OMELIA DELLA QUINTA DOMENICA DI QUARESIMA I PECCATORI INCONTRANO GESU’ VENGONO PERDONATI ED ENTRANO NEL REGNO 1. Impariamo dalle parole di Gesù che i peccatori sono la missione speciale, quasi il cuore, del suo ministero:” <<Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate ad imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori>>” ( Matteo 9,13). Conosciamo un’altra formulazione dello stesso principio, in occasione della scandalosa sosta di Gesù nella casa di Zaccheo: <<Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e salvare ciò che era perduto>>” ( Luca 19, 10). I passi di Gesù incontro ai peccatori sono il viaggio al contrario e la redenzione di quello che l’umanità ha compiuto per allontanarsi da Dio. Nel mistero del peccato si colloca infatti la ragione della redenzione operata da Cristo nella sua passione/morte/risurrezione: “Gesù nostro Signore è stato consegnato alla morte a causa delle nostre colpe ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione”( Rom 4,25). Il primo atto di fede della comunità cristiana si raccoglieva attorno a questa verità. Nella Lettera ai Romani Paolo affronta il grande, vero, unico dramma dell’umanità: “come regnò il peccato nella morte, così regni anche la grazia mediante la giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore”( Rom 5, 21). Gesù risale la china dolorosa del peccato degli uomini assumendolo per porre fine al “regno” del peccato che ha fatto schiava la storia umana: storia di dimenticanza, di allontanamento, di rivendicazione, di menzogna che da Adamo ed Eva ha dilagato fino ai giorni di Gesù, fino ai giorni nostri. 2. Parliamo oggi di peccato e di peccatori, parliamo degli uomini e del Redentore, perché ancor oggi, non osiamo dire oggi più di ieri, ma siamo tentati di dirlo, il peccato individuale e il peccato sociale sono una delle tragiche variabili del tempo. L’uomo non solo non è uscito da questo girono infernale, non solo non si è affrancato da questo regno, ma sembra esservisi inabissato con una foga inusitata. Il 1 paradosso è questo: il peccato è presente nel mondo senza che lo si possa mai nominare. Si usano, per evitare anche solo di pronunciarlo, tutte le perifrasi immaginabili, di natura sociologica, psicologica, giuridica: colpa, delitto, illegalità, trasgressione… Non è in questione solo la sensibilità individuale, ma l’incapacità della cultura attuale di pensare nella dimensione morale, se il metro vincente è quello suggerito dai socials: mi piace/non mi piace, linguaggio della koiné informatica che accede al massimo ad una dimensione estetica: bello/brutto… I comportamenti umani non sembrano più rispondere a concezioni razionali misurate sulla ricerca della verità, ma piuttosto sulla rassegna delle opinioni. Sulla stampa e nei talk-show, trasmissioni di intrattenimento, vengono chiamati e venerati come oracoli gli opinionisti in voga, à la page . Su questa strada le pubbliche opinioni si nutrono ormai di “post-verità”, dato che la verità è inutile e irrilevante per il buon vivere e così non vale nemmeno più la pena di negarla o combatterla. E’ di moda la tolleranza, una specie di supermercato di punti di vista, che non cerca più di convergere in un codice di comunicazione e comportamento condiviso, ma solo di difendere i confini di ogni opinione per lasciarla tranquillamente vivere. Il fatto drammatico, la situazione severa che si crea non è tanto la scomparsa del concetto stesso di verità, ma il fatto che l’uomo e l’umanità intera vengono coinvolti e asserviti, divenendo una variabile subalterna: dell’uomo, della persona umana, è vero ciò che salva le convenzioni sociali. 3. Ben altro è il punto di vista di Gesù. Egli conosceva quello che c’è nell’uomo e non aveva bisogno che qualcuno lo informasse. Il Creatore sapeva da dove bisognava partire per dipanare il mistero dell’uomo: bisognava raggiungere il cuore e non accontentarsi , come i farisei, della conformità legale dei comportamenti. Egli leggeva nel cuore delle persone e vedeva quello che c’era da redimere in ognuno e anche il piccolo germe di bene e verità da far risorgere e rifiorire. Nel caso della pubblica peccatrice protagonista del brano che abbiamo ascoltato, la diversità dello sguardo di Gesù rispetto a quello dei farisei è abissale: essi conoscevano i comportamenti della donna, ma non ne conoscevano il cuore. Siamo di fronte ad una pagina preziosa e delicatissima. Tutta la città parlava e sparlava di lei, ma in realtà essa era sconosciuta. La donna va verso Gesù portando due cose che diventano immediatamente due simboli: le lacrime fino ad allora represse, poiché coloro che la sfruttavano non erano degni delle sue lacrime. 2 Nessuno l’aveva mai vista piangere: non poteva farlo perché con gli altri, con gli uomini, doveva solo fingere, per apparire una donna libera e licenziosa. Ma le sue lacrime dicono altra cosa. Gesù comprende e lascia che la donna compia il proprio rito di purificazione, lascia che le sue lacrime pesino sulla bilancia del perdono, poiché, come è stato scritto, “alla fine peseranno solo le lacrime”. Tema di grande profondità e suggestione che ci giunge anche dal Salmo : “ I passi del mio vagare tu li hai contati, la mie lacrime nell’otre tuo raccogli. Non sono forse scritte nel tuo libro?” ( Salmo 56, 9 ). E poi c’è il vasetto dell’olio profumato, simbolo stupendo : la pubblica peccatrice nel naufragio della sua vita aveva dilapidato tutto il proprio patrimonio, perduto ogni credito di fronte a se stessa e alla società, aveva speso il proprio corpo. Ma nella profondità del cuore, inaccessibile a tutte le profanazioni le era rimasto intatto il profumo di un desiderio di amore autentico che ella teneva in serbo per colui che sarebbe stato degno di amarla veramente, lo sposo della sua anima. 4. Il profumo dell’anima perdonata è giunto fino a noi e ci rende convinti che tutti gli uomini hanno in serbo per Dio, come ultima verità di se stessi e come àncora di salvezza , le loro lacrime e l’olio profumato di un amore che, in qualsiasi momento della vita, può rimettere in cammino la persona. Bisogna credere all’anima, la quale è più vera e più profonda, di uno dei qualsiasi recenti surrogati dell’anima, come il reticolo di sinapsi del nostro cervello che si trasmettono impulsi elettrici a comandare comportamenti e stati d’animo… E’ qualcosa di più dell’interazione mente/cervello o della teoria del gene che sembra presiedere automaticamente ai comportamenti umani, come se la libertà si riducesse ad una chimica. Gesù si è rivolto all’anima, si è curvato amorosamente su di essa, a quel nucleo misterioso che ogni persona custodisce e che è in grado di sovvertire ogni previsione e determinismo. Se ampliamo il nostro sguardo ad un’altra grande pagina di peccato e perdono, quella del figlio perduto e del padre misericordioso, giungiamo alla stessa conclusione: al figlio che tornava, relitto umano irriconoscibile, restavano solo le lacrime, che mescolò con quelle del padre e…l’abbraccio con lui. Tutto il resto era stato dilapidato , distrutto, profanato. Ma le lacrime e l’abbraccio bastarono a ricostruire la persona e la dignità incancellabile di figlio. 5. Ci domandiamo se esiste e qual è la liturgia del perdono ai nostri giorni, la liturgia della misericordia. Bisogna seguire l’esempio di Cristo: 3 5.1. Al primo posto, come primo gesto salvifico, per chi vuole essere misericordioso, si pone quella che potremmo chiamare la discesa agli inferi , dogma della fede cattolica, entrato nel Simbolo apostolico; verità rappresentata nelle icone orientali come un atto sovrano di liberazione di Gesù che abbatte le porte degli inferi, che stanno sotto i suoi piedi in forma di croce, prende per mano i progenitori, Adamo ed Eva, cioè prende per mano tutta l’umanità e la riporta nel giardino di Dio, per ricominciare la storia umana come storia sacra, cioè per ridonare agli uomini la veste di luce perduta col peccato, come tramanda la tradizione talmudica, e sostituita dalla pelle, fino al giorno della redenzione finale. Il comandamento della misericordia, e la liturgia che lo celebra, è oggi la scelta di scendere nel cuore degli inferni del nostro tempo, superando le porte sbarrate, le difese che gli stessi abitanti degli inferi oppongono alla propria liberazione, ma anche le facili conclusioni che danno come dogma l’irrecuperabilità del peccatore, perduto per sempre, se non altro per giustificare gli inferni costruiti su questa terra per i dannati della società. Si moltiplicano i cherubini con la spada fiammeggiante che vogliono impedire ai peccatori il ritorno, dando per irreversibile il male. E questo mentre gli inferni terrestri si sono moltiplicati in ogni luogo dell’esperienza umana; nelle famiglie, nei luoghi di lavoro, nelle istituzioni, anche quelle in cui si decide della vita deli uomini, dei giovani soprattutto. 5.2. Ma non basta: non si va con le proprie armi contro gli inferi, ma con le armi di Dio. Si va con l’intercessione che conosciamo come l’arma di Dio in bocca ai suoi servi: L’intercessione di Abramo, l’intercessione di Mosè, di Geremia, di Daniele; fino alla divina intercessione di Gesù nella preghiera sacerdotale dell’Ultima Cena, nella quale raccoglie tutte queste preghiere nell’offerta di se stesso al Padre e accetta il prezzo che questo comporta: “ Io conservavo nel tuo nome coloro che mi hai dato e li ho custoditi; nessuno di loro è andato perduto , tranne il figlio della perdizione”. La parola “custodire” è presente nel vocabolario della Chiesa, insieme con la parola “cura”. Quest’ultima, con l’espressione “cura animarum” è applicata all’azione pastorale detta appunto “cura pastorale”, intendendo la assunzione di responsabilità , di preghiera e di azione, che nella Chiesa sono richieste a coloro che, in forme diverse di responsabilità, si dedicano al popolo di Dio. Il Codice di Diritto Canonico , proprio nell’ultimo canone, riassumendo il significato della legislazione canonica conclude affermando il principio che “la legge suprema della Chiesa è la salvezza delle anime” (1752). 4 La passione per le anime il Signore la condivide con coloro che sono chiamati a ricoprire un servizio di autorità nella Chiesa: in prima fila vescovi e preti, religiose e religiosi, ma anche i genitori cristiani, i docenti cristiani e quei cristiani che praticano professioni nelle quali si decide il destino delle persone e delle istituzioni: giudici, medici, politici, amministratori, legislatori… E questo naturalmente senza invasioni di campo, nel rispetto delle leggi e delle competenze, avendo presente non l’uomo astratto ma la persona concreta, nella sua storia e nel contesto in cui vive. 5.3. Un ultimo versante intuiamo in quella che abbiamo chiamato la liturgia della misericordia per il mondo di oggi. E’ la predicazione della risurrezione. E’ l’ultima parola spesa per la vita, mentre il mondo è oppresso da un assedio di morte: morti lontane e vicine. Oggi tutto è a portata di mano, forse soprattutto la morte: le stragi di migranti in mare, le stragi del terrorismo , gli omicidi in famiglia, il protagonismo di morte di giovani e giovanissimi: giovani che danno la morte e giovani che si danno la morte. La vita appare per molti insopportabile: la propria vita e quella degli altri, come se un terribile “cupio dissolvi”, cioè un epidemico desiderio di morte, attraversasse il mondo. E’ la mietitura del peccato al quale dobbiamo opporci con l’anima, con la vita, come ha fatto Gesù. All’ultimo peccatore che lo accosta, uno dei due malfattori crocifissi con lui, compagno del suo supplizio, Gesù non solo assicura il perdono ma lo fa compagno della vittoria: “<<Oggi sarai con me in paradiso>>”( Luca 23, 43). Il ladrone pentito entra nella gloria insieme con Cristo, come Cristo. La grazia che Disma, secondo il nome che la tradizione gli ha attribuito, ha meritato è stata quella di ottenere, col perdono, anche la conoscenza del mistero di Cristo. 5