che sostituisse la monarchia. La Giovane Italia doveva rendere la Patria «una, libera, forte, indipendente da ogni supremazia straniera e morale, e degna della propria missione». Nella solitudine della cella, Mazzini tracciò un vero e proprio piano di battaglia, avendo ben chiaro quali fossero i nemici dell’unità (la monarchia, l’Austria e il papato) e individuando i fattori fondamentali della lotta (i principi di nazionalità, libertà e indipendenza). Rimase nel carcere di Savona fino al mese di gennaio del 1831. Al momento della scarcerazione fu messo di fronte alla scelta: il confino sotto la sorveglianza della polizia o l’esilio. Non ci furono dubbi: scelse l’esilio per potersi dedicare più liberamente al suo progetto politico. Estratto della pubblicazione 16 In Italia la condizione di esule era sempre stata la posizione gloriosa di coloro che non accettavano di essere schiavi in patria: se n’erano andati Foscolo, morto a Londra, e Dante, morto a Ravenna. Del resto Mazzini era convinto che la rivoluzione lo avrebbe riportato a casa presto. Partì il 10 febbraio. Abbracciò il padre, che non avrebbe più rivisto; la madre pregò il cognato Bartolomeo Albertis che viveva in Francia (dove Giuseppe si sarebbe stabilito dopo un po’) di aiutarlo nei primi tempi. CURIOSITÀ Una chitarra per amico Mazzini fece parte di quella schiera di uomini che adottarono la musica come elemento fondamentale per la formazione della propria personalità. Fu un esperto chitarrista e un attento studioso del repertorio musicale a lui contemporaneo. Nel 1835, esule in Svizzera, lavorò alla stesura del suo unico scritto di carattere musicale: La filosofia della musica. Non sappiamo con chi avesse studiato lo strumento, ma dimostrò particolari attitudini per la chitarra. Certamente essa contribuì a rasserenare i momenti difficili della sua vita. Per anni, Mazzini visse nascosto, in ristrettezze economiche, nel pericolo costante di un arresto. Dedicarsi alla musica fu un modo per ritrovare la quiete perduta e ritornare con la mente agli anni della giovinezza. 2.2 Ginevra, Lione, Marsiglia Attraversato il Moncenisio, Mazzini giunse a Ginevra. Era emozionato: la bandiera repubblicana svizzera «era qualcosa di unico che sfidava le dinastie europee». Ginevra, città di Calvino e simbolo stesso di ogni libertà, aveva dato asilo a numerosi rifugiati provenienti da mezza Europa, conquistandosi il titolo di cité de refuge. Mazzini era impaziente di incontrare i suoi connazionali che avevano scelto l’esilio, ma fu subito deluso dalla loro inconcludenza. Si trasferì a Lione, ritrovo abituale di esuli italiani e repubblicani francesi. Ben presto, però, si convinse che i carbonari di Lione non erano meno velleitari di quelli di Ginevra. Intanto in Italia era scoppiata una nuova insurMazzini in un ritratto giovanile rezione che aveva l’obiettivo di instaurare governi provvisori a Parma, a Modena e in alcune province dello Stato pontificio, governi che intendevano battersi per porre fine al potere temporale del papa. Per non far mancare il suo appoggio agli insorti, Mazzini si recò Estratto della pubblicazione 17 in Corsica con l’intenzione di sbarcare in Italia alla guida di un gruppo di esuli. Tuttavia, i governi rivoluzionari si dimostrarono incapaci di adottare una strategia comune, e non fu difficile per le truppe austriache reprimere la rivolta e ristabilire l’ordine. Queste vicende convinsero ulteriormente Mazzini del fatto che la rivoluzione italiana non potesse essere realizzata solo da sparuti gruppi di intellettuali e di liberali, e che fosse necessario avviare un’attività di educazione e propaganda finalizzata a coinvolgere nel processo di riscatto nazionale anche le masse popolari. Così, nel marzo del 1831, ritornò in Francia e si stabilì a Marsiglia, da dove era facile inviare e ricevere lettere da Genova via mare. Viveva in rue de l’Arbre 17, nella casa di Démosthène Ollivier, ricco commerciante tessile iscritto alla Carboneria e capo carismatico dei repubblicani di Marsiglia. Ollivier fu affascinato dalla personalità di Mazzini. In casa sua, questi poté incontrare abitualmente tutti i capi dell’opposizione repubblicana francese e discutere con gli esuli italiani per la creazione della nuova associazione rivoluzionaria (la Giovine Italia) che avrebbe dovuto estendersi all’Italia intera, sostituendosi ai tanti gruppi carbonari a reclutamento locale. CURIOSITÀ L’immagine di un eroe romantico Nella casa di Marsiglia Mazzini aveva assunto la fisionomia dell’eroe romantico: esile, con l’abito nero, il cappello largo detto alla calabrese, i capelli lunghi e neri che gli scendevano sulle spalle, la carnagione olivastra, la fronte alta, l’espressione delicata e lo sguardo magnetico e scintillante. L’abito nero era simbolo del lutto che portava per il Paese, ma era anche la divisa che contribuiva a far crescere il mito e la tenebrosità del personaggio. Portava sempre un foulardd al collo perché non amava i colletti delle camicie. Si era fatto crescere la barba con la quale era conosciuto da tutte le polizie d’Europa. Sempre profumatissimo, non sopportava di essere contraddetto e aveva un certo rispetto per chi la pensava come lui. Andava su tutte le furie se gli parlavano bene degli uomini che non stimava. 2.3 La lettera al re Carlo Alberto Il 27 aprile 1831 il re di Sardegna, Carlo Felice, morì. A succedergli alla guida del Regno sabaudo fu Carlo Alberto, che in gioventù aveva dimostrato inclinazioni liberali. I proscritti piemontesi accolsero con grande entusiasmo l’evento, che avrebbe dovuto porre fine al loro esilio: l’assolutismo, secondo loro, era morto con Carlo Felice. 18 Nel mese di giugno del 1831 Mazzini inviò al nuovo re una lettera aperta, nella quale gli prometteva il suo appoggio se avesse sposato la causa dell’Italia unita e indipendente: Mettetevi alla testa della nazione, scrivete nella vostra bandiera Unione, Libertà, Indipendenza! Dichiaratevi giudice e interprete dei diritti popolari! Liberate l’Italia dai barbari! La missiva non ebbe risposta, e anzi fu considerato molto offensivo che un suddito si permettesse di dare consigli a un sovrano che regnava per diritto divino. Carlo Alberto, piuttosto, si disse deciso ad annientare quei liberali che dieci anni prima aveva incoraggiato. Questa reazione, per Mazzini, fu la prova che di un re non ci si poteva fidare, e che era necessario abbandonare il possibilismo carbonaro, basato sulla collaborazione con i Savoia, e rafforzare l’idea repubblicana come l’unica possibile. La lettera, che in realtà non era diretta tanto al re, quanto agli italiani che dovevano convincersi che l’unità e la libertà si sarebbero potute conquistare solo con un moto popolare, fu così stampata in forma di opuscolo (a Marsiglia) e diffusa clandestinamente a Genova, in PiemonCarlo Alberto, re di Sardegna te, in Toscana e a Napoli. Si trattò di un gesto di sfida al potere costituito che diede a Mazzini una immediata notorietà. Carlo Alberto cominciò a temerlo tanto da far diramare dal Ministro degli Interni l’ordine di arrestarlo se avesse messo piede in Italia. 2.4 La Giovine Italia Nel mese di luglio del 1831 Mazzini, assieme a un gruppo di circa quaranta esuli, fondò un’associazione a cui fu dato il nome di Giovine Italia. L’organizzazione si basava su un programma unitario e repubblicano (che Mazzini come abbiamo visto era andato definendo nel corso degli anni), e poneva al centro della sua attività l’educazione del popolo. L’educazione non si faceva con la propaganda, con i libri, con i giornali, ma con l’azione e con la lotta. Le altre associazioni predicavano, la Giovine Italia combatteva! Nel suo sistema, fiducioso nel progresso dell’umanità, la vita era una missione, un esercizio di doveri. «Ognuno aveva il dovere di concorrere al progresso generale nella misura delle proprie forze; chi mancava a questo dovere era un traditore dell’umanità». Questi principi si concretizzano nel famoso motto Pensiero e Azione. Estratto della pubblicazione 19 Il primo incontro tra Mazzini e Garibaldi APPROFONDIMENTO I simboli della Giovine Italia L’associazione fondata da Mazzini adottò la bandiera tricolore con il motto «Unione, Forza e Libertà!!». La divisa prevedeva una camicia verde, la cintura di cuoio rosso, i pantaloni bianchi e il berretto di incerata con la coccarda tricolore. Il suo simbolo era il ramoscello di cipresso, albero sacro che punta al cielo. Il nuovo movimento si impegnava a combattere l’assolutismo politico in ogni sua forma, e ad eliminare ogni privilegio che non fosse frutto delle capacità e dell’intelligenza dei singoli uomini. Il fine principale era «rovesciare le monarchie corrotte e corruttrici» che governavano nella Penisola, per riunire il popolo italiano sotto una sola repubblica. Il movimento accoglieva solo giovani puri: erano esclusi quelli che avevano commesso reati, chi era troppo generoso o troppo avaro e quelli eccessivamente dediti al vino e alle donne. I membri dovevano essere italiani e non 20 superare i quarant’anni, perché Mazzini non aveva fiducia negli uomini anziani, che considerava maestri dell’arte del compromesso e dell’intrigo diplomatico. La Giovine Italia fu sostenuta dall’omonimo periodico che, diffuso clandestinamente tra il 1831 e il 1833 in Piemonte, Liguria e Toscana, ottenne il consenso di ampi strati della popolazione (penetrando anche tra gli effettivi dell’esercito piemontese) e ispirò nei simpatizzanti il desiderio di una patria unita sotto la stessa bandiera. Pensatore umanissimo ed efficace scrittore, Mazzini sapeva trovare nei suoi articoli quelle parole semplici e dirette che arrivavano dritto al cuore dei lettori: i suoi principi, chiari e nobili, non potevano non far presa sull’animo degli onesti. La bandiera della Giovine Italia Le autorità piemontesi, tuttavia, vennero a conoscenza dell’esistenza dell’organizzazione e fecero forti pressioni sulla Francia che si vide costretta a espellere Mazzini dal proprio territorio. Lasciata Marsiglia, questi tornò a Ginevra, dove decise di passare all’azione: non dubitava che al momento opportuno un intero popolo sarebbe insorto per cacciare principi e re. Era sfiduciato e stanco di combattere inutilmente, ma non voleva arrendersi. E così, nel febbraio del 1834, organizzò una spedizione nella Savoia (che allora faceva parte del Regno di Sardegna). Purtroppo, però, a causa dell’incapacità dimostrata dall’ex ufficiale napoleonico Gerolamo Ramorino, al quale era stato affidato il comando militare, l’azione Il frontespizio del primo fascicolo fallì. Da Berna Mazzini scrisse una lettedella rivista mazziniana ra a Giuditta Sidoli, donna da lui amata: Non ho nulla da dirti. Tutto è tormento per me. […] Sono cacciato da Berna. Lo sono da Ginevra. Lo sono da Losanna. Me lo hanno notificato proprio adesso. Stavo male, malissimo, in preda al delirio assoluto. Avevo calcolato sulle mie forze fisiche e morali. Ecco tutto. Estratto della pubblicazione 21 Mazzini dovette riconoscere che troppi italiani non erano ancora pronti a combattere per la propria nazione, per l’indipendenza e per l’unità. CURIOSITÀ Giuditta Sidoli Il grande amore di Mazzini fu Giuditta Sidoli, affascinante, colta e bellissima eroina risorgimentale. Sorella del cospiratore milanese Carlo Bellerio, nel 1820, a soli sedici anni sposò il patriota modenese Giovanni Sidoli, del quale tuttavia rimase vedova dopo nove anni di matrimonio. Cacciata dal Ducato di Reggio Emilia per aver partecipato ai moti insurrezionali del 1821, si rifugiò prima a Lugano, poi a Ginevra e infine a Marsiglia, dove aprì una pensione che ospitava esuli italiani. L’incontro con Mazzini avvenne proprio lì, nella pensione di rue Saint Ferréol n. 5: Giuditta aveva ventotto anni, uno più di Giuseppe, ed era tutto fuorché una donna banale. Fu amore a prima vista! La Sidoli aveva già sentito parlare del fondatore della Giovine Italia a e ne fu irresistibilmente attratta. Ma non fu solo un’amante appassionata: audace e temeraria, Giuditta seppe essere per Mazzini una compagna di fede politica, seppe ispirargli nuove idee, e procurargli il denaro necessario per la propaganda, i Giuditta Bellerio Sidoli manifesti e la corrispondenza. I due amanti vissero insieme per un anno, ma dopo Marsiglia presero strade diverse, continuando a mantenere un rapporto solo epistolare. Intanto avevano avuto un figlio, Giuseppe Demostene Adolfo Aristide, rimasto a lungo segreto, che però sarebbe morto in tenerissima età. I due si rividero nel 1853 a Torino, dove Mazzini era giunto clandestinamente poiché su di lui pendeva una condanna a morte firmata dalle autorità dello Stato sabaudo. Fu l’ultima volta che si incontrarono. La donna morì di polmonite, nel 1871, rifiutando i sacramenti della Chiesa, dopo aver detto di credere solo nel Dio degli esuli e dei vinti. Neanche in questa occasione, tuttavia, Mazzini si perse d’animo; piuttosto cercò di allargare il suo raggio d’azione. Nel 1834 fondò a Berna una nuova organizzazione, la Giovine Europa, che univa i patrioti italiani, tedeschi e polacchi in un unico sforzo per il raggiungimento dei comuni ideali di indipendenza nazionale e di democrazia. Secondo Mazzini, in un futuro (non certo vicino), le singole nazioni si sarebbero unite per dare vita a una repubblica federale europea: il suo obiettivo era proprio quello di abbattere l’ordine uscito dal Congresso di Vienna nel 1815. E non tralasciò neppure Estratto della pubblicazione 22 i problemi del Paese in cui viveva: nel 1836 fondò la Giovine Svizzera, che aveva come obiettivo una maggiore coesione fra i cantoni della Dieta. Mazzini fonda a Marsiglia la Giovine Italia 2.5 La prima fase londinese Negli ultimi mesi del 1836 una profonda crisi morale colpì Mazzini: il pensiero delle sconfitte subite, il ricordo dei numerosi giovani caduti inseguendo il suo ideale, la stanchezza dell’esilio, la solitudine e le persecuzioni Estratto della pubblicazione 23 subite lo gettarono in una profonda disperazione, tanto che fu sul punto di abbandonare la politica. Se guardava al passato, non vedeva che fallimenti. Non rinnegava una sola delle sue idee, ma si domandava se avesse il diritto di sacrificare anche gli altri ai suoi ideali. Fortunatamente la crisi passò e quando, sul finire del 1836, la polizia elvetica lo espulse dal territorio nazionale, si trasferì a Londra con animo sereno. Il 12 gennaio 1837, alle quattro del pomeriggio, Mazzini mise piede sul suolo britannico e vi rimase per undici anni senza interruzione. La capitale inglese gli offrì subito la libertà: poteva portare il suo nome, muoversi senza impedimenti, stringere amicizia con persone importanti che simpatizzavano per la causa italiana. Tutto questo gli permetteva di sopportare con maggiore serenità la lontananza dalla madre e dalla patria. Nei primi mesi del suo esilio londinese, Mazzini, poverissimo, divideva la casa con i fratelli Ruffini, suoi amici e compagni di lotta. Fu una difficile convivenza che deteriorò i loro rapporti. Studiava l’inglese e sperava di guadagnarsi da vivere con la penna, come Foscolo. Grazie all’amicizia di Eliza Fletcher, un’anziana nobildonna scozzese che lo aiutò nei primi anni del suo soggiorno oltremanica, ottenne un permesso d’ingresso alle sale di lettura della biblioteca del British Museum, dove si recava tre volte a settimana per leggere e studiare (e per risparmiare sul riscaldamento domestico). Poi arrivò, quasi inaspettatamente, la collaborazione con Le Monde dove George Sand fu assunto come corrispondente dall’Inghilterra assieme a George Sand, giornalista di cultura e costume. Dopo pochi mesi però fu licenziato perché nei suoi articoli non risparmiava critiche durissime al governo inglese: Questa Camera – scrisse in uno dei suoi interventi – così materialista, così fredda, così funzionale, che dà ascolto solo a misere questioni di potere o a nozioni di piccolo interesse pratico immediato; questa Camera che si annoia quando si discutono i grandi principi ed è assente quando si parla del popolo e dell’avvenire! 24 Cominciò, così, a collaborare con l’autorevole giornale letterario British and Foreign Review, per il quale pubblicò un saggio su Victor Hugo, descritto come uno scrittore affascinante e vigoroso, ma incapace di scrutare a fondo l’animo umano, e che «quando non ha nulla da dire, si rifugia nello stile e nelle proprie doti espressive». In quel periodo, inoltre, conobbe lo scrittore Thomas Carlyle, autore della Storia della rivoluzione francese, che aveva avuto molto successo in Gran Bretagna. L’amicizia con Carlyle gli aprì molte porte in ambienti importanti, nei quali andò accreditandosi come il rappresentante più illustre e degno del suo Paese. Thomas Carlyle APPROFONDIMENTO L’impegno sociale L’attività di critico e di giornalista non impedì a Mazzini di prendere in considerazione con la dovuta attenzione anche la difficile situazione degli immigrati italiani in Inghilterra. Nel 1840, infatti, fondò una società di mutuo soccorso fra gli artigiani italiani di Londra. L’iniziativa era nata dagli stessi lavoratori, che si erano impegnati a versare ogni settimana una cifra da destinare alla pubblicazione di un giornale (L’Apostolato Popolare) e all’istituzione di una scuola per adulti. Pubblichiamo giornali – scriveva Mazzini sulle colonne dell’Apostolato Popolare – coi principi nostri in ogni parte del mondo ove ci sono italiani; istruiamo, educhiamo, affezioniamoci gli operai, i fanciulli derelitti; teniamo sempre alla loro mente che là c’è l’Italia, la Patria loro schiava, che essi devono liberare, per potervi rientrare un giorno e vivere la vita dei liberi e onesti cittadini. Questo è lo scopo del giornale. Il giornale era nato come organo ufficiale della Giovine Italia, e dunque propagandava le idee di indipendenza, unità e democrazia che caratterizzavano l’organizzazione politica mazziniana, ma si distinse immediatamente anche per un’inchiesta giornalistica sull’infanzia povera e maltrattata. Girando per i quartieri emarginati di Londra, Mazzini aveva scoperto un traffico vergognoso gestito da speculatori italiani che irretivano adolescenti immigrati (provenienti per lo più dai monti della Liguria e del Piemonte) per avviarli al furto e alla carità. Mazzini si prese cura di quei ragazzi e denunciò con forza quella che definì come una vera e propria «tratta dei bianchi». La scuola fu aperta nel novembre del 1841 a Hatten Garden, quartiere londinese abitato per lo più da italiani. Destinata in parte agli adulti, la scuola accolse soEstratto della pubblicazione