SeicentoIntrodGenerale

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IL SEICENTO: INTRODUZIONE GENERALE
1.IL SEICENTO, IL SECOLO DELLO «SPAESAMENTO» E DELLO SMARRIMENTO DELL’UOMO DI FRONTE AL MONDO
A. BLAISE, PASCAL, PENSIERI
Dalla lettura di alcuni passi tratti dai Pensieri del filosofo Blaise Pascal (1623-1662), emergono
profonde differenze rispetto alla visione antropocentrica che è alla base della cultura umanisticorinascimentale (metà del 400-500?) Cos’è cambiato nella percezione dell’uomo e dell’universo
rispetto alle epoche precedenti?
Dopo le scoperte scientifiche di Galileo che, con la dimostrazione scientifica della validità della
teoria eliocentrica elaborata da Keplero, di fatto «spodestano» la Terra e il mondo conosciuto
dall’uomo e l’uomo stesso da una centralità assoluta e ritenuta indiscutibile, i confini dell’universo
si aprono a dismisura, non esistono più i limiti noti, l’uomo non può più dominare con la mente e
con le proprie risorse il mondo, perché questo di fatto risulta conoscibile e percepibile solo in
minima parte; l’uomo avverte di essere abbandonato in un universo infinito che non riesce più a
controllare e a padroneggiare mentalmente. Nel Seicento si modificano ampiamente le concezioni
del tempo e dello spazio (grazie alle scoperte scientifiche che riguardarono non solo il
macrocosmo, cioè la concezione dell’universo, ma anche il microcosmo, per es. l’anatomia, la
biologia, la chimica, tutte branche della scienza che studiano il microcosmo della natura).
Il modello di universo eliocentrico, che soppianta quello geocentrico, comporta il diffondersi di
una sensazione di disorientamento profondo. Nel momento in cui l’uomo del Seicento scopre di
non essere al centro dell’universo, perde ogni forza la fede rinascimentale nella possibilità di
riprodurre sulla Terra, attraverso l’operare umano, l’ordine e l’armonia del modello celeste. Posto
tra i due abissi dell’infinito e del nulla, l’uomo non vede gli estremi e non può dunque sapere
dove si trova, non può darsi punti di riferimento. Provate a immaginarvi in mezzo al mare,
circondati solo dall’acqua, con al limite estremo della vostra vista, da ogni lato, esclusivamente
l’orizzonte: non vi sarà possibile sapere dove vi trovate, perché non avrete punti di riferimento. È
questa la condizione attribuita a Pascal all’essere umano.
CONCETTO CHIAVE (DESUNTO DALLA LETTURA DEI PENSIERI DI PASCAL)
Dalla riflessione di Pascal sulla finitezza dell’uomo rispetto all’immensità della natura e all’infinito
dell’universo emerge un dato caratterizzante comune a tutta la cultura del Seicento: la perdita
della visione antropocentrica tipica dell’età umanistico-rinascimentale.
Di qui il senso di profondo smarrimento e di insicurezza che traspare non solo dalle pagine dei
Pensieri del filosofo Pascal, ma anche dai passi tratti dalle opere di Cervantes e di Shakespeare
che hai letto per le vacanze.
B. MIGUEL DE CERVANTES, DON CHISCIOTTE
Perché l’opera di Miguel de Cervantes, un romanzo «picaresco» che racconta le mirabolanti
avventure di un improbabile cavaliere alle prese con imprese anacronistiche, è emblematica del
senso di smarrimento e di spaesamento dell’uomo del Seicento di fronte alla complessità e al
carattere sfuggente della realtà? Sotto quali aspetti il personaggio di don Chisciotte incarna il
senso di crisi e di decadenza e insieme il senso di “spaesamento”, di disorientamento, di crisi di
identità proprio dell’uomo del Seicento?
1. «Crisi di identità»: i nomi di don Chisciotte. In primo luogo è indicativo il fatto che l’identità del
nostro hidalgo sia indeterminata e discussa fin dall’inizio: non è sicuro il cognome del protagonista,
che peraltro assumerà molti nomi nel corso della vicenda. La questione del nome incerto e la sua
identità sempre ambigua e fluttuante (nobile decaduto e cavaliere errante) sono un riflesso della
crisi di identità e di spaesamento propria dell’epoca.
2. La confusione tra fantasia (il sogno) e la realtà e la complessità di un reale che sfugge e diventa
inafferrabile.In secondo luogo l’opera pone come base di tutta la vicenda romanzesca la
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confusione tra fantasia e realtà, altro cardine della poetica seicentesca della meraviglia; la
confusione di don Chisciotte tra verità e illusione riflette la coscienza, propria dell’epoca della
metamorfosi e della fuggevolezza della vita, dell’instabilità e dell’illusorietà del reale. Tale aspetto
emerge anche nel contrasto tra la volontà espressamente dichiarata dall’autore di voler raccontare
una storia verosimile (perché secondo le regole aristoteliche l’arte deve imitare il vero), conforme
alla verità e una realtà più problematica e concreta, in quanto soggetta alla prospettiva di chi la
considera. Si veda ad es. l’incertezza sul cognome di don Chisciotte, chiamata “Quijada”,
“Quesada” o “Quijana” a seconda degli autori della sua storia. In aggiunta a ciò, il nome del
cavaliere verrà storpiato per tutto il romanzo (“Don Ricotte” e “Don Fischiotte” in Don
Chisciottissimo e in Don Chisciotte della Mancissima ecc.) oppure verrà sostituito da vari epiteti
(Cavaliere della Trista Figura, Cavaliere dei leoni). La confusione sui nomi non è soltanto una
trovata comica, ma una scelta coerente e sistematica che risponde a un’idea molto precisa e
attuale di Cervantes: la verità a cui vorremmo aspirare è mutevole e sfaccettata, perciò un fatto
o un uomo possono essere giudicati da varie angolazioni e possono racchiudere più significati.
3. La decadenza dell’aristocrazia e l’affermazione della borghesia mercantile: critica della nobiltà
del Seicento. In terzo luogo la condizione sociale di nobile degradato del protagonista rinvia al
declino della classe nobiliare che, chiusa nei suoi riti medievali, senza ormai più senso, non è
capace di adeguarsi al nuovo ordine economico mondiale che vede invece come assoluta
protagonista la nascente borghesia mercantile, autentico motore di sviluppo delle economie di
Inghilterra e Olanda sempre più votate alla conquista di veri e propri imperi coloniali e
commerciali. Attraverso la figura di don Chisciotte Cervantes critica la nobiltà anacronistica e
improduttiva della sua epoca, un’epoca antieroica esattamente come il protagonista del romanzo:
un’epoca di stasi economica, di crisi demografica e di assolutismo politico e religioso. Le glorie
militari e gli splendori cavallereschi del tardo Medioevo sono al tramonto. Da questa realtà di
decadenza il protagonista evade con la letteratura e di conseguenza con la follia. Il cavaliere difatti
trova nella letteratura non solo la sua principale occupazione ma pure degli ideali vivificanti, che
follemente però pretende di attuare. Il suo più grande desiderio è rappresentato dall’ideale di
gloria. Don Chisciotte desidera ottenere fama e onori al pari di Amadigi e degli altri cavalieri
erranti, quasi a voler riempire con un sogno delirante il senso di vuoto che gli trasmette la sua
epoca di crisi.
C. W. SHAKESPEARE, AMLETO
Anche nel monologo di Amleto ritroviamo quel senso di disorientamento e di “spaesamento” che
è proprio dell’uomo del Seicento. Perché?
Perché Amleto, come Chisciotte, incarna una forma di eroismo tragico e moderno: è l’eroe che
prende atto di una realtà sovvertita, che non riconosce più (lo zio Claudio ha ucciso il padre di
Amleto, ne ha usurpato il trono, e ha sposato la regina) e contro la quale non può usare le armi
tradizionali dell’eroismo, ossia la vendetta o la morte liberatoria (il suicidio): per questo
“impazzisce” nell’illusione che la follia potrà consentirgli di indagare meglio le ragioni della morte
del padre. In realtà il suo dilemma non ha soluzione.
D. AMLETO E DON CHISCIOTTE E LA MENTALITÀ DEL SEICENTO
Amleto e Don Chisciotte sono due personaggi emblematici della mentalità e della cultura del
Seicento: essi rappresentano intatti due modalità di affrontare la complessità del reale, che, mai
come in quest’epoca, il Seicento, si presenta sfuggente e sfaccettato: a) da una parte la
confusione tra la letteratura e la vita, che si concretizza nell’ostinata volontà di perseguire ideali
cavallereschi ormai tramontati e che rivela l’incapacità di comprendere la nuova realtà (quella
dominata dalla nascente borghesia mercantile); tutto ciò sfocia nella follia, ossia il malessere di un
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personaggio che può rassegnarsi allo scarto insanabile tra un nobile ideale (il sogno) e la concreta
realtà;
b) dall’altra il dilemma di fronte a una realtà sovvertita che non offre più solidi punti di
riferimento (mutano i tradizionali rapporti di potere all’interno della famiglia di Amleto) di fronte
alle quale le armi dell’eroismo tradizionali si rivelano inevitabilmente inefficaci e superate.
Concetto chiave (desunto dall’analisi dei passi tratti dalle due opere)
A differenza dunque della civiltà medievale e rinascimentale, che pur in modi diversi si
fondavano su certezze solide (da una parte la fede in Dio, vera e ultima ragione dell’esistere
dell’uomo, dall’altra la fiducia nelle potenzialità dell’uomo vera misura di tutte le cose), la civiltà
del Seicento al contrario non ha una sua fede e una sua certezza; la sua unica certezza è nella
coscienza dell’incertezza di tutte le cose, dell’instabilità del reale, delle ingannevoli parvenze, della
relatività dei rapporti tra le cose.
2.QUALI SONO LE RAGIONI STORICHE E CULTURALI DELLO “SPAESAMENTO” E DELLA CRISI DI PUNTI DI RIFERIMENTO
CHE CARATTERIZZA LA MENTALITÀ DELL’UOMO DEL SEICENTO?
A differenza della civiltà medievale e rinascimentale, che pur in modi diversi si fondavano su
certezze solide (da una parte la fede in Dio, vera e ultima ragione dell’esistere dell’uomo, dall’altra
la fiducia nelle potenzialità dell’uomo vera misura di tutte le cose), la civiltà del Seicento al
contrario non ha una sua fede e una sua certezza; la sua unica certezza è nella coscienza
dell’incertezza di tutte le cose, dell’instabilità del reale, delle ingannevoli parvenze, della relatività
dei rapporti tra le cose. Dalla riflessione di Pascal sulla finitezza dell’uomo rispetto all’immensità
della natura e all’infinito dell’universo, ma anche dal problematico rapporto con la realtà che
caratterizza figure emblematiche come Don Chisciotte e Amleto, emerge un dato caratterizzante
comune a tutta la cultura del Seicento: la perdita del centro, della visione antropocentrica tipica
dell’età umanistico-rinascimentale, ossia della fiducia nella potenzialità dell’uomo di dominare la
natura e l’universo e di essere artefice del proprio destino.
Da dove deriva questo senso di smarrimento? Quali sono le cause?
All’origine dello spaesamento individuale e collettivo della civiltà del Seicento vi sono alcuni
almeno tre fattori:
1) in primis la dilatazione dei confini geografici del mondo dopo la scoperta dell’America e lo
spostamento conseguente del baricentro economico dal Mediterraneo all’Atlantico al quale si
accompagnano la decadenza economica dell’Italia e l’emergere di nuove potenze commerciali e
coloniali, i Paesi Bassi e l’Inghilterra: se il Cinquecento era stato il secolo delle esplorazioni, degli
interessi per le terre lontane ed esotiche, il Seicento è il secolo dell’espansione reale
dell’Occidente europeo verso quelle delle terre, sul piano commerciale, politico e culturale.
Prende forma in quest’epoca l’idea di un mondo globalizzato, multiforme e dai confini dilatati.
Tutto ciò mette inevitabilmente in crisi la centralità dell’Europa nel mondo.
2) Se la scoperta e la conquista del Nuovo Mondo spodestano l’Europa dal suo baricentro
millenario, le scoperte astronomiche – e siamo al secondo fattore - incrinano la centralità della
Terra nel cosmo: Galileo Galilei, dimostrando l’esistenza dei satelliti di Giove (1609) assesta un
colpo definitivo al modello millenario dell’universo geocentrico (alla visione aristotelicotolemaica); allo stesso modo, la scoperta dei rilievi lunari nel 1609, sempre ad opera di Galileo,
annulla la distinzione tra Terra e Cielo, tra l’imperfezione dei corpi terrestri e la perfezione di quelli
celesti teorizzata da Aristotele nella fisica, eliminando dunque ogni rapporto di subordinazione tra
“alto” e “basso”, tra perfetto e imperfetto. Nel momento in cui l’uomo del Seicento scopre di non
essere al centro dell’Universo e nel momento in cui i punti di riferimento della cosmologia
tradizionale vengono meno (non c’è più distinzione tra corpi terrestri e corpi celesti), svanisce la
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fiducia, tipica dell’età umanistico-rinascimentale, nella possibilità di riprodurre sulla terra,
attraverso l’opera dell’uomo, l’ordine e l’armonia del modello celeste.
3) Con il Seicento – e siamo al terzo fattore all’origine del disorientamento – mutano non
soltanto le coordinate “cosmologiche”, cioè dell’universo secondo la visione tradizionale, ma
anche i punti di riferimento politici e religiosi; la geografia politica e religiosa dell’Europa, se
confrontata con quella dei secoli precedenti, è decisamente sovvertita all’insegna del
particolarismo e della frammentazione.
Nel Seicento si conclude il processo inarrestabile di crisi che aveva investito le due
istituzioni cardine del Medioevo, la Chiesa e l’Impero. All’unica chiesa cattolica si erano affiancate
numerose chiese riformate (luterana, calvinista ecc.) e all’impero numerosi stati nazionali, più o
meno estesi. In particolare la crisi dell’impero e dell’idea, tipicamente medievale di una monarchia
universale, è accompagnata dalla messa a punto di due alternative opposte: in Francia si consolida
un modello di organizzazione statale decisamente accentrato e assolutista (la monarchia di Luigi
XVI), in Inghilterra nasce lo stato parlamentare e costituzionale moderno. Per quel che riguarda
l’altra istituzione medievale, la Chiesa, essa perde definitivamente la sua unità: a causa la frattura
religiosa apertasi con la Riforma protestante nel Cinquecento, l’Europa del Seicento è di fatto
spaccata in due: da una parte l’Europa cattolica, corrispondente più o meno all’area mediterranea,
e l’Europa protestante, a Nord. Non a caso, uno degli eventi storici che segna profondamente
quest’epoca, è il lungo scontro tra le tradizionali potenze europee, la guerra dei Trent’anni, un
conflitto religioso e politico insieme, che inizia nel 1618 e si conclude con la pace di Westfalia nel
1648, dando vita a un assetto nuovo dell’Europa, completamente diverso da quello dei secoli
precedenti.
IL SEICENTO: UN SECOLO DI FERRO?
Non sono pochi gli elementi per cui il Seicento si è meritato l'appellativo di "secolo di ferro",
in contrapposizione, ovviamente, al Cinquecento, il "secolo d'oro": la crisi economica,
l'intolleranza e i conflitti religiosi, la peste e le epidemie, i trent'anni della più de vastante
guerra che l'Europa avesse fino ad allora conosciuto. Eppure, non si esaurisce in questo
l'identità di un'epoca che fu, al contempo, di grande ricchezza e complessità e che vide
emergere alcune caratteristiche di quella che siamo soliti chiamare "modernità": l'espansione
europea nel mondo, il dilatarsi di traffici e commerci, l'emergere di nuove potenze
economiche e politiche, l'affermarsi dello stato centralizzato. Inoltre non dobbiamo
dimenticare il contributo del Seicento sul piano filosofico, scientifico, culturale e letterario: fu
infatti il secolo del razionalismo, della rivoluzione scientifica e del Barocco.
3. RAGIONE E MERAVIGLIA: DUE DIVERSI MODI DI RAPPORTARSI A UNA REALTÀ SFACCETTATA E INAFFERRABILE, PRIVA
DI PUNTI DI RIFERIMENTO.
Di fronte alla contraddittorietà e alla sfuggevolezza della realtà, gli uomini del XVII cercano di
elaborare nuovi strumenti per affrontare la complessità del mondo in cui vivono, rapportandosi ad
essa sostanzialmente con tre modalità:
1) l’atteggiamento meraviglia e di stupore (di fronte al reale multiforme e sfaccettato): tale
atteggiamento trova la sua massima espressione nella tendenza alla grandiosità, al virtuosismo,
alla disarmonia delle forme propria del Barocco, fondato sul modo relativistico e critico di
percepire la vita;
2) la ricerca dell’ordine, perseguita dalla nuova mentalità scientifica che cerca nelle recenti
conquiste del sapere e con una tensione sperimentale continua, strumenti nuovi e razionali per
comprendere i misteri dell’esistenza e per organizzare e dominare razionalmente la complessità
del reale.
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Comune ai due atteggiamenti è il rifiuto delle regole fondate sull’autorità. Alcuni esempi
significativi di questo atteggiamento: in ambito letterario, il poeta Giambattista Marino (15691625) sostiene che la vera regola «è saper rompere le regole a tempo e luogo, accomodandosi al
costume corrente e al gusto del tempo»: di qui il rifiuto della tradizione rappresentata dalla
precettistica poetica del Rinascimento fondata sul principio dell’imitazione originale dei modelli
antichi, dell’ordine e del rigore formale, e l’ansia per l’innovazione, per la creazione inedita e
bizzarra in grado di suscitare meraviglia e stupore; in ambito artistico: l’arte barocca sostituisce al
principio classicistico di imitazione quello più moderno di competizione: non si tratta di imitare (la
natura o i modelli classici), ma di costruire un altro mondo. Ciò significa il rifiuto delle regole di
armonia e di proporzione tipiche dell’arte classicistica e il ricorso a modalità rappresentative molto
più variabili e più ricche; in ambito filosofico: Cartesio (1596-1650) rifiuta l’autorità della
tradizione, in quanto ritiene che tutti gli uomini sono in grado di distinguere il vero dal falso. Egli fa
del dubbio sistematico lo strumento che consente di arrivare a definire la verità; in ambito
scientifico: Galileo Galilei che irride i « dottori di memoria», che ripetevano pedissequamente le
frasi di Aristotele senza sottoporle a verifiche. A questo sapere dogmatico egli oppone la
conoscenza basata sul metodo scientifico e sulle «sensate esperienze»
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