La trasposizione della catastrofe fuori da sé

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Spettacolo per Calderone 2010
CATASTROFE
CATASTROFE.................................................................................................................................... 1
Prologo .......................................................................................................................................................... 1
La sacralizzazione del sé sofferente ............................................................................................................ 3
Primo intermezzo ......................................................................................................................................... 5
La distruzione come cambiamento percettibile......................................................................................... 5
Secondo intermezzo ..................................................................................................................................... 8
Il ressentiment dopo la frustrazione ........................................................................................................... 9
Terzo intermezzo ........................................................................................................................................ 11
La trasposizione della catastrofe fuori da sé ........................................................................................... 11
Quarto intermezzo ..................................................................................................................................... 14
La vita come avvento o conformismo ....................................................................................................... 14
Epilogo ........................................................................................................................................................ 17
INTERPRETI
1. Fabiola
2. Francesca
3. Giovanna
4. Giovanni
5. Luca
6. Luisa
7. Sabina
8. Silvia
PROLOGO

Emibimba A Espilon
Francesca
Emibimba B Zeta
Giovanna
Alfa
Sabina
Beta
Fabiola
Gamma
Silvie
Delta
Luca
Eta
Giovanni
Theta
Luisa
Tutti entrano in scena e svolgono un gioco puerile.
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
Gamma interrompe il gioco.
GAMMA Basta, Non se ne può più di questo gioco! Sempre lo stesso…
EPSILON Parla per te. (Rivolta agli altri) A noi piace ancora, vero?
 Gli altri si guardano perplessi.
EPSILON (Rivolta a Delta) Vero che ci piace?
DELTA Che palle, è una rottura di palle!
 Epsilon fa un ghigno di stizza.
ZETA Ma con tutti i giochi che esistono, non possiamo farne un altro?
ETA Giusto, facciamo un altro gioco. Potremmo giocare a… a… Qualcuno di voi ricorda qualche
altro gioco?
 Gli altri si guardano perplessi.
THETA È passato così tanto tempo da quando giocavamo, chi se li ricorda più?
ALFA Io!
THETA Davvero? E quale gioco ricordi?
ALFA Quello dei bigliettini della catastrofe.
GAMMA I bigliettini della catastrofe? Ma che razza di gioco è?
ALFA È molto semplice: si scrivono su dei biglietti dei pensierini a tema, si chiudono e si mettono
in un’urna. Poi si estraggono, si sceglie chi li fa e si svolgono. Bello, vero?
THETA (Non convinta) Be’…
ALFA Dai, dai, preparate i biglietti.
 Tutti estraggono i propri biglietti, misteriosamente già pronti e piegati.
 I biglietti vengono messi nell’urna.
DELTA E chi estrae adesso?
ALFA Comincio io che conosco il gioco?
 Gli altri si guardano perplessi.
ALFA Sì, dai, comincio io che conosco il gioco.
 Alfa prende dall’urna un biglietto.
ALFA Il titolo della composizione è (leggendo sul biglietto) “Quanto più patisci, tanto più diventi
bella.”
 Beta vuole rassicurarsi di avere capito bene.
BETA Patisci? bella?
ALFA (leggendo sul biglietto) “Quanto più patisci, tanto più diventi bella.”
BETA Al singolare? Una sola, allora?
 Alfa annuisce.
BETA Un monologo! Allora scelgo… (indicando Epsilon) Te!
 Epsilon inizia a prepararsi. Tutti manifestano euforia (brusii).
BETA (Interrompendo i brusii e indicando Zeta) E te!
 Tutti manifestano stupore.
ALFA Ma…
 Beta con un cenno della mano interrompe Alfa e fa segno a Zeta di alzarsi.
 Zeta si alza, poco convinta. Inizia a sua volta a prepararsi, aiutata dagli altri presenti.
BETA Prendete… (pensando) Prendete… Una bambola!
 Qualcuno consegna a Beta una bambola.
 Quando Epsilon e Zeta sono pronte, Beta dà loro la bambola.
 Tutti escono di scena, tranne Epsilon e Zeta, che diventano Emibimba A ed Emibimba B.
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LA SACRALIZZAZIONE DEL SÉ SOFFERENTE

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
Francesca
Emibimba A
Giovanna
Emibimba B
Emibimba A e Emibimba B sono travestite da bambine, in modo perfettamente identico. Sono
completamente vestite di bianco, con pizzi, tulle, nastri, ecc.
I loro corpi sono un corpo solo, perché loro due sono parte della stessa persona. Pertanto, sono
legate tra loro e compiono le stesse azioni: camminata d’entrata, guardarsi in giro, giocare con
una bambola, ecc.
A un certo punto Emibimba A si stacca. Estrae dalla sua tasca una benda, anch’essa decorata
di pizzo.
La indossa.
Comincia a muoversi nello spazio come giocando a mosca cieca. Accenna l’inizio di una
filastrocca, che stentatamente ripete più volte. La sua voce imita quella di una bambina.
EMIBIMBA A
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

O mosca, o moschettina,
sei cieca, poverina!
Anche Emibimba B estrae dalla tasca una benda e la indossa.
Emibimba A si blocca in silenzio in una posizione.
Emibimba B si mette di fronte a Emibimba A e ne assume la posizione speculare.
Insieme riprendono a muoversi, perfettamente speculari. Intanto ripetono la filastrocca,
stavolta senza tentennamenti.
EMIBIMBA A E EMIBIMBA B
O mosca, o moschettina,
sei cieca, poverina!
Sei cieca, sei bendata
e annaspi disperata.
Chi dunque vuoi pigliare?
La benda a chi vuoi dare?
Ti tocco e non mi vedi,
t'inganno e non mi credi...
sei cieca, poverina
o mosca, moschettina…
 Emibimba B si toglie la benda e guarda Emibimba A che adesso si muove come una
mendicante: cammina claudicante e porge la mano per chiedere l’elemosina.
 Emibimba B non mostra stupore per quello che accade, perché sta iniziando un gioco che fanno
spesso.
EMIBIMBA A Fate la carità a una povera fanciulla cieca. Fate la carità…
 Emibimba B finge di estrarre dalla tasca una moneta e di metterla in mano a Emibimba A.
EMIBIMBA B Tieni, povera bambina. Ma dove sono la tua mamma e il tuo papà?
EMIBIMBA A La mia mamma è morta e il mio papà e fuggito con una ballerina milanese. Sono
rimasta sola, cieca e povera. Fate la carità…
 Emibimba B finge di darle un’altra moneta.
EMIBIMBA B Ma come mai sei cieca, povera bambina? Sei nata così, senza occhi?
EMIBIMBA A No, sono diventata cieca quando la mia mamma era ammalata e non poteva più
ricamare e io dovevo farlo al posto suo, per dare da mangiare ai miei otto fratellini più piccoli.
Ricamavo giorno e notte, notte e giorno, fino a quando i miei occhi si sono consumati. Fate la
carità…
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Emibimba B toglie la benda a Emibimba A.
Emibimba A ammicca a Emibimba B, poi sbarra gli occhi e apre la bocca.
Emibimba B le passa una mano sul viso e le palpebre di Emibimba A si chiudono.
Poi prende la benda e gliela lega intorno alla testa, per farle chiudere la mandibola.
Poi adagia a terra Emibimba A, le mette le mani incrociate sul petto.
In questo gioco Emibimba A è morta, nella camera ardente.
Emibimba B compie dei riti inventati che vorrebbero evocare quelli religiosi.
EMIBIMBA A E EMIBIMBA B (cantando con parole approssimative)
Pulì ficamì o signore
starò qui a fianco nella neve
 Emibimba B si mette accanto a Emibimba A ed evoca i visitatori piangenti della morta.
EMIBIMBA B (Imitando la mamma piangente) Povera bimba mia! È morta! Io l’amavo tanto, ma
a volte ero cattiva con lei. Quante botte che le davo! Quante volte le tiravo i capelli! Quante
parolacce le dicevo: “Stupida! Mentecatta! Scimunita!” (Imitando il papà piangente) Povera
bimba mia! Io non ho voluto andare a Gardaland… (Imitando la maestra) Povera bimba! Le
davo sempre tanti compiti e le dicevo che era disordinata. E poi la nota…
 Emibimba B si ferma. Si guarda intorno, come se si fosse risvegliata in un posto sconosciuto.
Poi guarda Emibimba A.
EMIBIMBA B (Ripetendo senza convinzione) E poi la nota… E poi la nota… E poi…
 Emibimba A si solleva. Non si è accorta del cambiamento di stato d’animo di Emibimba B.
Rimane seduta con le mani incrociate sul petto.
EMIBIMBA A (Cantando) Pulì ficamì o signore …
 Emibimba B, con un gesto stizzito, le toglie la benda.
EMIBIMBA B (Mentre le toglie la benda) Deficiente!
 Emibimba A la guarda spaventata e si mette a piangere.
EMIBIMBA B Non piangere, cretina! (Scuotendo Emibimba A) La vuoi smettere? Eh, la vuoi
smettere?
 Emibimba A non smette di piangere, anzi aumenta.
 Emibimba B prende una bambola di Emibimba A e le strappa la testa e un braccio.
 Emibimba A, piangendo, tenta di riattaccarglieli, ma le cadono sempre di mano.
 Emibimba B si allontana qualche passo da Emibimba A. È così schifata che si pulisce le mani
nel vestito. Compiendo quest’azione si rende conto di che tipo di abito indossa. Guarda e tocca
il vestito come se fosse qualcosa di disgustoso.
 Emibimba A frigna.
EMIBIMBA A Non andare via. Non mi lasciare. Resta qui con me. Per favore, rimani. Ancora un
po’, dai. Te lo chiedo per favore…
 Mentre Emibimba A continua a implorarla, Emibimba B comincia a cavarsi il vestito di dosso.
Inizia da sopra e poi ne esce, come se fosse una farfalla dal bozzolo.
 La Emibimba B che esce dal vestito è una donna molto provocante. Si guarda in uno specchio,
stupita ed estasiata del proprio aspetto.
EMIBIMBA A (Protendendosi con le braccia verso Emibimba B) Non te ne andare! Non
lasciarmi…
 Emibimba B va incontro a Emibimba A. Se la mette in grembo e le accarezza i capelli.
EMIBIMBA B (Dolcemente) Non piangere, dai! Giuro che non ti dimenticherò. Io mi ricorderò di
te per sempre. Ricorderò come sei. Io avrò ogni giorno un’immensa nostalgia di te, anche
senza rendermene conto.
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
Emibimba B intona la loro filastrocca, seguita quasi subito da Emibimba A.
EMIBIMBA A E EMIBIMBA B


O mosca, o moschettina,
sei cieca, poverina!
Sei cieca, sei bendata
e annaspi disperata.
Emibimba B, continuando a cantare, estrae un coltello e sgozza Emibimba A. Emibimba A
muore.
Emibimba B se ne va, portando fuori anche Emibimba A, di cui però non riesce a liberarsi.
PRIMO INTERMEZZO
Espilon
Francesca
Infermiera e Zeta
Giovanna
Alfa
Sabina
Beta
Fabiola
Gamma
Silvie
Paolo e Delta
Luca
Eta
Giovanni
Genni e Theta
Luisa

Tutti rientrano in scena.
ALFA Vi è piaciuto? Vero che è un bel gioco?
GAMMA (Sarcastica) Ah, sì, una meraviglia! Quasi quasi sarebbe meglio tornare a giocare a
[nome del gioco puerile iniziale]
THETA No, ti prego. [nome del gioco puerile iniziale] proprio no, basta. Guarda, piuttosto sono
disposta a…
BETA (Interrompendo Tetha) Alt! È troppo presto per dire se è bello o brutto. Giochiamo.
 Beta estrae dall’urna un altro biglietto.
BETA (Leggendo sul biglietto) “Dopo che le braci si furono tramutate in cenere e le ceneri
raffreddate, un nuovo volo, odoroso d’incenso, si levò”.
GAMMA (Rivolta a Theta) Tu hai detto che sei disposta? Bene, allora tu… (Rivolta a Delta) tu…
(Rivolta a Zeta) e tu.
ZETA Ancora? Ma ho appena finito.
 Gamma, mettendosi il dito davanti alle labbra, fa cenno a Zeta di tacere.
BETA Preparatevi.
 Theta, Delta e Zeta si preparano
 Tutti escono di scena, tranne Delta.
LA DISTRUZIONE COME CAMBIAMENTO PERCETTIBILE




Paolo
Luca
Genny
Luisa
Infermiera
Giovanna
In scena ci sono due sedie.
Paolo cammina accovacciato, abbracciandosi il torace. Ha una lunga catena al collo. Le sue
movenze evocano quelle della fenice (Egretta garzetta).
Rimane fermo in una posizione, sempre accovacciato, con lo sguardo rivolto di lato fuori scena.
Entrano in scena l’infermiera e Genny. Sono dalla parte opposta della scena.
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INFERMIERA Eccolo, vada pure. Oggi è tranquillo, stamattina ha mangiato quasi tutto.
GENNY Grazie. Posso restare sola con lui?
INFERMIERA Sì, certo. Io sono qui fuori. Per ogni evenienza prema pure il pulsante del
campanello.
GENNY Grazie.
INFERMIERA Di niente.

L’infermiera fa per andarsene. Dopo qualche passo si ferma e si rivolge ancora a Genny.
INFERMIERA Ah, dimenticavo. Paolo da qualche giorno ripete qualcosa… come… come una
specie di poesia. Nessuno qui ci ha capito granché. Ma forse è perché non c’è proprio niente
da capire. Però, se secondo lei invece può avere qualche significato, il dottore ha
raccomandato di farci sapere.
 Genny annuisce con un cenno.
 L’infermiera esce di scena.
 Genny, rimanendo dalla parte opposta della scena, si rivolge a Paolo.
GENNY Ciao, Paolo.
 Paolo resta indifferente nella sua posizione.
 Genny si avvicina a Paolo e gli si inginocchia di fronte. Gli accarezza i capelli e una guancia.
 Paolo rimane ancora indifferente e allora Genny gli dà una spintarella sulla spalla, come a
scuoterlo.
GENNY Sono io, (spingendo) Genny.
 Paolo, senza cambiare posizione, cade sul fianco e si chiude ancora di più.
 Genny si alza, prende Paolo per la catena, in modo che si sollevi e le si butti addosso. Così si
forma una specie di abbraccio.
 Genny, sempre trascinandolo con la catena, porta Paolo a sedersi su una sedia.
 Genny va verso l’entrata a controllare che non ci sia nessuno che sta osservandoli. Torna da
Paolo e si siede a sua volta. Estrae dalla borsetta una candela rossa e la accende. Prende un
braccio di Paolo e gli fa gocciolare della cera fusa nell’incavo del gomito.
 Paolo ha un fremito, come se si svegliasse.
 Paolo guarda Genny, poi guarda la fiamma della candela.
 Paolo prende la candela e ne accarezza la fiamma, osservando Genny negli occhi. Intanto
emette dei gemiti e dei sospiri, non si capisce se di piacere o di sofferenza e farfuglia qualcosa
sussurrando.
PAOLO (Farfugliando e sussurrando) Non che avessi rozze urgenze… palpitazioni da diporto…
procedevo per pretesti e arterie femorali…
GENNY Come stai?
 Paolo si ferma e guarda la fuliggine che si è formata sulla mano, muovendola lentamente.
 Genny gli prende di mano la candela e la spegne. Mentre ci soffia sopra Paolo ha un sussulto.
 Paolo si inginocchia a terra, prende le mani di Genny e gliele poggia in grembo dove poi
appoggia anche una guancia.
GENNY Me lo dici come stai?
PAOLO (Ripetendo la frase dell’infermiera) Eccolo, vada pure. Oggi è tranquillo, stamattina ha
mangiato quasi tutto.
GENNY Bene, sono contenta che vada meglio. Ieri sono stata a casa tua, da Gabriella.
PAOLO (Ripetendo il nome, come se volesse impararne l’articolazione) Gabriella.
GENNY Sì, tua moglie. Comincia a sospettare, a essere preoccupata. Io le ho detto che questo
viaggio di lavoro in Cina è pieno di appuntamenti, che c’è il fuso orario, che è difficile
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chiamare. Ma lei ormai non ci crede più e io non so cos’altro… (Chinandosi per incrociarne
lo sguardo) Dove te ne sei andato, Paolo?
PAOLO (Sempre con la testa in grembo, con tono di voce normale)
Non che avessi rozze urgenze
palpitazioni da diporto
 Genny si alza. Prende la catena, costringendo anche Paolo ad alzarsi.
 Genny governa Paolo con la catena come se fosse il suo aquilone. Lo fa rotolare, cadere, ecc.
GENNY Paolo, tu sei qui perché hai provocato un incendio. È una cosa grave! Hai dato alle
fiamme tutto il palazzo, l’hai raso al suolo, ti rendi conto? Ci sono stati dei feriti, qualcuno si
porterà i segni delle ustioni per tutta la vita. Come hai potuto…?
PAOLO L’incendio. Il caos spettacoloso dell’incendio. Conosci forse qualcuno che non ne subisca
il fascino? E io, donandoglielo, ho strappato il velo dell’ipocrisia morale.
GENNY Ci sono nove anziani senza tetto, cui hai spezzato le poche certezze di una vecchiaia
serena, gettandoli nella precarietà. Oltre a tutti gli altri.
PAOLO L’incendio. La luce divina e satanica dell’arancione, del giallo e del rosso. Chi non gode
dell’evocazione del fuoco come lavacro sublime? Almeno per una volta nella vita, ciascuno di
noi ne ha pur diritto.
GENNY Hai ammorbato di fumo canceroso tutta la valle.
PAOLO L’incendio. È solo nel dispiegarsi delle grandi forze sociali durante questi eventi immensi
che si diventa cittadini modello. Non è forse rassicurante vedere i pompieri all’opera, scoprire
come, alla fine, coloro che ci amministrano e governano, sanno rimettere ogni cosa al suo
posto? Dovrebbero ringraziarmi per questa lezione di educazione civica.
GENNY Non vedi dove sei finito? Hai tolto ai tuoi figli un padre e a Gabriella un marito.
PAOLO L’incendio. Per quest’imenottero impotente e frenetico chiamato “l’uomo moderno” la
distruzione rapida e definitiva dell’incendio è molto più istruttiva della costruzione della
piramide e del ponte per contemplare la formidabile capacità delle formiche umane di
cambiare fisionomia al pianeta.
GENNY Ne valeva la pena?
PAOLO Ne vale sempre la pena.
 Cadono entrambi a terra.
 Adesso è Paolo che, muovendosi, trascina Genny con la catena, come se Genny fosse
strattonata da un grosso cane al guinzaglio.
PAOLO
Non che avessi rozze urgenze
palpitazioni da diporto
procedevo per pretesti e arterie femorali
androni stipati
assembramenti teleferici
la folla defluiva come un’emorragia
Si trattò di un cacciavite e di un fondo di bottiglia
traiettorie
modulazioni di dolore
perequazione di lacune plastiche
alta definizione
la trachea metallizzava
sotto sarchiatura
secrezioni ferrose
la penombra intorpidiva nell’intermittenza led
Era l’Expo lato sud
quando ancora trafficavo in onde d’urto
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approssimando per difetto
alle pendici di un’epistassi
lubrificavo migrazioni fonetiche
imperizie anatomiche
sequele di cuori meccanici
Così violammo quel cielo indolente
con l’innesco di un torto remoto
Premevo al ritmo del perdono
quattro quarti per timpano leso
e mentre il giorno crepitava deforme
cauterizzavi terminazioni vandaliche
La tua è una stretta dolosa
dall’ustione precoce
messaggera per parte di rogo
sa di benzina e luce del sole
Giurasti: “Sì, saboteremo l’autunno brucia”
sudando freddo
mordevo il freno
 Paolo si ferma e guarda negli occhi Genny, come a chiedere cosa ne pensa.
GENNY E poi?
 Paolo riprende le movenze della fenice.
PAOLO Risorgerò dalle mie ceneri. (Implorante) Aiutami.
 Genny esce di scena. Rientra poco dopo con una tanica di benzina. Trascinando Paolo per la
catena, escono di scena.
SECONDO INTERMEZZO
Espilon
Francesca
Zeta
Giovanna
Alfa
Sabina
Beta
Fabiola
Gamma e Gabriella
Silvie
Delta
Luca
Eta
Giovanni
Theta e Genny
Luisa


Tutti rientrano in scena.
Eta ride grassamente, indicando verso fuori, da dove sono usciti i personaggi della scena
precedente.
 Tutti lo guardano perplessi.
BETA Ma si può sapere cos’hai da ridere?
ETA (Contenendo le risate a fatica) Scusate… scusate… Ma vi giuro che non mi divertivo tanto da
prima del patatrac.
EPSILON Ma sì, fai bene. (Stentorea) Ridiamo un senso alla nostra vita così ridotta! Ridiamo un
valore a ciò che non ha più qualità! Ridiamo una speranza all’avvenire! (Contenta,
avvicinandosi a Eta) Insomma, ridiamo!
 Eta e Epsilon ridono insieme.
 Gamma, mettendosi il dito davanti alle labbra, fa cenno a Eta e Epsilon di tacere.
 Zeta estrae dall’urna un altro biglietto.
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ZETA (Leggendo sul biglietto) “Quando il dito indica la luna, lo sciocco guarda il dito. D’altro
canto, mordere di rabbia la luna è impossibile.”
ETA (Non si capisce se convinto davvero o solo per ostentare saccenza e sollevando un dito) Ah,
certo, certo.
 Beta ferma la mano di Eta e mima il messaggio del biglietto.
 Alfa va furtivamente da Theta e Gamma.
ALFA (Sussurrando a Gamma e Theta) Preparatevi.
 Theta e Gamma si preparano.
 Qualcuno mette in scena una sedia a braccioli.
IL RESSENTIMENT DOPO LA FRUSTRAZIONE
Gabriella
Silvie
Genny
Luisa



Nella scena vuota c’è una sedia a braccioli.
Si sente suonare il campanello di una porta.
Entra in scena Gabriella che va ad aprire la porta.
GABRIELLA Avanti, entra pure.
 Entra in scena Genny. Le due si salutano con un bacio sulla guancia.
GENNY Ciao, ma cos’è successo? Mi hai messo in agitazione. Il capo mi ha fatto un sacco di storie
per darmi il permesso, perché in questi giorni ci sono le paghe. Come mai tutta questa urgenza
di vedermi, davvero non potevi aspettare fino alle sei?
 Gabriella sembra ignorare quello che ha detto Genny e si limita a sorriderle affettatamente.
GABRIELLA Siediti. Vuoi bere qualcosa? Un caffè, un tè, acqua e menta…?
GENNY Senti, Gabriella, non sono venuta qui a fare salotto. Mi hai scritto che avevi assoluto
bisogno di vedermi immediatamente. Dimmi cos’è successo.
GABRIELLA Certo, certo, adesso ti dico tutto. Però io un bicchiere d’acqua me lo vado a
prendere. Scusami un attimo.
 Gabriella esce di scena, tornando poco dopo con uno spazzolone in mano.
 Gabriella sferra un colpo in testa a Genny. Genny cade a terra tramortita.
 Gabriella trascina Genny sulla sedia a braccioli.
 Con del nastro adesivo le lega i polsi ai braccioli, le caviglie alle gambe della sedia e il collo
alla spalliera, immobilizzandoli. Le mette poi del nastro adesivo anche sulla bocca, per
impedirle di parlare.
 Gabriella, quando ha immobilizzato completamente Genny, le butta in faccia dell’acqua, per
farla rinvenire.
 Genny si risveglia e cerca di liberarsi, inutilmente.
GABRIELLA Sta’ ferma, è inutile! (Leggendo sulla confezione di un nastro adesivo) “Nastro
adesivo resistenza extra. Sopporta sollecitazioni in ogni direzione. Rimuovere tagliando con
forbici in acciaio. Tenere fuori dalla portata dei bambini.” (Rivolgendosi a Genny) Tre nastri
dodici euro, ma ti rendi conto? Un capitale. (Accenna a una risata) I dodici euro meglio spesi
della mia vita.
 Gabriella nota per terra la borsetta di Genny. La raccoglie.
GABRIELLA Certo che potrei anche farmi rimborsare, in fondo i nastri li ho comprati apposta per
te. E poi a te (indicando la borsetta) non serve nemmeno più.
 Gabriella apre la cerniera della borsetta. Ma poi si ferma e la scaraventa via.
GABRIELLA (Pulendosi le mani nel vestito) Che schifo… la borsa di una sgualdrina.
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
Gabriella si avvicina a Genny, piegandosi verso di lei.
GABRIELLA Dov’è Paolo?
 Genny non può rispondere, perché ha la bocca tappata dal nastro. Si sente solo mugolare.
GABRIELLA Ma sì, tanto, anche se gridi, qui non ti sente nessuno.
 Gabriella le strappa il nastro dalla bocca.
GABRIELLA Avanti, parla, dov’è Paolo?
GENNY Io non so dov’è Paolo. Guarda che hai capito male.
GABRIELLA Capito male?
 Gabriella dà un ceffone a Genny.
GABRIELLA Mi vuoi far passare per scema?
GENNY Ma no, figurati. Però davvero non è come tu credi.
GABRIELLA Ah, non è come la scema crede?
 Gabriella prende dalla sua borsa un telefono cellulare.
GABRIELLA Sai di chi è questo?
 Genny non risponde.
GABRIELLA (Agitando il telefonino sotto la faccia di Genny) Sai di chi è questo?
 Genny scuote la testa per dire di no.
GABRIELLA Te lo dico io di chi è: è di Paolo. E sai qual è il numero segreto per accenderlo? 1-23-4. Che fantasia, eh? Be’, del resto, se solo avesse avuto un po’ più di fantasia, non si
sarebbe mai messo con una faccia da melanzana come te.
 Gabriella accende il telefonino e preme alcuni tasti.
GENNY Gabriella, ti prego. Qui c’è un equivoco. Guarda che io e Paolo….
 Gabriella, mettendosi il dito davanti alle labbra, fa cenno a Genny di tacere. Legge sul display
del telefonino.
GABRIELLA “Voglio sempre contare solo le ore che mi mancano per vederti. Ma poi mi ritrovo a
contare anche i minuti, e poi i secondi. Tua G.”
GENNY Gabriella, non è come tu credi…
 Gabriella prende Genny per i capelli e le sbatte la testa contro il telefonino.
GABRIELLA E allora com’è? Com’è? Leggi qua, sgualdrina, leggi! (Leggendo sul display)
“Sapere che ti vedrò, trafigge con un raggio di sole la cappa grigia di questa giornata. Tuo P.”
Un raggio di sole… (Tra sé) Ma quando mai Paolo dice cose del genere? (Rivolta a Genny,
con sarcasmo) Sei tu che gli ordinavi di essere così romantico, eh?
 Genny scuote la testa per dire di no.
GABRIELLA Sai dov’era Paolo quel giorno della cappa grigia? Era con me e con i bambini al
parco faunistico. E c’era anche un sole… (A voce bassa) Porco! Porco!
 Improvvisamente si avventa ancora su Genny, scuotendola.
GABRIELLA È tutta colpa tua! Sei tu, con i tuoi modi da gatta morta, che me l’hai voluto
prendere.
 Gabriella accarezza leziosamente Genny.
GABRIELLA Ma le cose degli altri non si prendono gratis. Si paga, sissignora. E adesso ci penso
io a fartela pagare. Devo sempre pensare a tutto io.
 Gabriella rientra con una pistola.
GENNY No, non farlo. Gabriella… No… Gabriella… No…
 Gabriella spara e ammazza Genny.
 Gabriella guarda la pistola, come se fosse stupita del fatto che abbia sparato.
GABRIELLA (Come chiamandolo lontano) Paolo! Paolo, dove sei?
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
Gabriella si siede a terra, accanto a Genny. Guarda nel vuoto e parla con molta calma,
rigirandosi la pistola tra le mani, giocherellando.
GABRIELLA Sono io, Gabriella, tua moglie. Guarda che anche stavolta ci ho pensato io a mettere
tutto a posto. (Accenna a una risatina accondiscendente) Tu sei così disordinato. Le mutande,
le camicie… e anche i tuoi sentimenti. (Con tono ironico, ma bonario) Sì, lo so che in fondo
sei buono, solo che a volte sei così distratto, Paolo. Ecco, distratto... E allora tocca a me
sistemare tutte le cose, anche al posto tuo. Non è buffo, Paolo? Io ti lavo i calzini e io ti lavo
anche l’anima, il cuore, la mente e tu così torni pulito e innocente come un bambino. Ma,
dopotutto, sono tua moglie, no?
TERZO INTERMEZZO
Espilon
Francesca
Zeta
Giovanna
Alfa
Sabina
Beta
Fabiola
Gamma
Silvie
Delta
Luca
Eta
Giovanni
Theta
Luisa

Tutti rientrano in scena silenziosamente e svolgono tutti i passaggi di servizio per la scena
successiva in modo del tutto impersonale, senza relazioni tra loro.
 Epsilon estrae dall’urna un altro biglietto.
EPSILON (Leggendo sul biglietto) “Godere di terrore è bello, ma indecente. Se la foglia di fico
non basta, che si usi il ramo.”
ALFA Chi lo fa questo?
 Tutti si guardano perplessi.
ALFA Allora?
BETA (Prendendo la voce della nonna nella scena successivo) Mi ricordo un proverbio che risale
al 25 avanti patatrac. “Quando nessuno vuol fare qualcosa, che la facciano tutti.”
 Beta si guarda intorno fiera per quello che ha detto.
DELTA Ma che proverbio è? A me pare…
 Epsilon interrompe Delta mettendogli una mano davanti alla bocca.
EPSILON “… la facciano tutti” (Facendo cenno agli altri) Tutti.
 Tutti si preparano.
LA TRASPOSIZIONE DELLA CATASTROFE FUORI DA SÉ
Giovanni
Giovanni
Saputella
Francesca
Ignorante
Luca
Nonna
Fabiola
Primo astante
Giovanna
Secondo astante
Silvie
Terzo astante
Luisa

Situazione da veglia da stalla. Tutti tranne Ignorante sono radunati e alcuni compiono delle
piccole faccende quotidiane: fare la calza, spidocchiare, pettinare, ecc.
NONNA (Rivolta al terzo astante) Sei andata a vedere se le finestre sono chiuse?
TERZO ASTANTE Sì, nonna.
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NONNA Ma hai controllato bene?
TERZO ASTANTE Certo, è tutto a posto.

Entra Ignorante battendo i piedi, come se volesse scrollare la neve o il fango dalle scarpe.
IGNORANTE Oggi fa un freddo, mi sa che finirà col nevicare. (Guardandosi intorno, per cercare
consensi) Qui per scaldarsi ci vorrebbe un goccetto di quello giusto.
SAPUTELLA Sì, li conosciamo i tuoi goccetti. Di’ la verità, tu vorresti almeno un bottiglione di
chianti doc.
IGNORANTE Non stavo parlando con te e, comunque, nessuno ha mai chiesto il tuo parere. E
poi…
 Giovanni interrompe l’Ignorante.
GIOVANNI Chianti, eh? Una volta ci sono andato a lavorare nel Chianti, dagli Inglesi. C’era una
famiglia di nobili, non so se conti o marchesi…
SAPUTELLA Se erano inglesi saranno stati lord o baronetti…
IGNORANTE Sentila la saputella. Quante cose sai? Forse sei andata in gita scolastica in
Inghilterra, quando hai fatto la terza elementare?
 Tutti ridono.
SAPUTELLA Ignoranti. (Scimmiottando le risate) Gne gne gne! Non solo siete ignoranti, ma siete
anche felici di esserlo, invece di vergognarvi.
IGNORANTE (Minaccioso) Ignorante a me? Guarda che se io ti prendo…
NONNA Basta, smettetela di bisticciare, fate i bravi, dai.
PRIMO ASTANTE Dai, giusto sentiamo il Giovanni. (Rivolgendosi a Giovanni) Erano conti o
marchesi?
GIOVANNI Vabbe’, quello che erano, adesso non mi ricordo. Sarà stato nell’anno ‘72 o ’73.
Insomma, questi signorotti avevano comprato una grande tenuta. Mi pare, di cinquecento
ettari o anche di più.
SECONDO ASTANTE Eh, gli piace il vino agli Inglesi. (Scimmiottando la parlata inglese) Io
volere bere vino rosso.
TERZO ASTANTE (Scimmiottando la parlata inglese) Se tu bere troppo vino rosso, tu prendere
grande ciucca.
 Tutti ridono.
GIOVANNI Sì, avevano il vigneto e anche il bosco, e una cascina grande, con le vacche… Ma
non era proprio per quello che erano venuti lì.
SECONDO ASTANTE E per cosa allora?
GIOVANNI Loro avevano una figlia malata e i dottori gli avevano detto che il clima dell’Italia
forse le avrebbe fatto bene.
SAPUTELLA Certo, si sa che l’aria salubre dell’Italia fa molto bene al corpo.
IGNORANTE Sì, proprio bene, basta vedere te come sei bella. Sei bella come il culo della padella.
SAPUTELLA Il culo della padella è rotondo e io sono la più bella del mondo.
 La saputella fa una linguaccia all’ignorante.
NONNA Basta, fate i bravi, dai.
SECONDO ASTANTE (Tornando a rivolgersi a Giovanni) Ma cosa aveva l’Inglesina?
GIOVANNI La malattia dell’Inglesina era un morbo sconosciuto, che non si sapeva come curare.
Quando lei era nata, a vederla sembrava una bambina normale, ma poi, man mano che
cresceva… Sembrava… Sembrava…
SECONDO ASTANTE Cosa sembrava?
GIOVANNI Avete presente una capra? Ecco, lei più cresceva e più rassomigliava a una capra.
 Espressione di stupore generale.
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GIOVANNI I suoi capelli, che all’inizio sembravano biondi, diventavano come la lana caprina e
non si riuscivano a pettinare. Qui, sotto il mento, le cresceva in continuazione una barbetta e
dovevano passarle il rasoio come un uomo.
SECONDO ASTANTE Davvero? Ma tu l’hai vista?
GIOVANNI Io no, ma al Pedretti di Ponte, che era venuto con me a lavorare, era capitato sì di
vederla. Noi non potevamo andare nella casa dei padroni e lei non usciva mai, ma quella volta
l’avevano portata giù nella stalla, perché quando veniva il fabbro a ferrare i cavalli e faceva
arroventare il ferro per bruciare l’unghia del cavallo, allora…
 Giovanni mima che si tocca la testa con le due mani e ci sono delle corna. Fa il gesto di
tagliarle.
SECONDO ASTANTE Gesù Maria! Le corna del diavolo.
 Secondo astante si fa il segno della croce.
 Ignorante va quatto quatto a nascondersi dietro tutti. Giovanni lo nota e fa un gesto di
ammiccamento.
GIOVANNI Una volta però anch’io, mentre ero in cantina a sistemare le botti, ho sentito dei passi
e poi… e poi…
IGNORANTE (Imitando il verso della capra) Beee Beee!
 Tutti trasalgono terrorizzati.
 Giovanni e Ignorante ridono a crepapelle.
NONNA Smettetela, che fate venire i vermi ai bambini.
GIOVANNI Zitti! Zitti! Non è finita! Dicevano che su in Inghilterra, dopo la guerra, avevano fatto
degli esperimenti atomici che avevano inquinato l’acqua da bere e così poi erano nati anche
gli uomini gorilla, che giravano per le campagne e violentavano le donne.
 Ignorante imita un gorilla minaccioso. Tutti scappano.
GIOVANNI E quegli Inglesi lì del Chianti, senza saperlo, avevano portato giù delle bottiglie di
quell’acqua, perché dicevano che aveva un buon sapore. E tanti l’avevano bevuta. Così
qualcuno si era trasformato in leone e dovevano dargli la caccia come nei safari per
ammazzarli coi fucili a pallettoni. Naturalmente facevano tutto senza che si sapesse in giro.
 Giovanni si alza e comincia a grattarsi e a muoversi in modo strano.
SAPUTELLA Giovanni, cosa c’è?
 Giovanni farfuglia.
SAPUTELLA Giovanni, hai bevuto anche tu l’acqua?
 Giovanni continua a farfugliare e a muoversi in modo strano.
 I presenti prendono dei bastoni e gli si avventano contro.
 Dopo un po’ si spostano da lui. Giovanni è a terra. Si alza lentamente, muovendosi in modo
etereo.
 Nessuno dei presenti lo degna più di considerazione, tornando a occuparsi di altre faccende.
GIOVANNI
Io, Giovanni Pietro Locatelli fu Battista,
Raccontavo storie di paura nelle notti d’inverno.
Le donne strillavano,
I bambini piangevano
E pure gli uomini sputavano in terra per disprezzo.
Ma io vedevo ancora i loro occhi incantati
Quando parlavo di tragedie e di mostri.
E così me ne chiedevano sempre,
Come si chiede il cioccolato dopo il pane quotidiano.
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“Non è ver che sia la morte
Il peggior di tutti i mali”
Ora, io vi ho narrato la Storia Assoluta
Dove l’affabulatore fu stroncato egli stesso
Nell’adempimento del proprio dovere
L’avete udita?
QUARTO INTERMEZZO
Espilon
Francesca
Zeta
Giovanna
Alfa e Memi
Sabina
Beta e Dori
Fabiola
Gamma
Silvie
Delta
Luca
Eta
Giovanni
Theta
Luisa

Tutti rientrano in scena.
BETA (Ancora con la voce della nonna, facendo il gesto che indica le bastonate) “Quando nessuno
vuol fare qualcosa, che la facciano tutti.”
GAMMA (Sarcasticamente) Caro, vecchio stile.
DELTA Dai, venite tutti qui. Adesso vi faccio vedere io come si estrae il miglior biglietto.
 Tutti si guardano perplessi.
DELTA Non ci credete? State a guardare.
 Delta estrae dall’urna un altro biglietto.
DELTA (Leggendo sul biglietto) “Specchio delle mie brame, chi è più disperata in codesto
certame?”
ETA Catrame?
DELTA Certame, non catrame.
ETA Certame? (Poco convinto) Ah, sì, certame. Certo. Certamente.
DELTA (imitando i gesti di un duello) Certame.
ETA (Poco convinto) Sì, appunto. (Imitando goffamente i gesti di Delta) Certame.
THETA (Da lontano) Duello!
ETA Ah, certo, duello! (Rivolta ad Alfa) Scelgo te. (Rivolta a Beta) E te. (Indicandole entrambe)
Duello!
 Zeta prende un velo nero e lo dà a Beta.
ZETA Preparatevi.
 Alfa e Beta si preparano.
 Tutti escono di scena.
LA VITA COME AVVENTO O CONFORMISMO



Dori
Fabiola
Memi
Sabina
Dori è una donna di mezz’età, dall’aspetto sciatto.
Memi è sua sorella, una donna che presenta tutte le caratteristiche apparenti per essere alla
moda, in modo pacchiano: abiti, tatuaggi, piercing, linguaggio, ecc.
Dori entra in scena da destra, girata di spalle. Sta parlando a qualcuno fuori che non si vede. È
in gramaglie.
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DORI (Guardando verso fuori) Grazie, grazie. Grazie a tutti.


Sempre camminando all’indietro, raggiunge il centro della scena e si ferma.
Entra in scena dalla parte opposta Memi, che è invece vestita come suo solito. Dori si gira
verso di lei.
 Le due donne si trovano una di fronte all’altra, a un metro di distanza. Si fissano a lungo,
alternando espressioni di tenerezza a espressioni aggressive.
 Alla fine si abbracciano strette. Poi si staccano ancora.
 Dori guarda Memi, come se si aspettasse che lei dicesse qualcosa.
MEMI Allora, non vuoi venire a dormire da me?
 Dori scuote il capo in segno di diniego e torna a guardarla come prima.
MEMI Davvero non vuoi? Almeno per qualche giorno. Adesso che la mamma…
 Dori appoggia una mano sulla bocca di Memi per impedirle di continuare.
MEMI (Spostando la mano di Dori) No, Dori, lasciami parlare. Bisogna proprio che tu mi ascolti.
 Dori si gira di spalle rispetto a Memi, come se non volesse ascoltarla. Memi le va di fronte.
MEMI Senti, Dori, tu ti devi rendere conto di quello che è successo. Le cose adesso sono cambiate.
 Dori si siede per terra e si raggomitola su sé stessa. Memi le si siede vicino.
MEMI Dori! Ehi, Dori, mi ascolti? (Scattando d’ira) Ma cazzo, Dori, perché devi essere sempre la
solita zuccona? (Scuotendola) Adesso devi starmi a sentire, però. Sono tua sorella, sì o no?
(Indicando qualcuno fuori scena) Sono anch’io sua figlia, sì o no? Almeno per una volta non
pretendere di avere il monopolio della sofferenza.
 Dori la guarda e le fa un gesto di premura, tipo aggiustarle il colletto.
MEMI Scusa, Dori, è che è difficile. È stramaledettamente difficile, lo so. Con papà eravamo
piccole. Forse… Ah, ma che stronzate sto dicendo?
 Dori si guarda le mani, come se le volesse esaminare con cura.
DORI (Continuando a guardarsi le mani) Cinquantadue anni. Guarda le mie mani. (Indicando il
dorso di una mano) Vedi queste macchioline marroni? È la vecchiaia. Io sono diventata
vecchia senza mai uscire da questa casa.
MEMI Ma non dire cagate. Ai giorni nostri una donna di cinquantadue anni è ancora giovane.
DORI Tu sei andata a scuola, hai lavorato, ti sei fidanzata, ti sei sposata e ti sei anche separata. E
io?
MEMI Dori, abbiamo discusso mille volte quest’argomento. Non è il caso di tornarci su proprio
adesso.
DORI E invece sì. Perché io non sono più capace d’aspettare.
MEMI Aspettare cosa? Qualcuno ti ha forse proibito d’andare a scuola, di lavorare, di sposarti?
Anche tu, in fondo, hai fatto quello che hai voluto fare.
DORI Non posso più aspettare.
 Dori va a prendere un baule, che trascina al centro della scena.
MEMI (Parlando a Dori, allontanata per prendere il baule)Ancora ‘sta menata? Guarda che a fare
la vittima non è che ci guadagni niente, sai?
 Dori si siede sul baule, rivolta di spalle a Memi.
DORI Vittima?
 Memi va a prendere uno specchio e lo tiene davanti a sé, in modo che rifletta l’immagine di
Dori.
MEMI Sì, vittima, hai sentito bene. A te è sempre piaciuto fare la vittima, far sentire gli altri come
se fossero continuamente in debito nei tuoi riguardi. Quali credi che siano le parole della
mamma che mi porterò dietro finché campo? “Memi è ribelle, Dori no, lei è più
responsabile.” “Memi, guarda tua sorella, quando mai la vedi uscire di sera? Poveretta, credi
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che anche a lei non piacerebbe? Ma il dovere…” Il dovere, il dovere, Stunf! Stunf! A battere
sempre nella testa.
 Dori prende lo specchio di Memi e, a sua volta, riflette l’immagine di Memi.
DORI Non mi pare proprio che per te il dovere sia mai stato un’ossessione.
MEMI E invece sì! Sai quanto tempo ci ho messo per capire cos’è che significa veramente il
dovere?
DORI (Sarcasticamente) Immagino. A scuola sei stata sempre rimandata e ti sei diplomata per il
rotto della cuffia. Prima di sposarti, hai cambiato più fidanzati che vestiti. E dopo? Il tuo
matrimonio l’hai fatto durare meno di quattro anni, prima di mandarlo in malora. E anche il
lavoro… Da quant’è che sei disoccupata? Sarebbe questo il tuo modo d’aver capito cosa
significa veramente il dovere?
MEMI Che stronza! Ma tu pensa se una deve sentirsi dire queste puttanate proprio da sua sorella.
Ma ti rendi conto di quello che mi stai dicendo?
DORI Non sono stata io a iniziare. Hai cominciato tu con la storia del dovere. Non è vero, forse?
 Altro scambio di specchio. Ora lo tiene Memi.
MEMI Già, il dovere. Che poi, diciamocelo chiaro, non era neanche il dovere. Sai cosa mi diceva
sempre Franco, quando eravamo sposati? “Tua sorella è passata prima dal dovere al sacrificio
e poi dal sacrifico al martirio.”
 Altro scambio di specchio. Ora lo tiene Dori.
DORI E intanto andavate a Riccione, mentre la martire stava qui ad accudire la mamma malata.
Per poi ritrovarsi con in mano un pugno di mosche e solo i rimproveri per quello che ha fatto.
MEMI Tu hai rinunciato a vivere, nascondendoti dietro il paravento del dovere.
DORI Tu invece hai vissuto, mettendo insieme una collezione di fallimenti.
 Dori inizia a spogliarsi, rimanendo in biancheria.
DORI Ho trascorso cinquantadue anni di Avvento, per aspettare il mio Natale. Ma cosa me ne
faccio adesso di un Bambinello già vecchio, con le macchie marroni sulle mani?
 Memi cammina nervosamente, fermandosi ogni tanto a guardare nello specchio. A volte guarda
sé stessa, a volte il mondo riflesso in esso.
MEMI Ho passato quarantacinque anni di Quaresima, per aspettare la mia Resurrezione. In tutti
questi anni, però, io non ho fatto come te. Io mi sono fatta un culo così per ritagliarmi un mio
posto al mondo, non di chissà quale reputazione, ma perlomeno per poter essere come gli
altri, per vivere.
 Dori estrae dal baule un abito da sposa. Che inizia a indossare
DORI Tu non sai niente di me, Memi. (Entusiasta) Ti ricordi Paolo, il fattorino dell’acqua
minerale? E Alberto, il diacono? Sì, anche tua sorella ha avuto i suoi amori, (sorridendo
autoironicamente) addirittura perversi… il diacono. (Tornando seria) Non è vero che io abbia
rinunciato a loro. Mi dicevo solamente: “Aspetta, Dori, aspetta, non avere fretta come Memi.
Tu sei la maggiore, non puoi… Ma arriverà presto il momento in cui sarai libera e allora
potrai…” Dove sono andati Paolo e Alberto? Anche loro hanno avuto fretta, come te.
MEMI “Allora potrai…” Potrai cosa? Potrai cercarti un lavoro: i turni, la strada in bici d’inverno,
le vesciche alle mani, una paga da fame e poi prenderti un calcio nel culo e finire in mobilità.
Oppure sposarti? Ingoiare i silenzi del tuo uomo che non ti caga, il suo umore sempre nero in
casa e sempre ridente in compagnia. E poi scoprire che ha un’altra, dirgli che però tu saresti
disposta a perdonare, a ricominciare, e lui che quasi ti ride in faccia perché ormai ha deciso
che vuole andarsene con lei.
DORI (Indicando il contenuto del baule) Sei tovaglie, tre ricambi di lenzuola, gli asciugamani.
Guarda. In rosa ho ricamato le mie iniziali, in azzurro ho lasciato lo spazio libero.
(Abbassandosi per esaminare meglio il contenuto del baule) Tutto ingiallito, a macchie
marroni.
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Dori si accarezza ancora i dorsi delle mani, anch’essi con le macchie marroni.
MEMI Eh no, cara mia! Io non mi sono mica arresa, nemmeno dopo. Mai mollare, mai trovare
scuse! Io volevo tornare in pista, mica piangermi addosso. Ho tentato di essere una donna
bella e affascinante, ma non c’è un cazzo da fare: se una è nata brutta i miracoli non li fa
nessuno. Allora ho tentato la strada del ballo, sai quanti corsi? Ma (scimmiottando il maestro
di ballo) “Alla Memi manca proprio il senso del ritmo” e finivo sempre col pestare i piedi al
cavaliere, che spariva subito.
 Dori ormai è vestita da sposa. Memi è come se si accorgesse solo ora del travestimento della
sorella.
 Memi le sorride, facendola ancora una volta riflettere nello specchio che tiene in mano.
 Dori sorride. Rompe lo specchio, ne prende dei frammenti, uno per sé, uno per la sorella.
 Dori e Memi si mettono sedute sul baule. Iniziano a tagliarsi le vene.
DORI Ti ricordi?
DORI E MEMI

O mosca, o moschettina,
sei cieca, poverina!
Sei cieca, sei bendata
e annaspi disperata.
Dori e Memi muoiono.
EPILOGO
Espilon
Francesca
Zeta
Giovanna
Alfa
Sabina
Beta
Fabiola
Gamma
Silvie
Delta
Luca
Eta
Giovanni
Theta
Luisa

Tutti rientrano in scena.
GAMMA (Avvicinandosi all’urna) Quanti biglietti sono rimasti?
 Delta guarda nell’urna.
DELTA Basta, sono finiti.
THETA E allora andiamo a ritirarci, che domani è un giorno faticoso.
ALFA Cosa succede domani?
EPSILON Domani è la terza ricorrenza del patatrac.
ZETA Bello, e festeggeremo?
BETA Ti pare che ci sia da festeggiare? Guardati intorno.
 Tutti mimano i personaggi delle loro scene. Eta si avvicina a Zeta.
ETA Guarda. Li vedi? Il patatrac non è servito a niente. Tanto valeva vivere.
 Tutti escono di scena.
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