LUISS Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli Centro di metodologia delle scienze sociali PUÒ UNA TEORIA FISICA EVOLVERE ANCHE SE I SUOI NEMICI SONO VIVI? Fabrizio Fontana Working Papers n. 95, 2004 © 2004, Pubblicazioni a cura del Centro di Metodologia delle Scienze Sociali, Luiss Guido Carli, Roma Via Oreste Tommasini, 1 - 00162 Roma - Tel. 06/86506762 - Fax 06/86506503 - E-mail: [email protected] Centro di metodologia delle scienze sociali Luiss Guido Carli PUÒ UNA TEORIA FISICA EVOLVERE ANCHE SE I SUOI NEMICI SONO VIVI? Fabrizio Fontana “The great tragedy of Science – the slaying of a beautiful hypothesis by an ugly fact.” T.H. Huxley Biogenesis and Abiogenesis. Collected Essays VIII. “Since all past theories have proved incorrect, present ones can be expected to do so also: what we consider good science, even the methodological rules we rely on, may be rejected in the future.” P. Feyerabend SOMMARIO: Cercheremo di capire quali sono i passi necessari per la costruzione di una teoria evoluzionistica del progresso scientifico con particolare riferimento alla Fisica. Soprattutto ci sforzeremo di comprendere quanto possa essere utile la costruzione di una teoria evolutiva del pensiero scientifico ai fini della comprensione dei meccanismi che guidano il passaggio da una idea dominante ad un’altra idea dominante. Supporre che la coscienza evolva seguendo leggi darwiniane è una idea come un’altra e potrebbe essere non falsificabile (e, quindi, non scientifica in senso popperiano) per lo meno fino a quando non si definiscano in maniera precisa ed inequivoca le modalità di applicazione del paradigma darwiniano alle strutture mentali piuttosto che alle strutture biologiche. Questo ci mette al riparo anche dal rischio di interpretare qualunque elemento della discussione in maniera strumentale e finalizzata, diciamo pure disonesta, in un contesto in cui sarebbe molto semplice provare tutto ed il contrario di tutto. Partiremo allora dalla definizione di alcuni punti di riferimento mutuati dalla biologia e che ci serviranno per fissare i capisaldi del nostro discorso. Allo scopo di rendere più incisivo il lavoro apriremo ogni sezione con una o più domande la cui risposta (o non risposta) sarà sviluppata nella sezione medesima. 2 Centro di metodologia delle scienze sociali Luiss Guido Carli 1. Introduzione PRIMA DOMANDA: Può una teoria fisica evolvere anche se i suoi nemici sono vivi? La domanda che costituisce il titolo del contributo è la parafrasi di una ben più complessa citazione di Max Planck [1858-1947]: “An important scientific innovation rarely makes its way by gradually winning over and converting its opponents: it rarely happens that Saul becomes Paul. What does happen is that its opponents gradually die out, and that the growing generation is familiarised with the ideas from the beginning.” [Max Planck in Holton, 1973] Le parole di Planck contengono la descrizione del punto di vista del grande Fisico al proposito dell’argomento in discussione. I temi che svilupperemo (teorie evoluzionistiche del pensiero scientifico, lotta per la sopravvivenza, competizione, direzione dello sviluppo scientifico, e così via) sono affrontati e rappresentati in maniera sintetica. Nelle parole citate si sente anche un’eco di pessimismo nei confronti della capacità degli accademici istituzionali di partecipare in maniera leale allo sviluppo del pensiero scientifico, di abbandonare il proprio naturale conservatorismo giocando con mente aperta il proprio ruolo di esploratori delle frontiere del conoscere. Le parole di Planck sono quelle di un rivoluzionario suo malgrado [Heilbron, 1988], di uno dei ricercatori che pur avendo indotto la transizione verso una nuova visione del mondo fisico (la Meccanica quantistica) l’hanno contestata con forza e, quindi, devono essere riferite primariamente a lui stesso. Ma per comprenderne appieno la consistenza le possiamo applicare ad un altro esempio a lui storicamente prossimo. Leggiamo come si esprimeva Ernst Mach [1838-1916] a proposito delle teorie atomiche nella edizione del 1912 del suo “Die mechanick...” “...la rappresentazione ausiliaria degli atomi è stata inventata proprio a questo scopo1, e non è stata trovata seguendo il principio di continuità2. Gli atomi non possono essere percepiti dai sensi, poiché, come tutte le sostanze, sono enti mentali. Anzi, si attribuiscono loro alcune proprietà che contraddicono quelle finora osservate da tutti. Certo, le teorie atomiche possono servire a esporre una serie di fatti. Ma gli scienziati, per i quali sono valide le regole metodologiche newtoniane3, considerano teorie di questo genere come espedienti provvisori, e cercano di sostituirle con altre più vicine alla natura. La teoria atomica ha nella fisica una funzione analoga a quella di certe rappresentazioni matematiche ausiliarie: è un modello matematico per la riproduzione dei fatti.” [Mach, 1912] Parole dure, dunque, ben diverse dalle parole realistiche di Planck che, come Mach, stava vivendo il dramma del passaggio dalla Fisica classica, solidamente legata alla rappresentabilità mediante un linguaggio fondato sull’empiria quotidiana, alla Fisica quantistica, in prima istanza legata ad linguaggio matematico astratto fondato sulla coerenza interna dei propri assiomi e su una evidenza sperimentale che dista dall’uomo comune dell’inizio del ‘900 quanto l’evidenza sperimentale dei pianeti medicei di Galilei ottenuta mediante l’uso del telescopio distava dall’uomo comune dell’inizio del ‘600. Parole che, per altro, non ci aspetteremmo da personaggi della levatura di Mach soprattutto confrontandole con la cronologia degli eventi che hanno 1 ...e cioè per descrivere in maniera semplice alcuni fenomeni chimici ossia in base ad un principio utilitaristico. 2 Il principio di continuità è il tentativo di usare un’idea ricavata in un caso particolare alle più svariate ed ampie circostanze. Nel testo di Mach se ne dà una precisa esemplificazione applicandolo alla descrizione dei moti oscillatori partendo dalle oscillazioni elastiche e giungendo fino alle oscillazioni elettromagnetiche. 3 Mach si riferisce esplicitamente alle Regulae Philosophandi esposte da Newton nei Principia e divenute imprescindibile punto di riferimento nello sviluppo della Fisica fino al crollo dell’approccio meccanicistico della descrizione del Mondo. 3 Centro di metodologia delle scienze sociali Luiss Guido Carli condotto al radicamento della teoria atomica come modello prevalente circa la struttura della materia e alla nascita della meccanica quantistica [si veda la tavola cronologica allegata]. Tuttavia, nonostante il pensiero avverso di Planck e di Mach (e di altri importanti “nemici”) la teoria atomica è divenuta un “programma di ricerca” (nel senso dato da Lakatos a tale definizione [Lakatos, 1985]) si è sviluppata, si è evoluta affermandosi, infine come modello dominante e non lasciando più spazio a teorie competitive a partire dagli anni 10 del ‘900 a tuttora pur essendo i suoi nemici vivi ed agguerriti. Un esempio dell’energia con cui i nemici combattevano è costituito da un piccolo ma significativo aneddoto. Al termine di una lezione di Werner Heisenberg [1901-1976] sul principio di indeterminazione Albert Einstein [1879-1955], richiesto di un commento ha escalmato: “Marvellous, what ideas the young people have the days. But I don’t believe a word of it” [Ehrenberg, 1979]. 2. Evoluzione ed evoluzionismo SECONDA DOMANDA: E’ veramente possibile costruire una teoria evoluzionistica della scienza che sia qualcosa di più della banale trasposizione di meccanismi di pensiero e di indagine propri della biologia? Che significa applicare quei meccanismi alle scienze in generale? “L’evoluzione è un progresso e per di più un progresso necessario che, per ciò che riguarda l’uomo, terminerà soltanto con «la più grande perfezione e la più completa felicità»” [Spencer, 1899]. Questa affermazione di Herbert Spencer [1820-1903] ancora una volta condensa molti aspetti tutti meritevoli di discussione separata. Essa costituisce, tuttavia un buon punto di partenza essendo, in fin dei conti, essa stessa un punto di arrivo. Innanzi tutto possiamo convenire dal punto di vista semantico che evoluzione è progresso se, per il momento, assumiamo la parola progresso con un senso neutro rispetto alle potenzialità che essa può esprimere. Diciamo che per il momento accettiamo la parola progresso nel senso di “successione temporale” di eventi. Questa interpretazione, tuttavia, chiaramente non è quella data da Spencer e da buona parte dei teorici dell’evoluzionismo. L’affermazione diventa ancora più scottante quando si scopre che per Spencer non solo l’evoluzione è progresso in senso positivo ma esso è anche necessario. Ci troviamo quindi di fronte all’ottimistica osservazione che qualunque sia lo stato delle cose (materiali o, più in generale, dal punto di vista dei meccanismi mentali) il loro stato futuro non potrà che essere migliore e, naturalmente, siccome la rincorsa verso lo stato migliore non può continuare in eterno essa si fermerà con il raggiungimento della perfezione totale dell’uomo (sia come struttura biologica, sia come possessore della verità rivelata). Questo atteggiamento ottimistico nei confronti sia della natura sia dell’uomo ha trovato credito in un’epoca che è trascorsa e che ci ha lasciato un più sano spirito. Questo punto di vista non è stato sempre condiviso nella storia del pensiero umano e possiamo affermare che la visione evolutiva dello sviluppo della conoscenza trova le sue radici nelle rivoluzioni scientifiche del 600, quindi abbastanza recentemente nella storia della civiltà occidentale. Per comprendere come le cose siano cambiate drasticamente nel corso di una manciata di secoli ci basta confrontare il senso dato a due affermazioni o meglio alla medesima affermazione fatta a 600 anni di distanza. Intorno al 1100 Bernardo di Chartres [fine del 10001130] paragona i suoi contemporanei a nani issati sulle spalle di giganti. Egli intendeva dire, secondo uno spirito ampiamente condiviso dai suoi contemporanei, che, pur riconoscendo una crescita del sapere, la conoscenza si deve intendere come la comprensione e l’uso costruttivo dei modelli antichi (l’ipse dixit di pitagorica prima e aristoletica memoria poi) più che come un effettivo avanzamento. Quindi, l’uomo è condannato alla ricapitolazione claudicante e raffazzonata di un sapere già interamente definito e compiuto non più migliorabile, piuttosto che alla produzione di conoscenze nuove. Circa 600 anni dopo, nel febbraio del 1676, in una lettera a Robert Hooke [1635-1703], Newton [1642-1727] testualmente dice “If I have seen farther 4 Centro di metodologia delle scienze sociali Luiss Guido Carli than others, it is because I was standing on the shoulders of giants.” ribaltando decisamente il senso della frase e trasformandola completamente. Le conoscenze del passato non solo non rappresentano la meta ultima cui tendere, essi sono piuttosto, grazie ai loro scopritori, i punti di partenza da cui spiccare il volo verso nuove e ben più profonde conoscenze. La rivoluzione scientifica del Seicento, oltre a mettere in moto i meccanismi di conoscenza che tutti conosciamo, in maniera fanciullescamente ottimistica rispetto al progresso scientifico, ha sostenuto il carattere specificamente scientifico del Progresso (cioè ha teso a identificare il Progresso scientifico col Progresso tout court), contro il riconoscimento del ruolo fondamentale che gli antichi davano agli studia humanitatis tipico degli antichi come dei rinascimentali. Tra l’altro ha assunto il carattere cumulativo del sapere, contro l’antica visione di un sapere originario precostituito una volta per tutte e ne ha riconosciuto il carattere pubblico e di utilità sociale del sapere, contro la concezione esoterica e iniziatica. Dunque, prima ancora che l’evoluzione fosse una teoria scientifica chiaramente codificata, l’evoluzionismo si cominciava ad affermare indissolubilmente legato ad una idea positiva del progresso della conoscenza. Quindi, le rivoluzioni scientifiche del 600 ci costringono a costruire anche un approccio evoluzionistico alla teoria della scienza. Con il termine evoluzionismo intenderemo “non già la teoria generale dell’evoluzione come quadro fondamentale delle ricerche biologiche, ma il complesso delle dottrine filosofiche che vedono nell’evoluzione il tratto fondamentale di ogni tipo o forma di realtà e perciò il principio adatto a spiegare la realtà nel suo complesso.” [Abbagnano, 2001] Per essere ancora più precisi nel delimitare gli ambiti della discussione diremo che, cercando di fare dell’Epistemologia evoluzionistica [Abbagnano, 2001], ci limiteremo all’approccio metaforico (o omologo in senso popperiano) tra leggi della biologia e leggi della conoscenza. Per cui non cercheremo di interpretare il darwinismo (forte o debole, fondamentalista o pluralista) come modello effettivo della crescita della conoscenza. La critica principale che ci sentiamo di fare a questa visione dell’evoluzione culturale che interpreta la conoscenza come conseguenza della stessa evoluzione biologica e dei mutamenti ambientali è che se non si può non ritenere che la struttura biologica stessa del cervello dell’uomo evolva, è pur evidente che, vincolandosi fortemente al materialismo biologico, questa evoluzione avviene su tempi molto più lunghi di quelli di cui stiamo discutendo. Non più di 700 anni, se ci si riferisce come punto di partenza alla nascita del metodo scientifico o, al più, 3000 anni riportarsi indietro alla cultura classica, rispetto alle migliaia di anni che dovrebbero costituire la base temporale del cambiamento di una struttura biologicamente complessa come il cervello umano. La difficoltà nel costruire una teoria evoluzionistica della conoscenza che non cada in un banale assorbimento dell’ovvio sviluppo progressivo della conoscenza da una parte o nel tentativo di emulare i meccanismi della conoscenza ai meccanismi biologici (ben definiti e sostanziali) dall’altra, può essere condensato nelle dure parole di Abbagnano a proposito delle teorie evoluzionistiche della conoscenza. “La credenza che la realtà è un processo unico, continuativo, e necessariamente progressivo si legge fra le righe di dottrine filosofiche disparatissime ed ha potentemente influenzato l’impostazione di ricerche storiche, sociologiche, morali, ecc. Questa credenza tuttavia non è suffragata da nulla; e nell’unico dominio in cui una teoria dell’evoluzione è suffragata da prove di fatto, cioè nel dominio biologico, l’evoluzione ha perso proprio i caratteri che i filosofi hanno dimostrato di apprezzare maggiormente in essa: l’unità, la continuità, la necessità e il progresso.” [Abbagnano, 2001] Ancora più globale e fondamentale è la critica di Feyerabend che non solo esclude la possibilità di costruire una teoria evoluzionistica della Scienza ma che mette proprio in crisi l’idea che la Scienza debba essere distinta dalle altre espressioni del pensiero umano. “Si può descrivere il modo in cui la situazione cambia nel corso degli anni, si possono ricostruire i principi razionali che hanno guidato l’uno o l’altro scienziato, ma non si trova una 5 Centro di metodologia delle scienze sociali Luiss Guido Carli caratterizzazione generale e non vacua che separi questo processo da sviluppi simili nell’arte o anche nel dibattito religioso.” [Feyerabend, 1992] Non ci sentiamo di condividere queste conclusioni per quanto esse siano uno sprone a muoversi in maniera cauta e mai scontata. Sono sempre i vincitori a scrivere la Storia, anche nel caso dell’analisi dello sviluppo delle idee scientifiche si ricordano principalmente le battaglie vinte. Questo fa si che il racconto del progresso scientifico ci appaia lineare ed inevitabile [Bellone, 2003]. Ma è proprio questa inevitabilità che deve diventare l’oggetto dello studio. Perché inevitabilità consegue da vincoli (culturali, sociali, storici, psicologici, funzionali...) che guidano in maniera univoca anche se mutevole il processo di sviluppo. Riuscire a separare l’influenza dei vincoli dall’effettivo contenuto di una teoria ci aiuta a comprenderne l’essenza. Nel corso della storia della Meccanica Classica il momento in cui si riuscì a trovare una rappresentazione dei sistemi fisici (la Meccanica lagrangiana) che li affrancava dalla necessità della descrizione dei vincoli restringendone la discussione alla effettiva libertà di evoluzione fu un momento di svolta. I principi alla base della descrizione lagrangiana dei sistemi meccanici furono estesi ed applicati ai sistemi termodinamici ottenendo un sistema di descrizione dei fenomeni estremamente più efficiente di quelli sviluppati fino a quel momento e, paradossalmente, in grado di produrre una descrizione del mondo fisico più sintetica e universale. Quindi altrettanto sarà l’analisi, anche se parziale e limitata. Del resto anche il lavoro del paleontologo si svolge in maniera frustrante usando quasi sempre le tracce dei vincitori (quelle strutture biologiche che colonizzando in maniera dominante una certa nicchia hanno maggiore probabilità di lasciare tracce evidenti della loro esistenza) e qualche volta (raramente) dei vinti. 3. Evoluzionismo e Progresso scientifico TERZA DOMANDA: La filosofia della scienza è confinata alla descrizione di ciò che uno scienziato fa e di come la scienza procede? Essendo una disciplina esclusivamente descrittiva in quale misura i casi analizzati sono descritti veramente accuratamente e non, piuttosto, piegati alle ragioni di chi cerca di descriverli? Viceversa, può la filosofia della scienza essere normativa e, quindi, insegnare agli scienziati come si procede nel costruire le teorie scientifiche più appropriate? [Newton, 2000] Sebbene l'evoluzione biologica attualmente preveda una separazione tra evoluzione e progresso non è possibile pensare all'evoluzione delle idee scientifiche se non in maniera progressiva. La differenza tra il progressismo biologico e quello epistemologico è nella finalizzazione del progresso medesimo. In biologia il progressismo è stato sempre associato alla tendenza verso un obiettivo biologico ben determinato (dall'organismo semplice a quello complesso, dall'ameba all'uomo) in epistemologia si devono scindere i due concetti di progresso e finalismo. Per un integralista scientifico l'obiettivo finale cui tende la ricerca è il raggiungimento della 4 verità assoluta (che, temo, si possa confondere con la rivelazione di cristiana impostazione ) ma questo implica inevitabilmente l'esistenza di una verità ossia di una struttura oggettiva, esterna a qualunque osservatore e a qualunque influenza dell'osservatore e nessuno, in questo momento storico, sarebbe pronto a sottoscrivere un'idea così radicale. Ci potremmo anche accontentare di assumere che verità è la migliore tra le conoscenze che ci sono date in un particolare contesto storico e con gli strumenti mentali a disposizione. Ma anche questa impostazione relativistica o 4 Non è fuori luogo pensare che l’influenza cristiana nel primo medioevo abbia influenzato in questo senso i filosofi dell’epoca. 6 Centro di metodologia delle scienze sociali Luiss Guido Carli derivativa della conoscenza potrebbe non soddisfare i paladini dell’orgoglio scientifico e, per altro, si esporrebbe a critiche banali come la definizione di cosa si debba intendere per “conoscenza migliore”. Direi, quindi, che mentre il finalismo nella sua più ampia espressione debba considerarsi bandito dal linguaggio dello scienziato non si debba dire altrettanto del progressismo. In epistemologia l'evoluzione è progresso anche se, come già detto, non si debba per forza dare una connotazione ottimistico-positiva a questo termine. Epistemologia evoluzionistica e progresso scientifico sono dunque legati a filo doppio e, in dipendenza del paradigma usato per valutare le modalità svolgimento dell’avanzamento della conoscenza si distinguono diverse linee di pensiero. Del progresso scientifico come avvicinamento alla verità abbiamo già detto. L’idea che la conoscenza scientifica ci avvicini alla verità seppure non sia solo né principalmente un accumulo, ma piuttosto una selezione che richiede dunque anche l’eliminazione, è presente in forme abbastanza diverse, ma tutte accomunate dall’anti-giustificazionismo, in varie correnti filosofiche come il falsificazionismo di Popper e dei popperiani, l’epistemologia evoluzionistica vera e propria di ispirazione popperiana e in Lakatos con la sua metodologia dei programmi di ricerca. Vi è un gruppo di ricercatori che confina il progresso nel mero accumulo di nozioni, intendendo l’evoluzionismo del progresso scientifico come cumulativismo. L’idea di una crescita cumulativa della conoscenza scientifica è ancora diffusa in molti settori del realismo che ritengono il progresso scientifico come un’ascesa continua verso una verità che sussiste del tutto indipendentemente dalla conoscenza, anche se poi vi sono idee affatto diverse e incompatibili intorno alla teoria della verità da adottare. Vi è, infine, un gruppo di filosofi che ritiene che il progresso scientifico debba essere valutato solo in termini di efficacia delle teorie e senza alcuna relazione con la verità. Tra le corenti filosofiche principalmente coinvolte in questa visione sono) il sociologismo, lo storicismo, lo strumentalismo eil pragmatisrno. Nell’ambito del dibattito del significato di progresso scientifico un ruolo a parte ricopre l’idea della dinamica progresso/regresso. Le teorie scientifiche (in particolare quelle fisiche) quanto più sono globali nelle loro affermazioni tanto più hanno avuto vita travagliata e non sempre lineare. Le teorie atomiche, ad esempio, o le teorie sulla natura della luce (corpuscolare/ondulatoria) hanno vissuto alterne vicende diventando via via dominanti o soccombenti (progresso/regresso). Questa dinamica è stata interpretata da Lakatos che “ha riformulato il falsificazionismo in direzione della sua applicazione a insiemi di ipotesi e non a teorie singolarmente prese” [Abbagnano, 2001] Ma, sebbene la convinzione di Lakatos sia tanto radicata da spingerlo ad assumere che “un programma di ricerca recessivo non fosse degno di finanziamento o di attenzione da parte della comunità scientifica” [Feyrabend, 1995] egli comunque non è riuscito a offrire un contrassegno rigoroso per misurare l’entità del progresso e il limite temporale da concedere al dogmatismo, egli non spiega perché è preferibile, più razionale, preferire uno spostamento progressivo a uno regressivo [Abbagnano, 2001]. Probabilmente un meccanismo che guida il progresso scientifico e in qualche modo lo indirizza è proprio il continuo raffinamento degli strumenti cognitivi che, al di là dei risultati concreti in termini di acquisizioni ci implica un sempre più stretto confronto con i limiti degli strumenti cognitivi medesimi. 7 Centro di metodologia delle scienze sociali Luiss Guido Carli 4. Darwinismo e Lamarckismo QUARTA DOMANDA: Esiste ancora un ruolo per il funzionalismo lamarckiano nell’ambito dello sviluppo di una teoria evoluzionistica del progresso scientifico?5 Sebbene non dovrebbe esservi spazio per una disputa così obsoleta, almeno dal punto di vista biologico, pure è interessante analizzare i contenuti delle due teorie scoprendo che, sotto certi aspetti, il principio di continuità di Mach ha molte analogie con il lamarckismo. Il lamarckismo assume come fondamentali le relazioni tra organismo e ambiente, e queste relazioni potrebbero indurre delle novità organiche trasmittibili ereditariamente (teoria dell’usonon uso). Non vi è dubbio che l'abbandono del lamarckismo biologico sia una conseguenza degli sviluppi degli studi genetici. Eppure ci sono due aspetti da considerare. • Il rapporto tra ambiente ed individuo è fondamentale rispetto all'adattamento dell'individuo medesimo alle condizioni di vita che dinamicamente si modificano. In termini darwinisti questo comporta il disadattamento di quegli individui che abbiano subito modifiche poco favorevoli e un miglior adattamento di quelli che hanno subito modifiche favorevoli con una conseguente maggiore propensione alla riproduzione e, quindi alla dominanza rispetto agli individui più sfortunati. • Le teorie scientifiche non hanno un apparato genetico che possa essere modificato casualmente e il loro contributo in termini ereditari può essere modificato dall'interazione con l'ambiente di pertinenza così come non hanno un apparato genetico esclusivamente codificante le mutazioni propriamente genetiche. Pensiamo, ad esempio, alla teoria della gravitazione universale di Newton, non vi è dubbio che se fosse sottoposta all’analisi di un fisico teorico moderno avrebbe tali e tante carenze fondamentali da doverla rifiutare se non fosse che produce previsioni numericamente corrette nei limiti dell’errore accettato nella stragrande maggioranza delle applicazioni pratiche. Da questo punto di vista un epistemologo lamarckiano potrebbe assumere che la teoria di Newton nasca espressamente come risposta della pressione dell’ambiente esterno (la necessità di trovare una teoria unificante le tre leggi empiriche di Keplero) piuttosto che come risposta ad una ricerca fisica di base (codificata geneticamente). In realtà, anche lasciando da parte l’idea che il primo motore nella formulazione della teoria della gravità di Newton sia stato il desiderio di contenere in un unico quadro coerente i dati sperimentali nello spazio celeste e sulla superficie della terra si può dimostrare che essa nasce comunque dalla pressione prodotta dalle assunzioni fondamentali circa la natura di spazio e tempo su cui si basa il lavoro di Newton. Un altro esempio di possibile evoluzione lamarckiana è la soluzione matematica del problema della propagazione del calore così come proposta da Fourier. Egli dichiara apertamente [Fourier, 1822] di non voler affrontare la sostanza teorica del problema ma di voler solo sviluppare un modello matematico. Ancora una volta è la pressione esterna (la necessità di risolvere numericamente il problema del trasporto del calore) a produrre l’evoluzione. Evoluzione che si è radicata in un modello strategicamente molto funzionale. Tanto che, 5 Un sintetico quanto significativo certificato di morte del lamarckismo in ambito biologico è contenuto nella seguente citazione di Gould [Gould 2002]. “In writing only these two paragraphs on this dismissal of Lamarckism, I imply no judgment about relative historical importance. Scarcely any event in the history of evolutionary theory could be more vital or central than the formulation of a rationale for expunging from orthodoxy (and rendering virtually inconceivable in theory) the most venerable of evolutionary mechanisms. I downplay this subject here only because this book treats history of valid auxiliaries and alternatives to strict Darwinian functionalism—and Lamarckism, as an invalid functionalism, therefore becomes tangential to my concerns on both grounds (while remaining central to the larger, general history of evolutionary theory).” 8 Centro di metodologia delle scienze sociali Luiss Guido Carli abbandonato il campo esclusivo del trasporto di calore, la teoria matematica di Fourier ha avuto e ha tuttora le più disparate applicazioni. Questo significa che darwinismo e lamarckismo sono ancora teorie competitive nell'analisi dello sviluppo delle teorie scientifiche. Una possibile restrizione a questo modo di pensare è, come già detto, il problema di cosa si debba assumere come apparato genetico di una teoria scientifica. Si potrebbe pensare alla evoluzione del pensiero scientifico (in particolare fisico) come se fosse costruita in modo analogo a quanto avviene in biologia, immaginando che l’equivalente delle subunità molecolari di DNA che si mescolano siano i principi primi. In questo modo si può immaginare che il numero di tali subunità cresca nel tempo (con il progredire della conoscenza) e via via che diventano disponibili nuove subunità, nuove e più articolate costruzioni delle medesime. Pure si può pensare all’apparato genetico come alla memoria storica dell’organismo biologico (le variazioni, i mutamenti, gli adattamenti che progressivamente si sono scritti nell’organismo biologico sono codificati nell’apparato genetico) si può pensare che esista un apparato genetico anche nella struttura evolutiva delle teorie scientifiche. Sebbene sia più difficile da sostanziare rispetto al caso puramente biologico è vero che le teorie scientifiche si portano dietro (come memoria storica) traccia dei tentativi e degli adattamenti pregressi e questo è l’apparato genetico di una teoria. Quando qualcosa muta nella teoria, muta nel suo apparato genetico e se qualcosa muta nel suo apparato genetico allora muta la teoria (si pensi, ad esempio, allo sviluppo delle scienze matematiche ed alla possibilità che la scoperta di un particolare teorema ha di influenzare il modello fisico a cui quello apparato matematico si applica). Se si accettasse questo punto di vista genetico delle teorie scientifiche, sarebbe difficile sostenere che vi sia ancora spazio per un approccio lamarckiano allla descrizione dello sviluppo del pensiero scientifico. 5. Evoluzione delle teorie Fisiche QUINTA DOMANDA: Verso cosa evolve una teoria scientifica? Prima di avviare l’analisi del contributo delle teorie evolutive allo sviluppo della Fisica ricordiamo ancora una volta che non tutti i ricercatori sono convinti della necessità di una simile indagine. “Bergson e Whitehead ritengono ad esempio che non si abbia alcuna evoluzione, poiché esistono soltanto stati successivi di caos, mentre un processo evolutivo deve creare nuovi stati di organizzazione.” [Einaudi 1971]. In realtà interpretando l’evoluzione della scienza in senso di progresso del pensiero scientifico l’obiezione è superata: è chiaro che lo sviluppo successivo delle teorie fisiche implica un susseguirsi di stati di organizzazione sempre nuovi e sempre più raffinati. Lo scopo del Fisico dovrebbe essere sempre quello di costruire modelli e strumenti mentali per la descrizione della realtà. Sia che la realtà esista oggettivamente all'esterno dell'osservatore sia che essa sia semplicemente la rappresentazione della visione del mondo propria dell'osservatore. Un banco di prova per il ricercatore che voglia affrontare il problema della descrizione dell’evoluzione della Fisica è costituito dall’analisi delle fasi del passaggio dalla Meccanica Classica alla Meccanica quantistica. La prima reazione del mondo fisico all’introduzione del modello quantizzato dell’energia fu di incredula rassegnazione. Il modello risolveva in maniera inequivocabile il problema del Corpo nero (experimentum crucis). In seguito si è scoperto che il nuovo paradigma era utile a risolvere altri e ben distinti problemi (come, ad esempio, la stabilità dell’atomo nel modello planetario). Da quel momento “quasi” nessuno si è preoccupato di approfondire i fondamenti della descrizione classica del mondo per comprende quali fossero le limitazioni o gli errori che avevano condotto ad un risultato paradossale (la catastrofe 9 Centro di metodologia delle scienze sociali Luiss Guido Carli ultravioletta), l’accademia ha ufficialmente accettato il nuovo paradigma senza preoccuparsi perché il precedente che era stato sostituito non funzionasse più. Un esempio al contrario è costituito dalla transizione dalle equazioni usate per descrivere i sistemi classici e quelle usate per descrivere i sistemi quantistici. All’inizio della Meccanica quantistica ci si sforzò di definire una nuova matematica che meglio si adattasse alle esigenze del nuovo paradigma. Ma con l’andare del tempo ci si è accorti che abbandonare completamente gli schemi del passato equivaleva a rinnegare quei fondamenti che, pur se messi in discussione, erano quelli che avevano consentito di arrivare fino al punto di poterli mettere in discussione. Si è scoperto allora che era necessario saldare il nuovo con il passato non solo in termini di risultati sperimentali (nel limite classico le equazioni della meccanica quantistica devono fornire il medesimo risultato della meccanica classica) ma anche in termini metodologici con l’introduzione del principio di corrispondenza e con lo sviluppo dei metodi euristici per il passaggio dalle equazioni della meccanica analitica alle equazioni della meccanica quantistica. Per ciò che attiene al meccanismo che induce l’evoluzione, nello sviluppo delle teorie fisiche non si può pensare che sia l'aspetto casuale a creare effettivamente la mutazione del paradigma 6 di riferimento. Mentre il meccanismo di selezione naturale opera come avviene in biologia la comparsa di una mutazione è il risultato di un lavoro organizzato di riflessione ed analisi. Il darwinismo dell'evoluzione di una teoria fisica appare nella definizione delle causalità che portano alla comparsa della mutazione. Le teorie fisiche tendono a codificare i fondamenti immutabili rispetto ai quali costruire e verificare le teorie successive. Dunque nella teoria evoluzionistica della fisica dobbiamo assumere che immutabili non sono solo le leggi del cambiamento, immutabili sono anche i 7 fondamenti. Volendo cercare di introdurre un principio ordinatore per la descrizione dell’evoluzione della Fisica ci si scontra subito con il fatto che non si comprende quale possa essere la relazione d'ordine da utilizzare per definire la direzione dell'evoluzione medesima. • Potrebbe essere la complessità delle leggi misurabile in termini di quantità e astrattezza dei simboli formali usati per rappresentarle o generalità della loro applicabilità. Questo criterio trova in Mach un sincero sostenitore: “Le idee sono tanto più scientifiche quanto più esteso è il dominio in cui hanno validità e più ricco è il modo con cui completano l’esperienza.” [Mach, 1912]. In realtà le leggi fondamentali non contengono mai molti e complessi simboli, esse si fondano più propriamente su principi che hanno molte interessanti caratteristiche ma non certo quella della complessità. • In varie situazioni si usa la complessità come indice della direzione della evoluzione: la struttura evolve necessariamente dal semplice al complesse. Un contro esempio è costituito dalla teoria dell'elettromagnetismo di Maxwell [James, Clerk 1831-1879]: essa è nata con lo scopo di raccogliere in un unico semplice sistema di equazioni differenziali le innumerevoli e differenti evidenze sperimentali dei fenomeni elettromagnetici. “Strettamente connessa all’idea di complessità crescente è la teoria secondo cui gli organismi moderni contengono, rispetto a quelli primitivi, un maggior numero 6 Espresso in questo modo questo sembra un “pensiero forte” decisamente in contrasto con la teoria di Kuhn e di chi sostiene il rivoluzionarismo dello sviluppo del pensiero scientifico. Questa dicotomia, sviluppo graduale e a piccoli passi o sviluppo improvviso e dirompente è propria anche dell’evoluzionismo biologico. L’idea che voglio esprimere è che la causalità pur avendo un ruolo anche non secondario nello sviluppo delle teorie è più paragonabile alla casualità che governa la nostra vita quotidiana piuttosto che la forza propulsiva che effettivamente ha nel contesto dell’evoluzionismo biologico. A proposito delle critiche a Kuhn si veda [Newton, 2000, alla voce Scientific changes]. 7 Sarebbe interessante approfondire il tema della immutabilità dei fondamenti. L’universale accettazione di fondamenti immutabili dovrebbe implicare l’esistenza di una realtà oggettiva verso la quale tende la nostra descrizione. Un’altra possibilità, meno ovvia e meno accettata, è che i fondamenti a cui facciamo riferimento non siano l’espressione sintetica di realtà oggettive esterne a noi ma siano, piuttosto, manifestazioni esteriori dei nostri meccanismi mentali fondamentali. 10 Centro di metodologia delle scienze sociali Luiss Guido Carli d’informazioni sull’ambiente, accumulatesi durante il processo evolutivo nelle strutture complesse delle specie progredite.” [Einaudi, 1970]. Bisogna allora distinguere la complessità dell’organismo e quella del suo apparato genetico. Così come è necessario distinguere la complessità di una teoria (l’elettromagnetismo alla Maxwell) dalla complessità dei passi necessari a comprenderlo e a codificarlo. In questo ultimo senso la complessità potrebbe costituire un effettivo parametro di misura della direzione dell’evoluzione. • Miglioramento dell'affidabilità delle previsioni. Ma in questo caso bisogna chiedersi se rispetto all'epoca storica a cui una data legge si riferisce essa produce il migliore risultato possibile e se sia giusto confrontare trasversalmente risultati numerici appartenenti ad epoche storiche diverse. • Avvicinamento alla verità. Se tutti concordemente accettassimo l’idea dell’esistenza di una realtà oggettiva esterne all’individuo e agli strumenti per descriverla potrebbe essere l’unico vero criterio di misura dell’evoluzione del progresso scientifico. Ma di questo abbiamo già discusso altrove. • Un’ultima possibilità circa la direzione dello sviluppo delle teorie scientifiche è ancora l’analogia con il mondo biologico. Così come in natura non ci chiediamo verso quale fine evolve una certa struttura biologica (fatti salvi i piccoli mutamenti funzionali) allo stesso modo potremmo non dobbiamo chiederci verso dove evolvono le teorie scientifiche. Esse potrebbero semplicemente allontanarsi dal loro stato precedente mosse dalla necessità di correggere gli errori che emergono ad ogni ulteriore verifica. Questo punto di vista è indicato genericamente come tendenza all’autoverifica (self-correctiveness) ed è stato introdotto da Pierce e Reichenbach [Newton, 2000]. Un punto fermo nell’analisi evoluzionistica delle teorie fisiche è “non si può pensare che una 8 teoria fisica non sia omeostatica” . In un sistema complesso come quello della ricerca scientifica in perpetua ricerca di finanziamenti, riconoscimenti e giustificazioni non si può immaginare che lo scienziato viva come una tossina all’interno del tessuto sociale. Le influenze esterne, altre rispetto alla pura competizione intellettuale sono tante e tutte importanti. La scuola di Copenhagen ha trionfato dominando il panorama degli studi sulla Meccanica quantistica in maniera definitiva. Questo grazie alla figura di Niels Bohr [1885-1962] (cui nessuno, ovviamente) si sente di ridurre il merito scientifico. Ma la scuola di Copenhagen avrebbe avuto le medesime possibilità di dominazione se la fondazione Carlsberg (produttori di birra) non avesse pesantemente finanziato le ricerche fornendo anche un edificio di rappresentanza in cui svolgere tali attività? Quale sarebbe stata la sorte delle ricerche sulla fissione nucleare se gli Stati Uniti negli anni 1942-1945 non avessero concentrato in un unico punto del mondo la stragrande maggioranza degli scienziati che in quell’epoca ed in maniera fattiva si occupavano di teoria nucleare mettendo loro a disposizione fondi praticamente illimitati? Quindi, purtroppo, i nemici di una teoria in competizione non sono necessariamente altre teorie egualmente competitive, spesso sono fattori che genericamente possiamo chiamare 8 In biologia, l'attitudine propria degli organismi viventi, siano essi cellule, individui singoli o comunità, a mantenere in stato di equilibrio le proprie caratteristiche al variare delle condizioni esterne: essendo il vivente un sistema aperto, il mantenimento delle condizioni interne è effettuato da meccanismi automatici (dispositivi omeostatici) che regolano il flusso continuo di materiali ed energia attraverso il sistema stesso: ne è un esempio la capacità, propria dei mammiferi e degli uccelli, di mantenere la temperatura corporea ottimale al variare della temperatura esterna e della quantità di calore prodotto nei processi del metabolismo (omeotermia). Il concetto è stato esteso, nell'ambito della cibernetica, a sistemi di qualunque natura che siano in grado di autoregolarsi (omeostati). Applicato alla Fisica l’omeostasi è la capacità di una teoria o di un insiem di teorie di assorbire con piccoli assestamenti i mutamenti indotti dalle risposte sperimentali. Quando gli aggiustamenti diventano incompatibili con i principi che hanno portato alla definizione della teoria comincia la crisi e si passa alla ricerca di una nuova teoria. 11 Centro di metodologia delle scienze sociali Luiss Guido Carli ambientali che in certi casi favoriscono lo sviluppo di una teoria (si veda il lavoro di Sadì 9 Carnot [1796-1832]) e in altri casi l’ostacolano (si veda l’impossibilità di Robert Hooke [16351703] di produrre approfondimenti teorici delle proprie scoperte in quanto pressato dai suoi 10 compiti istituzionali per la Royal Accademy ). Le teorie fisiche sono sicuramente in equilibrio con le strutture sociali in cui nascono. Non si può dire, però, che cambino continuamente e costantemente. Anzi, sotto certi aspetti, l'accademia è molto conservatrice e le prime reazioni alla scoperta di un nemico sono giustificazioniste e la difesa del vecchio continua fino a quando la discordanza tra previsione teorica ed emergenza sperimentale non diventa inaccettabile. L'inaccettabilità, ovviamente, è essa stessa suscettibile di discussione. 6. La lotta per l’esistenza SESTA DOMANDA: Cosa sarebbe accaduto alla Matematica se Evariste Galois [1811-1832] non avesse difeso una cameriera di locanda dalle offese di un realista11? Da chi o da cosa si deve difendere un’idea scientifica nella sua evoluzione? I nemici sono tanti e tutti agguerriti. L’unico aspetto confortante del problema è che a differenza di quanto accade nella biologia, campo in cui è prevista l’estinzione di massa, la cancellazione completa dell’esistenza di una certa razza o specie o phylum, le idee, sotto certi aspetti, sono eterne. Una volta entrate “nel codice genetico” dell’umanità è veramente difficile che scompaiano definitivamente e non possano riemergere all’improvviso. La storia della matematica è piena di casi di riscoperte, la storia della fisica ugualmente ci propone idee che una volta accantonate perché le circostanze ambientali non erano più favorevoli al loro sviluppo sono riemerse, magari travestite, magari marginalmente modificate ma sempre vive e vegete. Tuttavia chi segue le riviste scientifiche sa bene che la competizione tra scuole di pensiero è dura, spesso feroce, che la ricerca del dominio spesso non è solo il risultato della convinzione della efficienza risolutiva della propria linea di pensiero, quanto, piuttosto la ricerca del potere (scientifico, accademico, economico e così via). Così come in biologia anche nel campo del progresso scientifico esiste la lotta per la sopravvivenza e, come nota sagacemente Feyerabend: “Secondo questo punto di vista che fu introdotto da John Stuart Mill (Saggio sulla libertà) e i cui più loquaci propagandisti contemporanei sono Karl Popper e Helmut Spinner, la scienza è un insieme di alternative in competizione. I1 punto di vista “accettato” è quello che si trova 9 Sadì Carnot fu stimolato alla sua indagine sul rendimento delle macchine termiche da due fattori ambientali forti: a) il padre Lazare [1753-1823] si era occupato a vari livelli dei problemi connessi al funzionamento delle macchine meccaniche(Essai sur le machines en général, 1783); b) lo sviluppo industriale nella Francia dell’epoca napoleonica doveva fare i conti la limitatezza delle risorse di carbone a fronte della, praticamente infita, disponibilità di combustibili in Inghilterra; questo comportava la poca sensibilità degli Inglesi e la grande sensibilità dei Francesi verso i problemi di efficienza nell’utilizzo del combustibile. Questo punto sarà ripreso nell’ultimo paragrafo del lavoro. 10 Nel 1653 Robert Hooke fu nominato Curator of Experiments presso la Royal Society di Londra. , carica che ricoprì per 12 anni. Quindi nell’arco temporale, tra i 28 e i 40 anni, solitamente più fecondo di idee per un ricercatore scientifico egli fu continuamente pressato dall’esigenza di riprodurre gli esperimenti che altri avevano progettato e messo a punto e distraendosi dalla propria attività di ricerca. 11 Evariste Galois, noto matematico si occupò principalmente di algebra. Il suo nome è legato fondamentalmente alla teoria delle funzioni ellittiche e alla classificazione degli integrali abeliani. (da Niles Abel [1802-1829]). Una parte importante del suo contributo scientifico è contenuta in una lettera che egli scrisse la notte prima di morire a causa di un duello (dagli ambiti oscuri e dubbi) al suo maestro e amico Auguste Chevalier. Le scoperte di Galois anticipavano di circa 30 anni scoperte che furono rifatte e codificate compiutamente da altri importanti matematici (come Georg Riemann [1826-1866] e Camille Jordan [1838-1922]). 12 Centro di metodologia delle scienze sociali Luiss Guido Carli temporaneamente in vantaggio, a causa di qualche sotterfugio, o per qualche merito reale.” [Feyerabend – 1995] In biologia la competizione ha il ruolo di selezionare tra le mutazioni spontanee (o variamente indotte) gli individui più adatti alle condizioni ambientali che si sono venute a creare. Nel campo delle teorie scientifiche sopravvivono quelle teorie che più di altre sono in equilibrio con le emergenze sperimentali disponibili in un particolare momento storico. Ci sono momenti, però, in cui occorrono idee nuovo. Le teorie giungono ad un punto di stallo e nessuno tra i tentativi di superarlo riesce ad essere più efficiente e credibile tra gli altri, è il momento in cui occorrono idee nuove, “nuove specie” di teorie. Per spiegare causa e modalità della comparsa di nuove specie Mayr nel 1954 [Mayr, 1954] propose quello che chiamò il “founder principle” o principio del pioniere. Secondo Mayr la speciazione avviene quando un piccolo gruppo di organismi resta isolato dal gruppo principale (per i motivi più svariati) e avvia una propria colonizzazione degli spazi che trova liberi. In una certa misura l'isolazionismo del pioniere che si muove su nuovi territori è necessario sia in biologia ma anche, forse soprattutto, nell’ambito dello sviluppo scientifico. L'equilibrio perfetto del ricercatore con l'ambiente che lo circonda piuttosto che il progresso porta all'estinzione del pensiero innovativo. Si devono individuare due piani rispetto ai quali definire l'equilibrio del pensiero del ricercatore. • Il piano sociale generale: un ricercatore, uno scienziato, è inevitabilmente figlio della propria epoca e delle proprie convinzioni altre rispetto alla scienza. • Il piano scientifico accademico: un ricercatore, volente o nolente, appartiene all'accademia. Anche quando se ne pone ai margini la sua stessa presa di posizione è implicitamente il riconoscimento reciproco degli ambiti. Se un ricercatore è in equilibrio con la società che lo circonda e, contemporaneamente, con l'accademia difficilmente ci si potrà aspettare da lui delle innovazioni drammaticamente dirompenti. Questo non significa che il suo lavoro non sia esimio e apprezzabile: un esempio importante anche se poco noto è quello del fisico Paul Ehrenfest [1880-1933]. La sua capacità di reinterpretazione, illuminazione e chiarimento delle idee ufficiali è stata riconosciuta da tutti i suoi contemporanei (e non solo). Così come universalmente nota è la sua capacità di scegliere allievi che hanno prodotto innovazioni. Viceversa uno scienziato lontano dall'equilibrio con l'accademia, pronto anche a sfidarla, a non richiederne l'approvazione, e a stupirla è quello che presumibilmente produrrà innovazione drammatica e “rivoluzionaria”. Un esempio di applicazione di questo principio è dato da Albert Einstein [1879-1955] che, quando nel 1905 (l’anno mirabilis) era decisamente ai margini della accademia ufficiale [Stachel, 1998]. Dunque, il punto di vista di Mayer del “founder principle” può essere esteso al progresso scientifico. 7. Un esercizio di ecologia evoluzionistica: le teorie del calore SETTIMA DOMANDA: Nel tentativo di comprendere la natura cerchiamo verità o conforto? [Gould, 1992] Le teorie del calore sono un esempio di progetti di ricerca che hanno vissuto momenti progressivi e regressivi. Cominciando nel 600 con i lavori di Francis Bacon [1561-1626], Robert Boyle [1627-1691] e Isaac Newton [1643-1727] che vedevano il calore come moto delle particelle. Questa idea fu soppiantata in maniera definitiva dalla teoria del calorico di Antoine Lavoisier [1743-1794] nel 18° secolo. Nel secolo successivo grazie al lavoro di Benjamin Thomson Conte Rumford [1753-1814], Humpry Davy [1778-1829] e James Prescott Joule [1818-1889] l'dea del calorico divenne incompatibile con le evidenze sperimentali che via via si definivano e fu abbandonata per essere sostituita dalla teoria dinamica del calore. Dal punto di 13 Centro di metodologia delle scienze sociali Luiss Guido Carli vista dell'ecologia evoluzionistica le teorie del calore sono un significativo esempio della omeostasi delle teorie fisiche. Analizziamo i successivi sviluppi contestualizzandoli nei precisi momenti storici di appartenenza. Dovendo descrivere il passaggio di una proprietà fisica (l'essere caldo o freddo) lo scienziato del ‘600 aveva a disposizione fondamentalmente il paradigma della “azione di contatto”. Dunque se una proprietà fisica deve “viaggiare” all'interno di un sistema fisico non può che farlo mediante il progressivo contatto delle particelle materiali. Nel ‘700 gli studi di William Harvey [1587-1657] e Hales [Stephen, 1677-1760] sulla circolazione dei liquidi negli animali e nelle piante congiuntamente con gli strumenti matematici che erano stati sviluppati a partire da Galileo Galiei [1564-1642] per lo studio del moto dei liquidi e, last but not least, l'eredità alchemica del ruolo della circolazione dei fluidi come regolatore dello stato di benessere/malessere degli individui, fornì un nuovo paradigma per la descrizione del moto di una proprietà fisica. Il veicolo che trasporta la proprità fisica è un fluido, il flogisto trasporta la capacità di trasformazione, il fluido imprigionato nelle bottiglie di Leyda trasporta le proprietà elettriche, il calorico trasporta le proprietà termiche e, più tardi, si cercherà di usare l'etere per trasportare le proprietà del campo elettromagnetico. Nell'800 con il riemergere della teoria atomica, con l'abbandono della necessità dell'azione a distanza, e con la dimostrazione che la teoria del calorico entrava in contraddizione con alcuni semplici esperimenti sull'attrito, fu possibile costruire un nuovo paradigma che si richiamava a quello originario del calore come moto della particelle materiali raffinato dalla comparsa dell'idea di proprietà collettiva (proprietà statistica) ossia di una proprietà che non può essere chiaramente attribuita ad ogni singolo costituente il sistema fisico ma che esiste perché esistono tutte le parti costituenti il sistema. L'esempio della analisi dell'evoluzione delle teorie del calore è importante perché più di molti altri mutamenti delle teorie fisiche le teorie sul calore erano commiste e inseparabili dall'impatto sociale ad esse collegate. La rivoluzione industriale passa attraverso la capacità di produrre lavoro meccanico dal calore e questo può avvenire in maniera efficiente solo se si possiede una struttura teorica soddisfacente. Per comprendere quanto l'interazione tra società e sviluppi teorici sul calore siano connessi si pensi che sebbene la tecnologia delle macchine a vapore è nata e sviluppata in Inghilterra e fondamenti teorici per lo sviluppo della macchina “ideale” sono stati sviluppati in Francia. Questo perché mentre l'Inghilterra, all'epoca, non doveva temere la carenza di combustibile e, quindi, non era dominante il problema di una grande efficienza del sistema in Francia il combustibile scarseggiava e le autorità accademiche, che vedevano nel dominio tecnologico inglese un elemento di preoccupazione, spinsero gli studi teorici sulla produzione di lavoro al massimo rendimento. Ancora è sorprendente la velocità con cui questi studi sono stati sviluppati e l'osservazione che sebbene la teoria di Carnot, sul rendimento delle macchine termiche, continui ad essere uno dei capisaldi della termodinamica classica il punto di partenza di Carnot fu proprio il paradigma ormai in via di estinzione del calorico come fluido sostanziale. 8. Conclusioni Sulla base delle argomentazioni sviluppate fino qui si può concludere che la visione evoluzionistica dello sviluppo scientifico è una inevitabile eredità della Rivoluzione scientifica del 1600. Più che a fini normativi e/o descrittivi essa deve servire come suggerimento allo storico e al filosofo della scienza a fondare una precisa ecologia delle idee della scienza in cui gli attori primi non sono più solamente gli scienziati o le idee medesime ma anche i rapporti con componenti insospettabili della società a cui essi (esse) appartengono e che su di essi (esse) possono esercitare una forte pressione selettiva. Questo allo scopo di migliorare non tanto la comprensione delle motivazioni della vittoria di una certa teoria quanto per comprendere perché altre idee, competitive, siano state sconfitte e se sono state sconfitte per effettivi limiti scientifici o, piuttosto, per ragioni altre rispetto alla disciplina in senso stretto. 14 Centro di metodologia delle scienze sociali Luiss Guido Carli BIBLIOGRAFIA ABBAGNANO N. [2001] Dizionario di filosofia (voce: Evoluzionismo), UTET (Torino, 2001). BELLONE E. [2003] La stella nuova, Biblioteca Einaudi (Torino, 2003). EHRENBERG W. 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L’ultima colonna riporta l’anno in cui è stato assegnato il premio Nobel alla scoperta indicata. 17