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L’antisemitismo nella Storia
Anne Grynberg - SHOAH Gli ebrei e la catastrofe - Electa/Gallimard
Sebbene Hitler appaia come un teorico innovatore e originale, in realtà le idee che
accampa a proposito degli ebrei non sono affatto nuove. Sono idee che affondano le
radici in un passato antichissimo, quello dell’antigiudaismo cristiano, e in una
corrente di pensiero nata nel XIX secolo, l’antisemitismo moderno.
GLI STEREOTIPI ANTIEBRAICI DELLA CRISTIANITA’
Nel 321, sotto il regno di Costantino, il cristianesimo diventò religione ufficiale
dell’Impero romano. Da quel momento la Chiesa esercitò un forte ascendente
sull’autorità civile, soprattutto rispetto agli ebrei, che si propose di convertire al
cristianesimo, unica vera religione. Ma gli ebrei, molti dei quali in un primo
momento avevano considerato il cristianesimo come una setta dell’ebraismo,
rifiutarono di credere nella divinità di Cristo, un credo che a loro giudizio equivaleva
a rinnegare Dio.
Per proteggere i cristiani dall’ascendente ebraico, ritenuto pernicioso e per marcare
la differenza tra la propria religione e quella da cui essa derivava, i Padri della
Chiesa svilupparono argomentazioni ostili al “popolo deicida”, giudicato nel suo
insieme responsabile della morte di Cristo. Con il passar del tempo, una legislazione
sempre più rigida proibì ogni contatto tra cristiani ed ebrei. Alla fine dell’XI secolo,
la prima crociata, slancio unitario della cristianità, inasprì ulteriormente
l’antiebraismo cristiano: prima di arrivare a liberare il Santo Sepolcro, i crociati
ritennero legittimo massacrare gli ebrei “infedeli”.
In quel periodo l’Europa conobbe un notevole sviluppo economico che favorì il
prestito di denaro, attività esercitata soprattutto dagli ebrei: infatti, se da un lato il
prestito a interesse era proibito ai cristiani, d’altro canto gli ebrei non potevano
possedere la terra, interdizione che li spinse a forme di investimento basate sul
denaro liquido. All’ostilità religiosa si aggiunse così il risentimento economico.
Nacquero così le principali accuse contro i “giudei”, di cui Giuda, il traditore di
Cristo, diventa l’emblema stesso. Li si sospettava di rubare le ostie consacrate ai
cristiani per profanarle, reiterando così il deicidio. Si raccontava che rapivano i
bambini cristiani e li uccidevano per raccoglierne il sangue, usato nella preparazione
del pane “azzimo”, cibo rituale nella celebrazione della Pasqua. Li si tacciava infine
di avvelenare i pozzi per diffondere le epidemie.
Si giunse così all’idea di un’alleanza tra gli ebrei e Satana per nuocere ai Cristiani o
addirittura per ucciderli. Terrificanti raffigurazioni popolari prestano agli ebrei
attributi diabolici quali corna e coda lunga... Si parla di un “fetore giudaico” in
contrapposizione all’odore di “santità”.
A scatenare le violenze contro gli ebrei erano quasi sempre le situazioni di crisi,
nelle quali le masse cercavano di far ricadere la responsabilità delle proprie
frustrazioni e delle proprie disgrazie su un capro espiatorio. Questa espressione si
riferisce proprio ad un rituale dell’antica religione ebraica nel quale il sacerdote,
durante la festa dell’espiazione (Kippur), purificava il popolo di tutte le sue colpe,
trasferendole su un capretto destinato al sacrificio. Viene usata per indicare il
procedimento psicologico mediante il quale si attribuiscono a un particolare gruppo
di persone le responsabilità dei mali che in un certo momento colpiscono la
collettività. La funzione di capro espiatorio viene più facilmente attribuita a quei
gruppi che vivono in condizioni di minoranza o di emarginazione nella società e
pertanto gli ebrei nella storia dell’occidente cristiano sono stati spesso un capro
espiatorio perfetto insieme ad altri gruppi emarginati.
Obblighi e divieti scandivano la vita degli ebrei: portare un segno distintivo, vivere
chiusi in quartieri separati, non poter accedere a certi mestieri, accettare conversioni
forzate e talvolta subire l’espulsione da un paese.
All’inizio del XVI secolo in Spagna, ad esempio, i “re cattolici” Ferdinando e
Isabella decisero di cacciare dal loro regno tutti gli ebrei che vi abitavano. La
conversione al cristianesimo evitò a qualcuno l’espulsione, ma non lo mise al sicuro
dalle persecuzioni: i convertiti vennero chiamati marrani, che in spagnolo significa
porci, e continuarono ad essere identificati come ebrei e come tali ad essere
perseguitati, se possibile ancora più duramente perché erano accusati di voler
dissimulare la propria identità. L’appartenenza al popolo spagnolo veniva decisa
sulla base della “purezza del sangue”, limpyeza do sangre, che doveva garantire
l’assenza di ogni “inquinamento ebraico”. Sono le stesse regole che verranno
adottate quattro secoli dopo dalle legislazioni razziali del nazismo tedesco e del
fascismo italiano.
Erano queste le conseguenze dell’ “insegnamento del disprezzo” predicato dalla
Chiesa cattolica, che peraltro non deteneva il monopolio dell’ostilità antisemita.
Nella sua opera Dei giudei e delle loro menzogne, Lutero riversa un torrente di
anatemi contro gli ebrei, “peste e pestilenza, pura sventura”. Affermazioni spesso
evocate nei discorsi di Hitler.
L’ANTISEMITISMO MODERNO
In età moderna gli ebrei continuarono a suscitare l’avversione dei conservatori,
favorevoli al mantenimento dell’ordine sociale tradizionale. Figlia della Filosofia dei
Lumi, la Rivoluzione francese fu la prima a riconoscere gli ebrei cittadini a tutti gli
effetti e non soggetti di livello inferiore. L’emancipazione degli ebrei, esportate in
tutta l’Europa dalle armate napoleoniche, venne sentita dai popoli sconfitti come una
costrizione insopportabile imposta dal nemico vittorioso. Inoltre, proprio nel
momento in cui la società rurale si stava disgregando in seguito
all’industrializzazione e all’urbanizzazione, l’emancipazione era vissuta come fattore
di destabilizzazione sociale. L’ordine di un tempo, fondato sulla proprietà fondiaria
e sul potere della nobiltà, era minacciato dall’emergere della borghesia, che
conquistava e deteneva la ricchezza economica e aspirava a cariche politiche. La
mobilità sociale stava aumentando: anche gli operai delle fabbriche, una nuova
classe sociale nata con la rivoluzione industriale, intrapresero ben presto la lotta
contro la miseria. Il liberalismo, la democrazia, il socialismo erano tutte correnti di
pensiero aborrite dai conservatori, i quali spesso ne imputavano l’origine agli ebrei,
incarnazione della vituperata modernità. I conservatori riesumarono anche miti
antisemiti. Smaniosi di stabilire il loro dominio sul mondo, gli ebrei avrebbero
cospirato per fomentare movimenti rivoluzionari nei paesi in cui vivevano,
nell’intento di acquisire privilegi e al tempo stesso distruggere l’ordine dello stato.
Era dell’industrializzazione, il XIX secolo fu anche quella dei nazionalismi: la
nazione diventò un autentico cemento sociale, il quadro fondamentale in cui gli
uomini si riconoscevano e si raggruppavano. In tale contesto ideologico la non
identità nazionale degli ebrei disturbava profondamente: urtava per la loro
dispersione oltre frontiera, per l’assenza di ogni legame territoriale e per un
cosmopolitismo che destava sospetti. Per non essere snaturata la nazione doveva
respingerli!
Lo storico francese Joseph Gobineau pubblicò il Saggio sulle diseguaglianze delle
razze umane (1855), in cui pretende di addurre argomenti scientifici alla teoria della
superiorità della razza nordica germanica. Poi, negli ultimi anni del secolo, mentre
l’Affare Dreyfus divideva la Francia tra chi difendeva l’innocenza dell’ufficiale e chi
conclamava “Morte agli ebrei!”, Edouard Drumont ottenne un notevole successo
pubblicando La Francia ebraica, un pamphlet carico di odio. Nel 1899, infine,
Houston Steward Chamberlain diede alle stampe I fondamenti del XIX secolo nel
quale sostenne che la civiltà sarebbe creazione esclusiva degli ariani, sedicenti
originari dell’India, i quali devono preservarsi da ogni “mescolanza razziale” con i
semiti “sottorazza degenerata”.
In Germania il giornalista Wilhelm Marr, cui spesso viene attribuita la paternità del
termine “antisemitismo”, pubblicò La vittoria del giudaismo sul germanesimo, in cui
afferma che “le caratteristiche razziali” degli ebrei, designati come “semiti stranieri”,
hanno permesso loro di diventare tramite la speculazione e l’usura la prima potenza
dell’Occidente. Marr teme che il popolo tedesco sia troppo debole per resistere agli
ebrei e scrive: “La questione ebraica é una questione socio-politica. La
giudaizzazione del mondo germanico ha provocato la nascita di talune idee, di
alcune teorie su una libertà socio-individuale, che non può più chiamarsi libertà, ma
insolenza, e le cui conseguenze sono inaccettabili persino per il germanesimo
giudaizzato”.
Adolf Stöcker, fondatore a Berlino del Partito dei lavoratori cristiano-sociali,
definisce gli ebrei “un popolo all’interno di un popolo, uno Stato nello Stato, una
tribù separata in seno a una razza cui é estranea”. Certo, gli ebrei tedeschi godevano
della parità dei diritti, ma il divario tra “paese legale” e “paese reale” stava
crescendo sempre più ampio... Dal 1883 scoppiarono in Germania le violenze contro
gli ebrei, tra cui la Petizione degli antisemiti, un manifesto virulento che raccolse
225.000 firme in pochi mesi. Il grido Juden Raus! (Fuori gli ebrei!) risuonava con
sinistra frequenza; tra il 1887 e 1914 il numero dei deputati antisemiti eletti al
Reichstag aumentò a dismisura.
In quegli stessi anni si sviluppò in Germania un movimento conservatore che si
richiamava con orgoglio al passato tedesco - fatto risalire al Sacro Romano Impero
Germanico - e ai Cavalieri teutonici, eroi tutelari; un’ideologia galvanizzata dalla
musica di Richard Wagner. Alla fine del XIX secolo si affermò il movimento per
l’igiene razziale . Dando un’interpretazione del tutto distorta dell’ Origine della
specie di Darwin, che teorizza la “selezione naturale” e la sopravvivenza dei più forti
nell’ineluttabile lotta per la vita, i suoi aderenti sostenevano che, in nome della
purezza della razza, lo Stato doveva poter controllare la nascita e la morte dei suoi
sudditi. Gli esseri “biologicamente inferiori” dovevano poter essere liquidati!
L’ideologia hitleriana non scaturisce quindi dal nulla, ma si basa sul retaggio di miti
arcaici in auge nel XIX secolo, e sull’uso perverso della scienza moderna. Quando
Hitler si scaglia contro gli ebrei non usa un linguaggio totalmente nuovo, bensì
evoca stereotipi già noti. E nonostante i toni parossistici e deliranti dei suoi discorsi
trova un terreno fertile: i tedeschi, frustati dalla sconfitta militare del 1918 - vissuta
come un’umiliazione nazionale - e indeboliti dalla crisi economica e sociale che
colpisce la Germania tra le due guerre, cercano un capro espiatorio : l’ebreo lo é per
tradizione!
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