estratto - ANCIC - Accademia nazionale cerimoniale, immagine e

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Anno 2016 – Numero 3
estratto
Rivista scientifica trimestrale
di Cerimoniale, Immagine e Comunicazione
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(+39) 339 6539740 – 349 1429058 – 347 6809481
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JOURNAL OF APPLIED CEREMONIAL AND COMMUNICATION IN MANAGEMENT
testata iscritta al n.15/2016 del Registro della stampa del Tribunale di Catania
anno I numero 3, ottobre – dicembre 2016
ISSN 2499-9326
© Accademia Nazionale Cerimoniale Immagine e Comunicazione (A.n.c.i.c.)
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SOMMARIO
Anno 2016 – Numero 3
ORIGINE STORICA E SOCIOLOGICA DEL CERIMONIALE DI CORTE
Francesco Raneri
pag. 1
I SERVIZI OFFERTI DALLA FARMACIA
Giovanni Puglisi
pag. 19
THE SOCIOLOGY OF FIFA WORLD CUP: THE PERFORMANCE
OF MEDIA EVENTS INTO GLOBAL CULTURES
Maximiliano E. Korstanje
pag. 28
L’OMICIDIO STRADALE
Luigi Ciampoli
pag. 53
MINDFULNESS: VALUTAZIONE E TRATTAMENTO
Alice Caruso e Santo Di Nuovo
pag. 60
ORIGINE STORICA E SOCIOLOGICA
DEL CERIMONIALE DI CORTE
Francesco RANERI
Sommario
1. Origini storiche – 2. I cerimoniali preistorici – 3. L’evoluzione del cerimoniale
nelle corti europee – 4. L’analisi sociologica di Norbert Elias – 5. Strutture e
significato delle abitazioni – 6. Il Lever del Re come feticcio del prestigio
Abstract
Il cerimoniale designa quel complesso di regole di comportamento e di formule che
disciplinano lo svolgimento di determinate celebrazioni o manifestazioni pubbliche
e private. Nell’opinione comune non è raro che esso sia confuso con il galateo. Il
galateo, in realtà, riguarda la persona nella sua individualità mentre la norma del
cerimoniale sottende la conoscenza delle buone maniere ma può, in alcuni casi,
essere opposta a quella prevista dal galateo stesso. Basti pensare, ad esempio, alle
differenze di genere che, in materia di cerimoniale, sono inesistenti perché ogni
carica pubblica è considerata neutra. Le regole del cerimoniale servono a creare un
linguaggio ed un codice di comportamento formali comuni e facilita le relazioni fra
attori diversi rendendole reciprocamente intellegibili.
Erroneamente si pensa che le regole del cerimoniale trovino attuazione
esclusivamente durante le cerimonie ufficiali. Al contrario, esse regolano numerosi
altri aspetti formali. Oggi chiunque assolva funzione pubblica o svolga attività
d’azienda verso l’esterno, dovrebbe conoscere ed applicare gli elementi essenziali
del cerimoniale.
Strettamente legati al concetto di cerimoniale ritroviamo anche quelli di rituale e di
etichetta. Mentre per cerimoniale intendiamo un insieme di norme sia scritte che
tramandate che si debbono osservare in momenti particolarmente solenni, per
rituale intendiamo comunemente tutto quel complesso di formule, gesti e
1
Anno 2016 – Numero 3
movimenti che esprimono, esplicitano ed accompagnano la celebrazione di un rito
che ha un fondamento religioso ma che non attiene alla sola sfera ecclesiale . Per
etichetta, infine, si intende quella serie di regole comportamentali volte a
distinguere ed a differenziare il gruppo che ne è a conoscenza e che ne fa uso, da altri
gruppi che ne ignorano l’esistenza o che seguono comportamenti differenti.
Keywords
rango – riordino – comunicazione – rito – etichetta
Autore
prof. Francesco RANERI
email: [email protected]
Docente di Abilità relazionali e Cerimoniale, Università degli Studi di Catania
Presidente Accademia nazionale cerimoniale immagine e comunicazione
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Anno 2016 – Numero 3
1. Origini storiche
Risulta estremamente complicato ricostruire le origini delle prime
forme di rituali cerimoniali. Sicuramente è plausibile pensare che si
siano sviluppate contestualmente all’evoluzione dell’uomo e delle sue
dinamiche sociali. Il cerimoniale preesiste allo Stato. Abbiamo modo di
pensare che anche nelle prime cerimonie delle tribù preistoriche si
potessero individuare già degli elementi. Le tribù nomadi conoscevano
già delle regole formali. La capanna del capo, ad esempio, doveva avere
una certa collocazione all’interno del villaggio ed anche durante i cortei
i capi assumevano una precisa posizione. Ne abbiamo conferma anche
se si guarda al lavoro svolto dal sociologo francese Émile Durkheim nei
suoi studi sulle civiltà totemiche ove possiamo vedere come le pratiche
ed i rituali legati alla celebrazione del totem ricordino una forma
embrionale di cerimoniale. Le prime regole concrete risalgono
comunque a 10000 anni fa con la scoperta delle prime tecniche agricole
e le prime civiltà stanziali. Un vero codice di comportamento scritto fu
il papiro rosso che pare risalga addirittura al 2500 a.C. Esso fu redatto
durante l’egemonia del faraone Isesi che lo fece diffondere in tutta la
Mesopotamia e rimase l’ unico canone di regole fino al 700 a.C
2. I cerimoniali preistorici
Possiamo individuare quattro tipologie di eventi :
 L’iniziazione
 La cerimonia del matrimonio
 Il mondo religioso
 La morte
L’iniziazione è un insieme di cerimonie e prove iniziatiche
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attraverso le quali un maschio, generalmente in età puberale, è
riconosciuto adulto o viene a far parte, con pieno diritto, del gruppo
degli adulti. Attraverso questi rituali egli apprende i comportamenti, le
tecniche e le istituzioni degli adulti, i miti e le tradizioni sacre della tribù,
i nomi degli dei e la storia delle loro opere.
La cerimonia del matrimonio risulta essere una delle più antiche
forme di Cerimoniale e prevede delle usanze che difficilmente sono
mutate nel tempo. Nelle tribù antiche veniva prediletta la celebrazione
durante i giorni pari e durante
la luna nuova. Si dava estrema
importanza alla preparazione dei regali, agli ornamenti della sposa, ai
sacrifici animali duranti la festa, ai riti religiosi, ai balli ed alle danze e
spesso anche a quei
rituali atti a concretizzare il passaggio della
promessa sposa da ragazza a donna.
Il mondo religioso è basato su usanze imperniate su preghiere,
celebrazioni e sacrifici che prevedevano dei veri e propri rituali con le
quali le tribù potevano esprimere il loro culto divino verso il loro Dio per
ottenere le cose necessarie alla loro sopravvivenza o per scacciare gli
spiriti maligni.
La morte risulta abbastanza variato nel corso del tempo ma presenta
alcune analogie . La celebrazione è basata sulla simbologia del cammino
del defunto dal regno dei vivi a quello dei morti. I defunti venivano
solitamente sistemati in modo che il volto fosse rivolto alla montagna
sacra e successivamente venivano sepolti, bruciati e mummificati.
3. L’evoluzione del cerimoniale nelle corti europee
Tra il 700 e l’800 il processo di acculturazione messo in atto da quella
che viene definita la “civiltà occidentale” ha contribuito all’estensione
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di determinati codici normativi, contribuendo a creare il profilo dell’
“uomo civile” in contrapposizione con la cultura esterna. Questo
processo però non si è sviluppato in maniera lineare. Mentre nelle
monarchie nazionali in Francia, Inghilterra e Spagna sono stati creati
dei modelli unificati che si proponevano di valere anche aldilà delle sue
frontiere materiali ed ideali, in Italia la situazione storica delle corti
regionali ha contribuito a proporre modelli diversi destinati a rimanere
interni al circuito delle corti stesse.1
Il Cerimoniale della corte italiana prevedeva la classificazione delle
personalità in ben quattordici categorie, come di seguito elencate.
I categoria: i “Cugini” del Re.
II categoria: Presidenti del Senato e della Camera.
III categoria: ministri, generali e ammiragli.
IV categoria: era ripartita a sua volta in sette classi e tra le sue
personalità spiccava la figura del ministro della Real casa
ed il Prefetto del Palazzo.
V categoria: Senatori e Deputati.
VI categoria: anche questa divisa a sua volta in ben dieci classi,
comprendeva i cavalieri di Gran Croce e i vice ammiragli.
VII categoria: Prefetti, Presidi dei Consigli Provinciali, Consiglieri di
Stato e Direttori Generali.
VIII categoria: Commendatori, colonnelli, soci ordinari delle Accademie
delle Scienze di Torino e Napoli, degli Istituti Lombardo
e Veneto, della Società “dei XL” di Modena e
dell’accademia della Crusca, I Sindaci delle città con
popolazione di 60000 abitanti ed oltre.
1
BERTELLI S. e GRIFO G; 1985, Rituale Cerimoniale etichetta, Gruppo Fabbri, Bompiani, Sonzogno, Eras,
Milano, p12
5
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IX categoria: referenti al consiglio di Stato, ragionieri alla Corte dei
Conti, capi divisione, capitani di fregata e rettori delle
Università di Stato.
X categoria: ingegneri capo del Genio Civile; professori ordinari nelle
scuole di perfezionamento e nelle università.
XI categoria: sottoprefetti, maggiori, sindaci dei capoluogo di
provincia, questori.
XII categoria: cavalieri, pretori, capitani, sindaci dei capoluogo di
circondario, professori nei licei e negli istituti tecnici.
XIII e XIV categoria: sindaci di capoluogo di mandamento, sottotenenti
e guardia marina di prima classe.2
Tutte queste corti italiane avevano come caratteristiche principali un
modello di tipo elitario non inimitabile e riferito solo all’uomo ed al suo
mondo della corte rinascimentale. Toccò alla Chiesa, affiancandosi al
modello aristocratico, il ruolo di unificare i codici comportamentali delle
varie corti, andando a fondere il comportamento aristocratico con le
virtù del buon cristiano.
4. L’analisi sociologica di Norbert Elias
Per capire come il fenomeno del cerimoniale si è sviluppato fino ai
giorni nostri bisogna studiare gli scritti del sociologo tedesco Norbert
Elias che nella sua opera Uber den Process der Zivilisation , studiando
i modelli comportamentali della corte francese del Re Sole, è riuscito a
teorizzare la nascita delle buone maniere. Non bisogna però ridurre
l’etichetta di corte ad una serie di buone maniere , sradicandole dal suo
2
M.PILATO e F. RANERI; 2006, IL MODERNO CERIMONIALE Tecniche di comunicazione e strategie
d’immagine, BONANNO EDITORE, ROMA, pp 20-21
6
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stretto rapporto con il rituale ed il cerimoniale. D’altra parte rito,
cerimoniale e comportamento non sempre coincidono. Più reference
groups possono partecipare ad un unico rito, esserne coinvolti e
sottostare ad un unico medesimo cerimoniale mantenendo nello stesso
tempo comportamenti distinti3
L’Elias, nel suo lavoro minuzioso ed empirico, ha esaminato i
meccanismi della corte del regno di Luigi XIV perché egli intravide in
quel sistema caratteristiche capaci di dar vita ad una struttura sociale
che risulta esemplare. Tale corte ha sedotto l’autore poiché entro la sua
cerchia ognuno era legato all’altro, nessuno escluso. Lo stesso Re Sole
era come prigioniero del suo meccanismo: in un certo senso non solo lo
dominava ma ne era dominato4.
Questo meccanismo comportava dei modelli di interdipendenza tra i
nobili ed il sovrano. La nobiltà, per mantenere il suo rango ed il suo
prestigio, infatti, venne a dipendere sempre più dal favore del monarca
che li vincolò sempre di più ai meccanismi della corte. Vi erano centinaia
di persone destinate a servire, consigliare e a stare a fianco del Re che
riteneva di governare in maniera assoluta . Una gerarchia ben precisa ed
una etichetta legava gli uni agli altri5. Ciascuno, nel tentativo di
affermarsi e sostenersi doveva rispettare l’impronta dell’uomo di corte.
La lotta per garantirsi una certa posizione entro l’ordine gerarchico di
corte viene assimilata alla lotta per il potere. Modificare o abbandonare
il cerimoniale avrebbe significato compromettere lo stesso tipo di potere
vigente6. La grande abilità del Re Sole sarebbe consistita appunto
3
4
5
6
BERTELLI S. e GRIFO G; 1985, Rituale Cerimoniale etichetta, Fabbri, Bompiani Eras, Milano, p 26
A. TENENTI;1985, Introduzione all’edizione italiana della Società di Corte di Norbert Elias, Il Mulino,
Bologna, p11
E. NORBERT; 1975, Die Hofische Gesellschaft Darmstad und Neuwied Luchterhand Verlag GmbH, p 23
A. TENENTI; 1985, Introduzione all’edizione italiana della Società di Corte di Norbert Elias, Il Mulino,
Bologna, p 15
7
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nell’orchestrare l’etichetta e il cerimoniale come strumenti di dominio e
di sovranità. Il cerimoniale diventava così il linguaggio obbligatorio dei
rapporti sociali e l’etichetta, anche se rispettata controvoglia, diveniva
l’unica possibilità per mantenere intatta la propria esistenza sociale.
5. Strutture e significato delle abitazioni
Il potere che il sovrano esercitava sul paese era direttamente
proporzionale a quello che egli esercitava sulla casa e sulla sua corte.
L’idea di Luigi XIV fu quella di organizzare il paese come sua proprietà
personale7. Il sovrano, nonostante i suoi pieni poteri, agiva sul paese con
la mediazione di coloro che vivevano a corte. Si giunse così alla
strutturazione di unità abitative o residenziali che sempre più
rispecchiavano questa nuova forma di integrazione umana e sociale.
Tutti gli uomini di corte, o almeno una parte cospicua di essi, avevano
contemporaneamente dimora sia nella casa del re, al Castello di
Versailles, che in un’abitazione nella città di Parigi.
L’edificio abitato dalla nobiltà di corte veniva chiamato “hotel” o
“Palais” a seconda del rango del suo proprietario ma era sicuramente il
palazzo del re il centro effettivo della corte e della sua società ove la
gente riceveva la sua formazione valida per tutta l’Europa e poteva
stabilire e conservare il proprio rango. Norbert Elias analizza dal punto
di vista sociologico la struttura e le dinamiche del Castello di Versailles
donandoci uno spaccato molto preciso di come anche i rituali più banali
potessero avere una rilevanza sociale molto importante. Versailles aveva
un complesso di edifici in grado di ospitare fino a 10000 persone. Luigi
XIV aveva riservato un appartamento ad una parte dei nobili di corte i
7
E. NORBERT; 1975, Die Hofische Gesellschaft, Darmstad und Neuwied Luchterhand Verlag GmbH, p 32
8
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quali vi si recavano costantemente. Tralasciando in questa sede le
descrizioni architettoniche e strutturali che, molto dettagliatamente,
l’Elias ci descrive, diventa invece importante soffermarsi sulla
descrizione del lever del re. Norbert Elias individuò nel risveglio del re
un rituale che, quanto a solennità, aveva assai poco da invidiare ad una
cerimonia di Stato e che si svolgeva ogni mattina presso la sua camera
da letto8.
6. Il Lever del Re come feticcio del prestigio
Il cerimoniale del risveglio del sovrano coinvolgeva tutta la corte e
risultava essere molto complesso e strutturato in maniera molto precisa
e rigorosa.
Esistevano sei diversi gruppi di persone aventi diritto d’ingresso nella
stanza del sovrano:
 l’entrée familière composta dai figli legittimi ed i nipoti del
sovrano, la principessa ed i principi di sangue reale, il primo medico,
il primo chirurgo, il primo cameriere personale e il primo paggio;
 la grande entrée riservata ai grand officier de la chambre et de la
gardarobe ed a tutti quei nobili a cui il sovrano aveva concesso tale
onore;
 la première entrée era composta dai lettori del re, l’intendente
delle feste e dei divertimenti ed altri;
 l’entrée de la chambre che comprendeva tutti gli altri officier de la
chambre ed il grande elemosiniere, i ministri e segretari di stato, gli
ufficiali della guardia del corpo, i marescialli di Francia;
 la cinquième entrée dipendeva invece dalla disposizione del primo
8
E. NORBERT; 1975, Die Hofische Gesellschaft, Darmstad und Neuwied Luchterhand Verlag GmbH, p 93
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cameriere oltre che dal favore del re e vi partecipavano quei signori e
quelle dame della nobiltà che godevano di tale favore ed avevano il
privilegio di avvicinarsi al re davanti a tutti gli altri;
 la sesta entrée era la più ricercata di tutte. Essa avveniva attraverso
una porta laterale della camera del sovrano. Vi prendevano parte i figli
del re, anche illegittimi, insieme alle loro famiglie ed ai generi.
Ai membri di questo gruppo era concessa in ogni momento l’entrata
nelle stanze del re e potevano rimanervi per lungo tempo.
I primi due gruppi potevano accedere quando il re era ancora a letto,
quando poi egli si era alzato e il gran ciambellano, insieme con il primo
cavaliere, gli aveva porto il vestiario, veniva annunziato il gruppo
successivo.
Dopo che il re aveva calzato le scarpe, chiamava gli officier de la
chambre e le porte si spalancavano per la successiva entrée. Il re
prendeva i suoi abiti; il maître de la gardarobe gli sfilava la camicia da
notte dal braccio destro, il primo cameriere “de la gardarobe” il braccio
sinistro; la camicia da giorno gli veniva porta dal gran ciambellano o da
uno dei figli del re che fosse presente. Il primo cameriere gli faceva
infilare la manica destra, il primo cameriere “de la garderobe” quella
sinistra. Quindi si alzava dalla poltrona e finiva di sistemarsi le scarpe
aiutato dal maître de la gardarobe che poi gli cingeva al fianco la spada
e gli infilava la giubba. Nel contempo l’intera corte attendeva nella
grande galleria dietro la camera del re9.
Osservando questo rigoroso rituale risulta evidente che l’etichetta
aveva una funzione simbolica di grande importanza.
Il re utilizzava i suoi momenti più privati per stabilire differenze di
9
E. NORBERT 1975, Die Hofische Gesellschaft, Darmstad und Neuwied Luchterhand Verlag GmbH, p 95
10
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rango ed elargire distinzioni e manifestazioni di favore e di sfavore10.
Il semplice gesto di sfilare la camicia del re diveniva, presso i nobili,
un privilegio che li distingueva dagli altri. Questa gerarchia di privilegi
inevitabilmente rafforzò il carattere feticistico di questi rituali. I simboli
del potere acquisirono una vita propria, diventando veri e propri feticci
del prestigio.
Il feticcio che in questo senso esprime meglio di ogni altro il valore
autonomo dell’esistenza del re è l’idea di “gloire”. L’etichetta di corte
venne mantenuta in vita dalla competizione tra le persone coinvolte in
questo sistema che ottenevano in cambio privilegi e chance di potere. I
membri di questa società si condannavano reciprocamente ad esercitare
il cerimoniale e l’etichetta anche controvoglia perché pendeva da quello
la loro esistenza sociale. Qualsiasi tentativo di modificarne le dinamiche
veniva visto come una minaccia per i propri privilegi e chances di potere
ed accolto con grande ostilità. Ciascuno di quei nobili, quindi, era
sensibilissimo alla minima variazione dell’etichetta allo scopo di
mantenere saldo l’equilibrio di potere fino ad allora valido.
Tutta la struttura sociale rimaneva dunque stabilizzata in una
situazione di equilibrio: per tutti questa situazione si esprimeva con
l’etichetta.11 La minima variazione nella posizione dei vari personaggi
nell’etichetta comportava una variazione nell’ordine gerarchico della
corte e della sua società.
La posizione effettiva di una persona all’interno della società di corte
era determinata da due fattori diversi: dal suo rango ufficiale e dalla sua
effettiva posizione di potere presso la corte. Quest’ultimo fattore
10
11
E. NORBERT; 1975, Die Hofische Gesellschaft, Darmstad und Neuwied Luchterhand Verlag GmbH, p 97
E. NORBERT; 1975, Die Hofische Gesellschaft, Darmstad und Neuwied Luchterhand Verlag GmbH, p 103
11
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esercitava certamente un peso maggiore sull’atteggiamento della gente
di corte nei suoi confronti.12 Presso la società di corte erano i privilegi
posseduti e la benevolenza del sovrano di cui di godeva a contare più del
denaro e di qualsiasi altro bene materiale. Mentre nella società
borghese-professionale era il denaro la discriminante per il successo
sociale, presso la nobiltà di corte era l’etichetta lo strumento attraverso
il quale questa posizione poteva essere salvaguardata. In un certo senso
l’etichetta cosi praticata diveniva auto-proiezione della società di corte.
I membri della nobiltà di Luigi XIV svilupparono alcune tecniche
specifiche per mantenere il proprio status e favorire la propria ascesa
nella società di corte. Eccone alcune:
 l’arte di osservare gli uomini ossia la capacità di meditare sui
gesti e sulle espressioni di ogni altra persona e cercare di interpretare
il significato delle sue azioni contestualizzandolo nell’intreccio dei
suoi rapporti sociali;
 l’arte di trattare gli uomini si avvicina moltissimo a quella che
oggi noi definiamo “diplomazia”. Questa arte era praticata soprattutto
dagli uomini di ranghi inferiori quando, grazie anche ad una capacità
dialettica rilevante, cercavano di guidare in modo quasi impercettibile
il proprio interlocutore, di rango più elevato, per ottenere un
vantaggio personale;
 la razionalità della società di corte ovvero il controllo dei
sentimenti che vanno dominati per fare posto ad un atteggiamento
accuratamente calcolato e sfumato nel rapporto con gli altri.
Se è vero che la nobiltà, attraverso il rispetto rigoroso delle regole del
cerimoniale e dell’etichetta di corte, tentava di conservare o aumentare
12
E. NORBERT; 1975, Die Hofische Gesellschaft, Darmstad und Neuwied Luchterhand Verlag GmbH, p 106
12
Anno 2016 – Numero 3
il proprio prestigio, è altrettanto vero che il Re si servì di questi
meccanismi per dominarla. Lasciare andare in rovina la nobiltà, infatti,
avrebbe significato per il sovrano distruggere la nobiltà stessa della sua
stessa casa. Questo istinto di autoconservazione era presente, dunque,
anche in Luigi XIV. Per il Re, l’etichetta non è soltanto uno strumento
per distanziarsi ma anche per dominare13. Attraverso il rango i nobili
misurano il loro rispetto ed è attraverso questo rispetto che il sovrano
può tutelare il suo potere assoluto. All’interno della corte il re si trova in
una posizione unica nel suo genere, egli non subiva, a differenza di tutti
gli altri, nessuna pressione dall’alto o dai lati. Tuttavia le pressioni di
quanti gli erano inferiori per rango era tutt’altro che trascurabile ai suoi
occhi. Se i nobili avessero voluto avrebbero potuto distruggerlo se si
fossero coalizzati contro di Lui. Al re, dunque, spettava il compito
preciso di vegliare affinché le tendenze reciprocamente ostili dei vari
membri della corte vadano nella giusta direzione, secondo il suo punto
di vista.14 Il Re utilizzava le numerose feste e le passeggiate come
strumento di ricompensa o punizione ed in questo modo scatenava quel
processo di fidelizzazione della nobiltà, che avrebbe fatto di tutto per
presenziare alla festa del sovrano pur di mantenere invariato il proprio
prestigio. La corte e l’etichetta sono dunque, dal punto di vista del re, un
meccanismo di regolamentazione, sicurezza e sorveglianza15.
Il meccanismo dell’etichetta e del cerimoniale non si manifestava
solamente nei rapporti di interdipendenza tra i nobili ed il sovrano ma
andava anche a ripercuotersi nei rapporti dei ranghi più bassi e
13
14
15
A. TENENTI; 1985, La Società di Corte di Norbert Elias, Il Mulino, Bologna, p 148
A. TENENTI; 1985, Introduzione all’edizione italiana della Società di Corte di Norbert Elias, Il Mulino,
Bologna, p 151
A. TENENTI; 1985, Introduzione all’edizione italiana della Società di Corte di Norbert Elias, Il Mulino,
Bologna, p 167
13
Anno 2016 – Numero 3
coinvolgeva una intero paese.
La struttura ed i valori della monarchia francese delineata da Norbert
Elias sono difficilmente comprensibili dalla maggior parte dei membri
di una società industriale e borghese . Il cittadino della società borghese
sa benissimo come deve comportarsi nella vita pubblica e professionale
e segue dei rituali e dei cerimoniali ben precisi. Tutti gli altri aspetti che
vengono rinviati alla sfera della vita privata, invece, non vengono
conformati in modo diretto attraverso il rapporto sociale-mondano
come presso la corte del re sole. Il denaro diventa, invece, strumento di
dominio e di potere. Il feticcio, dunque, non è più la gloria ed il prestigio
di cui si gode a corte, sublimato dalle regole d’etichetta , ma piuttosto la
ricchezza, il possesso e la proprietà privata.
In linea di massima nello Stato unitario italiano non si affermarono
rituali statali condivisi a livello nazionale almeno fino al 1929, anno in
cui, venne risolto l’eterno conflitto con la Chiesa. Fino ad allora, infatti,
gli italiani avevano posto maggiore attenzione alle regole liturgiche,
piuttosto che a quelle civili e non avevano manifestato assolutamente un
attaccamento sentimentale alla Casa reale. Gli unici anni in cui il
Quirinale
aprì le porte del palazzo a comportamenti e cerimonie
protocollari molto austere e di stampo quasi militare, fu sotto il regno di
Umberto, soprattutto per merito della consorte Margherita. Durante il
periodo fascista la sobrietà dei rituali cedette il posto a cerimonie ricche
di simbologie ed istruzioni comportamentali caratterizzate da una forte
liturgia corporativa atta ad enfatizzare il carattere assolutistico e la
centralità del ruolo di Capo. Pertanto
con la caduta del regime e
l’istituzione di un sistema repubblicano nel 1946, divenne auspicabile
un distacco dal cerimoniale del Regno d’Italia. L’assemblea costituente
del 2 giugno 1946
deliberò principalmente sulle disposizioni
14
Anno 2016 – Numero 3
protocollari relative all’inno, all’emblema ed alla bandiera e si
preoccupò di eliminare ogni simbologia romana e rituale del regime
fascista.
Subito dopo l’istituzione del sistema repubblicano, arrivarono i partiti
che ebbero sempre più peso nella vita politica, decentralizzando il
potere dello stato.
Da un lato i partiti etici, come la Democrazia
Cristiana ed il Partito Comunista, enfatizzarono i riti di partito, dall’altro
i partiti laici, come ad esempio quello socialista, rifiutarono qualsiasi
forma di ritualità. Il risultato fu quello di abbandonare completamente
ogni regola di formalità statuale e qualsiasi simbologia di Stato. In
questa generale carenza di regole formali, tuttavia, alcune disposizioni
protocollari dovettero essere assunte ed è il caso della nota circolare n.
90219 firmata da Alcide De Gasperi, il 26 dicembre 1950 sul tema delle
precedenze durante le pubbliche funzioni. Questa nota, non priva di
alcuni errori, doveva costituire una disciplina “provvisoria” in attesa di
una formale regolamentazione da concordare con Camera e Senato e che
doveva risolvere alcuni problemi nati con l’istituzione di cariche dello
Stato prima non esistenti. Oggi questa norma disciplina ancora le regole
del nostro cerimoniale.
Nel ventennio successivo alla nascita della repubblica si registrò un
forte disinteresse per le regole di forma e lo stile istituzionale. Gli italiani
erano molto più attenti alla crescita economica piuttosto che a riti
protocollari ufficiali.
Bisognerà aspettare gli anni ’70 e l’ incidenza dei movimenti eversivi
di destra e di sinistra, per risvegliare nella popolazione e nelle istituzioni
un nuovo senso di nazione con conseguente riconoscimento della
funzione pubblica come attività da rispettare e degli organi pubblici
15
Anno 2016 – Numero 3
come strumenti da tutelare16.
Esempi lampanti di questa ritrovata rilevanza dello stile pubblico
formale si ritrovano nei funerali di stato di quei giornalisti, magistrati,
militari, dirigenti d’azienda, tutori dell’ordine che furono celebrati in
quegli anni. Un esempio su tutti è quello dei funerali di stato
dell’onorevole Aldo Moro che fu celebrato da Papa Paolo VI divenendo
una prima nuova liturgia protocollare atta a ricostruire la dignità delle
istituzioni pubbliche.
Sotto il presidente Pertini inizia una nuova attenzione per i simboli
nazionali. Il suo famoso bacio alla bandiera italiana ridona finalmente
dignità al tricolore. Anche sotto il repubblicano Spadolini ed il socialista
Craxi, durante gli anni ’80, si registra una forte attenzione per la
simbologia pubblica, si emana la legge sulle esequie di Stato. Il
presidente Cossiga introduce nel frattempo la lettura diretta della
formula del giuramento del Presidente della Repubblica che la rende
molto più solenne e avvia gli studi su aspetti araldici dei simboli di Stato
e ne sollecita l’impiego17. Cossiga propone, infine, il titolo di Presidenti
emeriti della Repubblica per gli ex capi di Stato e riunisce una
commissione per definire le regole del protocollo della Presidenza della
Repubblica, commissione che, tuttavia, non ha portato a termine i suoi
lavori. Un momento sicuramente importante arriva nel 1998 quando,
per fronteggiare il rifiuto dei simboli dello Stato messa in atto dalla Lega
Nord ed altri movimenti secessionisti, si promulga la legge che dispone
l’esposizione quotidiana della bandiera nazionale, accompagnata da
quella europea, sui principali edifici pubblici. Il nostro vessillo
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M.SGRELLI; 2012, Il Cerimoniale moderno e il protocollo di Stato, ottava edizione, Di Felice Editore,
Capitignano (AQ), p59
M.SGRELLI; 2012, Il Cerimoniale moderno e il protocollo di Stato, ottava edizione, Di Felice Editore,
Capitignano (AQ), p 60
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nazionale, che prima era esposto solamente durante le sole festività
ufficiali, diviene ora molto più visibile.
La svolta vera e propria si ha sotto la presidenza di Ciampi. Egli
ripristina la festività nazionale del 2 giugno. Appellandosi al valore dei
padri costituenti, risveglia il concetto di amore per la nazione e ridà
dignità e valore a tutti i simboli nazionali: la bandiera, l’inno e le
onorificenze repubblicane. A questo punto entra in gioco anche l’opera
del Dipartimento del cerimoniale di Stato della Presidenza del consiglio
dei ministri. Tra il 2000 ed il 2004 vengono redatti regolamenti,
circolari e istruzioni sulle festività nazionali, sulla bandiera,
sulle
esequie di stato, sulle precedenze delle cariche pubbliche, sulle
onorificenze e su molti altri aspetti legati al Cerimoniale di stato. Viene
creato anche un servizio di consulenza in materia a disposizione di tutti
gli altri organi pubblici e si inizia la formazione di funzionari statali e
locali in materia. Con l’integrazione europea arrivano anche regole per
dare valore anche alla bandiera ed all’inno europeo e si includono
nell’ordine delle precedente anche le cariche dell’Unione. Con la recente
modifica del titolo V della Costituzione che attribuisce alle regioni e agli
altri enti maggiore autonomia sono sorte alcune aspettative di
indipendenza protocollare
e di riordino delle cariche rispettive. Il
Dipartimento del cerimoniale di Stato ha promosso perciò delle
iniziative e degli incontri allo scopo di chiarire e ribadire il carattere
generale della materia cerimoniale.
Sul piano del rango delle cariche locali, invece, alcune significative
rivalutazioni sono state apportate nell’ordine delle precedenze. Tali
contenuti sono inseriti nel documento più importante in materia di
cerimoniale: il decreto del Presidente del consiglio dei ministri 14 aprile
2006 che definisce le regole generali del protocollo pubblico.
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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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comunicazione e strategie di immagine, Bonanno Editore, Roma
SGRELLI M., (2012), Il Cerimoniale Moderno e il protocollo di stato, De Felice
editore, Capitignano (AQ)
SEGALEN M., (2002), Riti e Rituali contemporanei, Il Mulino, Bologna
TENENTI A., (1985), Introduzione all’edizione italiana della società di corte di
Norbert Elias, Il Mulino, Bologna
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