L`Anfiteatro di “Augusta Emerita”: dallo studio formale, geometrico e

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L’Anfiteatro di “Augusta Emerita”: dallo
geometrico e proporzionale al Progetto
studio
formale,
Carlo Inglese, Antonio Pizzo
Studio formale, geometrico e proporzionale: primi risultati
I risultati scaturiti dallo studio teorico formale, geometrico e
comparativo sono stati ulteriormente elaborati, attraverso una loro
rilettura in chiave più propriamente pratica costruttiva, sia da un
punto di vista archeologico che architettonico. L’intento di tale
rielaborazione è di cogliere il significato delle analisi teoriche
condotte sulle restituzioni grafiche del rilievo incrociandole, per
così dire, con le conoscenze provenienti dagli studi archeologici.
Il risultato è stato sorprendente, ad ogni singolo risultato delle
suddette analisi corrisponde una spiegazione o motivazione che fonda
le sue basi sulla pratica costruttiva romana.
Partendo
dall’analisi
del
modulo
costruttivo/proporzionale
dell’anfiteatro, considerata la probabile datazione di fondazione e
di successivi interventi (l’anfiteatro originario viene fatto
risalire al I sec. a.C.) si è individuato, come visto, il
pies
romano (con un valore pari a 0,296 mt e i suoi multipli, come la
pertica (pari a 10 pies), per le dimensioni architettoniche quali
gli assi di simmetria, ed i sottomultipli, come la uncia (pari a
1/12 del pies) ed il digitus (pari ad 1/18 del pies) per gli
elementi di dettaglio quali le paraste esterne.
E’ apparso subito evidente che tale modulo era alla base di tutta la
composizione architettonica, riscontrandolo a partire da alcuni
elementi architettonici di piccole dimensioni, quali le paraste
poste sul prospetto esterno della cavea, inquadranti i fornici e le
porte d’ingresso, (pari a 3 pies e 1,5 unciae ovvero 37,5 unciae;
ca. 0,93 mt), ad altri elementi costruttivi di maggiori dimensioni,
quali l’asse maggiore e l’asse minore sia dell’impianto generale,
comprensivo di summum maenianum, che della singola harena.
Per quanto attiene allo studio sulla forma dell’anfiteatro impostato
su
di
una
metodologia
ampiamente
nota
nella
letteratura
sull’argomento, questa ripropone il dualismo tra forma ellittica e
forma ovale o policentrica. Al di là delle analisi puramente
teoriche e della considerazione che tutte e due le tipologie, ovale
o ellisse, aderiscono più o meno bene alla pianta dell’anfiteatro,
si è approfondito lo studio tecnico pratico riguardante la
metodologia del tracciamento, utilizzata dagli Agrimensori romani,
per lo spiccato dell’anfiteatro1.
Dalla vasta bibliografia di riferimento e dalle fonti è noto che,
nell’antica Roma, il corpo dei gromatici si occupava di rilevamenti
e tracciamenti degli edifici, in particolare i Mensor aedificiorum
erano specializzati nel tracciamento degli spiccati delle nuove
edificazioni.
Dagli scritti di uno dei gromatici romani più noti, Balbo,
apprendiamo che “…ex pluribus circulis forma sine angulo ut harenae
ex quattuor circoli…”2, indicando in maniera esplicita la costruzione
delle arene degli anfiteatri mediante il tracciamento basato
sull’ovale a quattro centri.
A parte questa evidente riferimento, considerando la mentalità
pratica dei romani, appare evidente che il tracciamento di un ovale,
a quattro o otto centri, risulta molto più facile da praticare, ma
soprattutto più facilmente ripetibile, fissate alcune “regole” di
base, rispetto ad una figura più complessa da tracciare quale è
l’ellisse.
Inoltre il tracciamento dell’ovale potrebbe essere stato condotto
con l’impiego di una Groma, strumento principe dei gromatici,
applicando la Varatio fluminis, procedura basata sul Teorema di
Talete, già nota nel mondo greco per l’individuazione di punti
inaccessibili.3
Anche lo studio degli allineamenti degli assi dei vomitoria e dei
setti murari che li configurano ha rilevato delle circostanze che
assumono un aspetto notevole nel passaggio alla pratica costruttiva,
o quanto meno alla fase del tracciamento in cantiere dello spiccato
dell’edificio. Anche l’anfiteatro di Merida, infatti, risponde alla
“regola costruttiva” che vede gli assi dei
vomitoria radiali ed
intersecanti in punti comuni sugli assi di simmetria, in questo
caso, limitatamente ai due vomitoria adiacenti agli ingressi
principali (Nord, Sud, Ovest ed il chiuso Est, posti alle estremità
degli assi di simmetria); i quattro fornici rimanenti hanno l’asse
di simmetria non coincidente con gli altri. Su questi ultimi fornici
si trovano i punti lungo i quali le quattro circonferenze che
caratterizzano la figura geometrica dell’anfiteatro si saldano.
Inoltre i punti sugli assi principali nei quali convergono gli assi
radiali dei vomitoria, coincidono con i centri delle circonferenze
minori costituenti l’ovale e sono anche i vertici del triangolo
rettangolo avente i lati legati dal rapporto 3:4:5. Anche in questo
caso l’impiego della groma e della Varatio fluminis è compatibile
con la curva policentrica scaturita dallo studio teorico, in quanto
utilizza proprio questi punti per il tracciamento sul campo.
I risultati di questa prima indagine sono stati ulteriormente
verificati attraverso una analisi comparativa con una serie di
anfiteatri noti, con l’intenzione di individuare un modus operandi
che i progettisti e gli esecutori sicuramente avevano codificato e
che seguivano adeguandosi alle caratteristiche che di volta in volta
il locus imponeva.
Dai dati metrologici su menzionati, relativi agli assi principali,
si è potuto risalire al rapporto esistente tra questi, altro fattore
caratterizzante la tipologia dell’anfiteatro, che secondo Giuseppe
Cozzo 4 doveva essere compreso tra 1,20 dell’anfiteatro di El Djem,
di Thysdrus e 1,33 dell’anfiteatro di Pompei.
Lo studio così condotto unitamente alle prime analisi effettuate
sulla planimetria dell’Anfiteatro hanno fatto emergere alcune
considerazioni molto interessanti.
La verifica effettuata sul rapporto delle dimensioni principali
degli assi di Merida ha condotto a tali risultati: 1,25 per gli assi
considerando il perimetro esterno dell’anfiteatro e 1,56 per il
perimetro interno dell’arena.
Il dato principale che si può trarre è che mentre le dimensioni
generali si mantengono all’interno di rapporti consueti, 1,25
appunto, analizzando l’invaso dell’arena, invece, si riscontra un
rapporto tra gli assi più alto, pari a 1,56.
Tale risultato riveste un’importanza notevole nella configurazione
dell’attuale anfiteatro ed una testimonianza ulteriore della
capacità dei costruttori romani di adeguare degli schemi tipologici
consolidati alla necessità ed alle specificità che il locus nel
quale si trovavano ad operare imponeva. Sappiamo, infatti, che in
piena epoca Flavia si ebbe la monumentalizzazione dell’anfiteatro
originario e la sua configurazione attuale, in questo periodo la
città si ampliò verso Sud Est con la realizzazione di un nuovo
tratto di mura che venne costruita poco prima del grande anfiteatro.
Questo ampliamento urbano provocò un problema urbanistico che
influenzò la costruzione dell’anfiteatro. Una parte di questo
infatti, probabilmente per un errore progettuale, si addossa alle
mura utilizzandole come una cassaforma a perdere, provocando inoltre
la non utilizzazione di tre porte. Tale circostanza legittima
un’ipotesi di studio, ancora in corso di definizione, secondo la
quale i progettisti dell’anfiteatro, o coloro che si trovarono ad
intervenire in quel contesto storico, furono costretti ad apportare
una modifica all’impianto progettuale, forse codificato, adattando
gli schemi consolidati alla presenza delle mura. Ciò si materializzò
nel mantenimento delle dimensioni tipologiche generali, studiate per
un certo tipo di anfiteatro con una determinata capienza di
spettatori, e con la variazione del rapporto canonico tra gli assi
dell’arena. La forma dell’arena infatti risulta essere leggermente
meno “allungata” rispetto agli altri esempi studiati, e la cavea più
ridotta. Ciò avrebbe potuto risolvere il problema venutosi a creare
mantenendo un anfiteatro rispettoso della tipologia codificata ma
variato per necessità, tra l’altro, negli elementi meno “visibili”.
Considerazioni storico archeologiche
L’analisi metrologica
L’analisi metrologica realizzata nell’anfiteatro di Mérida è frutto
di varie riflessioni sull’utilità dell’applicazione di questa
metodologia
nell’ambito
dell’architettura
romana
provinciale.
Nell’ambito della definizione geometrica e costruttiva degli edifici
pubblici della capitale della Lusitania, questo campo di ricerca ha
già ottenuto una serie di risultati soddisfacenti in merito a un
caso di studio legato a un monumento molto significativo nel
contesto
dell’architettura
pubblica
di
Augusta
Emerita:
il
denominato “arco di Traiano”5. Questo edificio è parte integrante di
un complesso monumentale di grande originalità, composto dallo
stesso arco con una funzione di porta e un recinto sacro formato da
ampi portici laterali e un tempio di cella trasversale situato al
centro di una piazza forense6.
In questo caso, abbiamo già potuto constatare che l’uso della
metodologia impiegata per l’anfiteatro, ma soprattutto la ricerca di
una regola progettuale basata su di un modulo specifico ricavato
dalla suddivisione in piedi romani di 29,6 cm. corrisponde
chiaramente al modello reale usato in epoca romana a Merida. In
questo studio precedente7 abbiamo potuto osservare che il modulo
ricavato dall’analisi dell’arco, nei suoi multipli e sottomultipli,
venne usato costantemente nella realizzazione della totalità del
“foro provinciale”, dalla materializzazione della pianta fino alla
definizione dell’altezza dei filari dei blocchi di granito dei
portici e del tempio.
In questa occasione non entreremo nella lunga discussione sui
calcoli numerici per decifrare l’evoluzione storica e l’affermarsi
del piede romano di 29,6 cm8, ma possiamo comunque affermare, in
accordo con le antiche e sempre valide teorie di G. Lugli, che
durante il I sec. d.C. a Mérida viene utilizzato un sistema metrico
identico a quello usato nella maggior parte delle aree geografiche
pienamente romanizzate.
L’analisi della forma
L’anomalia del dato ricavato dallo studio metrologico non è
importante
solamente
nell’ottica
della
comprensione
della
definizione del progetto emeritense e del suo svolgimento in
cantiere. Dal punto di vista dell’archeologia, questa originalità
del proporzionamento della pianta e il rapporto tra asse maggiore e
asse minore si inquadra in una problematica che caratterizza da
molti anni gli studi sull’anfiteatro9 e, molto probabilmente,
illustra definitivamente alcune questioni di carattere costruttivo e
di cronologia relativa ai diversi contesti urbani e topografici.
Dall’osservazione di una qualsiasi pianta della città di Mérida
romana (fig. …) è possibile notare la posizione particolare del
teatro e anfiteatro, al nord-est del tessuto urbano. Le ipotesi
principali sulla situazione degli edifici di spettacolo oscillano a)
dall’idea di una città pianificata dalla sua fondazione con questa
anomalia all’interno di una pianta coloniale regolare, presente in
origine per l’inserimento dei monumento citati10 o b) un ipotesi di
carattere evolutivo che vede nell’area del teatro e anfiteatro uno
sviluppo successivo della città, realizzato con un ampliamento delle
mura urbane e l’inserimento di un nuovo programma urbanistico che
prevede la costruzione di un unico
complesso monumentale composto
dai due edifici11. In una ricerca sulle tecniche edilizie della città
abbiamo chiarito la differenza tra le mura urbane costruite al sud,
nord ed ovest di Augusta Emerita, rispetto a quelle realizzate nella
zona nord-est adiacente all’anfiteatro, documentando una differenza
sostanziale nell’uso di materiali non omogenei, ma soprattutto di
tecniche che
prevedono, senza dubbio, l’uso di mano d’opera con
conoscenze molto diverse12. Ció indica che la zona nord-est della
città possa essere effettivamente frutto di un nuovo programma
urbanistico orientato all’inserimento dei due edifici all’interno
delle mura. Bisogna però precisare che questo intervento venne
realizzato costruendo prima le mura in un’area precedentemente
occupata da una necropoli e successivamente l’anfiteatro. Di questa
diacronia tra i due contesti architettonici conserviamo il punto di
contatto fra le due strutture dove è possibile osservare chiaramente
come
i
costruttori
dell’anfiteatro
utilizzassero
le
mura
preesistenti per appoggiare parte del muro esterno (fig …)13. Questo
rapporto di posteriorità dell’anfiteatro viene confermato dal fatto
che nel punto di contatto indicato manca totalmente il paramento
esterno, appoggiato direttamente contro le mura che servono, in
questo caso, da cassaforma di contenimento per l’opus caementicium
dell’edificio di spettacolo.
Questo accorgimento risulta strano, dal punto divista costruttivo,
se pensiamo alle possibilità economiche di un progetto di tale
portata, ma evidentemente si trattò della soluzione impiegata per
organizzare il cantiere edilizio in questa zona.
Non c’è dubbio, però, che la soluzione adottata per non spostare le
mura esistenti portò a ridefinire, in qualche modo, parte del
progetto, dovendo riproporzionare gli assi dell’edificio con una
formula che, come abbiamo visto nello studio metrologico, condizionò
la formula canonica impiegata in altri anfiteatri di simile
tipologia costruttiva.
Dal punto di vista architettonico, questa soluzione tecnica creò una
anomalia ancora più evidente: quella di dover obliterare due
vomitori di accesso alla cavea, in quanto inutilizzabili per la
presenza delle mura, ma ugualmente costruiti.
Si tratta di elementi piuttosto strani da spiegare dal nostro punto
di vista rispetto all’impiego di risorse economiche, ma che,
certamente, non dovettero costituire un problema nella realizzazione
di uno dei più importanti edifici della città di Augusta Emerita.
*Pur nella condivisione dello studio, delle analisi e dei contenuti
del presente articolo, Carlo Inglese si è occupato in maniera più
approfondita della parte relativa a “Studio formale, geometrico e
proporzionale: primi risultati” mentre Antonio Pizzo si è occupato
della parte relativa a “Considerazioni storico archeologiche”
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Anejos
de
1 A proposito di questo argomento si veda Docci, Maestri 1993
2 AA.VV., Gromatici Veteres, ex recensione Caroli Lachmani, Berolini 1848.
3 Si veda la costruzione proposta da Docci nel tracciamento con l’impiego della
groma nel caso del Colosseo. Docci 1999.
4 Cfr. Giuseppe Cozzo 1938.
5 Pizzo 2008.
6 In generale cfr. la monografia di Mateos Cruz 2006.
7 Inglese, Pizzo 2006.
8 Cfr. Una ampia bibliografía e una sintesi delle principali ipotesi in Lugli 1957,
pp. 188-193.
9 Una sintesi in Pizzo 2010.
10 Cfr. Gil Farrés 1946; Balil 1976; Almagro Basch 1976.
11 Bendala,Durán 1994; Mateos Cruz 2001.
12 Pizzo 2010, pp. 124-146.
13 Pizzo 2010, pp. 116-121.
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