DIRITTO e Legislazione turistica-idoneità

I.T.S.E. TURISMO
IDONEITA’
DIRITTO E LEGISLAZIONE TURISTICA
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Il Contratto
Il Contratto di Deposito
Impresa e Imprenditore
Impresa Familiare
I Segni distintivi dell’Impresa
La Società di Persone e la Società di Capitali
Gli Enti senza scopo di lucro
I Contratti di rilevanza turistica
Normativa e Legislazione del contratto turistico
Enti Pubblici
Diritto Amministrativo
Le Competenze in Diritto Amministrativo
La Domanda e l’Offerta Turistica
Ordinamento Giuridico, Stato, Norma
Le Fonti del Diritto Italiano
La Tutela dei Diritti
IL CONTRATTO
Secondo l'art. 1321 del Codice Civile, il contratto è l'accordo di due o più parti per
costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale".
Da tale definizione si deduce che il contratto è rapporto, necessariamente bilaterale o
plurilaterale, o quantomeno non coincidenti, ed avente di volta in volta la funzione di
costituire (nel senso di incidere sulla situazione e sugli interessi delle parti
introducendo un nuovo rapporto), regolare (cioè apportare una qualsiasi modifica ad
un rapporto già esistente) o estinguere (nel senso di porre fine a un rapporto
preesistente) un rapporto giuridico patrimoniale.
Le classificazioni dei contratti
I contratti possono essere classificati secondo numerose categorie.
Si distinguono:
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contratti tipici e contratti atipici, a seconda che le parti abbiano deciso di
utilizzare uno schema negoziale già previsto dal legislatore o se, invece,
abbiano deciso di costruire uno schema negoziale nuovo, purché sia diretto a
realizzare "interessi meritevoli di tutela" secondo l'ordinamento giuridico.
contratti ad efficacia reale e contratti ad efficacia obbligatoria, a seconda che
trasferiscano la Proprietà di una cosa determinata, diritti reali o altri diritti con
il semplice consenso legittimamente manifestato o se, invece, creino solo
obbligazioni.
contratti consensuali e contratti reali, a seconda che si concludano con il
semplice consenso manifestato o se, invece, necessitino della consegna
materiale della cosa al fine della valida stipulazione.
contratti con prestazioni a carico di una sola parte o contratti unilaterali e
contratti a prestazioni corrispettive; i primi prevedono che solo una delle parti
del rapporto debba dare, fare o non fare qualcosa, laddove i secondi prevedono
uno scambio di prestazioni (questi ultimi vengono anche detti "sinallagmatici",
dal nome dello scambio corrispettivo, il cosiddetto sinallagma).
contratti a titolo oneroso, contratti a titolo gratuito; i primi sono contratti che
prevedono un sacrificio patrimoniale in cambio di un acquisto, i secondi
vedono un acquisto patrimoniale senza sacrificio.
contratti associativi e contratti di scambio; i primi vedono tutte le parti del
contratto concordi al fine di realizzare un interesse comune (ad es. contratto di
società), i secondi vedono le parti in conflitto di interessi, volendo ciascuna di
esse massimizzare la propria utilità ritraibile dalla pattuizione (ad es.
compravendita).
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contratti solenni o formali e contratti a forma libera, a seconda che sia stata
espressamente prevista una forma specifica per la loro stipulazione o meno.
contratti aleatori e contratti commutativi a seconda che il valore concreto della
prestazione e della controprestazione dipenda da un fattore di incertezza (ad es.
scommessa) ovvero che non implichi l'assunzione di un rischio in quanto le
parti sanno, fin dal momento in cui concludono il contratto quale sarà l'entità
dello svantaggio e del vantaggio conseguito con il contratto
contratti di durata e contratti istantanei, a seconda che essi regolino un rapporto
destinato a durare nel tempo, con una pluralità di prestazioni e
controprestazioni (ad es. contratto di utenza telefonica) o se, invece, regolino
un rapporto che si svolge in un solo momento (ad es. compravendita).
CONTRATTO DI LAVORO A TEMPO PIENO (FULL TIME) E A TEMPO
PARZIALE (PART-TIME)
I contratti di lavoro a tempo pieno sono i contratti maggiormente diffusi. Essi
presuppongono un monte ore settimanale stabilito al massimo in 40 ore.
Il contratto a tempo parziale che, a differenza di altri Paesi europei, non è molto
diffuso in Italia, ha un orario che risulta inferiore a quello a tempo pieno. La
riduzione dell'orario può avvenire in forma:
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orizzontale, con una riduzione dell'orario giornaliero (ad esempio, anziché
lavorare 8 ore al giorno per 5 giorni la settimana, si lavora 4 ore al giorno per 5
giorni la settimana);
verticale, in cui la riduzione dell'orario è concentrata in determinati giorni
della settimana, del mese o dell'anno (ad esempio si lavora 8 ore al giorno per
3 giorni la settimana oppure si lavora a tempo pieno solo in alcuni mesi
dell'anno);
mista, con una combinazione delle due modalità sopra elencate.
I contratti collettivi possono prevedere anche clausole "flessibili" di orario (con le
quali il datore di lavoro può variare la collocazione temporale della prestazione
lavorativa) oppure clausole "elastiche" (con le quali il datore di lavoro può aumentare
la durata della prestazione lavorativa). In ogni caso è previsto un preavviso a favore
del lavoratore di almeno cinque giorni lavorativi e il diritto a specifiche
compensazioni. Per la legittimità di queste clausole è necessario che vi sia la
previsione nel CCNL e il consenso espresso del lavoratore per atto scritto,
contestuale o anche successivo all'assunzione.
Sempre all'interno del CCNL sono stabilite le condizioni, le motivazioni e le modalità
con le quali il lavoratore può richiedere l'eliminazione oppure la modifica delle
clausole elastiche o flessibili.
La riforma Fornero, inoltre, ha introdotto il diritto per alcuni soggetti di revocare il
consenso già manifestato per una clausola elastica. Tali soggetti sono:
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i lavoratori studenti;
i genitori conviventi di figli di età non superiore a 13 anni;
le persone con patologie oncologiche per i quali sussiste una ridotta capacità
lavorativa;
i lavoratori che hanno il coniuge, i figli oppure i genitori interessati da
patologie oncologiche;
i conviventi con familiari portatori di handicap.
Il contratto part-time va stipulato in forma scritta, in assenza di tale forma il
lavoratore può richiedere la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo pieno. La
durata della prestazione lavorativa, così come la collocazione temporale dell'orario di
lavoro (nel giorno, nella settimana, nel mese, nell'anno) devono essere indicate nel
contratto scritto.
Il datore di lavoro, nei casi e nelle modalità previste dai contratti collettivi e, in
mancanza di essi, sulla base del consenso del lavoratore, può richiedere lo
svolgimento di ore di lavoro "supplementare" (con tale terminologia si intendono
tutte le ore di lavoro svolte oltre l'orario di lavoro concordato dalle parti ed entro il
limite dell'orario normale legale settimanale di 40 ore previsto per il tempo pieno o
del minor orario normale settimanale individuato dalla contrattazione collettiva). Il
numero massimo di ore supplementari effettuabili, le relative causali, le conseguenze
del superamento delle ore di lavoro supplementare, sono stabilite dal contratto
collettivo
nazionale.
Per quanto riguarda, invece, il lavoro "straordinario" (da intendersi solo dopo che
le 40 ore del tempo pieno settimanale o il minor orario settimanale definito
contrattualmente siano state raggiunte), non è previsto alcun obbligo di forma per la
richiesta di effettuazione dello stesso, applicandosi in tal caso la disciplina vigente
per i rapporti a tempo pieno. E' anche possibile che il rapporto di lavoro, sorto a
tempo pieno, sia trasformato per accordo tra datore di lavoro e lavoratore a tempo
parziale: per far ciò è necessario un atto scritto, convalidato dalla Direzione
Provinciale del Lavoro (DPL) competente per territorio (la legge stabilisce un diritto
di precedenza per questi lavoratori che, assunti a tempo pieno, hanno trasformato
successivamente il rapporto in part-time: tale diritto si genera nel caso di nuove
assunzioni del datore di lavoro di lavoratori a tempo pieno per le stesse mansioni o
equivalenti a quelle oggetto del rapporto di lavoro part-time).
Se un contratto da part-time viene trasformato a tempo pieno, non sono previsti
obblighi di forma né di convalida in sede amministrativa.
La legge disciplina delle ipotesi particolari di trasformazione del rapporto in parttime. Infatti, i lavoratori privati e pubblici affetti da patologie oncologiche, per i
quali residui una capacità lavorativa ridotta, anche a causa degli effetti invalidanti di
terapie salvavita, accertata da una commissione medica istituita presso l' ASL
territorialmente competente, hanno un vero e proprio diritto alla trasformazione del
rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale verticale od orizzontale.
Una volta superata la fase critica della malattia, a richiesta del lavoratore, il rapporto
deve essere trasformato nuovamente a tempo pieno.
Ci sono altri casi in cui al lavoratore è riconosciuta una priorità della trasformazione
del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale:
1. patologie oncologiche riguardanti il coniuge, i figli o i genitori del lavoratore o
lavoratrice;
2. lavoratore o lavoratrice che assistano una persona convivente con totale e
permanente inabilità lavorativa, alla quale è stata riconosciuta una percentuale
di invalidità pari al 100%, con necessità di assistenza continua perché non in
grado di compiere gli atti quotidiani della vita;
3. lavoratore o lavoratrice con figlio convivente di età non superiore a 13 anni o
con figlio convivente portatore di handicap.
Possono svolgere lavoro part-time sia coloro che hanno un contratto di lavoro a
termine, sia coloro che hanno un contratto di apprendistato (purché, in tal caso, sia
salvaguardata la finalità formativa).
Il lavoratore part-time ha gli stessi diritti del lavoratore a tempo pieno, compreso il
trattamento di fine rapporto al momento delle dimissioni o del licenziamento.
La disciplina del lavoro part-time è contenuta nel decreto legislativo del 25 febbraio
2000, n. 61, così come è stato modificato ed integrato dal decreto legislativo
276/2003 (riforma del mercato del lavoro) e dalla Legge 247/2007.
IL CONTRATTO DI DEPOSITO
Nella vita di tutti i giorni accade frequentemente di stipulare un contratto di deposito,
basti pensare a ogni volta in cui posteggiamo il nostro autoveicolo in un parcheggio,
o lo lasciamo in un rimessaggio, o lo consegniamo al meccanico per effettuarvi delle
riparazioni, o diamo il soprabito al cameriere del ristorante. In tutti questi casi,
ricorrendo le condizioni previste dalla legge ed elaborate dalla copiosa
giurisprudenza in materia, può configurarsi il contratto di deposito con la
conseguente nascita dei relativi diritti ed obblighi in capo alle parti. Infatti per la
conclusione del contratto di deposito, che è di natura “reale”, non è necessario
rispettare alcun obbligo di forma, essendo sufficiente la consegna di una determinata
cosa allo scopo di custodirla per far sorgere nel depositario l’obbligo della
restituzione.
DISCIPLINA DEL CONTRATTO DI DEPOSITO IN GENERALE
Definizione e presunzione di gratuità
Il contratto di deposito è disciplinato dagli artt. 1766 e ss. del codice civile ed è il
negozio giuridico mediante il quale una parte (depositario), riceve dall’altra
(depositante) una cosa mobile con l’obbligo di custodirla e restituirla in natura. Il
contratto di deposito si presume gratuito, a meno che dalla qualità professionale del
depositario o da altre circostanze si debba desumere una diversa volontà delle parti.
Non sarebbe quindi legittima la richiesta del vicino di casa, a cui taluno abbia lasciato
in custodia una pianta per innaffiarla e curarla durante le proprie ferie ai caraibi, di un
corrispettivo per tale servizio in mancanza di una espressa pattuizione, mentre
diverso sarebbe il caso in cui il depositario fosse un vivaista, data la professionalità di
quest’ultimo.
Obblighi e responsabilità di chi riceve la cosa in deposito
Il depositario deve usare in ogni caso nella custodia la diligenza del buon padre di
famiglia, ma qualora il deposito sia gratuito la legge impone di valutare con minor
rigore la responsabilità per colpa. Il depositario, anche nell’ipotesi di deposito
gratuito, per liberarsi da ogni responsabilità deve comunque provare la
imprevedibilità e la inevitabilità della perdita della cosa, ovvero l’estraneità della
perdita stessa rispetto al comportamento da lui tenuto nella esecuzione del contratto;
infatti il presupposto per la liberazione del contraente inadempiente dalla presunzione
di colpa è la non imputabilità allo stesso della causa dell’inadempimento, ed è solo
dopo che il debitore abbia provato la causa concreta dell’inadempimento che si può
passare alla valutazione della diligenza da lui prestata.
Poiché lo scopo del contratto è quello di conservare la cosa nello stato in cui essa è
stata consegnata al depositario, la legge vieta a quest’ultimo di servirsi della cosa, a
meno che non sia stato a ciò autorizzato dal depositante. Chi ha ricevuto in custodia
la pelliccia dell’amica, non potrà quindi indossarla, a meno che non vi sia il consenso
di quest’ultima. Inoltre il depositario è tenuto ad esercitare la custodia nel modo che è
stato convenuto e non potrà discostarsi da tale modalità a meno che non lo richiedano
circostanze urgenti ed in ogni caso dandone immediato avviso al depositante, pena il
risarcimento dei danni che quest’ultimo abbia a subire a causa del mutato modo di
esercitare la custodia.
Restituzione della cosa data in deposito
La restituzione dovrà avvenire non appena il depositante la richieda, a meno che le
parti non abbiano stabilito un termine nell’interesse dell’una o dell’altra. Nel caso in
cui non sia stato stabilito un termine la prescrizione del diritto decorre dal momento
in cui il depositante ne faccia richiesta, recedendo dal contratto, ovvero dal momento
in cui ne receda il depositario, facendo richiesta di riprendere la cosa. La restituzione
dovrà avvenire nelle mani del depositante o di chi sia stato da questo incaricato,
senza che possa essere richiesto al depositante di dare la prova di essere anche
proprietario della cosa. Infatti il contratto di deposito può essere stipulato anche dal
semplice detentore o possessore.
Perdita o sottrazione della cosa data in deposito
Particolare importanza nell’ambito della disciplina del deposito riveste l’art. 1780 c.c.
il quale dispone che, se la detenzione della cosa è tolta al depositario in conseguenza
di un fatto a lui non imputabile, egli è liberato dall’obbligazione di restituire la cosa
ma deve, sotto pena di risarcimento del danno, denunziare immediatamente al
depositante il fatto per cui ha perduto la detenzione. Ciò significa che, per
configurarsi una responsabilità del depositario per la perdita della cosa, egli deve
avere posto in essere un comportamento difforme da quella diligenza del buon padre
di famiglia, dovuta nell’adempimento dell’obbligo di custodia. Ad esempio il
depositario di un veicolo in autorimessa è tenuto ad usare nella custodia la diligenza
del buon padre di famiglia ed è liberato dall’obbligazione di restituire il veicolo solo
in presenza di un fatto fortuito, nel quale non rientra Il furto, a meno che esso non sia
accompagnato da violenza o da minaccia alle persone.
Esaminato il contratto di deposito in generale è opportuno precisare che lo stesso ha
una disciplina particolare a seconda delle singole fattispecie cui si riferisce (deposito
in albergo, al ristorante, parcheggio, rimessaggio e molte altre) e per le quali esiste
una copiosa elaborazione giurisprudenziale che merita di essere approfondita caso per
caso. In questo numero cominceremo con l’esaminare il deposito in albergo e quello
al ristorante.
Il codice civile disciplina il DEPOSITO IN ALBERGO in una speciale sezione, i cui
articoli sono stati introdotti o innovati dalla legge 316 del 1978, che ha attuato la
Convenzione del Consiglio d’Europa, sulla responsabilità degli albergatori per le
cose portate in albergo dai clienti. Gli albergatori sono responsabili di ogni
deterioramento, sottrazione e distruzione delle cose portate dal cliente in albergo, con
il limite di valore pari a cento volte il prezzo di locazione dell’alloggio per giornata.
Tale limite non opera, quando si tratti di cose che sono state consegnate in custodia
all’albergatore o che questi abbia rifiutato di ricevere, pur essendo obbligato a farlo,
quali ad esempio carte-valori, denaro contante e oggetti di valore e neppure quando il
deterioramento, sottrazione o distruzione della cosa portata in albergo sia dovuta a
colpa sua, dei suoi ausiliari o familiari. In tali casi quindi l’albergatore risponderà
senza limiti di valore, mentre egli non sarà tenuto a rispondere per il deterioramento,
sottrazione o distruzione della cosa dovuta al cliente, alle persone che
l’accompagnano o che sono al suo servizio, a forza maggiore o alla natura della cosa.
Il cliente dal canto suo, per potersi valere delle disposizioni in esame, dovrà
denunciare il fatto all’albergatore senza ritardo.
E’ importante sapere che l’albergatore non può escludere o limitare la propria
responsabilità tramite patti o dichiarazioni preventive, pertanto tali clausole
contrattuali, anche laddove sottoscritte dalle parti, resterebbero totalmente prive di
efficacia.
In ogni caso le disposizioni previste nella sezione del codice civile relative al
deposito in albergo non si applicano ai veicoli, alle cose lasciate negli stessi né agli
animali vivi, mentre sono applicabili anche agli imprenditori di case di cura,
stabilimenti balneari, stabilimenti di pubblici spettacoli , pensioni, trattorie, carrozze
letto e simili.
Tuttavia, l’obbligo di sorveglianza per la tutela delle cose portate in albergo dal
cliente e non consegnate in custodia è più esteso di quello incombente al
RISTORATORE o al trattore, stante la differenza strutturale delle due imprese e di
godimento delle rispettive prestazioni. Infatti per l’albergatore sussiste la
responsabilità per tutte le cose portate dal cliente in albergo, mentre per il ristoratore
tale responsabilità, per le cose non affidategli in custodia, sussiste solo per quelle di
cui è opportuno liberarsi per il miglior godimento del servizio (cappotto, cappello,
ombrello), restando invece sotto il controllo e sotto la responsabilità del cliente tutte
le altre che non costituiscano intralcio alla consumazione del pasto. Pertanto, sulla
scorta di tale principio, la Cassazione non ha ritenuto responsabile il ristoratore per la
perdita da parte del cliente di un accendino d’oro che egli aveva lasciato sul tavolo
del locale e di cui era stata denunciata dopo poco la scomparsa, mentre è stata
affermata la responsabilità del ristoratore nel caso della consegna di una pelliccia, poi
sparita, al cameriere di ristorante perché venisse portata nell’apposito guardaroba,
essendo in questo caso inequivocabile la consegna in custodia .
La Suprema Corte, al fine di valutare la sussistenza della responsabilità del ristoratore
e il tipo di responsabilità, ha altresì affermato che il giudice di merito deve accertare
se il cliente, indipendentemente da una specifica dichiarazione negoziale, per le
modalità o il contesto in cui ha consegnato la cosa al gestore o ai suoi dipendenti, ha
inteso affidarla alla loro custodia (nel qual caso la responsabilità è illimitata), ovvero
se essi si sono limitati a prestargli una cortesia conforme agli usi .
In applicazione di tale principio è stata riconosciuta la responsabilità limitata del
ristoratore nel caso di una cliente che aveva consegnato la pelliccia al cameriere di un
ristorante sprovvisto di guardaroba, che l’aveva appesa all’appendiabiti. In tal caso
infatti la Cassazione ha affermato l’equivocità della circostanza ai fini
dell’affidamento del bene in custodia al gestore, potendo esso restare nella sfera di
controllo del cliente, anche avuto riguardo al luogo ove l’appendiabiti era situato .
Pertanto, secondo il costante orientamento giurisprudenziale, la responsabilità del
ristoratore sarà illimitata, ogni volta in cui la cosa gli venga consegnata
espressamente ai fini della custodia o comunque che tale finalità possa desumersi
dalle circostanze e dal contesto, sarà limitata nel caso degli oggetti che il cliente
consegni allo scopo di poter usufruire in modo migliore della prestazione (cappotto
che venga appeso all’appendiabiti, ombrello), non sussisterà alcuna responsabilità nel
caso di oggetti che restino nella disponibilità e nel controllo del cliente e che non
intralcino il godimento della prestazione (accendino lasciato sul tavolo del ristorante).
IMPRESA E IMPRENDITORE
Il codice civile non da una definizione di impresa ma da una definizione di
imprenditore. La nozione di imprenditore è contenuta all'articolo 2082 rubricato
proprio “imprenditore” e contenuto nel titolo II “del lavoro nell'impresa” del libro V
“del lavoro” del codice civile.
L'articolo 2082 recita testualmente:
"è imprenditore chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al
fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi".
Dall'interpretazione della norma possiamo ricavare quali siano i requisiti essenziali
perché si abbia la qualità di imprenditore in senso generale e quindi perché si possa
essere titolari dell'impresa.
I requisiti sono:
attività: una serie di atti coordinati tra di loro formano un'attività
economica: l'attività ha come scopo la produzione o scambio di beni o servizi
organizzata: indica la coordinazione tra il capitale ed il lavoro svolta
dall'imprenditore per la sua attività
professionalmente: l'attività è svolta in modo abituale, e non occasionale. Non è
necessaria la continuità, come ad. es. per le attività stagionali
al fine della produzione e dello scambio di beni o servizi: l'attività deve essere
economica;
in questo caso l'articolo ripete un concetto già espresso
L'attività produttiva:
l'impresa si compone di una serie di atti finalizzati alla produzione oppure lo scambio
di beni o servizi, possiamo dire quindi che si tratti di un'attività produttiva di nuova
ricchezza, la quale si rileva anche nell'attività di scambio che incrementa l'utilità dei
beni spostandoli nel tempo oppure nello spazio. L'attività di semplice godimento,
cioè l'attività che non dà luogo alla produzione di nuovi beni o servizi non è impresa.
L'organizzazione:
non si può avere attività d'impresa senza l'impiego coordinato dei fattori produttivi,
cioè senza l'impiego di capitale e lavoro proprio oppure altrui.
L'imprenditore nello svolgere la sua attività crea un complesso produttivo, il quale
complesso produttivo è formato da persone e da beni strumentali che possono essere
macchinari, locali, materie prime, merci. Questo aspetto è sottolineato dal legislatore
quando qualifica l'impresa come attività organizzata, quando disciplina il lavoro e
l'organizzazione del lavoro nell'impresa, quando disciplina e definisce all'articolo
2555 l'azienda come “il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per
l'esercizio dell'impresa”.
L'attività economica:
L'impresa è attività economica, e nella definizione dell'articolo 2082 l'economicità è
richiesta in aggiunta allo scopo produttivo dell'attività.
Di conseguenza perché si abbia impresa è essenziale che l'attività produttiva sia
portata avanti con metodo economico, secondo modalità che consentano almeno la
copertura dei costi con i ricavi e rassicurino l'autosufficienza economica; altrimenti si
avrebbe consumo e non produzione di ricchezza.
Non è imprenditore chi produce beni o servizi che vengono erogati gratuitamente, in
questo caso si escluderebbe la possibilità di coprire i costi con i ricavi.
Perché si abbia attività economica non è però essenziale che essa sia caratterizzata
anche dall'intento dell'imprenditore di conseguire un guadagno oppure un profitto
personale, cioè lo scopo di lucro. Di conseguenza questo non può essere considerato
un requisito essenziale dell'attività di impresa.
La professionalità:
l'ultimo dei requisiti espressamente richiesti dall'articolo 2082 perché si abbia la
qualità di imprenditore è il carattere professionale dell'attività.
Professionalità significa perciò esercizio abituale e non esercizio occasionale di una
data attività produttiva. Non è imprenditore chi compie un isolato acquisto e
successiva rivendita di merci.
Non è imprenditore chi organizza un singolo servizio di trasporto oppure chi
organizza un singolo spettacolo sportivo.
La professionalità non richiede però che l'attività imprenditoriale sia svolta in modo
continuato senza che ci siano delle interruzioni. Ad esempio per le attività stagionali
come alberghi in località di villeggiatura, stabilimenti balneari, rifugi alpini, è
sufficiente che gli atti d'impresa si ripetano costantemente secondo le cadenze proprie
di quel tipo di attività. Il requisito della professionalità non richiede neppure che
l'impresa sia l'unica attività oppure la principale attività del soggetto.
È imprenditore anche il Professore oppure l'impiegato che gestisce un negozio oppure
un albergo. Da questo si deduce che è possibile anche il contemporaneo esercizio di
più attività di impresa, ad esempio, si possono esercitare insieme l'impresa agricola e
l’impresa commerciale da parte dello stesso soggetto.
Quindi per potere essere considerati imprenditori devono ricorrere tutti i requisiti
stabiliti dall'articolo 2082 del codice civile.
IMPRESA FAMILIARE
La costituzione di un’impresa familiare consente un regime fiscale meno oneroso,
poiché permette di dividere il reddito tra più soggetti, riducendo così l’aliquota per
le imposte dirette.
Che cos’è l’impresa familiare
L’impresa familiare è stata introdotta nel 1975 dalla riforma del diritto di famiglia e
sussiste quando un familiare presta in modo continuativo la propria attività di lavoro
nell’impresa, salvo che sia configurabile un diverso rapporto (art. 230-bis codice
civile). Infatti, la collaborazione dei familiari all’impresa potrebbe configurarsi come
rapporto di lavoro subordinato o come partecipazione a una società di fatto.
L’impresa familiare è spesso adottata nell’esercizio di attività commerciali (negozi,
bar e ristoranti), ma può essere utilizzata anche alla gestione di imprese agricole.
L’attività lavorativa del familiare non può essere saltuaria e occasionale ma deve
essere regolare e costante nel tempo. Tuttavia, il familiare può anche svolgere altre
attività diverse, l’importante è che vi sia continuità dell’apporto di lavoro all’impresa
familiare. Il tipo di lavoro prestato all’impresa familiare può essere di qualsiasi
natura, ma deve riguardare l’attività svolta dall’impresa. Sono intervenute al riguardo
numerose sentenze che hanno stabilito che il lavoro esclusivamente casalingo
prestato dal coniuge non costituisce titolo sufficiente per la partecipazione
all’impresa familiare.
Chi può partecipare
Solo i familiari più stretti dell’imprenditore possono partecipare all’impresa
familiare, e precisamente:
- coniuge;
- parenti entro il terzo grado (figli o discendenti, fratelli, zii e nipoti, nonni e
bisnonni);
- affini entro il secondo grado (cognati, suoceri, generi e nuore).
Gestione dell’impresa familiare
Le decisioni riguardanti la gestione, produzione, destinazione degli utili e cessazione
dell’impresa familiare sono adottate dai partecipanti e vengono prese a maggioranza
calcolata “per teste“, vale a dire con un voto per ciascun collaboratore,
indipendentemente dalla quota della sua partecipazione. Per le decisioni non è
richiesta alcuna formalità.
Si precisa che il familiare che partecipa all’impresa familiare deve limitarsi a
collaborare e non a gestirla. Infatti, se i familiari gestissero in comune l’impresa, si
andrebbe a configurare una società di fatto e non un’impresa familiare, con l’effetto,
per esempio, che un’eventuale dichiarazione di fallimento del titolare si estenderebbe
a tutti i familiari gestori.
Suddivisione dei redditi
Al titolare dell’impresa spetta non meno del 51% del reddito, mentre il residuo deve
essere attribuito ai familiari che collaborano all’impresa familiare, in proporzione alla
quantità e tipo del lavoro prestato in modo continuativo e prevalente.
Le quote di partecipazione all’impresa familiare, che devono essere indicate ogni
anno nella dichiarazione dei redditi, vanno determinate a consuntivo, quando la
quantificazione del lavoro prestato può essere compiuta in maniera esatta.
I collaboratori hanno diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale
della famiglia e partecipano agli utili dell’impresa e agli incrementi dell’azienda, sia
per quanto concerne i beni acquistati sia per quanto riguarda l’avviamento, sempre in
proporzione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato.
Responsabilità illimitata
Da ricordare che l’impresa familiare, nonostante la partecipazione di più persone, è
pur sempre un’impresa individuale e ciò comporta che il titolare dell’impresa è
illimitatamente responsabile delle obbligazioni assunte e risponde con tutto il proprio
patrimonio. Pertanto, chi risponde per i debiti contratti dall’azienda è sempre e solo il
titolare dell’impresa.
Costituzione dell’impresa familiare
Il codice civile non prevede particolari formalità per costituire un’impresa familiare,
ma se si vogliono sfruttare le agevolazioni fiscali, essa deve essere costituita con atto
pubblico o scrittura privata autenticata da un notaio prima dell’inizio del periodo
d’imposta. Pertanto, si deve stipulare l’atto entro il 31 dicembre, perché questo abbia
effetto dal 1° gennaio successivo.
Si ricorda che l’impresa familiare può essere adottata al di là del regime patrimoniale
scelto dai coniugi (comunione o separazione dei beni).
I costi notarili per la costituzione dell’impresa familiare ammontano a circa
1.200/1.500 euro, a cui vanno aggiunti 168,00 euro per l’imposta di registro.
Regime fiscale
Se viene costituita un’impresa familiare è possibile dividere il reddito tra i soggetti
partecipanti, riducendo l’aliquota applicata per il pagamento delle imposte.
Infatti, limitatamente al 49% dell’ammontare derivante dalla dichiarazione dei redditi
del titolare (Art. 5, commi 4 e 5 del TUIR) i redditi dell’impresa familiare
sono imputati a ogni familiare che abbia svolto in modo continuativo e prevalente
attività di lavoro nell’impresa, in proporzione alla quota di partecipazione agli utili.
Tale normativa si applica solo se:
1. i nominativi dei familiari partecipanti all’impresa risultino da atto pubblico o da
scrittura privata autenticata, venga indicata il rapporto di parentela o affinità
unitamente
alla
sottoscrizione
dell’imprenditore
e
dei
partecipanti;
2. nella dichiarazione dei redditi del titolare vi sia l’indicazione delle quote di
partecipazione agli utili dei familiari e l’attestazione della proporzionalità delle quote
alla qualità e quantità del lavoro effettivamente prestato in modo continuativo e
prevalente;
3. nella dichiarazione dei redditi vi sia l’attestazione di ogni familiare partecipante di
aver prestato la sua attività di lavoro nell’impresa in modo continuativo e prevalente.
Si precisa che, a differenza della normativa civilistica, la normativa fiscale è
più limitativa, e precisamente l’apporto lavorativo deve essere:
- non solo continuativo ma anche prevalente rispetto a ogni altra attività lavorativa.
Pertanto, non potrà adottare tale regime il familiare che svolge un lavoro dipendente,
autonomo o d’impresa;
- rilevante ai fini fiscali è solo è solo quello nell’impresa e non anche quello svolto
nella famiglia.
I SEGNI DISTINTIVI DELL’IMPRESA
I segni distintivi sono degli elementi che hanno funzione di identificare un
determinato imprenditore, un determinato luogo dove si esercita l’impresa, un
determinato prodotto, per differenziarli agli occhi del pubblico dei consumatori. I
segni distintivi fondamentali sono la ditta, l'insegna e il marchio.
Ditta
Con il termine ditta si indica il nome sotto il quale l’imprenditore esercita la sua
impresa. È formato da un elemento necessario (cognome o sigla dell’imprenditore) e
facoltativamente anche da un elemento di fantasia (parole liberamente scelte) salvo il
caso di trasferimento dell’azienda.
L’imprenditore non può adottare una ditta uguale o simile a quella usata da altro
imprenditore.
Quando c’è rischio di confusione una delle due ditte deve essere integrata o
modificata con indicazioni idonee a differenziarla. L’obbligo di differenziazione
grava:
- sul titolare della ditta iscritta posteriormente al registro delle imprese;
- sul titolare della ditta usata posteriormente (in caso di impresa non soggetta a
registrazione).
La ditta ha un proprio valore economico, costituendo un importante elemento del
complesso aziendale: pertanto, il titolare può essere interessato a trasferirla ad un
altro imprenditore realizzandone il valore di scambio, ma una ditta non può essere
trasferita separatamente dall’azienda cui si riferisce. Se si tratta di un atto fra vivi la
ditta passa all’acquirente solo con il consenso dell’alienante. In caso di morte
dell’imprenditore la ditta si trasferisce automaticamente al successore.
Insegna
Il segno o il complesso di segni che identificano i locali dove si esercita l’impresa si
chiama insegna: essa ha particolare importanza per quelle aziende il cui servizio è
offerto proprio nei locali medesimi. All’insegna sono applicate tutte le norme relative
alla ditta.
L'insegna deve avere una propria capacità distintiva, ossia deve presentare il requisito
dell'originalità, deve corrispondere a verità e novità, ossia non deve provocare
confusione, in riferimento all'oggetto e al luogo deputati all'attività, con l'insegna
utilizzata da un altro imprenditore. Se sussistono tali requisiti, la tutela dell'insegna ha
i medesimi connotati di quella spettante al marchio e alla ditta.
Marchio
Il segno distintivo che contraddistingue un determinato prodotto o servizio è
chiamato marchio.
Esso può consistere in parole o in un disegno; si distinguono vari tipi di marchio:
il marchio di fabbrica: si applica al prodotto dell’imprenditore responsabile della
produzione;
il marchio di commercio: viene applicato dall’imprenditore che distribuisce ai
consumatori il prodotto fabbricato da altri; il marchio collettivo: viene creato da
organismi aventi la funzione di garantire l’origine o la qualità di determinati prodotti
o servizi (es. doc, dop, docg, ecc...)
La tutela del marchio consiste in un'esclusiva: il titolare del marchio ha il diritto di
essere l’unico a utilizzarlo. È però condizionata dal requisito della “novità”: chi
adotta un marchio uguale o simile a quello già impiegato da altri non può godere di
protezione.
Il marchio riceve tutela a livello LOCALE, NAZIONALE ed INTERNAZIONALE.
A livello LOCALE, è tutelato con il preuso, (dimostrando l'uso del marchio per primi
con prove, come la pubblicità, volantini…).
A livello NAZIONALE, con l'iscrizione nel registro dei marchi e dei brevetti a
Roma, uso esclusivo per 10 anni.
A livello INTERNAZIONALE, con l'iscrizione all'OMPI (organizzazione mondiale
per la tutela delle attività intellettuali) a Ginevra. Questo non vale per l'America.
I marchi di qualità sono certificazioni di prodotto riconosciute agli alimenti dalla
Comunità Europea che vengono rilasciate da enti di certificazione riconosciuti dal
Ministero delle Politiche Agricole e garantiscono al consumatore la provenienza
originale del prodotto e/o che il processo di produzione avvenga secondo modalità
legate a una tipicità territoriale nel rispetto del disciplinare
che regola il marchio di qualità.
I marchi che possiamo trovare sui prodotti alimentari sono:
- D.O.P. (Denominazione di Origine Protetta): la produzione, trasformazione ed
elaborazione dei prodotti D.O.P. avviene in un'area geografica delimitata e definita.
Le qualità e le caratteristiche dipendono essenzialmente o esclusivamente
dall'ambiente geografico contraddistinto da elementi naturali e fattori umani.
- I.G.P. (Indicazione Geografica Protetta): la produzione e/o trasformazione e/o
elaborazione dei prodotti I.G.P. avviene in un'area geografica determinata e definita.
La qualità o un’altra caratteristica può essere attribuita all'origine geografica.
- S.G.T. (Specialità Tradizionale Garantita): sono prodotti la cui specificità non è
legata ad un'area geografica delimitata ma alla tradizione e quindi all'utilizzo di
materie prime tradizionali o a una composizione tradizionale o ad un metodo di
produzione e/o trasformazione tradizionale.
La produzione di vino in Italia è caratterizzata da una grande diversificazione di
tipologie di vini, molti di grande prestigio sia a livello nazionale che internazionale.
Per questo motivo il Ministero delle Politiche Agricole, le Camere di Commercio e le
Regioni hanno l’obiettivo di favorire il consolidamento del successo delle produzioni
di qualità, riconoscibili dai marchi D.O.C.G., D.O.C. e I.G.T.
- D.O.C.G. (Denominazione d’Origine Controllata e Garantita): sono i vini più
pregiati, il marchio garantisce l’origine, la qualità e consente la numerazione delle
bottiglie prodotte. La legge impone che sulle etichette ci siano le seguenti
informazioni: nome della regione da cui provengono i vini, nome o ragione sociale
dell’imbottigliatore unitamente alla menzione del Comune e dello Stato membro in
cui l’imbottigliatore ha la propria sede principale, volume nominale in litri, centilitri
o millilitri, titolo alcolometrico effettivo e lotto di produzione che identifichi il vino
prodotto o confezionato in condizioni identiche.
- D.O.C. (Denominazione d’Origine Controllata): sono vini di qualità, originari di
zone limitate, il cui ciclo produttivo deve essere conforme al disciplinare di
produzione. Prima di essere commercializzati vengono controllati qualitativamente
dalle Commissioni di degustazione che li sottopone ad analisi chimico fisiche e
organolettiche per verificare la corrispondenza ai requisiti di legge.
- I.G.T. (Indicazione Geografica Tipica): sono numerosi i vini in commercio con
questo marchio, che rappresenta un riconoscimento di qualità attribuito ai vini da
tavola che non hanno un disciplinare particolarmente restrittivo e le aree di
produzioni sono abbastanza ampie. I vini I.G.T. dopo cinque anni possono diventare
D.O.C.
LE SOCIETA’ DI PERSONE E LE SOCIETA’ DI CAPITALI
Il campionario offerto dal Codice civile a chi intenda dar vita a una società
commerciale è, sulla carta, ricco e articolato. Da un lato stanno le società di persone società in nome collettivo e società in accomandita semplice - dall'altro le società di
capitali - società per azioni, a responsabilità limitata, in accomandita per azioni.
Società di Persone
a) responsabilità illimitata e solidale
• di tutti i soci nella s.n.c
• di tutti i soci ma con possibilità do patto contrario per alcuni di essi nella
s.s
• di una categoria di soci (accomandatari) nella sas
Per il socio significa rispondere con tutti i suoi beni, presenti o futuri
all’adempimento delle obbligazioni sociali, rischiando così l’intero patrimonio.
La responsabilità è solidale: il creditore può scegliere a propria discrezione a chi
chiedere l’adempimento in caso di insolvenza da parte della società.
b) il potere di amministrazione spetta ai soci che anche solo per il fatto di esserlo ne è
anche amministratore; ciascun socio esercita le prerogative di “capo dell’impresa”.
Nella società di persone vi è la figura dell’imprenditore classico:
• lato attivo⇒ direzione dell’impresa
• lato passivo ⇒ rischio di impresa
c) intrasferibilità della qualità di socio: se muore un socio la quota non si trasferisce
agli eredi se non dopo acconsentimento da parte dei soci superstiti.
Il contratto di società si presenta dunque come un contratto nel quale l’identità o le
qualità personali dei contraenti sono determinate dal consenso degli altri contraenti.
Società di Capitali
La persona del socio perde importanza; in considerazione viene presa invece la loro
quota di capitale.
a) i soci godono della responsabilità limitata: ad essere a rischio è solo il capitale
investito e non il patrimonio del singolo socio. Di questo beneficio godono i soci
della spa, della srl e i soci accomandanti della sas; tuttavia non ne godono gli
accomandatari che hanno responsabilità illimitata.
b) il potere di amministrazione è dissociato dalla qualità di socio; quest’ultimo
concorre, con il suo voto, solo nell’elezione degli amministratori. I soci formano
l’assemblea che ha un vasto potere decisionale.
Al socio, nella società di capitali non corrisponde più una persona ma una
impersonale organizzazione collettiva.
c) la qualità di socio è liberamente trasferibile; in caso di morte la qualità di socio
stessa viene trasferita secondo il meccanismo delle successioni senza alcuna
modificazione del contratto di società.
Società di Persone: origine storica e funzione economica
Società di persone e di capitali appartengono a due fasi di evoluzione diverse nella
storia del capitalismo.
SNC Nata nel tardo medioevo agli inizi del capitalismo ai primi tempi passava sotto
il nome di
“compagnia”. Tuttavia la sua struttura giuridica è tuttora immutata.
SPA Si forma nella fase di evoluzione capitalistica, nei periodi di grande produzione
e scambio commerciale
Se le società di persone sono sopravvissute, ciò significa che non esisteva solamente
una produzione ed uno scambio di massa bensì un nuovo e diverso sistema di
produzione e scambio più semplice che a saputo coesistere.
Il codice formula società come genere mentre di persone e di capitali come specie: la
definizione di società e riconducibile “all’esercizio in comune di un’attività
economica”. Tuttavia società di persone e di capitali differiscono tra loro per
importanti principi contraddittori.
Ciò che permette in una società e nell’economia l’equilibrio è il rischio economico e
il potere economico: il rischio di perdere l’impresa funge da contrappeso al potere
economico.
Un’altra contraddizione è il fatto che se, in una società di capitali, un socio che
detiene la maggioranza delle azioni egli gode di assoluto dominio tuttavia godendo
della responsabilità limitata.
La società di capitali ha avuto modificazioni dall’800 ad oggi: una concentrazione del
potere economico ha portato il dominio nelle mani di pochi, detentori del comando
della società.
Tutto ciò ha reso molto più lontane le società di persone da quelle di capitali.
Continua: le Società di Persone e il primo capitalismo
La nascita del diritto commerciale si è formato per volontà di una classe quelle
borghese all’epoca dei comuni italiani. La legge veniva fatta e attuata a beneficio di
chi la faceva, i borghesi.
Con la crisi del sistema feudale gli uomini del medioevo uscivano dalla condizione
servile imposta dal loro signore alla mutata condizione di liberi artigiani riuniti in
associazioni.
Nascono gli statuti della mercanzia, gli ius mercatorum. Diritto civile e diritto
commerciale si contrappongono in ragione della diversa fonte di provenienza. Oggi
non si tratta più di diritto creato direttamente da una classe che aveva acquisito poteri
legislativi, si tratta di diritto dello stato, nel nome dell’intera collettività.
Con l’ius mercatorum nasceva così anche il rischio d’impresa e veniva a coniarsi la
nozione di patrimonio sociale sottratto all’utilizzo nel caso do creditore particolare
destinato al soddisfacimento dei creditori sociali.
Società per Azioni e il Capitalismo moderno
La società per azioni è la figura tipica del capitalismo moderno. La sua origine viene
individuata nella compagnia olandese delle indie le cui principali qualità erano la
responsabilità limitata, l’incorporazione della qualità di socio e l’azione liberamente
trasferibile. Con essa, nata per la conquista economica e per lo sfruttamento di grandi
spazi, nasce anche l’impresa capitalistica di grandi dimensioni. In parallela a
quest’ultima nascono le prime forme giuridiche che la caratterizzano. Chiunque
poteva diventarne soci rischiando solo la quota e avendo tra le mani un’azione
liberamente trasferibile in denaro.
Con l’avvento della rivoluzione industriale l’utilizzazione di macchine per la grande
produzione realizza un vasto mercato e maggiori investimenti di grandi capitali
industriali.
Il sistema organizzante la società per azioni ottocentesca era basato sulla correlazione
rischio e potere. La responsabilità limitata dei soci nella spa poteva essere giustificata
per il carattere indiretto e impersonale che assumeva, in queste società, la
partecipazione dei soci alla gestione dell’impresa sociale.
Il modello ideale di società per azione prevedeva una rarefazione della ricchezza e
quindi del capitale di ciascuna società, formato dal conferimento di una moltitudine
di azionisti, nessuno dei quali detentore di una frazione del capitale sociale pari o
vicina alla maggioranza.
Lo sviluppo del capitalismo portò alla concentrazione della ricchezza: si formarono
così fortune personali.
Nasce il fenomeno della maggioranza precostituita un azionista o un gruppo di questi
può detenere una frazione di capitale sufficiente ad ottenere la maggioranza
assembleare: i rimanenti piccoli azionisti destinati a restare, irrimediabilmente, in
minoranza.
Questi furono portati a disertare le assemblee e a non partecipare più alla gestione
dell’impresa favorendo così un controllo minoritario.
La concentrazione della ricchezza portò alla concentrazione del potere economico, un
potere sempre più nelle mani di pochi…
Continua: la Società per Azioni nell’attuale fase di evoluzione del Capitalismo
Per limitare il potere dei singoli azionisti che detenevano la maggioranza il codice di
commercio italiano introduceva nel1882 la norma la quale affermava che l’azionista
ha diritto ad un voto ogni 5 azioni e superate le 100 uno ogni venticinque: questo
evitava che le scalate ai pacchetti azionari si trasformassero in conquista di posizioni
di potere personale: si dava spazio alla minoranza.
Si stabilisce una diretta proporzionalità tra capitale sottoscritto e diritto di voto; la
società per azioni ha assunto una struttura autoritaria.
La sovranità dell’assemblea era il principio su cui si basava la spa: chiunque
socio,(gli amministratori erano “mandatari temporanei”) anche se di minoranza
poteva imporre direttive su ogni atto di gestione dell’impresa. L’assemblea attuava
così un principio di democrazia.
Una volta nominati dall’assemblea gli amministratori esercitano in piena autonomia
le loro funzioni che possono elevarsi anche sul potere dell’assemblea, o meglio non
sono vincolati se l’assemblea impartisce loro istruzioni. Il dato formale che ne
emerge è che la prerogativa di capo dell’impresa non è più prerogativa dei soci: essa
non spetta per intero né all’assemblea dei soci né al consiglio di amministrazione; è
invece una prerogativa tra l’uno e l’altro organo.
Chi esercita il controllo della ricchezza, ossia gli amministratori, forma una classe
sociale del tutto differenziata rispetto a quella dei proprietari del capitale. Chi detiene
la ricchezza non la amministra: lascia che altri la amministri per conto suo; chi
amministra la ricchezza non ne è proprietario e non ne trae personale vantaggio
economico: egli non è, di regola, socio né, di conseguenza, partecipa alla
distribuzione degli utili.
Non è vero che il potere economico sia esercitato a scopo di profitto: esso è una sorta
di “servizio sociale” a vantaggio dell’intera collettività. L’autonomia dell’organo
amministrativo rispetto all’assemblea degli azionisti non è un’autonomia effettiva;
essa è solo un’autonomia funzionale: è una autonomia strumentale rispetto agli
interessi del gruppo assembleare di controllo della società.
L’abbandono del principio della sovranità dell’assemblea ha, in realtà, mirato a
conferire maggior potere al gruppo di controllo della società. La prerogativa di “capo
dell’impresa” è nella sostanza concentrato nel gruppo azionario di controllo della
società. Il fenomeno al quale si assiste è l’abdicazione della classe capitalistica in
favore di una nuova classe di burocrati del potere economico.
Oggi, gli azionisti di comando non hanno solo un maggior potere: essi hanno tutti i
poteri; gli altri azionisti sono esclusi dalla direzione dell’impresa sociale.
Ciò che può dirsi superato è il principio dell’economia liberale: tutti coloro che
rischiano la propria ricchezza nella stessa impresa hanno diritto di vedere garantita la
propria partecipazione alla direzione dell’impresa.
Oggi la direzione spetta al consiglio di amministrazione, emanazione della
maggioranza assembleare: si è così estromessa la minoranza dalla direzione
dell’impresa; si è, pure indirettamente, codificato il concetto di capitale di comando :
chi lo detiene è “capo dell’impresa”
Le Società di Capitali e ” l’esercizio in comune” di un’attività economica
La formula legislativa ”esercizio in comune” non si addice totalmente alla realtà
normativa della spa. Essa tende ad ingenerare il falso convincimento che il contratto
di spa unisca tra loro più persone che esercitano un’impresa in comune tra loro; nasce
la falsa impressione che la disciplina giuridica della spa sia destinata a regolare
rapporti interni alla classe imprenditoriale: questa normativa appare preordinata
anche alla disciplina dei rapporti giuridici esterni alla classe imprenditoriale.
Nella spa la distinzione tra “capitalista” ed “imprenditore” è una distinzione che si
pone anche all’interno e non solo all’esterno della spa: essa corrisponde alla
distinzione tra “capitale controllato” e capitale di comando” o “azionisti
imprenditori” e “azionisti risparmiatori”.
Chi, pur essendo azionista non appartiene al gruppo di comando è da considerarsi in
una condizione simile a chi fornisce capitali alla società dall’esterno. È da notare,
infine, che l’azionista di minoranza non sa quale destinazione subiranno gli utili
realizzati e non distribuiti. La formula dell’”esercizio in comune dell’attività
economica” adottato dall’art. 2247, non esprime affatto, in rapporto alla spa, una
partecipazione comune dei soci alla direzione dell’attività economica.
Il controllo della minoranza è essenzialmente un controllo giuridico.
Nel 1942 vennero definiti i capitali minimi: 50 mila per la srl; nel 1965 200 milioni
di lire per la spa e 20 per la srl. Il progetto non venne tramutato in legge e proseguì
nel suo corso e per effetto della svalutazione monetaria portò alla nullificazione del
capitale minimo snaturando la spa e ad una spiccata propensione del grande capitale
industriale e commerciale: frazionazione delle proprie iniziative in una miriade di
piccole spa in modo da ridurre così i rischi.
La legge 904 del 1977 ha provveduto così ad una rivalutazione del capitale minimo
della spa elevandolo a 200 milioni (20 per le srl): modica rivalutazione indica il
favore legislativo alla responsabilità limitata (rischio trasferito sui creditori).
GLI ENTI SENZA SCOPO DI LUCRO
Con il termine “Enti senza scopo di lucro” o anche “Enti non profit” si inquadrano
numerosi tipi di soggetti che svolgono, in forme giuridiche diverse, attività di
carattere sociale non avendo come scopo prevalente il guadagno (lucro), ma il
soddisfacimento diretto dei bisogni socialmente rilevanti (assistenziali, sanitari,
ricreativi, sportivi, culturali ecc…).
Sono tutti soggetti che si collocano nel cosiddetto “terzo settore” (si aggiunge allo
stato e alle imprese), possono essere definiti come organizzazioni di uomini e cose
che perseguono uno scopo (MISSIONE) non consistente nella realizzazione di un
profitto (come avviene invece per le aziende).
Al terzo settore è collegato il fenomeno del volontariato.
Non è facile muoversi e riconoscersi all’interno di un mondo sconosciuto e articolato
come questo, questa guida vuole sostenere coloro i quali intendono avvicinarsi e
conoscere il mondo non profit e il fenomeno del volontariato a lui collegato.
La guida è divisa in 11 sezioni dedicate alle diverse forme giuridiche,
dall’organizzazione di volontariato all’impresa sociale.
1. Organizzazioni di volontariato
2. Enti Associativi
3. Associazioni di promozione sociale
4. Comitati
5. Cooperative sociali
6. Fondazioni
7. Organizzazioni non governative (ONG)
8. Organizzazioni non lucrative di utilità sociale – ONLUS
9. Associazioni sportive dilettantistiche
10. Imprese sociali
11. Associazioni riconosciute e associazioni non riconosciute
ENTI ASSOCIATIVI
Si parla di associazione per identificare un raggruppamento di persone che mirano a
realizzare un interesse comune. L’accordo fra le parti è un contratto. Gli elementi che
contraddistinguono il contratto di associazione sono : lo scopo di soddisfare i bisogno
di natura ideale o comunque non economica, l’assenza di finalità di lucro
riconosciuta dal codice civile (i conferimenti effettuati dai soci sono a fondo perduto
e al momento dello scioglimento del contratto i beni che residuano non possono
essere divisi fra gli associati ma devoluti ad altri enti che perseguono finalità
analoghe).
Questa forma associativa ha struttura aperta, ciò permette a chiunque di entrare come
socio in qualsiasi momento della vita dell’associazione. La struttura organizzativa
dell’associazione deve essere composta obbligatoriamente da due organi :
l’assemblea e gli amministratori (consiglio direttivo), la prima formata da tutti i soci,
il secondo da persone elette dai soci per amministrare e dare esecuzione alle delibere
assembleari.
Questa forma associativa può chiedere il riconoscimento della personalità giuridica e
diventare quindi associazione riconosciuta.
ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO
Secondo gli Artt. 2-3 della legge 266 dell’11 agosto 1991 per organizzazioni di
volontariato si intende “ogni organismo liberamente costituito” che si avvale
dell’attività di volontariato di liberi cittadini intesa come attività “prestata in modo
personale, spontaneo e gratuito, tramite l'organizzazione di cui il volontario fa parte,
senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà (attività
rivolta a terzi)” . La struttura associativa e gli scopi definiti dai soci sono resi ufficiali
in un documento chiamato statuto.
L’OdV ha struttura democratica e tutti i cittadini possono farne parte se ne
condividono lo scopo. I soci hanno tutti gli stessi diritti e doveri. Gli organi che
identificano l’associazione sono il consiglio direttivo e l’assemblea di tutti i soci.
L’ODV può iscriversi in un registro tenuto dalla regione e dalla provincia che gli
riconosce di diritto lo stato di ONLUS .
Questa forma associativa può chiedere il riconoscimento della personalità giuridica e
diventare quindi associazione riconosciuta.
ASSOCIAZIONI DI PROMOZIONE SOCIALE
Le associazioni di promozione sociale sono quelle organizzazioni in cui individui si
associano per perseguire un fine di utilità/promozione sociale svolgendo attività
rivolte a favore degli associati e/o di terzi. La loro valenza “sociale” deriva dal fatto
che esse non sono assimilabili a quelle associazioni che hanno come finalità la tutela
esclusiva di interessi economici dei membri (come ad esempio avviene per
associazioni sindacali, di partito o di categoria). Le caratteristiche e il ruolo svolto
dalle associazioni di promozione sociale sono molto vicine a quelle delle
organizzazioni di volontariato, le differenze risiedono nella possibilità di remunerare
i propri soci e nella valenza mutualistica dei servizi, anche se è indubbio che oggi le
associazioni non si limitino solamente alla mera soddisfazione degli interessi e dei
bisogni degli associati, ma abbiano sviluppato una forte apertura al sociale operando
promozioni della partecipazione e della solidarietà attiva. Questa forma associativa
può chiedere il riconoscimento della personalità giuridica e diventare quindi
associazione riconosciuta.
COMITATI
Si tratta di gruppi di persone che si vincolano con un contratto/accordo, al
perseguimento di uno scopo comune di interesse pubblico, anche attraverso la
formazione di un patrimonio da destinare al raggiungimento dello scopo (figura con
aspetti analoghi all’associazione e alla fondazione). Sono regolamentati da alcune
norme del codice civile. Al suo interno sono presenti due diverse tipologie di figure, i
promotori e gli organizzatori. I primi promuovono al pubblico il programma del
comitato e provvedono a raccogliere fondi necessari alla sua realizzazione; i secondi
gestiscono i fondi raccolti e si assumono la responsabilità della corretta destinazione.
COOPERATIVE SOCIALI
Questi soggetti hanno lo scopo di perseguire l’interesse generale della comunità alla
promozione umana e all’integrazione sociale del cittadino attraverso o la gestione dei
servizi socio-sanitari ed educativi oppure attraverso lo svolgimento di attività diverse
(agricole, industriali, commerciali o di servizi) finalizzate all’inserimento lavorativo
di persone svantaggiate. Esistono quattro tipologie di cooperative: le cooperative di
tipo A che svolgono attività finalizzate all’offerta di servizi socio-sanitari ed
educativi, le cooperative di tipo B che forniscono attività di inserimento lavorativo
di persone svantaggiate, le cooperative di tipo misto che svolgono attività tipiche
delle cooperative di tipo A, sia di tipo B ed infine i consorzi sociali, società
cooperative aventi la base sociale formata in misura non inferiore al settanta per
cento da cooperative sociali. All’origine di questa forma organizzativa vi è la
convinzione che l’attività solidaristica si possa realizzare anche attraverso la forma di
un’impresa economica, coniugando interesse privato e interesse generale.
In Italia sono presenti 7.363 cooperative sociali: 4.345 di tipo A, 2.419 di tipo B, 315
di tipo misto (A+B), 284 sono infine i consorzi (Istat, Rilevazione sulle cooperative
sociali, 2006); esse possono essere sono definite dall’Art. 1, legge 381 dell’8
novembre del 1991.)
FONDAZIONI DI DIRITTO CIVILE E DI ORIGINE BANCARIA
Le fondazioni sono enti senza fini di lucro con una propria sorgente di reddito che
viene impiegata per scopi di utilità sociale. A differenza delle associazioni infatti, le
fondazioni non trovano il loro fondamento nei soci e nelle attività da loro svolte, ma
piuttosto nella possibilità di beneficiare di un patrimonio (che per legge deve essere
non inferiore ai 100.000 euro) che dà loro un'ampia capacità finanziatrice. Le
fondazioni distribuiscono le proprie risorse con una strategia orientata alla scelta
degli interlocutori per valutare i progetti da finanziare e in particolare, le aree in cui
maggiormente le fondazioni operano sono l’istruzione, l’arte e la cultura, la sanità,
l’assistenza sociale e la ricerca. Le fondazioni svolgono spesso anche una funzione
attrattiva di nuove risorse, di lasciti, di donazioni di privati e imprese.
ORGANIZZAZIONI NON GOVERNATIVE – ONG
Le forme associative regolarmente costituite, senza scopo di lucro, che hanno come
fine quello di svolgere attività di cooperazione allo sviluppo in favore di popolazioni
del terzo mondo possono ottenere il riconoscimento di idoneità dal Ministero degli
esteri di organizzazione non governativa , cioè associazione il cui operato sia
svincolato da quello del governo dello stato di appartenenza.
Le prime Ong nate svolgevano un’attività di sostegno del mondo missionario
presente nei paesi in via di sviluppo. Oggi le organizzazioni non governative sono
espressioni organizzate della società civile di ispirazione anche laica, impegnate sul
più ampio fronte della cooperazione, intessendo rapporti con le istituzioni nazionali,
europee ed internazionali e contribuendo all’elaborazione di strategie politiche. I tre
principali organismi di coordinamento a cui aderiscono la maggior parte delle Ong
italiane sono: i Volontari nel mondo - federazione di organismi cristiani di servizio
internazionale, che riunisce 56 Ong di ispirazione cristiana; il Coordinamento delle
Ong per la cooperazione internazionale allo sviluppo, che riunisce 35 Ong di matrice
laica e il Coordinamento di iniziative popolari di solidarietà internazionale che conta
28 Ong di ispirazione cristiana.
ORGANIZZAZIONI NON LUCRATIVE DI UTILITA’ SOCIALE - ONLUS
Non si tratta di una forma associativa di carattere giuridico ma di un
“riconoscimento” di carattere fiscale dato alla presenza di specifici requisiti previsti
da un Dectreto ministeriale. La disciplina delle ONLUS, che nell'acronimo ben
segnalano la compresenza dei requisiti di assenza di lucro e di utilità sociale, resta
pertanto indicativa di alcuni dei possibili campi di intervento quali :
1. assistenza sociale e socio sanitaria
2. assistenza sanitaria
3. beneficenza
4. istruzione
5. formazione
6. sport dilettantistico
7. tutela, promozione e valorizzazione delle cose di interesse artistico e storico
8. tutela e valorizzazione dell'ambiente
9. promozione della cultura e dell'arte
10. tutela dei diritti civili
11. ricerca scientifica di particolare interesse sociale
Possono diventare ONLUS le associazioni, le fondazioni, i comitati, le cooperative,
altri enti privati. Tra questi soggetti lo diventano di diritto le OdV, le ONG, le
Cooperative sociali/consorzi
ASSOCIAZIONI SPORTIVE DILETTANTISTICHE
Sono associazioni senza scopo di lucro che nascono per volontà di un gruppo di
persone con l’intento di perseguire uno scopo di natura ideale, occupandosi di
dilettanti e non di professionisti in campo sportivo. Generalmente sono associazioni
iscritte al CONI o ad altre federazioni sportive. Sono disciplinate dalla legge n.
586/96 che le distingue dalle società sportive vere e proprie disciplinate invece dal
codice civile in tema di società.
IMPRESA SOCIALE
Non è una forma giuridica ma una disciplina che può essere applicata a tutte quelle
imprese private, comprese le cooperative, in cui l'attività economica d'impresa
principale è stabile e ha per oggetto la produzione e lo scambio di beni e servizi di
utilità sociale e di interesse generale. Si distingue così per la prima volta il concetto di
imprenditoria da quello di finalità lucrativa: si riconosce l'esistenza di imprese con
finalità diverse dal profitto. Il valore aggiunto rispetto a un'impresa tradizionale sta
nel tentativo di produrre servizi ad alto contenuto relazionale, nel cercare di fare
"rete" con esperienze del terzo settore, nel produrre esternalità positive per la
comunità; fondamentali sono la promozione dello sviluppo locale, la garanzia di
democraticità dell'organizzazione e di un coinvolgimento diretto dei lavoratori nella
gestione, l'adozione di valori quali la giustizia sociale, le pari opportunità e la
riduzione delle diseguaglianze.
L'impresa sociale può operare nei seguenti ambiti di attività:
assistenza sociale
assistenza sanitaria e socio sanitaria
educazione
istruzione
tutela ambientale
tutela dei beni culturali
formazione universitaria
formazione extrascolastica
turismo sociale
ASSOCIAZIONI RICONOSCIUTE E ASSOCIAZIONI NON
RICONOSCIUTE
Le associazioni riconosciute hanno personalità Le associazioni non riconosciute non
giuridica cioè hanno chiesto e ottenuto il hanno autonomia perfetta, per le
riconoscimento dallo Stato di :
obbligazioni assunte in nome e per conto
dell’associazione rispondono le persone
1. autonomia patrimoniale (il patrimonio che le hanno contratte.
dell’associazione è distinto e autonomo da quello Per quanto riguarda il poter ricevere
degli associati e degli amministratori)
legati testamentari deve essere verificata
la forma giuridica.
2. la responsabilità sulle obbligazioni assunte
dagli amministratori per conto dell’associazione
è limitata
3. possibilità di accettare eredità, legati, e
donazioni e di acquistare immobili
I CONTRATTI DI RILEVANZA TURISTICA
TRASPORTO
Il contratto di trasporto è quello con il quale una parte (vettore) si obbliga, in
cambio di un corrispettivo, a trasferire persone o cose da un luogo ad un altro.
Oggetto di tale contratto è lo spostamento a proprio rischio da parte del vettore, di un
bene materiale o di una persona da un luogo all’altro. La stipulazione del contratto,
nel trasporto di persone è accompagnata dal rilascio al viaggiatore di un biglietto di
viaggio, nel quale il contratto stesso è documentato. Il biglietto costituisce un
documento di legittimazione, la cui esibizione è necessaria per esigere la prestazione
del trasporto. Quando il trasporto viene effettuato da imprese che gestiscono servizi
di linea in situazione di monopolio(trasporti pubblici), vi sono due obblighi sanciti
dalla legge da rispettare: l’obbligo di accettare tutte le richieste di trasporto, e
l’obbligo di stipulare il contratto alle stesse condizioni contrattuali a chiunque ne
faccia richiesta, senza preferenze.Il trasporto è normalmente oneroso, pertanto sono
diverse le ipotesi di trasporto gratuito e trasporto amichevole. Il vettore risponde per
l’inadempimento e il ritardo del trasporto, per cui è dovuto al risarcimento del danno
se non prova che l’inadempimento è dovuto a causa a lui non imputabile. Il vettore
risponde inoltre per i sinistri che colpiscono la persona del viaggiatore durante il
viaggio, nonché per la perdita o l’avaria delle cose che il viaggiatore porta con sé
(bagaglio), se non prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. Il
regime appena descritto trova applicazione anche nell’ipotesi di trasporto gratuito.
Non è applicabile invece nel caso di trasporto amichevole, in cui manca una
stipulazione contrattuale e quindi vengono applicate le norme generali sulla
responsabilità contrattuale.
Il trasporto di cose è un contratto consensuale. La consegna al vettore fa parte del
momento esecutivo del contratto e da questa deriva l’obbligazione di custodia da
parte del vettore. Le principali obbligazioni del vettore nel trasporto di cose sono:
quella di ricevere in consegna le cose da trasportare; eseguire il trasporto secondo le
modalità e nei tremini previsti nel contratto; riconsegnare le cose nel luogo di
destinazione, dandone avviso al destinatario; custodire le cose da trasportare. Il
vettore risponde per l’inadempimento e il ritardo, essendo tenuto al risarcimento del
danno se non prova che l’inadempimento o il ritardo furono determinati da causa a lui
non imputabile. Il vettore risponde anche per la perdita o l’avaria delle cose
consegnategli dal momento in cui le riceve fino al momento in cui le consegna al
destinatario, se non prova che la perdita e l’avaria è derivata da caso fortuito, oppure
dalla natura o dai vizi delle cose traportate o dal loro imballaggio, ovvero per colpa
del mittente o del destinatario.
Documento di legittimazione: ha la funzione di identificare l’avente diritto alla
prestazione.
La Responsabilità Extracontrattuale sorge in conseguenza del divieto generale di non
recar danno agli altri e comporta l’obbligo del risarcimento del danno.
Lettera di Vettura: è il documento rilasciato dal mittente al vettore affinché
quest’ultimo acquisti una prova del contratto di trasporto. Nella lettera di vettura il
mittente deve indicare con esattezza tutti gli elementi necessari al trasporto e alla
consegna. La lettera di vettura deve essere firmata dal mittente.
Duplicato della lettera di vettura: E’ la copia della l.d.v., firmata dal vettore, che il
mittente ha diritto ad ottenere.
Ricevuta di carico: E’ il documento che, su richiesta del mittente deve essere
rilasciato dal vettore in sostituzione del duplicato della lettera di vettura.
SPEDIZIONE
E’ il contratto con cui una parte, spedizioniere, assume l’obbligo di concludere, in
nome proprio e per conto del cliente, un contratto di trasporto e di compiere le
operazioni accessorie (imballaggio, assicurazione, sdoganamento). Lo spedizioniere
si distingue dal vettore in quanto egli con il vettore conclude il contratto di trasporto.
Ha gli stessi obblighi e responsabilità del vettore.
I CONTRATTI ATIPICI
Sono dei contratti regolati soltanto dalle disposizioni generali sul contratto previste
dal codice civile e da quelle stabilite di comune accordo dalle parti. Molte imprese in
genere stipulano contratti atipici, rendendoli indispensabili allo sviluppo dell’attività
produttiva e al soddisfacimento delle proprie esigenze organizzative. I più diffusi
contratti atipici del settore turistico sono il factoring, il franchising, il catering, la
sponsorizzazione e il contratto di albergo.
FACTORING
E’ il contratto con il quale un imprenditore (cedente) cede i crediti derivanti
dall’esercizio della sua attività, in cambio di una somma di denaro o corrispettivo, a
un altro imprenditore (factor) . La cessione dei crediti pecuniari verso corrispettivo è
applicabile solo quando concorrono tre condizioni: il cedente è un imprenditore; i
crediti ceduti sorgono da contratti stipulati dal cedente nell’esercizio dell’impresa; il
cessionario è una banca o un intermediario finanziario il cui oggetto sociale preveda
l’esercizio dell’attività di acquisto di crediti d’impresa. Può avere varie funzioni:
gestione di crediti, con alleggerimento dei servizi contabili, finanziamento: mediante
la mobilizzazione del portafoglio clienti; di Assicurazione: quando il factor acquista i
crediti pro soluto; utilizzazione della organizzazione del factor per ottenete
informazioni commerciali.
FRANCHISING
Con il franchising un imprenditore (affiliante) inserisce un altro imprenditore
(affiliato) in un sistema di distribuzione, in cambio di un corrispettivo, fornendogli la
disponibilità di un complesso di elementi aziendali e la propria consulenza tecnica e
commerciale allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi.
LEASING
Il leasing è un contratto atipico con il quale una parte(concedente) concede all’altra
(utilizzatore) il godimento di un bene per un certo periodo di tempo, in cambio di un
corrispettivo e con la facoltà di acquistarne la proprietà alla scadenza pagando una
somma determinata. Il leasing operativo è caratterizzato dal fatto che in esso è lo
stesso produttore di beni che li concede in godimento ai propri clienti in cambio di un
corrispettivo. Nel leasing finanziario invece il concedente acquista un bene
direttamente dal produttore o dal distributore e poi lo concede in godimento a sua
volta all’utilizzatore.
CATERING
E’ il contratto con il quale una parte(gestore) si obbliga a fornire all’altra (cliente)
pasti pronti per essere consumati in modo continuativo o per un solo evento (ad
esempio matrimonio) dietro pagamento di un compenso. Quando il servizio di
somministrazione riguarda più in particolare l’organizzazione di banchetti viene
definito di Banqueting. In questo caso l’impresa di ristorazione si impegna a gestire
tutte le fasi del banchetto nel luogo indicato (parcheggi, addobbi, cucine, camerieri).
SPONSORIZZAZIONE
E’ il contratto con il quale un’impresa (sponsor) per pubblicizzare la propria
immagine e i propri prodotti finanzia atleti, squadre, spettacoli o manifestazioni
ottenendo quale corrispettivo l’assunzione di un obbligo di reclamizzazione. Dal
punto di vista economico può accadere che la prestazione dello sponsor sia
rappresentata dal versamento di una somma di denaro oppure dall’attribuzione gratis
della merce da pubblicizzare.
CONTRATTO DI ALBERGO
Il contratto di albergo è il contratto con cui una parte (albergatore) si obbliga ad
alloggiare l’altra ( albergato o cliente) in uno o più locali adeguatamente mobiliati e
provvisti di adeguati servizi e di solito a fornirgli le bevande e i cibi richiesti, in
cambio di un corrispettivo. Obbligazioni dell’albergatore sono quella di far godere al
cliente dei locali di albergo a lui destinati, oltre che dei locali comuni e di altri
innumerevoli servizi. L’obbligazione maggiormente disciplinata riguarda la custodia
delle cose del cliente. L’albergatore è responsabile di ogni distruzione,
deterioramento o sottrazione delle cose portate dal cliente in albergo. Per quanto
riguarda le obbligazioni del cliente, questi è tenuto a usare i locali dell’albergo
secondo l’uso normale che è quello dell’abitazione, non può portare in albergo cose o
animali pericolosi, risponde inoltre di ogni danno apportato agli immobili e agli
oggetti messigli a disposizione. E’ obbligato inoltre soprattutto al pagamento del
corrispettivo per il servizio di cui ha usufruito.
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Con il termine Pubblica Amministrazione si intende quel complesso apparato
costituito dallo stato e da altri enti pubblici a carattere territoriale, previdenziale,
assistenziale, culturale, la cui funzione principale è quella di garantire i servizi
pubblici volti a soddisfare i bisogni della collettività. Nell’esercizio dell’azione
amministrativa, la pubblica amministrazione, è tenuta al rispetto di alcuni principi
fondamentali: principio di legalità (comporta la sottoposizione della p.a. alle
prescrizioni di legge è sta a significare non solo che l’amministrazione può
provvedere solo se la legge glielo consente, ma anche che tutti gli atti della pubblica
amministrazione devono essere emanati nei limiti stabiliti dalla legge), principio di
imparzialità ( che afferma l’obbligo della Pubblica Amministrazione di svolgere la
propria attività imparzialmente e nel pieno rispetto della giustizia), principio di
buona amministrazione (che indica l’obbligo per i funzionari amministrativi ed in
genere per tutti gli agenti dell’amministrazione, di svolgere la propria attività secondo
le modalità più idonee ed opportune, al fine della efficacia, efficienza, speditezza ed
economicità dell’azione amministrativa, con il minor sacrificio degli interessi
particolari dei singoli.
La pubblica amministrazione inoltre esercita tre compiti fondamentali:
di organizzazione (riguardano l’assetto dell’intero apparato amministrativo dello stato
e degli enti locali, delle strutture e dei mezzi a disposizione per il perseguimento dei
compiti istituzionali, di conservazione (che riguardano le attività che lo stato svolge
per prevenire, evitare, reprimere eventuali turbative interne o esterne dell’ordine
sociale. Uno dei più importanti compiti di conservazione è l’attività di polizia, i
compiti di benessere invece, riguardano quelle molteplici e disparata attività con le
quali la pubblica amministrazione tutela il benessere fisico ed economico della
popolazione, la sua elevazione morale, spirituale e intellettuale.
Lo Stato Italiano oltre che operare attraverso i propri organi (amministrazione
diretta), può avvalersi anche degli organi e delle attività di altri enti ai quali viene
riconosciuta ampia autonomia (amministrazione indiretta). Da qui, in particolare
deriva il concetto di decentramento amministrativo che consiste, nell’attribuzione di
compiti e poteri ad organi diversi dallo stato.
NORMATIVA E LEGISLAZIONE DEL CONTRATTO TURISTICO
Il contratto turistico di locazione salvaguarda e tutela il proprietario di un immobile
e, l’affittuario, da eventuali truffe, contenziosi legali e spiacevoli inconvenienti che si
potrebbero verificare nel corso dell’utilizzo del bene.
Questa, è la ratio con la quale il legislatore ha introdotto l’impiego di un contratto a
tutela di quanti, anche per brevi periodi, decidano di porre in affitto la propria casa o,
prendere in affitto, un appartamento per trascorrere le proprie vacanze. Ultimamente,
infatti, è stato riscontrato un forte aumento delle stipule contrattuali, causa anche il
desiderio di sentirsi maggiormente tutelati in caso di eventuali inadempienze o
spiacevoli sorprese, imputabili sia agli affittuari che ai proprietari stessi
dell’immobile dato in locazione. Indubbiamente la diffidenza, propria dei nostri
giorni, ha invogliato a ricorrere sempre più al contratto turistico di locazione, in
luogo del più conosciuto contratto transitorio, nelle condizioni e circostanze in cui
questo sia fattibile.
Contratto turistico di locazione e contratto transitorio a confronto
Il contratto turistico di locazione prevede la stipula tra le parti, nel solo caso in cui
la locazione avvenga per un periodo superiore ai trenta giorni. In caso contrario, la
legge non prevede alcuna azione di registro e nessun obbligo a carico del proprietario
e dell’affittuario.
Il contratto transitorio, invece, prevede obbligatoriamente la stipula e la
registrazione, poiché, per la natura propria di questo tipo di contratto, viene stipulato
in vista di una locazione, per un periodo sì definito, ma sicuramente lungo.
In generale, nel caso si intenda ricorrere al contratto di locazione turistica, anche
nell’ipotesi in cui non sussistano i trenta giorni, sarebbe buona norma, onde evitare
spiacevoli inconvenienti, sottoscrivere ugualmente un accordo, di natura informale,
ma di fatto cautelativo.
Prescrizioni del contratto turistico
Il contratto turistico di locazione, rientrando a pieno titolo tra le varie tipologie di
contratti di locazione, è disciplinato e, regolamentato, dal Codice Civile, dagli
articoli 1571 e seguenti. In questi articoli sono indicati i doveri del proprietario e
dell’affittuario, incondizionatamente.
Diversamente dagli altri tipi di contratto di affitto, non vi è l’obbligo di versare
eventuale caparra, né tantomeno di depositare una cauzione.
Il legislatore, e quindi la norma, non imponendo percentuali di riferimento da
calcolare sul canone stabilito, rende i contraenti liberi di decidere modalità e
condizioni di pagamento, più rispondenti alle singole necessità.
Nel caso in cui si versasse ugualmente una cauzione, il proprietario non potrà
rivalersi in alcun modo sulla cauzione stessa, come ad esempio per eventuali danni
derivanti dalla rescissione del contratto o per pagamenti che, in origine, erano inclusi
nel prezzo, come nel caso delle utenze.
Viceversa, il locatario avrà l’obbligo di mantenere in esercizio l’immobile datogli in
locazione, di garantirne l’uso per il quale gli è stato locato e di mantenerlo agibile e
nelle stesse condizioni in cui gli è stato consegnato.
La somma pattuita va pagata, per intero, al termine del periodo contrattuale e, per
quanto riguarda la registrazione, questa va effettuata presso l’Agenzia delle Entrate.
L’imposta di bollo deve essere divisa in egual parte tra i contraenti, ossia tra
proprietario e locatario, e la registrazione può essere effettuata anche on-line.
Se si opta per l’utilizzo della cedolare secca, questo andrà indicato all’atto della
registrazione del contratto, con il Modello Siria o Modello 69, messi a disposizione
sul sito dell’Agenzia delle Entrate, evitando così il pagamento dell’imposta di
registro.
Condizioni di stipula per un contratto turistico di locazione
Come per tutti i contratti, anche per il contratto turistico di locazione, andranno
indicati per prima cosa i dati personali del proprietario dell’immobile da locare e del
locatario.
Andrà poi individuato il bene, specificandone l’indirizzo e i dati catastali, indicando
la presenza, o meno, di un ascensore, di un posto auto, l’utilizzo di parti comuni
come, ad esempio, di una piscina condominiale e via dicendo.
Inoltre, andranno specificate le consistenze, ossia la presenza del numero di stanze e
relativi posti letto, numero dei bagni, cucina, zona giorno, il piano di riferimento,
l’eventuale uso di lastrico solare.
Se poi, l’appartamento è arredato, andranno elencati, in una sorta di inventario,
mobili e suppellettili presenti. Va quindi segnalato l’importo del canone di locazione,
se è stata, o meno versata una caparra o una cauzione, oltre l’indicazione di tutte
quelle spese che si intendono incluse, oppure escluse, dal prezzo pattuito, come nel
caso delle utenze come l’elettricità, il gas, le pulizie o il condominio. Andranno poi
indicati i termini per la consegna dei locali e quelli per la riconsegna dell’immobile e
delle relative chiavi.
ENTI PUBBLICI
Un ente pubblico è una persona giuridica creata secondo norme di diritto pubblico,
attraverso cui la pubblica amministrazione svolge la sua funzione amministrativa.
Ricordiamo che in diritto con la locuzione PERSONA GIURIDICA s'intende un
complesso organizzato di persone e di beni al quale l'ordinamento giuridico
attribuisce la capacità giuridica, facendone così un soggetto di diritto.
Gli enti pubblici si contrappongono, quindi, alle persone giuridiche create secondo
norme di diritto privato, che sono per lo più destinate a perseguire interessi di
carattere privato, ma possono però anche svolgere funzioni amministrative.
Requisiti
I requisiti per la corretta qualificazione di un ente pubblico sono:
_ la FONTE che lo istituisce, che è normalmente una LEGGE (o un atto con forza di
legge, e quindi un decreto legislativo o un decreto legge);
_ le FINALITA’ perseguite, che devono indicare modi di raggiungimento del bene
comune attraverso azioni ed obiettivi di INTERESSE PUBBLICO; la prevalenza nel
rapporto con altri soggetti di diritto, ad esempio con le persone fisiche, le quali non
sono pertanto in dignità paritaria nei confronti dell'ente (questa prevalenza può
esprimersi come facoltà di esercizio di potestà di varia natura, come l'imposizione di
speciali limitazioni della libertà contrattuale dei soggetti che vi entrano in relazione,
anche, ad esempio, mediante la determinazione di tariffe unilateralmente determinate
per i servizi forniti, nonostante l'eventuale posizione monopolistica dell'ente);
_ uno STRETTO CONTROLLO DA PARTE DEGLI ORGANI STATALI
SULL'OPERATO DELL'ENTE
_ la SOGGEZIONE AD UN PARTICOLARE REGIME GIURIDICO DI DIRITTO
AMMINISTRATIVO, prioritario rispetto alle previsioni del diritto privato,
caratterizzato da diversi attributi, che sono:
1) Autarchia
L'Autarchia letteralmente è la CAPACITÀ DI GOVERNARSI DA SÉ; in questo
contesto è la capacità degli enti, diversi dallo Stato, di possedere delle potestà
pubbliche per il perseguimento dei propri interessi.
Tipiche espressioni dell'autarchia degli enti pubblici possono essere LA
POSSIBILITÀ DI AGIRE PER IL TRAMITE DI PROVVEDIMENTI
AMMINISTRATIVI CON LA STESSA EFFICACIA DI QUELLI EMESSI DALLO
STATO, o la capacità di fornire certificazione o il potere di determinare la propria
organizzazione interna.
2) Autotutela
Il potere di Autotutela è garantito ad ogni Ente Pubblico o ad ogni altro organo
stabilito dalla legge in merito alla possibilità di risolvere un conflitto di interessi
attuale o potenziale e, in particolare, di sindacare la validità dei propri atti
producendo effetti incidenti sugli stessi, nell'ambito di tutela dell'interesse pubblico.
Sono esempi di questa capacità il potere di revoca, la sospensione, proroga, e
rimozione degli "effetti dell'atto", di annullamento o convalida dell'atto e dei suoi
effetti ex tunc, o ancora di riforma, sanatoria, ratifica e rinnovazione dell'atto e dei
suoi effetti ex nunc.
Tipologie degli enti pubblici
Parlando di tipologie degli enti pubblici, possiamo distinguere tra:
- enti pubblici TERRITORIALI, per i quali il territorio è un elemento essenziale
affinché l'ente esista come tale (esempi sono lo Stato (del quale si discute come "ente
pubblico territoriale a fini generali"), le Regioni, le Province, i Comuni, le Camere di
Commercio);
- enti pubblici NON TERRITORIALI, per i quali l'elemento territoriale non è
discriminante; questi operano solo limitatamente a determinati aspetti (come l'INPS,
che opera per tutta l'Italia, ma ha competenza per la previdenza sociale o l'Agenzia
delle Entrate che ha competenza per l'imposizione fiscale).
In relazione al territorio rispetto al quale svolgono le loro attività possono anche
distinguersi in:
- enti pubblici NAZIONALI;
- enti pubblici LOCALI;
Infine possono distinguersi anche in:
- enti pubblici ECONOMICI
- enti pubblici NON ECONOMICI
ENTI PUBBLICI ECONOMICI: è un ente pubblico che è dotato di PROPRIA
PERSONALITÀ GIURIDICA, PROPRIO PATRIMONIO E PROPRIO
PERSONALE DIPENDENTE, il quale è sottoposto al rapporto d'impiego di diritto
privato; essendo separato dall'apparato burocratico della Pubblica Amministrazione
può adattarsi più facilmente ai cambiamenti del mercato, anche perché ha ad oggetto
esclusivo o principale l'esercizio di un'impresa commerciale. Inoltre, un E.P.E. deve
essere iscritto nel registro delle imprese.
Rimane tuttavia il legame con la Pubblica Amministrazione, perchè gli organi di
vertice sono nominati in tutto o in parte dai Ministeri competenti per il settore in cui
opera l'ente; ai detti Ministeri spetta un potere di indirizzo generale e di vigilanza.
Spesso sono il passaggio intermedio nella trasformazione di un'azienda autonoma in
società per azioni.
E poi abbiamo gli enti pubblici NON ECONOMICI, quando l'oggetto principale della
loro attività non è quindi la produzione di beni e servizi.
Fini e attribuzioni
Gli enti pubblici, in quanto persone giuridiche, perseguono i fini stabiliti dal proprio
statuto e tale discorso vale anche per l'ente pubblico principale, lo Stato, perchè anche
lo Stato persegue i fini degli associati che ne fanno parte.
I fini sono previsti dai poteri dello stato in rappresentanza all'intera comunità.
Per perseguire i determinati fini, gli enti pubblici sono soggetti ad ATTRIBUZIONI,
cioè ad insiemi di poteri amministrativi che non esauriscono ciò che l'ente possa fare,
ma ne delimitano solo i poteri amministrativi.
Le attribuzioni vengono poi distribuite all'interno dell'ente fra i suoi vari organi
secondo varie COMPETENZE. L'ente pubblico, inoltre, ha i poteri che scaturiscono
dal diritto privato per il semplice fatto che è comunque una persona giuridica.
Competenze ed attribuzioni possono essere divise secondo quattro criteri: materia,
destinatari, territorio e dimensioni.
Il cittadino è il principale portatore di interessi legittimi rispetto le finalità perseguite
dagli enti pubblici (come del resto per quelle perseguite dalla pubblica
amministrazione).
In base a questa considerazione gli organi direttivi dell'ente pubblico dovrebbero
privilegiare i processi che creano valore per l'utente finale-cittadino (i processi
primari), rispetto a quelli di supporto e a quelli burocratici.
Nel caso in cui l'ente pubblico goda di autonomia economica, questo non è soggetto a
vincoli di bilancio per l'incremento delle voci di costo e delle passività, o a
provvedimenti che vietano l'indebitamento, garantito con il patrimonio dell'ente;
Il controllo sull'attività degli enti pubblici si avvale principalmente della possibilità di
tagliare i finanziamenti e di rimuovere i vertici dall'incarico, piuttosto che di sanzioni
penali per una gestione non rispettosa dei compiti assegnati agli organismi dirigenti.
LA STRUTTURA DEGLI ENTI PUBBLICI
Come tutte le persone giuridiche, anche lo Stato e gli enti pubblici hanno una propria
organizzazione
interna composta di beni e di persone fisiche che agiscono per conto dell’ente.
Nell’organizzazione di ogni ente pubblico possiamo distinguere GLI ORGANI E GLI
UFFICI.
Parlando in generale, ORGANO di una persona giuridica è la persona fisica o
l’insieme di persone fisiche che agisce per essa, compiendo atti giuridici. Gli atti
giuridici compiuti dall’organo sono imputati alla persona giuridica, come fossero stati
compiuti dalla stessa, e quindi si dice che tra organo e persona giuridica s'instaura
una relazione di immedesimazione organica detta anche RAPPORTO ORGANICO,
termine quest’ultimo che è ritenuto da molti improprio perchè il rapporto giuridico
presuppone una pluralità di soggetti di diritto tra i quali intercorre, mentre in questo
caso c’è un solo soggetto, la persona giuridica, del quale l’organo non è altro che una
parte.
Quanto appena detto, differenzia l’immedesimazione organica dalla
RAPPRESENTANZA, essendo questa un vero e proprio rapporto giuridico in virtù
del quale un soggetto di diritto (il rappresentante) agisce per un altro soggetto (il
rappresentato), imputando a questo gli effetti dei propri atti.
L’organo, a differenza del rappresentante, non imputa alla persona giuridica soltanto
gli effetti degli atti compiuti, ma anche gli atti stessi; ne segue che, per l’ordinamento
giuridico, sono atti non dell’organo ma della persona giuridica.
ORGANI E UFFICI
Il concetto di organo si distingue da quello più generale di UFFICIO, che denota
qualsiasi unità elementare nella quale si articola la struttura organizzativa della
persona giuridica, a prescindere dal fatto che le sue attività si traducano in atti
giuridici a rilevanza esterna (o, come si suol dire, idonei ad impegnare l'ente nei
rapporti con i terzi).
Ne segue che gli organi della persona giuridica sono suoi uffici, deputati al
compimento di atti giuridici imputati all’ente di appartenenza, ma che non tutti gli
uffici sono organi.
In un'ottica prettamente giuridica, l'ufficio che non sia anche organo svolge funzioni
strumentali, atte a mettere l'organo in condizioni di realizzare i suoi atti, anche
quando, come avviene non di rado nella pratica, quest'ultimo si limita a far proprio
l'atto predisposto dall'ufficio.
Va peraltro notato che la distinzione tra organi ed uffici è questione di prospettiva:
per l'ordinamento esterno all'ente sono rilevanti solo i rapporti tra l'ente stesso e gli
altri soggetti, per cui sono considerati organi solo gli uffici attraverso i quali questi
rapporti si esplicano; per l'ordinamento interno all'ente, invece, sono rilevanti anche i
rapporti tra uffici, sicché questi possono essere considerati tutti organi.
IL DIRITTO AMMINISTRATIVO
Si definisce diritto amministrativo quel complesso di norme appartenenti al diritto
pubblico che offrono una disciplina giuridica della pubblica amministrazione, nei
beni e nelle attività ad essa peculiari, nonché nei rapporti che dall’esercizio di questa
scaturiscono nei confronti degli altri soggetti.
Accanto alle norme che disciplinano la pubblica amministrazione sotto un profilo per
così dire sostanziale, rientrano poi nel diritto amministrativo anche quelle norme che
prevedono e disciplinano i modi e le forme di tutela delle situazioni soggettive di quei
soggetti che in diverso modo, e per diverse ragioni, si trovano in conflitto con
l’amministrazione. Si tratta cioè di quelle disposizioni che prevedono e disciplinano
non solo il procedimento dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria ma anche quello
dinanzi al giudice amministrativo rientranti in quello che comunemente viene
indicato come diritto processuale amministrativo.
Per ciò che concerne le fonti del diritto amministrativo, non si può non rilevare che
questo ramo del diritto si caratterizza, a differenza del diritto civile, di quello penale e
delle relative procedure, per l’assenza di un codice che disciplini i vari aspetti.
Sebbene tale assenza sia stata da più parti rilevata soprattutto al fine di sottolineare
quanto questo risulti pregiudizievole per la organicità del sistema, esso presenta
ancora oggi un materiale legislativo sparso, ed alcune volte disorganico e
frammentario, tale da rendere necessaria la elaborazione, o rielaborazione, da parte
tanto della dottrina quanto – soprattutto – della giurisprudenza di concetti generali
volti a garantire una certa sistematicità dell’intera disciplina.
Gli apparati amministrativi
Si tratta di una pluralità di enti pubblici che sono organizzati secondo un disegno
unitario, le cui radici sono assai antiche, che pone al centro della struttura
amministrativa lo Stato. Quest’ultimo è inteso come l’Ente pubblico per eccellenza,
che racchiude al suo interno quell’insieme di "Enti" che esercitano i propri poteri
sull’intero territorio nazionale e che fanno capo al "Governo", composto a sua volta
da:
•
Consiglio dei Ministri: organo collegiale formato dai singoli Ministri e dal
Presidente del Consiglio. Esso svolge un ruolo centrale anche in ordine alla
determinazione dell’atteggiamento che lo stesso Governo deve tenere nei
rapporti con le Regioni (si pensi ad esempio agli atti di indirizzo e di
coordinamento dell’attività amministrativa delle Regioni) ed alla
determinazione della politica normativa del Governo (il Governo, infatti,
assume apposite deliberazioni sui disegni di legge di iniziativa del Governo da
•
•
presentare al Parlamento, sulle comunicazioni che il Governo intende fare alle
Camere sulle proposte di legge non governative; sui decreti aventi valore o
forza di legge e sui regolamenti da emanare con Decreto del Presidente della
Repubblica).
Presidente del Consiglio dei Ministri: il quale è posto in posizione di
supremazia rispetto ai Ministri ed al quale spetta la direzione della politica
generale del Governo, ed il mantenimento dell’unità di indirizzo politico ed
amministrativo del Governo. Esso svolge una funzione di indirizzo politico ed
amministrativo del paese attraverso la determinazione della politica generale
del Governo e dell’indirizzo generale dell’azione dell’amministrazione.
Ministri i quali sono solitamente posti a capo di una struttura amministrativa
che prende il nome di Ministero. Vi sono anche delle ipotesi in cui il
Presidente del Consiglio dei Ministri procede alla nomina di un Ministro pur
non essendo quest’ultimo a capo di un dicastero di cui essere responsabili (c.d.
Ministri senza portafoglio).
La struttura ministeriale non è però l’unica, cioè i Ministeri non sono gli unici
apparati facenti parte dell’amministrazione centrale.
Lo Stato amministrazione, per lo svolgimento della propria attività viene di fatto
affiancato da altre strutture amministrative distinte dai Ministeri il cui ambito di
attività si estende a tutto il territorio dello Stato.
Infatti, accanto ai singoli Ministeri, soprattutto a seguito di una sempre crescente
espansione dell’attività dello Stato nel settore economico, sono stati creati altri
soggetti amministrativi i quali perseguono fini che in qualche modo completano
l’azione statale, si pensi ad esempio alle Università non statali che completano
l’azione che lo Stato svolge nel settore dell’istruzione universitaria (attraverso le
Università statali, appunto).
Sempre a livello centrale, accanto ai Ministeri si pongono poi quegli enti cui sono
attribuite funzioni consultive quali ad esempio il Consiglio superiore della
magistratura, per il quale si rinvia alla parte relativa al diritto Costituzionale, e
l’Avvocatura dello Stato che provvede all’assistenza legale della pubblica
amministrazione.
A partire dagli anni Ottanta, e in maniera più sensibile negli anni Novanta, si è reso
necessario un vero e proprio ripensamento delle strutture amministrative sempre
meno adatte a rispondere in maniera efficiente alla crescente, e soprattutto diversa
sotto un profilo qualitativo, domanda di amministrazione proveniente dalla società.
Da un lato l’ampiezza dei compiti affidati allo Stato ha reso necessaria l’introduzione
di moduli organizzatori non più rigidamente burocratizzati, bensì di modelli più
elastici e duttili, tali da garantire il passaggio da una gestione burocratica
dell’amministrazione ad una gestione per così dire manageriale della stessa.
Dall’altro proprio la generale accettazione delle regole di una economia di mercato ha
portato ad un mutamento dei compiti affidati allo Stato, il quale non viene più
chiamato a svolgere un attività direttamente tutte le attività ritenute essenziali per la
tutela degli interessi della collettività (si pensi ad esempio alla erogazione da parte
dello Stato dei servizi pubblici quali i trasporti o l’energia elettrica) o comunque una
attività di rigida direzione del sistema secondo moduli tali da porre lo Stato al centro
del panorama giuridico rendendolo per tale via "il principio e la fine di tutta la vita
giuridica e sociale". Esso, al contrario, è chiamato a svolgere un ruolo assai diverso.
Non è più richiesto, come si diceva, un intervento diretto nel sistema bensì interventi
indiretti, attuati cioè attraverso la statuizione di regole di condotta attraverso le quali
lo Stato garantisce il governo giuridico di alcuni settori.
Ed è appunto questo mutamento di prospettiva che ha comportato l’introduzione
nell’ambito della organizzazione amministrativa di figure e moduli organizzativi
nuovi, alcuni dei quali mutuati dal diritto privato .
Questo passaggio è particolarmente evidente se si ha riguardo alla introduzione della
figura delle Amministrazioni indipendenti preposte alla regolazione, e alla vigilanza
di particolari settori di mercato quali quello della concorrenza e delle
telecomunicazioni, che si discostano in maniera assai netta dal modello ministeriale,
ponendosi in un certo senso proprio come il tentativo di dare una risposta alla crisi
che da anni interessa questo modello considerato ormai recessivo.
Esempi di Amministrazioni indipendenti attualmente presenti nel nostro panorama
amministrativo sono:
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la Consob (Commissione nazionale per le Società e la Borsa);
L'Isvap (Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni private);
Il Garante per la radiodiffusione e l’Editoria (attualmente riformato);
L'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato;
l’Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione;
l’Autorità per i pubblici servizi;
l’Autorità garante per la tutela dei dati personali;
l’Autorità per i lavori pubblici.
LE COMPETENZE IN DIRITTO AMMINISTRATIVO
In diritto è detta competenza la sfera di poteri e facoltà attribuita ad un organo. La
competenza ha una funzione di limite, in quanto definendo facoltà e poteri pone dei
limiti all'agire degli organi: gli atti compiuti dall’organo al di fuori della sua
competenza sono invalidi e precisamente affetti dal vizio di
incompetenza.
Se la persona giuridica ha un solo organo, questo esercita tutti i poteri e le facoltà
spettanti alla persona giuridica. Se, invece, come normalmente accade, gli organi
sono più di uno, i poteri e facoltà sono ripartiti tra gli stessi, in relazione alla
divisione del lavoro operata nella struttura organizzativa,
sicché ad ogni organo è attribuita una competenza. Si suole pertanto distinguere
l'attribuzione di poteri e facoltà all'ente dalla competenza del suo organo, che è la
frazione di tali poteri e facoltà spettante al medesimo.
Alla competenza esterna, come sopra definita, si suole impropriamente contrapporre
la competenza interna, intesa quale insieme di compiti, privi di rilevanza giuridica
esterna, attribuiti ad un ufficio in relazione alla divisione del lavoro operata nella
struttura organizzativa dell'ente.
Secondo i criteri usati dalla norma che conferisce la competenza per delimitare la sua
sfera, si parla di:
_ competenza per materia, quando è delimitata con riferimento ad un insieme di
fattispecie (ossia una materia);
_ competenza per territorio (o territoriale), quando è delimitata con riferimento ad
una parte del territorio (detta circoscrizione);
_ competenza per grado, quando è delimitata con riferimento al livello gerarchico
che l'organo occupa all'interno della struttura organizzativa.
In relazione all'esercizio di funzioni pubbliche, la competenza può essere legislativa
(o, più in generale, normativa), amministrativa o giurisdizionale, secondo la funzione
dello stato alla quale si riferisce. Talvolta, quale sinonimo di competenza di un
organo pubblico si usa il termine giurisdizione in uno dei suoi molteplici significati.
La competenza amministrativa indica la quota di poteri e funzioni pubbliche
attribuite ad un determinato organo della PA e, dunque, ne delimita compiti e potestà.
In base a quanto stabilito dall'art. 97 Cost. la competenza amministrativa degli organi
viene individuata sulla base della legge; si tratta di una riserva di legge relativa.
La competenza, in senso tecnico, individua la sfera delle attribuzioni dei soli organi
con competenza esterna. Le attribuzioni degli uffici amministrativi senza competenze
a rilievo esterno possono essere individuate anche sulla base di fonti normative di
rango secondario. La competenza amministrativa, in senso negativo, vale ad
individuare il vizio di incompetenza degli atti amministrativi.
LA DOMANDA E L’OFFERTA TURISTICA
IL BISOGNO DI TURISMO
Rappresenta l’importanza dell’esigenza di vacanze e svago. Quindi è molto
importante sia sotto l’aspetto psicologico (comportamento umano) sia nell’ambito
socio-economico.
A riguardo del primo punto si evidenzia il bisogno umano di relazionarsi con il
prossimo. Attraverso le vacanze, il passatempo, il turismo più in generale, si tentano
di sviluppare tali relazioni. Negli ultimi anni la vacanza nel villaggio turistico,
appunto, è tra le più richieste da: famiglie, single o coppie, giovani e meno giovani,
studenti, professionisti, impiegati e imprenditori.
LE MOTIVAZIONI TURISTICHE
Un aspetto molto importante per chi si occupa di turismo, è quello di considerare le
motivazioni psicologiche che inducono il turista a prediligere un tipo di vacanza
piuttosto che un’altra. L’analisi di questo aspetto consente di prevedere, quindi
organizzare e programmare diverse attività turistiche in una determinata area oppure
produrre servizi turistici a doc. A tal proposito è necessario formare un vero e proprio
identikit del consumatore, poiché la spinta a fare turismo può essere determinata da
diverse motivazioni: bisogno di crescita personale, di riposo, di auto realizzazione, di
evasione, di prestigio, di successo, di autoaffermazione, di relazione.
L’EVOLUZIONE DEL TURISMO
Altri fattori che hanno contribuito allo sviluppo del turismo sono di natura socioeconomica. Infatti nell’ultimo ventennio, per esempio in Italia sono variati diversi
aspetti sociali quali: il tenore di vita; l’organizzazione del lavoro; la cultura ed i
consumi culturali; il concetto di tempo libero. Pertanto, siccome si può certamente
sostenere che il turismo è la prima industria del mondo, se si considera anche il suo
indotto (attività legate ad esso da rapporti di affari edicole, negozi, trasporti ecc), il
turismo può essere considerato una forma o un bene di consumo di massa specifico
della società industriale (contemporanea).
LA DOMANDA TURISTICA
E’ la quantità di beni e servizi turistici richiesta in un dato momento da parte di uno o
più individui.
Capire e sviluppare la domanda di turismo significa prendere in esame lo
spostamento di persone dalla propria zona di residenza verso un’altra per una
vacanza. In tale quadro bisogna studiare: la tipologia del consumatore, le sue
motivazioni, le modalità, le località, il periodo e soprattutto il prezzo. Analizzare
questi aspetti connessi al consumatore significa conoscere gli individui operando
distinzioni tra loro (sesso, età, istruzione ecc) e cercare poi di capire le loro tendenze
comportamentali. (ex: vi sono turisti che spendono molto e pretendono alta qualità di
servizi; altri pur di non rinunciare alla vacanza si accontentano di meno servizi a
fronte di un minor costo).
Altri elementi che condizionano la domanda di turismo sono: il prezzo; il reddito; i
tassi di cambio; le caratteristiche e le risorse delle località; il clima; il tempo libero; le
condizioni politico-economiche delle località; la moda.
Ovviamente + il prezzo è basso + vi sono persone disposte ad acquistare questo tipo
di bene, quindi vi è un aumento della domanda. All’aumento dei prezzi la domanda
diminuisce seguendo un conseguente andamento alla diminuzione della domanda.
Ne consegue una regola: la domanda di turismo è variabile, nel senso che può
aumentare o diminuire in un dato momento, in un determinato paese e per determinati
beni/servizi. Naturalmente bisogna sempre tenere conto degli altri effetti
precedentemente accennati (di natura sociale ed economica) che vanno ulteriormente
ad incidere sull’argomento: caratteristiche della località, effetto imitazione, voglia di
esclusività, reddito, rapporti di cambio favorevoli, ecc.
Altra caratteristica della domanda di turismo è la sua concentrazione nel tempo e
nello spazio, nel senso che è concentrata in alcuni periodi dell’anno, ed è indirizzata
in determinate zone, località, aree geografiche. Infatti la domanda turistica è
stagionale (se la richiesta legata alle stagioni: neve ecc. o culturale: carnevali ecc.)
o ciclica (quando si ripete periodicamente tipo le vacanze estive connesse alla
chiusura generalizzata dei posti di lavoro).
IL TURISMO INTERNO ED ESTERNO
Coloro che viaggiano nel paese dove risiedono praticano il turismo interno (domanda
interna); quelli che si spostano fuori dai confini nazionali svolgono turismo estero
(domanda estera).
La domanda interna è molto cresciuta negli ultimi anni, creando effetti positivi
sull’economia nazionale: equilibrata distribuzione geografica del reddito nazionale;
utilizzo maggiore delle infrastrutture che richiedono elevati costi collettivi; maggiore
occupazione delle strutture ricettive.
La domanda di turismo estero è una importante fonte di reddito, poiché i turisti
pagano i servizi con al valuta del loro paese (dollari, yen, sterline) e ciò favorisce nel
paese ospitante l’aumento delle riserve di valuta straniera.
L’OFFERTA TURISTICA
La quantità dei beni e servizi offerti al consumatore in un dato momento.
All’aumentare del prezzo aumenta la quantità di beni offerti. Al contrario, al
diminuire del prezzo diminuisce la quantità offerta.
L’offerta turistica è rigida (poiché nel breve periodo non riesce ad adeguarsi ai livelli
della domanda) e intrasferibile (perché le strutture turistiche sono fisse, cioè non
possono essere spostate in altre zone dove si registra una maggiore domanda
turistica).
L’EQUILIBRIO DEL MERCATO
I produttori senza i consumatori non potrebbero esercitare; viceversa i consumatori
senza i produttori non possono soddisfare le proprie necessità.
Il mercato è il meccanismo con cui compratori e venditori di un bene interagiscono
per determinare il prezzo e la quantità prodotta.
Il prezzo di un bene/servizio è l’elemento base della contrattazione. Si ha una
situazione di equilibrio della domanda e dell’offerta se entrambi i soggetti economici
che agiscono sul sistema economico si bilanciano.
In caso contrario vi è una situazione di squilibrio, allorquando:
• la domanda è > dell’offerta (consumatori non soddisfatti dalle imprese che
aumentano prezzi ottenendo più guadagni);
• la domanda è < dell’offerta (produttori costretti a diminuire i prezzi per
vendere).
ORDINAMENTO GIURIDICO E NORMA GIURIDICA
L’oggetto del diritto pubblico
Il diritto mira a determinare e ordinare i comportamenti degli uomini in quanto
membri di una societas (funzione prescrittiva del diritto), ma al tempo stesso il diritto
è il prodotto, storicamente condizionato, di quella stessa societas e dei molteplici
rapporti esistenti fra i membri della stessa.
Il diritto pubblico ha ad oggetto lo studio dei principi di legittimazione del potere
pubblico, delle norme di organizzazione e di gestione di tale potere e delle norme che
disciplinano le forme di responsabilità cui sono soggetti quanti svolgono funzioni che
comportano la gestione di potere pubblico.
Una distinzione tradizionale è quella tra diritto pubblico e diritto privato.
Del diritto privato fanno parte il diritto civile, il diritto commerciale, il diritto
industriale, il diritto di famiglia, ecc. Il diritto pubblico, come detto, disciplina
l’organizzazione e l’azione dello Stato e degli enti pubblici, regola i comportamenti
cui i privati sono tenuti per il perseguimento delle finalità stabilite dalla legge come
«pubbliche». Il diritto pubblico si articola nelle varie branche del diritto
costituzionale, del diritto amministrativo, del diritto penale, del diritto tributario, ecc.
La tradizionale distinzione fra diritto pubblico e diritto privato tende a distinguere le
norme relative al potere pubblico (e alle modalità di rapporto dei singoli con tale
potere) dalle norme che disciplinano l’autonomia lasciata ai soggetti privati. Questa
distinzione, utile dal punto di vista didattico, si rivela però, ad un esame più
approfondito, tutt’altro che chiara e non sempre rispondente alla realtà. Si pensi, ad
esempio, alle varie forme di intervento dello Stato negli ambiti dell’economia o allo
scopo di protezione del singolo che si trovi in una posizione di oggettiva debolezza
(dalla tutela del consumatore alle diverse forme di tutela sociale). Ma proprio questa
considerazione ci dimostra quanto siano «pericolose», nello studio del diritto, le
definizioni.
Norma giuridica e ordinamento giuridico
Tradizionalmente si afferma che la norma giuridica è la regola generale e astratta
volta a disciplinare una serie indeterminata di casi. La generalità e l’astrattezza
consistono nell’attitudine della norma a regolare intere categorie di fatti o di
comportamenti.
In merito ai caratteri della norma giuridica, questi vengono individuati nella:
– imperatività: la norma giuridica è un comando (è una proposizione prescrittiva) la
cui trasgressione comporta l’applicazione di una sanzione o comunque la produzione
di ulteriori effetti previsti dall’ordinamento;
– coercibilità: a lungo si è discusso se anche la coercibilità (la previsione di una
sanzione irrogata a chi non obbedisca alla norma) sia un carattere proprio della norma
giuridica. Nell’ordinamento è infatti frequente rinvenire norme sprovviste di
sanzione. L’assenza di sanzione però non può giungere a negare la giuridicità delle
relative norme giacché la coercibilità va riferita, più che alle singole norme,
all’ordinamento giuridico, cioè al «sistema» costituito dalle norme medesime;
– esteriorità: la norma giuridica ha ad oggetto i comportamenti umani come si
estrinsecano nel mondo esteriore; questo elemento serve a distinguere la norma
giuridica (e dunque il diritto), fondato sulla esteriorità, dalla norma morale fondata
invece sulla interiorità; a tal proposito si dice anche che la norma giuridica è una
norma eteronoma e quella morale una norma autonoma;
– generalità e astrattezza: questi non sono requisiti essenziali, ma caratteri «naturali »
(Crisafulli) delle norme giuridiche, giacché possono esistere anche norme riguardanti
casi individuali e concreti (c.d. leggi-provvedimento). La dottrina tradizionale prende
le mosse dal riconoscimento dei caratteri di generalità e astrattezza della norma
giuridica, come precetto avente ad oggetto un insieme di situazioni possibili e, per
tale ragione, suscettibile di indefinita applicazione (generalità e astrattezza nel senso
della «ripetibilità») (Crisafulli). In questa ricostruzione la generalità della norma
viene a concretizzarsi nella impersonalità e l’astrattezza nella ripetibilità (Cerri).
In merito alla distinzione delle norme giuridiche dalle altre norme sociali (morali,
religiose, di costume, di correttezza, economiche, ecc.), si afferma anche che le
prime, a differenza delle seconde, determinano e specificano gli interessi per il cui
soddisfacimento il gruppo è costituito e le procedure per la composizione degli
interessi medesimi.
Le norme giuridiche sono inserite in un sistema (ordinamento giuridico) che ne
garantisce l’osservanza mediante la previsione di apposite procedure dirette ad
accertare il rispetto della norma o a dichiararne l’inosservanza applicando in
quest’ultimo caso, nei confronti del soggetto della violazione, una misura punitiva (la
sanzione). Secondo questa impostazione, la norma giuridica viene a comporsi di due
elementi: il precetto e la sanzione. Il primo esprime il comportamento che deve
essere tenuto dai destinatari della norma medesima e può essere positivo o negativo
(obbligo di fare o di non fare); la seconda consiste invece nella reazione
dell’ordinamento conseguente alla violazione del precetto e consiste
nell’applicazione di una misura punitiva a carico del trasgressore.
In merito alla coattività e alla sanzionabilità della norma giuridica bisogna
evidenziare che la sanzione prevista dalla norma giuridica è irrogata grazie alla forza
di cui dispone il corpo sociale che le norme stesse organizzano. Emerge così il ruolo
del corpo sociale «produttore» di quelle norme mediante le quali lo stesso corpo
sociale si organizza. La norma giuridica presuppone l’esistenza di una società
organizzata (ubi societas ubi ius) cioè l’esistenza di un sistema o «ordinamento
giuridico».
Questa considerazione, se da un lato è utile ai fini dell’esame dei caratteri della
norma giuridica, dall’altro è fondamentale ai fini dell’esame del fenomeno giuridico,
giacché dimostra che la norma giuridica presuppone l’esistenza di un
ordinamento giuridico e cioè di una società organizzata in base ad un «sistema» di
norme. Nella massima «Ubi societas ibi ius» si rinviene lo stretto collegamento
intercorrente fra il fenomeno giuridico e l’esistenza di un gruppo sociale, costituito e
ordinato, che persegue fini comuni. Un gruppo sociale così caratterizzato è una
istituzione in quanto:
– è un ordinamento giuridico;
– ha un proprio ordinamento giuridico, cioè un insieme di regole e princìpi vòlti
a disciplinare, in vista del raggiungimento dei fini comuni, i rapporti fra i
membri della societas e fra questi e la istituzione.
Il fenomeno giuridico dunque non si esaurisce nelle norme, ma comprende anche la
struttura della società: il diritto «prima di essere norma, è organizzazione, struttura,
posizione della stessa società in cui si svolge e che esso costituisce come unità, come
ente per se stante», cioè come istituzione (Santi Romano).
La pluralità degli ordinamenti giuridici
L’essere umano vive immerso in una pluralità di ordinamenti giuridici ciascuno dei
quali, in via di principio, tende a porsi come «non esclusivo». La pluralità degli
ordinamenti giuridici pone il problema della individuazione dei criteri in base ai quali
i vari ordinamenti giuridici si rapportano fra di loro. I diversi ordinamenti possono
infatti trovarsi vicendevolmente in una relazione di indifferenza, di coesistenza o di
antitesi.
La pluralità degli ordinamenti giuridici determina anche una differenziazione fra gli
stessi che possono suddividersi in molteplici categorie:
– originari (indipendenti) o derivati;
– sovrani o non sovrani;
– enti a fini generali (ordinamenti politici) o a fini determinati
– enti territoriali e non.
Con l’espressione ordinamenti «originari» si fa riferimento a quegli ordinamenti
indipendenti da altri nella loro origine e nel rispettivo funzionamento, mentre
«derivati» sono quegli ordinamenti la cui nascita e funzione discende da un altro
ordinamento.
Lo Stato è un ordinamento giuridico a fini generali, indipendente e originario, dotato
di potere sovrano (superiorem non recognoscens) nell’ambito del proprio territorio.
Rispetto allo Stato gli innumerevoli ordinamenti giuridici esistenti possono essere
giuridicamente rilevanti (riconosciuti, vietati, consentiti, ecc.) o irrilevanti.
L’ispirazione pluralista della Costituzione repubblicana, oltre a riconoscere la
«pluralità» degli ordinamenti, pone sostanziali limitazioni al diritto dello Stato (cfr.
ad es. artt. 2, 7, 10, 11 e 18 Cost.) in ragione appunto della constatazione
dell’impossibilità di riduzione del diritto alle sole norme e ancor meno alle sole
norme di produzione statale.
La dottrina della pluralità degli ordinamenti giuridici riconosce l’esistenza di
molteplici ordinamenti che vengono a trovarsi nei confronti dell’ordinamento statale
in rapporti di varia natura:
– di separazione (quando fra i diversi ordinamenti non vi è alcuna forma di
condizionamento);
– di coordinamento (quando vi sia un coordinamento reciproco paritario; cfr., ad es.,
riguardo ad alcune materie i rapporti fra Stati);
– di riconoscimento (quando l’ordinamento statale riconosce l’esistenza dell’altro
ordinamento ed entro certi limiti attribuisce efficacia alle norme dello stesso);
– di opposizione (quando fra i diversi ordinamenti vi è una irriducibile
contrapposizione sì che lo Stato vieta l’esistenza dell’altro ordinamento);
– di indifferenza (quando un determinato ordinamento sia del tutto indifferente per
l’ordinamento statale); ed ancora di derivazione, di dipendenza, ecc.
Lo schema della pluralità degli ordinamenti giuridici trova molteplici forme di
applicazione: dai rapporti fra Stati ai rapporti fra Stato e confessioni religiose, dai
rapporti fra l’ordinamento statale e gli ordinamenti sportivi alle vicende dei rapporti
associativi concernenti profili riguardo ai quali lo Stato ritiene di non dover
intervenire lasciando all’associazione medesima la competenza a decidere sulle
questioni interne all’associazione.
LE FONTI DEL DIRITTO ITALIANO
L'articolo 1 delle Disposizioni sulla legge in generale anteposte al Codice Civile
afferma che sono fonti del diritto:
1. Le leggi
2. I regolamenti
3. Le norme corporative
4. Gli usi.
L'articolo dà un elenco un po' diverso da quello che effettivamente vige in realtà,
questo perché il testo del Codice Civile risale al 1942, ancora in periodo fascista, e
quindi non considera quella che è la fonte del diritto per eccellenza, cioè la
Costituzione. Anche l'ordinamento corporativo è stato soppresso nel 1944 dopo la
caduta del regime. Oggi si può parlare nell'ordine di cinque diverse fonti di
produzione: la Costituzione, le leggi, le leggi regionali, i regolamenti, gli usi.
L'ordine in cui sono scritte non è casuale, ma implica una gerarchia ben precisa delle
fonti del diritto: la fonte di grado inferiore non può per nessun motivo contrastare con
quella di grado superiore.
La Costituzione
La Costituzione si colloca nel livello super primario o costituzionale insieme alle
"altre" leggi costituzionali. E' la legge fondamentale dello Stato.
La Costituzione rappresenta la fonte del diritto per eccellenza nell'ordinamento
italiano e per questo si colloca al primo posto nella gerarchia. Il testo è stato
formulato ed approvato dall'Assemblea Costituente ed è entrato in vigore il 1°
gennaio 1948.
La Costituzione nella sua prima parte detta i principi fondamentali della Repubblica e
tutela i diritti inviolabili dell'uomo; inoltre più avanti detta i principi di
funzionamento dello Stato, legittima le sue istituzioni e fornisce indicazioni per la
creazione delle leggi.
Una caratteristica importante della Costituzione italiana è la sua rigidità, motivo per
cui non può essere modificata semplicemente dallo Stato con leggi ordinarie: essa
stessa detta i limiti e le forme in cui può essere modificata attraverso un
procedimento aggravato a doppia deliberazione dei due rami del Parlamento e la
possibilità di un referendum. Inoltre essa si dota di giustizia costituzionale, istituendo
la Corte Costituzionale con il compito di vigilare e deliberare su ogni possibile
conflitto tra le leggi e la Costituzione.
Le leggi ordinarie
Le leggi occupano il secondo posto nella gerarchia delle fonti del diritto. Sono
approvate dal Parlamento che detiene il potere legislativo e promulgate con la firma
del Presidente della Repubblica e con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Le disposizioni di legge non possono contrastare con la Costituzione. Se un giudice
ritiene che possa esistere un conflitto in questi termini, egli non può decidere da solo,
ma deve sospendere il processo e rimettere gli atti alla Corte Costituzionale.
Le leggi ordinarie possono derivare da disegni di legge presentati dal parlamento (il
caso - almeno in teoria - standard), decreti legislativi delegati (in cui il parlamento
fornisce al Governo indicazioni generali sulla formulazione di una proposta di legge)
e decreti-legge (in cui è direttamente il Governo a emanare la legge, che comunque
deve essere approvata dal Parlamento entro 60gg).
Tra le fonti di pari livello si può includere in senso negativo anche il referendum
abrogativo che può cancellare una legge attraverso l'esercizio della democrazia
diretta.
Le leggi regionali
Anche le singole regioni possono emanare provvedimenti legislativi validi
esclusivamente sul loro territorio. L'attività legislativa delle regioni è regolata dalle
leggi ordinarie, che la limitano a particolari ambiti (quali l'amministrazione locale,
l'urbanistica, il turismo, ecc...). Una legge regionale non è valida se esce dai limiti
della sua competenza e viene annullata su sentenza della Corte Costituzionale.
I Regolamenti
I regolamenti sono atti derivanti direttamente dal potere esecutivo (Governo,
Pubblica Amministrazione) volti a disciplinare situazioni specifiche sul territorio: per
esempio il potere pubblico esercita la sua supremazia sul diritto privato emanando un
provvedimento di esproprio vincolante per il cittadino dietro pagamento di
un'indennità. Siccome i regolamenti non sono sottoposti all'approvazione del
Parlamento e quindi non sono vagliati dal potere legislativo, devono sottostare alle
leggi già esistenti. Un giudice può disporre autonomamente l'invalidità di un
regolamento se esso contraddice una disposizione di legge.
Gli usi e le consuetudini
Sono le uniche fonti del diritto non scritte e per questo occupano l'ultimo posto nella
gerarchia. Il richiamo agli usi è consentito solo se esplicitamente richiamato dalla
norma di legge o se non esiste nessuna norma che regoli il caso in questione.
Si tratta di tradizioni consolidate attraverso gli anni e ovviamente non è facile
accertarle: il compito di determinarli e, se necessario, di impiegarli spetta al giudice.
Esistono tuttavia anche delle raccolte scritte di usi, anche se non ufficiali.
Le fonti del diritto dell'unione
A fianco delle fonti dell'ordinamento italiano si inserisce sempre di più il diritto
comunitario dell'Unione Europea che in qualche caso risulta anche vincolante per
l'attività del legislatore. In questa ottica si possono considerare fonti del diritto anche
i trattati istitutivi della comunità europea (Trattati di Parigi e Roma, Maastricht,
Amsterdam, Nizza e Lisbona).
In base a questi trattati, adempiendo a quanto disposto nell'articolo 11 della
Costituzione che parla di limitazioni della sovranità, l'Italia assume alcuni obblighi
verso l'Unione Europea (si pensi alla moneta unica).
L'ordinamento europeo con le sue istituzioni può emanare regolamenti comunitari
direttamente applicabili in tutti i paesi membri oppure può emanare direttive che si
rivolgono ad alcuni paesi e forniscono alcune disposizioni per l'attività legislativa
futura. Gli stati membri sono vincolati da questi provvedimenti che dovranno recepire
all'interno del proprio ordinamento statale entro un certo limite di tempo. Il giudice
deve attribuire un'importanza maggiore alle norme di matrice comunitaria rispetto
anche alle leggi nazionali. (Si parla perciò di primato del diritto comunitario).
LA TUTELA DI DIRITTI
LA TUTELA GIURISDIZIONALE
La tutela delle situazioni soggettive si realizza attraverso l’applicazione della
legge da parte degli organi giudiziari dello Stato, i quali conferiscono effettività
alle norme dirimendo l’eventuale lite, e ove necessario, imponendo l’attuazione
coattiva dell’interesse protetto.
Per cui il soggetto che ritiene che un suo diritto è stato leso, può e deve rivolgersi
al Giudice (art 24 Cost.) solo eccezionalmente potrà farsi giustizia da solo (c.d.
autotutela) : in tutte le altre ipotesi ogni attività volta a tutelare un proprio diritto,
compiuta con violenza o minaccia alle persone configura il reato di esercizio
arbitrario delle proprie ragioni ( artt. 392-393 c.p.).
L’insieme delle attività svolte dal Giudice per porre termine alla lite prende il
nome di processo.
Il processo civile è diretto all’emanazione di una pronuncia del giudice attraverso
la quale si pone fine ad una controversia tra parti di un rapporto disciplinato da
norme di diritto privato.
Il processo ha inizio con una domanda che la parte, detta attore, rivolge
all’organo giurisdizionale nei confronti della controparte, detta convenuto:
sulla domanda dell’attore il giudice si pronuncia attraverso un provvedimento che
prende il nome di sentenza.
L’attività sviluppata dal giudice è volta all’accertamento del fatto e alla
individuazione della norma giuridica applicabile. I vari passaggi sono coordinati
tra di loro e finalizzati all’emanazione del provvedimento finale, cioè appunto la
sentenza.
Il processo civile è coordinato dal codice di procedura civile; la sua trattazione
istituzionale è affidata ad altra specifica materia di studio universitario, ossia il
diritto processuale civile.
Le situazioni giuridiche nel processo
Azione ed eccezione
Essere titolari di un diritto varrebbe assai poco se non si avesse la possibilità di
farlo valere in giudizio. Pertanto alla titolarità di una situazione giuridica
qualificata come diritto soggettivo deve essere riconnessa anche la possibilità di
farlo valere in giudizio, cioè di poter domandare al giudice, mediante
l’instaurazione di processo, l’emanazione di una sentenza che accolga o rigetti la
domanda.
In ciò si sostanzia l’azione, ossia il potere di dare impulso alla funzione
giurisdizionale affinché trovino tutela le situazioni giuridico soggettive. Le norme
di diritto sostanziale vanno correlate a quelle del codice di procedura civile, in
particolare all’art. 100 c.p.c. ai sensi del quale “ per proporre una domanda in
giudizio è necessario avervi interesse”. Ciò significa che non è sufficiente essere
titolari di un diritto soggettivo per esercitare un azione: è necessario altresì che si
denunci una lesione di quel diritto soggettivo e che il provvedimento richiesto al
giudice sia idoneo in tutto o in parte a rimuovere quella lesione (interesse ad
agire).
Speculare all’azione è l’eccezione.
L’eccezione è lo strumento attraverso il quale si resiste alla pretesa avanzata dalla
controparte in giudizio. Ad esempio se il creditore fa valere attraverso l’azione il
suo diritto all’adempimento dell’obbligazione , il debitore, attraverso l’eccezione ,
può far valere la circostanza che il pagamento abbia già avuto luogo o che il
diritto vantato dalla controparte sia prescritto (eccezione in senso stretto o
processuale).
L’onere della prova
Il processo civile è caratterizzato dal principio dispositivo per il quale le parti
sono libere di esercitare le azioni e di opporre le eccezioni, di transigere la
controversia e di rinunciare al giudizio. Questo principio si riflette anche sui poteri
del giudice civile che non può ricercare d’ufficio le prove dei fatti posti a
fondamento delle pretese delle parti.
Naturale corollario del principio dispositivo e il principio dell’onere della prova ,
in forza del quale i fatti che si pongono alla base di un’azione o di un eccezione
devono essere provati dal parte che agisce o che eccepisce. L’esistenza di questo
principio nel processo civile comporta che in assenza di un adeguato apparato
probatorio un determinato fatto, anche se realmente avvenuto, viene ritenuto
inesistente ai fini della risoluzione della controversia.
La ripartizione dell’onere della prova fra attore e convenuto è regolata dalla legge
( art. 2697, co. 1) ma può essere modificata dalle parti mediante un apposito
patto, sia pure nei limiti stabiliti dall’art. 2698 .
Le prove
La prova va fornita mediante specifici mezzi di prova : le prove documentali, le
prove testimoniali, la confessione, il giuramento, le presunzioni.
Tra i mezzi di prova è possibile istituire una classificazione che li divide in prove
dirette e prove indirette a seconda che sessi siano destinati a provare
direttamente l’esistenza di un fatto o farlo soltanto presumere ( es. incidente
stradale - prova diretta =testimonianza. Prova indiretta = perizia su traccia di
frenata).
Un'altra importante distinzione tra i mezzi di prova si fonda sulla loro
vincolatività per il giudice. Si parlerà allora di prove libere con riguardo a quelle
che il giudice può valutare liberamente ( es. prove testimoniale) e di prove legali
con riguardo a quelle che obbligano a considerare come effettivamente verificatisi
gli atti o i fatti attraverso di esse documentati o rappresentati ( es. l’atto pubblico o
la confessione giudiziale).
Sono prove documentali ,o prove scritte, anzitutto l’atto pubblico e la scrittura
privata.
L’atto pubblico è il documento redatto , nei modi previsti dalla legge, da un
pubblico ufficiale ( di regola il notaio)e che fa piena prova, fino a querela di falso
(art.221c.p.c.) della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha
redatto, nonché delle dichiarazioni in esso contenute ( artt. 2699-2770).
Quanto alla scrittura privata, essa è un documento sottoscritto dalla parte, che
acquista efficacia di prova legale, al pari dell’atto pubblico, solo quando viene
riconosciuta da colui contro il quale la scrittura è prodotta, ovvero quando è
legalmente considerata riconosciuta, come nel caso in cui la sottoscrizione sia
stata autenticata da un notaio o altro pubblico ufficiale (artt. 2702-2703).
La prova testimoniale può essere fornita mediante la dichiarazione, resa davanti
ad un giudice, che un determinato fatto si è verificato alla presenza di chi rende la
dichiarazione (testimone).
L’ammissibilità della prova testimoniale è vincolata da restrizioni (artt.27212723), che si applicano anche alla prova del pagamento e della remissione del
debito ( art. 2726) .
Tuttavia alle prova testimoniale potrà farsi ricorso nelle ipotesi di cui all’art. 2724
e cioè quando:
1) quando vi sia un principio di prova per iscritto
2) quando il contraente sia impossibilitato materialmente o moralmente a
procurarsi prova scritta.
3) Quando il contraente abbia, senza sua colpa, smarrito il documento che gli
forniva la prova.
La confessione è una dichiarazione resa da un soggetto nell’ambito di un giudizio
(confessione giudiziale) o fuori dal giudizio ( confessione stragiudiziale) di fatti
a sé sfavorevoli e favorevoli alla controparte ( art. 2730). La confessione può
avere ad oggetto solo fatti che incidano sui diritti disponibili (art. 2733, co. 2),
poiché, essendo una prova legale, i suoi effetti finiscono per equipararla ad un
atto di disposizione del diritto.
Il giuramento è la dichiarazione della veridicità di un fatto proveniente da una
delle parti e resa in giudizio con formula solenne. Il giuramento può essere
decisorio o suppletorio a seconda che esso venga richiesto da una delle parti ai
fini della decisione della causa o sia richiesto dal giudice per integrare le prove o
ancora per stabilire il valore della cosa domandata quando non sia possibile
accertarlo altrimenti.
Il giuramento, l’atto pubblico e la confessione hanno efficacia legale
Le presunzioni sono mezzi di prova indiretti e consentono di accertare l’esistenza
di un fatto ignoto muovendo da un fatto noto (art. 2727). le presunzioni possono
essere legali o semplici.
Nelle prime (quelle legali), è la legge stessa che, in presenza di un certo fatto,
considera esistente e quindi provato un altro fatto rilevante ai fini di un certo
effetto giuridico. ( es. matrimonio, figlio concepito e quindi figlio legittimo art
231-232). Inoltre queste possono essere assolute o relative a seconda che sia
ammessa o meno la prova contraria (es. la presunzione assoluta è proprio quella
dell’art. 232 relativamente al concepimento in costanza di matrimonio, mentre un
es. di presunzione relativa è quella istituita dall’art231 che può essere vinta
attraverso l’esercizio dell’azione di disconoscimento della paternità (artt. 243235).
Le presunzioni semplici (art. 2729) rappresentano in realtà, un limite al
ragionamento induttivo del giudice, consentendo a quest’ ultimo di farvi ricorso
solo in presenza di fatti gravi, precisi e concordanti. Le presunzioni NON sono
ammissibili nei casi in cui la legge esclude le prove per testimoni.
L’efficacia delle sentenze ed il giudicato
Il giudicato in senso sostanziale:
Ai sensi dell’art. 2909 “l’accertamento contenuto nella sentenza passata in
giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”.
Sono questi i limiti oggettivi e soggettivi de giudicato, per cui la sentenza non
può produrre effetti al di là del caso da essa deciso o su soggetti estranei alla
controversia ( che non siano eredi o aventi causa delle parti).
Il giudicato in senso formale si differisce dal primo poiché la sentenza non può
essere più impugnata con gli ordinari mezzi del gravame ( appello, ricorso per
cassazione, revocazione, regolamento di competenza: art. 324 c.p.c.), per cui, una
volta che la sentenza è passata in giudicato non è più possibile riproporre la
questione in giudizio ed ogni eventuale domanda vertente sul medesimo oggetto
verrà rigettata.
I caratteri cui sopra sono comuni a tutte le sentenze.
Queste ultime, però, vengono tradizionalmente distinte in ragione del loro
contenuto e degli specifici effetti che producono a carico della situazione
giuridica oggetto dell’accertamento giudiziale. Da questo punto di vista si parla di:
Ø Sentenze di mero accertamento attraverso le quali si ottiene il risultato
pratico di munire la situazione giuridica oggetto dell’accertamento
giudiziale della stessa forza del giudicato ( in senso sostanziale) cosi da
rendere vane eventuali rivendicazioni da parte di terzi.
Ø Sentenze di condanna che muniscono di un titolo idoneo ad avviare
l’esecuzione forzata (art. 474, n. 1, c.p.c.) o ad iscrivere ipoteca 8 art. 2828)
Ø Sentenze costitutive che modificano in senso favorevole all’attore la
situazione giuridica oggetto dell’accertamento giudiziale.
Al fine di assicurarne la conoscibilità a tutti gli interessati in funzione della
certezza delle situazioni giuridiche, l’ordinamento prevede che taluni atti o fatti
giuridici siano iscritti in pubblici registri. E’ questa la pubblicità legale
tradizionalmente distinta , a seconda degli effetti che la legge vi riconnette, in
pubblicità notizia, pubblicità dichiarativa e pubblicità costitutiva.
Ø La pubblicità notizia assolve alla funzione di rendere un certo atto
conoscibile ma non è determinante né ai fini della sua validità né ai fini sua
opponibilità a terzi. La pubblicità notizia è fonte di un obbligo la omissione
determina unicamente una sanzione pecuniaria, senza alcuna conseguenza
per la validità dell’atto stesso (artt. 93,134 in ordine alle pubblicazioni che
devono precedere il matrimonio).
Ø La pubblicità dichiarativa svolge la particolare funzione di rendere un
determinato atto opponibile a terzi. La pubblicità dichiarativa costituisce
per l’interessato un onere.
Ø La pubblicità costitutiva è elemento costitutivo della fattispecie giuridica,
indispensabile, dunque, ai fini del suo perfezionamento. La pubblicità
svolge una funzione costitutiva ad esempio in materia di ipoteca. Infatti,
giusta quanto disposto dall’art. 2808, co 2, l’ipoteca costituisce mediante
iscrizione nei registri immobiliari di un apposito titolo. Altro esempio è
quello dell’usucapione abbreviata nel quale la trascrizione del titolo
astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà entra a far parte della
più complessa fattispecie di acquisto a titolo originario del diritto.
La trascrizione
La trascrizione è regolata dal libro VI del codice civile e costituisce una
particolare forma di pubblicità dichiarativa tesa ad assicurare la conoscibilità e
la opponibilità ai terzi delle vicende traslative riguardanti i beni immobili ( ei
beni mobili registrati art. 2683) attraverso un’articolato sistema organizzato su
base personale.
La funzione della trascrizione è quella di dirimere gli eventuali conflitti fra più
aventi causa ( a titolo particolare)che abbiano acquistato da un comune dante
causa con atto inter vivos diritti incompatibili. Attesi gli effetti che ne derivano,
gli atti soggetti a trascrizione sono solo quelli tassativamente previsti dalla
legge.
Per comprendere il funzionamento dell’istituto occorre considerare che il
nostro ordinamento, accogliendo il principio del consenso traslatorio (art
1376), ha optato per una semplificazione delle forme di circolazione dei beni a
scapito della sicurezza dei traffici giuridici. Ciò perché, in un sistema nel quale
il trasferimento del diritto ha luogo, indipendentemente dalla materiale
consegna della cosa, è molto più facile e frequente che si verifichino casi nei
quali dello stesso diritto si disponga più volte a beneficio di almeno due
diversi acquirenti.